Sistemi a dislocamento - Blowtex

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Sistemi a dislocamento - Blowtex
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Displacement Ventilation:
funzionamento e progetto
MARCO FILIPPI, STEFANO P. CORGNATI
Dipartimento di Energetica - Politecnico di Torino
RIASSUNTO
Il sempre più ampio consenso incontrato dai sistemi di distribuzione dell’aria in
ambiente del tipo displacement ventilation (anche denominati “sistemi di ventilazione a
dislocamento”) ha portato ad una loro diffusa applicazione, soprattutto nei paesi del nord
Europa, nei settori sia industriale che civile (uffici, ristoranti, aule scolastiche, etc.).
Una delle principali motivazioni che rendono questa tecnica apprezzata è la
possibilità di raggiungere contemporaneamente elevati valori di efficacia di ventilazione
(ventilation effectiveness), indice legato alla distribuzione di contaminante in ambiente,
e di efficacia di temperatura (temperature effectiveness), indice legato alla distribuzione
di temperatura in ambiente.
Per raggiungere tali elevati valori è però indispensabile un attenta progettazione del
sistema, operazione non banale se si considera che il moto dell’aria in ambiente è
controllato dalla convezione naturale e dalle forze di galleggiamento.
Inoltre le distribuzioni di temperatura e di concentrazione di contaminante devono
essere analizzate con cura poiché sono esse a garantire i soddisfacenti livello sia di
comfort termico che di qualità dell’aria.
Questa memoria si propone di descrivere le peculiarità di funzionamento dei
sistemi di distribuzione dell’aria in ambiente del tipo displacement ventilation e di
illustrarne i principi di progettazione con riferimento ai più recenti sviluppi negli studi
teorici ed applicativi su questa soluzione impiantistica.
1. INTRODUZIONE
La displacement ventilation (ventilazione a dislocamento) ha raggiunto grande
popolarità nel nord Europa, in particolare nei paesi scandinavi e le sue prospettive di
diffusione anche nei paesi mediterranei sono incoraggianti. Già largamente utilizzata in
applicazioni industriali, nell’ultimo ventennio è stata adottata con successo anche in
campo civile (uffici, ristoranti, aule scolastiche, etc.), contribuendo al diffondersi di un
sempre più ampio consenso nei confronti di questa soluzione impiantistica.
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Una delle principali motivazioni che rendono questa tecnica apprezzata è la
possibilità di conseguire contemporaneamente elevati valori di efficacia di ventilazione
(ventilation effectiveness), indice legato alla distribuzione di contaminante in ambiente,
e di efficacia di temperatura (temperature effectiveness), indice legato alla distribuzione
di temperatura in ambiente. I pregi della ventilazione a dislocamento sono infatti sia la
possibilità di ottenere un elevato grado di qualità dell’aria sia di adottare una strategia di
rimozione dei carichi termici efficiente.
La displacement ventilation sfrutta come principio base di funzionamento la
differenza di densità dell’aria in ambiente che, riscaldandosi, si muove naturalmente
verso l’alto. L’aria “fresca e pulita” viene immessa nei locali a livello del pavimento
attraverso un diffusore a bassa velocità ad una temperatura leggermente al di sotto di
quella dell’aria ambiente, mentre l’aria “calda e contaminata” viene rimossa a livello del
soffitto.
Il movimento dell’aria in ambiente è guidato dalle sorgenti interne di calore.
Queste, infatti, creano dei moti convettivi ascensionali che richiamano l’aria circostante
e la veicolano verso l’alto. Quando le sorgenti di calore sono anche sorgenti di
contaminante (sorgenti inquinanti calde)1, i moti convettivi da esse generate trasportano
con sé anche i contaminanti. In particolare, nel locale si possono individuare due zone
ben definite: una zona superiore con aria calda e contaminata e una zona inferiore, nella
quale stazionano gli occupanti, con aria fresca e pulita. L’altezza che delimita le due
zone è detta altezza del piano neutro (neutral height) o altezza della zona a flusso stratificato (stratification height), ed è un parametro fondamentale nel progetto dei sistemi a
displacement ventilation. In figura 1 è illustrato qualitativamente il moto dell’aria e la
distribuzione di contaminante e di temperatura in un locale ventilato con sistema a
dislocamento.
E’ opportuno precisare che,
basando la propria azione sugli
effetti convettivi delle sorgenti
termiche,
la
displacement
ventilation può essere usata efficacemente solo a scopo di raffrescamento. Il suo utilizzo può
essere eventualmente esteso al
caso
del
riscaldamento
accoppiando all’immissione di aria
fresca propria di un sistema a
displacement ventilation l’effetto
riscaldante di radiatori o di un
pavimento radiante caldo (Skistad, 2002).
E’ inoltre importante individuare in quali situazioni la displacement ventilation sia
da preferire alla mixing ventilation (ventilazione a miscelazione) (Filippi e Bo, 1990). La
mixing ventilation ha come obiettivo l’omogeneizzare la temperatura e la concentrazione
1
Nella presente memoria, i termini “contaminante” e “inquinante” vengono usati come sinonimi.
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di inquinante nel locale: il movimento dell’aria in ambiente è veicolato dalle forze
d’inerzia e il desiderato mescolamento dell’aria ambiente è ottenuto grazie all’immissione di un getto ad elevata velocità al di fuori della zona (Bo e Filippi, 1991). Al
contrario, la displacement ventilation si fonda sulla presenza di gradienti verticali di
temperatura e di contaminante in ambiente: il movimento dell’aria in ambiente è
veicolato dalle forze di galleggiamento ed è legato all’azione delle sorgenti termiche
presenti in ambiente.
In generale, come mostrato in figura 2, con la displacement ventilation si può
ottenere nella zona occupata una qualità dell’aria migliore (coc < cR). Inoltre, a pari
temperatura della zona occupata, la differenza di temperatura dell’aria tra immissione e
ripresa è maggiore con la ventilazione a dislocamento (Toc < TR): viene così estratta, a
parità di portata e di temperatura dell’aria immessa, una potenza termica maggiore.
Tuttavia, come vedremo in seguito, l’impiego di sistemi di ventilazione a
dislocamento impone maggiori limitazioni sui valori di velocità e di temperatura
dell’aria immessa, essendo questa direttamente distribuita nella zona occupata, al fine di
evitare discomfort sia per correnti d’aria sia per temperature troppo basse a livello del
pavimento sia per gradienti verticali di temperatura eccessivamente elevati.
Si può affermare che i sistemi a dislocamento sono da preferire quando il
principale problema da risolvere è il mantenimento di una elevato livello di qualità
dell’aria per gli occupanti, mentre i sistemi a miscelazione sono da preferire quando il
principale problema da risolvere è la rimozione di elevati carichi termici dall’ambiente.
Inoltre, la displacement ventilation è particolarmente efficace in locali di elevata
altezza, dove la porzione di spazio da climatizzare è piccola rispetto al volume dell’ambiente.
La ventilazione a dislocamento trova ampie possibilità di applicazione in presenza
di sorgenti inquinanti calde, quindi sia in campo industriale (Breume e Skotte, 1992),
laddove la contaminazione dell’aria può essere causata da sorgenti inquinanti calde di
elevata potenza termica in grado di innescare forti moti convettivi e una stratificazione
dell’aria stabile, sia in campo civile, per esempio in uffici, ristoranti, aule scolastiche e,
come già accennato, in tutti quei locali ad elevata altezza dove si abbia garanzia di
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presenza continuativa di sorgenti termiche interne (persone, luci, apparecchi, etc.) e
necessità di un elevato grado di qualità dell’aria.
Affinché i vantaggi propri della ventilazione a dislocamento in termini di
rimozione sia dei contaminanti sia dei carichi termici possano essere efficacemente
conseguiti, è indispensabile un attento dimensionamento del sistema di ventilazione,
operazione non banale essendo la convezione naturale e le forze di galleggiamento a
controllare il moto dell’aria in ambiente.
Questo lavoro si propone non solo di descrivere le peculiarità nel funzionamento
dei sistemi a dislocamento ma anche di illustrarne i principi base per il dimensionamento, introducendo i recenti sviluppi negli studi teorici ed applicativi di questa
soluzione impiantistica.
2. IL MOVIMENTO DELL’ARIA IN AMBIENTE
Nella displacement ventilation l’aria fresca a bassa velocità e turbolenza è immessa
a livello del pavimento e rimossa a livello del soffitto, dove si trova ad alta temperatura
ed elevato grado di contaminazione.
Le forze “motrici” della ventilazione a dislocamento sono “naturali”: il moto
dell’aria nel locale, guidato dalle differenze di densità dell’aria ambiente, è controllato
dalle forze di galleggiamento.
Le sorgenti termiche endogene giocano un ruolo fondamentale per il movimento
dell’aria: esse richiamano l’aria fresca dalla parte bassa del locale e la guidano sino alla
parte alta (Mundt, 1996). Al fine di alimentare questi moti ascensionali convettivi, la
portata d’aria di ventilazione immessa nel locale deve essere sufficiente ad “alimentare”
la portata generata dai pennacchi termici.
In base al bilancio tra portata d’aria immessa e flussi convettivi ascensionali e
discendenti, all’interno del locale può essere individuata una altezza caratteristica che
segna la suddivisione dell’ambiente in due zone caratterizzate da un differente
movimento dell’aria al loro interno: una zona superiore “a miscelazione” (mixing zone)
con aria contaminata e una zona inferiore “a flusso stratificato” (stratified flow zone) con
aria pulita, come rappresentato qualitativamente in figura 3.
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Come illustrato in figura 4, l’altezza yst del piano che definisce la separazione tra
le due zone discende dalla relazione (Nielsen ,1994):
(1)
che esprime l’equazione di conservazione della massa (in questo caso scritta in termini
di portata volumica) nel volume di controllo individuato nel locale tra il livello del
pavimento e l’altezza del piano neutro yst (neutral height), anche detta altezza della zona
a flusso stratificato (stratification height) (Xing e Awbi, 2000).
Nell’equazione 1, il termine V·1 rappresenta la portata generata dalla sorgente
termica presente nella stanza, il termine V·2 la portata legata al flusso d’aria discendente
dovuto alle pareti laterali fredde ed il termine V·0 la portata di ventilazione.
E’ chiara la necessità che l’altezza del piano neutro yst sia maggiore dell’altezza
che delimita la “zona di inalazione” (breathing zone) dell’individuo, ciò per garantire
che gli occupanti respirino aria pulita (Brohus, 1997).
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La portata V·1 generata dalla sorgente termica aumenta al crescere della distanza
dalla sorgente stessa, per effetto del richiamo, da parte del pennacchio termico, di aria
fresca dall’ambiente circostante; essa è funzione della potenza termica emessa dalla
sorgente.
Sono stati condotti numerosi studi finalizzati alla valutazione della portata V·1
generata da sorgenti termiche di diverso tipo (persone, luci, personal computer, etc.): essi
propongono di valutare V·1 sia attraverso equazioni empiriche che attraverso diagrammi
(Kofoed e Nielsen, 1990; Mundt, 1992). A titolo di esempio, in figura 5 sono presentati
due diagrammi che esprimono il flusso d’aria convettivo generato da differenti sorgenti
termiche al crescere della distanza da queste (Nielsen 1994).
In generale, comunque, una volta nota la potenza termica della sorgente φhs, essendo
(2)
la portata V·1 può essere calcolata ponendo il
valore dell’altezza y pari a quello desiderato
per l’altezza della zona a flusso stratificato
yst. Per attività sedentarie con lavoratori in
posizione seduta, si raccomanda che yst sia di
almeno 1.1 m.
Analogamente, il flusso discendente
d’aria causato dalla presenza delle pareti
laterali fredde si quantifica attraverso una
portata V·2 esprimibile in funzione della
6a
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differenza di temperatura tra aria ambiente e
superficie fredda:
(3)
dove d è la distanza tra l’altezza del piano
neutro yst e il lato superiore della superficie
fredda (Nielsen, 1994).
Una volta stimati i valori di V·1 e di V·2,
può essere calcolata mediante la (1) la portata
di ventilazione V·0 richiesta per mantenere
l’altezza yst al valore desiderato.
Si può osservare, dai diagrammi
b
qualitativi in figura 3, come al di sotto di yst la
concentrazione di inquinanti si mantenga
pressoché costante a valori bassi, per poi
incrementarsi significativamente al di sopra di
yst. Si nota inoltre che yst corrisponde
all’altezza per la quale la temperatura dell’aria ambiente eguaglia la temperatura delle
pareti.
Gli studi condotti da Nielsen (1994) hanno inoltre mostrato come la concentrazione
di contaminante nella zona occupata (coc) vari tra il 10% e 30% di quella alla bocchetta di
ripresa: questi valori possono essere presi come riferimento in fase progettuale. In pratica,
come illustrato in figura 6a, si risolve l’equazione di bilancio del contaminante nel locale:
(4)
con l’ipotesi che coc sia una opportuna frazione di cR, assunta cautelativamente in fase di
progetto pari al 30% (regola del 30%).
In figura 6b, viene presentato l’andamento sperimentale della concentrazione di
contaminante al variare della portata di ventilazione in un locale a displacement
ventilation con sorgenti inquinanti calde (Nielsen, 1994): si osservi come l’altezza di
stratificazione possa essere chiaramente individuata.
3. L’EFFICACIA DI VENTILAZIONE
Alla distribuzione di contaminante in ambiente è correlata la definizione di
“efficacia di ventilazione” (ventilation effectiveness), indice che definisce quanto
rapidamente una sostanza inquinante viene rimossa dal locale.
In letteratura si ritrovano differenti definizioni per questo parametro, tra le quali
riprendiamo quella sia utilizzata da Filippi e Bo (1990) sia adottata da Nielsen (1995) e
da Brohus (1997). La “efficacia media di ventilazione” −
ε (mean ventilation effectiveness)
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viene definita mediante l’equazione:
(5)
dove cR è la concentrazione di contaminante all’estrazione e –c è la concentrazione media
di inquinante nel locale. Analogamente, la “efficacia di ventilazione” nella zona
occupata εoc (ventilation effectiveness in the occupied zone) è:
(6)
dove coc è la concentrazione media di contaminante nella zona occupata.
Infine, si definisce “indice di ventilazione locale” ερ (local ventilation index) la
grandezza:
(7)
dove cp è la concentrazione di contaminante.
In figura 7 è illustrato il confronto tra i valori assunti dai suddetti indici in locali
con displacement ventilation e mixing ventilation.
Accanto a questi indici è stato inoltre introdotto un nuovo indice di ventilazione,
detto “indice di esposizione personale” εe (personal exposure index) (Brouhs e Nielsen,
1996) definito come:
(8)
dove ce è la concentrazione di contaminante inalato dalla persona.
L’introduzione di questo nuovo coefficiente si è resa necessaria in riferimento, in
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special modo, allo studio dei sistemi a displacement ventilation. Si è infatti notato come
il flusso d’aria ascensionale convettivo prodotto da una persona sia in grado di
richiamare e trasportare l’aria fresca e pulita nella zona di inalazione dell’individuo.
Quindi l’aria inspirata può presentare una concentrazione sensibilmente differente
da quella al di fuori della zona di inalazione, come illustrato qualitativamente in figura
8.
Al fine di stimare gli effetti del campo termico generato dal corpo umano sulla
concentrazione di contaminante nella zona di inalazione, è stata definita la “efficacia di
trasporto del corpo umano” ηe (effectiveness of entrainment in the human boundary
layer):
(9)
che esprime la capacità del corpo umano di
richiamare l’aria pulita dal livello del
pavimento fino alla zona di inalazione. Infatti,
ηe è pari a 1 quando tutta l’aria inspirata
giunge dal pavimento, caratterizzato da una
concentrazione cf. Viceversa, si ha ηe pari a 0
quando la concentrazione di contaminante
nell’aria respirata ce è uguale a cP, quindi
l’effetto del campo termico del corpo umano
non influenza il valore assunto dalla concentrazione all’altezza di inalazione ye (figura 9).
Dall’analisi dei dati ottenuti da differenti
studi sperimentali, si è verificato che ηe può essere espresso con ragionevole accuratezza
come (Brohus e Nielsen, 1996)
(10)
Sostituendo questa espressione nella (9) ed esplicitando la concentrazione ce si
ottiene:
(11)
relazione che consente di valutare, noto il profilo verticale di distribuzione di
contaminante nel locale, la concentrazione nella zona di inalazione posta ad una altezza
ye.
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E’ comunque opportuno sottolineare che gli effetti prodotti dal campo termico del
corpo umano, tipicamente vantaggiosi per la qualità dell’aria respirata, possano essere
negativi qualora in ambiente siano presenti sorgenti inquinanti fredde, cioè sorgenti di
inquinante ma non termiche. In questo caso, infatti, la corrente ascensionale generata dal
corpo umano trasporta con sé verso l’alto il contaminate fino alla zona di inalazione,
determinando un peggioramento della qualità dell’aria.
Una dettagliata analisi dell’esposizione degli individui a sorgenti contaminanti in
locali ventilati è stata condotta da Brohus (1997).
4. LA DISTRIBUZIONE DI TEMPERATURA IN AMBIENTE
I sistemi a displacement ventilation utilizzano una efficace strategia di rimozione
dei carichi termici, in quanto l’estrazione dell’aria avviene ad altezze elevate,
tipicamente a livello del soffitto, dove la temperatura dell’aria può essere anche di diversi
gradi superiore rispetto a quella nella zona occupata.
Come si è detto, la presenza di un gradiente verticale di temperatura è una della
caratteristiche peculiari della ventilazione a dislocamento, dove l’aria fresca immessa a
quota pavimento si scalda via via fino all’altezza del soffitto.
Studi condotti da Nielsen (1996) hanno mostrato come il profilo del gradiente
verticale di temperatura si modifichi al variare della portata d’aria immessa e della
tipologia di sorgente termica nel locale. Comunque, emerge da tali studi come sia
ragionevole l’ipotesi semplificativa di calcolo basata sull’assunzione che la variazione di
temperatura tra pavimento e soffitto sia di tipo lineare (Nielsen, 1994). In particolare,
ponendo la temperatura del soffitto pari a quella dell’aria all’estrazione TR, l’equazione
che descrive la variazione della temperatura con l’altezza y è:
(12)
Per risolvere l’equazione (12) è necessario conoscere la temperatura dell’aria a
livello del pavimento Tf. Secondo il modello proposto da Skistad (1994), il valore di
“temperatura a pavimento normalizzata” è pari a 0.5, cioè:
(13)
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Ciò vuol dire che la temperatura dell’aria a pavimento assume tipicamente un
valore intermedio tra la temperatura di immissione To e quella di estrazione TR. Questa
regola, detta regola del 50%, viene comunemente applicata per la stima del profilo
verticale di temperatura in fase di progetto (figura 10).
Un metodo più preciso per la risoluzione della (12) consiste nella valutazione della
temperatura a pavimento in funzione sia del tipo di sorgente termica sia della portata,
come illustrato in figura 11 (Nielsen, 1996). In tale figura, la temperatura a pavimento
normalizzata è diagrammata in funzione della portata d’aria di ventilazione, espressa in
modo implicito attraverso il numero di Archimede Ar, parametro adimensionalizzato
definito come:
(14)
dove β, g e ∆To sono rispettivamente il coefficiente di espansione volumica, l’accelerazione gravitazionale e la differenza di temperatura dell’aria tra mandata e ripresa,
mentre H è l’altezza della stanza e la velocità uA è definita come:
(15)
·
essendo Vo la portata d’aria immessa e Af l’area del pavimento.
Quindi, note le condizioni di immissione dell’aria, le caratteristiche geometriche
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Displacement Ventilation: funzionamento e progetto
del locale ed il tipo di sorgente termica è possibile ricavare, mediante il diagramma di
figura 11, il valore di temperatura del pavimento da utilizzare nell’equazione (12).
Si è detto dell’efficace strategia di rimozione dei carichi termici da parte di un
sistema a displacement ventilation. Essa è quantificabile attraverso un indice, detto
“efficacia di temperatura” εT (temperature effectiveness), definito come (Nielsen, 1995):
(16)
Si può osservare come nel caso di sistemi a mixing ventilation questa indice valga
1, essendo Toc pari a TR, mentre nel caso di displacement ventilation l’efficacia di
temperatura assume valori maggiori di 1, essendo Toc<TR.
5. LA DISTRIBUZIONE DI VELOCITÀ DELL’ARIA NELLA ZONA
OCCUPATA
Nella displacement ventilation la portata d’aria di ventilazione è immessa
direttamente nella zona occupata. E’ quindi fondamentale assicurarsi che ciò non
provochi condizioni di discomfort locale per gli occupanti, causate da elevata velocità
e/o bassa temperatura dell’aria introdotta in ambiente.
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Per ridurre il manifestarsi di problemi di questo tipo, l’aria viene immessa
mediante diffusori a bassa velocità (low-velocity diffusers) ed a temperatura relativamente elevata. Appena entrata l’aria , più fredda di quella ambiente, tende a cadere
verso il basso per effetto della forza gravitazionale e a scorrere lungo il pavimento con
flusso stratificato (Skistad, 2002).
E’ quindi necessario individuare l’area di pavimento nella quale la velocità si
mantiene al di sopra della velocità limite ammissibile, tipicamente assunta pari a 0.2 m/s,
in modo da escludere la presenza di persone in questa zona. In particolare, si assume
come parametro caratteristico del diffusore la distanza di draft risk ln , che rappresenta
la distanza, misurata lungo l’asse del diffusore, alla quale la velocità dell’aria immessa
scende al di sotto di 0.2 m/s (figura 12).
Per ogni tipo di diffusore la distanza ln è funzione sia della portata di ventilazione
sia della differenza tra la temperatura dell’aria immessa e quella media della zona
occupata, usualmente misurata a 1.1 m di altezza.
Per questo motivo la documentazione allegata al diffusore impiegato dovrebbe
riportare almeno i parametri sopracitati, specificando il valore di ln per differenti portate
·
Vo e per almeno due valori di gradiente di temperatura, abitualmente pari a 3°C e 6°C.
La distribuzione di velocità nella zona occupata dipende dalla tipologia di diffusore
che si sceglie di utilizzare. Quelli comunemente adottati possono essere suddivisi in base
alla loro collocazione (posizione di montaggio) in tre grandi categorie:
• diffusori a parete
• diffusori a pavimento
• diffusori liberi
Una ulteriore suddivisone può essere operata in base forma del diffusore (rettangolare, circolare, etc.)
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Displacement Ventilation: funzionamento e progetto
In figura 13, sono presentate alcune tipologie di diffusori adottate nella
ventilazione a dislocamento. I diffusori piani montati a parete sono impiegati in
numerose applicazioni: l’aria fuoriesce a bassa velocità dai fori presenti sulla piastra
forata e si diffonde di fronte al diffusore.
I diffusori circolari a colonna possono essere montati sia a parete sia ad angolo che
libero. In questo caso l’aria di ventilazione si diffonde radialmente tutt’intorno al
diffusore, mentre nel caso di diffusore piano circolare a pavimento (swirl unit) l’aria è
introdotta in ambiente con moto “a mulinello”.
6. IL PROGETTO
L’obiettivo da perseguire nel progetto di un sistema a displacement ventilation è,
come d’altronde quello di un qualsiasi sistema di climatizzazione, quello di garantire
condizioni di benessere per le persone che soggiornano all’interno del locale. E’ quindi
necessario che il sistema sia in grado di rimuove i carichi termici e i contaminati dall’ambiente, mantenendo condizioni di comfort termoigrometrico e qualità dell’aria
soddisfacenti.
Displacement Ventilation: funzionamento e progetto
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Il progetto di un sistema a displacement ventilation si basa su un approccio
progettuale di tipo prestazionale, piuttosto che prescrizionale. In effetti i parametri di
progetto non sono fissati a priori da imposizioni di carattere normativo ma sono frutto di
un calcolo nel quale la condizione base da verificare è che la concentrazione di
contaminante nella zona occupata resti al di sotto del valore limite consentito.
·
Nel progetto, la portata d’aria di ventilazione Vo richiesta è il parametro principale
da valutare. Essa deve assicurare che
• l’altezza del piano neutro yst sia sufficientemente elevata (si tenga come riferimento
la “zona di inalazione” dell’individuo, considerando, eventualmente, anche l’
“efficacia di trasporto del corpo umano”)
• la concentrazione di inquinante nella zona occupata coc sia inferiore al valore
ammissibile
• i minimi valori di portata di rinnovo da immettere in ambiente siano rispettati
• il carico termico ambiente venga rimosso.
Più in generale, nel progetto di un sistema di ventilazione a dislocamento devono
·
essere definiti, oltre alla portata di ventilazione Vo, i seguenti parametri:
• l’altezza del piano neutro, yst
• il profilo verticale di concentrazione, c=c(y)
• il profilo verticale di temperatura, T=T(y)
• il distanza di draft risk, ln
In figura 14, è proposto il diagramma di flusso che descrive schematicamente i
passi da seguire nel progetto di un sistema a displacement ventilation.
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Displacement Ventilation: funzionamento e progetto
E’ interessante notare come un incremento della portata d’aria di ventilazione
permetta sia di elevare l’altezza del piano neutro sia di ridurre la concentrazione di
contaminante in ambiente sia di diminuire, a parità di carico termico rimosso, il ∆To
dell’aria tra mandata e ripresa, quindi di ridurre i rischi di discomfort legati al gradiente
Displacement Ventilation: funzionamento e progetto
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verticale di temperatura. Tuttavia, va ricordato che un incremento della portata d’aria
aumenta l’estensione della regione di draft risk.
E’ evidente quindi che il progetto di un sistema a displacement ventilation nasce da
·
un buon compromesso tra il valore della portata di ventilazione Vo ed il valore del
gradiente di temperatura ∆To, avendo pur sempre come obiettivo primario il
mantenimento dell’altezza del piano neutro a valori sufficientemente elevati.
Numerosi studi condotti (Alamdari, 1998; Brohus, 1998; Tan e al., 1998) hanno
mostrato come, al fine di evitare l’insorgere di problemi di discomfort, un sistema a
displacement ventilation può essere adottato per estrarre carichi termici non superiori a
50 W/m2, valore che può non essere sufficiente per garantire l’estrazione della totalità
del carico termico, soprattutto in locali ad uso ufficio dove sono presenti numerosi
carichi endogeni (persone, PC, stampanti, luci, etc).
In presenza di carichi termici più elevati, è necessario accoppiare i sistemi a displacement ventilation a sistemi integrativi di rimozione dei carichi termici. Una soluzione
recentemente studiata e applicata propone l’installazione in ambiente di controsoffitti
radianti freddi che, se da un lato estraggono una adeguata frazione del carico ambiente,
dall’altro riducono il gradiente verticale di temperatura (Corgnati, 2001 e 2002).
Adottando questa soluzione, il campo di applicazione della displacement ventilation può
estendersi fino a carichi termici dell’ordine di 100 W/m2 (Brohus, 1998).
Tuttavia, poiché il controsoffitto raffredda non solo per convezione l’aria ma anche
·
per radiazione le pareti laterali, si registra un aumento della portata discendente V2, che
produce un abbassamento dell’altezza del piano neutro yst. Quindi, in presenza di elevati
carichi termici, può manifestarsi un significativo ampliamento della zona a miscelazione,
cosicché il moto dell’aria nella zona occupata si trasforma da “prevalentemente stratificato”, caratteristico della displacement ventilation, a “prevalentemente miscelato”,
caratteristico della mixing ventilation (Niu e Kooi, 1994): per questo motivo, studi
condotti da Tan e al. (1998) suggeriscono che il controsoffitto non rimuova più del 50%
del carico totale.
Alcune applicazioni dei sistemi accoppiati “displacement ventilation + soffitto
freddo” si estendono anche a potenze termiche superiori, ma il risultato è un vasto
allargamento della zona a miscelazione: in questi casi, quindi, i benefici della
ventilazione a dislocamento si perdono (Brohus, 1998).
7. UN ESEMPIO DI CALCOLO
A titolo di esempio, si propone il calcolo di massima dei parametri progettuali di
un sistema a displacement ventilation per la climatizzazione della sala riunioni (LxWxH
= 5x4x2.7 m) rappresentata in figura 15, occupata da 4 persone, con 4 lampade ed un PC
e caratterizzata da un carico termico esogeno pari a 385 W.
Portata di ventilazione
Nel calcolo di progetto, adottando un approccio cautelativo, si può ritenere che
l’equazione (1) si riduca a:
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Displacement Ventilation: funzionamento e progetto
·
cioè che tutto il flusso convettivo prodotto dalle sorgenti termiche V1 debba essere
·
alimentato dall’aria di ventilazione Vo.
Si sceglie come altezza del piano neutro yst il valore consigliato per persone sedute,
pari a 1.1 m.
·
La portata V1 è, come rappresentato in figura 15, somma dei termini dovuti al
contributo delle 4 persone, ognuna delle quali produce una portata di circa 20 l/s a 1.1 m
di altezza (si veda figura 5), alle 4 lampade e al PC (rispettivamente 3.5 l/s e 18 l/s).
Si ha quindi:
=(20 l/s ⋅ 4) + (3.5 l/s ⋅ 4) + 18 l/s = 112 l/s
Dal calcolo effettuato emergono due
importanti considerazioni:
• la portata prodotta da un individuo a 1.1
m di altezza, pari a circa 20 l/s, è
superiore alla minima portata di ricambio
richiesta secondo UNI-10339 (11 l/s)
• è possibile, qualora lo si ritenga
necessario, adottare un’altezza del piano
neutro yst più bassa (che equivale a
portate inferiori) tenendo conto
dell’effetto di richiamo di aria fresca del
corpo umano attraverso l’indice ηe.
Concentrazione di contaminante
Nel locale in esame si può assumere che la principale fonte di contaminante sia
rappresentata da bioeffluenti umani, per i quali si può adottare come indicatore la
concentrazione di anidride carbonica. Considerando per una persona in attività
sedentaria una emissione di CO2 pari a 0.006 l/s, applicando l’equazione (4) risulta
La norma ASHRAE Standard 62/99R stabilisce, nell’approccio prestazionale
(indoor air quality procedure), un limite massimo di concentrazione di CO2, int nell’ambiente interno in termini di differenza rispetto alla concentrazione di CO2, est nell’ambiente esterno:
dove la concentrazione esterna è considerata compresa tra 300 e 500 ppm.
Prendendo come CO2,int il valore misurato nella zona occupata, esso è pari a circa
Displacement Ventilation: funzionamento e progetto
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il 30% di cR (regola del 30%). Quindi assumendo una concentrazione media nell’ambiente esterno di 400 ppm, risulta:
Tale risultato evidenzia che il limite di concentrazione di inquinante è ampiamente
soddisfatto.
Carichi termici
Gli apporti termici sono riportati in figura 15. Considerando l’effetto di
attenuazione dovuto all’azione capacitiva degli elementi strutturali (assunto pari al 30%),
il carico termico da estrarre è pari a:
da cui
Applicando la regola del 50%, il gradiente verticale di temperatura tra pavimento
e soffitto risulta essere pari a 2.5°C, corrispondente a 0.93°C/m essendo l’altezza del
locale uguale a 2.7 m. Il valore così ottenuto rispetta il limite assunto di 2°C/m.
8. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Stockholm, 1998
Bo, M., Filippi, M., La distribuzione dell’aria in ambiente: ipotesi di classificazione dei dispositivi a getto, CDA, Novembre, 1991
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Thesis, Aalborg University, 1997
Brohus, H., Influence of a Cooled Ceiling on Indoor Air Quality in a Displacement
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Vol. 1, Stockholm, 1998
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U9306, Aalborg University, 1994
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Aalborg University, 1995
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Ventilation, Roomvent2000, Vol. 2, Reading (UK), 2000
9. SIMBOLOGIA
Ar
c
H
ln
q· c
T
u, v
·
V
yst
Φ
ε, η
ρ
Numero di Archimede
concentrazione
Altezza del locale
Distanza di draft risk
Portata di contaminante
Temperatura
Velocità
Portata volumica d’aria
Altezza del piano neutro (o altezza della zona a flusso stratificato)
Potenza termica
Efficacia (effectiveness)
densità
Pedici
e
riferito alle condizioni di inalazione
f
riferito alle condizioni a livello del pavimento
o
riferito alle condizioni di immissione
oc riferito alle condizioni nella zona occupata
P
riferito alle condizioni nel punto P
R
riferito alle condizioni di estrazione
[-]
[ppm o kg/kg]
[m]
[m]
[kg/s]
[°C]
[m/s]
[m3/s]
[m]
[W]
[-]
[kg/m3]
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mercoledì 10 gennaio 2001 9.41
Tempo Medico - News
STORICI E MATEMATICI CONCORDANO: PRESTO COMPARIRA' LA NUOVA
SPAGNOLA
Nell'attesa della prossima pandemia
Box: Cronistoria di un secolo
Box: Carta d'identità del virus
Un nuovo farmaco contro l'influenza (in codice GS 4104) è stato annunciato nel corso
di una conferenza stampa da alcuni ricercatori di una piccola azienda biotecnologica
della California. Sperimentato per ora solo su animali (che sono rapidamente guariti
dalla febbre e dagli altri sintomi), il composto agisce bloccando l'enzima neuraminidasi
a livello di una regione che è quasi identica per i diversi sottotipi di virus. La scoperta
potrebbe rivelarsi molto importante nei prossimi anni, in uno dei quali dovrebbe
presentarsi, secondo la previsione di molti epidemiologi, una nuova pandemia
influenzale analoga alla Spagnola del 1918, come insegna l'esperienza del dottor Wang.
Due estati fa Wang sentì dire che il prezzo delle uova era aumentato, perché in certe
zone della Cina molti polli si erano ammalati. Niente di grave; i polli guarirono e i
prezzi tornarono rapidamente alla norma. Nessuno si preoccupò molto della vicenda,
eccetto il dottor Wang. Il quale comprò alcuni polli malati e li studiò, fino ad accertare
la causa della malattia: influenza da virus A, sottotipo H9. L'episodio è un esempio
dell'attività svolta da un folto gruppo di osservatori epidemiologici sparsi in tutto il
mondo e coordinati dall'Organizzazione mondiale della sanità. Il gruppo è stato
costituito per segnalare l'eventuale insorgenza di una nuova pandemia di influenza. Se
l'OMS viene messa in allarme con sufficiente anticipo, può far partire la produzione di
un vaccino adatto, da impiegare prima che la pandemia si diffonda. Con un po' di
fortuna, si potrebbero salvare milioni di vite umane. Un pericolo che per quest'anno è
stato scampato, ancora una volta. L'epidemia, infatti, non sembra delle più terribili. Il
virus che ne è responsabile appartiene al tipo A/H3N2. E' una vecchia conoscenza,
quindi molte persone sono già immunizzate nei suoi confronti. Inoltre, è imparentato
con il ceppo scelto per produrre il vaccino antinfluenzale, il che significa che tutti
coloro che si sono vaccinati possono stare tranquilli: al massimo, contrarranno solo una
forma molto attenuata della malattia. Sul pianeta vivono, oltre agli uomini, molti
miliardi di virus A dell'influenza. Di essi si sa abbastanza poco. E' stato ipotizzato che
possano far danno all'uomo solo quando fa freddo; nelle altre stagioni se ne starebbero
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tranquilli all'interno di portatori sani assai poco contagiosi. Numerosi dati di fatto, però,
contrastano con questa ipotesi, che attualmente è screditata. Probabilmente, i virus
vivono in Oriente, dove passano nascosti e silenziosi più di metà di ogni anno. Ospiti
dell'organismo, sembra, di varie specie di uccelli acquatici. Questi uccelli trascorrono
molti mesi ogni anno su certe isole al largo della Cina, ovvero in zone appartate e
paludose della Cina meridionale. Al momento giusto, però, migrano sulle coste della
Cina sudorientale, in regioni densamente popolate. Qui giunti, gli uccelli acquatici
disperdono con le feci i virus, che contagiano vari altri uccelli colà residenti, inclusi le
anatre di allevamento, i polli, e i maiali. Questi ultimi passano l'infezione agli allevatori,
e questi ai commercianti, ai turisti e così via. Gli influenzati, contagiosissimi, nel
volgere di qualche mese spargono i virus per il mondo. Come tutti i virus, anche quelli
dell'influenza sono costituiti da varie componenti, due delle quali sono di somma
importanza agli occhi degli uomini, le glicoproteine H e N (emoagglutinina e
neuraminidasi). La proteina H forma "punte" che sporgono sulla superficie del virus, le
quali hanno affinità per taluni recettori situati sulla membrana che circonda le cellule
dell'uomo (e di vari animali). I virus, quindi, una volta entrati nelle vie respiratorie, si
fissano mediante le emoagglutinine alle cellule, penetrano in esse, e qui si moltiplicano.
Le proteine N collaborano attivamente nel determinare la malattia. Non è eccezionale
che durante la replicazione i geni di un virus-padre si trasmettano ai virus-figli con
qualche mutamento. Se i cambiamenti sono piccoli, i virus-figli possiedono proteine H
(o N) molto simili a quelle del virus-padre. Se i mutamenti sono importanti, anche le
proteine sono notevolmente variate. In questo caso gli scienziati dicono che i virus-figli
appartengono a un sottotipo diverso. In effetti, gli scienziati hanno riscontrato negli
uccelli e in altri animali un discreto numero di sottotipi, che hanno designato con
numeri. In tutto, hanno rilevato l'esistenza di virus dell'influenza A con 15 sottotipi di
proteine H, ovvero con 9 sottotipi di N. La maggior parte dei sottotipi è stata isolata
solo nel corpo di animali diversi dall'uomo: per esempio virus del sottotipo H7 sono
stati notati in vari uccelli, nei cavalli e nelle foche. Spesso le proteine H di questi
particolari virus si agganciano male alle cellule umane; i relativi virus, quindi, non sono
capaci di indurre nell'uomo alcuna malattia. Fino a ora si sono dimostrati capaci di
scatenare epidemie di influenza solo virus dei sottotipi H1, H2 e H3, sempre combinate
con N1 o N2. Negli ultimi anni, in particolare, tutti i casi di influenza umana studiati
sono stati prodotti da due soli sottotipi, l'H3N2 e l'H1N1, con cui la maggioranza della
popolazione mondiale ha già avuto contatti. Per questa ragione, quasi tutti gli uomini e
le donne possiedono anticorpi neutralizzanti, capaci di bloccare la funzione delle due
proteine che condizionano l'attività patogena del virus. Ecco perché anche quest'anno
l'influenza non sta assumendo contorni drammatici.
I virus sono capaci di infettare molta gente, ma la malattia che si sviluppa in ciascun
individuo è attenuata, non grave. L'esperienza insegna che, nei casi peggiori, si ammala
il 10-20 per cento della popolazione, con una mortalità extra, rispetto agli anni buoni, di
10.000-20.000 persone negli Stati Uniti (ragionevolmente: tra 2.000 e 5.000 in Italia).
Le prospettive sarebbero state assai differenti se, invece, si fosse verificata una
mutazione importante. Dicono gli esperti: "Gli uccelli acquatici dell'estremo Oriente
ospitano molto spesso, contemporaneamente in una medesima cellula, più sottotipi di
virus. Quando questi si riproducono, può capitare che il virus di un sottotipo scambi
qualche pezzetto di RNA con un collega appartenente a un sottotipo diverso. In tal caso
nascono virus nuovi, differenti dai propri genitori. Virus che, ovviamente, producono
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proteine H (o N) altrettanto nuove".
I virus nuovi, responsabili delle pandemie, originano probabilmente dalla ricombinazione genetica tra un
ceppo umano e un ceppo animale. Il contenitore ideale per questo shake è il maiale. Per esempio, dalla
combinazione presentata nel disegno possono nascere altre 251 varianti oltre a quelle raffigurate.
Fra i molti virus nuovi che possono nascere, capita (qui impera la legge del caso) che
qualcuno abbia le proprietà che lo rendono adatto a infettare varie specie di animali. Se
le ha si diffonde. E se è in grado di infettare l'uomo, può provocare una pandemia.
Essendo il virus largamente nuovo, infatti, nessun individuo possiede anticorpi capaci
di bloccarlo. "Nel 1957" dicono le cronache "si è messo a letto con l'influenza più del
50 per cento della popolazione mondiale; mentre un altro 25 per cento si è ammalato
più lievemente, in maniera subclinica". Si tratta poi di vedere, aggiungono gli
specialisti, quanto il virus nuovo è aggressivo: il ceppo H1N1 che causò la pandemia di
influenza spagnola del 1918-1919, provocò dai 10 ai 20 milioni di morti. Le pandemie
successive furono assai meno esiziali, ma questo non basta a placare l'ansia dell'OMS.
Ansia che è alimentata dagli storici e dai matematici. Gli storici segnalano la comparsa
di virus fortemente mutati ogni 10-15 anni. E rilevano che i due sottotipi responsabili di
tutti gli episodi di influenza umana registrati negli ultimi anni stanno girando ormai da
molto tempo: l'H3N2 è in circolazione da 29 anni e l'H1N1 da 20. I matematici fanno
notare che, nei grandi numeri, anche gli eventi casuali si riproducono con regolarità; e
quindi che l'evento "nascita di un ceppo nuovo capace di attaccare animali e uomo" può
avverarsi in qualunque momento; anzi, è probabile che si avveri presto. Il nuovo
arrivato, approfittando del fatto che nessuno è dotato di anticorpi capaci di combatterlo,
infetterà rapidamente gli animali suscettibili, con ogni probabilità soppiantando i vecchi
virus. L'OMS non sta con le mani in mano. Ha istituito più di cento laboratori nazionali,
in stretto contatto con i Centri specializzati di Atlanta, Londra e Melbourne. Ha,
soprattutto, potenziato il Centro nazionale per l'influenza di Pechino, in Cina. Dato che
è in questa zona che sono iniziate tutte le ultime epidemie, Pechino è considerato un
avamposto.
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Massimo Obbiassi
Cronistoria di un secolo
anni
1889-1890
1900-1903
1918-1919
1933-1935
1946-1947
1957-1958
1968-1969
1977-1978
sottotipi*
H2N8
H3N8
H1N1 (spagnola)
H1N1 (variante)
H1N1 (variante)
H2N2 (asiatica)
H3N2 (cinese)
H1N1 (variante)
caratteri dell'epidemia
pandemia grave
epidemia moderata
pandemia grave
epidemia leggera
epidemia leggera
pandemia grave
pandemia moderata
pandemia leggera
*Alcuni dati remoti derivano dall'esame degli anticorpi di uomini molto anziani.
Carta d'identità del virus
L'origine
del nome
Il
biglietto
da visita
I parenti
del virus
Il costo
Deriva dalla convinzione che le epidemie derivassero da un influsso astrale sfavorevole
(ab occulta coeli influentia)
I singoli ceppi vengono designati a seconda del luogo di origine, del numero e anno di
isolamento, del sottotipo. Per esempio: A/Victoria/3/79/H3N2
Il virus dell'influenza B, che è responsabile di epidemie limitate, determina una forma
clinica meno grave. Il virus C è raro, probabilmente dà manifestazioni subcliniche
Negli anni sessanta si ebbero negli USA tre epidemie maggiori, costate ciascuna da 1,5
a 3,5 miliardi di dollari. Si prevede che, oggi, un'epidemia costerebbe molto di più
© 1997 Tempo Medico (n. 548 del 12 febbraio 1997)
Approfondimenti in internet
Annals of Internal Medicine
La rivista dell'American College of Physicians ha messo in rete un articolo sulla futura
pandemia influenzale. Titolo: Preparing for the next Influenza pandemic: a reemerging
infection.
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Sentiweb
E' il sito sentinella dell'INSERM francese che, sulla base delle segnalazioni dei medici
di base, descrive l'andamento sul territorio delle epidemie, e in primo luogo
dell'influenza.
Centers for Diseases Control di Atlanta
I CDC di Atlanta, sempre aggiornati in fatto di malattie infettive, forniscono una serie
di informazioni relative all'influenza: la storia naturale, le caratteristiche cliniche, il
vaccino, la terapia, eccetera.
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