2 -2015 Evoluzione dei modelli produttivi

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2 -2015 Evoluzione dei modelli produttivi
Evoluzione dei modelli produttivi
Nella storia della laboriosità del genere umano, la bottega artigiana ha costituito il nucleo
originario, in cui si pensa e si costruisce un bene da offrire in un mercato di scambio: l’artigiano è
garante in prima persona della qualità del suo prodotto, in quanto unico e profondo conoscitore
del metodo per progettarlo e costruirlo. Il modo artigianale di costruire beni mantiene tuttora la
caratteristica di privilegiare la qualità alla quantità: il target dell’artigiano è oggi generalmente
costituito da un pubblico elitario e ristretto, che considera il valore e l’originalità dell’oggetto più
del prezzo. Gli strumenti utilizzati fino al XVIII secolo erano semplici, pur essendo geniali: solo nei
primi del Settecento sono messe a punto le tecnologie che permetteranno lo sviluppo della
metallurgia del ferro e la diffusione della macchina a vapore. L’Ottocento infatti vede la nascita
delle tecnologie moderne alla base della rivoluzione industriale, caratterizzata dalle prime
macchine utensili, talvolta semoventi, e dallo spostamento dell’interesse del produttori dalla
dimensione qualitativa verso quella quantitativa. Il sistema industriale risponde infatti alla
necessità di soddisfare la domanda di beni di un maggior numero possibile di persone. Ai primi del
novecento, negli Stati Uniti d’America la crescente ricchezza e la conseguente richiesta di beni di
consumo primari o voluttuari permettono alle aziende di introdurre sul mercato un gran numero
di prodotti caratterizzati da prezzo competitivo e facile reperibilità, realizzando la cosiddetta
produzione di massa. Fra tutti i settori, quello automobilistico si distingue per il grande quanto
rapido sviluppo e rappresenta un esempio emblematico della risposta industriale ad una
situazione di mercato emergente; situazione che si osserva nei paesi in periodi di forte crescita
sociale ed economica, come quella americana e, nel dopoguerra, quella italiana degli anni
Sessanta del boom economico. Nel Nuovo Mondo appunto, con l’avvento della produzione di
massa, l’organizzazione razionale del lavoro ha rappresentato, al momento della sua applicazione,
un notevole salto di qualità dell’attività industriale, in quanto basata su una analisi del processo
lavorativo estremamente rigorosa e su di un modello di funzionamento adatto alle risorse e alla
cultura industriale ed alle necessità del mercato del tempo.
Modello americano
Grazie all’opera di Frederick W. Taylor, nello studio di tempi e movimenti durante le fasi di
trasformazione, e di Henry Fayol, per quanto riguarda la struttura organizzativa, negli anni Trenta
vengono teorizzati modelli organizzativi ed introdotte innovazioni tecnologiche che portano ad
una razionalizzazione della produzione industriale, con l’introduzione di raffinati metodi di
meccanizzazione e parcellizzazione del lavoro. Produzioni di massa caratterizzate da grandi volumi,
standardizzazione spinta, indifferenziazione del fattore lavoro, queste sono state le basi
concettuali e pragmatiche dei modelli organizzativi di Taylor e Fayol, concretizzati nel “Fordismo”,
cioè nella loro applicazione pratica nelle fabbriche automobilistiche Ford nel Nord America.
L’immagine data da Charlie Chaplin nel film “Tempi moderni” è radicata nella memoria dell’uomo
come esempio emblematico, pur nella sua interpretazione artistica ed ironica, della difficile
situazione ambientale del mondo del lavoro in quegli anni.
In conseguenza di ciò, nel dopoguerra nascono e si sviluppano nuove teorie che hanno come fine
la valorizzazione della componente sociale del lavoro: la società vive importanti momenti evolutivi,
che sfoceranno nei moti studenteschi del Sessantotto ed nelle “lotte di classe” degli anni Settanta.
La struttura tecnica ed organizzativa della fabbrica segue lo sviluppo tecnologico, adeguandosi al
variare delle situazioni sociali esterne: sicuramente l’introduzione dell’automazione costituisce
una svolta del modo di concepire l’attività produttiva.
Nel giro di pochi anni, in fabbrica compaiono le prime unità operatrici automatiche, poi i robot e
l’elettronica di controllo dei processi: la macchina esegue il lavoro fisico ed allo stesso tempo
fornisce i parametri di controllo delle eventuali derive di processo rispetto agli standard prefissati.
Dal punto di vista organizzativo, l’innovazione tecnologica, il cui sviluppo rapidissimo è dovuto
all’avvento dell’elettronica, porta inevitabilmente ad una rarefazione della catena gerarchica
tradizionale delegata al controllo e pone i presupposti per altri e più profondi mutamenti
strutturali. La crisi del modello tayloristico si manifesta proprio con la scarsa reattività dei
produttori ai cambiamenti improvvisi del mercato, a causa di inerzie aziendali dovute a processi
decisionali lenti, caratterizzati da una scissione netta fra chi decide e chi esegue; il risultato che ne
deriva porta a fornire prodotti e servizi inadeguati rispetto alla richiesta di qualità sempre
crescente. Ecco che, dopo circa novanta anni dalla sua introduzione, il modello tradizionale
dell’organizzazione in fabbrica si dimostra improvvisamente inadeguato a reggere i nuovi scenari
di business e le dinamiche sociali e culturali di fine XX secolo. La conseguente revisione delle
strutture organizzative porta a delineare nuove figure professionali, con ruoli operativi rivisti in
funzione delle mutate condizioni di lavoro: al capo gerarchico si affiancano, con pari valenza,
figure specialistiche nel governo dei processi e si incomincia ad aver coscienza che l’azienda vive
come un organismo ed ogni suo organo è fondamentale per la sua crescita. Il salto epocale e
qualitativo del modo di lavorare deriva dal riconoscimento della condizione di discrezionalità
dell’operaio, che non si limita ad eseguire, ma anzi è chiamato a intervenire in modo attivo nel
governo del processo. L’operatore si evolve in conduttore di sistemi complessi ed è
responsabilizzato sul controllo delle derive qualitative del processo ed alla prevenzione dei guasti
e dei difetti.
Modello giapponese
Negli anni Cinquanta e Sessanta prende corpo il modello di produzione giapponese, espresso
appunto con lo schema e le regole della produzione snella, che, in estrema sintesi, potremmo
identificare come quello in grado di produrre con facilità e flessibilità un prodotto di massa,
secondo le logiche della produzione artigianale. Il sistema di produzione giapponese, nato e
sviluppato negli anni sessanta nelle fabbriche Toyota, parte dal modello americano di produzione
di massa, ma, invece che produrre grandi lotti di prodotto con necessità di scorte notevoli, punta
sui piccoli lotti: in questo modo produce scorte minime e reagisce in tempi rapidi alla mutazione
delle richieste di mercato. Uno studio condotto dal MIT (Massachussets Institute of Technology) di
Boston, alla fine degli anni Ottanta, mise in evidenza come le industrie automobilistiche
giapponesi riuscissero a produrre con minori spese rispetto alle concorrenti americane ed
europee. Lo studio inoltre dimostrò che il successo dell’industria giapponese era stato possibile
grazie ad un nuovo sistema di concepire i processi aziendali, definito appunto “Lean”, cioè snello.
Il principio “Lean thinking” (pensiero snello), finalizzato alla caccia ed alla eliminazione degli
sprechi che rallentano i processi aziendali, aumentandone i costi sia diretti che indotti, è applicato
alla gestione della produzione, per nasce il termine “Lean production”. Dal termine in lingua
inglese derivano poi quelli usati in letteratura tecnica e nel gergo delle aziende italiane, quali
“produzione snella” e “fabbrica snella”. In modo molto sintetico, ma significativo, è possibile
affermare che la principale novità del sistema di produzione snella consiste nel coinvolgimento di
tutto il personale nell’attività di produzione e manutenzione degli impianti. Il sistema di gestione
aziendale moderno si struttura per essere in grado di ridurre tutti i possibili sprechi e tendere
costantemente all’obiettivo di fornire un prodotto in grado di soddisfare le aspettative del cliente.
La scelta della struttura gerarchica deve permettere di spostare il potere decisionale al livello più
basso possibile: per riuscirci bisogna però fornire agli operativi gli strumenti idonei per poter
progettare ed attuare le decisioni. Per poter ottenere il risultato del pieno ed effettivo
coinvolgimento delle risorse umane è necessario modificare la struttura organizzativa ed i livelli di
responsabilità dei vari livelli gerarchici, adottando nuove metodologie e procedure operative.
Anche dal punto di vista tecnologico e metodologico si assiste all’avvento di strumenti nuovi come
i sistemi gestionali informatici, l’automazione dei cicli di produzione programmabili ed adattabili ai
diversi lotti attraverso i quali si concretizza la possibilità di rendere flessibile la produzione e
ridurre i costi di produzione .
Lean Production
I comportamenti legati al modello gerarchico-funzionale di origine tayloristica prevedono un flusso
verticale dei problemi operativi e delle fasi decisionali, che si sviluppano lungo la gerarchia
dell’organizzazione, rigidamente strutturata per funzioni. Nella fabbrica tradizionale viene
privilegiata la logica funzionale, per cui ogni reparto od ufficio tende a raggiungere il massimo dei
propri obiettivi, dando per implicita l’ottimizzazione degli obiettivi generali dell’azienda.
L’esperienza di molti gruppi industriali, specialmente quelli di grandi dimensioni, ha ampiamente
dimostrato che questa situazione è difficilmente realizzabile: risultati apprezzabili si ottengono
solo a costo di complesse e faticose opere di mediazione, ma nella maggior parte dei casi la stessa
struttura gerarchica tende per sua natura a nascondere le inefficienze del sistema. Infatti, nella
scala meritocratica di valutazione dei risultati di un responsabile di funzione, il raggiungimento
dell’obiettivo dell’ente o del reparto assegnato ha sempre una valenza maggiore rispetto a quello
globale aziendale: pertanto, anche in caso di risultati generali non positivi, sarà comunque
premiante per un manager il raggiungimento degli obiettivi particolari rispetto a quelli generali
prefissati, ottenuti magari a discapito di altre funzioni aziendali. La rappresentazione grafica della
struttura tradizionali assume un aspetto ramificato e distribuito su molti livelli gerarchici.
Nell’ambito produttivo, ancor oggi si riscontrano (ma sono in calo) situazioni di competizione e
contrapposizione fra produzione e manutenzione, con la prima interessata a produrre ad ogni
costo e l’altra costretta a rincorrere guasti sempre più frequenti ed onerosi: è un circolo vizioso
che porta a conseguenze pesanti per i costi diretti e indiretti derivanti, non più accettabili
specialmente per aziende che operino in mercati altamente competitivi. L’avvento della Lean
Production rappresenta un vero e proprio salto di qualità nel governo dei sistemi produttivi: la
traduzione organizzativa del principio della produzione snella è nella abolizione delle funzioni
concorrenti. In fabbrica chi produce ha anche la responsabilità di mantenere efficienti i mezzi
dedicati alla produzione: in questo modo al responsabile della fabbrica snella riferiscono sia i
reparti produttivi sia la manutenzione, che avranno quindi gli stessi obiettivi di qualità,
produttività e livello di servizio. Nella fabbrica snella l’attenzione viene rivolta ai processi: struttura
organizzativa, disposizione degli impianti e responsabilità del personale si adeguano alla nuova
mappa, sia logica che fisica, dei processi produttivi identificati all’interno di una sito produttivo.
Tale situazione porta il vantaggio di annullare gli interessi partigiani delle singole funzioni, in
quanto queste concorrono alla realizzazione del prodotto con stessi obiettivi, seppure con diverse
competenze. La logica del nuovo modello organizzativo permette di rendere più semplici sistemi
produttivi complessi, puntando sulla mobilitazione di tutti e nell’abolizione della tradizionale
distinzione fra chi pensa e chi esegue, con il conseguente spreco di intelligenza. I problemi devono
essere risolti là dove si generano e dalle persone che, avendoli scoperti ed evidenziati, hanno pure
le competenze per risolverli. Infatti le persone interessate alla fabbricazione di un prodotto, siano
operativi di produzione oppure tecnici, lavorano in prossimità del luogo ove il prodotto si genera,
così come tutte le attrezzature necessarie alla sua realizzazione sono dislocate nelle immediate
vicinanze. Termini come coinvolgimento, motivazione e delega decisionale ed operativa prendono
valore e diventano capisaldi gestionali del nuovo modello. L’organizzazione si preoccupa che le
idee propositive vengano raccolte e che le persone siano stimolate a partecipare alle attività di
miglioramento. Nella struttura di produzione snella le funzioni mettono direttamente a
disposizione del processo di fabbricazione le loro risorse, delegandole alla prevenzione e soluzione
dei problemi e alla gestione del flusso produttivo. Tale delega viene esercitata attraverso l’attività
di piccoli gruppi di lavoro, coordinati da figure aventi il compito preciso di facilitare lo scambio di
informazioni e competenze all’interno di esso, stimolando la collaborazione delle persone
partecipanti, indipendentemente da livelli gerarchici e funzioni rappresentati. La delega
decisionale permette di lavorare con un gruppo ridotto di livelli gerarchici, solo quelli che
rispondono ad una effettiva esigenza di gestione. Ne consegue un reale allargamento delle aree di
responsabilità dei partecipanti ed un arricchimento di contenuti professionali. La fabbrica snella è
la risposta in termini di struttura operativa al nuovo modello produttivo; essa è rappresentata da
un organismo costituito da varie piccole unità produttive, dette anche mini fabbriche, in cui si
ritrovano applicati i principi organizzativi e le linee guida della produzione snella, riassumibili in:
•
coinvolgimento del personale;
•
creazione di gruppi di lavoro multifunzionali;
•
identificazione ed eliminazione degli sprechi;
•
adozione delle tecniche giapponesi di gestione della produzione;
•
adozione del miglioramento continuo.
La mini fabbrica costituisce perciò la cellula organizzativa di base della fabbrica snella, capace di
presidiare gli obiettivi di qualità, servizio e costi di un segmento produttivo ed ha le caratteristiche
di una fabbrica in miniatura. In essa si governano i fattori fondamentali della produzione:
•
prodotto/processo (quantità e qualità);
•
mezzi tecnologici di produzione (manutenzione);
•
risorse umane (addestramento);
•
flusso dei materiali prodotti, movimentati, immagazzinati (logistica);
•
costi di trasformazione legati a macchine e tipologie di prodotto;
•
sicurezza e ambiente.
Quali sono gli elementi che caratterizzano ed identificano una mini fabbrica?
•
Innanzi tutto essa coincide con un processo, in cui sono definite le specifiche di scambio
(input-output) con i fornitori a monte ed i clienti a valle (le altre mini fabbriche).
•
Per essa è definito e misurabile il valore aggiunto attraverso indicatori prestazionali, detti
KPI (Key Performance Indicator), attraverso i quali la mini fabbrica misura, valuta e governa
le proprie prestazioni nei confronti dei clienti a valle.
•
Generalmente la mini fabbrica è caratterizzata da omogeneità tecnologica, utile per
facilitarne l’autonomia nella sua gestione tecnica.
•
Infine, ha dimensioni gestibili a vista dal suo responsabile.
La mini fabbrica riproduce in piccolo i principi visti per il modello della fabbrica snella. Il concetto
di unità produttiva elementare è stato interpretato in modo differente a seconda delle realtà in cui
se ne è applicato il modello. In generale però la mini fabbrica deve essere un’entità di piccole
dimensioni, semplice da gestire, compatta e ben definita in termini di prodotti e processi, organico
e disposizione degli impianti.
Conclusioni
Lo scenario in cui operano i settori industriali ha visto aumentare in modo rapido la complessità
delle relazioni fra le variabili in gioco, soprattutto a causa degli andamenti altalenanti delle
principali economie, caratterizzate da crescente esasperazione della competitività e conseguente
nervosismo. La globalizzazione degli effetti di eventi, purtroppo e spesso tragici, segnano in modo
pesante la vita della gente comune e ne condizionano reazioni e progetti per il futuro. I mercati
subiscono forti oscillazioni della domanda. In situazioni di estrema variabilità è molto difficile
prevedere il futuro anche immediato: nel contempo il mercato rimane sempre più selettivo, con
maggiori aspettative sulla qualità del prodotto e del servizio reso ed ancor più sul rapporto
qualità/prezzo di vendita. Il consumatore diventa a pieno titolo il vero padrone del mercato: ne
determina la quantità e la qualità, spingendo il produttore ad una risposta caratterizzata da una
forte innovazione progettuale e tecnologica, dal miglioramento del servizio al cliente e dalla
riduzione del prezzo di vendita. Il modello di produzione giapponese è ormai riconosciuto come
quello in grado di produrre con facilità e flessibilità un prodotto di massa, con le caratteristiche
qualitative della buona produzione artigianale.