ultimo saluto a bevilacqua
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ultimo saluto a bevilacqua
- L'ULTIMO SALUTO A BEVILACQUA - FAMOSO GRAZIE AL PO, AI SUOI AMORI E ALL'EROS - MISE ALLA BERLINA I VIZI E I SEGRETI DELL'ITALIA - Da Parma Cataldo Greco Alberto Bevilacqua, scrittore, poeta, giornalista, sceneggiatore e regista; testimone attento del dopoguerra, ha cessato di vivere presso la "Clinica Mafalda" a Roma, provocando un grande scalpore e accuse, tra aspre polemiche legate a contrasti familiari nonché relative ai diritti civili delle coppie di fatto. Sullo sfondo, come spesso accade, è facile cogliere una questione anche economica per l'ingente patrimonio dello scrittore parmense. Bevilacqua era divorziato e senza figli. La sorella Anna, sua legittima erede, è in aperto contrasto su tutti i passaggi nodali della vicenda con la convivente del fratello Alberto, l'attrice e scrittrice Michela Macaluso, che il pubblico di mezza età probabilmente ricorderà col suo nom de plume, Michela Miti, la stellina che rallegrava le serate di libera uscita dei nostri militari, quando il servizio di leva era obbligatorio. Passare dalla trilogia cinematografica, si ricorderà, datata 1982 ("W la foca", "Vieni avanti cretino", "Pierino colpisce ancora"), agli Oscar Mondadori con i volumi di poesia: "Alchimia Celeste", 2001 e 1 IL FARO - Periodico del Centro Studi "Pier Giorgio Frassati" - Cariati (Cs) - LA SUA SCOMPARSA TRA ASPRE POLEMICHE E QUERELE FAMILIARI - TROVERÀ PACE NELLA SUA PARMA - 2 IL FARO - Periodico del Centro Studi "Pier Giorgio Frassati" - Cariati (Cs) "L'innocenza perduta", 2011, conferma da una parte l'indiscutibile versatilità della Signora Macaluso - Miti, ma testimonia anche che un grande amore, come sicuramente è stato quello tra lei e Bevilacqua, può riuscire a imprimere sorprendentemente colpi d'ala all'ineluttabile. Scomparsa dalla scena cinematografica, come è capitato a parecchie meteore in campo artistico, l'attrice conobbe Alberto Bevilacqua nel 1999, sul set di "Gialloparma", pellicola stroncata impietosamente dalla critica, diretta dallo stesso scrittore-regista e tratta dall'omonimo bestseller pubblicato per Mondadori. È l'opera della svolta artistica di Michela Miti, dopo dodici film, otto dei quali tra il 1981 e il 1983, perché poi non ne ha fatti più. Nella clinica romana, lo scrittore, nato a Parma il 27 giugno 1934, deceduto per arresto cardiocircolatorio la mattina di lunedì 9 settembre, all'età di 79 anni, si trovava li dall' 11 ottobre e da mesi era in stato di incoscienza. Era un ricovero per qualche accertamento (vi era entrato con le sue gambe) ma aveva preso la forma di una lunga degenza. La sua compagna Michela ha chiesto un'autopsia, malgrado l'opposizione della sorella Anna, contrarissima, ma è subito arrivato il parere favorevole da parte della Procura di Roma. Si sapeva che, negli ultimi tempi, la salute di Bevilacqua aveva fatto discutere parecchio: gli avvocati della Macaluso non avevano esitato a dire "azzardando la parola" «prigionia» e rivelato di una retta "stellare" (3000 euro al mese), dell'assenza di cure appropriate e chiesto il trasferimento in altra clinica, in un ospedale pubblico. La coppia, legata da oltre dieci anni, non era sposata, e la Macaluso, che legalmente non poteva pretendere il trasferimento, ha comunque ottenuto l'apertura di un'inchiesta per lesioni colpose, che ha dato via all'indagine, ora diventata omicidio colposo. La Procura dirà: "Atto dovuto", mentre la sorella Anna non ha mai nascosto la sua stima verso i medici che lo hanno curato, «Meravigliosi, lo hanno trattato con affetto. E Alberto voleva stare in clinica perché voleva vivere». La clinica privata "Mafalda", é una delle più costose della Capitale (la fattura per le cure e la degenza dello scrittore supera i due milioni di euro), finita, come era prevedibile, nell'indagine del PM Elena Neri. La Villa "Mafalda" e il suo Presidente Paolo Barillari incassano il sostegno della famiglia. Si difendono sventolando la relazione di consulenza clinica che il giudice tutelare ha affidato a tre medici militari, i quali hanno accertato che il paziente Bevilacqua «era adeguatamente assistito». Se ne va così uno dei narratori di maggior successo dal nostro dopoguerra: "un autore sanguigno e visionario" che traeva dalla terra natale, Parma e il Po, e dagli amori vissuti, la linfa vitale delle sue Opere. Opere che Bevilacqua preferiva chiamare «narrazioni» e non «romanzi», spiegando così Inferno. È stato la mia ispirazione, il mio rifugio, il mio asilo». Questa matrice di acqua e di terra si riconosce comune con certi autori latinoamericani, in special modo con il suo amico Garcia Marquez. Un'altra costante è l'eros, che Bevilacqua attribuisce all'aver vissuto a lungo vicino a due case di tolleranza. Nel romanzo "Lui mi tradiva", molti anni dopo, rivelò 3 IL FARO - Periodico del Centro Studi "Pier Giorgio Frassati" - Cariati (Cs) la differenza: «Il romanzo deve ubbidire alle leggi dei personaggi, le narrazioni nascono da cose e figure che si conoscono bene». E infatti, il suo primo libro, "Una città in amore", dedicato alla sua città, narra in modo scorrevole, con l'ammucchiata di figure scelte del suo quartiere popolare, l'anarchico dell'Oltretorrente, a cominciare dal noto anarchico Guido Picelli, di cui Bevilacqua era andato a scovare la tomba a Barcellona, contrapposto al distinto "quartiere bianco" della Parma-bene e raffinata. E proprio nel "suo" Oltretorrente, casualmente, il sottoscritto e Mario Verdone (il papà di Carlo) mio vecchio docente di Tecnica del Linguaggio Cinematografico, al Corso per il diploma di specializzazione in Arte Visiva all'Università Parmense, lo incontrammo, infreddolito e cordiale, un giorno nebbioso del mese di marzo del 1974. Lo rividi altre volte, sempre gentile. Quando ci si incontrava mi chiedeva di Ferrara, di Cariati (il mio paese), della Calabria e si dialogava sulle nostre esperienze. Si è scritto "non aveva un carattere facile", e forse per questo è stato al centro di polemiche. Come quando, pur prescelto nella cinquina, decise di non partecipare alla finale del Campiello, perché secondo lui tutto era già stato deciso, salvo poi pentirsene troppo tardi. Viveva in perfetta simbiosi con la sua Parma: da un lato l'incoraggiamento alla poesie di Attilio Bertolucci, dall'altro rapporti tesi con l'establishment intellettuale e letterario. Soffriva molto delle critiche, si sentiva snobbato, anche se qualche volta tornava sui suoi stessi passi e riconosceva personalmente di aver sbagliato, di aver scritto troppo e non sempre il necessario. Nonostante tutto, da romanziere ha vinto lo Strega con "L'occhio del gatto" nel 1968 e due anni prima (1966), il Campiello con "Questa specie di amore". Nel 1972, dirigendo un film ispirato a questo romanzo, ha vinto il David di Donatello. Anche se il vero successo venne con il romanzo "La califfa" (1964), che tradusse lui stesso in film nel 1970, con Romy Schneider e Jan Seberg, che lo portò alla notorietà internazionale. Coglie le inquietudini degli anni '60 meglio di altri romanzi forse più noti. La prosa di Bevilacqua veleggia tra realismo e surrealismo, realtà e sogno, caratteristica degli autori delle terre bagnate dal Po, uno stile che spesso, come si è detto prima, gli valse l'ostilità, soprattutto del Gruppo 63, che lo bollò spregiativamente come "Liala". Ma il suo primo romanzo, "La polvere sull'erba", è stato pubblicato solo nel 2000, poiché tratta di un tema allora considerato "scabroso": le faide tra ex partigiani ed ex fascisti nel «triangolo rosso» subito dopo la guerra. Proprio il Po è stato il vero humus in cui sono nate le opere letterarie, una quarantina di libri. Lo stesso Bevilacqua ha scritto «Il Po è il mio Paradiso e il mio 4 IL FARO - Periodico del Centro Studi "Pier Giorgio Frassati" - Cariati (Cs) che, a sei anni e mezzo, proprio lungo le rive del Po, era stato violentato da una donna, e che da quel trauma probabilmente era stata condizionata tutta la sua vita. Si ritrova il senso della vitalità primigenia che lo scrittore parmense spesso oppone alla pressione sociale. Questa presenza dell'eros rendeva scandalosi i suoi libri negli anni '60, ma è rimasta fino alla fine, non moda, non astuzia, come si è capito, bensì un sentire autentico. E questa autenticità è quella che resterà di un autore che, qualche volta, ha concesso troppo alla voglia di notorietà, ma senza rinnegare mai fino in fondo la sua natura di scrittore. Alberto Bevilacqua verrà ricordato anche come regista, spesso di film tratti dalle sue opere (sebbene parlasse del cinema come di «arte minore»): oltre a "La Califfa" ha diretto "Questa specie di amore", già menzionato, "La donna delle meraviglie", "Attenti al buffone", "Le rose di Danzica" (per la TV), "Tango blu". Si sentiva poeta e definiva la poesia: «I messaggi segreti che manda il cosmo». E si vantava di possedere un sesto senso, «che ho sviluppato fino a potenziare il mio sensitivismo». Forse un po’ di quella magia è penetrata anche nelle sue pagine. Ora ha smesso di raccontare vizi e virtù di quel posto chiamato Italia e «aspetta di essere portato a casa, nella sua Parma, dove troverà pace, sepolto tra i genitori e il nonno paterno».