TRIUMPH BONNEVILLE T120 BLACK

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TRIUMPH BONNEVILLE T120 BLACK
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
NUMERO 240
12 APRILE 2016
113 PAGINE
MotoGP, Marquez
domina il Gp di Austin
Marquez, Lorenzo e Iannone sul
podio. Rossi cade a inizio gara e
Pedrosa travolge Dovizioso
N. Cereghini "Che tipo
speciale Ballington"
Ha compiuto domenica i 65 anni:
auguri in ritardo a un quattro volte
campione del mondo. Uno che
dovreste conoscere
Prova Storica, Ducati
Multistrada 1100 S
Vi proponiamo “a posteriori” la
prova dell’ultima controversa Ducati
Multistrada spinta dal V2 Desmo DS
a due valvole raffreddato ad aria
| PROVA CLASSICA |
TRIUMPH
BONNEVILLE
T120 BLACK
da Pag. 02 a Pag. 19
All’interno
News: Yamaha 04-OGEN | MotoGP: Il Gran Premio delle Americhe | Rossi: “Belle le Michelin ma non perdonano" | MXGP:
GP di Agadir, nasce la EnduroGP | AMA Supercross: Round 13: Indianapolis | Ride in the USA: SX, cinque gare dalla fine
PREGI Estetica e finiture | Motore | Semplicità di guida
DIFETTI Luce a terra in curva | Attacco freno anteriore
Prezzo 11.900 €
PROVA CLASSICA
TRIUMPH
BONNEVILLE
T120 BLACK
La più classica delle Triumph è tutta nuova,
a cominciare dal motore 1200 raffreddato a
liquido. Un mito che si rinnova, rispettando
la storia del marchio e lo stile british. Ma
con l’elettronica di oggi. Piacevolissima da
guidare, anche se un filo soft, offre tanto
spazio alla personalizzazione
di Maurizio Gissi
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Prove
Media
I
n tanti la attendevano da tempo, perché la Triumph Bonneville della nuova generazione - quella arrivata nel
2001 - aveva inaugurato un nuovo
filone e aveva contribuito più di altri
modelli a farlo crescere. La Bonneville ha venduto bene e in Italia è stata per anni
la Triumph più venduta, fermandoci al 2015 è
giusto ricordare che è stata la decima moto più
venduta e che ha migliorato dell’11% i numeri
dell’anno precedente. Da quella prima versione
datata 2001 sono nate la Thruxton, nel 2004, e
la Scrambler, nel 2006.
Nel frattempo sono arrivate altre concorrenti
a erodere lo spazio alla classica inglese e c’era
bisogno di un salto generazionale per restare in
cima ai desideri di tanti appassionati.
Era necessaria un’importante evoluzione che è
arrivata per la stagione 2016 con il lancio di tre
nuovi modelli per un totale di cinque versioni.
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Allo scopo è stato realizzato un nuovo motore
bicilindrico parallelo in linea con la normativa
Euro4, dotato di raffreddamento a liquido e confezionato nelle cilindrate 900 e 1.200.
La motore 900 ha equipaggiato la Street Twin, di
cui potete leggere la prova a questo link, il 1200 è
andato a motorizzare la Bonneville T120 – declinata anche nella variante Black – e la Thruxton
che viene venduta nelle versioni base e “R”.
Questi cinque modelli hanno la base meccanica
e telaistica in comune ma ci sono importanti differenze a livello di dotazione, componenti ciclistiche, e livelli di potenza del motore che ne fanno
delle moto ben distinte anche nel comportamento oltre che nell’immagine che offrono.
Vocazione heritage
La T120 è la Triumph heritage per eccellenza.
Ha una linea che trasuda storia e fascino, non
reinterpreta in chiave moderna le forme che han5
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Prove
Video
no reso celebre la prima Bonneville, come capita spesso di vedere in altri casi nel mondo moto
come in quello auto, ma ne rispetta ogni tratto
stilistico originario facendo un viaggio nel tempo.
In questo ricorda molto l’approccio di HarleyDavidson ma con l’aggiunta di ingredienti tecnici
attuali.
Nella sua definizione a Hinckley hanno avuto
come riferimento stilistico la prima T120, quella
del 1959. In quel caso, per i tempi, si trattava di
una 650 sportiva, una delle moto di maggiori prestazioni e cilindrata che si potessero acquistare.
Adesso abbiano di fronte una moto il cui fascino
tocca altre corde, che trasmette un rapporto rassicurante con la storia e che non attrae certo per
le prestazioni nonostante la cilindrata sia nel frattempo raddoppiata.
I richiami estetici con la prima T120 sono molti,
e bene hanno fatto in Triumph visto che la loro
Bonneville è una moto simbolo degli anni Sessanta. Sono un collegamento diretto con la storia il disegno del bicilindrico verticale con tanto
di carter che ricordano la vecchia soluzione del
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cambio separato, gli scarichi dall’andamento lineare e con i terminale a cerbottana, il disegno
del serbatoio con tanto di guance in gomma, le
panciute fiancatine, la forcella con i soffietti e i
foderi neri, la sella lunga e piatta.
La T120 Black della nostra prova fa un esteso ricorso alla verniciatura nera che non riguarda solamente il serbatoio e le fiancatine, ma rifinisce
anche i parafanghi cerchi delle ruote, l’impianto
di scarico, i carter motore e il maniglione d’appiglio del passeggero.
Inoltre la sella è marrone invece che nera con
il bordino bianco come nel caso della T120. La
Black costa 11.900 euro, ai quali vanno aggiunti
150 euro per la variante in grafite opaco al posto
del nero lucido.
La T120 costa invece 12.050 euro nella versione
monocolore e 12.200 nella bicolore. Sono prezzi
adeguati all’immagine e alla sostanza offerte.
La T120 ha carter motore in alluminio lucidato,
cerchi, scarichi e maniglioni cromati, parafanghi
in tinta e quattro varianti cromatiche: nero, rosso e bicolore rosso/argento, nero/bianco.
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La qualità delle finiture, che siano parti lucidate,
cromate o verniciate, è molto buona e i materiali
usati danno l’impressione di solidità.
E’ vero che c’è della plastica a togliere un po’ di
sana robustezza, vedi i parafanghi o le fiancatine
ma hanno forma e finitura che non direste siano
di plastica. In compenso va sottolineato come i
tecnici abbiano lavorato in armonia con i desi10
gner nel mimetizzare molto bene la presenza del
catalizzatore di scarico e del circuito di raffreddamento del motore.
Il primo è alloggiato sotto il motore, non lo si
nota così come non si notano le sonde lambda,
e mantiene inalterata la curvatura dei collettori
di scarico. Il radiatore di raffreddamento rimane
all’interno dei collettori di scarico e non ci sono
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tubi del liquido refrigerante in vista.
I due corpi farfallati dell’iniezione hanno la forma di vecchi carburatori a valvola rotonda – con
tanto di ghiera in ottone – corredati dalla scatola
filtro in alluminio.
Ha forma classica ed è molto ricca di funzioni
anche la strumentazione che è composta da due
quadranti rotondi analogici per tachimetro e con-
Prove
tagiri. Ma che è completata da due piccoli display
digitali per molte altre indicazioni, comprese le
mappe motore, il livello carburante e la marcia
inserita, e dalle numerose spie di servizio.
La T120 ha poi di serie le manopole riscaldabili,
la chiave con immobilizer, le luci diurne a led, la
presa usb per la ricarica dei device e il cavalletto
centrale.
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Visto che la personalizzazione è un ingrediente
fondamentale nelle classiche, Triumph ha preparato oltre 160 accessori dedicati alla T120 e
che riguardano estetica, parti tecniche, impianto di scarico (Vance&Hines è il nuovo partner)e
dotazione turistica.
Selle, cupolini, borse morbide e da serbatoio,
retrovisori, e uno speciale kit The Prestige di elaborazione estetica.
Tanto carattere
Il motore, definito “high torque”, è frutto di un
nuovo progetto finalizzato al rispetto delle più
stringenti norme anti inquinamento ma non
solo. Ad esempio i consumi sono diminuiti del
13% e gli intervalli di manutenzione sono meno
frequenti spostando i tagliandi da 10.000 a
16.000 km percorsi.
L’inevitabile sistema di raffreddamento a liqui12
Prove
do, che fa a pugni con l’immagine heritage, è
esteticamente poco invasivo ed è integrato da
una estesa alettatura per cilindri e teste.
La distribuzione è monoalbero e quattro valvole
per cilindro, i perni di manovella sono a 270° e
c’è il contralbero di equilibratura.
Rispetto alla versione 900 della Street Twin,
non cambia la misura della corsa ma aumenta
l’alesaggio fino a 97,6 mm per raggiungere i
1.200 cc tondi. Inoltre il cambio guadagna il
sesto rapporto.
La potenza sale così dai 55 cavalli del motore 900 agli 80 cavalli a 6.550 giri della T120,
mentre la coppia massima è di 10,7 kgm a
soli 3.100 giri. L’acceleratore ride by wire, utile anche questo a rispettare i limiti d’inquinamento della Euro4, vede per il motore 1200
l’aggiunta di due riding mode gestibili anche in
movimento: road e rain.
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Non ci sono differenze nei valori massimi di coppia e potenza ma a cambiare è la risposta ai comandi dell’acceleratore che è più morbida nella
mappa rain.
Grazie al ride by wire e alle ruote foniche dell’impianto frenante Abs, anche questo di serie avendo a che fare con un modello Euro4, è stata aggiunta la funzione del controllo di trazione che
aumenta la sicurezza di guida.
Non è regolabile e può essere escluso.
Altrettanto classica è poi la parte ciclistica che
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parte dal telaio doppia culla in tubi tondi di acciaio. Le ruote a raggi, da 18 pollici davanti e da
17 dietro, hanno i cerchi di acciaio e montano
pneumatici Pirelli con la scolpitura dei famosi
Phantom degli anni Settanta: sono tubeless ma
montano le camere d’aria.
Sono di marca Kayaba la forcella da 41 mm e
la coppia di ammortizzatori posteriori, la sola
regolazione disponibile è il precarico delle molle
posteriori.
L’impianto frenante Nissin è con doppio disco
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anteriore da 310 mm e disco singolo da 255 posteriore, le pinze sono flottanti e a due pistoncini.
Il peso a secco è dichiarato in 224 kg.
Classica, non vecchia
C’è coerenza tra immagine ed esperienza di guida. L’idea che la T120 trasmette guardandola è
confermata dal carattere che la moto esprime
quando si impugna il manubrio e si parte.
La T120 sarà anche una 1200 ma non lo dà a
vedere.
Prove
La sua sella bassa da terra (è più imbottita rispetto alla T100 ma è a soli 785 mm di altezza)
consente a tutti di appoggiare bene entrambi i
piedi a terra.
Il serbatoio è stretto fra le ginocchia ed è poco
rialzato rispetto alla seduta, mentre le mani
impugnano naturalmente il manubrio rialzato e
largo.
Un assetto comodo anche se con un’ergonomia
meno curata rispetto a turistiche di impostazione moderna, ma anche questo contribuisce a
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proiettare in una dimensione nella quale il tempo
sembra essersi fermato.
Ed è quello che si cerca se si apprezza un modello
classico che riporta alla migliore scuola inglese.
Con in più il vantaggio di avere una moto di progettazione recentissima, dove tutto funziona
perfettamente.
Bastano davvero due minuti per apprezzare una
bella guidabilità, rotonda e fluida.
Le tortuose strade portoghesi che partono da
Cascais, dalla costa atlantica alle colline dell’interno, sulle quali Triumph ha organizzato il test
stampa sono quelle adatte ad apprezzare l’ultima nata di Hinckley.
La T120 sembra più leggera dei sui prevedibili
240 kg in ordine di marcia (il serbatoio è da 14 litri
e mezzo) grazie a un baricentro basso e al manubrio largo che semplifica il lavoro delle braccia.
Si guida rilassati, con pochissimo impegno e con
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Prove
una discreta maneggevolezza alla quale contribuiscono le gomme strette (100/90 davanti e
150/70 dietro) e dal profilo arrotondato.
Agilità che si perde soltanto quando si forza un
pelo di più, perché a quel punto lo sterzo diventa
un poco più pesante e l’avantreno tende anche
ad allargare l’uscita di curva.
Ma va anche detto che con la T120 non viene
mai voglia di esagerare e tutto è ben armonizzato per assaporare il percorso con il motore che
trotta senza fare la voce grossa: è questo lo stile
di guida giusto che fa apprezzare interamente la
Bonneville. I limiti ciclistici emergono soltanto se
si esagera con l’andatura come solitamente non
si farebbe su questo genere di moto.
Le sospensioni tarate sul morbido offrono infatti
un comfort molto buono anche quando la strada è rovinata, di contro però la moto oscilla un
po’ sugli avvallamenti, il doppio disco anteriore è
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Prove
ABBIGLIAMENTO
adeguato per potenza ma certo non ha un attacco pronto - e l’Abs che lavora bene è un po’ invasivo soltanto sul pavé - e la sella bassa significa
anche pedane basse.
Quindi non è difficile strisciarle in curva, considerato poi che le gomme Pirelli Phantom-style
offrono un buon grip. Sono tutti limiti che si ridimensionano nella guida normale.
Il nuovo motore è una piacevole scoperta. La fasatura a 270° dà un bel carattere all’erogazione
e al rumore di scarico – sempre discreto - che
solitamente manca ai paralleli.
E’ silenzioso di meccanica e vibra poco, lo si sente pulsare soltanto attorno ai 5.000 giri e sono
vibrazioni vitali, mai fastidiose. Non lo abbiamo
sentito trasmettere calore alle gambe, però la
temperatura esterna era di circa 15°.
L’high torque 1200 gira al minimo pulito e riprende bene dai bassi già poco oltre i 1600 giri,
con una frizione leggera allo stacco e il cambio
altrettanto preciso negli innesti.
E’ un piacere sentirlo tirare energico quando la
lancetta del contagiri è a un terzo della sua corsa
e con una spinta eccellente fra i 2.500 e i 3.500
giri: a questi regimi fornisce 10 kgm di coppia e
fra i 35 e i 50 cavalli.
Ai medi è insomma molto piacevole da usare,
tanto che non viene voglia di tirare le marce e
ci si scopre a cambiare presto. La potenza sale
linearmente fin oltre i seimila giri ma senza impennarsi, come ci si aspetta da 1.200 da soli 65
cavalli/litro, tanto che la coppia rallenta la sua
spinta oltre i 4.500 giri.
Un motore perfetto per la Bonneville di nuova
generazione, ben accordato al comportamento
della ciclistica e dalla buona personalità. In fondo è questo che si cerca nelle moderne moto
classiche: riferimenti a icone del passato, stile,
carattere e piacevolezza di guida.
La T120 promette, e mantiene, tutto questo.
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Casco: X-Lite X-702 GT
Giubbotto: Ixon
Guanti: Alpinestars
Calzature: TCX
SCHEDA TECNICA
Triumph Bonneville T120 Black 11.900 euro
Cilindrata 1200 cc
Tempi 4
Cilindri 2
Raffreddamento a liquido
Avviamento elettrico
Alimentazione iniezione
Frizione multidisco
Emissioni Euro 3
Capacità serbatoio carburante 14,5 Lt
Potenza 80-6.650 giri/min
Coppia 105 nm - 3.100 giri/min
ABS si
Pneumatico anteriore 100/90-18
Pneumatico posteriore 150/70 R17
Peso a secco 224 Kg
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PREGI Guidabilità, prezzo, linea
DIFETTI Comfort per i più alti
Prezzo 5.990 €
PROVA NAKED
HONDA CB500F
Dopo la carenata CBR500R, vi raccontiamo
come va la naked delle medie cilindrate
Honda. Forte nel prezzo e nelle prestazioni,
pecca solo un po’ nel comfort, soprattutto
del passeggero
di Cristina Bacchetti
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Prove
Media
S
ono passati tre anni esatti dal
lancio della prima CB500F, la
CBR spogliata, che si propone come naked entry-level
per giovani e non.
E dopo tre anni torniamo in
sella per scoprirne le novità, cosa cambia e cosa
no, se la CB sia rimasta la motina piacevole di
pochi anni fa.
Il propulsore non cambia, se non per i consumi
ancora più ridotti: si parla di 29 chilometri percorribili con un litro di carburante.
Quello che invece si rinnova, sulla piccola Honda, come del resto sulla sorella carenata, è il
serbatoio, che guadagna un litro di capacità. Un
paio di accorgimenti che permettomo ora di percorrere circa 500 chilometri con un pieno.
Altri dettagli che la accomunano alla rinnovata
CBR500R sono il tappo benzina incernierato,
la leva del freno anteriore regolabile, la nuova
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chiave di contatto compatta. E, ultima ma non ultima, la forcella regolabile, che rende la guida più
confortevole e personalizzabile secondo le preferenza del pilota. Il cambio è stato migliorato, e il
terminale di scarico rivisto.
E l’estetica? Il bel cupolino aguzzo riceve ora luci
a LED con posizioni azzurrate; i fianchetti laterali
sono più piccoli e lasciano quindi il motore più in
vista. Il codino all’insù termina col gruppo ottico,
anche questo a LED, ma spariscono le comode
maniglie di appiglio per il passeggero.
Altri dettagli, piccoli ma importanti: le pedane di
pilota e passeggero che sono ancorate a supporti
più piccoli, con quelle del passeggero ora in alluminio pressofuso.
La cover del cruscotto è parte integrante del cupolino e accoglie una strumentazione identica a
quella del modello 2013, con tachimetro numerico, contagiri a barre, contachilometri totale con
due parziali, orologio, indicatore livello carburan23
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te a barre, e trip computer che indica i consumi
istantaneo e medio. Il sistema HISS (Honda Intelligent Security System) è integrato al sistema
di alimentazione, e impedisce l’avvio del motore
senza la chiave di contatto codificata.
Poco lo spazio sotto la sella, ma non ci aspettavamo nulla di più che un vano per i documenti.
Il motore
Il propulsore che muove la CB è gemello di quello
della CBR: un bicilindrico parallelo frontemarcia
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con raffreddamento a liquido e distribuzione bialbero a 4 valvole per cilindro. E’ leggero e parco nei
consumi.
La potenza è di 48 cavalli (35 kW) a 8.500 giri,
e la coppia massima misura 43 Nm a 7.000 giri.
Come sulla R, la proporzione della triangolazione
tra albero motore, albero della trasmissione primaria e del contralbero è simile a quella dei motori Honda della serie supersportiva RR a 4 cilindri, così come avviene per la struttura del cambio
a 6 rapporti.
Prove
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L’alesaggio di 67 mm è il medesimo della
CBR600RR.
Grande attenzione, come sempre, alla riduzione
degli attriti: sul mantello dei pistoni sono presenti delle striature che creano interstizi in cui l’olio
può fluire migliorando la lubrificazione.
Infine, come sui pistoni delle CBR600RR e
CBR1000RR, dopo un trattamento di nitrocarburazione viene eseguito il processo AB1 in bagno
di sale, che crea una membrana protettiva antiossidante.
Telaio, sospensioni e freni
Anche il telaio non cambia, rispetto al primo
modello del 2013: i tubi di acciaio da 35 mm di
diametro con struttura a diamante abbracciano
il propulsore.
L’interasse misura 1.410 mm, l’avancorsa di 102
mm, il cannotto di sterzo è inclinato di 25,5°.
Il peso dichiarato della CB con il pieno di benzina
è di 190 kg, 2 in meno rispetto al precedente modello, 4 in meno rispetto alla CBR, e la sella è alla
portata di tutte le taglie: si abbassa un pochino e
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arriva a soli 785 mm da terra.
Per quanto riguarda le sospensioni, la CB500F
si affida all’anteriore ad una forcella telescopica
con steli da 41 mm ed escursione di 120 mm,
regolabile nel precarico molle. Al posteriore troviamo un mono regolabile nel precarico molla e
il leveraggio progressivo Pro-Link pensa alla stabilità. I cerchi in lega leggera a 12 razze (o 6 razze
sdoppiate, come preferite...) calzano coperture
da 120/70-17” e 160/60-17”.
L’impianto frenante è affidato a due dischi dal
profilo wave, rispettivamente da 320 e 240 mm,
morsi da pinze a due ed un pistoncino. Immancabile l’ABS di serie.
Come va
Più piccina e agile della CBR, la F può risultare
poco accogliente per i bikers più alti, soprattutto
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Prove
per l’ovvia scarsa protezione dall’aria e la sella a
soli 785 mm da terra. Alle alte velocità è necessario accucciarsi un bel po’, per evitare la botta
d’aria su casco, petto e spalle, ma le pedane
basse e arretrate strizzano l’occhio alla postura
aggressiva in sella.
Per tutto il resto invece, non possiamo che dire
bene di questa naked adatta a tutti i motociclisti
e a tutte le situazioni: agile nel traffico, divertente nel misto, sempre sicura grazie all’ABS di serie che va a dare una mano all’impianto frenante
dall’azione gentile, per non mettere in difficoltà
i neofiti.
Si sentono gli accorgimenti apportati al cambio
a 6 marce, ora più preciso e silenzioso negli innesti, così come la forcella regolabille che aiuta
non poco il comfort di guida, adattandosi ora
alle preferenze del guidatore.
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Prove
ABBIGLIAMENTO
Casco Suomy Apex
Jeans Alpinestars Riley
Giacca Ixon Fulgura
Scarpe TCX X-Street
Guanti Ixon RS Lift Lady
Il serbatoio rivisto, più alto e scavato sui lati, permette di stringere bene la moto tra le gambe a
favore anche della guida sportiva, tra le curve,
con la complicità di un motore fluido e sempre
pronto coi suoi (soli?) 48 cavalli.
Come sulla R, il peso forte sulla carta (190 kg col
pieno) non incide sulla guida e sull’agilità della
moto, il proverbiale feeling di guida Honda fa tutto il resto, insieme al bel manubrio alto e particolarmente largo.
Manubrio che ospita specchietti dall’ottima visibilità, blocchetti ben fatti e tutto quel che serve
a portata di mano.
Una moto divertente, che si rivolge a diversi tipi
di motociclisti: una entry level, sì, pensata per
chi si avvicina al mondo delle due ruote e per i
possessori di patente A2, ma abbastanza matura per spassarsela con qualsiasi tipo di motociclista. Ultima ma non ultima, la linea: bella e
filante, ancora più sportiva grazie al codino in su
con le prese d’aria e al musetto aguzzo. In tutto
e per tutto una perfetta naked jap!
SCHEDA TECNICA
Honda CB 500 F 5.990 euro
Cilindrata 471 cc
Tempi 4
Cilindri 2
Raffreddamento a liquido
Avviamento elettrico
Alimentazione iniezione
Frizione multidisco
Emissioni Euro 3
Capacità serbatoio carburante 16,7 Lt
Potenza 48 cv - 35 kw - 8.500 giri/min
Coppia 4 kgm - 43 nm - 7.000 giri/min
ABS si
Pneumatico anteriore 120/70ZR - 17 M/C
Pneumatico posteriore 160/60ZR - 17 M/C
Peso in ordine di marcia 190 Kg
Colori, prezzo e accessori
La CB500F 2016 è disponibile in quattro colorazioni: Ross White and Millennium Red (tricolore),
Millennium Red/Macadam Grey Metallic, Pearl
Metalloid White/Macadam Grey Metallic, Matt
Gunpowder Black/Matt Krypton Silver Metallic.
Il prezzo?
Aumenta di pochissimo e arriva a 5.990 Euro
f.c., ricordiamo, con l’ABS di serie.
Gli accessori originali disponibili sono: valigie
laterali da 29 litri, portapacchi posteriore, top
box da 35 litri, manopole riscaldabili, terminale
di scarico Akrapovic, componenti carbon look,
antifurto meccanico a U, tank-pad e telo coprimoto.
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PROVA STORICA
DUCATI
MULTISTRADA
1100S
Vi proponiamo “a posteriori” la prova
dell’ultima controversa Ducati Multistrada
spinta dal V2 Desmo DS a due valvole
raffreddato ad aria. Il modello 1100S,
caratterizzato da sospensioni Öhlins e
particolari in fibra di carbonio
di Maurizio Tanca
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Prova Storica
Media
Q
uesta volta siamo a proporvi “a posteriori” la prova
dell’ultima versione della
controversa Ducati Multistrada spinta dal bicilindrico Desmo DS a due valvole
raffreddato ad aria, e in
particolare del modello
1100S, caratterizzato da gradite sospensioni
Öhlins e vari particolari in fibra di carbonio. Un
test - che in effetti definirei “moderatamente
“storico, visto che si parla di dieci anni fa – di
quello che a suo tempo era il modello più particolare della gamma Ducati.
Una moto che era piaciuta molto al sottoscritto,
che rileggendo le sue stesse impressioni di guida risalenti al novembre del 2006, scritte dopo
un bel giro con la Multistrada 1100S assieme
all’amico Beppe Gualini nella zona del lago di
Garda, è andato subito a curiosare tra le inser32
zioni di vendita di Moto.it per vedere un po’ quali
siano le attuali quotazioni di questa bella Ducati
“ibrida”.
Nata “1000” e presentata a fine 2002 creando
subito parecchio clamore attorno a sé, la Multistrada probabilmente ha avuto più detrattori che
amanti, solamente per quella sua estetica così
particolare creata dall’estroso Pierre Terblanche,
che aveva scelto anche l’inconsueta soluzione
della semicarena fissa ma con il plexiglas solidale
al manubrio.
Io stesso, alla presentazione ufficiale - che se
ricordo bene ebbe luogo al Salone di Monaco
- rimasi abbastanza colpito dalle espressioni
piuttosto stupite (in senso negativo) dei colleghi
presenti, proprio mentre io esprimevo la mia ammirazione verso quella Ducati così particolare,
dal piglio sportivo ma col suo bravo manubrio
altro e quella pur strana, ma senz’altro caratteristica semicarena dal plexiglas mobile…
33
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Quanto alle quotazioni attuali dell’usato inerenti
le Multistrada 1100, sul nostro sito al momento sono presenti 20 annunci inerenti il modello
1100S e 11 che propongono la 1100 standard,
proposte a cifre che spaziano dai 3.300 a 6.900
euro. Tutte moto suddette sono state immatricolate tra il 2006 e il 2009.
Naturalmente si può spendere anche meno, optando per le MTS della primissima serie (1000 e
1000S): si va dai 2.000 ai 4.000 euro circa - praticamente lo stesso range di prezzi richiesti per
la piccolina di famiglia, la Multistrada 620.
Ed ecco di seguito il test della Multistrada 1100S,
nella mia colorazione preferita: rossa, telaio
compreso, con ruote e parafango anteriore neri.
Buona lettura!
La forza sia con te!
Una discreta dose di vitamina CC fa diventare
“1100” le Ducati Multistrada. Che guadagnano
coppia, potenza, e l’omologazione Euro 3. Invariati i prezzi, ma non la gioia di chi le guida, anzi...
Ducati Multistrada, si sa, è stata da subito una
moto controversa, un succoso spunto per infinite discussioni tra ducatisti e non.
Una proposta decisamente ardita e dalle particolarità interessanti, ma che comunque ha diviso nettamente la platea mondiale degli astanti
tra detrattori (forse i più) e sostenitori a spada
tratta prima ancora di averla provata.
Tra questi ultimi, il sottoscritto. A me infatti quella strana Ducati presentata alla fine del 2002
piacque a prima vista, e questo mi costò parecchi sorrisini di compatimento, che peraItro mi
attraversarono quasi osmoticamente senza lasciare la minima traccia.
Quando la provai la prima volta, la 1000, in occasione della presentazione ufficiale in Sardegna
(Baia Chia e dintorni), impiegai un pochino per
abituarmi a quella posizione di guida così particolare, con la seduta molto avanzata a caricare
l’avantreno (la MTS era una delle moto più “impennabili” di questi anni).
Ma dopo un quarto d’ora ci preso la mano, e non
34
Prova Storica
ne sono rimasto affatto deluso, se non dalla solita frizione dura da azionare.
Oggi, la più caratteristica delle Ducati si chiama
”1100” anziché “1000”, grazie a una sana tornita
ai cilindri - e all’inserimento nelle canne di due
pistoni da 98 anziché 94 mm - che ha elevato
la cubatura del celebre desmodromico da 992 a
1.078 cc, la potenza da 92 a 95 cv e la coppia da
9,4 kgm a 5.000 giri a 10,5 kgm a 4.750.
Numeri che valutati sulla carta magari non faranno gridare al miracolo, ma che durante la
guida, credetemi, diventano nettamente e piacevolmente percepibili.
Senza contare che ora il pompone bolognese è
omologato Euro-3, e non è che il salto dall’Euro-2 sia così indolore come si potrebbe pensare.
Insomma, non è che aumentare semplicemente
la cilindrata sia sufficiente.
Tra le altre cose, per esempio, è stato ridotto l’angolo incluso tra le valvole, per avere una
camera di combustione più compatta e con un
rapporto di compressione più elevato, e di conseguenza più potenza.
Per accontentare gli utenti più viziati, inoltre, la
MTS 1100 emula la classica 1000GT acquisendo
la frizione in bagno d’olio anziché a secco, sempre ad azionamento idraulico: è un po’ meno
dura di prima, ma ancora lontana dalla piacevolissima APTC antisaltellamento che equipaggia
invece i bicilindrici Ducati da 800 e 695 cc, ma
che per i più grossi non è ancora disponibile.
Va sottolineato che anche questo propulsore,
come tutti gli altri della gamma 2007, beneficia
del nuovo piano di manutenzione che prevede
intervalli allungati consentendo di dimezzare
addirittura i costi per l’utente.
Per il resto, è stato aggiornato ed implementato
il software gestionale del cruscotto, ed è stato
introdotto uno specifico sensore di rilevamento
del livello carburante, per un’indicazione molto
più affidabile che in precedenza.
E a blandire le vibrazioni sul manubrio troviamo
anche nuovi riser fissati elasticamente alla piastra di sterzo tramite silent-block.
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La ciclistica invece è totalmente invariata, compresa la sofisticata asta di reazione posteriore
regolabile che consente di modificare l’altezza
del retrotreno, e bilanciare così la moto a piacimento. Anche i prezzi sono rimasti identici a prima: ovvero 12.000 euro per la MTS standard, e
13.500 per la versione S della quale ci occupiamo
qui.
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La Multistrada 1100S, come la versione precedente, monta sospensioni Öhlins (anziché Marzocchi
anteriore e Sachs dietro), oltre al parafango anteriore ed i carterini della distribuzione in fibra
di carbonio; ma anche un bel manubrio in lega
leggera a sezione differenziata, anziché in tubo di
acciaio, e abbastanza “aperto”. E la sua guida è a
dir poco divertente, giusto per non esagerare più
Periodico elettronico di informazione motociclistica
di tanto con i complimenti. La seduta è la solita,
con sella e serbatoio molto rastremati nella zona
di congiunzione e le gambe molto rilassate (in
effetti le pedane sono fin troppo basse, oltre che
leggermente in avanti). La sella è leggermente
in discesa, ma il suo rivestimento antisdrucciolo
permette di guidare anche sedendo più indietro,
come in questo caso personalmente preferisco.
Prova Storica
La MTS è una moto di gran carattere, e anche se
la si vuol camuffare da pacifica turistica (il che
peraltro le si addice: l’autorevole mensile americano Cycle World l’ha addirittura votata “miglior
Sport-tourer del 2005”…), sotto sotto batte sempre l’anima da sportivona, da animale da misto,
quale in effetti è. A maggior ragione in questa versione “S”, appunto. E a maggior ragione col nuovo
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motore maggiorato.
Una bella galoppata sulle belle strade della Val di
Ledro, al seguito del grande ex-dakariano Beppe
Gualini come rapido “apripista” (consumo medio del giro: 17,3 km/litro, per la cronaca), mi ha
fatto davvero sorridere di felicità sotto il casco
per tutto il tempo. Strada magnifica, ciclistica
superba per precisione, maneggevolezza, frenata, e pure i sempre sorprendenti Pirelli ibridi, gli
Scorpion Sync: roba da pedane rialzate insomma, anche se poi a destra si finisce comunque
per consumare la paratia (bruttina) che protegge il collettore di scarico.
ll tutto ulteriormente magnificato da un gran bel
motore. La “vitamina CC”, infatti, ha dato ottimi
risultati: ora il desmo è più pieno sempre, più
pronto e trattabile, tant’è che risponde bene già
da 2.000 giri o poco più senza strattonare noio-
38
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Prova Storica
samente. È più duttile e corposo, insomma, più
reattivo al comando del gas in ogni momento,
anche a bassa velocità.
E trasmette anche poche vibrazioni. Il cambio
rimane ruvido marciando a passo d’uomo, ma
per il resto è bello sciolto e preciso. E la frizione
lo asseconda perfettamente.
Conclusione?
Una guida assolutamente esaltante.
La scheda tecnica
(tra parentesi, le differenze della Multistrada
1000)
Motore: 4T, bicilindrico ad L raffreddato ad aria,
con distribuzione desmodromica SOHC e 2 valvole per cilindro. Alesaggio e corsa: 98x71,5 mm
(94x71,5) Cilindrata: 1.078 cc.
Rapporto di compressione: 10,5:1 (10,1). Ali-
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Prova Storica
mentazione: iniezione elettronica Magneti Marelli, corpi farfallati da 45 mm . Accensione:
elettronica, con 2 candele per cilindro. Avviamento: elettrico. Lubrificazione: a carter umido.
Frizione: multidisco in bagno d’olio (a secco)
azionata idraulicamente. Trasmissione primaria:
a ingranagg.i Cambio: a 6 marce. Trasmissione finale: a catena. Potenza max: 95 cv - 70 kW
- 7.750 giri (92 cv - 67,7 kW) - 8.000 g). Coppia
max: 10,5 kgm - 103 Nm - 4.750 giri (9,4 kgm - 92
Nm - 5.000 giri). Omologazione: Euro 3 (Euro 2)
Ciclistica: telaio a traliccio in tubi di acciaio. Sospensioni: forcella Öhlins U.D. con steli da 43
mm , tutta regolabile; escursione ruota 165 mm.
Posteriore: forcellone monobraccio in alluminio;
ammortizzatore Öhlins tutto regolabile; escursione ruota 140 mm. Freni Brembo: 2 dischi anteriori da 320 mm  con pinze a 4 pistoncini; disco
posteriore da 245 mm  con pinza a 2 pistoncini.
Ruote: in lega da 3,50x17” e 5,50x17” Pneumatici:
Pirelli Scorpion Sync, da 120/70 e 180/55
Dimensioni e peso: Lunghezza: 2.130 mm; altezza: 1.340 mm; interasse: 1.462 mm; inclinazione
cannotto: 24°; avancorsa: 95 mm; luce a terra:
165 mm; altezza sella: 850 mm. Peso a secco:
196 kg. Capacità serbatoio: 20 I (riserva 6,5 l)
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News
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YAMAHA 04GEN, IDEA DI STILE
di Maurizio Gissi | E’ stato presentato al Vietnam Motorcycle Show
questo concept di scooter che vuole conquistare con l’eleganza.
Ha un design con tanti spunti interessanti
Video
È
stato presentato in Vietnam, invece
che ai recenti appuntamenti di Osaka
e Tokyo, il nuovo concept Yamaha che
allunga al lista della serie “GEN”. La
scelta di farlo debuttare al Vietnam Motorcycle
Show non è certo casuale, visto che il paese del
sud est asiatico è un grande produttore e consumatore di scooter, e che il suo è un mercato
in forte crescita. Il concept 04Gen arriva quindi
dopo i modelli 01GEN del 2014 (si trattava del tre
ruote che ha anticipato il Tricity di serie) e 03GEN
della primavera 2015: in questo caso l’idea Tricity
era evoluta in Scrambler e Sport.
Nel caso dello 04GEN abbiamo a che fare con
uno scooter tradizionale, con tanto di motore
termico invece dell’elettrico - che spesso fa rima
con concept di stile e di modello – mentre è la
parte tecnico/estetica a dominare la scena.
Le sovrastrutture in plastica semitrasparente si
alternano alla fisicità della parte telaistica. All’avantreno ci sono una forcella di tipo Earles e un
freno a disco carenato.
La sella appare sospesa (come sulla vespa 946)
e i gusci laterali si alzano come le ali di un cigno.
Nel suo comunicato stampa Yamaha lo descrive
così: “Con la trasparenza mostra la bellezza ingegneristica dando leggerezza a un corpo maestoso, un design che sintetizza esterno ed interno
per ottenere una bellezza rara”, e ancora “Evoca
un’immagine femminile, con la sua aria elegante
e la grazie di mente e corpo”.
Noi preferiamo soffermarci sul design e sulle
tante idee interessanti - non tanto sullo scontato
smartphone al posto della strumentazione - che
si scovano nei dettagli e nell’insieme.
Yamaha ci ha abituato che a concept spinti e ad
altri più terreni, questo ci pare rientri nella seconda categoria.
Media
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PROMOZIONI MOTO
LECITO ANNULLARE SE ANCORA IN CORSO?
di Maurizio Gissi | Un lettore ci segnala la sua esperienza di acquisto:
legge di una promozione in corso, si presenta in concessionaria e
scopre che non è più valida per la moto che vuole comperare.
E’ una pratica corretta? Le Case possono farlo? Scopriamolo
44
Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
S
conti e promozioni sono una componente attiva del libero mercato, una
prassi commerciale della quale beneficiano acquirente e venditore. Ed è
una pratica regolamentata.
Enrico Rossi, lettore di Moto.it, ci ha scritto riportando la sua esperienza: l’acquisto di una KTM
EXC 125 in seguito alla campagna promozionale
“Muddy Winter” lanciata dall’importatore austriaco lo scorso mese di gennaio.
«Felice possessore di una (la terza) “orange” - ha
scritto - , e invogliato dalla promozione Muddy
Winter riportata anche dal vostro sito, decido di
approfittarne e di prendere il modello 125 EXC
con 1.000 euro di sconto.
Significava un buon affare e ho quindi deciso di
acquistarlo ma, incredibilmente, il mio concessionario mi dice che per problemi di immatricolazione futura di tale modello la promozione
è “sospesa” o insomma terminata (l’anno prossimo la due tempi austriaca smetterà di essere
prodotta, non potendo rispettare l’omologazione
Euro4, ndr).
Infastidito della cosa e comunque rassegnato
all’acquisto senza sconto, scrivo direttamente
alla casa produttrice che ammette la scelta fatta
di interrompere la promozione, proprio perché la
moto non verrà più proposta e tutti la vogliono.
Quindi, come al mercato del pesce, si cambiano
le carte in tavola».
Interpellata sulla questione, KTM Italia ci ha risposto: «Abbiamo deciso di sospendere la promozione Muddy Winter che includeva la 125 EXC
il giorno 17 febbraio, comunicandolo tempestivamente alla rete dei concessionari KTM. Purtroppo l’informazione non è arrivata con altrettanta
rapidità ai consumatori finali, in quanto non abbiamo avuto il tempo materiale di aggiornare le
numerose pagine pubblicitarie presenti sui giornali di settore.
In ogni caso siamo certi che il nostro concessionario abbia informato il cliente prima dell’acquisto, che è avvenuto il 25 febbraio.
Detto questo, il concessionario dove il signor
Rossi ha acquistato la moto lo aspetta per una
sorpresa, che siamo certi verrà gradita. Siamo
certi che il signor Enrico apprezzerà il gesto del
concessionario che, come noi, tiene alla soddisfazione dei nostri clienti».
Procedura corretta?
Raccontata la vicenda va data però risposta ad
alcune domande che crediamo possano interessare tanti altri lettori.
Escludendo dalla promozione in corso un modello, KTM ha agito correttamente? Come sempre
anche in questo caso erano chiari il periodo di validità dell’iniziativa e c’era la consueta precisazione “presso i concessionari aderenti all’iniziativa e
fino ad esaurimento scorte”. Ma era sufficiente? Il
venditore ha il diritto a modificare i termini della
promozione? E in quale misura?
Abbiamo girato le domande all’avvocato Giacomo Jannotta, dell’omonimo Studio padovano.
Secondo noi è massimo esperto per le materie
legate ai diritti dei consumatori, ma anche dei
concessionari e delle Case stesse, e che da anni
collabora con Moto.it e Automoto.it
«La materia che regolamenta il rapporto tra Venditore e Consumatore è contenuta nel Codice del
Consumo, Decreto Legislativo 6 settembre 2005,
n. 206».
All’articolo 129 è scritto:“Il venditore ha l’obbligo
di consegnare al consumatore beni conformi al
contratto di vendita”. Si affrontano inoltre le dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche e nella
pubblicità, i difetti di conformità, i doveri del venditore, eccetera.
«In particolare la “garanzia di conformità” - precisa l’avvocato Jannotta -, che non va confusa
con la garanzia che riguarda il funzionamento
del bene, è sintetizzata nel principio che il venditore deve consegnare al consumatore un bene
corrispondente a quanto promesso contrattualmente. Pertanto una vendita è inficiata da difetto
di conformità anche se il bene è perfettamente
funzionante ma le sue caratteristiche non corrispondono a quanto promesso contrattualmente.
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Alla promessa contrattuale è equiparata la “dichiarazione pubblica”.
«Se, ad esempio, il venditore ha accettato un ordine relativo a una moto dotata di Abs che, però,
nel veicolo che sta consegnando non è presente,
si configura un difetto di conformità. E qualora il
cliente dovesse provare che senza questo accessorio, per l’uso che abitualmente ne fa, la moto
perde gran parte della sua utilità per cui non l’avrebbe acquistata senza Abs, può arrivarsi perfino alla risoluzione del contratto. Ora se ci riferiamo alla campagna promozionale che offre un
determinato prodotto ad un prezzo scontato, ci
troviamo in presenza di una “dichiarazione pubblica” che riguarda una “caratteristica specifica
del bene” quale è il suo prezzo.
«Ma se prima della scadenza pubblicizzata il
Costruttore/Importatore dovesse decidere di interromperla deve darne comunicazione pubblica
con gli stessi mezzi e lo stesso rilievo con cui ha
pubblicizzato la campagna. Qualora per motivi
oggettivi non riuscisse a farlo, è il venditore che
prima della conclusione del contratto deve comunicarlo al cliente il quale può richiedere e concordare con il venditore la soluzione che risulta
più soddisfacente.
«Qualora ciò non dovesse verificarsi ci si trova in
presenza di un difetto di conformità. Al difetto di
conformità si può porre rimedio con la riparazione (cosa che nel caso prospettato è impossibile);
con la riduzione del prezzo, qualora il difetto di
conformità dovesse limitare parzialmente l’utilità del bene; con la risoluzione del contratto
qualora il difetto di conformità dovesse limitare
in maniera grave l’utilità del bene. Il concetto di
“conformità”, quindi, può sintetizzarsi in un requisito essenziale: quello della “ trasparenza” cui
il venditore deve improntare la trattativa di vendita con il consumatore».
Fortunatamente in questo caso le indicazioni
segnalate dall’avvocato Jannotta sono state seguite. E alla fine in casa Rossi è arrivata la quarta
“orange”.
Nello specifico, al di là della comprensibile delu46
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Attualità
sione per uno sconto annunciato e mancato, non
si può recriminare nulla a proposito dell’operato
del venditore e lo stesso acquirente ha detto di
essere stato informato del cambiamento delle
condizioni.
In generale sta poi al concessionario, piuttosto
che alla Casa, gestire il rapporto migliore con il
proprio cliente, magari compensando in altro
modo la mancata opportunità di sconto. Basandosi su un “Codice di buona relazione” non scritto, ma gradito.
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RIDE IN THE USA
SUPERCROSS: CINQUE GARE ALLA FINE
di Pietro Ambrosioni | Un bilancio sulla stagione disputata finora, fatto
dal nostro corrispondente negli USA, da sempre “insider” del mondo del
Supercross
48
Periodico elettronico di informazione motociclistica
M
ancano solo 5 gare al termine della
stagione del Supercross AMA, dunque è arrivato il momento di fare
qualche piccola riflessione prima
del rush finale: quest’anno se ne sono viste davvero di tutti i colori e vale la pena fare un piccolo
ripassino.
Vorrei parlare prima di tutto di James Stewart,
tanto atteso al rientro dopo la squalifica per doping che lo ha tenuto lontano dalle gare per molto tempo. James ha avuto una stagione di alti e
bassi, ma soprattutto di… bassi.
Al suo debutto di Anaheim-1 è sembrato ingrassato e davvero impacciato in sella, ma si credeva
che il suo talento, immenso, potesse permettergli di navigare ad alto livello in attesa di tornare
in forma.
Poi Dungey l’ha centrato al via del Main Event e
da li è iniziato un nuovo calvario per il pilota Su-
On The Road
zuki: commozione cerebrale, rientro affrettato
a Oakland dove si è dovuto nuovamente ritirare
per problemi di vista offuscata, ennesimo stop
fino ad Atlanta.
In Georgia non si è fatto notare per la velocità ma
piuttosto per il suo ruolo involontario nel facilitare la vittoria di Dungey all’ultimo giro.
James in quel momento era doppiato ma è finito
in traiettoria di Musquin, che stava conducendo
la gara: Bubba ha fatto quello che doveva fare,
mantenendo la sua linea, ma il francese ha avuto
una piccola esitazione che lo ha quasi portato a
cadere, mentre Dungey se ne passava in testa e
andava a vincere.
Poi è arrivata la gara di Daytona, dove Stewart ha
picchiato duro “la coda” ed è tornato in panchina fino a sabato scorso, quando è rientrato per
correre il Supercross a Santa Clara, a sud di San
Francisco.
49
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Qui James ha fatto vedere di essere tornato
velocissimo, soprattutto sulle whoops, dove
per tutto il giorno ha divorato decimi a tutti gli
avversari e ne ha anche passati un bel po’ come
se fossero fermi.
Purtroppo per lui la sua Suzuki ha avuto problemi
elettrici in finale (si parla della pompa benzina) e
con una moto che scoppiettava James non se l’è
sentita di continuare, seppure il tracciato fosse il
meno impegnativo visto fino ad oggi in campionato. Dopo la gara non era però troppo arrabbiato, ed anzi ha confermato di aver avuto buone
sensazioni in sella, soprattutto riguardo alla sua
velocità, uno dei fattori principali nel suo stile di
guida.
Cosa ci si possa aspettare nelle prossime 5 gare
davvero non so: ormai James credo sia un’incognita anche per sé stesso, potrebbe tornare a lottare per il podio o esagerare per l’ennesima volta,
tornando a scaldare quella panchina che ormai
sembra segnare questa ultima parte della sua incredibile carriera.
Dopo Bubba vorrei parlare di Roczen, in sella
all’altra Suzuki “buona” ma che i bene informati
danno in partenza verso la HRC per il prossimo
anno. Il tedesco ha avuto tre sprazzi meravigliosi
che si sono trasformati in vittoria a Glendale in
Arizona, a Dallas e a Toronto.
Ma ha anche infilato una serie di partenze inguardabili per uno che punti al campionato, tanto da
bloccarlo a pascolare in mezzo al gruppo in almeno tre occasioni.
È vero che non ha mai fatto peggio di sesto, ma
quando lotti con un Dungey che vince o va a podio da 28 gare consecutive (record assoluto) un
sesto vale come un ultimo posto.
Il discorso titolo sembra ormai chiuso, a meno
di qualche incredibile colpo di scena, ma potete giurare che Ken proverà comunque a vincere
tutte le gare da qui a Vegas, sperando che possa
servire a qualcosa.
A Santa Clara ci ha provato e a tratti sembrava
anche più veloce di Dungey, ma a cinque giri dalla
fine il campione in carica è riuscito ad aprire un
gap sufficiente a mettere al sicuro il risultato e il
discorso si è chiuso li.
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
On The Road
Prima di passare agli altri giovani voglio menzionare un gruppo di vecchietti che ancora hanno
voglia di mettersi in gioco sulle piste del Supercross: Nick Wey è uscito dal ritiro per fare le ultime gare in sella alla Kawasaki del Team Tedder
lasciata libera da Jake Weimer, ora compagno di
Roczen.
Josh Hansen, dopo le vicissitudini e i litigi con il
promoter del campionato Arenacross in Inghilterra, è rientrato in USA e a Santa Clara si è presentato su una Kawasaki privata e Ivan Tedesco
come Team Manager.
Ha chiuso 13mo quindi onore al merito, perché la
450 quest’anno è davvero competitiva.
Altra Kawasaki, quella ufficiale dell’infortunato
Wil Hahn, per un altro veterano: Josh Grant. Il californiano è rientrato per gioco a Daytona dove ha
corso con una Suzuki privata e ha fatto settimo,
attirando immediatamente l’attenzione del Team
Monster Kawasaki.
Da quel momento sono stati alti e bassi, ma di sicuro Grant rimane uno dei più stilosi whippatori
di sempre.
Il vecchietto più famoso rimane comunque Chad
Reed, che dalla zona podio di inizio stagione sta
scivolando sempre più in basso.
Poco male, lui mantiene il sorriso e fa da tester
del materiale Factory per la sua Yamaha ufficiale,
che diventerà di Cooper Webb nel 2017. A Santa
Clara, dove ha testato una frizione con comando
idraulico, ha avuto un sussulto e ha chiuso quarto
davanti a Canard.
Chiudo con gli altri galli nel pollaio, a partire da
Jason Anderson. Il pilota Husqvarna ha vinto la
gara di apertura ad Anaheim 1 e in più di un’occasione ha mostrato velocità e talento da vendere.
Ma ha anche attirato l’odio di molti altri piloti a
causa della sua guida aggressiva e a molti sorpassi non proprio puliti.
Chiedete a Cole Seely cosa ne pensa: il pilota
Honda HRC, che è fermo per una microfrattura
ad una vertebra, è stato più volte vittima di Anderson, come già peraltro era successo nel 2014
quando entrambi lottavano per il titolo della
250SX Costa Ovest.
In molti casi i loro contatti sono stati inutili e del
51
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
On The Road
tutto gratuiti, spesso nemmeno dettati dalla necessità di guadagnare posizioni o punti cruciali.
Jason si è visto assegnare una vittoria in modo
del tutto inaspettato a Detroit, quando la AMA
ha penalizzato Dungey di due posizioni per aver
saltato mentre era esposta la bandiera medica.
Sono convinto che Anderson potrà essere uno
dei top rider in lotta per il titolo molto presto,
ma deve imparare a convivere con gli altri piloti
in pista e soprattutto affinare il suo stile di guida
decisamente “banzai”.
Rimane Musquin, che fino ad ora a tratti è stato
magnifico e a tratti invece non sembrava nemmeno lui. Sicuramente anche il francese deve
lavorare sulle partenze, perché le poche volte che
era nel gruppo giusto alla prima curva poi è andato a podio o ha rischiato di vincere, come ad
Atlanta, appunto.
Niente da dire su Barcia, Baggett, Pourcel e compagnia bella, tutti rallentati o fermi al palo a causa
di infortuni. Idem per Canard, che a Santa Clara
ha girato più forte di tutti (nella sua semifinale)
ma che nel Main Event non ha raccolto molto.
Prima di passare alla più fulgida conferma del
2016 voglio parlare della maggiore delusione.
Non in senso assoluto, ovviamente, ma la sola
vittoria di Daytona non può bastare per uno che
doveva lottare per il campionato.
Mi riferisco ovviamente a Eli Tomac, la cui operazione alla spalla prima del via della stagione ha
mandato un po’ all’aria tutti i piani.
L’ufficiale Kawasaki, che molti si aspettavano
costantemente sul podio, ha avuto una partenza
lenta ed ha commesso molti errori.
Kawasaki ad un certo punto è intervenuta ed ha
licenziato il suo uomo sospensioni, che Tomac
si portava dietro da anni: le cose sono migliorate notevolmente ma va anche detto che lo stesso Eli, in pieno recupero dopo l’operazione alla
spalla, diventava sempre più forte e veloce ogni
settimana.
In pratica un pilota diverso ad ogni gara, ovvero
l’incubo peggiore di ogni specialista delle sospensioni. In un modo o nell’altro Tomac mantiene il
quarto posto in campionato, ma il suo distacco
dalla vetta ammonta già a 78 punti e ovviamente
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il suo pensiero è ormai rivolto al National.
Eccoci infine al campione in carica, la grande conferma del 2016 dopo la vittoria fin troppo facile
del titolo 2015. Ryan Dungey fino ad oggi è stato
praticamente perfetto: le sue vittorie sarebbero
sette se non avesse preso la penalità a Detroit di
cui sopra. ma sinceramente non vedo chi potrà
fermarlo nelle ultime gare da qui a Las Vegas.
Gli altri hanno sempre problemi, lui trita tutto e
tutti. Rimane disponibile e sorridente pur essendo sempre più sotto pressione e il suo stile in sella diventa più aggressivo e spietato con il passare
delle gare, lasciando poco o niente agli avversari.
Piazza quasi sempre il miglior tempo in qualifica,
vince la sua heat e si mette spessissimo in condizione di scegliere bene il posto al cancelletto in
finale.
Un ulteriore vantaggio che fino ad oggi si è tradotto in partenze perfette, con l’unico neo della
54
Periodico elettronico di informazione motociclistica
On The Road
gara di Glendale dove dopo la prima curva era
solo… sesto.
Finiti sono i tempi in cui esitava nei primi giri o
quelli in cui triava i remi in barca pensando al
campionato. Ryan è “in the zone” e corre sempre al 100% perché ormai quella è la sua unica
modalità, dettata da una confidenza ed una sicurezza che negli anni recenti avevo visto solo nel
miglior Villopoto.
Se prima Dungey non era il più veloce ma era
senza dubbio il più regolare e costante, ora è entrambi.
Magari in TV o su YouTube non si capisce bene,
ma quando passa lui il motore della sua KTM urla
impietoso e la manopola del gas è quasi sempre
girata fino a quando non ce n’è più.
E mettere a cannone un 450 ufficiale su un tracciato di Supercross è roba davvero per pochi, direi una manciata negli ultimi 10 anni…
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
mente a causa del continuo “martellamento” è
stato necessario fare ricorso a inserti in acciaio o
in ghisa austenitica, incorporati di fusione.
Per questa stessa ragione sono stati talvolta impiegati degli anelli flangiati in acciaio, piantati con
interferenza nelle pareti laterali del basamento,
nei quali venivano ricavati gli alloggiamenti per i
cuscinetti di banco.
Sui motori da corsa hanno avuto una certa diffusione le bussole portacuscinetto assicurate mediante viti e si sono avuti anche interessanti casi
di inserti in bronzo (presi di fusione).
Dunque il basamento deve essere robusto per
resistere alle sollecitazioni meccaniche e rigido
per consentire di mantenere un perfetto alli-
Media
Tecnica
LE FORTI PRESSIONI CHE
SI SCARICANO SUI PISTONI
GENERANO FORZE CHE
VANNO A SCARICARSI SUI
SUPPORTI DELL’ALBERO A
GOMITI E LO STESSO AVVIENE
PER LE INGENTI FORZE
D’INERZIA DOVUTE AGLI
ORGANI IN MOTO ALTERNO
Il basamento di un moderno monocilindrico a quattro tempi: compatto, rigido ma al tempo stesso leggero, è
formato da due semicarter con piano di unione verticale
IL BASAMENTO?
ROBUSTO, RIGIDO E LEGGERO
di Massimo Clarke | Analisi del basamento, elemento “portante” dei
motori motociclistici. Con carter secco, con cambio separato o con i
cilindri integrati
N
elle moto moderne il basamento,
noto anche come carter motore,
non è certo una banale “scatola” di
alluminio che racchiude i principali organi meccanici e sulla quale va a poggiare il
cilindro.
La sua struttura è complessa e viene accuratamente studiata in modo da essere in grado di
sopportare sollecitazioni molto elevate.
Le forti pressioni che si scaricano sui pistoni a
ogni fase di combustione generano forze che
vanno a scaricarsi sui supporti dell’albero a gomiti, ricavati nel basamento, e lo stesso avviene
56
per le ingenti forze d’inerzia dovute agli organi in
moto alterno.
Particolarmente gravosa è la situazione in corrispondenza degli alloggiamenti dei cuscinetti di
banco e nelle zone limitrofe, ove le forze in gioco
danno luogo a deformazioni elastiche che si susseguono senza posa.
Insomma, durante il funzionamento del motore
le pareti del basamento “pulsano” di continuo,
anche se in misura limitata.
In alcuni monocilindrici molto sollecitati, per evitare che dopo un chilometraggio rilevante le sedi
dei cuscinetti di banco si deformassero plastica57
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neamento dei cuscinetti di banco in qualunque
condizione di impiego, ma al tempo stesso deve
avere un peso contenuto.
Per questa ragione, che va ad aggiungersi alla
complessità della sua geometria, non è certo un
componente facile da progettare e da realizzare.
Nei basamenti che si “aprono” secondo un piano
verticale, spesso la parte inferiore è conformata
in modo da fungere da coppa dell’olio.
In quelli formati da due semicarter che si uniscono secondo un piano orizzontale invece la coppa
è generalmente un componente a sé stante, che
viene fissato per mezzo di una serie di viti.
Negli ultimi anni sono apparsi alcuni motori con
lubrificazione a carter secco nei quali il serbatoio
dell’olio è incorporato nel basamento stesso.
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Tecnica
Con il cambio in blocco
Lo schema motociclistico che da decenni domina la scena prevede il cambio in blocco, ossia
alloggiato nella parte posteriore del basamento,
appositamente conformata.
Nei due tempi la camera di manovella è totalmente separata dal vano nel quale si trova il cambio, che viene quindi lubrificato in maniera indipendente dal motore.
Lo schema tradizionale prevede anche la presenza di due o tre coperchi laterali che vengono fissati al basamento mediante viti.
In passato il basamento spesso chiudeva inferiormente la culla del telaio, ma oggi in numerosi
casi fa molto di più. Non di rado infatti il motore
Nei grossi monocilindrici le sedi dei cuscinetti di banco sono molto sollecitate. Per evitare che a lungo andare
possano subire deformazioni talvolta si impiegano anelli di acciaio presi di fusione
In diversi motori a due tempi da competizione i cuscinetti di banco erano alloggiati in bussole flangiate di
acciaio che venivano fissate mediante viti. Questo è dei primi anni Novanta
è letteralmente incastonato nel telaio, del quale
completa la struttura (e in qualche caso può arrivare a sostituirlo!).
In diverse moto il fulcro del forcellone oscillante
è ricavato direttamente nel basamento.
Nello schema pivotless quest’ultimo arriva addirittura a sostituire le piastre posteriori del telaio. Per molti anni, in un passato ormai lontano,
in genere il cambio era separato dal motore.
Durante gli anni Venti e Trenta del secolo scorso la maggior parte delle moto era realizzata in
questo modo.
Il basamento del motore si riduceva a due semplicissimi “semigusci” che si univano secondo
un piano verticale a formare una scatola molto
compatta e dalla geometria addirittura banale.
Tanto il lavoro di fonderia quanto le lavorazioni
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erano molto agevoli.
Nel dopoguerra si è generalizzato il cambio in
blocco e la progettazione e la fabbricazione del
basamento sono diventate più complesse e impegnative; solo alcuni costruttori inglesi e americani hanno continuato a impiegare lo schema
precedente, con il cambio separato.
Nelle moto con asse di rotazione dell’albero a
gomiti disposto longitudinalmente (come i Guzzi
bicilindrici a V e i boxer BMW con raffreddamento
ad aria o misto aria-olio) lo schema costruttivo tipico è di tipo automobilistico, con una scatola del
cambio separata, che viene fissata alla parte posteriore del basamento mediante una serie di viti.
Oggi in numerosi motori i cilindri non sono amovibili ma integrali con il basamento.
Sono infatti incorporati nella fusione del semi59
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carter superiore in vari policilindrici.
La soluzione permette un lieve miglioramento
della rigidezza strutturale e consente di ridurre il
numero delle lavorazioni, ma risulta svantaggiosa per quanto riguarda l’effettuazione degli interventi meccanici.
Pur avendo il basamento costituito da due parti
che si uniscono secondo un piano verticale, i motori Ducati della serie Panigale (1199 e 1299) hanno i due cilindri integrali con il basamento; le canne, del tipo riportato in umido, hanno il bordino di
appoggio superiore e vengono inserite dopo che
i due semicarter sono stati uniti.
Pure nei bicilindrici Morini 1200 si adotta una
soluzione analoga ma il basamento è monolitico,
ossia costituito da un’unica fusione.
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Tecnica
Nei motori a due tempi la camera di manovella è completamente separata dal vano, ricavato nella parte
posteriore del basamento, nel quale è alloggiato il cambio
In diversi motori di alte prestazioni nella stessa fusione del semicarter superiore viene incorporata la
bancata dei cilindri (che nel caso mostrato nella foto è del tipo closed deck)
Nelle moto con cambio separato, molto diffuse in passato, il basamento aveva una struttura semplicissima,
come dimostra chiaramente questo semicarter di un monocilindrico da competizione degli anni Cinquanta
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Editoriale
Periodico elettronico di informazione motociclistica
NICO CEREGHINI
“BALLINGTON, UN
TIPO SPECIALE”
all’improvviso più forte di lui.
Da lì, una bellissima seppur breve
carriera.
Dopo una vittoria in Spagna nel
’76, fu quinto assoluto l’anno
dopo nel mondiale 350 con due
successi, e lo cercò la Kawasaki
che già correva ma voleva fare un
salto di qualità.
Nelle due classi, 250 e 350 con i
famosi motori bicilindrici in tandem, la coppia Ballington-Hansford diventò presto imbattibile.
Gregg Hansford era australiano
e purtroppo ha perso la vita a
Phillip Island nel ’95, in una gara
di super-turismo; aveva un anno
meno di Kork, era biondo, atleti-
Ha compiuto domenica i 65 anni:
auguri in ritardo a un quattro volte
campione del mondo, un pilota
ufficiale della Kawasaki, uno che
passava spesso inosservato e
invece dovreste conoscere
co, molto più bello.
Era strafotografato e le donne
guardavano soltanto lui, ma a
vincere era soprattutto Kork:
con ventisette successi, Ballington è stato il re delle medie
cilindrate per due stagioni, 78
e ‘79.
Quattro magnifici titoli mondiali in sella alle verdone e contro uno stuolo di piloti di valore,
da Kenny Roberts a Lega,
Uncini e Mamola fino a Graziano Rossi (sulla meravigliosa
Morbidelli) nella seconda stagione.
Poi il sudafricano portò al debutto nell’80 la KR 500 a quat-
tro cilindri, disposti in quadrato
come sulla Suzuki RG ma dentro un pregevole telaio monoscocca d’alluminio; però la
moto, per quanto potente, era
acerba e l’impegno della Kawasaki forse insufficiente.
A soli trentuno anni Kork si ritirò lasciando il campo al giovane tedesco Toni Mang.
Potreste incontrarlo in una
delle tante rievocazioni che si
tengono in Europa: ha ancora
i baffi, diventati grigi, e dovrete
cercarlo con impegno perché
non ama mettersi in mostra
come fanno tanti altri. Auguri
in ritardo, vecchio Kork!
Media
C
iao a tutti!
Ha fatto i 65
anni domenica e mi sono
dimenticato di
fargli gli auguri.
Parlo di un quattro volte campione del mondo, di un re delle medie cilindrate, mica uno qualsiasi.
Kork Ballington. Ma forse non è
un caso che me ne sia dimenticato: a lui è capitato spesso di
passare inosservato.
La sua è una storia che vale la
pena di conoscere. Kork è nato a
Salisbury, Sud Africa, il 10 aprile
del ’51; e dopo aver corso qualche anno in patria con le Yamaha,
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eccolo spuntare in Europa alla
fine del 1975.
Io ricordo bene la sua vittoria al
debutto in Italia: eravamo a Imola, e il grande Walter Villa, dominatore della 250 e della 350 con
le HD ufficiali, era largamente in
testa in una delle due gare, non
ricordo quale, quando a due giri
dalla fine fu superato da un completo sconosciuto che veniva su
dalle retrovie come un pazzo.
Era Kork, con gli occhiali da vista
dietro alla visiera dell’integrale
e su una Yamaha privatissima e
senza sponsor; la squadra di Villa, al muretto, non lo aveva notato in tempo.
Nell’ultimo giro il privato superò il campione del mondo
e andò a vincere la sua prima
gara internazionale.
Ve l’ho detto che poteva passare inosservato e Walter, molto incavolato con i suoi per la
mancata segnalazione, per
quanto fosse un tipo straordinariamente brillante e arguto
non trovò una giustificazione
migliore di questa: “Quel Ballington?
Credevo –dichiarò a Pino Allievi e agli altri giornalisti- che
fosse un doppiato…”.
Come se un campione possa
pensare che un doppiato vada
POTRESTE INCONTRARLO
IN UNA DELLE TANTE
RIEVOCAZIONI CHE SI
TENGONO IN EUROPA: HA
ANCORA I BAFFI, DIVENTATI
GRIGI, E PERÒ DOVRETE
CERCARLO CON IMPEGNO
PERCHÉ NON AMA METTERSI
IN MOSTRA COME FANNO
TANTI ALTRI. AUGURI IN
RITARDO, VECCHIO KORK!
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MOTOGP
GP AUSTIN
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MotoGP
GP AUSTIN
MARQUEZ VINCE IL GP DELLE AMERICHE
di Giovanni Zamagni | Marquez domina il GP delle Americhe 2016. Lorenzo
e Iannone sul podio. Tante cadute: Rossi a inizio gara poi Pedrosa che
travolge Dovizioso
T
rionfo in solitaria di Marc Marquez,
davanti a Jorge Lorenzo e ad Andrea
Iannone. Caduta per Valentino Rossi
al terzo giro (era 6°), fuori gara Andrea
Dovizioso, questa volta abbattuto alla prima curva
da Dani Pedrosa mentre era terzo.
Bravo Michele Pirro, ottavo, buon risultato per l’Aprilia: decimo Stefan Bradl, 11esimo Alvaro Bautista. Come in Argentina, un’altra gara a eliminazione, con tanti errori e cadute, quasi sempre per la
chiusura dello sterzo: ancora una volta, la Michelin
è sotto accusa. Ma la vittoria di Marquez, la quarta
consecutiva su questo circuito, non è dovuta agli
errori altrui, ma è solo merito del campione della
Honda: lui era già in fuga mentre alle sue spalle si
autoeliminavano.
Si sperava, dopo le qualifiche, di vedere un GP più
combattuto ed equilibrato, ma così non è stato,
con Marc che ha avuto una lieve incertezza solo
alla prima curva, quando è stato superato da Lorenzo. Un attimo solo, però: Marc è tornato subito davanti e i rivali lo hanno rivisto solo al parco
chiuso. La Honda è sicuramente cresciuta ed è più
competitiva rispetto a inizio anno, ma la differenza
la fa soprattutto (per non dire solo) Marquez.
«Molto contento, credo di aver fatto una bella
gara: qui mi sento alla grande, mi piace la gente, lo
stile americano. Il GP non è stato avvincente, ma
ho portato a casa 25 punti importanti»
ROSSI: TRADITO DALLA GENEROSITA’
Partito bene – era secondo alla prima curva – Valentino Rossi ha avuto un problema con la frizione («Slittava, il motore non rendeva» confermerà
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poi il team manager Yamaha Maio Meregalli):
la sua moto era lenta, in maniera evidente in
rettilineo, con Valentino che veniva sverniciato a
destra e a sinistra.
Rossi, però, non ha voluto mollare, ha provato a recuperare in curva quello che perdeva in rettilineo,
ma la sua generosità non ha pagato: alla seconda
curva del terzo giro si è chiuso lo sterzo e la caduta, mentre era sesto, è stata inevitabile.
E’ andata molto peggio a Andrea Dovizioso, che
dopo due giorni difficilissimi, stava lottando alla
grande con Lorenzo per il secondo posto.
Ma alla prima curva del settimo giro, ecco l’ennesimo imprevisto: Dovi va un po’ largo, Pedrosa dietro
di lui sbaglia la frenata, lo sterzo rimbalza uno, due
volte, fino a quando si chiude. Dani cade e travolte
l’incolpevole Dovizioso, che cade rovinosamente.
Mentre sono nella sabbia, Pedrosa si scusa cento
volte, poi riparte e si ritira definitivamente al 13esimo giro. Torna ai box e, immediatamente, va nel
box Ducati a parlare con Dovizioso: i due si spiegano, si capiscono, si rispettano. Grande uomo
Pedrosa.
LORENZO E IANNONE SUL PODIO
Così, conquistare il secondo posto è stato un giochino da ragazzi per Jorge Lorenzo, reduce da una
caduta nel warm up.
«Sono partito bene, poi sono arrivato lungo alla
prima curva: faticavo oggi a frenare la moto quasi
in ogni curva. Ho passato Marquez al tornante, ma
subito sono finito largo: dopo la caduta nel warm
up ero un po’ a disagio, la pista oggi era insidiosa»
ha spiegato Lorenzo, che comunque conquista
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anche il secondo posto nel mondiale.
Terzo Andrea Iannone, scattato male dalla terza
fila, ma risalito con una bella progressione e un
po’ di sorpassi. «E’ il primo podio della stagione e
arriva dopo due gare difficili: lo dedico alla Ducati
e a tutto il team.
Avevo tanto dolore alla spalla e, in più oggi era difficile guidare e fermare la moto: ci voleva» si rallegra Andrea. Bravo Michele Pirro, ottavo, incoraggiante nono e decimo posto per l’Aprilia di Stefan
Bradl e Alvaro Bautista.
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GP AUSTIN, ORDINE DI ARRIVO
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CLASSIFICA MOTOMONDIALE 2016
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MotoGP
VALENTINO ROSSI
“MICHELIN, BELLE MA NON PERDONANO”
di Giovani Zamagni | Valentino spiega perché è caduto: “Dalla moto
non mi è sembrato di aver fatto nulla di strano: forse sono stato un po’
troppo interno e si è chiuso lo sterzo. Queste gomme sono così: la moto è
divertente da guidare, ma se sbagli vai a terra”.
Sulla frizione: “Bruciata in partenza, si stava riprendendo”
V
alentino Rossi lo dice chiaramente:
«Le Michelin non perdonano: se sbagli cadi. E io ho sbagliato». Una sintesi
perfetta, con un errore causato anche
da quanto accaduto in partenza, con il problema
alla frizione che poi Valentino si è trascinato fino
alla scivolata alla seconda curva del terzo giro,
mentre era in sesta posizione.
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«Purtroppo in partenza si è bruciata la frizione
e quando davo gas slittava moltissimo, in particolare in uscita dalla curva 11: ho dovuto parzializzare e mi hanno passato in tanti.
Quando avviene questo, le conseguenze sono due:
o si rompe definitivamente o, poco alla volta, si riprende. Per questo ho cercato di farla raffreddare
e, effettivamente, la situazione stava migliorando.
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Già nel secondo giro stava riprendendo ed ero lì
con Pedrosa e Lorenzo, non li volevo far scappare
e ho attaccato. Dalla moto non mi sembra di aver
fatto niente di sbagliato, ma, probabilmente ho
perso un po’ concentrazione, sono stato un po’ più
stretto, perché avevo Pedrosa a sinistra: ho sbagliato e sono caduto.
Peccato, perché ero competitivo, mi sentivo veloce: con le Michelin se sbagli non perdonano.
E io ho sbagliato».
Cosa ha determinato il problema alla frizione?
«Per qualche motivo che ancora non abbiamo
individuato, forse a causa del nuovo software,
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quest’anno fatichiamo di più in partenza: anche
in Argentina eravamo lì lì per bruciarla, qui è accaduto».
Può essere stato causato anche dai tempi insolitamente lunghi delle operazioni al via?
«Effettivamente, l’omino con il cartello ci ha messo
un bel po’ a uscire dallo schieramento di partenza,
ma in quel momento sei con la frizione tirata, non
credo sia stata quella la causa».
Ma cosa succede esattamente, qual è la conseguenza nella guida?
«Fino a metà gas, è tutto normale, poi la frizione
comincia a slittare e, ovviamente, perdi potenza.
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Insomma, un GP da dimenticare.
«Tutt’altro: direi che, caduta a parte, è stata la volta che sono stato più competitivo in assoluto ad
Austin, dove in passato ho sempre avuto difficoltà.
Mi piace guidare la moto con le Michelin, anche in
qualifica.
Certo, con le Bridgestone non si scivolava mai,
nemmeno se andavi largo o sbagliavi traiettoria di
un paio di metri: nel 2015 ero caduto tre volte in
18 GP, le stesse scivolate che ho già fatto nel 2016
dall’inizio dell’anno (test compresi, NDA)
E anche per Lorenzo è così.
Diciamo, però, che la situazione è più normale
MotoGP
adesso, era anomalo con le Bridgestone.
Non cadevo in gara da Aragon 2014: anche questo
è un dato significativo».
Così Marquez, che sembrava in difficoltà, è già
in fuga…
«E’ un campionato differente, vincerà chi non sbaglierà o farà pochi errori: Marquez fino adesso non
ha sbagliato e, in più, ha vinto due GP. Ecco perché
ha 33 punti di vantaggio».
La situazione è preoccupante?
«No, ma è chiaro che bisogna lavorare sulla messa a punto, migliorare il pacchetto per far lavorare
correttamente le gomme».
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GP AUSTIN PER DUCATI
IANNONE “TRATTATO COME UN CANE”
DOVIZIOSO “SAREI SALITO SUL PODIO”
di Giovanni Zamagni | Dopo il podio, il pilota di Vasto si toglie qualche
sassolino: “Nonostante tutto quello che mi è stato detto, non ho perso
velocità e concentrazione. Avete visto Pedrosa: quest’anno è facile
sbagliare”. Sicuro il Dovi: “Sarei salito sul podio”
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R
ide Andrea Iannone: dopo la caduta
all’ultima curva in Argentina, dopo
tutte le polemiche che ne sono seguito, un podio è la migliore delle medicine. «Dopo Termas me ne hanno dette di tutti
i colori: era importante reagire, non perdere la
concentrazione e la velocità che ho dimostrato di
avere fin dalla prima gara.
Diciamo che questo risultato è la risposta a tutto
quello che è successo».
In qualche modo, la tua condotta di gara è stata
condizionata da quanto accaduto in Argentina?
MotoGP
Nel warm up eri stato velocissimo, ma all’inizio
hai faticato parecchio?
«Al via sono stato prudente e moto attento, mi
sono anche preso due carenate e ho perso posizioni. Non mi sono però innervosito, ho mantenuto la calma in una situazione che era veramente
critica: era facilissimo commettere in errore».
Ma se Dovzioso e Pedrosa non fossero caduti,
avresti potuto salire ugualmente sul podio?
«Se si guardano i tempi, si vede che sono arrivato
a fine gara con lo stesso distacco da Lorenzo che
avevo dopo pochi passaggi, non ha guadagnato
nulla su di me, perché sono riuscito a tenere un
ottimo ritmo.
Sicuramente la loro caduta mi ha reso tutto più
semplice, ma ero veloce e stavo recuperando: me
la sarei giocata».
L' ncidente tra Pedrosa e Dovizioso.
Cosa ne pensi?
«Si è visto che è facile commettere un errore, che
non sono solo io a sbagliare.
Con le Michelin e con la nuova elettronica cambiano tutti i riferimenti e gli automatismi: a volte
ti viene da fare un’azione istintiva, che però non è
quella corretta».
DOVIZIOSO: “IN DUCATI SANNO
COSA STO FACENDO”
Ancora una volta, invece, Andrea Dovizioso deve
raccontare una grande gara, chiusa però con uno
zero in classifica.
E questa volta il Dovi ha anche rischiato di farsi
male. «In un certo senso sono stato fortunato: se
mi avesse preso più avanti con la moto, le conseguenze avrebbero potuto essere ben peggiori».
Rimane la soddisfazione di un’altra bella gara,
dopo due giorni molto difficili.
«Non siamo stati veloci in prova, ma in gara viene
fuori la realtà: poteva essere il terzo podio in tre
gare, sarei stato l’unico, con Marquez, a ottenere
un simile risultato.
Invece, per la seconda volta sono caduto non
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MotoGP
per colpa mia: non possiamo farci niente, se non
guardare agli aspetti positivi e ripartire, a Jerez,
da quelli».
Dopo le grandi difficoltà di fine 2015, puoi essere soddisfatto di quanto stai facendo.
«Risultati a parte, naturalmente, sono molto contento del mio inizio di campionato.
Oggi eravamo tutti al limite, non avevamo grip
sull’anteriore, bisognava solo essere fluidi.
Anche Lorenzo era in difficoltà e visto come ha
girato alla fine, me la sarei giocata per il secondo
posto. Alla peggio avrei finito terzo, comunque
sul podio, che sarebbe stato un grande risultato
in ottica campionato, perché credo che quest’anno vedremo tanti alti e bassi e bisognerebbe
sfruttare le situazioni favorevoli.
L’aspetto positivo è che lavoriamo bene in prova
anche se non siamo veloci».
Tu e Iannone vi state giocando un posto in Ducati per il 2017: quanto contano queste cadute
sulla riconferma?
«E’ logico che i risultati fanno la differenza, ma
tutti sappiamo cosa potevo fare, sono fatti, non
supposizioni.Dentro al box stiamo lavorando
bene e in Ducati lo sanno, bisogna guardare anche altri aspetti, non solo i numeri».
Perché in prova sei sempre più in difficoltà che
in gara?
«Credo ci sia modo e modo di guidare, per arrivare a certi risultati in gara lo devi fare nel modo
giusto al momento giusto, mentre in prova puoi
fare un tempo non dico casualmente, ma quasi».
Vai a Jerez con quale spirito?
«Positivo: è più facile accettare un brutto risultato quando sai di non aver colpa.
Non sono ancora contento al 100%, perché non
riesco ancora a guidare come mi piacerebbe, ma
posso dire la mia.
Abbiamo dimostrato di poterci giocare il podio,
ma non siamo ancora pronti per la vittoria. Ecco
perché dico che dobbiamo ancora lavorare
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MotoGP
Periodico elettronico di informazione motociclistica
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Andrea Iannone
E’ stato un GP di alti e bassi: dopo FP3 da
protagonista, ha faticato in qualifica; dopo un
warm up eccellente, in gara è stato meno brillante. Ma ha fatto il suo dovere e, obiettivamente,
non era facile reagire dopo una settimana difficile
e piena di critiche, che Andrea ha vissuto come
un fatto personale e non come la normale conseguenza di due errore importanti in due GP.
Un podio sicuramente importante, soprattutto
dal punto di vista psicologico.
Tenace.
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Valentino Rossi
Avrebbe potuto essere, di gran lunga, la sua
migliore prestazione ad Austin, invece il campione della Yamaha lascia gli Stati Uniti con il rammarico di un errore evitabile – come tutti gli errori -, ma anche con la consapevolezza di avere la
velocità per giocarsela.
L’anteriore Michelin, però, gli sta creando qual-
che problema in più del dovuto: bisogna correre
ai ripari. Tradito dalla frenesia.
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Andrea Dovizioso
In prova sembrava in difficoltà, ma in gara
era lì a giocarsela: nella sua analisi sarebbe arrivato almeno terzo, probabilmente anche secondo. Considerando il personaggio, c’è da credergli.
Sicuramente è meno spettacolare di altri, ma è
veloce e molto concreto.
Si dice che la sfortuna non esista nello sport, ma
è una regola che non vale per il Dovi. Paperino.
4
Dani Pedrosa
Il suo errore è stato evidente, ma non così
esagerato, anche se le conseguenze, purtroppo
sono state devastanti.
E’ in difficoltà, ma in gara non stava facendo male:
poi ha sbagliato, ma ci può stare.
E le sue scuse sono state immediate e sincere.
Brava persona.
LE PAGELLE
DEL GP D’ AMERICA
di Giovani Zamagni | Lode per Marquez, sbalorditivo. 8 a Lorenzo, non
esalta ma quando va male fa 2°; e 8 anche a Iannone che conquista un
podio importante. 4 a Rossi: errore evitabile
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Marc Marquez
Perfetto: non ha fatto nessun errore,
pur essendo (nettamente) il più veloce. Impressionante il venerdì: due giri e subito davanti con
tempi sbalorditivi. Qualcuno si avvicinava (si fa
per dire)? Lui “bam” subito un altro tempone:
avvilente per gli avversari. Ma anche sabato,
quando Lorenzo gli è arrivato a soli 69 millesimi
in qualifica sembrava avere la situazione ampiamente sotto controllo. E lo ha dimostrato in gara.
“Born in the USA”.
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8
Jorge Lorenzo
Va via da Austin con 20 punti importantissimi e il morale piuttosto alto, perché in un solo GP
ha dimostrato di tenere botta anche nelle situazioni difficili ed è tornato davanti al compagno di
squadra in classifica generale.
Dopo le qualifiche, sembrava addirittura in grado di giocarsi la vittoria e, sotto questo aspetto,
la sua prestazione non è stata esaltante: ma se
quando fai male fai secondo…
Concreto.
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4
Cal Crutchlow
In prova era andato bene, sembrava finalmente poter disputare una buona gara, invece è
caduto nuovamente. Povero Cecchinello.
4
Bradley Smith
Purtroppo ti accorgi che c’è per le cadute.
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HONDA RC213V
In accelerazione – dice Marquez – perde il
confronto con Ducati e Yamaha, ma nel complesso sembra competitiva, anche se è soprattutto il
pilota a fare la differenza.
Ma la gara di Pedrosa dice che non è poi nemmeno così male
9
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Maverick Vinales
Ha sbagliato la partenza (era decimo alla
fine del primo giro), ma poi ha fatto una bella rimonta e ha vinto una spettacolare battaglia con il
compagno di squadra, ottenendo il miglior risultato della Suzuki da quando è tornata a correre.
Manca qualcosina, ma è sempre lì. In evidenza.
7
Aleix Espargaro
Finalmente una gara all’altezza della sua velocità passata. E che bello vederlo lottare alla pari
con il compagno di squadra, considerato da tutti
come il futuro del motociclismo.
Ben tornato.
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Scott Redding
Non ha entusiasmato, anche se la posizione
finale è certamente positiva: non ha girato con
grandi tempi.
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5
6
MotoGP
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YAMAHA M1
Su una pista che in passato ha creato tante
difficoltà, questa volta è sembrata competitiva
ed efficace, come sempre equilibrata.
8
DUCATI DESMOSEDICIGP
Un fine settimana di alti e bassi, con qualche problemino tecnico che ha rallentato il lavoro. Rispetto alle rivali, qui è sembrata un po’ in
difficoltà nei cambi di direzione e in frenata.
8
SUZUKI GSX-RR
E’ in crescita costante e il suo telaio rimane
da riferimento. Manca ancor in po’ di potenza, ma
adesso, Ducati a parte, la differenza è minima
6
APRILIA RS-GP
E’ in crescita costante: per il momento va
bene così, le prime tre gare dovevano servire soprattutto per fare esperienza e conoscenza con
una moto che ha pochi mesi di vita.
Si spera che in Europa sia più vicina.
Pol Espargaro
Arriva al traguardo, ma va piano.
Michele Pirro
Ha faticato, ma era al debutto su questa pista difficilissima. Considerando che è un collaudatore, fa anche troppo
5
7
Hector Barbera
Lontanissimo dai migliori.
Stefan Bradl
Sta guidando bene, sfruttando al meglio il
materiale a sua disposizione. In questo momento, è un buon punto di riferimento per l’Aprilia.
6
Alvaro Bautista
Non fa male, ma sia in prova sia in gara
prende paga dal compagno di squadra.
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MotoGP
Video
DOPOGP CON NICO E ZAM
IL GP D’ ARGENTINA
Facciamo un po’ di chiarezza su uno dei più rocamboleschi GP degli
ultimi anni
I
niziamo dalle gomme: gomme che si sfaldano e Michelin che diventa protagonista assoluta del week-end di gara. Cosa è successo
a Redding? E i nuovi pneumatici come hanno cambiato i valori in pista rispetto allo scorso
anno? Marquez è da subito apparso il più forte
in Argentina, ma perché quando c’è poco grip le
HRC vanno così bene?
Ce lo spiega ovviamente l’Ing. Bernardelle. A Rio
Hondo abbiamo visto anche una Ducati molto
86
competitiva che poteva salire sul secondo e sul
terzo gradino del podio.
Iannone: giusto punirlo?
In casa Yamaha rimane da chiarire l’enorme differenza nelle prestazioni di Rossi nella prima e nella
seconda parte di gara.
Lorenzo scivola, problemi sull’umido o di concentrazione?
Bene Suzuki, Vinales scivola mentre si avviava
verso il secondo posto, ma la moto c’è!
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SPETTACOLARI DEL
GP D’ARGENTINA
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Superbike
DUCATI IN SUPERBIKE
AKRAPOVIC METTE LE ALI ALLA PANIGALE
di Carlo Baldi | Il nuovo impianto di scarico utilizzato ad Aragon garantisce
alla Panigale più potenza agli alti regimi ed una migliore erogazione. E lo
sviluppo della bicilindrica italiana non si ferma qui
C
haz Davies ha trionfato in entrambe
le gare disputate al Motorland Aragon
non solo per le sue grandi capacità e
per il fatto che nessuno come lui si trova a proprio agio sul tracciato spagnolo, ma anche
grazie ad una Panigale estremamente competitiva, che ora preoccupa la Kawasaki ed i suoi piloti,
ad iniziare dal campione del mondo Jonathan Rea.
A Borgo Panigale lo sviluppo della Ducati Superbike non si è mai fermato, perché l’obiettivo dichiarato è quello di riconquistare quel titolo mondiale
che manca nelle bacheche dell’azienda italiana dal
2011, quando Carlos Checa trionfò con la 1098R.
La 1199 Panigale R ora sembra non temere più i
lunghi rettilinei che hanno sempre rappresentato
un po il suo tallone d’Achille, e molto del merito va
alle nuove marmitte Akrapovic che hanno debuttato ad Aragon.
«Rappresentano il proseguimento del lavoro di
sviluppo dei terminali di scarico iniziato lo scorso
anno – ci ha dichiarato Ernesto Marinelli, direttore
del progetto Ducati SBK – e che ci aveva già consentito importanti miglioramenti».
«Con questo impianto di scarico Akrapovic a due
terminali utilizzato ad Aragon - ha proseguito Marinelli – disponiamo di una maggior potenza del
motore agli alti regimi e di una migliore erogazione che sia Davies che Giugliano hanno apprezzato. Siamo soddisfatti, ma il lavoro di sviluppo che
stiamo portando avanti con il nostro fornitore non
si ferma certo qui».
Aspettiamoci quindi ulteriori novità su di una Panigale sempre più competitiva. Gli avversari delle
bicilindriche italiane sono avvisati.
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Mondiale Enduro
EWC AGADIR
BELLINO E PHILLIPS PRIMI EROI
di Piero Batini | La nuova Enduro GP Class premia “ufficialmente” per la
prima volta gli… ufficiali Husqvarna e Sherco della E2, non a caso ancora
la classe regina del mondiale. A scalare le piccole serie di successi, colpi
di scena, sorprese del Gran Premio di Agadir
A
gadir, 10 Aprile. Un gran chiasso
all’incoronazione dei primi vincitori
della classe Enduro GP della Storia
e della stagione, Mathias Bellino sabato e Matthew Phillips domenica. Sono loro gli
eroi del primo week end mondiale dell’Enduro.
Logico, la GP Class è la grande novità ed è anche
l’attesa ufficializzazione del miglior risultato assoluto e del pilota che l’ha ottenuto.
Un momento: “assoluto”?
Sì, proprio assoluto.
Ma allora non c’è niente di nuovo, e la vera notizia è, semmai, che dopo dodici anni finalmente
riemerge, torna allo scoperto e alla luce del sole
quello che, nella storia dell’Enduro come di altri
Sport, è il riconoscimento ’”original”, primordiale
evidenza di primato quando le corse erano più
semplici e chiare.
Lo stesso riconoscimento che è diventato sempre più difficile da percepire da quando si è iniziato a creare il diversivo delle classi e delle categorie, con l’intento di premiare un maggior numero
di partecipanti e di incoraggiarli con un maggiore
“share” di gloria.
A dire il vero, la diversificazione ha avuto anche il
benefico effetto di accrescere i motivi di interesse e di spettacolo dell’evento e dei tornei.
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Ed ecco quindi che ritorna la Classifica Assoluta,
di fatto la grande novità regolamentare del EWC
2016, tredicesimo Enduro World Championship
dell’era Blanchard.
La proposta suggerisce una diversa chiave di
lettura delle gare del Mondiale, ma quello che
cambia sostanzialmente, anche dal nostro punto
di vista è che, contrariamente a quanto abbiamo
fatto nelle ultime stagioni, saremo autorizzati a
dichiarare i nomi dei migliori “assoluti” subito,
senza doverci mettere lì a ricostruire manualmente una classifica che ufficialmente non esisteva più, alla ricerca dell’autore della performance massima.
Agadir, Marocco, è l’idea di Alain Blanchard per
aprire in modo un po’ esotico, ma tutto sommato
pratico e senza strafare, un Mondiale interconti101
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Mondiale Enduro
nentale portandolo per la prima volta in Africa.
Il risultato è buono, solo “minacciato” dalla figuretta del Super Test inaugurale del venerdì, metà
con la luce e da metà sempre più verso il buio,
con gli inevitabili scompensi, le inevitabili critiche
e l’inevitabile annullamento della prova per le 3
classi “standard” e la GP.
Poco male, il mattino dopo tutto si è rimesso in
marcia nel modo corretto, e la gara è risultata
piacevole, combattuta e ben organizzata, e qualche errore di gioventù ad un Moto Club debuttante in un contesto senz’altro diverso dal solito si
può ben perdonare.
Le evidenze non sono mancate, così come felicità e delusioni, dispiaceri, belle sorprese e colpi di
scena, tanto che al termine del primo Gran Premio dell’Enduro 2016 è già possibile fissare alcuni punti di un certo peso.
Per esempio possiamo dire che il “defender” della E1, Campione in carica Eero Remes sull’italiana
TM, è partito in gran forma, ed è stato in grado
non solo di stabilire la prima doppietta del Mondiale nella classe di appartenenza, ma anche di
rendersi protagonista di un crescendo irresistibile che lo ha portato con la “piccola “ moto a podio
anche nella ben più difficile Enduro GP.
Il contraltare del GP di Agadir è la maledetta,
sfortunata prima giornata di Christophe Nambotin, l’asso di KTM, conclusa con la frattura del
quinto metacarpo della mano destra, e ti pareva,
la prematura conclusione del GP con l’inevitabile
ritiro di sabato, e l’incertezza incombente sulla
partecipazione al prossimo Gran Premio del Portogallo che dista da quello del Marocco una sola
settimana.
Nambotin è fortissimo, uno dei fuoriclasse più
strabilianti della nostra epoca, ma è davvero
sfortunato, e la sua stagione più delicata e, forse, più impegnativa con la “missione” di rappresentare quasi da solo KTM, parte subito in salita.
“Nambot” si è infilato suo malgrado in un tunnel
di disgrazie che ricorda un po’ quello, per fortuna
attraversato, di Johnny Aubert.
E a proposito del bi-Campione del Mondo della
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scorsa decade, come ci aspettavamo il suo avvio
di Mondiale è stato eccellente.
L’Aubert del sabato è stato irresistibile e “full” con
la vittoria della E3 e il secondo posto sul podio
della GP.
Il forse prevedibile calo di Aubert alla domenica,
ha per fortuna coinciso con l’esplosione dell’altro
pilota schierato da Beta, Steve Holcombe.
L’inglese scelto dalla marca toscana e da Fabrizio Dini ha “mimato” il sabato del collega Aubert
vincendo la classe e sfiorando il podio della GP.
Classe regina - lo “sospettavamo” tutti, no? - la
E2 ha espresso la “crema” della GP con un duello magnifico e di altissimo livello tecnico e agonistico tra il pilota ufficiale Husqvarna Mathias
Bellino, vincitore di entrambe le classi sabato, e
il neo ufficiale Sherco Matthew Phillips, l’australiano tornato tra le braccia di Fabrizio Azzalin che
domenica ha restituito fino all’ultimo centesimo
l’esatta somma al collega e rivale francese.
Fa bene vedere che Alex Salvini è subito lì, alle
spalle dei due forsennati del Gran Premio della
E2 del Marocco.
Il bolognese deve ancora completare il percorso
di affiatamento con il nuovo assetto tecnico di
Beta, dopo aver lasciato il Team RedMoto, ma ha
già messo in mostra una grinta invidiabile e che
fa ben sperare per il futuro italiano del Mondiale.
E chi invece ci fa come sempre ben sperare, ma
anche incrociare le dita, è Giacomo Redondi, al104
Mondiale Enduro
tra nuova “leva” del Team italiano Honda, che ha
dominato entrambe le giornate di gara della Junior, una sonora doppietta quindi, imponendosi
due volte di misura, ma preciso, proprio sull’avversario più quotato al totalizzatore della Junior,
Josep Garcia.
E rimanendo in tema di italiani, è senz’altro una
bella sorpresa il quinto di sabato e, soprattutto,
il secondo posto ottenuto domenica da Gianluca
Martini con la Kawasaki.
Una buona promessa è il secondo posto di sabato, e anche nel Mondiale provvisorio della E1, di…
Jamie McCanney, parliamo di un inglese ma pensiamo al fatto che milita nel Team Yamaha italiano di Massimo Migliorati.
Se pensiamo agli altri azzurri, beneficio d’inventario per Albergoni, Moroni e Battig, ma nella E1
ha stentato anche un asso della levatura di Ivan
Cervantes, nulla di serio da parte di Guarneri,
Philippaerts e Montanari, ma la E2 è veramente
esplosiva e richiede un po’ più di attenzioni, e non
c’è da spellarsi le mani nella E3 per Gritti e Oldrati, ma non lo faremmo neanche per uno come
Barragan che non è andato oltre, e preferiamo al
momento seguire con la solita ammirazione l’indomabile Monni.
Rimessi in moto i camion, si parte ora alla volta
delle Colonne d’Ercole, passate le quali si approderà in Portogallo, a Gouveia, per il secondo Gran
Premio dell’Enduro Mondiale 2016.
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Motocross
MXGP PATAGONIA
VITTORIE DI GAJSER E HERLINGS
di Massimo Zanzani | Gajser con un terzo e un primo posto si aggiudica
il GP di Patagonia. Alle sue spalle si piazza Cairoli con due secondi posti
nelle manche. Nella MX2 Herlings conquista il gradino più alto del podio
con una doppietta
G
araIl Mondiale cross continua a regalare emozioni e colpi a ripetizione
che rimescolano continuamente le
carte in tavola.
Tanto che al termine della quarta tappa iridata
grazie alla sua ottima prestazione concretizzatasi in un 1° ed un 3° posto e alle cadute di Romain
Febvre, Tim Gajser si è portato a soli tre punti dal
capoclassifica francese.
Quest’ultimo ha avuto una giornata completamente storta: all’abbassarsi del cancello della prima manche è rimasto chiuso tra Gajser
e Jeremy Van Horebeek perdendo lo spunto e
trovandosi attardato in mezzo a gruppo, e nella
bagarre del primo giro è finito a terra ripartendo
oltre metà gruppo da dove è rinvenuto sino alla
6ª piazza.
Nella successiva si è agganciato con Shaun Simpson ed è di nuovo caduto, ma questa volta la
sua rimonta è stata più remunerativa tagliando il
traguardo 3° staccato di quattro secondi da Tony
Cairoli.
Il messinese ha firmato la sua migliore prestazione stagionale affiancando al posto d’onore della
seconda manche quello ottenuto in apertura,
confermando come il suo lungo e sofferto cammino verso il recupero fisico e quello del ritmo di
gara sta continuamente migliorando.
Il 3° gradino del podio è andato a Max Nagl, che
ha confermato di gradire in modo particolare il
circuito argentino vincendo la prima manche, anche mentre nella seconda ha preferito non forzare visto il ritmo notevole e le condizioni deteriora106
te del fondo accontentandosi della 5ª piazza.
Giornata di alti e bassi per Evgeny Bobryshev,
protagonista di una spettacolare caduta nella
manche di chiusura dopo la 4ª posizione ottenuta in apertura, che lo ha relegato al 7° posto
assoluto dietro a Jeremy Van Horebeek e Glenn
Coldenhoff.
MX2
Ennesima corsa solitaria per il Re della MX2 Jeffrey Herlings, che ha relegato come al solito oltre
30 secondi al suo avversario più diretto.
Nella prima manche gli è terminato alle spalle
Max Anstie, che successivamente si è ritirato
per noie tecniche mentre era 2°, nell’altra il consistente svizzero Jeremy Seewer che sommando
la 4ª posizione ottenuta in Gara 1 si è aggiudicato
il posto d’onore di giornata davanti al russo Alex
Tonkov. Fantastico 4° posto per Samuele Bernardini, che gara dopo gara alla manetta sta aggiungendo un’ottima strategia di gara.
Il campione europeo ha sfruttato le sue solite
partenze razzo come trampolino di lancio di due
manche grintosissime che lo hanno visto terminare prima 5° e poi 6°, tanto da trovarsi ora in 7ª
piazza nella graduatoria iridata.
LEGGI LE CLASSIFICHE
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SX U.S.A.
AMA SUPERCROSS
ROUND 13: INDIANAPOLIS
Il vantaggio di Dungey sale a quota 45. Plessinger in 250 vince e porta a
10 punti lo svantaggio da Stewart
G
ara tiratissima quella di Indianapolis, con Dungey e Roczen capaci di
dare vita ad uno scontro spettacolare ed incerto fino alla fine. Dopo le
sfuriate iniziali di Alessi, Pourcel e Tomac, la gara
ha vissuto tutta sul confronto fra i due protagonisti della stagione 2016.
Un determinatissimo Dungey ha preso subito la
testa della gara, ma una pista rapidamente deteriorata gli ha impedito di prendere vantaggio
sull’inseguitore, e dal terzo giro in avanti gli scontri fra i due alfieri KTM e Suzuki hanno vivacizzato quella che per molti è la gara più spettacolare
della stagione finora.
Duelli, doppiaggi ed errori dell’uno o dell’altro
hanno reso incerto l’esito della corsa.
Solo al sedicesimo passaggio Roczen, appena
conquistata la prima posizione per un errore di
Dungey, ha commesso a sua volta una sbavatura
che ha permesso al campione in carica di ripren-
Video
108
dere la testa della gara senza più lasciarla nonostante gli sforzi del rivale.
Ma per dare un’idea del livello, i due hanno concluso con 27 secondi di vantaggio sul resto della
corsa. Dungey si è così aggiudicata la settima
vittoria stagionale, la ventinovesima in carriera
nella classe regina e – coincidenza – il ventinovesimo podio consecutivo.
Ryan ha così aumentato ulteriormente il suo
vantaggio in classifica generale portandolo a 45
lunghezze su Roczen e a 63 su Anderson, installandosi tra l’altro al sesto posto della classifica di
vittorie nel Supercross di tutti i tempi.
«Ecco perché lavoriamo tanto duro nel resto della settimana, per dare vita a spettacoli come questo» ha commentato un entusiasta Dungey, alla
terza vittoria consecutiva ad Indianapolis.
«Non è stato facile, ma abbiamo lottato fino alla
fine: ho guidato al limite per tutta la gara, ma per
fortuna avevo azzeccato la partenza ed è stato
questo che mi ha permesso di stare davanti e
vincere».
Roczen, all’ottavo podio della stagione, ha preceduto Anderson, anche lui protagonista di una
serie positiva con tre podi consecutivi.
In 250SX è arrivata la vittoria di Plessinger, già
in testa al primo giro della sua gara di casa dopo
l’holeshot di Gannon Audette.
Plessinger e Stewart hanno fatto un’altra gara rispetto al resto dello schieramento, con Audette,
Davalos e Jeremy Martin in lotta per la terza posizione sul podio alla fine conquistata da Audette
dopo diversi colpi di scena.
Nelle ultime tornate Plessinger ha preso vantaggio, andando a vincere con 10 secondi su Stewart
e risultando così il quinto diverso vincitore in cinque gare. Stewart ha mantenuto il suo primato in
classifica grazie al secondo posto, anche se con
soli 10 punti su Plessinger.
Davalos, solo quinto, è terzo in generale con 25
punti di distacco.
LEGGI LE CLASSIFICHE
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CAPO REDATTORE
Edoardo Licciardello
REDAZIONE
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Maurizio Tanca
Cristina Bacchetti
Marco Berti Quattrini
Aimone Dal Pozzo
Francesco Paolillo
COLLABORATORI
Nico Cereghini
Giovanni Zamagni
Carlo Baldi
Massimo Zanzani
Piero Batini
Antonio Gola
Enrico De Vita
Ottorino Piccinato
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GRAFICA
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Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003
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