Prima dell`inizio... Venticinque Dicembre. Sono

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Prima dell`inizio... Venticinque Dicembre. Sono
Prima dell’inizio...
Venticinque Dicembre. Sono passati una quindicina
di giorni dal mio diciottesimo compleanno, trascorso,
come da copione, a sbronzarmi e a fumare cannoni. Mi
chiamo Max. Sono un ragazzo sull’uno e ottanta, capelli biondicci, occhi verdi. Ho una corporatura abbastanza atletica. Purtroppo sono anche un giovane perennemente infelice. Ce l’ho con il mondo intero. E
con i miei diciotto anni nulla è cambiato naturalmente,
sempre la stessa melensa musica. Questa è la mia storia.
Mi trovo in un facoltoso liceo di Los Angeles (qui
studiò tra gli altri Morgan Freeman). Per come si era
messo, a molti, sarebbe apparso un Natale di merda;
tuttavia, per me la situazione venutasi a creare, anche
se così amorale per la comunità, rappresenta francamente una sorta di liberazione: ritornare a casa ha un
sapore amaro, significa, infatti, vedere mia madre depressa, e soprattutto incapace di reagire, ancora oggi, a
quella ormai lontana separazione. I miei si separarono
tre anni fa. Di consensuale, forse, ci fu solo il bisogno
di porre fine a uno strazio, ai continui litigi, a un connubio d’amore conclusosi da tempo. Un connubio?
Non ricordo nulla di ciò nei meandri delle mie memorie. L’empatia, l’amore, se mai ci furono, non avevano
lasciato traccia su lui. Mio padre la lasciò per un’altra
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Massimiliano Bellezza
donna e lei non è ancora riuscita a riprendersi del tutto,
anche se chiaramente l’adesso non è nulla in confronto a quei primi mesi di solitudine. Ma gli strascichi
sono ancora visibili, lo garantisco, basterebbe soffermarsi a sentire i suoi prolungati pianti notturni. Nonostante non mi trovi a casa, lo so che non sono cessati, i ricordi spiacevoli che ha strenuamente tentato di ricacciare nel dimenticatoio con tanta fatica ritornano
alla ribalta quando è maggiormente indifesa... di notte.
Povera donna, il giorno prima (fu un martedì, lo ricordo ancora), tutto pareva così di routine, un copione già
scritto. Poi, la confessione pesante come un macigno.
Dopo, ogni cosa sembrava sfuggente, irreale, come in
un brutto sogno. Il suo viso diceva: perché proprio a
me? Sa bene, non è mica stupida, che tante coppie arrivano con estrema facilità alla separazione, ma non
avrebbe mai creduto potesse capitare a lei. Personalmente la credevo molto più forte. I mesi successivi furono un inferno, quasi non parlava. Poi arrivò un’altra
bella stoccata, pesante quasi quanto quell’abbandono:
la perdita del lavoro di insegnante che tanto amava e di
cui era davvero orgogliosa. Al ritorno da scuola la trovavo spesso seduta a tavola con lo sguardo fisso, inespressivo, rivolto all’omaggio floreale di un’amica,
mentre giocherellava con le dita, chiaramente con la
testa in un altro luogo. All’inizio provai a scuoterla con
un saluto o frasi del tipo: ‘Allora io vado sopra a studiare mamma...’. Parole pronunciate in modo un po’
sostenuto, quasi fosse ben più lontana dei pochi metri
che ci separavano. Col tempo però, non sortendo effetti a parte i lenti e impercettibili movimenti del capo,
entravo e salivo tristemente in camera dicendomi: ‘È la
solita lurida menata’. Furono mesi lunghi e sfiancanti
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Destino crudele
che non vorrei rivivere per nulla al mondo e augurare
a nessuno. Comunque, alla fine mia madre riuscì a
reintegrarsi nel ruolo di insegnante grazie a un’amica
direttrice didattica in una scuola media, ma non senza
fatica, visti gli oltre sei mesi di assenza. Devo proprio
dire un immenso: ‘GRAZIE papà per tutto questo’.
Non si fece sentire almeno per due mesi, forse anche
tre – adesso non rammento molto bene – dopo quel fatidico giorno, per discutere di alcune questioni inerenti la separazione – gli alimenti, l’affidamento – e non
per sincerarsi delle condizioni psichiche, emotive di
mia madre o di come mi sentivo io. Lei stava ancora
molto male, era poco lucida, e io fui fortunato a non finire nelle grinfie di mio padre. In verità si disinteressò
a me, questo la dice lunga su che razza di uomo sia. Su
una cosa non si defilò, diciamo pure che gli fu imposta
(la legge è uguale per tutti): il bastardo paga per lo
meno la mia istruzione, è lui il ricco fottuto d’altra
parte, e con le sue ‘sovvenzioni’ facciamo una vita più
che dignitosa. Mio padre è un consulente, di cosa esattamente non so, e in realtà non è che mi sia mai importato un granché. Il lavoro lo porta continuamente in
giro per gli Stati Uniti. Se andava bene lo vedevo una,
massimo due volte al mese. Non ho mai saputo chi
fosse davvero mio padre e quanto realmente volesse
bene a mia madre. Non li ho mai visti scambiarsi un
bacio, una carezza o anche solo un qualsiasi gesto fugace che facesse intravedere il loro amore. Niente:
anni di completo nulla. E il sesso poi, forse il tasto più
dolente, meglio lasciar perdere: naturalmente buio assoluto. Certo, non so che diavolo combinavano quando ero fuori casa. Ma (che cazzo!) se quando era in
zona faceva sempre le ore piccole e mia madre ad
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aspettarlo come una cretina, bisogna essere più che ottimisti per pensare che tra di loro ci fosse un briciolo
di intimità. Forse i suoi viaggi d’affari furono pretesti
per sbattersi chissà quante altre donne, non ne sarei affatto stupito. Guarda un po’ che strano, non parlava
mai di lavoro a casa. Un’attività talmente gratificante
– a suo dire – che non ti va di menzionarla, di rendere
partecipe la famiglia dei tuoi successi? Ma a chi vuole
darla a bere. Diceva che doveva discutere di lavoro già
tutto il santo giorno, era nauseato. A me sembra un po’
una contraddizione. Okay, sorvoliamo sul lavoro allora: a tavola non si parlava di nient’altro, regnava un silenzio di tomba. Mi ha mai chiesto come andava la
scuola? Se procedeva bene e soprattutto se ci andavo?
Come stavo e vivevo la mia adolescenza? NO. Troppo
impegnato (in apparenza) per preoccuparsi di come
cresceva suo figlio – suo figlio dannazione! – di cosa
frullava nella sua testolina. Tra noi non ci fu il benché
minimo dialogo. Ma ormai, chi se ne frega. Quei momenti dovrebbero essere un lontano ricordo. Purtroppo
però pare che non lo siano affatto: certe notti, ancora
adesso, mi tengono sveglio...
Ecco perché quanto successo è arrivato come una
panacea; tuttavia non è stato in alcun modo cercato o
voluto astutamente, è capitato e basta.
Due giorni fa io e la mia ragazza, Amanda, abbiamo avuto la brillante pensata di fottere nei cessi della
scuola dopo la fine delle lezioni. Il caso ha voluto che
il preside ci sorprendesse sul più bello. Non so per
quale malato motivo si trovasse là, benché sia facilmente intuibile, è risaputo infatti che io non godo di
gran stima qui al liceo. Sto con una delle ragazze più
carine e questo infastidisce molti. Non è tollerabile:
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‘uno di fuori che si prende le nostre ragazze.’ ‘Non sia
mai, è un estraneo.’ Quindi sarà stato qualche gran
simpaticone compagno di classe a fare la soffiata: “Signor preside vada nei cess... oh, mi scusi, gabinetti e
vedrà che spettacolo.” Vi lascio immaginare le conseguenze. Tutti e due di corsa nel suo ufficio. Ci ha rincoglionito con i soliti discorsi: l’etica scolastica, il pensiero dell’opinione pubblica se si viene a sapere e potrei continuare all’infinto. Siamo stati trattenuti per
due ore!... Comunque. Per punizione ci ha impedito di
tornare a casa per il Natale, cosa che mi lascia indifferente se non fosse per la seconda clausola obbligatoria,
ossia: durante le vacanze dovete presentarvi a scuola
ogni giorno e restarci come fosse una normale giornata di lezione. Aggiunge: mi accerterò che eseguiate le
mie disposizioni naturalmente. Bastardo! Di tutto questo mi è spiaciuto solo per Amanda, lei almeno ce l’ha
una famiglia felice. Per quanto mi riguarda meglio
così. Ricordo ancora la prima volta che l’ho vista. Mi
ha colpito subito, così bella e diversa, dai lucenti capelli biondi lunghi fino alle spalle e gli occhi del colore dell’oceano. Studiosa al punto giusto, noncurante
degli stupidi tabù che la società ci propina e che la
maggior parte dei genitori accetta con tacito assenso.
Non parlo di me naturalmente. Mio padre non c’era
praticamente mai e mia madre ha fatto quello che ha
potuto. Quindi i discorsi ‘scomodi’, vergognosi, a
detta di alcuni, non erano taciti a casa mia, in realtà
non ho mai avuto coscienza che esistessero i simpatici
tabù. Forse in fondo è meglio così. Crescere liberi e
decidere con la nostra testa cosa condividere o no delle
pantomime sociali.
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