Compassione, misericordia e tenerezza

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Compassione, misericordia e tenerezza
Compassione, misericordia e tenerezza
La “poetica” del vangelo
Marcial Maçaneiro, scj
1 Dare e ricevere il perdono. Sbagliare ed essere accolto cordialmente
quando si ritorna. Chiedere aiuto senza avere bisogno di umiliarsi. Avere
qualcuno a cui raccontare le proprie sfortune. Sapere di aver traviato ed avere
l'opportunità di riparare. Non aver bisogno di nascondere le proprie ferite
sotto lo sguardo compassionevole dell'altro. Festeggiare l'emancipazione
dalla schiavitù. Avere amici e recitare a memoria i loro nomi senza paura.
Essere visitato quando ammalato o prigioniero. Sentirsi sinceramente
accettato dagli altri. Avere un indirizzo sicuro al termine dei viaggi. Essere
consolato nell'afflizione. Ricevere la difesa della verità quando giudicato
ingiustamente. Trovare riparo nelle ore di tempesta. Sedersi a tavola e
condividere il pane. Provare affetto. Liberarsi dai dolori. Curare i rimorsi.
Essere trattato con dignità, anche nella povertà. Sentirsi amato, con tutto e
nonostante tutto. Così è l'esperienza della misericordia: rigeneratrice,
paziente, gratuita, gioiosa. Perché è sempre e fondamentalmente una
esperienza d’amore: amore in atto di liberazione, in atto di cura, in atto di
salvezza. In modo tale che l'inno della carità di 1Cor 13 potrebbe essere
intonato alla misericordia, specialmente quando questa procede da Dio.
2 Mentre la compassione, la misericordia e la tenerezza si allargano e si
dividono nelle variazioni di innumerevoli lingue, si abbracciano e si
concentrano nell’esperienza umana – c’è una frontiera ristretta quando si
tratta di amore. La compassione, la misericordia e la tenerezza sono
distribuite fra loro, formano un'alleanza con la misericordia, la giustizia e la
solidarietà e, come questa, cooperano mutuamente nella costruzione di
un'umanità riconciliata e felice. È quello che si è verificato nelle pagine della
Bibbia, nella voce dei mistici, nell'osservazione profonda della psiche, nella
protesta delle arti e nella cultura drammatica della storia – sempre a caccia di
occhi capaci di discernimento.
1. COMPASSIONE: AFFETTO CHE MOBILITA
3 La compassione è generalmente sperimentata come un “sentire con
l'altro” di fronte alle sue sofferenze. Tuttavia, ciò che caratterizza non è solo
questo affetto specifico (affectus), ma il movimento che esso causa (motus).
Perché si tratta di un “sentire con” che costringe, mobilita e coglie le
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“motivazioni” nel senso originale di moto o movimento. Infatti, la
compassione posa lo sguardo e il cuore sui dolori dell'altro, facendo di
quest’altro non un estraneo, ma un vicino. È un sentimento che muove
all'incontro, che motiva affettivamente un approccio effettivo. I testi biblici
raramente dicono “sentire compassione”; ciò che sottolineano è “muoversi a
compassione” (Es 3,7-8; Os 11,8; Lc 10,33; Lc 15,20; Mc 6,34).
4 Colui che compatisce fa riferimento alla preposizione com che esprime
questo aspetto nelle lingue neolatine: com-patire, com-passione, dal latino
compatire. In tal modo l’affetto esprime la situazione di mancanza dell'altro,
avvicinandosi al soggetto che soffre. Gli affectus, senza questo motus non
sarebbero compassione. Perciò la compassione favorisce la pratica della
misericordia, essendo un sentire che muove alla solidarietà. Dal sentire al
praticare, la compassione si mette in moto e si fa opera di misericordia. Senza
la misericordia, i motus affettuosi della compassione sarebbero un sentire
sterile ed incompleto, che non raggiungono il loro significato. Mentre, senza
compassione, la misericordia perderebbe il suo affetto, la dissociazione del
cuore e la motivazione, unilateralmente, per la superiorità di colui che aiuta
il bisognoso, visto come inferiore.
Compassione, la misericordia e la giustizia
5 Di fatto, la compassione realizza una “vicinanza solidale”, come abbiamo
dedotto dal prefisso com della sua versione latina (com-passio) e greca (synpathos). Tanto com che syn sottolineano una reciprocità che mette di fronte
colui che offre e colui che riceve la compassione. Perché anche se la
situazione di mancanza li distingue, l'umanità che condividono è la stessa.
Diversamente dal caso di Dio che agisce con la distinzione della grazia:
essendo lui Dio, compatisce realmente l'umanità, senza rinunciare alla sua
divinità avvicinandosi a noi per gratuita benevolenza. Fatto estremo e
paradossale di questa divina compassione si constata nell'incarnazione,
passione e risurrezione del Verbo, Gesù di Nazareth: la misericordia divina
assume storicamente la povertà umana, per elevare l'umanità alla comunione
con Dio. Così, la compassione divina si mostra chiaramente nel mysterium
pietatis che ci ha donato la libertà e la dignità di figli di Dio (cf. 1Tm 3,16).
6 Diversamente dalla lingua greco-romana, i termini ebraici per designare,
“la compassione” appaiono, a loro modo, molto suggestivi. I loro radicali
linguistici indicano una relazione efficace tra Dio e l'umanità: relazione di
Alleanza che muove il cuore di Dio ad aiutare e liberare il suo popolo. Per
questo l’ebraico privilegia il termine rehem (l'utero, viscere) per indicare
l'amore compassionevole di Dio, capace di “ricreare” o essere amato a
somiglianza della generazione materna. Altre volte appare hesed – grazia o
favore immeritato, che dispone il cuore divino al perdono delle mancanze e
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dei debiti umani. Rehem e hesed esprimono la cura amorosa di Dio per noi,
suoi figli e figlie.
7 Il Nuovo testamento usa la parola greca éleos– pietà, compassione o
benevolenza – da cui deriva il verbo eléison: “avere misericordia”. È
l’invocazione che l'umanità eleva a Dio, come si intona nella liturgia ebrea
(rahém alêinu) e cristiano, in Oriente (eléison hymas) e in Occidente
(miserere nobis).
8 Nelle relazioni fraterne, la compassione muove il soggetto verso il
prossimo misero e bisognoso, aprendo le porte della solidarietà. Tale
comportamento differenzia l'uomo giusto (pio) dell'ingiusto (empio). Infatti,
la misericordia è collegata più alla giustizia che al sentimento di pena o di
pietà. Se il Diritto tarda nell'aiutare gli afflitti, la compassione ci spinge
sollecitamente a loro, favorendo le opere di misericordia. Così, la
compassione si pone prima della Legge e garantisce che il bene sia fatto, a
cominciare dal più carente. La compassione, la misericordia e la giustizia
vanno insieme.1
Per una “lectio divina” della compassione
9 In Mc 6,30-44 (scena della prima moltiplicazione dei pani) la
compassione di Gesù è presentata con colori forti e dinamici. Tutto comincia
con la sua sensibilità: più che il maestro, lui è l'amico attento alle necessità
dei discepoli. Li vede stanchi e sfiniti. Poi li invita, con lui, ad andare in un
luogo deserto, all’altra riva del lago per riposare. Qui, nel deserto, vicino
all’acqua e al riposo, offerto da Cristo - ci dona il riposo sabbatico, in
parallelo con Mt 11,28: “Venite a me voi tutti che siete stanchi ed oppressi
ed io vi ristorerò”. Gesù è il nuovo Mosè che, come pastore, guida il popolo
nel deserto, attraversa le acque e li porta a riposare (cf. Sal 95,7-11).
10 Questa sensibilità di fronte alla fatica dei discepoli denota la compassione
di Gesù, presente nel suo cuore. Poi letteralmente si commuove quando
giunge la moltitudine dei poveri ed ammalati, arrivando dalle rive di
Tiberiade di fronte a lui e ai discepoli: “Appena sbarcati, essi videro una
grande folla e fu preso da compassione per loro, perché erano come pecore
1 Nel Giudaismo, Isaia avverte che il digiuno che piace a Dio è quello che è accompagnato
dalla pratica del diritto verso i poveri, gli oppressi, gli affamati e i diseredati (Is 58,1-12). Nel
Cristianesimo, oltre il Vangelo, San Giacomo esige la misericordia per le persone bisognose
e la giustizia per i salariati (Gc 2 e 5). Nell’Islam, vale la pena di ricordare questo bel passo
dell'Al-Qurân: “La misericordia non consiste nel voltare la faccia all'Est o all’Ovest.
Misericordioso è colui che ha la fede in Dio, nel giudizio, negli angeli, nel Libro e nei profeti;
che, per amore verso Dio, dà i suoi beni ai genitori, agli orfani, alle persone bisognose, ai
pellegrini e ai mendicanti; colui che libera gli schiavi, recita le preghiere e dà l’elemosina ai
poveri; colui che porta a termine i suoi doveri, sopportando avversità, sfortune e pericoli. Così
sono i credenti e i misericordiosi” (Sura 2,177).
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senza pastore. E cominciò ad insegnare loro molte cose” (v. 34).
L'espressione “preso da compassione” = esplanchnísthe in greco, equivale al
rahamin israelitico: commozione viscerale (cf. Os 11,8). È un affetto
profondo che viene dalle viscere (o utero) e si trasmette ai gesti. Ma quale
senso esterno attiva? – Gli occhi: Gesù vede la moltitudine e le sue viscere si
commuovono. Lo sguardo attiva la seconda sfera della compassione in Gesù
che favorisce il popolo con la sua parola di salvezza: “E cominciò ad
insegnare loro molte cose” (v. 34b).
11 L'insegnamento però non basta. Viene la notte e il popolo affamato ha
bisogno di cure. Gesù interroga i discepoli, raccoglie il popolo in gruppi,
prende pani e pesci, rende grazie a Dio, da inizio all’azione e sazia la folla
(v. 37-44). Ecco la terza sfera della compassione: il dono del cibo. Intanto il
“luogo deserto” (v. 35) si colora di “erba verde” (v. 39): il cambio nello
scenario mostra Gesù come il pastore che conduce il gregge a verdi pascoli,
dove può mangiare e riposare (il cf. Sal 23,2; Gv 10,3). Dove c’è
compassione, c'è azione; e dove accade l'azione, la vita ringiovanisce, come
l’erba che germoglia in mezzo al deserto!
12 Un altro testo segnato dallo sguardo compassionevole è Lc 7,11-16 (Gesù
risuscita il figlio della vedova di Naim). Davanti alla desolazione di quella
donna, vedova con suo figlio morto, Gesù compatisce e si mette in azione.
Quattro verbi danno il ritmo alla scena: Gesù vede, si avvicina, tocca e ridà
vita (v. 13-15). Vedendo la donna, si commuove e la conforta. Poi si avvicina
al giovane morto. Tocca la bara e lo richiama alla vita: “Giovane, io ti ordino,
alzati!” (v. 14). Il fatto straordinario ispira paura e gioia nella gente che
glorifica Dio e dice: “Un grande profeta è apparso tra noi e Dio ha visitato il
suo popolo!” (v. 16). Nella Bibbia, Dio visita il suo popolo molte volte,
soprattutto durante le notti del dolore, della schiavitù e della morte, per
curare, liberare e ripristinare la vita (cf. Gn 18,1; Es 3,7-8; Sal 80,14; Lc
1,43). Gesù è la compassione di Dio che visita l'umanità: “Grazie alla bontà
misericordiosa del nostro Dio per cui ci ha visitato dall’Alto un sole che sorge
per illuminare quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte e
guidare i nostri passi sulla via della pace!” (Lc 1,78). Infatti, visitare chi
soffre è un’opera di misericordia (cf. Mt 25,36; Gc 1,27).
13 Infine, abbiamo l’esempio del buon Samaritano (Lc 10,29-37). Di nuovo,
la compassione è nata con lo sguardo. Passando il Samaritano vide un uomo
ferito, caduto all'orlo della strada pubblica: “Gli si avvicinò, lo vide e si
mosse a compassione” (v. 33). Nella sequenza, sei gesti danno ritmo della
compassione del Samaritano verso l’uomo ferito: si avvicina, pulisce le ferite,
lo mette sul suo giumento, lo porta all’albergo, se ne prende cura, provvede
al trattamento con l'albergatore. La compassione mobilita: dallo sguardo
compassionevole germogliano gesti di misericordia. Anche se il Samaritano
è una figura del Messia, Gesù conclude ordinando ai suoi seguaci: “Va’, e fa’
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anche tu lo stesso” (v. 37). Così, la compassione e gli impegni che ne
derivano diventano la missione per i discepoli del Signore.
Il “vedere” – senso della compassione
14 Nella sua prima lettera, Giovanni dice che noi annunciamo “quello che i
nostri occhi hanno veduto” e “ciò che le nostre mani hanno toccato” (1Gv
1,1). Infatti, il kerigma non è annuncio di una mera conoscenza (gnose), ma
di un amore sperimentato, riconosciuto e vissuto, a partire da Gesù Cristo
(agape). Così, lo sguardo ed il toccare si confermano, nella Bibbia e
nell'esperienza quotidiana, come la sede della compassione (la vista) e della
misericordia (il tatto). Se il cuore è la sua sede interiore, i sensi sono la sua
sede esteriore e tangibile, facendo così del corpo un sacramento di tenerezza
per il prossimo.
15 Nel caso della compassione, il senso è l’occhio (vedere). Jahweh vede
l'afflizione del popolo e viene in suo soccorso (Es 3,7-8). Gesù vede la
persona che soffre e si muove a compassione (Mt 9,18-34; Lc 7,13); pone lo
sguardo sul giovane, capisce la sua inquietudine e lo ama (Mc 10,21).
“Appena sbarcato, Gesù vide una grande folla e, preso da compassione, guarì
i loro malati” (Mt 14,14). Il Samaritano vide e si mosse a compassione (Lc
10,33). Alzando gli occhi, Gesù vide Zaccheo e gli propose di fare cena con
lui (Lc 19,1-10). Vedendo dieci lebbrosi, Gesù li guarisce (Lc 17,14). Dopo
il rinnegamento dell'apostolo, Gesù guardò dolcemente Pietro preparando il
suo perdono (Lc 22,61). Vedendo il figlio che ritornava, il padre gli corse
incontro e lo abbracciò (Lc 15,11-32).
16 Lo sguardo favorisce la compassione e i suoi frutti, come la benevolenza,
il perdono e la guarigione. Noi dovremmo educare il nostro sguardo per
essere compassionevoli. Il Vangelo ci insegna questo: Lc 7,36-50 mostra il
contrasto fra Gesù che vede la donna e la capisce, e Simone che ha gli occhi
bendati dal legalismo farisaico. Lui non la perdonava, perché era incapace di
vederla realmente. Egli vedeva solo il suo peccato, ma non vedeva la sua
contrizione. Allora Gesù interroga Simone, provocandolo: "Vedi questa
donna?" (Lc 7,44). È qui l'appello del Vangelo a tutti noi, Cristiano e
Cristiana: volgiamo uno sguardo di compassione alle persone? Non per caso,
l'Evangelista Giovanni insiste che noi guardiamo al Cristo trafitto – icona
dell’umanità ferita dal dolore, dalla violenza, dalla povertà e
dall’oppressione: “Guarderanno a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37).
2. MISERICORDIA: TOCCO CHE RIGENERA
17 Se la compassione è un sentire solidarietà che ci mobilita verso l’altra
persona in necessità, la misericordia si caratterizza come azione, gesto o
iniziativa che porta a termine questo sentire solidale verso l'altro. Nella
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compassione noi abbiamo un sentimento che mobilita (motus); nella
misericordia noi abbiamo l'esercizio di questo sentimento (opus). Da qui i
verbi portare a termine, mostrare, fare ed agire che esprimono l'efficacia
dell'amore misericordioso umano e, soprattutto, divino (cf. Es 20,6; Sal 85,8;
Lc 1,72 e 10,37). La misericordia ha un carattere evidentemente operativo:
amor in actu salvationis – così lo definì Giovanni Paolo II: “amore in
esercizio di salvezza”.2 Se l'amore è la qualità essenziale di Dio (proprio
dell’essere divino); la misericordia è questo stesso amore esercitato verso la
creatura umana, rivelando la qualità attiva di Dio (propria dell’agire divino).
18 Così, la misericordia si mostra molto più nell'esperienza che nella
speculazione teologica, catechetica o spirituale. Dicendo in altro modo: i
concetti, in questo caso, sono figli dell'esperienza. Se il latino (e parte delle
lingue latine) intende la misericordia come “un cuore rivolto ai miserabili” è
perché l'esperienza ha fatto capire questo senso, cominciando da tutti i
mendicanti, aiutati da generose iniziative. Anche se la parola può essere bella
e affettuosa, la realtà della misericordia non è la poesia, ma la solidarietà; il
suo organo vitale non è il cuore, ma sono le mani.
Amore coinvolto ed efficace
19 Alla luce di questo carattere efficace, possiamo esaminare la semantica
della misericordia nella Bibbia.3 Vi sono in particolare tre termini: “la grazia”
(hesed in ebraico, éleos in greco); “le viscere” (rahamin in ebraico,
splanchna in greco); “la pietà” (hannun in ebraico; oiktirmós in greco).
 Il termine grazia proviene dalle esperienze del favore divino, quando
Dio soccorre ed aiuta la persona, nonostante il suo peccato e il suo
demerito. Cosa motiva questo amore gratuito e favorevole di Dio?
La sua radicale paternità: “Con affetto, perché tu sei nostro padre.
Poiché Abramo non ti riconosce e Israele non si ricorda di noi, tu
Signore sei nostro padre” (Is 63,16).4 Dio rimane “il padre”,
nonostante le deviazioni dei suoi figli e figlie. Li ama con amore
eterno e, per questo, insiste nel perdonarli e nel riproporre la sua
alleanza (Ger 31,31-34).
 Il termine viscere proviene dalla esperienza di rigenerazione (nuova
gestazione e nuova nascita), a somiglianza dell'amore materno.
Andando oltre il “cuore” (leb, kardia), le viscere fanno riferimento
all’ “utero” (rahamin, splanchna). Questo termine traduce il
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Dives in misericordia 4.
Cf. CANCIAN, Domenico. “O evangelho da misericórdia”. In VIRGILI, Rosanna et alii.
Misericórdia – face de Deus e da nova humanidade. São Paulo: Paulinas, 2006, p. 37-96.
4 Dio come “padre” nell’AT: Dt 32,6; 2Sm 7,14; 1Cr 17,13; 22,10; 28,6; Tb 13,4; (Sal
27,10); Sal 68,6; 89,27; Sb 14,3; Sir 23, 1.4; 51,10; Is 63,13; 64,7; Ger 3, 4.19; 31,9; Ml 1,6;
2,10. Nel NT, Paolo sintetizza questi passi in 2Cor 1,3 e Ef 3,14-15.
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carattere “generoso” della misericordia: un amore con potenza
rigenerativa: avvicina, perdona, libera, guarisce, ricrea. Infine amore
che ridona la vita (cf. Ger 31,9; Lc 15,22-24).
 Il termine pietà proviene dalla consolazione o dalla benignità ricevuta,
soprattutto da Dio. Indica affetto e bontà intensa. Perciò, nelle
diverse edizioni della Bibbia, è tradotto con “misericordia” o
“bontà”, avvicinandosi all'amore coinvolto (rahamin, splanchna).
Uno dei più bei testi in cui il termine appare, nella forma plurale (ton
oiktirmôn = le misericordie), è la lode di Paolo: “Sia benedetto Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di
ogni consolazione” (2Cor 1,3).
Per una “lectio divina” della misericordia
20 L'amore coinvolgente di Dio si dona a noi per generare e rigenerare la
vita. È qui l'esperienza più notevole dell'amore divino lungo la Bibbia. Dalle
Scritture giudaiche ricordiamo: la teofania del Sinai, nella quale Jahweh si
definisce “Dio di tenerezza e di pietà, ricco di grazia e di fedeltà” (Es 34,69), la proclamazione della liberazione della vita e della giustizia con l'anno
di Grazia (Lv 25), i salmi del perdono (Sal 6, 32 38, 51 103, 130 143); l'amore
divino che guida il popolo dell'Alleanza (Sal 136); la consolazione di Israele
(Is 30,18-26; 35 e 40 intero); le opere di misericordia in Is 58,3-12 e l'inno al
Dio Amico, gioiello della letteratura sapienziale:
Prevalere con la forza ti è sempre possibile;
chi potrà opporsi al potere del tuo braccio?
Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi,
non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento.
Poiché tu ami tutte le cose esistenti
e nulla disprezzi di quanto hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l`avresti neppure creata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?
O conservarsi se tu non l`avessi chiamata all`esistenza?
Tu risparmi tutte le cose,
perché tutte son tue, Signore, amante della vita! (Sap 11, 21-26)
21 Nelle Scritture cristiane vi sono molti passi. Ricordiamo: i cantici di
Maria, Simeone e Zaccaria che glorificano l'amore fedele di Dio per i piccoli,
i poveri e gli affamati; l'inno alla carità di 1Cor 13; l'inno alla misericordia di
Ef 2,4-10; le beatitudini (Mt 5,1-12); la parabola del buon Samaritano (Lc
10,29-37) e le parabole della misericordia di Lc 15. Tutti questi passi sono
ispiranti. Ma alcuni sono segnati dall'esemplarità, nella qualità
dell’insegnamento autorevole di Gesù per i discepoli di ieri ed oggi: testi
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emblematici che sollecitano la nostra adesione e il nostro coinvolgimento.
Hanno questo carattere la parabole del Buon Samaritano che descrive
dettagliatamente l'amore misericordioso ed attivo, dal primo sguardo di
compassione fino ai gesti concreti; così pure la parabola del padre
misericordioso che ritrae la degradazione estrema della condizione umana e
l’aspetto di Dio come padre compassionevole e fedele.
22 È interessante notare che tutti questi testi convergono nell'esortazione di
Lc 10,37: “Va’ e fa’ lo stesso.” Da qui deriva il carattere effettivo della
misericordia a somiglianza di Dio che agisce misericordiosamente. Così, i
testi ci mostrano le “tre grazie” della misericordia: 1) la sua operosità: essa
realizza i dettami dell'amore; 2) la sua beatitudine: essa rende felice la
persona riscattata; 3) la sua gioia: essa dona gioia a chi l'esercita e chi la
riceve.5
Le opere di misericordia
23 Come abbiamo visto sopra, molti detti e gesti di Gesù ci spingono a
praticare la misericordia. Fra i molti, tre passi sono stati meditati dalla
comunità cristiana, perché suggeriscono un elenco didattico di opere di
misericordia:
 L’inaugurazione dell'anno della grazia in Lc 4,16-21: evangelizzare i
poveri, proclamare la liberazione ai prigionieri, ridonare la vista ai
ciechi, liberare gli oppressi. Quattro opere profetiche che Gesù attua
lungo la sua vita messianica.
 Il discorso della montagna in Mt 5-6: confortare gli afflitti, saziare chi
ha fame ed assetato della giustizia, promuovere la pace, praticare ed
insegnare la giustizia, riconciliarsi col prossimo, condividere i beni
con i bisognosi, amare i nemici, pregare per i persecutori, praticare
l’elemosina e rimettere i debiti. Dieci opere del Regno, incentrate
sull'esortazione “beati i misericordiosi, perché troveranno
misericordia” (5,7).
 La giustizia evangelica in Mt 25,31-46: dare da mangiare agli affamati,
dare da bere agli assetati, alloggiare i pellegrini, vestire gli ignudi,
visitare gli infermi, visitare i carcerati. Sei opere, concentrate
nell'esortazione “Ogni volta che avete fatto questo ad uno dei miei
fratelli più piccoli lo avete fatto a me” (25,40).
24 Allo scopo di insegnare e santificare con la fedeltà al Vangelo, la
tradizione ecclesiale ha condensato le opere di misericordia in una doppia
lista di sette. Opere di misericordia spirituali: consigliare i dubbiosi,
5 Tutte le scene di misericordia in Lc 15 sono coronate dalla gioia e l'apostolo Paolo
raccomanda: “chi esercita la misericordia, lo faccia con gioia (Rm 12,8). La gioia associata
alla misericordia ed alla gentilezza, è un frutto dello Spirito Santo che dona loro consolazione
(cf. At 8,7-8; Rm 14,17; 2Cor 9,7; Gl 5,22).
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insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti,
perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare
Dio per i vivi e per i morti. Opere di misericordia corporale: dare da bere
all'assetato, vestire gli ignudi, assistere i pellegrini, prendersi cura dei malati,
visitare i prigionieri, dare da mangiare all'affamato, seppellire degnamente i
morti. Nel secolo XIII, il genio teologico di Bonaventura associò le opere di
misericordia ai sette sacramenti e alle opere della giustizia, come territorio di
azione di grazia sanante o rigenerativa nella vita dei seguaci cristiani.6
Il “toccare” – senso della misericordia
25 Se le viscere (utero e cuore) sono la sede interiore della misericordia, il
senso corporale del tatto è la sua sede esteriore. La misericordia si realizza in
tocchi che rigenerano. La Torà dice che Dio libera il suo popolo con “mano
forte e braccio esteso” (Dt 26,8): così come l'ostetrica che rimuove il bambino
delle strettezze dell'utero, Jahweh fa nascere di nuovo il popolo, liberandolo
dall’"ambiente stretto e soffocante” dell'Egitto (in ebraico Mitsraim = da
tsaram = strettezza). Con il suo tocco di misericordia, Dio ridona la vita al
popolo, a somiglianza del vasaio che ricostruisce il vaso rotto, come dice
Geremia:
Io mi recai dal vasaio e mi fermai a guardarlo mentre lavorava al tornio. Ma
il vaso, che egli stava modellando con la creta, a un certo punto si guastò tra
le sue mani. Allora il vasaio prese altra creta e fece un nuovo vaso, a suo
piacere. A quel punto, il Signore mi fece capire il suo messaggio: ‘Gente
d'Israele, non potrei forse comportarmi con voi come fa questo vasaio con la
creta? Voi siete nelle mie mani proprio come la creta nelle mani del vasaio’
(Ger 18,3-6; anche Is 64,7).
26 Il tocco esprime cura; distribuisce il necessario; estende la benedizione.
Con molto tocchi, il Samaritano pulì le ferite dell'uomo malcapitato (Lc
10,34). Col tocco delle sue mani, Gesù diede da mangiare agli affamati, guarì
i malati e benedisse i bambini (Mc 7,32-33; 8,6; 10,13-16). Fu nella stretta
delle braccia del padre che il figlio si sentì accolto dal padre – che mosso a
compassione vedendolo tornare – gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo
baciò” (Lc 15,20). “Là dove Gesù giungeva, in villaggi o città o campagne,
deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il
lembo del mantello e quanti lo toccavano venivano guariti” (Mc 6,56). Con
gesti di tenerezza, Maria unge i piedi di Gesù (Gv 12,3). Con gesti di
amicizia, Gesù lava i piedi dei discepoli (Gv 13,5). Ad Emmaus e sulle rive
del lago di Galilea, Gesù prende il pane, lo benedice e lo distribuisce: i
discepoli lo riconoscono, a causa del suo tocco caratteristico (Lc 24,30; Gv
6 Cf. BUENAVENTURA. “Colaciones sobre los siete dones del Espíritu Santo”. In Obras
de San Buenaventura, tomo V. Madrid: BAC, 1948.
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21,12-13). Gesti che alimentano, curano, riabilitano sono tocchi di
misericordia.7
3. TENEREZZA: MEDICINA CHE SCALDA
27 Come caratterizzare la tenerezza? Si può esprimere con dei concetti?
Ancora una volta, le esperienze vive sono quelle che danno senso alla
terminologia. Perché l'esperienza umana in questo campo è complessa: la
gestazione, la nascita, l’allattamento al seno, l’innamoramento, la relazione
matrimoniale, l'amicizia, la paternità e la maternità, l’arrivo e l’addio sono
momenti di tenerezza. Perciò, prima del concetto, la tenerezza si pone
nell'orizzonte dell’esistenza viva originale della persona, accanto a tante altre
che formano la nostra interiorità antropologica e, allo stesso tempo,
designano le possibilità di relazione umana. La tenerezza richiede l’intera
soggettività, degli affetti sani e la formazione delle virtù8:
 Interezza della soggettività – comunicare il calore della cura a
qualcuno, con una giusta stima, libera da interessi personali, unita ad
un sincero affetto, contribuisce a creare un'esistenza completa che
contrasta (e talvolta cura) la frammentazione soggettiva. Le
soggettività che si relazionano, sono soggettività che si unificano:
integrate, semplici, vicino all'ideale della gratuità senza condizioni.
Quale la durata? Talvolta pochi momenti. Anche se breve, la
tenerezza è marcata dalla completezza, nella quale non solo le
potenze affettive si unificano, ma anche i sensi fisici si sintonizzano
con l’affetto interiore, che si esprime negli abbracci, nelle carezze,
nel bacio e nella cura che coinvolge anima e corpo. Nella tenerezza,
la persona diviene trasparente: fa apparire il suo intimo; rivela il
cuore nei gesti; mostra ciò che sente; parla senza usare parole.
 Affetti sani - la Soggettività integrata è sinonimo di affetti sani. Nel
ritmo del quotidiano, queste due linee non sempre coincidono. Ma
certamente convergono, nella misura in cui l'altro richiede: prendersi
cura degli affetti è prendersi cura della persona; prendersi cura della
persona è prendersi cura degli affetti. Io non come termine
individuale dell'affettività. Ma come termine coniugale – nel senso
letterale di “coniugare”: distribuire, comunicare, interagire.
7 Alla luce di Ef 2,8-10 e Gl 5,6 le “opere di misericordia” sono una testimonianza
diaconale e sacerdotale del popolo di Dio, consacrato con il battesimo. Così, vi è pure un
consenso ecumenico sul valore delle “buone opere” – in quanto opere di fede, suscitate dalla
grazia – che attuano l’amore evangelico (ágape). Per questo, non c’è contraddizione tra Paolo
e Giacomo.
8 Cf. MURAD, Afonso; MAÇANEIRO, Marcial. A espiritualidade como caminho e
mistério. São Paulo: Loyola, 1999, p. 91-95.
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Superando gli affetti disordinati, narcisistici ed egocentrici, la
tenerezza coniuga tutti i verbi che esprimono la verità dell'amore.
Affetti coniugati, sono affetti sani. Essere tenero – o intenerirsi vuole dire coniugare gli affetti sani, nel ritmo dell'Io-tu-egli, noi-voiessi. Dalla comunicazione di questi affetti viene il calore
caratteristico della tenerezza: cura che scalda.
 Educazione delle virtù - la tenerezza ci rende forti. Con il suo calore,
superiamo la freddezza. Con la sua cura, noi vinciamo l'indifferenza.
Con la congiunzione dei suoi affetti, noi sconfiggiamo il narcisismo.
Più profonda del melodramma e resistente di fronte alle situazioni di
dolore e di umiliazione, la tenerezza fa del soggetto una persona
forte! Ricordiamo che virtus vuole dire forza – la forza della verità
sulla menzogna e della stima sul disprezzo. Da qui la nozione di virtù
come qualità che rende forte l'essere umano. L’elenco classico delle
virtù cardinali comincia con la temperanza e finisce, precisamente,
con la fortezza (Sap 8,7). Temperanza, prudenza, giustizia e fortezza
educano la persona, rendendola libera e forte. Accanto a queste, noi
potremmo citarne altre: benevolenza, attenzione, stima,
perseveranza, tolleranza e affabilità. Tutte educatrici.
Dall'educazione delle virtù proviene la potenza della tenerezza: essa
con-forta chi la dà e chi la riceve, unendoli nella virtus (forza)
dell'amore.
La “lectio divina” della tenerezza
28 Queste quattro sollecitazioni della tenerezza verso l’essere umano, si
incontrano in modo pieno nella tenerezza di Dio verso le sue creature. Dio è
amore in se stesso, compassionevole e tenero verso gli uomini e le donne che
lui ha creato. Distribuisce il suo amore a tutti, senza contraddizione con
giustizia, né perdita di affetto od ontologica (= interezza di soggettività). Il
suo amore è solido e fedele, con equilibrio perfetto tra il rigore dell'istruzione
e l'affetto della benevolenza - da qui l'espressione ebraica hesed we emet
(amore forte). La fedeltà dell'amore di Dio porta ad amare senza meschinità,
assumendo la sproporzione tra la sua tenerezza divina e la limitazione della
creatura umana: “Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero
verso quelli che lo temono perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda
che noi siamo polvere” (Sal 103,13; anche Is 11,9). L'amore di Jahweh è
sovrano e fedele come dice il Salmo 25. Infine, Dio educa il suo popolo come
un padre zelante, usando saggiamente la tenerezza e l’energia, come noi
leggemmo in Prov 3,11: “Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore
e non avere a noia la sua correzione, perché il Signore corregge chi ama,
come un padre il figlio prediletto” (= l'istruzione delle virtù; anche Sap 9).
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29 Oltre hesed (amore) e rahamin (misericordia), l’ebraico esprime la
tenerezza divina col termine hanun (favore o grazia), chiamando Dio Rahum
(compassionevole) e Hannum (favorevole o misericordioso).
Il termine hannum richiama anche nahum (consolazione) nei vari passi biblici
nei quali Dio è chiamato Consolatore (menahem): “Io sono colui che ti
consola” (= menahem'kem: Is 51,12). Infatti, l'ebraico “consolazione”
(nahum) esprime coerentemente l’“affetto coinvolto” (rahamin) della madre,
colorando l'amore di Dio con le sfumature della maternità. Dio stesso
dichiara:
Ad Efraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d'amore;
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare…
Come potrei abbandonarti, Efraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione (Os 11,3-4.8).
Come una madre consola il suo figlio, così io vi darò consolazione (Is 66,13).
30 Oltre che “madre”, Dio è tenero come uno sposo appassionato9:
Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nella benevolenza e nell'amore,
ti fidanzerò con me nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore (Os 2,21-22).
31 Nel Vangelo, Gesù esprime la sua tenerezza specialmente quando:
- invita i discepoli stanchi a riposare con lui: Mc 6,31
- pone lo sguardo affettuoso sul giovane inquieto: Mc 10,21
- osserva e valuta l'offerta della povera vedova: Mc 12,41-44
- abbraccia e benedice i bambini: Mc 10,16
- chiama Dio suo padre e lo loda: Mt 11,25
- si presenta come il pastore che si prende cura delle pecore: Gv 10,11
- si rivolge ai suoi discepoli nell’ultima cena col nome di figlioli: Gv13, 1.33
- tratta i discepoli come amici: Gv 15,15
9
Cf. Anche il bellissimo passo di Ez 16,1-14.
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- piange per l'amico Lazzaro: Gv 11,35
- esprime l'amore preveggente del Padre per noi: Lc 12, 22-32
- accoglie cordialmente, conforta e perdona il peccatore pentito: Lc 6,48-50
- incoraggia gentilmente i suoi discepoli: Lc 12,32
- chiama figlia la donna che lo tocca ed è guarita: Lc 8,48
- manifesta un profondo affetto per i discepoli a cena con lui: Lc 22,14-16
- consola le donne di Gerusalemme: Lc 23,28
- affida sua madre a Giovanni: Gv 19,26-27
- chiama la Maddalena Maria, rivelando affetto e intimità: Gv 20,16
- serve pane e pesce ai discepoli perplessi: Gv 21,9
- accetta la confessione d’amore di Pietro, perdonandolo
incondizionatamente: Gv 21,15-17.
32 Paolo, da parte sua, elenca le virtù che ci educano ad una tenerezza
reciproca e sincera: “La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi
al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno; gareggiate nello stimarvi
a vicenda” (Rm 12,9-10). “Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di
sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità;
sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse
di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato,
così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità che le
unisce in modo perfetto” (Col 3,12-14).
33 In un altro passaggio, l'apostolo loda “Il Padre delle misericordie e Dio di
ogni consolazione” (2Cor 1,3). La consolazione esprime la tenerezza di Dio
per noi e la cura reciproca che noi dovremmo esercitare, come fratelli e
sorelle: “(Il Padre) ci conforta in tutte le nostre tribolazioni10, in modo che
anche noi possiamo confortare quelli che si trovano in qualsiasi genere di
afflizione con la consolazione con cui siamo noi stessi consolati da Dio” (v.
4).
La “attenzione” – calore della tenerezza
34 La tenerezza stabilisce una relazione calda in opposizione all'indifferenza
e alla freddezza. Essa è, soprattutto zelante, paziente, gentile. Fra tante
possibili espressioni, l’attenzione può avere anche la connotazione della
tenerezza, specialmente in unione con l'affabilità ed il calore. Quando Gesù
rivolge lo sguardo su Gerusalemme, comunica tutto il calore del suo affetto:
“Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono
mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia
raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!” (Mt 23,37). Molti
secoli dopo narrano che anche Francesco rivolse uno sguardo su Assisi,
10 Consolare gli afflitti è, allo stesso tempo, espressione di tenerezza, opera di misericordia
e di benevolenza: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati” (Mt 5,5).
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invocando il perdono divino sugli abitanti della città.11 Senza dubbio, calore
e affabilità si comunicano con un tenero sguardo, più lieve delle carezze.
CONCLUSIONE
35 L’esperienza della compassione, della misericordia e della tenerezza sono
sempre una “buona notizia!” Perché, con tali esperienze vive, noi siamo
rifatti, ritornati alla vita e alla speranza di vivere. Qui è espressa tutta la forza
creativa dell'amore (= póiesis): lo sguardo è compassionevole; il corpo si
rende sacramento di tenerezza per l'altro; i gesti del toccare (invece di fare
male) rigenerano. È una cosa tanto fondamentale per la vita, che trascendenza
e immanenza si incontrano: la persona umana si scopre, riconciliata, solidale
e felice; è la migliore immagine di Dio che noi possiamo trovare tra tutte le
creature.
36 Qui ancora il Vangelo di Gesù si fa poetico e profetico: tanto creativo e
vivificante in quanto buona notizia per il mondo che provoca, disturba e
mette in crisi di fronte alle situazioni di dolore, di ingiustizia e di morte nelle
quali sono negate Dio e l'umanità.
37 In questo senso, profezia e poesia si danno la mano, facendo del giusto un
profeta; del profeta un misericordioso; del misericordioso, un benedetto.
Relazionarsi, interessarsi al prossimo con la solidarietà e comunicare
tenerezza è qualche cosa che ci rende tutti profeti e poeti – di quella profezia
e poesia che sono proprie del Vangelo. Le ferite sono guarite; il dialogo è
ristabilito; i beni sono distribuiti; si realizza la comunione.
38 Più che l'Utopia, la Storia insegna che l'umanità sopravvive, nonostante la
povertà, la fame, precisamente perché la compassione e la misericordia sono
praticate da persone convinte ed audaci: Francesco d’Assisi, Francesco di
Paola, Luisa di Marillac, Vincenzo de’ Paoli, Giovanna Francesca Chantal,
Isabella del Portogallo, Giuseppe di Anchieta, Camillo de’ Lellis, Luigi
Orione, Charles de Foucault, Basilea Schlinck, Dietrich Bonhöffer, Martin
Luther King, Damiano di Molokai, Raoul Follereau, Betinho, Hélder
Câmara, Teresa di Calcutta e Luciano Mendes di Almeida, e tanti altri.
39 Oggi, le opere di misericordia sono organizzate in un modo creativo ed
intelligente, inserite nella promozione della solidarietà, della giustizia e della
pace. Iniziative come le Case della Misericordia, Adveniat, Misereor, Aiuto
alla Chiesa che Soffre, POMM, Campagne di Fraternità, Superamento della
Violenza, Conferenze di S. Vincenzo, Volontari, Lega per il terzo Mondo,
Medici senza Frontiere, Forum permanenti di Giustizia e Pace, Università
11 Per la sua misericordia e la sua tenerezza, Francesco fu chiamato speculum Christi
(specchio o riflesso di Cristo) dalla spiritualità occidentale. Cf. BOFF, Leonardo. Francisco
de Assis – ternura e vigor. 5a. ed. Petrópolis: Vozes, 1991. LE GOFF, Jacques. São Francisco
de Assis. 6a. ed. Rio de Janeiro: Record, 2001.
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Solidale, Città dei Ragazzi, Campagne per superamento della Povertà e della
Fame, Banca Alimentare, Casa di Zezinho, Casa Betania, Pastorale Sociale,
ONG e le Comunità Nuove (cattolici ed evangelici) fanno della misericordia
una profezia per il nostro tempo ed un balsamo per antiche e nuove ferite
umane. È come dice Gesù: “Va’ e fa’ lo stesso!” (Lc 10,37).
-----------------------------Dr. Pe. Marcial Maçaneiro, scj – Dottore in teologia alla Pontificia
Università gregoriana. Membro del Gruppo di riflessione ecumenica e di
dialogo inter-religioso del CNBB (Gredire). Membro del Comitato teologico
internazionale della sua Congregazione religiosa. Professore di teologia
sistematica e comparata alla Facoltà Dehoniana. Redattore della rivista TQ
Teologia in Questione. Revisore del MEC per i corsi di Filosofia e Teologia
in Brasile. Collaboratore del CEM – Centro de Estudos Mineiros (UFMG)
per l’estetica e la religiosità del barocco. Appartiene alla Congregazione dei
Sacerdoti del S. Cuore di Gesù (dehoniani).
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