newsletter 02-2013

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(www.eltamiso.it)
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NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
LA MONTAGNA SFRATTA I SUOI ABITANTI
Oltre un miliardo e mezzo di tonnellate di minerali
pregiati: rame, argento e molibdeno. A formare i 4600
metri del Monte Toromocho, a 140 km ad est di Lima, in Perù. Il più grande sito
produttivo al mondo, prima peruviano, e dal 2008 in mani cinesi.
La Chinalco, una delle principali industrie minerarie
al mondo è controllata dal Governo di Pechino ed è
uno degli esempi più lampanti di come il
neoliberismo stia cambiando faccia, con le grandi
multinazionali private che lasciano sempre più
spazio alle corporation pubbliche. Stesse regole,
attori diversi. Politiche, tutto sommato, simili.
Tre miliardi di dollari di investimento per una
miniera che è stata valutata, nella sua intierezza,
in 50 miliardi di dollari e che produrrà materie
prime a costo estremamente competitivo (410
dollari per tonnellata di rame) a fronte di un prezzo
sui mercati mondiali che si aggira attorno agli 8mila dollari a tonnellata, più di venti volte il
costo iniziale.
Minerali che verranno estratti ed esportati in Cina per alimentare una crescita comunque
impetuosa (il 2012 si chiuderà con un +7,7% di PIL, secondo le previsione dell'Economist
Intelligence Unit, il centro ricerche economiche del settimanale britannico) che ha bisogno di
infrastrutture e di tecnologie avanzate.
Ma per radere al suolo un'intera montagna, in una delle miniere a cielo aperto più grandi
dell'America latina, bisogna fare i conti con chi su quella montagna ci vive. A Morococha vivono
circa 5mila persone, a meno di 10 km dalla Carretera Central che taglia in due l'altopiano, ma
molto più prossimi allo scavo minerario. Niente acqua potabile, elettricità ad intermittenza,
nessun servizio sociale.
E' su questo che la Chinalco ha giocato per far sloggiare gli abitanti. Ed è così che ha
progettato una città da zero, poche righe su una mappa, un elenco di facilities ed è nato
Carhuacoto: elettricità assicurata, luoghi di culto per diverse confessioni, un posto di polizia,
scuole, un ambulatorio e spazi verdi. E soprattutto abitazioni nuove concesse a titolo gratuito a
chi sceglierà di spostarsi.
Ma non è tutto oro, né rame, tutto quel che luccica: "non ci opponiamo all'investimento o alla
compagnia" ha dichiarato più di un anno fa al Financial Times Marcial Salomé, sindaco di
Morococha. "Ma non siamo convinti del processo di consultazione. Hanno scelto una zona ad
alto rischio dove costruire la nuova cittadina".
Una denuncia sostenuta anche da Carlos José Cantorin Camayo, un ingegnere civile che,
sempre al FT, sottolineava come il suolo fosse umido e come le nuove abitazioni fossero troppo
nelle vicinanze di un grande lago, "abbiamo paura che la diga possa cedere in seguito ad un
terremoto sommergendo la città". A conferma delle preoccupazioni l'Informe Técnico N° 2802012 del Ministerio de Vivienda (Ministero degli alloggi) che sottolinea come la nuova città sia
in una zona ad alto rischio sismico e di inondazioni.
Ma da ottobre le prime persone hanno cominciato a spostarsi nella città appena costruita. Già
sessanta famiglie, si stima, hanno abbandonato la via vecchia per quella nuova. Ma non tutti
sono d'accordo: la ventiduenne Zuly Espinoza, moglie di un minatore, ha denunciato di non
aver trovato posto. "Non ci sono abbastanza case", ha dichiarato al quotidiano britannico
Guardian "dove andremo quando distruggeranno il Paese?". "Tutto questo movimento ha
creato conflitti e divisioni", ha aggiunto Aina Calderón, che da 67 anni abita a Morococha. "La
multinazionale non rispetta chi non desidera andarsene".
E i soldi, evidentemente, non bastano per radere al suolo un monte ed un intero Paese. Lo
scorso 14 novembre centinaia di persone hanno bloccato la Carretera Central e l'ingresso alla
miniera, confrontandosi con oltre 200 poliziotti. Un mese dopo oltre trecento residenti di
Morococha hanno manifestato per impedire che i beni di un collegio locale fossero spostati
nella nuova città. E la tensione continua a salire, così come il prezzo del rame, in un mondo
affamato di materie prime e di minerali. E che guarda alla Green Economy, bisognosa di terre
rare e di metalli preziosi, come l'unica risposta ad un modello di sviluppo insostenibile che
sloggia le persone per sventrare una montagna.
(da Altreconomia - gennaio 2013)
IL DIVIETO DELLE BOTTIGLIE DI PLASTICA
Una cittadina americana mette al bando le bottiglie di
plastica da mezzo litro per l'acqua. Ci vogliono 17
milioni di barili di petrolio all'anno per fare tutte le
bottiglie di plastica vendute negli Stati Uniti.
In Germania, dove vanno per la maggiore le bottiglie in vetro
con cauzione, avevano imposto una tassa sulle bottiglie
d'acqua nelle bottiglie di plastica. Negli Stati Uniti hanno fatto
di più.
Dal primo gennaio la bottiglietta d'acqua di plastica da mezzo litro è diventata fuorilegge nella
città di Concord, Massachusetts, negli Stati Uniti. Il divieto è stato imposto dalla
amministrazione locale dopo una campagna ecologista durata diversi anni, anche per
sensibilizzare la popolazione all'uso di contenitori per famiglie, piuttosto che per singoli, per
diminuire l'impatto dei rifiuti di plastica sull'ambiente e in particolare di quelli di questo
formato, che di recente sta conoscendo una notevole diffusione.
La cittadina di Concord ha lanciato questa campagna ricordando sul sito Internet del suo
municipio che “ci vogliono 17 milioni di barili di petrolio all'anno per fare tutte le bottiglie di
plastica vendute negli Stati Uniti. Quanto basta per fornire carburante a 1,3 milioni di auto
l'anno''. La giunta municipale di Concord ricorda inoltre che ''solo il 23% dei 50 milioni di
bottiglie di plastica vendute ogni anno negli Usa vengono effettivamente riciclate”.
Questa battaglia potrebbe essere ricordata come la prima vittoria per l'indipendenza americana
dal petrolio. Concord in effetti è stata già teatro della prima battaglia della guerra
d'indipendenza americana. Non bisogna comunque trascurare il fatto che la decisione ha
provocato reazioni contrastanti, con i negozianti che cercano semplicemente di vendere
bottiglie di formato piu' grande. Ma l'iniziativa è destinata sicuramente a propagarsi, magari
anche al di qua dell'oceano.
(da Terra Nuova – gennaio 2013)
LA BATTAGLIA (IM)POSSIBILE
Davide contro Golia. Tutto quello che devono affrontare
baristi e sindaci che dicono "no" alle slot machine:
minacce, contratti capestro e leggi dettate dalle lobby.
Si fa presto ad applaudire i baristi che decidono di rinunciare
alle slot machine. Ma nessuno immagina che non è così
facile: minacce e contratti capestro li obbligano a un'epica
battaglia contro i giganti del gioco d'azzardo.
È quanto rivela l'inchiesta di Terre di mezzo di gennaio, dal titolo "La battaglia (im)possibile.
Davide contro Golia", in cui si racconta la storia degli esercenti che stanno cercando di liberarsi
delle macchinette. Innanzitutto i contratti di noleggio: prevedono una penale di 250 euro per
ogni slot se l'esercente decide di disdire prima della scadenza.
"Ad una barista di Bergamo il noleggiatore voleva addirittura far pagare una penale per i giorni
in cui era stata chiusa, dopo che i ladri le avevano sfondato la vetrina", si legge su Terre di
mezzo. "Grazie al nostro ufficio legale l'esercente è riuscito a liberarsi dal ricatto", racconta
Giorgio Beltrami, presidente dell'Associazione dei commercianti e baristi della città.
C'è poi il problema della criminalità organizzata: a Milano il clan Valle Lampada aveva creato
ben quattro imprese attive nel settore e collocato 347 slot machine e videolottery in 92 locali
della città e della provincia. A Santa Maria Capua Vetere (CE)
i boss del clan Amato Belfiore convincevano i baristi ad
accettare le loro macchinette mandando uomini armati.
Anche per i Sindaci la lotta alle sale gioco è impari. Cercano
infatti di imporre dei limiti alla loro proliferazione, emanando
regolamenti sugli orari di apertura o sulla distanza da scuole,
parrocchie e centri di aggregazione, ma spesso i gestori
fanno ricorso al TAR (Tribunale amministrativo regionale) e i
primi cittadini perdono.
Solo nel 2012 è successo ai sindaci di Varese, Desio, Pioltello, Brescia, Cernusco Lombardone,
Chiavenna, Nova Milanese e Gavorrano (Grosseto). Tutti dal giudice si sono sentiti dire la
stessa cosa: "Non potete farci niente: solo lo Stato può gestire questo settore". Per i Comuni le
sale da gioco e le slot machine nei bar sono una sorte di disgrazia a orologeria: agli uffici
comunali infatti prima o poi si rivolgono in cerca di aiuto quelli che hanno perso casa, lavoro e
soldi per colpa del gioco oppure i loro familiari.
Il Conagga (Coordinamento nazionale dei gruppi per i giocatori d'azzardo), ha stimato che i
danni sociali ammontano tra i 5,5 e i 6,5 miliardi di euro all'anno.
C'è chi prova comunque a reagire. Il 14 gennaio infatti Terre di mezzo, Legautonomie e un
gruppo di sindaci lombardi presenteranno a Milano un “Manifesto contro il gioco d'azzardo” in
cui chiedono al Parlamento che verrà eletto in febbraio più poteri per regolamentare la
presenza delle sale gioco nei loro territori. L'appuntamento è per le ore 10.30, nella la
sede di Legautonomie in via Duccio di Boninsegna 21.
LEGGI QUI IL TESTO DELL'INCHIESTA IN FORMATO PDF
(da Terre di Mezzo – gennaio 2013)
POESIA, PROSA O FANTASIA NEI MENU DI CERTI RISTORANTI
La Ristorazione deve tornare a chiamare le ricette con il loro vero nome. Storia di una
cena pagata “cara e salata” nel ristorante di uno “Chef che la sa lunga” dove c’è
toccato mangiare, tra le altre divertenti portate che conoscerete se leggerete
l’articolo, del normale “coniglio bollito con contorno di cipolla” spacciato per “ombre
gustose al Riesling Alsaziano di tonno di coniglio con sentori di profumi dell’orto e fiori
di primavera”!
Capita anche questo a chi va per ristoranti cercando il piacere della
buona tavola e dello stare insieme in compagnia! Non dirò il nome
del ristorante né della città, perché il mio intento non è di
criticare lo chef o il locale e parimenti non andate a caccia di un
menù con queste ricette, perché le ho simulate proprio per renderlo
irriconoscibile.
Voglio invece lanciare un messaggio, che è palpabile nell’aria di
questi tempi grigi di cambiamento, alla ristorazione, soprattutto
quella che si ritiene di più alto profilo, per aiutarla a capire il
mutato sentire del comune cittadino, anche quando va al ristorante.
Siamo tutti un po’ disillusi da un mondo che, fino a qualche anno fa, ci aveva fatto vedere
lucciole per lanterne, chiamando le cose che oggi vengono definite tossiche (i fondi, le banche
americane, i derivati,…) non con il loro vero nome ma con allocuzioni grandi, roboanti ed
impattanti. E poi oggi si aggiungono anche la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo...un tempo solo
mete turistiche nel vissuto del consumatore e oggi nere nubi per l'economia europea.
Questa abitudine di vendere "l’effimero" per “vero” era entrata subdolamente un po’ in tutte le
attività e, senza che ce ne rendessimo conto, questo “effimero” aveva incominciato a
soppiantare il “vero” nel nostro immaginario collettivo. La verità mi è balzata chiara alla mente
qualche sera fa, a cena con amici nel già non citato ristorante.
Ci viene servito, con tanto di illustrazione verbale (del cameriere) e scritta (nel menù) un
antipasto definito “ombre gustose al Riesling Alsaziano di tonno di coniglio di cascina con
sentori di profumi dell’orto e fiori di primavera”: mio Dio, cosa sarà mai tanta bontà
declamata? Era qualche sfilaccio di coniglio bollito, con quattro anelli di cipolla, due fili di
carota julienne, una foglia di basilico e un po’ di fagioli bianchi, il tutto, per carità, buono
ma senza un timbro particolare che ti saresti aspettato da un “Riesling Alsaziano”.
A seguire altre due ricette degne di titoli di film di Lina Wertmuller “Filetto di pescato di fiume
in galantina con agrumi e foie gras” e, dopo un primo senza infamia e senza lode che, unico
della serata, si chiamava con il suo nome vero, “Bocconcini di carni di maremma sfumate ai
tre aceti e verdure tricolori”. Il foie gras forse era stato disciolto nella “bagnetta” che
accompagnava il piatto, il pescato di fiume era polpa di trota salmonata, gli agrumi erano
scorzette macinate distribuite a pioggia sul piatto e i bocconcini di maremma erano
semplicemente tocchetti di carne stracotte (come quando cuoci troppo il bollito e tutto si
risolve in poltiglia molliccia) con un vago sentore di aceto mentre le verdure tricolori erano un
pezzetto di carota (arancione - rosso), un pezzetto di sedano (bianco) e una strisciata di
peperone (rosso) disposti graziosamente quasi a decorazione del piatto.
In fondo tutto questo linguaggio roboante significava: coniglio bollito, trota bollita e carni
generiche arrostite, tutto il resto era fantasia descrittiva, che nulla aveva a che vedere con il
buon cibo e soprattutto con il nome giusto della ricetta e i riferimenti alla cascina, al fiume e
alla maremma erano del tutto arbitrari e privi di ogni significato logico ed acclarabile, vero
fumo negli occhi per i commensali. Il tutto per la modica cifra di 65 euro a persona, con una
sola bottiglia di vino in quattro.
Ecco come “l’effimero” soppianta il “vero” non solo quando vivi le ore grame dell’inganno
finanziario ma anche quando vai al ristorante e vorresti rilassarti con i tuoi amici di fronte a
piatti veri e con vero piacere!
(scritto da Pier Favre su La Cultura del Cibo – gennaio 2013)
CARCERI: NEL GIORNO DELLA CONDANNA UE AIAB REALIZZA UN
OLIVETO BIOLOGICO AL MINORILE DI ROMA
Nello stesso giorno in cui la Corte di Giustizia Europea ha condannato il sistema carcerario
italiano, un trattore ha iniziato la lavorazione del
terreno per l’impianto di un piccolo oliveto biologico
nell’Istituto minorile di Casal del Marmo di Roma.
Grazie al progetto “Piantiamo valori” promosso e
curato da AIAB e finanziato da Lush, un’azienda
produttrice di cosmetici a base di frutta e verdure
fresche, settanta olivi saranno piantati nei prossimi giorni su un terreno oggi incolto, interno
all’istituto, su cui pascola un piccolo numero di capre. L’impianto dell’oliveto sarà
accompagnato da un corso di formazione sul campo per la cura, la potatura delle piante e la
raccolta delle olive.
Con questa iniziativa l’istituto minorile, che già gestisce una piccola fattoria, si doterà di una
struttura produttiva che durerà nel tempo, mentre i ragazzi avranno la possibilità di crescere
coltivando e di responsabilizzarsi attraverso la cura delle piante. Inoltre potranno acquisire
interessi e competenze utili per il fine pena per il reinserimento sociale, necessario anche per
evitare la recidiva.
Il progetto, realizzato con la collaborazione dell’Istituto minorile di Casal del Marmo, fa seguito
ad un protocollo d’intesa tra e il Centro di Giustizia Minorile del Lazio che ha già consentito la
realizzazione di una bioterrazza nella sezione femminile del Centro di Prima Accoglienza di
Roma, con un vero e proprio orto pensile.
“Il progetto – afferma il presidente di AIAB, Alessandro Triantafyllidis – è frutto di
un’interessante sinergia tra associazioni, istituzioni e imprese private a sostegno di obiettivi
sociali e si inserisce in un quadro più ampio dell’iniziativa di AIAB sull’agricoltura sociale che
rappresenta, oltre ad un’occasione di diversificazione e innovazione dell’attività agricola, anche
l’espressione piena del valore civico, sociale ed ambientale dell’agricoltura biologica. In
particolare – conclude Trantafillydis - da anni la nostra associazione è impegnata a promuovere
la crescita dell’agricoltura biologica nelle colonie ed istituti penitenziari, nella convinzione della
grande efficacia del lavoro agricolo anche a fini riabilitativi e del contrasto alla recidiva”.
(da AIAB – gennaio 2013)
NUOVE TARIFFE AUTOSTRADALI 2013
Dal 1 gennaio 2013 sono in vigore i preannunciati aumenti
sulle tariffe autostradali. Il Passante di Mestre con il 13,55%
detiene il record. Per il momento il pedaggio Dolo / Mirano Padova Est è stato aumentato da 70 ad 80 centesimi e il
pedaggio Mestre - Padova Est è passato da 2,90 a 3,20 euro.
Rimane gratuito il tratto Dolo /Mirano - Mestre.
Quindi se dovessero equiparare il pedaggio del casello di
Dolo / Mirano a quello di Mestre, pendolari e residenti si
troverebbero a pagare un "salasso" maggiore di quanto inizialmente preventivato.
Secondo quanto riportato dall'articolo de La Nuova di Venezia e Mestre di oggi (2
gennaio), la nostra protesta grazie alla vostra massiccia adesione ha contribuito a
sospendere l'aumento: "Con una lettera alla Regione, la concessionaria Cav ha chiesto di
sospendere l’aumento per questo tratto per trovare una soluzione che vada incontro ai
pendolari che hanno chiesto che la tratta Padova-Venezia non costi più di un euro".
La battaglia è lunga e difficile perché finora si sono lette proposte con sconti attorno al 20 %.
Con gli attuali 3,20 euro significherebbe pagare per Dolo / Mirano - Padova Este un pedaggio di
2,50 euro! Continuiamo ad osservare l'evolversi della situazione e cercheremo di valutare
quale possa essere l'iniziativa più efficace per poter contrastare aumenti del pedaggio
assolutamente inaccettabili.
LEGGETE QUI IL COMUNICATO STAMPA DEL COMITATO "OPZIONE ZERO"
Vi consigliamo anche di guardare il servizio RAI TG3 sul sistema ferroviario SFMR che da
15 anni i pendolari stanno ancora aspettano che entri in funzione.
Opzione Zero - Riviera del Brenta Venezia
Web: www.opzionezero.org
E-mail: [email protected]
PARCO AGRICOLO DEL LLOBREGAT: OPPORTUNITÀ
METROPOLITANA, SFIDA PAESAGGISTICA
Lunedì 14 gennaio 2013 alle ore 17.00
nella Sala Anziani di Palazzo Moroni si terrà la conferenza
"Parco agricolo del Llobregat:
opportunità metropolitana, sfida paesaggistica"
tenuta dal prof. Paco Muñoz (Università di Barcellona). L'incontro vedrà l'introduzione
dell'assessore all'Ambiente del Comune di Padova Alessandro Zan.
Il Parc Agrari de Baix de Llobregat è nato dall'iniziativa dell'Unione degli
Agricoltori, contrari alla progettata localizzazione di nuovi insediamenti industriali nel
delta del fiume Llobregat (situato a pochi chilometri dal centro di Barcellona).
Dopo aver ottenuto la classificazione del territorio interessato quale "suolo di valore
agricolo tutelato", nel 1998 nacque il Consorzio del Parco Agrario, costituito
dall'Unione degli Agricoltori, dalla Provincia di Barcellona, dall'Autorità di Bacino e da
14 Comuni dell'hinterland.
Negli anni successivi la realizzazione del Parco, esteso per 2.900 ettari, è avvenuta
anche grazie ai contributi europei del Programma LIFE-Ambiente, divenendo ben
presto uno degli esempi di parco agricolo e paesaggistico più noti in tutta Europa.
L'incontro sarà gratuito e aperto a tutta la cittadinanza.
SAI COSA C'E' DENTRO UN HOT DOG?
Consumare Hot Dog e carni lavorate può essere considerato
salutare? Secondo quanto reso noto da parte degli esperti
statunitensi, con particolare riferimento agli Hot Dog, ed in
generale alle carni rosse lavorate, il loro consumo è in grado di
aumentare le probabilità di contrarre malattie come il cancro.
La notizia giunge direttamente da parte dell'associazione no-profit di medici "Physicians
Committee for Responsible Medicine" (PCRM – Comitato Medici per la Medicina Responsabile) e
ad essa ha fatto seguito il pronunciamento del dottor Frank Hu, esperto di nutrizione ed
epidemiologia della , e tra gli autori di una ricerca in proposito, pubblicata all'interno della
rivista scientifica "Archives of Internal Medicine".
A parere del dottor Frank Hu, consumare una porzione al giorno di carni rosse comporta
l'aumento del 13% del pericolo di morte prematura. Con il consumo quotidiano di carni
lavorate (Hot Dog e pancetta, ad esempio) il fattore di rischio raggiunge il 20%. Ciò avviene
per via della composizione delle stesse carni rosse, che contengono composti estremamente
dannosi per la nostra salute, come nitriti di sodio, grassi saturi e sostanze prodotte durante le
fasi della loro lavorazione e cottura. Esse vengono ritenute responsabili dell'insorgere di tumori
(con particolare riferimento al colon) e di malattie cardiovascolari.
Ma cosa contiene veramente un Hot Dog?
La carne lavorata utilizzata per farcire il famoso panino, secondo quanto riportato da parte del
quotidiano inglese Daily Mail, viene ottenuta riunendo e rilavorando le parti di scarto della
carne di maiale e i resti delle carcasse dei polli. Le carni di scarto vengono mescolate con
conservanti in polvere, aromi e coloranti, prima di essere immerse in acqua ed essere versate
e compresse in tubi di plastica, per poi passare alla loro cottura ed al confezionamento.
La carne utilizzata per la preparazione degli Hot Dog rappresenta probabilmente uno degli
alimenti più elaborati e che richiede il maggior ricorso a sostanze di scarto all'interno
dell'industria alimentare. Il loro consumo eccessivo può essere considerato disastroso per la
salute. Il World Cancer Research Fund raccomanda di evitare le carni lavorate e, se ciò appare
impossibile, di ridurre drasticamente il consumo di pancetta, prosciutto e salsicce.
La maggior parte degli Hot Dog in vendita nei supermercati britannici contiene ben poca carne
suina ed una considerevole quantità di carne di pollo recuperata meccanicamente dalle
carcasse, dopo averne ricavato i tagli utili per la vendita. Nella formazione degli Hot Dog viene
utilizzata acqua in aggiunta e amido, al fine di aumentarne il volume.
Gli Hot Dog contengono il 2% di sale e ciò significa che essi possono essere considerati come
alimenti ad elevata presenza di sodio e che, se consumati in eccesso, possono amplificare il
rischio di ipertensione, ictus e patologie cardiache.
E' importante tenere conto da tale punto di vista che, secondo quanto comunicato dal Ministero
della Salute britannico, i bambini di età compresa tra i 4 ed i 6 anni non dovrebbero assumere
più di 3 grammi di sale al giorno e che i bambini fino ai 3 anni non dovrebbero assumerne più
di 2 grammi.
Per alcuni Hot Dog è prevista l'aggiunta di proteine del latte, che potrebbero essere causa di
seri problemi in soggetti affetti da allergia ad esse. Particolare attenzione deve essere rivolta
alla presenza di nitrito di sodio (E250), un conservante ottenuto sinteticamente, utilizzato per
allontanare i batteri dai prodotti alimentari e per evitarne mutazioni di colorazione. Esso è
stato posto in relazione da parte degli esperti all'incremento del rischio di incorrere in cancro
all'intestino o allo stomaco.
Non mancano poi additivi come:
E451 (Trifosfato di potassio o di sodio): stabilizzante ed emulsionante di derivazione sintetica,
utilizzato per migliorare la consistenza delle carni. Il suo impiego non si ferma all'industria
alimentare. Esso può essere impiegato nella produzione di detergenti, carta, gomma e
antigelo.
E452 (Polifosfati): si tratta di un emulsionante e di uno stabilizzante utilizzato per migliorare la
consistenza della carne e per evitare che essa irrancidisca. Ad esso non sarebbero stati
correlati rischi per la salute.
E301 (Acido L-ascorbico): si tratta di una forma sintetica di vitamina C utilizzata dall'industria
degli alimenti per evitare il mutamento di colorazione di molti cibi. A piccole dosi non causa
problemi, ma in quantità elevate può provocare irritazioni della pelle.
E120 (Cocciniglia): si tratta di un colorante utilizzato per donare agli alimenti una tinta rossa.
Essa è ottenuta mediante la polverizzazione di piccoli insetti, le cui parti esterne vengono
bollite in ammoniaca o in carbonato di sodio, in modo da ottenere tale sostanza colorante. La
cocciniglia può provocare allergie.
Dopo una lista tanto dettagliata di ingredienti poco raccomandabili relativi alla produzione degli
Hot Dog, non mancano alcuni aspetti negativi conclusivi da non sottovalutare. Nei soli Stati
Uniti, dove il consumo di Hot Dog appare imperante anche tra i bambini, essi sono legati al
17% dei casi di soffocamento infantile e giungono ad uccidere 80 soggetti all'anno. Il rischio
riguarda soprattutto i bambini di età inferiore ai quattro anni, per la salvaguardia della cui
salute sarebbe raccomandabile rivolgersi ad alimenti maggiormente naturali e meno pericolosi.
LEGGI ANCHE: Sai cosa c'e' dentro il kebab?...
(scritto da Marta Albé su GreenMe.it – gennaio 2013)
QUANTO I NOSTRI ACQUISTI DANNEGGIANO L'AMBIENTE
Una nuova applicazione traccia l'impronta lasciata sul pianeta da un determinato
oggetto
Il virtuosismo degli acquisti a chilometro zero e a
basso impatto ambientale possono trasformarsi in una
sana competizione virtuosa?
Per i fondatori del Progetto Oroeco sembra di sì, e
per questo motivo hanno posto tutte le basi per creare
una grande rete di acquisto consapevole.
Se “The Enough Project” ha stilato la classifica delle
aziende che non usano materie prime insanguinate,
frutto di scontri e guerre civili per il controllo delle
miniere, in questo caso sotto la lente è finito l’impatto
che ogni singolo acquisto può avere sull’ambiente.
“Oroeco si fonda sulla premessa che dovrebbe essere facile, divertente e gratificante poter
tener traccia dei nostri acquisti quotidiani, degli investimenti, dello stile di vita in base ai nostri
valori fondamentali – raccontano i giovani del team Oroeco – Abbiamo iniziato come un gruppo
di amici, frustrati dalla mancanza di informazioni che ci potessero aiutare ad ottenere piccoli
miglioramenti a partire da grandi decisioni.
Non volevamo essere attivisti o volontari a tempo pieno per una causa, volevamo solo poter
migliorare le nostre vite attraverso i nostri acquisti e lo stile di vita assunto. E abbiamo voluto
trovare un modo divertente per convincere i nostri amici, la famiglia, le grandi aziende a fare
lo stesso”.
Il progetto nasce negli Stati Uniti grazie alla collaborazione di ricercatori del MIT, di Stanford e
di Berkeley e poggia le sue basi sulla massima che “ogni singolo dollaro speso può avere effetti
positivi o negativi sull’ambiente”. Basandosi sui dati raccolti, l’utente che utilizzerà Oroeco
potrà in qualche modo conoscere quanto il suo acquisto contribuisce all’inquinamento del
pianeta. In un’economia globale che ci permette ogni giorno di acquistare oggetti provenienti
da fabbriche sparse in tutto il mondo, a sua volta costruiti con materie prime che sono state
raccolte e trasportate, è difficile riuscire a conoscere il reale impatto che un acquisto ha
sull’ambiente.
Partendo da questa premessa, l’applicazione cercherà di tracciare l’impronta lasciata sul
pianeta da un determinato oggetto, tenendo conto dell’inquinamento prodotto per estrarre le
materie prime, per lavorarle, per trasportarle, per assemblarle e infine per venderle sugli
scaffali dei negozi. Un acquisto, piuttosto che un altro, può contribuire in modo consistente al
rilascio in atmosfera di agenti inquinanti così come alla progressiva scomparsa di risorse nelle
miniere. Oroeco è per ora solo un progetto in fase preliminare che, attraverso il sistema di
collette comunitarie su internet, sta cercando i fondi necessari alla pubblicazione di una prima
versione beta.
Una campagna molto simile a quella dei principi di Oroeco è condotta in Italia da Legambiente:
“Bastano piccoli gesti per risparmiare nel tempo chili e chili di anidride carbonica. – spiega
Fabio Dovana, presidente di Legambiente per il Piemonte e la Valle d’Aosta – Ad esempio
spegnendo gli stand-by degli elettrodomestici di casa si possono risparmiare circa 150 kg di
CO2 in un anno, con un guadagno anche per il portafogli di circa 60 euro. Usando abitualmente
una brocca per l’acqua del rubinetto si risparmiano 24 kg di CO 2 in un anno e 11 kg di plastica.
Una famiglia di tre persone che beve solo acqua del rubinetto risparmia circa 280 euro
all’anno”.
Con l’obiettivo di abituare gli italiani ad una serie di buone abitudini in sintonia con l’ambiente
è nata la comunità virtuale Stop The Fever (ferma la febbre), rivolta a singoli cittadini,
imprese, pubblica amministrazione e scuole. Un luogo virtuale dove poter essere attori concreti
del cambiamento e misurare quanto le nostre scelte possono fare bene all’ambiente.
Per sensibilizzare i cittadini ad adottare queste buone abitudini e rispettare l’ambiente, Slow
Food ha recentemente pubblicato la guida Il nostro spreco quotidiano, scaricabile qui, che
fornisce preziose indicazioni e consigli per ridurre i nostri rifiuti, imparare a smaltirli in modo
sostenibile e soprattutto a riciclare gli avanzi in cucina. Per essere davvero gli attori principali
di un sicuro cambiamento.
(da SlowFood – gennaio 2013)
AUGURIO DI BUON ANNO: CHE IL BIO SI PORTI VIA ANCHE LE
INTOLLERANZE ALIMENTARI PROVOCATE DALL’AGRICOLTURA
“DISINVOLTA”
Riflessione sul cibo biologico di fine anno. Sarà una moda,
sarà una “patacca”, come qualcuno vuol fare credere, sarà un
nuovo sistema per fare business, fatto sta che il futuro è
questo, inequivocabilmente.
Passate le mode, passate le “speculazioni”, resterà ciò che di
buono l’agricoltura biologica si porta dietro. Che è tanto,
nonostante ne vengano sbandierate solo alcune delle virtù
intrinseche.
Anche a costo di annoiare, riportiamo qui l’ennesima riprova
dell’importanza dell’alimentazione Bio, che vale come
considerazione finale del 2013, un anno dove il Bio si è fatto largo muscolosamente
(soprattutto a livello di convincimento popolare) nonostante i tanti detrattori.
Una considerazione che nasce da un testo ritrovato del professor Giovanni Ballarini,
dell’Università di Bologna, già docente del corso di laurea in Scienze gastronomiche, autore del
libro “Alimentazione e Patologia Alimentare Darwiniana”, che spiega in modo inequivocabile in
che modo la celiachia si sia diffusa in epoca moderna e come venga considerata la malattia del
futuro. Un testo che fa comprendere come alcune pratiche dissennate nell’agricoltura,
consolidate negli ultimi decenni, abbiano contribuito se non scatenato la diffusione della
celiachia.
Ecco alcuni passi significativi:
Cenni di storia naturale della celiachia
Prof. GIOVANNI BALLARINI – Università degli Studi di Parma
(…) L’agricoltura ha sviluppato la coltivazione di cereali, anche di quelli definiti tossici ed
allergizzanti, che da un punto di vista dell’evoluzione non sono da ritenere adatti alla specie
umana.
(…) Le granaglie primitive (miglio, panico segale ed altri i cereali minori oggi abbandonati, ma
anche l’orzo ed il farro primitivi) avevano un limitato contenuto in glutine. La selezione di
frumento ricco di glutine e soprattutto del grano duro, è relativamente recente.
(…) I grani erano mangiati soprattutto dopo essere stati tostati o fermentati per la produzione
della birra, del pane o di puls lungamente bollite.
Nella birra inoltre manca la quota proteica (glutine). Per la panificazione si usava il lievito acido
nel quale sono presenti lieviti e lattobacilli. Questa lievitazione, basata sulla protratta azione
dell’acido lattico, un buon denaturante delle proteine, inattiva le attività allergeniche e forse
tossiche delle prolammine del glutine.
Quando il pane era utilizzato senza lievito (pane azzimo) la cottura era spinta ed eseguita su
forme sottili come ancor oggi la pizza, gallette e la carta da musica sarda: in questo modo
anche la parte interna è soggetta a cottura. Le puls, da cui il nostro termine di polenta, erano
minestroni con granaglie di cereali e di leguminose sottoposte a lunga bollitura.
I trattamenti ora indicati, in modo particolare quando erano associati ed applicati a cereali con
limitate quantità di glutine, attenuavano se non annullavano le attività allergeniche del glutine.
Oggi questi trattamenti sono stati sostituiti da cereali ricchi di glutine ed in particolare dal
grano duro e si è diffusa l’abitudine del “mangiare crudo”, nel senso di poco cotto (pane
scarsamente lievitato e senza lievito acido, pasta al dente).
La cucina, che si era sviluppata assieme all’agricoltura, era intervenuta suoi cereali con
fermentazioni e trattamenti termici capaci di renderli tollerabili alla specie umana. La nuova
cucina del poco cotto e delle fermentazioni blande e non acide, in individui geneticamente
predisposti, provoca disturbi d’intolleranza e soprattutto d’allergia, il più importante dei quali è
la celiachia.
Da un punto di vista evoluzionista, molto importante è la recente diffusione delle allergie e, tra
queste, quelle intestinali, in conseguenza dell’eliminazione dei parassiti intestinali. Il sistema
immunitario, privato dei suoi “bersagli naturali”, verso i quali si era sviluppato tutto il processo
della selezione naturale, i parassiti, in assenza di questi si dirige verso antigeni ed allergeni,
quali le proteine di vegetali verso i quali non vi era stato un adattamento selettivo: i cereali.
La nostra specie aveva sviluppato un naturale, lungo periodo d’allattamento (fino ai quattro
anni d’età) e nei bambini i cereali entravano nell’alimentazione umana solo quando l’intestino
era completamente sviluppato e maturo. (…) La celiachia e le sue complicanze hanno oggi
un’interpretazione evoluzionista che rivaluta la cucina tradizionale, nata prima od assieme
all’agricoltura…
Tutto questo, mi pare, riporta a un’agricoltura e a un cibo più naturale. Cioè al biologico. Che
rappresenta a tutti gli effetti un ritorno alla naturalità della coltivazione e del trattamento dei
prodotti della terra. Quando quella che oggi è una tendenza, diventerà un sistema diffuso, il
biologico potrebbe essere la chiave per aprire le porte ad una nuova era, nella quale vedere,
tra i tanti benefici salutistici del Bio, anche la diminuzione di patologie legate all’alimentazione
(intolleranze, obesità, allergie), con tutti i benefici, non solo individuali ma sociali, che questo
comporterebbe. L’augurio è di fare, nel 2013, un passo in avanti anche in questo senso.
(da BlogBiologico – dicembre 2012)
IL 2013 SARÀ UN ANNO CALDO SUL FRONTE OGM. IL FUTURO
PREMIER CHE FARÀ?
In Italia alcuni agricoltori hanno annunciato l’intenzione di seminare mais MON810 sfidando le
norme nazionali. Si rifanno a una sentenza della corte di giustizia europea dello scorso
settembre che in realtà non ha modificato quanto già previsto dalla normativa europea e
dunque non ha cambiato nulla, in Italia, su questa materia.
Sempre nel corso di quest’anno e sempre a proposito di semina di mais geneticamente
modificato, la Corte di giustizia europea dovrà esprimersi sulla vicenda Fidenato: a
Pordenone il processo nei confronti dell’imprenditore che nella primavera del 2011 ha seminato
senza autorizzazioni, si è chiuso con un nulla di fatto. Il giudice, proprio in ragione della
sentenza della Corte di giustizia, ha chiesto che sia questo stesso organo a pronunciarsi sulla
compatibilità tra le norme italiane e la direttiva Europea.
E tra pochi giorni, sempre a Pordenone, si apre il processo nei confronti degli attivisti di
Greenpeace che proprio sui campi di Fidenato erano intervenuti tagliando, isolando e mettendo
in sicurezza la parte superiore delle piante di mais transgenico (quella che produce il polline
responsabile della contaminazione di colture non GM).
Tutto questo (e altro ancora) avverrà nel pieno di una campagna elettorale dove – ho il forte
sospetto – non sentiremo una parola sull’argomento da nessun candidato Presidente del
Consiglio dei Ministri. Molto più importante parlare di spread, che per gli elettori è argomento
altrettanto ostico. Lo spread però non si mangia, mentre gli OGM sono già sulla nostra tavola
(a partire dal fatto che larghissima parte dei mangimi per l’alimentazione animale provengono
da vegetali transgenici).
Favorevoli o contrari agli OGM (noi di Slow Food, come noto, siamo nettamente dalla parte di
coloro i quali gli OGM non li vogliono perché, innanzitutto, non servono alla nostra agricoltura)
credo che tutti quanti vorremmo sapere che cosa pensa di fare il nostro futuro Premier su
questo tema, centrale per il futuro dell’agricoltura, dell’alimentazione, dell’ambiente nel nostro
Paese.
Intanto l’anno è iniziato con notizie importanti anche in Europa. Il 2 gennaio scorso, il governo
polacco ha adottato misure di salvaguardia nazionale volte a vietare la coltivazione del mais
geneticamente modificato MON810 della Monsanto e della patata Amflora della BASF, gli unici
due organismi geneticamente modificati autorizzati per la coltivazione nell’Unione europea. I
due divieti entreranno in vigore a partire dal 28 gennaio 2013. Dalla Commissione europea
hanno dichiarato che, come nel recente caso della Francia, la Polonia dovrà fornire nuove
prove volte a giustificare l’imposizione del divieto e l’EFSA valuterà la richiesta. La Polonia è,
dunque, l’ottavo Stato membro ad imporre misure di salvaguardia nazionali nei confronti delle
colture geneticamente modificate, insieme a Francia, Germania, Austria, Ungheria, Grecia,
Bulgaria e Lussemburgo.
Cari candidati Premier, voi cosa pensate di fare?
(da SlowFood – gennaio 2013 – fonte: Il Fatto Quotidiano)
L'ELETTRICITÀ PER L'EUROPA
ARRIVERÀ DAL SAHARA
Il 19 novembre 2012, il complesso di impianti ad
energia rinnovabile di Ouarzazate, sulle colline del
Marocco Centrale, sul confine con il Sahara, ha visto
realizzarsi le prime installazioni dopo aver ricevuto
la prima tranche di fondi: 345 milioni di euro da
parte della Banca Europea per gli Investimenti (BEI)
e di altri investitori europei.
La somma rappresenta la metà dei fondi necessari
alla prima fase di creazione degli impianti solari che raggiungeranno la capacità di 500
megawatts. Parte dell’energia elettrica prodotta sarà poi esportata nel continente europeo.
Questo progetto, iniziato da Masen (Agenzia Marocchina per l’Energia Solare) - il primo del suo
genere ad emergere nel Nord Africa - ha permesso l’attuazione di iniziative ambiziose per fare
uscire per la prima volta l’energia rinnovabile dall’ombra.
Ouarzazate rientra nel Piano Solare del Mediterraneo (MSP), un progetto omnicomprensivo.
Avviato dall’ Unione per il Mediterraneo nel novembre del 2008, il Piano aspira ad installare
una capacità produttiva di 20 gigawatt nel Sud e nell’Est del bacino Mediterraneo entro il 2020.
Durante la sua inaugurazione, avvenuta nel 2008, l’Unione per il Mediterraneo presentò più di
60 progetti per la costruzione di pannelli fotovoltaici in una parte del Sahara.
Nel giugno 2012, la BEI ha iniziato i progetti preliminari del Piano Solare del Mediterraneo.
Questo ha aperto la via a prestiti da parte della Commissione Europea per progetti 'che siano
già in uno stato avanzato di preparazione e dove ci sia un’alta probabilità che il finanziamento
e l’implementazione vengano raggiunti in tempi ragionevoli'. Ha preso la palla al balzo il
consorzio tedesco Desertec, che intende costruire nel Sahara, con un investimento di 400
miliardi di euro, degli impianti solari – con una capacità di 200 gigawatts su un’area di 300 km
quadrati per 'venire incontro alla domanda mondiale di energia'.
Ma non si muovono solo i tedeschi. Il gruppo francese Medgrid (in precedenza Transgreen) si
sta concentrando sulla rete elettrica di trasmissione ad alta capacità DC che unisce gli impianti
solari o eolici ad aree di consumo sulle due sponde del Mediterraneo. Si tratta di progetti
eccellenti, almeno sulla carta. Desertec potrebbe in questo modo soddisfare il 15% della
domanda europea di energia elettrica entro il 2050. La sfida rimane quella di assicurare un
trasferimento sicuro dell’energia prodotta nel Sud al Nord. Al momento solo una doppia linea
ad alto voltaggio DC di 1.4 gigawatt, che passa sotto lo Stretto di Gibilterra, connette le due
sponde del Mediterraneo. Un’altra interconnessione elettrica permetterebbe un collegamento
tra Francia e Spagna.
Questa è la prima connessione DC trans-europea che usa la tecnologia VSC (convertitore alla
fonte di voltaggio che garantirà una più veloce conversione da corrente alternata a corrente
diretta). Sotterraneo e con 64.5 km di lunghezza (31 km in Spagna e 33.5 km in Francia), dal
2015 esso permetterà di raddoppiare la capacità di scambio di energia elettrica tra la Spagna
ed il resto dell’Europa.
(da Greenplanet – gennaio 2013)
in chiusura, proponiamo alcuni interessanti articoli:
-
sulle energie rinnovabili:
CALO RECORD DEI CONSUMI D'ENERGIA E LE RINNOVABILI
SALGONO ALL'11%
RINNOVABILI: POSSONO SODDISFARE IL 99,9% DI RICHIESTA
DI ELETTRICITÀ
(da Virgilio Go Green – gennaio 2013)
-
un Vademecum per il nuovo Anno:
I 10 ECO-BUONI PROPOSITI PER UN 2013 DAVVERO GREEN
una stuzzicante ricetta:
COME PREPARARE IN CASA I FALAFEL DI CECI
(da GreenMe – gennaio 2013)
-
una attenta disamina su:
BIOGAS E CO-DIGESTIONE: RISCHIO CONTAMINAZIONE
(da Terra Nuova – gennaio 2013)
- e, per finire…in bellezza:
A TEATRO L’EFFETTO SERRA SPIEGATO AI BAMBINI
(da Ecopolis Newsletter – gennaio 2013)