il castello ursino ei musei di catania nel xx secolo

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il castello ursino ei musei di catania nel xx secolo
(Pubblicato su “Ricerche” a. X n. 1 Gennaio-Luglio 2006 pp. 49-102)
IL CASTELLO URSINO E I MUSEI DI CATANIA NEL XX SECOLO
di Alvise Spadaro
alla memoria di Mario Sipala e Corrado Dollo
Per l’inaugurazione del più antico museo catanese in attività, trofei, bandiere, tendaggi bianchi e
rossi e un palco capace di 300 posti a sedere. Era il 30 luglio del 1858 e s'inaugurava l’Orto
botanico dell’Università voluto da Tornabene Roccaforte, benedettino docente di botanica
dell’Università di Catania e ampliato due anni dopo con un’area destinata alla coltivazione delle
specie spontanee, grazie ad una donazione del catanese Mario Coltraro. Poi la città raggiunse così
rapidamente l’impianto che non fu possibile alcun’altra espansione.
Con ingresso gratuito su via Antonino Longo, sorge su un impianto che risale al 1788, e che ha
mantenuto la sua struttura ottocentesca estesa per una superficie di circa mq 16.000. non suscettibili
d'ampliamento.
L’edificio porticato in stile neoclassico opera dell’architetto Distefano occupa il centro dell’area.
L’Orto Generale di tredici piccole serre, una delle quali contiene le piante grasse della collezione
del dr Gasperini; una serra caldo-umida per la riproduzione delle palme, una cinquantina di specie,
e per la coltura di piante esotiche; tre vasche circolari per la coltivazione di piante acquatiche. Vi
era anche una grande serra, detta Tepidario che fu demolita in seguito ai danni subiti durante
l’ultimo conflitto mondiale.
L’Orto Siculo di mq. 3.000 realizzato verso il 1887, ha esemplari provenienti da tutta l’Isola e
specie esotiche da lungo tempo coltivate in Sicilia.
Al centro dell’Orto botanico vi è un erbario con funzione di documentazione storica: vi sono
custoditi, in ottanta armadi, complessivamente 150.000 fogli (la raccolta più antica è costituita da
due volumi della fine del Seicento).
Un’oasi nella città, ma anche metaforica nel contesto dei musei che percorrerà il Novecento con
una storia travagliata e a volte dolorosa.
Nella seduta del 17 settembre 1903, il vice presidente della Società di Storia Patria denunciava
che non era stata ancora avviata alcuna pratica per la cessione del Castello Ursino dallo Stato al
Comune di Catania e, agli inizi del successivo anno, la Società votava un ordine del giorno con il
quale si sollecitava l’intervento dell'Amministrazione comunale per ottenerne la concessione.
Il Soprintendente alle antichità della Sicilia, fece valere la sua autorevolezza nella questione
proponendo che il Castello, opportunamente restaurato, fosse destinato a museo civico.
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Il progetto di tale destinazione è documentato sin dal 1904, infatti una nota pubblicata
dall’A.S.S.O. (Archivio Storico per la Sicilia Orientale) riferisce: “Sono iniziate le pratiche fra il
Comune di Catania e il Governo per la retrocessione alla città del Castello Ursino, che s’intende
restituirlo alla sua primitiva forma e farne un gran museo e un conservatorio di tutti i nostri
archivi.”
Così il castello avrebbe custodito due grandi raccolte formatesi nel Settecento. Quella dei
Benedettini e quella del principe Biscari.
Il Museo dei Benedettini, formatosi sotto l’impulso animatore di Vito Amico e Placido
Scammacca, era pervenuto al Comune nel 1868, in seguito alla soppressione delle corporazioni
religiose. Era composto di cinque spaziose stanze del monastero di San Nicola l’Arena, con gli
oggetti suddivisi per argomento: archeologia, storia naturale, manufatti medievali, armi da fuoco,
reperti etnografici, iscrizioni greche e latine, mosaici, cammei, collezione malacologica e
mineralogica.
Un museo ammirato solo da Byron e che il conte de Borch, nella sua visita del 1776 giudica
abbastanza trascurato e senza granché di veramente pregevole, come farà nove anni dopo Münter e
successivamente Goethe e gli altri illustri visitatori del Settecento e dell’Ottocento.
Anche il conte Carlo Castone, sul finire del Settecento, trova il museo in gran disordine, coi vetri
delle bacheche così sporchi da non potervi vedere attraverso. Fra i quadri non individua che pochi
originali. Ritiene la miglior tela una Deposizione di Cristo che attribuisce a Caravaggio e che
ritroviamo elencata, con la stessa attribuzione, in una guida di Catania del 1899.
Ma anche alla vigilia del primo conflitto mondiale, non si poteva entrare nelle sale del museo senza
provare una stretta al cuore: una gran confusione, così che la Facoltà di Lettere aveva chiesto al
Comune l’autorizzazione alla gestione gratuita dell’istituzione:
Ai quadri, pervenuti perlopiù da chiese catanesi, il Comune aggiungerà 123 opere che aveva
ereditato nel 1826 da G. B. Finocchiaro e che aveva dovuto subito disperdere perché allora non si
riuscì a trovare un edificio abbastanza grande da poterle contenere tutte. Infatti, a quell’epoca, gli
uffici municipali erano solo al primo piano del palazzo comunale, perché l’ultimo piano era ancora
incompleto e il piano terra ospitava, oltre che i vigili urbani, anche gli uffici postali e una scuola
elementare.
Quindi i dipinti che non trovarono posto al primo piano, forse a cominciare da quelli stimati di
minor valore, finirono con l’essere trasferiti, negli anni, chissà dove. E così il museo dei Benedettini
portava al Castello Ursino anche una pinacoteca che annoverava opere, tra le altre, di De Saliba,
Novelli e Stomer, incrementata nel 1913 da alcune tele di Michele Rapisardi, donate dal fratello.
Il Museo Biscari, invece fu aperto nel 1758 nel palazzo del principe alla marina.
Un’iniziativa di stampo prettamente illuminista di Vincenzo Paternò Castello, che restituiva a
Catania il ruolo di Atene Sicula.
Brydon nel 1770 cominciò la visita alla città proprio con questo celeberrimo museo e ricorderà di
non aver mai visto una raccolta d’antichità così grande. Al Münter la visita al museo provocherà
stupore e commozione: Goethe ne rimarrà ammirato.
Dodici sale, tre gallerie e tre atri con numerosi bronzi, grandi statue, busti ed iscrizioni greche e
latine, grandi crateri greco-siculi istoriati e altri vasi di minor grandezza, statue fittili e raccolte
mineralogiche, vulcanologiche, malacologiche, zoologiche e armi antiche e più di diecimila monete:
quattrocento d’oro e la maggior parte d’argento.
Carlo Castone, trattando del museo e del monetario scriverà. “Converrebbe tessere un grosso
volume per descriverlo degnamente...vidi eziandio il copiosissimo medagliere e per ben tre ore feci
passare in rivista le medaglie della Sicilia”.
Ma già nel 1818 de Gourbillon trovò la raccolta in gran disordine e, meno di trent’anni dopo, la
collezione delle monete non era più visibile e il museo inaccessibile al pubblico a causa della
contestata proprietà.
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Il Comune di Catania aveva fatto di tutto per rilevarne appunto la proprietà e infatti il secolo finisce
con un contenzioso con gli eredi, a fasi e risultati alterni, che si conclude con la minaccia di una
vendita all’asta che avrebbe disperso gli oggetti appartenenti al museo.
Il Governo si offrì di finanziare il diritto di prelazione ma, dal 1927, seguendo l’esempio di Roberto
Paternò Castello che donò la sua quota, i più cedettero anche la propria al Comune che poté così
facilmente acquistare le rimanenti. Mancavano però l’armeria e il monetario, venduti dagli eredi già
da qualche tempo.
Intanto lo Stato italiano concedeva il Castello Ursino al Comune di Catania per la durata di
ventinove anni, concessione rinnovabile, e quindi definitiva. Si cominciò ad occupare così l’edificio
con le casse contenenti gli oggetti riscattati del museo Biscari e quelle del museo dei Benedettini.
Occupazione strategica, vano dopo vano, riducendo così poco a poco gli spazi ancora occupati dai
militari per indurli ad affrettare l’abbandono definitivo di quella che era stata la loro caserma:
utilizzazione che risaliva addirittura al Settecento.
Il trasloco si concluse nel luglio 1930, ma i lavori di restauro previsti, presto iniziati, restarono
fermi per tre anni, a causa d’impedimenti burocratici e per “lassismo” dell’impresa appaltatrice.
Ripresi il 21 novembre 1932 con cinquanta operai si chiusero il 18 ottobre 1934, cioè due giorni
prima dell’inaugurazione, con un totale di spesa di seicentosessantasettemila lire.
A lavori ultimati, nel piano terra erano stati sistemati i reperti archeologici con le statue classiche;
nel piano superiore le pitture del Quattrocento e bronzi del Rinascimento; nelle sale del secondo
piano le pitture cinquecentesche e seicentesche; nel gran salone e bel vano superiore le opere
dell’Ottocento.
Guido Libertini, direttore dell’istituto universitario di Archeologia oltre che primo direttore del
museo, fu appassionato animatore dell’iniziativa che vedeva unificata la collezione del principe
Biscari, della quale aveva pubblicato un monumentale catalogo, con quella dei Benedettini e
dell’Antiquarium Comunale, nonché esauriente relatore della commissione, preposta ai lavori di
restauro, che comprendeva anche Francesco Fichera, Sebastiano Agati, Giuseppe Mancini ed Ercole
Fischetti.
Il museo civico di Castello Ursino è così inaugurato nel piovoso 20 ottobre 1934 alle ore 15
e alla presenza di Vittorio Emanuele III: un ritorno a Catania dopo soli quattro anni per il sovrano
che il 5 Maggio del 1930 aveva inaugurato il Museo Civico Belliniano.
La modesta casa dove era nato Vincenzo Bellini, tre vani nel mezzanino del palazzo Gravina
Cruyllas, diventava museo grazie anche ad una sottoscrizione promossa dalla stampa nazionale che
ne consentì il riscatto e l’acquisto dell’arredamento museale, dopo il fallimento del campanilistico
tentativo promosso da Giovanni Verga di circoscrivere l’iniziativa all’esclusiva sensibilità dei
Catanesi.
Effetto della passione che il gran compositore suscita ancora adesso nel mondo, non solo nei suoi
ammiratori che oggi non fanno mai mancare un fiore sulla sua tomba, ma anche negli altri grandi
musicisti tra i quali, oltre Wagner, si deve annoverare Chopin che, in punto di morte, chiese ed
ottenne, anche se per soli ventisette anni, di essere seppellito accanto al Catanese.
Quello spazio striminzito era già colmo d’ogni sorta d’oggetti gli si potessero riferire direttamente o
anche indirettamente.
Vetrine con lettere, manifesti teatrali, strumenti musicali appartenuti ai suoi familiari o a lui stesso,
suoi ritratti o d’amici e dei primi interpreti delle sue opere, scene e locandine del tempo, ricordi
personali, autografi musicali, onorificenze.
Passione per Bellini che travalicava l’orrido: nelle vetrine, assieme al trapano utilizzato per la
reimbalsamazione, alcuni reperti organici trafugati da alcuni dei medici che la eseguirono e poi
donati al museo dagli eredi: capelli staccati dalla parte occipitale del capo, una falangetta e persino
peli del petto. Vere e proprie reliquie.
Vi si annetterà una biblioteca con tutte le edizioni antiche e moderne delle opere e dei libretti,
trascrizioni e partiture e poi le biografie, le critiche teatrali e i giornali del tempo.
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Oltre che del museo di Castello Ursino, il 1934 è anche l’anno di fondazione del Museo dello
Studio, il meno conosciuto e illuminato museo catanese. Due stanzette vicino ai locali del rettorato:
cinque stracolme bacheche senza troppe didascalie e con documenti e cimeli relativi alla storia del
Syculorum Gymnasium, medaglie, sigilli, pergamene e diplomi di laurea, anche miniati, dal
Settecento all’Ottocento. Ritratti d’uomini illustri catanesi e dei più insigni professori, con
frammenti del grande affresco che copriva la volta della biblioteca.
Più tardi, nel 1937 dopo una mostra a palazzo Biscari, si era costituito il Museo del Risorgimento
nel vestibolo del primo piano del palazzo comunale. Documenti storici, ritratti, lettere autografe,
costumi, armi, proclami. Alcune tele di tema risorgimentale, come Peppa ‘a cannunera di Sciuti o
ritratti di Gandolfo, temporaneamente sottratti al museo civico di Castello Ursino, oppure date in
deposito temporaneo dall’Università.
Tutto bruciato nell’incendio doloso appiccato al municipio sette anni più tardi, che incenerì anche
l’archivio comunale. Tutto bruciato o comunque disperso, perché nei giorni immediatamente
successivi, furono visti giocare per strada alcuni monelli con vecchie armi e kepì, trafugati prima
che appiccassero l’incendio.
Nel 1938 il Museo di Castello Ursino, che già aveva acquisito la donazione d’alcuni quadri
dipinti dal Gandolfo, riceve ventitré dipinti sette-ottocenteschi, legato testamentario dell’ing.
Francesco Mirone. E dopo la stasi, la tragica parentesi bellica si conclude con un’altra donazione:
nel 1946 entra a far parte del museo la collezione del barone Giuseppe Zappalà Asmundo, ossia
quarantasei dipinti con opere di Palizzi, Morelli e Michetti, 7527 incisioni da Dürer a Stefano della
Bella e alcuni oggetti d’arte, tra i quali, due violini attribuiti all’Amati, vasi giapponesi, figurine di
Sévres e di Capodimonte.
L’anno successivo il museo acquisisce, per legato testamentario, undici quadri appartenenti all’ing.
Natale Balsamo, tra i quali opere di Delleani, Fontanesi ed Induno.
I danni alle opere d’arte causati dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale furono
incalcolabili: al Castello Ursino si dovette provvedere, previo consolidamento e ricostruzione di
alcune parti strutturali, a ricoprire tempestivamente tre saloni che erano stati scoperchiati, mentre i
telai delle finestre furono riparati in modo provvisorio e rimasero a lungo senza vetri.
Il 21 ottobre 1949, in occasione del VI Congresso nazionale, è inaugurato al Palazzo delle
Scienze, il Museo di Mineralogia dell’Università di Catania, giudicato al suo nascere uno dei
migliori d’Italia.
Nei grandi scantinati del palazzo, vetrine e bacheche con l’antica collezione proveniente da diverse
parti del mondo: bombe dell’eruzione di Santorino (1866-70), della Martinica (1902-03) e di
Vulcano (1889); e poi grossi cristalli di gesso delle solfare siciliane e anelcmi dell’isola Lachea e
dei Ciclopi; i migliori esemplari dei minerali, secondo la classificazione del Dona; minerali etnei e
pre-etnei, del Somma-Vesuvio, di Palagonia, del Lazio, della zona metallifera dei Peloritani e la
roccia asfaltica di Raddusa coi fossili e una ricca collezione petrografica del Krantz. E infine
salgemma delle miniere siciliane e ossidiana di Lipari e celestiti e aragoniti e dispari e agate e
marmi di Trapani, Taormina e altre località, con oltre 320 cubetti ricavati dalle più caratteristiche
rocce dell’Etna e dei vulcani estinti del Val di Noto, levigati in una faccia per farne apprezzare il
pregio come elementi decorativi in architettura.
Rilevante il plastico che riproduce l’Etna del Sartorius von Waltershausen.
Il 1953 è l’anno della scomparsa del primo direttore onorario del Museo Civico di Castello
Ursino e, dopo questa data non sono molte le acquisizioni da parte dell’Amministrazione comunale
per i musei catanesi. Nel 1958 quattro lettere autografe di Vincenzo Bellini, cinque bigliettini del
medico che lo ebbe in cura e che si riferiscono alle ultime ore di vita, una poesia in onore del
musicista, una circolare inviata all’orchestra per le onoranze funebri, la nota delle spese sostenute
per la sepoltura. Nel 1961 e nell’anno successivo, due dipinti di Natale Attanasio.
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Intanto il 5 marzo 1960, con delibera del Consiglio comunale, è istituita a Catania la Casa
Verga, abitazione in cui lo scrittore visse a lungo e dove morì. Bene dotale di otto vani, al
secondo piano dell’edificio di via Sant’Anna della madre Caterina Di Mauro
Barbagallo, già da vent’anni monumento nazionale.
L’iniziativa non ebbe alcun seguito e anche quando i Consigli comunale e
provinciale, dopo quattordici anni, si decideranno ad approvare lo schema dell’atto
costitutivo e lo statuto della Fondazione, la Commissione regionale finanza locale
eliminerà la spesa prevista dai due bilanci e la Casa ripiombò nella desolazione,
nell’incuria e nell’umidità.
Nel 1967 la signora Maria Brizzi de Federicis dona alla città cinquantadue dipinti di Natale
Attanasio che pervengono da Roma l’anno successivo.
Non si può fare a meno di notare che tra le condizioni poste dalla donatrice, parente del pittore, si
legge: “...siano sistemati nel Museo Civico o in qualche Pinacoteca di codesta Città, in modo che
essi siano perennemente ospiti al pubblico. 3) Che nella sala in cui verranno sistemati i dipinti
venga apposta una targa...”. La signora Brizzi de Federicis non conoscendo la realtà catanese, nel
riferirsi a museo civico o pinacoteca intendeva certamente o questa o quello per l’insieme dei
quadri, tant’è che al successivo punto “3)” parla della sala in cui verranno sistemati da quell’unico
locale. Invece nella delibera di accettazione del dono da parte del Comune la “o” diventa “ed” e si
legge: “...b) disporre che dette tele siano convenientemente sistemate al Museo Civico ed in altri
luoghi aperti al pubblico...”. Ossia da utilizzare possibilmente anche come arredamento di pubblici
uffici.
Si tratta di un periodo particolare per la storia del Museo Civico di Castello Ursino, un periodo
critico le cui vicende saranno rese note soltanto tredici anni dopo, quando si parlerà di “scandaloso
delitto culturale con la compiacenza e il silenzio di tutti”.
Per ora qui conviene ricordare che quando venne istituito il museo si convenne che ci fosse un
direttore onorario designato dall’Università e un ispettore scelto dal Comune: se il primo era uno
storico, il secondo doveva essere un archeologo e viceversa.
Primo direttore fu un archeologo e così il Comune di Catania nominò ispettore uno storico, ma con
la morte dell’archeologo, nel 1953 come si è detto, rimase a lungo solo lo storico nominato dal
Comune il quale insistette perché il posto di direttore fosse affidato ad un funzionario comunale il
quale, a sua volta con la collocazione in quiescenza dello storico, dal 1968 rimase unico
responsabile del museo civico di Castello Ursino.
Nel 1970 la direzione di ruolo fu assunta da un archeologo dell’Università di Catania, ma quattro
anni dopo si bandisce un concorso per il conferimento del posto, carriera direttiva, parametro 280:
cinque candidati ammessi, ma concorso non espletato.
Il 6 maggio 1977, il direttivo della Società di Storia Patria, seguìto pochi giorni dopo
dall’Università di Catania, approva l’atto costitutivo della Fondazione Verga.
Le famose “27.000 carte verghiane” acquistate dalla Regione vengono consegnate alla Biblioteca
regionale universitaria dove il direttore provvede a disporre la loro catalogazione e riproduzione per
metterle subito a disposizione degli studiosi.
La Società di Storia Patria e l’Università istituiscono, con atto pubblico, la Fondazione Verga e così
iniziano le pratiche per l’acquisizione della Casa Verga che si realizza con atto rogato il 23 gennaio
1980.
La Regione che assume la proprietà affida l’immobile e il suo contenuto alla custodia della
Soprintendenza ai beni architettonici di Catania.
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Intanto nel 1978, in seguito ad un contenzioso giudiziario con gli eredi del pittore Giuseppe
Sciuti, l’Amministrazione comunale delibera l’acquisto di nove grandi tele dell’artista che si
trovavano già in suo possesso.
Il 27 gennaio 1979 si dimette il direttore del Museo Civico di Castello Ursino, subito sostituito
dall’Amministrazione comunale con un funzionario dell’Autoparco (sic), mentre bandisce un altro
concorso che non verrà espletato, almeno fino al marzo del 1981. In tale anno, dopo nove anni di
gestione del museo e a due dalle dimissioni, il direttore uscente rivela inquietanti particolari sulla
troppo disinvolta amministrazione del patrimonio culturale custodito nel museo che dirigeva.
Dall’esame dell’inventario, cui si è già accennato, compilato dal suo predecessore, si era reso subito
conto che numerosi oggetti mancavano perché dati in affidamento però, non solo senza il rispetto
delle norme prescritte, ma addirittura, in moltissimi casi anche senza verbali di consegna. Malvezzo
al quale già vanamente si era opposto il direttore interinale del museo che aveva ottenuto dal
sindaco l’ordine di servizio n.37 del 30.4.69.
Le norme dell’affidamento, infatti prescrivono: la richiesta del sindaco, la conseguente
autorizzazione e inoltro al direttore del museo che richiederà il nulla osta dell’assessorato regionale
e, dopo il relativo benestare ci si scambiano i verbali di consegna e di accettazione corredato dalle
foto dell’opera data in affidamento.
Ma la troppo disinvolta gestione, come denuncerà l’ex direttore, risaliva agli anni Cinquanta. Infatti
già nel 1952 il Comune aveva chiesto ed ottenuto un bassorilievo del Quattrocento raffigurante
sant’Agata per collocarlo nel cortile del municipio; c’è una lettera autografa, datata 1954 e a firma
dell’allora ispettore onorario in cui è scritto testualmente “questo museo si onora di cedere in
deposito alla Prefettura di Catania” alcune preziosissime statuette, probabilmente bronzetti
rinascimentali “che possono essere nascosti anche sotto una giacca”
Nel 1960 poi, il responsabile del museo nel compilare il catalogo, cui si è fatto cenno, aveva omesso
di elencare le 7527 stampe ed i dipinti della collezione donata dal barone Zappalà Asmundo, nonché
alcuni dipinti di valore donati nel 1827 dall’avvocato Giovanni Battista Finocchiaro, nonché altre
tele di provenienza incerta.
E che dire dei doni fatti qualche anno più tardi dall’Amministrazione comunale alla città di
Grenoble in occasione del gemellaggio, prelevandoli molto disinvoltamente dal patrimonio di
Castello Ursino: due vasi da vino e un vaso per unguenti di età ellenistica e una lucerna di tipo
attico del V secolo a. C.?
Aveva contato, il direttore dimissionario, un ammanco di novantacinque pezzi donati in affidamento
o deposito e così elencati sul quotidiano: “Il Comune di Catania ha fatto la parte del leone: ha
preso una decina di grandi pitture dello Sciuti e dell’Attanasio e una quindicina di bronzetti
rinascimentali, piccoli ma preziosissimi, oltre ad un paio di sculture del primo secolo. La
Prefettura non è stata da meno: una ventina di quadri dell’Attanasio, uno dei più grandi pittori
della seconda metà dell’Ottocento, un paio di armature, alcune antiche sculture e un paio di
capitelli del XVIII secolo, tanto per gradire. La Commissione Provinciale di Controllo da parte sua
ha ‘accettato’ i soliti quadri dell’Attanasio (quattro). Il Liceo Musicale ‘Vincenzo Bellini’ una
decina di pitture di vari autori, e persino la Procura della Repubblica, l’Università e il Comando
dei Carabinieri hanno avuto in affidamento altre opere”.
Durante la sua gestione, tutto questo non solo non sarebbe accaduto, ma l’ex direttore si sarebbe
preoccupato di recuperare gli oggetti dispersi incontrando forti resistenze ovunque tranne che presso
il Comando dei carabinieri; anzi, quando il viceprefetto in persona si era recato al museo per
prelevare alcuni oggetti, fu cacciato in malo modo e fuggì letteralmente inseguito dalle sue urla.
Informata subito la Soprintendenza alle gallerie di Palermo spedì una diffida al Prefetto, il quale
offeso impedì al direttore del museo di entrare nella sua residenza privata e si rifiutò di restituire le
opere di proprietà del museo avute in affidamento che vi si trovavano.
E poi era rimasta l’usanza per la quale con il solo assenso del Comune, la sede che ospitava il
museo veniva utilizzata in modo estemporaneo per comizi elettorali con relativi banchetti, serate
danzanti, mostre di manifesti, recital di poesie dialettali. Tutto con uso gratuito del telefono.
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E così aveva rassegnato le dimissioni da questo “bivacco a mezzo tra la trattoria e il dancing”. Ma
mentre minacciava tali dimissioni, che avrebbe rassegnato l’anno successivo, l’assessore comunale
alla pubblica istruzione aveva offerto l’incarico, però senza retribuzione, ad un accademico, uno dei
più noti e popolari esponenti della cultura catanese, il quale accettò subito, ma ponendo tra le poche
ragionevolissime condizioni “il legale recupero delle opere d’arte mancanti”.
La lettera ufficiale d’incarico non arriverà più: “Sarà stato perché io avevo messo nelle condizioni
la restituzione delle opere al museo e perché conoscendo il mio carattere, si sapeva che le avrei
fatte restituire, a costo di andare personalmente a ritirarle?”
Il sindaco replicherà che gli oggetti furono dati in affidamento solo perché delle ventotto sale del
Castello Ursino soltanto nove sono ormai aperte al pubblico per l’inagibilità di alcune, di transito
per gli altri locali.
Intanto si propone di stipulare una convenzione con l’Università per la gestione del museo e
iniziano sopralluoghi per programmare saggi tecnici necessari per restituire al Castello Ursino la
totale agibilità, precisando che i tempi tecnici non dovrebbero superare i sei mesi e si formula un
“regolamento di massimo rigore” per la tutela delle opere d’arte e dei cimeli. Si cerca di aprire
alcune sale ai visitatori attirati a Catania dalla mostra su Antonello da Messina che avrà luogo a San
Nicola l’Arena. Si fanno proposte per l’agibilità provvisoria o definitiva.
I primi sopralluoghi registrano che il Castello Ursino è inagibile dal 1969. La sala Zappalà
Asmundo e tutta l’ala destra sono pericolanti a causa di fenditure visibili nella travatura di sostegno.
Il fossato è diventato una grande discarica di rifiuti: vi sono anche carcasse di automobili. L’odore è
insopportabile. I turisti che non possono entrare nel museo si soffermano nella piazza e restano
spesso vittime degli scippatori.
Sembra che si vogliano iniziare i lavori, ma ad agosto del 1982 le ditte fornitrici saranno chiuse per
ferie e trascorrerà molto, molto più di un mese, prima che si pianti un chiodo.
In questo stesso inizio di 1981, il direttore dell’Accademia di belle arti aveva proposto al Comune
di Catania l’organizzazione di una mostra di Emilio Greco, illustre Catanese celebrato ed onorato in
tutto il mondo, ma dimenticato dalla sua città verso la quale invece lo scultore nutre particolari
sentimenti di affetto filiale, tant’è che si dichiara lieto di allestirvi una mostra antologica.
Emilio Greco, non molto tempo prima, aveva donato le sue opere al museo di Orvieto, città nella
quale aveva realizzato le già famose porte del duomo, ed è sincero il suo rammarico quando, alla
vigilia della mostra catanese affermerà che se l’invito gli fosse stato rivolto qualche anno addietro,
forse quelle opere “avrebbero potuto prendere un’altra direzione”.
Il sindaco gli propone una mostra permanente dell’opera antologica, ma lo scultore ribadisce che ha
donato tutto ad Orvieto e poi, come scusandosi, si offre di donare una sala di grafica, di incisioni e
di disegni. Per le sculture, dopo l’operazione alla mano destra, a causa di un’artrosi incurabile.
La mostra di Emilio Greco si farà al Castello Ursino, dove ancora non sono iniziati i lavori.
Comprende trentotto sculture e 130 opere di grafica. Lo si invita troppo tardi anche ad eseguire una
grande opera per una piazza della sua città. Greco avrebbe scelto la sua ultima Memoria dell’estate
così afferma, poi aggiunge che un esemplare vive già tra gli alberi di una città straniera. E
probabilmente questo significa che la aveva eseguita pensando alla sua città.
A seguito di un telegramma dello scultore che si impegna a formalizzare la donazione entro la
primavera del 1983, il sindaco risponde assicurandogli che una sala del Castello Ursino sarà
dedicata perennemente alle sue opere.
Intanto la Commissione provinciale di controllo aveva bocciato la delibera n. 8801 del 9.1\2.81 per
la mostra di Emilio Greco “a causa delle spese immotivate e ingiustificabili” e di conseguenza
l’Amministrazione dovrà reiterare l’atto per renderlo legittimo.
Agli inizi degli anni Ottanta un professionista catanese offre al Comune la sua raccolta
ornitologica come nucleo fondante di un Museo di Storia Naturale “per favorire la ricerca
scientifica, la pubblica istruzione e lo sviluppo turistico”, seguìto più tardi da un altro
professionista che offre la propria collezione malacologica.
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Il direttore dell’Istituto policattedra di biologia animale dell’Università di Catania relazionò
sull’utilità scientifica e culturale dell’operazione e si dichiarava disposto ad aggiungere alle due
donazioni tutte le collezioni dei rispettivi istituti che ormai avevano solo una funzione
marginalmente didattica.
La proposta viene rilanciata dalla delegata del WWF per la Sicilia orientale e dall’Istituto di Scienze
della Terra dell’Università catanese e, in considerazione del fatto che il realizzarsi di tale aspettativa
non richiedeva che la disponibilità di locali, il sindaco dichiara che la realizzazione prevede “tempi
brevissimi”.
I locali proposti del Sacro Cuore in via Etnea, sono giudicati ottimi e così il museo catanese sarebbe
l’unico del genere in tutto il Meridione e nelle Isole.
Invece due anni dopo è ancora tutto fermo: il Comune sta ancora trattando il prezzo di acquisto
dell’immobile che, frattanto è raddoppiato. Per sottolineare il valore scientifico e l’importanza del
museo di Storia naturale, il Gruppo astrofili catanesi organizza un convegno nazionale al quale dà
subito la propria adesione il direttore del Planisfero di Milano e via via illustri astrofisici e
naturalisti. Davanti a questo gotha scientifico il sindaco confermerà il suo impegno per la
realizzazione del museo di Storia naturale con annesso planetario.
Due anni dopo l’ultimo sopralluogo a Castello Ursino, nel Maggio 1984, a cura degli Istituti di
scienza e tecnica delle costruzioni, vengono eseguite le prove di carico: delle tante proposte fatte,
nessuna trasformata in progetto esecutivo neppure quella che comportava una minima spesa per
poterlo riaprire in occasione della mostra antonelliana.
I nove custodi restano attorno alla stufa perché manca il riscaldamento e tutti gli altri impianti sono
insufficienti, anche i sistemi di sicurezza del tutto assenti, mentre le polizze assicurative di incendio
e furto sono state stipulate per cifre inadeguate.
Solo alcune sale del piano terra sono visibili; la scala di accesso al piano superiore è inagibile, nel
salone dei Parlamenti mancano le previste uscite di sicurezza; il solaio della sala successiva è
pericolante; la copertura di tegole è quasi inutile: le bacheche e le vetrine sono senza protezione: le
vibrazioni trasmesse al solaio dal rumore dei mortaretti sparati durante una festa di quartiere
avrebbero mandato in frantumi il coperchio di vetro di una vetrina che, cadendo avrebbe
danneggiato una preziosa porcellana che vi era contenuta.
Quadri accatastati sui pavimenti e avori ammucchiati in vetrine semiaperte. I famosi tarocchi del
Quattrocento contenuti in una bacheca appoggiata ad un muro umido, infilzati da puntine da
disegno che si sono anche arrugginite.
Ma ancora non si muove foglia e non accadrà nulla nemmeno nel successivo anno, quando si
parlerà di un itinerario arabo-normanno-svevo-aragonese e si chiederà alla Regione un progetto
esecutivo. Addirittura si viene a sapere che le opere di ristrutturazione non si sono potute eseguire
per la mancanza del legname a Catania! Intanto il Comune precisa che i lavori di restauro erano
stati affidati alla Soprintendenza già dal mese di Gennaio 1985.
Ma ancora nulla, neppure l’anno successivo.
Nel 1984 il problema principale del Museo Civico Belliniano rimane quello dello spazio
oltre che della mancanza di sistemi di sicurezza, insufficienza di impianti e quant’altro si è
riscontrato per gli altri musei. Solo che il museo civico Belliniano, bene o meno bene, è visibile
quasi tutti i giorni ed è molto frequentato e non solo dalle scolaresche.
L’Amministrazione comunale promette che potrà espandersi nei locali del piano superiore,
attualmente adibiti ad Ufficio leva e pensioni. Vi potrà trovare collocazione e funzionalità tutto il
raro materiale discografico ammassato in alcuni armadi e si potrà riorganizzare la biblioteca
annessa al museo. L’Amministrazione comunale afferma che “sta facendo i passi necessari”.
La Casa Verga restaurata verrà aperta ai visitatori il 26 Ottobre 1984. L’ultima volta era
stata aperta al pubblico per l’esposizione della salma dello scrittore.
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Nella casa-museo un salotto con quattro bacheche, un busto delle scrittore, la sua scrivania e sei
librerie in noce. Contengono più di 2500 volumi: Capuana, Deledda, Di Giacomo, Marinetti,
Villaroel, D’Annunzio, Zola, Flaubert, Tolstoj, Dostoevskij, Maupassant. Poi un letto, un armadio
pieno di abiti d’epoca, una specchiera e due poltrone. Poi ancora un salottino e un’altra stanza da
letto. Cimeli, quadri, foto. La sala da pranzo semplice, collegata alla cucina al piano di sopra con
uno scendivivande.
A Natale dello stesso anno il Comune ha finalmente acquistato il Sacro Cuore, destinato a
Museo di Storia Naturale e Planetario e invece l’Assessore Comunale al Patrimonio consegna le
chiavi dell’immobile al direttore del Liceo musicale. Solo alcuni locali del piano terra, se ritenuti
idonei, potranno ospitare il museo. Non se ne farà nulla perché i locali si riveleranno troppo pochi e
non adatti ad ospitare un Museo di Storia Naturale.
L’Amministrazione comunale precisa poi che a differenza del Liceo musicale, il rettore
dell’Università aveva dimenticato di trasmettere una richiesta ufficiale per l’utilizzazione dei locali
del Sacro Cuore, ma in ogni caso, quando si sarebbero liberati gli altri locali occupati da precedenti
affittuari, si potrebbero assegnare al museo.
Intanto il collezionista che voleva donare al Comune di Catania, per il museo di Storia Naturale la
sua collezione ornitologica, la espone a Villa San Saverio e comunica di essere in trattativa con il
Comune di Randazzo per la vendita, mentre l’altro collezionista che avrebbe donato la sua raccolta
malacologica, la ha già venduta al Comune di Milano.
Di tanto in tanto quando si riparlerà del Museo di Storia Naturale saranno indicate come sedi ideali
Villa Cerami, il monastero di San Placido e le Ciminiere. Ma pur coscienti dell’importanza e
l’impellenza di trasformare le raccolte universitarie in museo, non se ne farà più nulla.
Nelle intenzioni delle origini il Castello Ursino avrebbe dovuto ospitare soltanto il museo
archeologico e tutti gli altri oggetti avrebbero dovuto trovare collocazione in strutture più adatte, tra
le quali una Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea. Un discorso forse iniziato nei suoi
primordi con un progetto di museo polivalente, tesi di laurea del 1953, o in un articolo pubblicato su
Sicilia Arte del 1958.
Un primo timido tentativo, comunque lo aveva azzardato un funzionario comunale nel 1981, ma il
sogno sembrò rendersi concreto quattro anni più tardi quando il direttore dell’Accademia di Belle
Arti di Catania promise in dono al Comune un nucleo iniziale di trecento opere dei maggiori artisti
italiani e costituendo una fondazione per far inserire quanti fossero disposti ad offrire “una tessera
per la crescita artistica e culturale della città”.
Anche in questo caso si passa subito a segnalare la sede ritenuta più adatta: il monastero di San
Placido o Palazzo Tezzano, mentre si esclude la gestione comunale a causa dei trascorsi del Castello
Ursino, indicando come esempio di buona gestione la Fondazione Verga. Ma per riparlarne
dovranno passare altrui quattro anni.
Bilancio ad un anno e mezzo dall’apertura di Casa Verga. E’ in progetto l’ampliamento
della casa-museo con le stanze soprastanti e sottostanti; vi sono stati 8000 visitatori, forse per le
manifestazioni collaterali e nonostante non vi sia alcuna segnaletica, neppure davanti al portone
d’ingresso, quasi sempre spalancato con gli immancabili cumuli di spazzatura.
I cimeli che più interessano i visitatori: il calco del viso dello scrittore preso sul letto di morte, le
marsine da cerimonia contenute nell’armadione e il passavivande ad ascensore della cucina.
Nei successivi due anni i visitatori scenderanno da sedici a tre o quattro al giorno. La casa-museo
rimarrà aperta solo le mattine di tre giorni lavorativi la settimana. Unica innovazione: un cartello
segnaletico davanti al portone.
15 Novembre 1986. Due rapinatori, pistole in pugno, irrompono al Museo Belliniano,
immobilizzano custodi e visitatori, rinchiudono tutti in uno stanzino e, dopo aver rotto i vetri delle
bacheche, fanno incetta di medaglie d’oro e d’argento, targhe e spille di inestimabile valore
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artistico. Trafugano anche la litografia di Natale Schiavone, il più noto ritratto di Vincenzo Bellini,
opera unica al mondo, spedita allo zio Ciccio grato perché la sua città aveva fatto coniare in suo
onore una medaglia d’oro. Trafugata anch’essa.
A questo punto ci si pone il problema della sicurezza.
Sette mesi dopo, in un cascinale abbandonato lungo la superstrada Catania-Gela, i carabinieri
ritroveranno le medaglie e gli oggetti preziosi che stavano per essere spediti in Francia. Due mesi
dopo questo primo ritrovamento, sul palco della musica del giardino pubblico intitolato al
musicista, vengono rinvenuti il ritratto dello Schiavone e i manoscritti trafugati. Ancora
successivamente in una chiesa di un paesino etneo il resto dei cimeli trafugati.
Dei due rapinatori nessuna notizia.
In questo stesso periodo viene offerto in vendita al Comune di Catania l’appartamento soprastante
al museo. Si riparla della possibilità di avere la sala di ascolto e la sala di lettura e si propone
l’istituzione di quel Centro di studi belliniani, per il quale nel lontano 1969 un celebre direttore
d’orchestra aveva tentato i primi passi, ma senza nuovi locali anche il museo rischia di scoppiare.
Ciò nonostante è assicurata l’apertura tutti i giorni, ad esclusione di Natale e Ferragosto e nel 1987
riceve 45.000 visitatori.
Nel museo vengono conservati ormai anche reperti che si riferiscono ad altri musicisti. Un custode
ha fatto alcune belle fotocopie del più ammirato ritratto di Bellini e le dona ai visitatori entusiasti
dell’iniziativa.
A Luglio del 1987 cominciano i lavori di restauro del Castello Ursino a cura della
Soprintendenza, con una fase di saggi e ricerche. Sembra che comporteranno una chiusura totale al
pubblico del museo di altri due anni. Intanto nel 1986, ad apertura parziale e con un solo custode dei
cinque previsti dall’organico si è registrata la presenza di 21.000 visitatori.
Ad Aprile del 1989 quattro sale sono pronte e si inizia a lavorare sul famoso primo piano, ma non è
possibile ancora prevedere la fine dei lavori.
Contemporaneamente è iniziata la catalogazione degli oggetti e i pezzi più danneggiati vengono
trasferiti in laboratori di restauro. Addirittura alcuni oggetti di cui non si conosceva l’esistenza, sono
stati trovati in un camminamento.
Si ribadisce che il Castello Ursino sarà adibito solo a museo archeologico e a tutto ciò che si
riferisce alla storia di Catania e del suo insediamento, mentre le opere di pittura troveranno sedi più
adeguate in una Pinacoteca ed in una Galleria d’arte moderna.
Anche se i lavori di restauro termineranno entro la fine del 1989, il museo avrà bisogno di altri
diciotto mesi per entrare in funzione.
Grande entusiasmo per il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea. Il direttore
dell’Accademia di Belle Arti comunica che ormai la donazione ammonta a 800 opere originali fra
oli, sculture e grafiche. Si vorrebbe un museo dotato anche di sale aperte all’esposizione di giovani
artisti, un gran contenitore che possa diventare centro di studio per storici e ricercatori. E si
ricomincia con la proposta delle sedi: il monastero di Santa Chiara, quello di San Placido, oppure
Palazzo Tezzano o addirittura l’Hotel Excelsior.
In proposito è consultato uno specialista in museologia e museografia del Politecnico di Milano, il
quale si dichiara in disaccordo sull'utilizzazione di due edifici staccati, come una pinacoteca ed una
galleria d’arte moderna e indica come soluzione ideale il Palazzo dei Chierici, in sottordine, Palazzo
Biscari. Anche un referendum tra artisti e operatori culturali catanesi rivela che il 60% preferisce
che si riutilizzi un vecchio edificio da ristrutturare. Solo una voce propone le aree di Corso Martiri
della Libertà.
L’assessore comunale competente si definisce “gradualista” giacché propone di occupare i locali
disponibili per realizzare subito il museo, poi trovandone più consoni “si può sempre fare un
trasferimento”. Il sindaco ha “in programma i progetti relativi alla galleria civica, con raccolte che
risalgono fino ai periodi dell’arte moderna, e naturalmente la galleria d’arte contemporanea”.
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Al Castello Ursino, dove il restauro ha già messo alla luce imprevisti quanto interessanti o
inusuali ritrovamenti quali un insediamento calcidese del IV secolo e uno scheletro risalente al
Duecento, fervono i lavori per la realizzazione dell’ultimo lotto: pavimenti, prospetti e impianti.
E' ribadito che, a museo pronto, dopo il 1991, rimarranno solo le collezioni Biscari al piano terra e
Asmundo e dei Benedettini al primo piano. In altra sede gli oggetti di provenienza incerta nonché
gli uffici, un deposito e i relativi laboratori e per questo si pensa al vicino palazzotto di Via Vela di
cui il Comune sta trattando l’acquisto.
Per le altre collezioni si propone, oltre al monastero di San Placido, un nuovo edificio da costruire
nel realizzando parco Gioeni.
Sempre agli inizi degli anni Novanta, il Museo di Mineralogia dell’Università di Catania,
quello che alla sua fondazione era considerato uno dei migliori d’Italia per la ricchezza dei minerali,
alcuni dei quali unici, non esiste più.
Le bacheche di esposizione che intralciavano le normali attività degli Istituti universitari che le
detenevano, non sono state trasferire al Museo Vulcanologico, di cui il Comune di Catania aveva
elaborato uno “studio di fattibilità” e aveva “avviati gli atti per la sua concreta realizzazione”, ma
all’aperto, sulla terrazza del palazzo delle Scienze a causa dei i lavori di manutenzione straordinaria
ai vari istituti.
Una ristrutturazione congiunta: Genio Civile, Regione, Opera universitaria che va avanti da due
anni e che ha messo fuori uso l’intero piano. Durante questi lavori di ristrutturazione sembra che
parte del materiale sia andato disperso.
Mentre armadi e vetrine del museo di Mineralogia sono depositati in terrazza, il materiale
che costituisce il Museo di Paleontologia è stato custodito in grosse scatole nei locali dell’Istituto
di Oceanologia e Paleontologia: un salone, al palazzo delle Scienze, con antiche vetrine e
cassettiere.
Vi è custodita la storica collezione Gravina, che raccoglie fossili paleozoici e mesozoici di varie
parti del mondo. La collezione Viglino e raccolte scientifiche derivate principalmente dall’esame
dei terreni enogenici e quaternari dell’Italia meridionale e delle isole. Collezioni uniche, non
essendo più possibili altri affioramenti fossiliferi.
Emblematico per Catania lo scheletro di Elephans falconeri, elefante nano adulto rinvenuto nel
giacimento di Spinagallo.
Sorte ancora migliore per il Museo di Zoologia dell’Università che viene inaugurato nel
1991 e aperto al pubblico in via Androne. Un’altra iniziativa che serve forse a colmare in parte il
vuoto determinato dalla mancata realizzazione del museo di Storia naturale.
I locali grandi 300 metri quadrati sono climatizzati e le raccolte sono state esposte nel rispetto dei
criteri suggeriti dalla moderna museologia.
La collezione di uccelli, circa mille esemplari, con l’acquisizione della collezione Baglieri e
Baglieri-Benanti, è la più importante della Sicilia dopo quelle di Palermo e Randazzo, città
quest’ultima che aveva acquistato la collezione ornitologica già offerta in dono al Comune di
Catania.
Nell’estate del 1991, il Museo Civico Belliniano, dove da poco è entrata una spinetta di
radica di cedro appartenuta al musicista, viene preso di mira nuovamente dai ladri: un tentativo di
scasso al piano superiore, destinato all’ampliamento del museo e protetto solo da una comune
suoneria. Ma all’inizio dell’autunno si presenta una delle più importanti occasioni per impreziosire
ulteriormente il patrimonio dei musei.
Il quotidiano catanese informa che Sotheby’s, la nota casa d’aste londinese, batterà a dicembre
alcuni reperti di grande importanza musicologica perché, non solo arricchirebbero la conoscenza
dell’arte belliniana, ma darebbero una risposta definitiva alle ipotesi avanzate dagli studiosi
sull’ultimazione delle partiture.
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Si tratta infatti delle partiture autografe di Norma, Sonnambula, Puritani e Beatrice di Tenda. Base
d’asta, attorno ai sessanta milioni di lire. Il reperto più prezioso è la seconda stesura del coro
“Guerra, guerra”.
Il quotidiano catanese e la sua rete televisiva lanciano l’iniziativa di una sottoscrizione popolare alla
quale, con grande generosità, comincia a rispondere la cittadinanza, edotta e consapevole
dell’unicità di una simile occasione per Catania e per il suo Museo Belliniano, ma la raccolta viene
interrotta quasi sul nascere dal sindaco che avoca all’Amministrazione comunale “l’onore e
l’onere” delle operazioni di acquisto, e comunica di aver già preso contatti ufficiali con
l’ambasciata italiana a Londra, sicuro di potersi assicurare così i cimeli a prezzo della base d’asta,
prima che vadano all’incanto.
Intanto si prepara la commissione che farà il viaggio a Londra: un consigliere e un funzionario
comunali, il direttore del museo e uno studioso belliniano, per assicurarsi dell’autenticità dei
manoscritti.
La commissione viene dotata di 72 milioni e ottocentomila lire, cifra di poco superiore alla base
d’asta e quindi molto al di sotto del valore delle partiture.
Il consigliere comunale, portavoce della commissione, alla conferenza stampa allestita al ritorno da
Londra premetterà la loro “assoluta ignoranza sulle tecniche d’asta di Sotheby’s”. Racconterà che
la commissione, giunta a Londra, si era subito presentata all’ambasciata italiana “portando in dono
varie confezione di pasta di mandorla”, dove erano stati dissuasi di andare a sostenere da
Sotheby’s, la tesi che dovevano aver diritto all’acquisto dei manoscritti belliniani senza che
andassero all’incanto poiché “il Comune di Catania doveva essere considerato come un ramo dello
Stato italiano” ritenendo tale affermazione “un concetto filosofico”.
Assunta un’interprete la commissione entra negli eleganti ambienti di Sotheby’s, dove il portavoce
si presenta come il rappresentante del sindaco di Catania, ma per tutta risposta gli viene richiesto il
passaporto.
Un po’ di sorpresa anche perché, a differenza delle loro attese l’asta non si svolgerà tra urla e colpi
di martelletto. “il battitore sembrava un presidente di Cassazione” in una sala estremamente
raffinata e silenziosa, solo brevi cenni con le dita o col capo.
I manoscritti saranno aggiudicati ad un anonimo acquirente per 407 milioni di lire. Il commento
conclusivo (che è un altro concetto filosofico) sarà: “...piuttosto che tornare a Catania con i fogli
belliniani pagati solo una cinquantina di milioni per mancanza di altri acquirenti, mi piace di più
sapere che il nostro Bellini è amato e conteso nel mondo tanto da far valere i suoi fogli oltre 400
milioni”.
L’anno successivo il Comune acquisterà per il museo civico Belliniano alcune lettere autografe e le
partiture della Sonnambula strumentata da ser Bishop e corrette da Bellini. C’è sempre l’esigenza
dei nuovi locali; sono stati registrati 51.000 visitatori, i percorsi si confondono, c’è un’eccessiva
concentrazione di oggetti; bisognerebbe trasferire quanto si riferisce agli altri musicisti assieme al
materiale di ascolto ed alla biblioteca che contiene ormai 4.500 volumi, mentre i nove vani del
piano superiore, ancora da ristrutturare, ospitano topi e drogati.
La Casa Verga, ignorata dalle guide turistiche e visitata quasi esclusivamente da
scolaresche, con il condominio incustodito, era stata già fatta oggetto di interesse da parte dei ladri,
messi in fuga dalla soneria d’allarme, ma nella primavera del 1993 va a segno il furto della
ringhiera di ghisa, fusa centotré anni prima, nel tratto dal piano terra al primo piano.
Si discute ancora sulla possibilità di utilizzare il monastero di San Placido o una masseria di
Librino per il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, ma appare ormai chiaro, dopo dodici
anni di discussioni che, al di là delle parole pronunciate dalle preposte istituzioni, non esiste poi di
fatto alcuna volontà di realizzare neppure questa struttura dei musei.
Le ottocento opere che erano state offerte gratuitamente, raccolte per il museo di Catania dal
direttore dell’Accademia di Belle Arti, in quasi cinquant’anni di appassionato impegno, saranno
trasferite nella sua città natale, per costituire la Galleria d’Arte Contemporanea di Bronte, con
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dipinti di Abate, Brindisi, Comes, Fiume, Greco, Levi, Milluzzo, Rimini, Romano, Sassu,
Sciavarrello, Treccani, Vespignani, Annigoni, Maccari, Turcato, Guccione ed altri.
Il Castello Ursino rimane ancora chiuso. E’ stato bocciato il progetto delle nuove torri,
strutture destinate ad ospitare gli ascensori. Bisogna ancora effettuare il lotto che riguarda le opere
murarie e finanziarie, il quarto, ossia il progetto di allestimento dei musei. Ancora non sono previsti
i depositi, i gabinetti di restauro e fotografico. La catalogazione delle opere d’arte non è completa.
La procura indaga su sospettati ammanchi del materiale del museo.
Senza museo d’Arte moderna si dovrà climatizzare gli ambienti dell’ultimo piano da destinare
all’esposizione dei dipinti.
Non è stata trovata ancora una sistemazione per i reperti archeologici che non fanno parte delle
collezioni, come quelli contenuti in centinaia di casse, ancora da aprire, e che costituiscono una
parte degli ex voto e degli oggetti donati al tempio di Demetra e Kore, scavati nell’estate del 1959
in piazza San Francesco d’Assisi.
A Luglio si aprirà soltanto una sala del piano terra, con cinque bacheche, e ritorneranno da Cremona
i violini della collezione Zappalà Asmundo creduti opere di Nicolò Amati: uno è stato realizzato nel
1683 dal figlio Girolamo e l’altro, intorno al 1700, da Matteo Goffriller.
A Gennaio del 1994 i nove vani del Palazzo Gravina Crujllas, ristrutturati e destinati
all’ampliamento del museo civico Belliniano vengono invece assegnati dal Comune a Museo
Emilio Greco: ospiteranno solo 159 fra litografie e acqueforti donate dallo scultore.
Nell’estate del 1995 scoppia una polemica con risvolti nazionali: “Il Giornale”
nel denunciare a tutta pagina la gestione dei beni culturali condotta dalla Giunta comunale
milanese, nell’articolo di spalla titola “L’esempio di Catania”. L’assessore catanese alla cultura
polemizza col quotidiano locale colpevole di “autodenigrazione” della città ché a proposito del
Castello Ursino ha titolato “Milano un esempio da seguire” e mette in mora la condotta di
Soprintendenza ed Università.
Intanto il Castello Ursino rimane chiuso al pubblico e la stampa denuncia che in seguito alle
operazioni di inventario risultano cinquantuno tele mancanti tra le quali addirittura un’opera di
Andrea del Sarto, un Guido Reni, un Rembrandt e un Pussin. La metà delle opere rubate
apparteneva alla collezione Zappalà Asmundo: sono sparite dal museo e dai pubblici uffici
interessati agli affidamenti. Nel Febbraio precedente era stata presentata regolare denuncia ai
carabinieri.
In una visita catanese a ridosso dei fatti, il Presidente della Commissione Cultura della Camera dei
Deputati smentisce in modo categorico che per i grandi nomi delle pitture rubate possa trattarsi di
originali ed a proposito degli autori dei furti perpetrati rileverà testualmente: “Solitamente i musei
sono frequentati da custodi, tecnici, restauratori, da tante categorie di persone. E la gente, si sa,
può avere una certa propensione al furto. Soprattutto quando si tratta di opere di piccole
dimensioni, che si possono nascondere facilmente. Accade spesso che i musei sono dei depositi, per
cui la bramosia di qualcuno, anche di qualche pubblico amministratore, di arredare i propri uffici
o le proprie case sia tanta da indurre al furto. E questo, vi garantisco, è un fenomeno alquanto
diffuso, non circoscritto.”
Dai risultati delle ricerche d’archivio risulteranno inventari allegati agli atti di donazione, lettere,
verbali di passaggio, quasi tutti documenti inediti, a testimoniare che buona parte del patrimonio del
museo non era stato mai inventariato e quindi era stato escluso dall’inventario ufficiale tra cui la
collezione Zappalà Asmundo con le sue oltre settemila stampe; la collezione Brizzi De Federicis;
centotrentasei dipinti semplicemente annotati in block notes.
Sempre durante questa calda estate del 1995 i Catanesi vengono a conoscenza da un noto gallerista,
che esattamente due anni prima tale signor Lo Monaco titolare di due famose gallerie a Sanremo e
Montecarlo, aveva inteso donare la propria collezione con un legato testamentario alla città di
Catania cui doveva le proprie origini. Si trattava di oltre duecento per un valore di due miliardi,
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opere che il Comune avrebbe dovuto esporre in locali intitolati a Rubaldo Morello, pittore ligure
dell’Ottocento.
Il noto gallerista catanese, all’epoca funzionario del Comune, aveva suggerito di esporre la
collezione al Castello Ursino intitolando quelle sale al pittore ligure, così da rispettare la volontà del
donatore. L’assessore avrebbe deciso invece di rinunciare alla generosa donazione “ritenendo
opportuno seguire i consigli dei suoi esperti che gli presentarono tutta una serie di difficoltà di tipo
legale quale la possibile opposizione della vedova ed i tanti problemi doganali”.
L’assessore replicherà precisando le circostanze ed elencando le difficoltà relative all’acquisizione,
ad iniziare dagli “altrui colpevoli ritardi” che riducevano troppo i tempi necessari all’operazione,
all’impossibilità di accertare con precisione il valore il valore delle opere, alla spesa di alcune
centinaia di milioni per svincolare le opere dai depositi di Sanremo e Montecarlo e in fine alla
pessimistica consulenza dell’avvocatura comunale.
Due anni dopo, i restauri dei dipinti custoditi al Castello Ursino non sono ancora terminati. Manca
ancora l’impianto di climatizzazione. Vanno ancora avanti i restauri del piano terra e del salone dei
Parlamenti. Ancora non si parla di apertura totale ma vanno in mostra cento dipinti tra il
Quattrocento e l’Ottocento, tra i quali il quadro di Serenario che giaceva “arrotolato come tappeto”.
La mostra è intitolata “Per lustro e decoro della città”, una parte dell’espressione usata nel 1930 dal
principe Biscari, in occasione della donazione della sua quota al Comune di Catania. Tra i dipinti vi
sono anche quelli che era stato possibile recuperare dagli affidatari, alcuni non hanno voluto
restituirli e il Comune non ha ritenuto evidentemente di far valere il suo buon diritto.
Emblematica, a tal proposito, la vicenda di una tela del Seicento che ancora a fine secolo si trovava
nell’ufficio del prefetto di Catania, unica copia esistente della Natività con i santi Lorenzo e
Francesco eseguita a Palermo da Michelangelo da Caravaggio. L’originale fu trafugato nell’Ottobre
del 1969 da un futuro collaboratore di giustizia, reo confesso di averlo, per imperizia giovanile,
ridotto in briciole durante il trafugamento.
La tela, di proprietà del Comune e in possesso del Museo del Castello Ursino, fu prelevata in
affidamento o deposito dalla Prefettura, nei modi già esposti, il 7 Aprile 1954. E’ di dimensioni
analoghe all’originale, di ottima fattura e necessita di un restauro per toglierle le ossidazioni che
fanno virare i toni sul grigio.
La segnalazione del suo ritrovamento aveva destato l’interesse degli specialisti partecipanti al
convegno internazionale di studi caravaggeschi del 1985 a Siracusa. Dopo la perdita dell’originale,
rimane l’ultima testimonianza palermitana del soggiorno di Caravaggio in quella città. Non vi
sarebbe museo al mondo che si priverebbe di una tale opera.
Ad una richiesta di restituzione del dipinto inoltrata nel Novembre 1996, il prefetto di Catania
rispose che aveva bisogno di un po’ di tempo “per rifletterci sopra e acquisire altre informazioni”
L’anno successivo si viene a conoscenza che a causa di un certo debito contratto dagli eredi
Verga quindici anni prima, erano stati messi all’asta nel 1996 i beni mobili della famiglia custoditi
dalla Soprintendenza nei locali soprastanti Casa Verga, non ancora acquistati dall’Assessorato
regionale.
Il debito si riferiva al mancato pagamento di tasse di registro, INVIM ed indennità di mora, per oltre
duecento milioni.
La seduta andò deserta come la successiva, per cui i beni furono prima consegnati all’esattoria
comunale e quindi si procedette alla vendita per trattativa privata.
Si trattava, oltre che di libri, mobili e arredi, anche di materiale bibliografico comprendente edizioni
dal Cinquecento al Settecento, circa 600 “pezzi” e pubblicazioni dell’Ottocento e Novecento per un
totale di 2.100 “pezzi” non inclusi ovviamente nella biblioteca dello scrittore, ma inventariati in
cinquantatré pagine a cura della Soprintendenza.
Si trattava dell’archivio di una famiglia dell’aristocrazia siciliana conservato per cinquecento anni e
con materiale autografo dello scrittore e con documenti relativi agli introiti derivati dalle vendite
delle sue opere. Documenti che si riferiscono al contratto tra la casa editrice Treves e lo scrittore per
la pubblicazione de I Malavoglia, Vita dei campi, Primavera, ai costumi di Cavalleria rusticana,
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alla causa contro Mascagni e Sonzogno, alla morte dello scrittore stesso e ai rapporti del nipote
dello scrittore con l’editore Mondadori per la pubblicazione dell’opera omnia.
Il direttore della sezione bibliografica della Soprintendenza, che aveva curato l’inventario, aveva
anche evidenziato l’opportunità che l’Assessorato regionale acquistasse i libri e il materiale
bibliografico. Nemmeno il comune di Catania si fece avanti e così il 23 Gennaio 1997, con
funzionari comunali che avrebbero definito la trattativa, un privato di aggiudica il lotto per due
milioni e centottantamila lire ossia, considerando il solo archivio, 1.038 lire al “pezzo”.
A Luglio del 1997 assieme alla notizia si viene a sapere anche che il privato acquirente di quella che
ormai viene chiamata la “roba di Verga” è un noto uomo politico ex assessore regionale agli Enti
locali e vice segretario del suo partito, il quale si sentirà in dovere di donare l’acquisto al Comune di
Catania.
A Settembre dello stesso anno, secondo colpo di scena: la Commissione tributaria accetta il ricorso
degli eredi Verga che nulla dovevano all’erario. Una degli eredi dichiarando che mancavano carte e
libri rispetto all’inventario redatto nell’ ’81 dal notaio Ciancico affermerà: “Non lascerei niente a
questo Comune. Lo avrei fatto se avesse tenuto in maggior conto Verga e le sue cose. Piuttosto le
regalerei all’Università di Padova e sono sicura del rispetto e dell’amore con cui le tratterebbero”.
Nell’estate del 2000 il Castello Ursino è un cantiere di restauro aperto al pubblico.
L’amministrazione comunale promette che sarà adeguato ai criteri ed agli standards dei più grandi
musei e che sarà inserito nel circuito delle grandi mostre e inoltre che attraverso i tours operators
Catania sarà inserita nei circuiti turistici delle città d’arte.
Nello stesso anno si proponeva anche l’apertura di un Museo della Preistoria Etnea, da
allestire nella grotta di scorrimento lavico che si trova nei pressi di via Liardo. Quasi ottocento
metri di sviluppo complessivo fu utilizzata nell’età del Bronzo per la celebrazione di riti propiziatori
e per le sepolture. Ma bisogna aggiungere che oggi è un laboratorio naturale di biospeleologia.
Molto più recentemente si era prospettata la realizzazione di un Museo della Guerra e a tal
proposito il presidente della Provincia regionale di Catania, che aveva rilanciato l’idea, aveva anche
richiesto di contribuire con donazioni per arricchire la dotazione della struttura in progetto. Nel
1981 doveva essere una sala circolare del diametro di quindici metri, nucleo centrale e variante del
progettato monumento ai Caduti che doveva sorgere sul lato sud della piazza del Tricolore.
Nell’ottobre del 1999 si prospetta l’ipotesi con un progetto di massima di riutilizzare la
caserma della cavalleria borbonica già utilizzata per la manifattura dei tabacchi, in quanto ritenuto
edificio “particolarmente idoneo” per un’ulteriore utilizzazione a Museo Archeologico Regionale e
se ne illustrano i vantaggi. Il museo dovrebbe contenere il patrimonio archeologico “raccolto negli
ultimo vent’anni e disseminato in vari magazzini senza una minima valorizzazione e il museo
riqualificherebbe il quartiere”.
Nel 2000, dopo gestazione troppo lunga, invece di rimanere un pio desiderio diventa una
piacevole realtà, con ingresso tra la cattedrale e Porta Uzeda, il Museo Diocesano dove sono
custoditi gli oggetti d’arte e di storia della diocesi. Più precisamente gli arredi storici della
cattedrale, della sede vescovile e delle chiese connesse, scampati alle offese più degli uomini
preposti alla loro cura che del tempo.
Vicende storiche e personaggi rammentati da preziosi oggetti di culto, d’arredamento, tele
raffiguranti immagini sacre o vescovi e prelati, rilevi e argenti e quanto si riferisce a sant’Agata e
alla sua festa.
Esposizione di buon gusto e in bell’ordine, lungo un percorso che culmina sulla terrazza del Palazzo
dei Chierici e che si conclude con una splendida ed insolita visione della piazza del duomo.
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E infine il museo più recente che sarebbe quello tecnologicamente più avanzato quanto più
facilmente gestibile: il Museo Virtuale. Una ventina di CD Rom sui principali musei del mondo in
una stanza del Museo Emilio Greco. Nel 2000 il collegamento con Internet è stato disattivato da
qualche tempo, capita che non ci siano i soldi per pagare i canoni richiesti dalla Telecom.
A questo punto cosa dire dei mancati collegamenti necessari per lo sviluppo della politica
dei musei a Catania? Un disinteresse sostanziale da parte degli amministratori. Una disistima
preconcetta per gli artisti siciliani le cui opere sono acquistate quasi solo da musei stranieri.
Mancata istituzione, oltre che delle possibili strutture museali, anche quelle dei centri per la
progettazione, il restauro e le scienze applicate alla gestione e all’uso dei beni culturali.
Nessuna meraviglia per il funzionario dell’autoparco comunale preposto al museo civico di Castello
Ursino alla fine degli anni Sessanta se Bernard Berenson in visita al museo dei Benedettini,
quarant’anni prima, raccontava:
“Vi trovai un buon numero di oggetti interessanti per un animoso amatore d’arte quale io
sono e in particolare un grande vaso antico che attirò la mia attenzione e mi dette desiderio di
apprendere subito quanto se ne sapeva.
- E questo cos’è?
Chiesi al giovane direttore del museo che si era unito a noi.
Egli guardò a lungo l’oggetto indicato e alla fine esclamò:
- E’ un vaso!
Venni poi a conoscere che era stato assunto da poco, in ricompensa di servizi propagandistici resi
al regime”.
Qualcuno ha scritto che i musei sono visitati soltanto da scolaresche e turisti: due categorie
che non votano alle elezioni.
Magari si trattasse solo di una sciocca banalizzazione.
Bisognerebbe risolvere il problema della incomunicabilità, che non si riferisce solo alla
constatazione che manca, per esempio, un collegamento tra il Museo Belliniano e il teatro lirico di
Catania, ma che non vi sono collegamenti tra politica e Università. E quando l’Università ha offerto
personaggi alla politica locale, questi non sono riusciti a cucire questo rapporto, anzi il più delle
volte sono stati usati per garantire una rinnovata attendibilità ai partiti. Ma non vi è stata spesso
comunicabilità anche tra Università ed Accademia, tra Facoltà e Facoltà e persino a volte tra Istituti
della stessa Facoltà.
Ci si lamenta che manca il personale, ma da parte delle Soprintendenze non sono più utilizzati gli
Ispettori onorari istituiti con la legge 27 Giugno 1907.
Non tutti gli studiosi hanno spirito di servizio e sentono il dovere sociale di consentire che il dato
scientifico sia trasformato in elemento di cultura corrente.
Catania si è trovata con una Soprintendente che sapeva dire soltanto no ad ogni proposta di
valorizzazione del patrimonio monumentale. Qualcun altro ha scritto che bisognerebbe considerare
un reato contro il patrimonio dello Stato, l’eccessivo ritardo della consegna del bene culturale alla
pubblica funzione, giacché si priva la collettività, e per essa lo Stato, di un bene dal quale si può
ricavare un beneficio economico immediato.
Alla mostra allestita dopo il meritorio tentativo, in parte riuscito, di recuperare ai Catanesi il
patrimonio disperso in depositi e affidamenti, fu dato un titolo, come si è detto, che riferiva la
testuale motivazione espressa dal principe Roberto Paternò Castello di Biscari del donativo della
quota di museo ereditata dal suo illustre antenato: “Per lustro e decoro della città”. Ma donatore e
fruitore della dedica avevano troppo sintetizzato nel tradurre e nel riutilizzare proprio quanto
l’illuminato principe aveva scritto circa il motivo che lo aveva indotto a realizzare ed ordinare la sua
meravigliosa opera, ossia “Publicae utilitati, patriae decori, studiorum commodo”.
E’ un po’ come se Vincenzo Paternò Castello principe di Biscari avesse tracciato, con due secoli di
anticipo, il programma di gestione dei beni culturali che a Catania si deve ancora realizzare.
Al primo posto “pubblicae utilitati”, non mero ornamento, ma oggetto di crescita culturale per la
città e struttura produttiva di reddito, sia per i diretti operatori, sia per gli addetti alle molteplici
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attività correlate. Vedere i beni culturali come agenti di sviluppo economico e occupazionale,
sarebbe la prima cosa da farsi in Sicilia, trattandosi di una delle più fiorenti risorse dell’Isola.
Ma oggi i castelli dovrebbero fare i castelli.
A proposito del Castello Ursino anche Guido Libertini, giustamente ricordato dal prof. Giovanni
Rizza, suo allievo prediletto, “animatore entusiasta del suo riscatto e della sua rinascita”, così
sinceramente nel 1932 ricordava il suo atteggiamento iniziale nei confronti della sua destinazione
d’uso: “Debbo anzi confessare che, sebbene anche io desiderassi vivamente il restauro del
Castello, non riuscivo ad immaginare come da un edificio con un così spiccato carattere di fortezza
e con ambienti così oscuri potesse venir fuori un museo: ma poiché si trattava di salvare il castello
e l’aver già pronto il locale agevolava il riscatto della collezione biscariana, non feci alcuna
obiezione e cercai di abituarmi a quell’idea”. Aggiungeva poi che i risultati del restauro, ai quali
bisognerebbe includere però anche le note di merito ricevute, erano serviti per eliminare ogni
dubbio.
All’utilizzazione del Castello Ursino a museo, era anteposta la credenziale milanese e si formulava
l’equazione Castello Ursino uguale Castello Sforzesco. Volendo dimenticare che in quell’altra città,
oltre il Castello Sforzesco, tre le decine e decine d’altri musei, vi era anche una Galleria d’Arte
moderna e un museo Archeologico e un museo d’Arte contemporanea ed alcune raccolte d’arte e la
pinacoteca Ambrosiana e quella di Brera.
Nulla d’originale, perché due stimati e noti architetti catanesi, interpellati in proposito
sull’utilizzazione del Castello Ursino affermarono giustamente: il primo che l’edificio potrebbe
essere esso stesso un museo per il proprio contenuto di storia e d’arte, e che sarebbe stato più
opportuno trasferire le raccolte in locali nuovi con i necessari requisiti; l’altro più direttamente
dichiarò l’inadattabilità della struttura a museo, aggiungendo: “sarebbe come trasformare una
carrozza in un’auto da corsa”.
Deve essere garantita la sicurezza e la climatizzazione, progettarne la percorrenza e la distribuzione
degli espositori e poi devono contenere, non solo i laboratori di restauro e il gabinetto fotografico,
ma anche il gabinetto di studi e analisi e un archivio di documentazione e varie sezioni che si
omettono di elencare perché tutti abbiamo memoria dei musei che abbiamo ammirato o perché si
può trovare tutto in un qualsiasi manuale di progettazione architettonica.
Il Centre Pompidou è un bellissimo riferimento. Realizzazioni come il museo d’Orsay sono geniali
capolavori proprio per l’eccezionale difficoltà d’adattamento di strutture progettate per altre
utilizzazioni.
Ma almeno oggi, nel XXI secolo, che i castelli facciano i castelli ed i musei si facciano da musei.
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• E’ chiuso da un mese e mezzo e si é ancora ai preliminari in “La Sicilia” 26.8.87 p.10
• Quel castello sommerso in “La Sicilia” 3.8.88 p.11
• Quelle piccole case dei Grandi in “La Sicilia” 13.10.88 p.11
• Quel museo da reinventare in “La Sicilia” 6.4.89 p.12
• La mostra provocatoria: “Vogliamo un museo per Catania” in “La Sicilia” 28.6.89 p.12
• Il Castello tutto nuovo 300 anni dopo il sisma? in “La Sicilia” 13.8.89 p.13
• Museo addio? In “La Sicilia” 11.3.90 p.12
• Il castello delle sorprese in “La Sicilia” 1991 (post 10/5 ante 19/7)
• Salvi i cimeli belliniani in “La Sicilia” 9.8.91 p.11
• Non ladri, ma drogati salvi i cimeli belliniani in “La Sicilia” 1991 (post 19/7 ante 13/8)
• Il Bellini da acquistare in “La Sicilia” 18.11.91 p.9
• Quel castello che riemerge in “La Sicilia” 7.2.92 p.14
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Castello Ursino ancora assediato dai restauri in “La Sicilia” 28.1.93 p.17
Quel museo ancora negato in “La Sicilia” 1.2.93 p.10
Chiuso, chi ha colpa? In “La Sicilia” 15.4.93 p.16
Catania ha fame di musei in “La Sicilia” 18.4.93 p.14
Rivive la “Casina del Sardo” in “La Sicilia” 28.4.93 p.16
Castello Ursino in pillole in “La Sicilia” 4.7.93 p.14
Castello Ursino si volta pagina in “La Sicilia” 11.7.93 p.17
Cultura e recupero di memoria in “La Sicilia” 25.7.93 p.13
Casa Verga in “La Sicilia” 26.7.93 p.9
San Placido, restaurarlo si può in “La Sicilia” 6.8.93 p.16
“Casa” aperta tutto l’anno in “La Sicilia” 13.8.93 p.15
Bellini “vive” in “La Sicilia” 13.8.93 p.15
I tesori segreti in “La Sicilia” 24.8.93 p.14
Castello Ursino, il gran ritorno in “La Sicilia” 22.9.94 p.16
Riapre Castello Ursino in “La Sicilia” 25.9.94 p.16
Festoso assalto al Castello in “La Sicilia” p.26.9.94 p.9
Nella Casa del “Cigno” poco spazio per la gente in “La Sicilia” 15.10.93 p.19
Castello Ursino è l’ora in “La Sicilia” 15.10.93 p.19
Catania onora Emilio Greco in “La Sicilia” 21.12.94
Turismo ed arte in “La Sicilia” 2.1.97 p.12
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• Scienze naturali: e il museo? in “La Sicilia” 12.10.94 p.15
• E all’improvviso scomparvero 51 dipinti in “La Sicilia” 23.8.95 p.13
• Al museo con tutta la famiglia in “La Sicilia” 27.8.96 p.17
• Musei, verso una ”Città della scienza” in “La Sicilia” 30.8.96 p.16
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SCIALFA, Francesco
• A Catania manca un museo d’arte moderna in “La Sicilia” 26.3.89 p.11, 4.4.89 p.12, 17.4.89 p.6,
19.4.89 p.13, 21.5.89 p.12; 24.4.89 p.6, 31.5.89 p.12, 17.6.89 p.11, 21.6.89 p.12,
• Un museo per dare alla città quella memoria storica perduta in “La Sicilia” 31.5.89 p.1
• “Il Castello Ursino riaprirà tra un anno” in “La Sicilia” 21.5.90 p.6
SCIAVARRELLO, Nunzio
• La mostra di Greco in “La Sicilia” 15.4.81 p.6
• “La galleria d’Arte Moderna non può che essere pubblica” in “La Sicilia” 25.7.85 p.7
• Contributi e istituti di cultura in “La Sicilia” 20.4.93 p.18
SEMINARA, Elvira
• Castello Ursino dei sogni quando e come riaprirà? In “La Sicilia” 1.4.90 p.12
• Caravaggio, l’ultima “Adorazione” è qui in “La Sicilia” 19.11.92 p.3
• L’inutile offerta dell’Ica per creare una galleria in “La Sicilia” 20.11.92 p.17
• Hanno di nuovo la “voce” in “La Sicilia” 13.7.93
SGROI, Luigi
• Nel Castello Ursino creò il Museo civico in “La Sicilia” 11.9.95
SPADARO, Alvise
• Sensazionale scoperta nel palazzo del Governo in “La Sicilia” 18.11.84 p.6
• Nota sulla permanenza di Caravaggio in Sicilia in “L’ultimo Caravaggio e la cultura artistica a
Napoli in Sicilia e a Malta” Siracusa 1987 pp.289-292
• Caravaggio in Sicilia (di prossima pubblicazione)
SPERLINGA, Giuseppe
• Al museo degli Animali in “La Sicilia” 10.5.91 p.13
• L’Università sfratta il Museo in “La Sicilia” 13.8.91 p.12
• Santagati: nessuno sfratto in “La Sicilia” 21.8.91 p.12
• Quei musei senza casa in “La Sicilia” 28.8.91 p.12
• Asta Bellini, si fa avanti il Comune in “La Sicilia” 16.11.91 p.11
• “Ora facciamone un museo” in “La Sicilia” 10.5.92 p.16
• Una grotta da adottare in “La Sicilia” 5.7.92 p.17
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Museo delle Scienze in “La Sicilia” 18.5.93 p.14
E dentro l’Orto cresce la scienza in “La Sicilia” 23.7.93 p.15
Animali da tutto il mondo in “La Sicilia” 8.8.93 p.16
E il museo della preistoria? In “La Sicilia” 19.6.94 p.13
TOMARCHIO, Giuseppe
• I musei cercano casa in “La Sicilia 13.4.93 p.13
TORRISI, Fiore
• Opere di Emilio Greco al Castello Ursino in “La Sicilia” 17.1.82 p.6
ZAPPALÀ, Gaetano
• A Catania una mostra di Emilio Greco? in “La Sicilia” 12.4.81 p.6
ZERMO, Tony
• Hanno “saccheggiato” il Castello Ursino in “La Sicilia” 10.3.81 p.1
• “Tutto a posto” dice il sindaco in “La Sicilia” 18.3.81 p.3
(Anonimi)
• Catania e le sue vicinanze ivi 1899 pp.78-83
• Guida Letteraria, Scientifica, Artistica, Amministrativa e Commerciale di Catania ivi 1902
pp.73-92
• Puccini per la Casa di Bellini in “La Tribuna” 5.12.23 p.3
• Guida di Catania ivi 1924 p.21
• A proposito del Museo Biscari in “Giornale dell’Isola” 25.5.27 p.3
• Bilancio decennale di opere pubbliche nella città e nella provincia dell’Etna in “Catania - Rivista
del Comune” a.IV n°5 Settembre-Ottobre 1932 p.210
• Interrogazione al sindaco in “La Sicilia” 4.4.81 p.9
• A Catania una mostra di Emilio Greco in “La Sicilia” 12.4.81 p.6
• Oggi s’inaugura il primo nucleo della galleria d’arte moderna in “La Sicilia” 9.7.81 p.7
• Inaugurata la prima raccolta della galleria d’arte moderna in “La Sicilia” 10.7.81 p.7
• Il museo di storia culturale (sic) e quello di Castello Ursino in “La Sicilia” 19.7.81 p.4
• A Castello Ursino restauri a tempi brevi in “La Sicilia” 23.7.81 p.6
• Un progetto comunale per restaurare nel Castello Ursino le sale pericolanti in “La Sicilia”
2.8.81 p.8
• Il Comune mette ordine nel museo di Castello Ursino in “La Sicilia 20.8.81 p.6
• L’adesione del Comune alla fondazione Verga in “La Sicilia” 4.12.81 p.6
• La mostra di Emilio Greco in “La Sicilia” 10.1.82 p.7
• Solenne inaugurazione della mostra di Greco in “La Sicilia” 17.1.82 p.6
• La CPC boccia la delibera per la mostra di Greco in “La Sicilia” 11.2.82 p.6
• Una sala del Castello Ursino sarà dedicata alle opere di Emilio Greco in “La Sicilia” 10.3.82
• Un programma ambizioso di opere che per ora vivono sulla carta in “La Sicilia” 11.3.82 p.8
• Interventi al Castello Ursino per consentire l’agibilità di alcune sale del Museo in “La Sicilia”
19.5.82 p.7
• Due proposte dell’assessore alla P.I. in “La Sicilia” 26.5.82 p.6
• Una proposta in due fasi per l’immediata agibilità del museo di Castello Ursino in “La Sicilia”
13.6.82 p.5
• Come il Comune sistemerà il museo di Castello Ursino in “La Sicilia” 18.6.82 p.5
• Il Castello Ursino sarà agibile entro i primi giorni di agosto in “La Sicilia” 18.8.82 p.6
• Una grande sala circolare per il museo della guerra in “La Sicilia” 7.1.83 p.7
• Un convegno sul museo naturalistico e il planetario in “La Sicilia” 25.3.83 p.7
• Un ventaglio di proposte per arricchire Catania di musei in “La Sicilia” 8.4.83 p.7
• Museo di Storia naturale e planetario in “La Sicilia” 19.4.83 p.6
• Proposte pratiche per il museo di Storia naturale e planetario in “La Sicilia” 26.4.83 p.6
• Si apre il convegno sul planetario e il museo di Scienze naturali in “La Sicilia” 28.4.83 p.7
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Il sindaco: ”Faremo il museo e il planetario gli starà a fianco” in “La Sicilia” 29.4.83 p.6
Il Castello Ursino allo stato primitivo in “La Sicilia” 8.11.83 p.7
Forse sarà ampliato il museo belliniano in “La Sicilia” 16.3.84 p.7
E’ possibile riaprire il Castello Ursino? in “La Sicilia” 27.5.84 p.6
La casa do Verga aperta al pubblico da venerdì prossimo in “La Sicilia” 20.10.84
Stanziato un miliardo per sistemare il museo di Castello Ursino in “La Sicilia” 3.3.85 p.7
Tre lettere fanno luce sulla vicenda del museo di Scienze naturali in “La Sicilia” 23.5.85 p.6
Una proposta operativa per il museo delle Scienze in “La Sicilia” 26.5.85 p.5
La spinetta di Bellini in “La Sicilia” 6.10.85 p.6
Rapinatori al museo belliniano in “La Sicilia” 16.11.86 p.9
Dove sono i cimeli rapinati in “La Sicilia” 17.2.87 p.7
Castello Ursino chiuso al pubblico (da ieri e per due anni ancora) in “La Sicilia” 9.7.87 p.6
Recuperati i cimeli rubati in “La Sicilia” 1.8.87 p.7
Museo la chiesa di S. Michele Arcangelo in “La Sicilia” 11.4.90 p.12
Derubato il Cigno in “La Sicilia” 1991 (post 19/7 ante 13/8)
Il Museo di storia culturale (sic) e quella di Castello Ursino in “La Sicilia” 19.7.91 p.4
Anno del castello Ursino in “La Sicilia” 26.1.92 p.16
Museo delle Scienze in “La Sicilia” 18.5.93 p.14
Ridiamo la vita ai monumenti in “La Sicilia” 28.9.93 P.11
Esposto alla Procura. Le opere del castello Ursino in “La Sicilia” 2.12.93 p.17
Castello Ursino riapre a novembre? In “La Sicilia” 20.7.94 p.16
Riapre il Castello in “La Sicilia” 11.9.94 p.15
“Stiamo lavorando con molto impegno” in “La Sicilia” 24.8.95 p.14
“Probabilmente falsi, ma resta il saccheggio” in “La Sicilia” 26.8.95 p.15
Scomparsi anche i bronzetti greco-romani? in “La Sicilia” 28.8.95 p.10
Musei d’Italia - Catania e provincia a cura del Touring Club Italiano, Milano 1996
Castello Ursino nuova luce in “La Sicilia” 13.4.97 p.20
Il Castello Ursino resterà chiuso fino alla fine di luglio in “La Sicilia” 1.7.97
Avviate le procedure per la donazione in “La Sicilia” 30.7.97 p.12
Le “carte di Verga” Rete e Rifondazione chiedono chiarezza in “La Sicilia “ 1.9.97 p.11
Da oggi a Castello Ursino la mostra in “La Sicilia” 24.11.97 p.16
Musei d’Italia Bell’Italia Grandi Guide, Bergamo 1997
in “La Sicilia” 24.8.95 p.14
• Un museo archeologico regionale in “La Sicilia” 25.6.2000 p.14
• La Manifattura Tabacchi ospiterà il museo archeologico in “La Sicilia” 8.8.2000 p.16
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