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Settimana N° 80 (31 gennaio - 6 febbraio 2011) LEGAMBIENTE: IN REGIONE SI RESPIRA MAL'ARIA Scritto da Laura Simoni «In Emilia-Romagna nessuno dei capoluoghi di provincia ha rispettato la fatidica soglia dei 35 giorni di limite per il superamento dei valori delle polveri sottili», con queste parole Legambiente Bologna lancia l’allarme per le emissioni di PM10, commentando i preoccupanti dati di Mal’Aria di città, annuale dossier sull’inquinamento atmosferico presentato venerdì 28 gennaio a Roma. Da una lettura generale dei rilevamenti, compiuti nelle principali città italiane, appare chiara l’immagine di un Paese che non respira bene, incurante sia dell’emergenza ambientale e sanitaria causata dallo smog automobilistico, che dell’ingente perdita economica a cui va incontro ignorando il problema: la multa della Commissione europea sarà salatissima e non si farà certo attendere. Parliamo concretamente: l’aria delle nostre città è irrespirabile! Nella classifica delle peggiori 30 città europee per superamenti di polveri sottili, biossido di azoto e ozono, 17 sono italiane: solamente in Bulgaria si respira un’aria peggiore della nostra. Nell’arco del 2010, ben 48 capoluoghi di provincia hanno superato per più di 35 giorni il limite di legge di 50 μg/mᶟ, sopra al quale si mette a rischio la salute dei cittadini. Torino, con i suoi 134 sforamenti annuali, sale sul gradino più alto di questo podio poco onorevole, seguita da Frosinone e da Asti, rispettivamente con 108 e 98 giornate fuorilegge. Il dato allarmante, specialmente per noi, è che di queste 48 città ben 30 fanno parte della Pianura Padana, che – com’è noto – è da sempre predisposta per conformazione geografica a far registrare elevati valori di smog nell’aria. Ma entriamo nello specifico ed analizziamo la situazione nella nostra regione, leggendo attentamente il comunicato dell’associazione ambientalista: «In particolare, in Emilia Romagna nessuna delle città capoluogo ha rispettato i limiti di legge sul superamento di 50 μg/m3 per un massimo di 35 giornate all’anno: le capofila sono Reggio Emilia e Modena, rispettivamente con 84 e 82 giorni di sforamento, seguite da Bologna (63), Piacenza (63), Parma (61), Ferrara (59), Rimini (58),Ravenna (47), Forlì (45); rispetto ai dati del dossier su Mal’Aria del 2009 vi è un aumento nei superamenti dei limiti di legge in quasi tutti i capoluoghi della regione.» La situazione in regione si aggrava di anno in anno, e il 2011 non sembra lasciare grosse speranze di miglioramento, dal momento che nei primi 27 giorni di gennaio si sono già registrati 12 sforamenti. Il commento che Lorenzo Frattini, Presidente di Legambiente Emilia-Romagna, rivolge alle istituzioni locali è un’esortazione al correre ai ripari al più presto: «Il fatto che le condizioni climatiche e geografiche del bacino padano favoriscano lo stagnamento dell’aria non può più essere una giustificazione; al contrario, questo deve essere un motivo in più per intensificare gli sforzi per garantire ai cittadini una buona qualità dell’aria che respirano». Forse le limitazioni del traffico cittadino per qualche ora nei giorni lavorativi, o le chiusure dei centri storici per poche giornate al mese non sono la soluzione definitiva ad un problema ormai cronico, i cui reali effetti sulla salute delle persone si vedranno solo tra pochi anni. OPERAZIONE ANTIBRACCONAGGIO NELLA PROVINCIA DI FORLÌ Scritto da Antonella Pascale In Italia, nonostante la normativa sulla caccia e sul bracconaggio, frequenti sono le cronache che raccontano che forse la legge non è poi così nota a tutti. Il corpo forestale dello Stato ha effettuato nell’ultima settimana una serie di controlli antibracconaggio nei comuni di Santa Sofia, Predappio e Premilcuore. L’operazione è stata possibile grazie a varie segnalazioni da parte dei cittadini della provincia forlivese i quali hanno allertato il personale forestale. I colpevoli dello sciagurato “sport” sono due abitanti di Predappio e di Santa Sofia, i quali catturavano e detenevano tortore dal collare orientale, tordi sasselli e cesene, una specie di turgide poco diffuso. Come da normativa la sanzione contestata per la cattura è di 1500 euro in seguito alla denuncia all’Autorità Giudiziaria per la caccia con mezzi non consentiti; per quanto riguarda invece la detenzione di specie selvatiche protette è prevista una sanzione amministrativa di 308 euro, poiché si tratta di uccelli utilizzati come richiamo ma non conformi alla legislazione vigente. L’operazione antibracconaggio è seguita negli ultimi giorni anche in località di Camposonaldo, nel comune di Santa Sofia, dove un cacciatore è stato trovato in possesso di un fringuello e di due tordele nascosti nella tasca del giubbotto, la cui pena è equivalsa a 1500 euro. Gli uccelli venivano catturati con trappole, reti ed altri mezzi non consentiti e poi venduti sul mercato illegale come uccelli da richiamo per la cattura di nuovi esemplari, incrementando il fiorente mercato clandestino con anelli di identificazione falsi e con trattamenti ormonali per alimentarne il canto anche fuori stagione. Fortunatamente gli esemplari catturati erano in buone condizioni di salute e sono stati liberati immediatamente dagli agenti forestali. In Italia l'attività venatoria è regolamentata dalla Legge 11 febbraio 1992 n.157, che fissa le "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio". Si tratta di una legge-quadro, in base alla quale le regioni legiferano sulla gestione e sulla tutela della fauna selvatica in conformità alla legge statale, alle convenzioni internazionali e alle direttive comunitarie. Ma con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, la potestà legislativa in materia di caccia, non essendo espressamente riservata alla legislazione dello Stato, spetta alle regioni. Tuttavia, poiché lo Stato si è riservato la potestà legislativa in tema di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, il potere delle regioni in materia venatoria è in parte limitato. Ci chiediamo dunque se l’ammenda di 1500 euro per la cattura e di 308 euro per la detenzione non siano soltanto blande misure sanzionatore, spauracchi di poco conto per gli accaniti sostenitori della caccia. Fortunatamente negli ultimi anni si è registrato un forte calo (più del 55 % dal 1980 al 2007) nel numero di appassionati cacciatori. Gli ultimi dati ci rassicurano: la caccia desta sempre meno attrazione e fascino, rimanendo di morboso interesse solo nella fascia d’età compresa tra i 65 e i 78 anni. Anni da pensione insomma, che sarebbero meglio utilizzati per lavori socialmente utili, per fare i nonni o per andare a giocare a carte al circolo del paese. LA REGIONE RILANCIA BIOGAS E FOTOVOLTAICO Scritto da Teresa Renzi A partire da aprile la regione aprirà i bandi promossi attraverso il piano d’azione regionale per le agro energie, con l’assegnazione di finanziamenti (pari a 9 milioni di euro) per le energie rinnovabili e in particolare il fotovoltaico su tetti e il biogas proveniente dagli scarti. Quest’ultimo comparto in Italia è ancora particolarmente indietro, rispetto alla media europee ed a paesi come Austria e Germania che hanno più dell’80% del biogas proveniente da reflui zootecnici e dagli scarti delle produzioni agricole. Ma la materia prima non ci manca affatto; solo in Emilia-Romagna avremmo a disposizione quasi 18 mila tonnellate all’anno di liquami che provengono da allevamenti di suini, bovini e di pollame. A questi si possono aggiungere i sottoprodotti del lavoro in campagna, dalle rimanenze della frutta invenduta, alle bucce degli ortaggi, a tutti gli scarti vegetali che producono ad esempio le aziende che lavorano o confezionano verdure. La fermentazione degli stocchi del mais che rimangono dopo la raccolta, in particolare, ha un’efficienza in termini di produzione di gas molto superiore a tutte le altre biomasse utilizzabili. Per questo motivo è importante integrare il trattamento degli scarti anche con la destinazione di terreni a colture da biomassa come il mais non-food e il sorgo. Anche la filiera del biogas ha poi un sottoprodotto, il cosiddetto digestato, cioè quel che rimane della sostanza organica dopo le fermentazione anaerobica, che a sua volta può essere riutilizzato in azienda come fertilizzante di buona qualità. In Emilia-Romagna abbiamo 86 stabilimenti per il biogas (di cui una trentina in costruzione), di cui però quasi i due terzi producono gas a partire dai fanghi di depurazione e dai rifiuti delle discariche, e solo 35 utilizzano come materie prime gli scarti agricoli e zootecnici. I bandi della regione puntano proprio ad incrementare questa fetta di produzione, soprattutto quella legata alle piccole e medie aziende agricole, piuttosto che a grossi centri , che pure sono presenti in regione, come i biodigestori di Faenza e Spilamberto. Gli imprenditori agricoli potranno ottenere la copertura del 50% delle spese di impianto più un incentivo sulla produzione se conferiscono energia alla rete elettrica nazionale. Secondo i dati del CRPA (Centro di Ricerca per le Produzioni Animali), la Germania e la Svezia sono anche fortissime nel cosiddetto ”upgrading”, cioè un processo di purificazione del biogas a biometano, che può essere quindi immesso direttamente nella rete del gas naturale e utilizzato ad esempio come carburante per gli autoveicoli. Nei bandi del piano d’azione verranno dunque privilegiate le aziende che sceglieranno di produrre anche biometano dagli scarti della campagna La seconda parte del piano è riservata al fotovoltaico, non propriamente definibile un’agroenergia, ma compreso nel progetto perché i finanziamenti andranno alle aziende agricole che sceglieranno di installare i pannelli sui tetti o a terra rispettando le nuove norme per la salvaguardia del patrimonio agricolo e naturale. IL “PORTA A PORTA” DEI CARTONI Scritto da Giuseppe Fiordalisi In questi giorni è partita un’iniziativa sul fronte della gestione dei rifiuti promossa dal comune di Modena insieme alle associazioni di categoria (Ascom-Confcommercio, Confesercenti, Cna e Lapam) e al gruppo Hera. L’iniziativa riguarda la raccolta differenziata “porta a porta” del cartone e coinvolge oltre 700 esercenti del centro storico. Saranno utilizzati mezzi ecologici (elettrici o a metano) già adoperati per il servizio Cityporto in grado di accedere in qualsiasi momento al centro storico e alle zone a traffico limitato. Essi verranno utilizzati durante la pausa pranzo (ogni giorno eccetto il sabato e la domenica dalle 13 alle 15), per venire incontro alle esigenze degli esercenti che, spesso e volentieri, hanno difficoltà a recarsi nelle isole ecologiche per la corretta consegna del cartone. Essenziale sarà l'attenzione per il decoro del centro storico: gli operatori dovranno essere attenti nel segnalare eventuali punti problematici. I cartoni dovranno essere puliti e ridotti di volume sul suolo pubblico, nei pressi della propria attività, in modo ordinato per non impedire il passaggio. L’obiettivo è molto ambizioso, ossia, aumentare la quantità di materiali avviati al recupero, intercettando contestualmente le esigenze di operatori commerciali che incontrano maggiori difficoltà a separare i rifiuti, rispetto a chi lavora fuori dal centro. Saranno sfruttate le sinergie con il progetto Cityporto, promosso dall'amministrazione comunale e cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna con il contributo della Camera di Commercio e della Provincia e il coordinamento di Amo Modena (Agenzia per la mobilità e il trasporto pubblico). Grazie al sistema Gps sarà possibile verificare in tempo reale il percorso dell'operatore, i punti di raccolta e le eventuali non conformità del materiale conferito. I carichi saranno poi raccolti dalle piattaforme Conai di Modena per la compattazione e il successivo avvio ai processi di recupero. L’assessore all’ambiente del comune della città di Modena, Simona Arletti, afferma che l’obiettivo di questa prima fase è di passare dalle 18 tonnellate di cartone attualmente conferite a 90 tonnellate nell’arco di un anno di sperimentazione. La successiva tappa sarà quella di far partire la raccolta porta a porta dell'umido prodotto da bar e ristoranti. Inoltre, l’assessore tiene ad evidenziare che il progetto non comporterà un costo aggiuntivo né per gli esercenti né per i cittadini. Il responsabile di Hera, Sandro Boarini, aggiunge che il progetto riguarda la prima fase di un processo che porterà ad una sempre maggiore realizzazione di raccolte differenziate di prossimità e mirate a singole categorie che riguarderanno anche altre frazioni e zone anche al di fuori del centro storico. Grazie alle nuova raccolta dei cartoni per gli esercenti del centro, che passa da poco meno di 1.000 ad oltre 3.500 ritiri alla settimana, questo servizio conoscerà un aumento del 270%. Inoltre, bisogna ricordare che nel centro storico di Modena la partnership tra il gruppo Hera e il Comune ha portato sempre in ambito della raccolta differenziata, all’attivazione nella scorsa stagione estiva della stazione ecologica “self service”. SI FA PRESTO A DIRE NUCLEARE: NE PARLIAMO CON ALBERTO CLÒ Scritto da Olga Massari Martedì la sala Stabat Mater dell’Archiginnasio era stracolma di persone. La Bologna bene era riunita per ascoltare il professore Alberto Clò discutere con illustri bolognesi: Romano Prodi e Angelo Panebianco insieme ad un importante nome della politica italiana di qualche anno fa, Luciano Violante. L’incontro è stato organizzato dalla casa editrice Il Mulino che edita anche l’ultimo libro del professore dal titolo Si fa presto a dire nucleare. Riflessioni di un nuclearista non pentito. Ma facciamo qualche passo indietro: nel 1987, quando si votò il referendum per spegnere le centrali nucleari sul territorio italiano Prodi era presidente dell’Eni e Clò era un convinto nuclearista. A 24 anni di distanza ci si incontra intorno ad un tavolo discutendo sul perché, in Italia, non sia possibile tornare al nucleare e Clò comincia citando Chicco Testa (fondatore di Legambiente) apostrofandolo così: «Per non fare nomi, Chicco Testa fu il primo firmatario del referendum, ora è il grande testimonial del ritorno all’atomo». Il professore dice di aver scritto il suo ultimo libro in uno stato d’animo di certo poco tranquillo perché il governo cerca di riaccendere la macchina nucleare con una propaganda falsa e faziosa e cita la pubblicità del forum nucleare di cui anche noi ci siamo occupati. Le ragioni per cui in Italia, nell’attuale stato di cose, è impossibile tornare al nucleare sono le stesse che sostengono gli antinuclearisti ma Clò ci tiene a sottolineare che lui «non lo fa per ideologia ma perché essendo un esperto di economia, capisce che è impossibile». «Prima del 1987 - spiega Clò - avevamo una classe di ingegneri e tecnici molto preparati, ora non abbiamo nulla di tutto ciò e nemmeno un sistema progettuale in grado di garantire il ritorno dell’atomo. Ma voglio anche sottolineare che il nucleare non è morto nel 1987, era già moribondo a metà anni ‘80, non si dica che il referendum sia stata una vittoria dei Verdi». E continua «dobbiamo ricordare anche che le centrali non si fanno per decreto ma serve il consenso, che non può essere comprato» per rispondere a Panebianco che precedentemente aveva affermato che per avere consenso, per esempio nel caso della TAV, il governo dovrebbe dare aiuti economici e finanziamenti. Clò ci tiene a dire che gli ambientalisti dovrebbero essere nuclearisti perché l’energia elettrica prodotta con il nucleare non consuma nemmeno un briciolo di anidride carbonica, il che è in contrasto con l’iniziale attacco a Chicco Testa. Poi finalmente si parla del problema più scottante: le scorie. «Non siamo stati in grado di dare soluzioni al problema delle scorie di 40 anni fa e ora tra l’altro la Commissione europea ci costringe a garantire la sistemazione legale delle scorie». Cita anche le varie navi cariche di scorie che partono dai porti italiani per destinazioni ignote... oppure vengono rimandate al mittente. Infine si parla di costi: «È vero che con il nucleare i costi dell’elettricità si abbasserebbero del 20-30% ma il costo per la costruzione di una centrale è ignoto, a questo proposito anche la Finlandia (unica centrale in costruzione in Europa, ndr) che non fa conti approssimativi come noi, ha sbagliato nel caso nucleare perché man mano che il tempo di costruzione si faceva più lungo i costi salivano. Con questo discorso un privato non si accollerebbe mai la costruzione di una centrale mentre per lo stato sarebbe un’impresa troppo ardua». E conclude: «Il treno nucleare l’abbiamo perso. Il giorno del referendum andrò al mare». E noi concludiamo: speriamo che un referendum non ci sia perché la scelta è già stata fatta ventiquattro anni fa. LA SFIDA DELL'AGRICOLTURA Scritto da Alessandro Kostis Le recenti proteste scaturitesi in Algeria e Tunisia hanno un denominatore comune: l'aumento improvviso del costo dei prodotti alimentari. Nel dicembre scorso, infatti, la FAO ha rilevato un picco nella maggiorazione dei prezzi che non si vedeva dal 1990. Il paniere attraverso cui l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura calcola l'andamento del costo dei prodotti alimentari contiene materie prime come i cereali, l'olio di semi, prodotti caseari, carne e zucchero. L'indicatore ha toccato nell'ultimo mese dell'anno passato quota 214,7 punti, scatenando aumenti anche superiori al 50%. In Maghreb la risposta della popolazione è stata la rivolta, che ha poi, nel caso della Tunisia, intaccato anche il sistema politico. Le cause di questo notevole incremento dei prezzi sono rintracciabili in due fattori: la speculazione finanziaria, in primis, in quanto il periodo di instabilità economica globale ha facilitato una situazione in cui i movimenti di capitale sono sempre più frequenti, spostandosi repentinamente dai mercati finanziari a quelli delle materie prime, e ciò ha fatto sì che il costo del grano schizzasse a livelli record; in secondo luogo, la domanda mondiale di derrate alimentari sta superando l'offerta e questo porta inevitabilmente ad un rialzo del prezzo delle medesime. Non a caso, in questi mesi, la parola d'ordine che si sente sempre più spesso riecheggiare nelle aule attigue al Parlamento europeo è approvvigionamento sicuro. La riforma della Politica Agricola Comune (PAC), iniziata ufficialmente con la presentazione della Comunicazione della Commissione UE dello scorso 18 novembre, dovrà per forza di cose tener conto di questa situazione. Oltre al picco del petrolio e a quello dell'uranio, ci stiamo velocemente avviando anche verso quello dei prodotti alimentari: in ambito occupazionale si calcola che l'Europa necessiterà di 4,5 milioni di agricoltori nei prossimi dieci anni per far fronte alle proprie esigenze alimentari. Questo vuol dire che la nuova PAC dovrà cercare di attrarre i giovani europei verso l'agricoltura, grazie a premi d'installazione e tassi d'interesse agevolati sui prestiti. Alcuni parlamentari europei hanno proposto la creazione di un sistema globale mirato di riserve alimentari per combattere la fame, gestito dalla FAO o dalle Nazioni Unite. Ma l'approvvigionamento sicuro di prodotti alimentari a prezzi accessibili per tutti i cittadini europei è solo uno dei principi che ispireranno la riforma. Per combattere la speculazione, si pensa di trattare i derivati su merci e prodotti alimentari tenendo conto della loro specificità, affidandoli al trattamento di operatori con interessi reali nel proteggere i prodotti agricoli. Per il Presidente della Commissione Agricoltura e sviluppo sostenibile, Paolo De Castro, i due pilastri su cui si incentrerà la riforma saranno ambiente e occupazione. Gli aiuti (la spesa dell'UE per la PAC impegna circa il 35% del suo bilancio complessivo) verranno distribuiti in base ai comportamenti che gli agricoltori metteranno in atto e non più solamente sulla produttività. Questo servirà a orientare l'agricoltura europea verso uno sviluppo sostenibile e attento alla diversità delle coltivazioni. COL REACH, A ZONZO FRA LE CORSIE A CACCIA DI VERNICI SICURE Scritto da Johnny Felice Come vi avevamo già anticipato nell'articolo della settimana scorsa, grazie alle normative REACH molti prodotti giudicati nocivi e tossici per l'uomo o per l'ambiente saranno rimpiazzati da tecnologie più conformi ai nuovi dettami europei, a partire dal 2013. Ma fino ad allora cosa si può fare per tenere sotto controllo le emissioni inquinanti o nocive? Noi di Sottobosco abbiamo pensato di creare una sorta di prontuario, utile a chiarirci un po' le idee per quanto riguarda uno dei prodotti chimici che più spesso utilizziamo nelle nostre case: le vernici. Chiunque abbia fatto solo un giro fra le corsie di un qualsiasi punto vendita specializzato o semplicemente nella mesticheria sotto casa, sa bene che il termine "vernice" è quanto di più generico ed insidioso ci possa essere: sono comunemente definiti "vernici" gli smalti, gli impregnanti, gli aggrappanti, gli oli, le cere, insomma tutti quei trattamenti per materiale legnoso o ferroso che abbiano un potere protettivo pellicolare o di profondità. Non sta a noi dissertare in questa sede su differenze terminologiche che a malapena riusciamo a comprendere (figuriamoci a spiegare!), ma sulla reale composizione chimica dei prodotti interessati: tutti i prodotti sovra citati si dividono infatti in due grandi famiglie: prodotti a solvente (quasi sempre a resine poliuretaniche) e prodotti a soluzione acquosa. Quali sono le differenze? Innanzitutto i cosiddetti prodotti a solvente sono infinitamente più tossici (ce ne accorgiamo dalla concentrazione g/l di C.O.V. presenti all’interno delle confezioni che devono essere esibite per legge) con un rapporto solitamente di 1/2 ; come se non bastasse, il prodotto a solvente asciuga con maggior difficoltà, ha bisogno di diluenti a loro volta tossici (acquaragia, acetone o diluente sintetico) ed emette quel tipico odore che è proprio delle vernici "classiche". Perché quindi prediligerli? Fino a qualche anno fa, il prodotto a solvente aveva il vantaggio di resistere maggiormente alle sollecitazioni esterne; poteva quindi essere preferito esclusivamente dal punto di vista qualitativo: negli ultimi anni, proprio a cause delle normative REACH, i produttori hanno sviluppato unicamente la tecnologia all'acqua che è dunque divenuta all'avanguardia anche dal punto di vista strettamente qualitativo. Nei prodotti a soluzione acquosa, difatti, la concentrazione di C.O.V. deve essere limitata per legge entro i 29 g/l, un numero circa venti volte inferiore al prodotto a solvente; la pulizia degli attrezzi si deve effettuare semplicemente con acqua calda (da smaltire nelle cosiddette acque grigie). Il prodotto è inoltre assolutamente inodore ed asciuga in un paio d’ore. Insomma, sembra proprio che fra i due prodotti ci sia lo scarto che c'è fra un vecchio catorcio a diesel e il suo moderno corrispettivo elettrico. Eppure non è tutto oro quello che luccica: anche per i prodotti ad acqua, la produzione è seriale ed a base chimica; quindi, malgrado il prodotto sia quasi del tutto atossico per l’utente, la produzione rimane comunque inquinante per l'ambiente. Un po' come se ciascuno di noi ripulisse per bene il suo orticello trasferendo semplicemente le sue scorie sul demanio pubblico. Cosa fare allora per evitare questo ennesimo intrico? Da un paio d’anni alcune case produttrici hanno iniziato a sviluppare prodotti biologici, derivati da coloranti naturali, a bassissimo impatto inquinante. Per ora, questi prodotti sono più costosi e meno validi dal punto di vista qualitativo: ma si sa, col passare del tempo e delle sperimentazioni si riuscirà ben presto a sopperire anche a questo problema. Speriamo soltanto che le innovazioni tecnologiche vadano di pari passo con una più matura coscienza ambientale ed ecologista: in fondo, se continuassimo ad interrogare qualche vecchio umarell sui prodotti ad acqua, ci sentiremmo ancora rispondere "Non è mica buona quella roba lì!" ALEXANDER LANGER: IL VIAGGIATORE LEGGERO Scritto da Filippo Piredda "Il viaggiatore leggero" edito da Sellerio, è la raccolta di scritti di Alexander Langer. Edi Rabini della Fondazione Alexander Langer ha curato il volume. Articoli, interviste, ritratti, viaggi, incontri tutti incentrati sull'impegno civile e religioso di Langer. Politico tra i fondatori di lotta continua negli anni '70, e del movimento dei Verdi Europei nel decennio successivo, fu il primo capogruppo del partito all'Europarlamento. Nato e vissuto in Alto Adige, in una famiglia multilingue e multiculturale è stato tra i primi a coniugare il pacifismo ai temi dell'ecologia e dell'ambiente, come se la convivenza e la tolleranza tra gli uomini e l'armonia con la natura fossero complementari "non due cassetti separati, ma una cosa sola". Così lo ricorda Goffredo Fofi, direttore della rivista "Lo straniero", nella prefazione del libro. Alex Langer ha svolto una funzione di ponte in due direzioni prioritarie: quella di accostare popoli e fazioni, di attutirne lo scontro e di promuoverne l’incontro, e quella dell’apertura a un rapporto nuovo tra l’uomo e il suo ambiente naturale. E se nel primo caso, quello più determinato dalle pesanti contingenze della storia (per Alex, la guerra interna alla ex Jugoslavia), si trattava di far da ponte ma anche da intercapedine, da camera d’aria dove potesse esprimersi un dialogo assai difficile, nel secondo si trattava piuttosto di additare nuovi territori all’azione politica responsabile, allargandone il significato da città a contesto, da polis a natura. Se sul fronte della pace e della convivenza tra umani di diversa etnia o religione o parte politica Alex è stato un continuatore, egli è stato su quel secondo fronte un precursore, uno dei più persuasi pionieri dell’indispensabilità di una visione ecologica dell’agire politico. Creare un ponte fra le parti in lotta scrisse spesso dedicandosi con forza alla risoluzione della guerra e disfacimento della ex Jugoslavia, senza però trovare una soluzione né per il conflitto né per sé stesso. Langer si suicidò nel luglio del '95, lasciando un biglietto: "Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto" "Quando Langer era giovane - racconta Rubini - il Sud Tirolo era segnato da un conflitto, da infiltrazioni neonaziste. Langer fece la scelta di radunare persone di diverse culture per imparare a stare insieme e dimostrare che è possibile non prendere posizioni estreme". Negli articoli emerge sempre un approccio didattico e una ricerca incentrata sugli stili di vita. Il libro è un tentativo di descrivere il percorso intellettuale e di azione". LA COSTITUENTE ECOLOGISTA DEVE ANCORA COSTITUIRSI Scritto da Filippo Piredda La Costituente ecologista ha bisogno di una spinta in più, di far più movimento. Per ora oltre l'ottima idea di partenza "superare e ampliare il movimento ambientalista", non si è visto molto. Ne avevamo parlato in occasione del primo incontro bolognese, in questo week end (29 - 30 gennaio), si è celebrato il secondo senza apparenti passi avanti. Come racconta Terra, il quotidiano cartaceo della Federazione dei Verdi Si tratta di una decisiva tappa del percorso iniziato nel 2009 con la nascita della Costituente ecologista e andato avanti mese dopo mese, fino alla definizione di una rete unitaria, aperta e inclusiva, alla quale tutti coloro che intendono aderire sono invitati a dare un contributo attivo, seguendo l’esempio dei soggetti che si sono fatti promotori dell’appuntamento: Abbiamo un sogno, (il cui referente è Marco Boschini), Centro nuovo modello di sviluppo (Francuccio Gesualdi), Costituente ecologista (Giuliano Tallone) e Gruppo delle cinque Terre (Maurizio Di Gregorio). La prima critica è la comunicazione: "l’intenzione è raggiungere tutte le associazioni per diritti civili, giustizia sociale e ambientale esistenti", ma purtroppo pare un lavoro non solo "lungo", ma assai lontano. Gli interventi e gruppi di lavoro son sembrati troppo autoreferenziali perché concentrati sull'operato, certamente lodevole se non eccellente, dei singoli gruppi piuttosto che su come coinvolgere. Mentre scrivo cercando le parole "costituente ecologista" su Google News - ultime 24 ore, esce un solo hit. In un fine settimana in cui la città era invasa da turisti, curiosi e passanti per ArteFiera, si doveva e poteva far qualcosa di più per farsi notare, per approfittare di un bacino di pubblico più vasto. E perché no, per fare anche qualcosa di artistico ed ecologico insieme. Secondo punto dolente sono le scadenze. Chi fa politica deve porsi una data in cui raggiungere un obiettivo: elezioni, referendum, congresso o manifestazione. Tanto più in una fase di attesa della fine dell'Impero come quella attuale in cui gli scenari futuri sono più che mai incerti e aperti ad ogni possibilità, e a chi con le idee chiare e un po' di tempismo sa farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. In qualche modo la sensazione è di una sorta di sindrome da PD: tutti ragionano sul come, sulle regole, e li rinegoziano incessantemente, e mai nessuno fissa un quando che può avere una sola risposta SUBITO. (Le immagini che illustrano gli articoli sono prese da Flickr)