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Settimana N° 80 (31 gennaio - 6 febbraio 2011)
LEGAMBIENTE: IN REGIONE SI RESPIRA MAL'ARIA
Scritto da Laura Simoni
«In Emilia-Romagna nessuno dei capoluoghi di provincia ha rispettato la fatidica soglia dei 35 giorni di limite per
il superamento dei valori delle polveri sottili», con queste parole Legambiente Bologna lancia l’allarme per le
emissioni di PM10, commentando i preoccupanti dati di Mal’Aria di città, annuale dossier sull’inquinamento
atmosferico presentato venerdì 28 gennaio a Roma.
Da una lettura generale dei rilevamenti, compiuti nelle principali città italiane, appare chiara l’immagine di un
Paese che non respira bene, incurante sia dell’emergenza ambientale e sanitaria causata dallo smog
automobilistico, che dell’ingente perdita economica a cui va incontro ignorando il problema: la multa della
Commissione europea sarà salatissima e non si farà certo attendere.
Parliamo concretamente: l’aria delle nostre città è
irrespirabile! Nella classifica delle peggiori 30 città europee
per superamenti di polveri sottili, biossido di azoto e ozono,
17 sono italiane: solamente in Bulgaria si respira un’aria
peggiore della nostra. Nell’arco del 2010, ben 48
capoluoghi di provincia hanno superato per più di 35 giorni
il limite di legge di 50 μg/mᶟ, sopra al quale si mette a
rischio la salute dei cittadini. Torino, con i suoi 134
sforamenti annuali, sale sul gradino più alto di questo podio
poco onorevole, seguita da Frosinone e da Asti,
rispettivamente con 108 e 98 giornate fuorilegge. Il dato
allarmante, specialmente per noi, è che di queste 48 città ben 30 fanno parte della Pianura Padana, che – com’è
noto – è da sempre predisposta per conformazione geografica a far registrare elevati valori di smog nell’aria.
Ma entriamo nello specifico ed analizziamo la situazione nella nostra regione, leggendo attentamente il
comunicato dell’associazione ambientalista:
«In particolare, in Emilia Romagna nessuna delle città capoluogo ha rispettato i limiti di legge sul
superamento di 50 μg/m3 per un massimo di 35 giornate all’anno: le capofila sono Reggio Emilia e
Modena, rispettivamente con 84 e 82 giorni di sforamento, seguite da Bologna (63), Piacenza (63),
Parma (61), Ferrara (59), Rimini (58),Ravenna (47), Forlì (45); rispetto ai dati del dossier su Mal’Aria
del 2009 vi è un aumento nei superamenti dei limiti di legge in quasi tutti i capoluoghi della regione.»
La situazione in regione si aggrava di anno in anno, e il 2011 non sembra lasciare grosse speranze di
miglioramento, dal momento che nei primi 27 giorni di gennaio si sono già registrati 12 sforamenti. Il commento
che Lorenzo Frattini, Presidente di Legambiente Emilia-Romagna, rivolge alle istituzioni locali è un’esortazione
al correre ai ripari al più presto:
«Il fatto che le condizioni climatiche e geografiche del bacino padano favoriscano lo stagnamento
dell’aria non può più essere una giustificazione; al contrario, questo deve essere un motivo in più per
intensificare gli sforzi per garantire ai cittadini una buona qualità dell’aria che respirano».
Forse le limitazioni del traffico cittadino per qualche ora nei giorni lavorativi, o le chiusure dei centri storici per
poche giornate al mese non sono la soluzione definitiva ad un problema ormai cronico, i cui reali effetti sulla
salute delle persone si vedranno solo tra pochi anni.
OPERAZIONE ANTIBRACCONAGGIO NELLA PROVINCIA DI FORLÌ
Scritto da Antonella Pascale
In Italia, nonostante la normativa sulla caccia e sul bracconaggio, frequenti sono le cronache che raccontano che
forse la legge non è poi così nota a tutti. Il corpo forestale dello Stato ha effettuato nell’ultima settimana una serie
di controlli antibracconaggio nei comuni di Santa Sofia, Predappio e Premilcuore.
L’operazione è stata possibile grazie a varie segnalazioni da parte dei cittadini della provincia forlivese i quali
hanno allertato il personale forestale. I colpevoli dello sciagurato “sport” sono due abitanti di Predappio e di Santa
Sofia, i quali catturavano e detenevano tortore dal collare orientale, tordi sasselli e cesene, una specie di turgide
poco diffuso. Come da normativa la sanzione contestata per la cattura è di 1500 euro in seguito alla denuncia
all’Autorità Giudiziaria per la caccia con mezzi non consentiti; per quanto riguarda invece la detenzione di specie
selvatiche protette è prevista una sanzione amministrativa di 308 euro, poiché si tratta di uccelli utilizzati come
richiamo ma non conformi alla legislazione vigente.
L’operazione antibracconaggio è seguita negli ultimi giorni anche in
località di Camposonaldo, nel comune di Santa Sofia, dove un
cacciatore è stato trovato in possesso di un fringuello e di due tordele
nascosti nella tasca del giubbotto, la cui pena è equivalsa a 1500 euro.
Gli uccelli venivano catturati con trappole, reti ed altri mezzi non
consentiti e poi venduti sul mercato illegale come uccelli da richiamo
per la cattura di nuovi esemplari, incrementando il fiorente mercato
clandestino con anelli di identificazione falsi e con trattamenti ormonali
per alimentarne il canto anche fuori stagione. Fortunatamente gli
esemplari catturati erano in buone condizioni di salute e sono stati
liberati immediatamente dagli agenti forestali.
In Italia l'attività venatoria è regolamentata dalla Legge 11 febbraio 1992 n.157, che fissa le "Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio". Si tratta di una legge-quadro, in base alla
quale le regioni legiferano sulla gestione e sulla tutela della fauna selvatica in conformità alla legge statale, alle
convenzioni internazionali e alle direttive comunitarie. Ma con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, la
potestà legislativa in materia di caccia, non essendo espressamente riservata alla legislazione dello Stato, spetta
alle regioni. Tuttavia, poiché lo Stato si è riservato la potestà legislativa in tema di tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali, il potere delle regioni in materia venatoria è in parte limitato. Ci chiediamo
dunque se l’ammenda di 1500 euro per la cattura e di 308 euro per la detenzione non siano soltanto blande misure
sanzionatore, spauracchi di poco conto per gli accaniti sostenitori della caccia.
Fortunatamente negli ultimi anni si è registrato un forte calo (più del 55 % dal 1980 al 2007) nel numero di
appassionati cacciatori. Gli ultimi dati ci rassicurano: la caccia desta sempre meno attrazione e fascino, rimanendo
di morboso interesse solo nella fascia d’età compresa tra i 65 e i 78 anni. Anni da pensione insomma, che
sarebbero meglio utilizzati per lavori socialmente utili, per fare i nonni o per andare a giocare a carte al circolo del
paese.
LA REGIONE RILANCIA BIOGAS E FOTOVOLTAICO
Scritto da Teresa Renzi
A partire da aprile la regione aprirà i bandi promossi attraverso il piano d’azione regionale per le agro energie, con
l’assegnazione di finanziamenti (pari a 9 milioni di euro) per le energie rinnovabili e in particolare il fotovoltaico
su tetti e il biogas proveniente dagli scarti.
Quest’ultimo comparto in Italia è ancora particolarmente indietro, rispetto alla media europee ed a paesi come
Austria e Germania che hanno più dell’80% del biogas proveniente da reflui zootecnici e dagli scarti delle
produzioni agricole. Ma la materia prima non ci manca affatto; solo in Emilia-Romagna avremmo a disposizione
quasi 18 mila tonnellate all’anno di liquami che provengono da allevamenti di suini, bovini e di pollame.
A questi si possono aggiungere i sottoprodotti del lavoro in campagna, dalle rimanenze della frutta invenduta, alle
bucce degli ortaggi, a tutti gli scarti vegetali che producono ad esempio le aziende che lavorano o confezionano
verdure. La fermentazione degli stocchi del mais che rimangono dopo la raccolta, in particolare, ha un’efficienza
in termini di produzione di gas molto superiore a tutte le altre biomasse utilizzabili. Per questo motivo è
importante integrare il trattamento degli scarti anche con la destinazione di terreni a colture da biomassa come il
mais non-food e il sorgo.
Anche la filiera del biogas ha poi un sottoprodotto, il cosiddetto digestato,
cioè quel che rimane della sostanza organica dopo le fermentazione
anaerobica, che a sua volta può essere riutilizzato in azienda come
fertilizzante di buona qualità.
In Emilia-Romagna abbiamo 86 stabilimenti per il biogas (di cui una
trentina in costruzione), di cui però quasi i due terzi producono gas a
partire dai fanghi di depurazione e dai rifiuti delle discariche, e solo 35
utilizzano come materie prime gli scarti agricoli e zootecnici. I bandi della
regione puntano proprio ad incrementare questa fetta di produzione,
soprattutto quella legata alle piccole e medie aziende agricole, piuttosto
che a grossi centri , che pure sono presenti in regione, come i biodigestori
di Faenza e Spilamberto. Gli imprenditori agricoli potranno ottenere la
copertura del 50% delle spese di impianto più un incentivo sulla
produzione se conferiscono energia alla rete elettrica nazionale.
Secondo i dati del CRPA (Centro di Ricerca per le Produzioni Animali), la Germania e la Svezia sono anche
fortissime nel cosiddetto ”upgrading”, cioè un processo di purificazione del biogas a biometano, che può essere
quindi immesso direttamente nella rete del gas naturale e utilizzato ad esempio come carburante per gli
autoveicoli. Nei bandi del piano d’azione verranno dunque privilegiate le aziende che sceglieranno di produrre
anche biometano dagli scarti della campagna
La seconda parte del piano è riservata al fotovoltaico, non propriamente definibile un’agroenergia, ma compreso
nel progetto perché i finanziamenti andranno alle aziende agricole che sceglieranno di installare i pannelli sui tetti
o a terra rispettando le nuove norme per la salvaguardia del patrimonio agricolo e naturale.
IL “PORTA A PORTA” DEI CARTONI
Scritto da Giuseppe Fiordalisi
In questi giorni è partita un’iniziativa sul fronte della gestione dei rifiuti promossa dal comune di Modena insieme
alle associazioni di categoria (Ascom-Confcommercio, Confesercenti, Cna e Lapam) e al gruppo Hera.
L’iniziativa riguarda la raccolta differenziata “porta a porta” del cartone e
coinvolge oltre 700 esercenti del centro storico. Saranno utilizzati mezzi ecologici
(elettrici o a metano) già adoperati per il servizio Cityporto in grado di accedere in
qualsiasi momento al centro storico e alle zone a traffico limitato. Essi verranno
utilizzati durante la pausa pranzo (ogni giorno eccetto il sabato e la domenica dalle
13 alle 15), per venire incontro alle esigenze degli esercenti che, spesso e
volentieri, hanno difficoltà a recarsi nelle isole ecologiche per la corretta consegna
del cartone.
Essenziale sarà l'attenzione per il decoro del centro storico: gli operatori dovranno
essere attenti nel segnalare eventuali punti problematici. I cartoni dovranno essere
puliti e ridotti di volume sul suolo pubblico, nei pressi della propria attività, in
modo ordinato per non impedire il passaggio. L’obiettivo è molto ambizioso, ossia,
aumentare la quantità di materiali avviati al recupero, intercettando
contestualmente le esigenze di operatori commerciali che incontrano maggiori
difficoltà a separare i rifiuti, rispetto a chi lavora fuori dal centro.
Saranno sfruttate le sinergie con il progetto Cityporto, promosso dall'amministrazione comunale e cofinanziato
dalla Regione Emilia-Romagna con il contributo della Camera di Commercio e della Provincia e il coordinamento
di Amo Modena (Agenzia per la mobilità e il trasporto pubblico). Grazie al sistema Gps sarà possibile verificare
in tempo reale il percorso dell'operatore, i punti di raccolta e le eventuali non conformità del materiale conferito. I
carichi saranno poi raccolti dalle piattaforme Conai di Modena per la compattazione e il successivo avvio ai
processi di recupero.
L’assessore all’ambiente del comune della città di Modena, Simona Arletti, afferma che l’obiettivo di questa prima
fase è di passare dalle 18 tonnellate di cartone attualmente conferite a 90 tonnellate nell’arco di un anno di
sperimentazione. La successiva tappa sarà quella di far partire la raccolta porta a porta dell'umido prodotto da bar
e ristoranti. Inoltre, l’assessore tiene ad evidenziare che il progetto non comporterà un costo aggiuntivo né per gli
esercenti né per i cittadini.
Il responsabile di Hera, Sandro Boarini, aggiunge che il progetto riguarda la prima fase di un processo che porterà
ad una sempre maggiore realizzazione di raccolte differenziate di prossimità e mirate a singole categorie che
riguarderanno anche altre frazioni e zone anche al di fuori del centro storico. Grazie alle nuova raccolta dei cartoni
per gli esercenti del centro, che passa da poco meno di 1.000 ad oltre 3.500 ritiri alla settimana, questo servizio
conoscerà un aumento del 270%.
Inoltre, bisogna ricordare che nel centro storico di Modena la partnership tra il gruppo Hera e il Comune ha
portato sempre in ambito della raccolta differenziata, all’attivazione nella scorsa stagione estiva della stazione
ecologica “self service”.
SI FA PRESTO A DIRE NUCLEARE: NE PARLIAMO CON ALBERTO CLÒ
Scritto da Olga Massari
Martedì la sala Stabat Mater dell’Archiginnasio era stracolma di persone. La Bologna bene era riunita per
ascoltare il professore Alberto Clò discutere con illustri bolognesi: Romano Prodi e Angelo Panebianco insieme ad
un importante nome della politica italiana di qualche anno fa, Luciano Violante.
L’incontro è stato organizzato dalla casa editrice Il Mulino che edita anche l’ultimo libro del professore dal titolo
Si fa presto a dire nucleare. Riflessioni di un nuclearista non pentito. Ma facciamo qualche passo indietro: nel
1987, quando si votò il referendum per spegnere le centrali nucleari sul territorio italiano Prodi era presidente
dell’Eni e Clò era un convinto nuclearista.
A 24 anni di distanza ci si incontra intorno ad un tavolo discutendo sul perché, in
Italia, non sia possibile tornare al nucleare e Clò comincia citando Chicco Testa
(fondatore di Legambiente) apostrofandolo così: «Per non fare nomi, Chicco Testa fu
il primo firmatario del referendum, ora è il grande testimonial del ritorno all’atomo».
Il professore dice di aver scritto il suo ultimo libro in uno stato d’animo di certo
poco tranquillo perché il governo cerca di riaccendere la macchina nucleare con una
propaganda falsa e faziosa e cita la pubblicità del forum nucleare di cui anche noi ci
siamo occupati.
Le ragioni per cui in Italia, nell’attuale stato di cose, è impossibile tornare al
nucleare sono le stesse che sostengono gli antinuclearisti ma Clò ci tiene a
sottolineare che lui «non lo fa per ideologia ma perché essendo un esperto di
economia, capisce che è impossibile».
«Prima del 1987 - spiega Clò - avevamo una classe di ingegneri e tecnici molto preparati, ora non abbiamo nulla
di tutto ciò e nemmeno un sistema progettuale in grado di garantire il ritorno dell’atomo. Ma voglio anche
sottolineare che il nucleare non è morto nel 1987, era già moribondo a metà anni ‘80, non si dica che il
referendum sia stata una vittoria dei Verdi». E continua «dobbiamo ricordare anche che le centrali non si fanno per
decreto ma serve il consenso, che non può essere comprato» per rispondere a Panebianco che precedentemente
aveva affermato che per avere consenso, per esempio nel caso della TAV, il governo dovrebbe dare aiuti
economici e finanziamenti.
Clò ci tiene a dire che gli ambientalisti dovrebbero essere nuclearisti perché l’energia elettrica prodotta con il
nucleare non consuma nemmeno un briciolo di anidride carbonica, il che è in contrasto con l’iniziale attacco a
Chicco Testa. Poi finalmente si parla del problema più scottante: le scorie. «Non siamo stati in grado di dare
soluzioni al problema delle scorie di 40 anni fa e ora tra l’altro la Commissione europea ci costringe a garantire la
sistemazione legale delle scorie». Cita anche le varie navi cariche di scorie che partono dai porti italiani per
destinazioni ignote... oppure vengono rimandate al mittente.
Infine si parla di costi: «È vero che con il nucleare i costi dell’elettricità si abbasserebbero del 20-30% ma il costo
per la costruzione di una centrale è ignoto, a questo proposito anche la Finlandia (unica centrale in costruzione in
Europa, ndr) che non fa conti approssimativi come noi, ha sbagliato nel caso nucleare perché man mano che il
tempo di costruzione si faceva più lungo i costi salivano. Con questo discorso un privato non si accollerebbe mai
la costruzione di una centrale mentre per lo stato sarebbe un’impresa troppo ardua». E conclude: «Il treno nucleare
l’abbiamo perso. Il giorno del referendum andrò al mare».
E noi concludiamo: speriamo che un referendum non ci sia perché la scelta è già stata fatta ventiquattro anni fa.
LA SFIDA DELL'AGRICOLTURA
Scritto da Alessandro Kostis
Le recenti proteste scaturitesi in Algeria e Tunisia hanno un denominatore comune: l'aumento improvviso del
costo dei prodotti alimentari. Nel dicembre scorso, infatti, la FAO ha rilevato un picco nella maggiorazione dei
prezzi che non si vedeva dal 1990.
Il paniere attraverso cui l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura calcola
l'andamento del costo dei prodotti alimentari contiene materie prime come i cereali, l'olio di semi, prodotti caseari,
carne e zucchero. L'indicatore ha toccato nell'ultimo mese dell'anno passato quota 214,7 punti, scatenando
aumenti anche superiori al 50%. In Maghreb la risposta della popolazione è stata la rivolta, che ha poi, nel caso
della Tunisia, intaccato anche il sistema politico.
Le cause di questo notevole incremento dei prezzi
sono rintracciabili in due fattori: la speculazione
finanziaria, in primis, in quanto il periodo di
instabilità economica globale ha facilitato una
situazione in cui i movimenti di capitale sono
sempre più frequenti, spostandosi repentinamente
dai mercati finanziari a quelli delle materie prime, e
ciò ha fatto sì che il costo del grano schizzasse a
livelli record; in secondo luogo, la domanda
mondiale di derrate alimentari sta superando
l'offerta e questo porta inevitabilmente ad un rialzo
del prezzo delle medesime.
Non a caso, in questi mesi, la parola d'ordine che si sente sempre più spesso riecheggiare nelle aule attigue al
Parlamento europeo è approvvigionamento sicuro. La riforma della Politica Agricola Comune (PAC), iniziata
ufficialmente con la presentazione della Comunicazione della Commissione UE dello scorso 18 novembre, dovrà
per forza di cose tener conto di questa situazione. Oltre al picco del petrolio e a quello dell'uranio, ci stiamo
velocemente avviando anche verso quello dei prodotti alimentari: in ambito occupazionale si calcola che l'Europa
necessiterà di 4,5 milioni di agricoltori nei prossimi dieci anni per far fronte alle proprie esigenze alimentari.
Questo vuol dire che la nuova PAC dovrà cercare di attrarre i giovani europei verso l'agricoltura, grazie a premi
d'installazione e tassi d'interesse agevolati sui prestiti.
Alcuni parlamentari europei hanno proposto la creazione di un sistema globale mirato di riserve alimentari per
combattere la fame, gestito dalla FAO o dalle Nazioni Unite. Ma l'approvvigionamento sicuro di prodotti
alimentari a prezzi accessibili per tutti i cittadini europei è solo uno dei principi che ispireranno la riforma. Per
combattere la speculazione, si pensa di trattare i derivati su merci e prodotti alimentari tenendo conto della loro
specificità, affidandoli al trattamento di operatori con interessi reali nel proteggere i prodotti agricoli.
Per il Presidente della Commissione Agricoltura e sviluppo sostenibile, Paolo De Castro, i due pilastri su cui si
incentrerà la riforma saranno ambiente e occupazione. Gli aiuti (la spesa dell'UE per la PAC impegna circa il 35%
del suo bilancio complessivo) verranno distribuiti in base ai comportamenti che gli agricoltori metteranno in atto e
non più solamente sulla produttività. Questo servirà a orientare l'agricoltura europea verso uno sviluppo
sostenibile e attento alla diversità delle coltivazioni.
COL REACH, A ZONZO FRA LE CORSIE A CACCIA DI VERNICI SICURE
Scritto da Johnny Felice
Come vi avevamo già anticipato nell'articolo della settimana scorsa, grazie alle normative REACH molti prodotti
giudicati nocivi e tossici per l'uomo o per l'ambiente saranno rimpiazzati da tecnologie più conformi ai nuovi
dettami europei, a partire dal 2013.
Ma fino ad allora cosa si può fare per tenere sotto controllo le emissioni inquinanti o nocive? Noi di Sottobosco
abbiamo pensato di creare una sorta di prontuario, utile a chiarirci un po' le idee per quanto riguarda uno dei
prodotti chimici che più spesso utilizziamo nelle nostre case: le vernici. Chiunque abbia fatto solo un giro fra le
corsie di un qualsiasi punto vendita specializzato o semplicemente nella mesticheria sotto casa, sa bene che il
termine "vernice" è quanto di più generico ed insidioso ci possa essere: sono comunemente definiti "vernici" gli
smalti, gli impregnanti, gli aggrappanti, gli oli, le cere, insomma tutti quei trattamenti per materiale legnoso o
ferroso che abbiano un potere protettivo pellicolare o di profondità. Non sta a noi dissertare in questa sede su
differenze terminologiche che a malapena riusciamo a comprendere (figuriamoci a spiegare!), ma sulla reale
composizione chimica dei prodotti interessati: tutti i prodotti sovra citati si dividono infatti in due grandi famiglie:
prodotti a solvente (quasi sempre a resine poliuretaniche) e prodotti a soluzione acquosa. Quali sono le differenze?
Innanzitutto i cosiddetti prodotti a solvente sono infinitamente più tossici
(ce ne accorgiamo dalla concentrazione g/l di C.O.V. presenti all’interno
delle confezioni che devono essere esibite per legge) con un rapporto
solitamente di 1/2 ; come se non bastasse, il prodotto a solvente asciuga
con maggior difficoltà, ha bisogno di diluenti a loro volta tossici
(acquaragia, acetone o diluente sintetico) ed emette quel tipico odore che
è proprio delle vernici "classiche". Perché quindi prediligerli? Fino a
qualche anno fa, il prodotto a solvente aveva il vantaggio di resistere
maggiormente alle sollecitazioni esterne; poteva quindi essere preferito
esclusivamente dal punto di vista qualitativo: negli ultimi anni, proprio a
cause delle normative REACH, i produttori hanno sviluppato
unicamente la tecnologia all'acqua che è dunque divenuta
all'avanguardia anche dal punto di vista strettamente qualitativo.
Nei prodotti a soluzione acquosa, difatti, la concentrazione di C.O.V. deve essere limitata per legge entro i 29 g/l,
un numero circa venti volte inferiore al prodotto a solvente; la pulizia degli attrezzi si deve effettuare
semplicemente con acqua calda (da smaltire nelle cosiddette acque grigie). Il prodotto è inoltre assolutamente
inodore ed asciuga in un paio d’ore. Insomma, sembra proprio che fra i due prodotti ci sia lo scarto che c'è fra un
vecchio catorcio a diesel e il suo moderno corrispettivo elettrico. Eppure non è tutto oro quello che luccica: anche
per i prodotti ad acqua, la produzione è seriale ed a base chimica; quindi, malgrado il prodotto sia quasi del tutto
atossico per l’utente, la produzione rimane comunque inquinante per l'ambiente. Un po' come se ciascuno di noi
ripulisse per bene il suo orticello trasferendo semplicemente le sue scorie sul demanio pubblico. Cosa fare allora
per evitare questo ennesimo intrico? Da un paio d’anni alcune case produttrici hanno iniziato a sviluppare prodotti
biologici, derivati da coloranti naturali, a bassissimo impatto inquinante. Per ora, questi prodotti sono più costosi e
meno validi dal punto di vista qualitativo: ma si sa, col passare del tempo e delle sperimentazioni si riuscirà ben
presto a sopperire anche a questo problema.
Speriamo soltanto che le innovazioni tecnologiche vadano di pari passo con una più matura coscienza ambientale
ed ecologista: in fondo, se continuassimo ad interrogare qualche vecchio umarell sui prodotti ad acqua, ci
sentiremmo ancora rispondere "Non è mica buona quella roba lì!"
ALEXANDER LANGER: IL VIAGGIATORE LEGGERO
Scritto da Filippo Piredda
"Il viaggiatore leggero" edito da Sellerio, è la raccolta di scritti di Alexander Langer. Edi Rabini della Fondazione
Alexander Langer ha curato il volume. Articoli, interviste, ritratti, viaggi, incontri tutti incentrati sull'impegno
civile e religioso di Langer.
Politico tra i fondatori di lotta continua negli anni '70, e del movimento dei Verdi Europei nel decennio successivo,
fu il primo capogruppo del partito all'Europarlamento. Nato e vissuto in Alto Adige, in una famiglia multilingue e
multiculturale è stato tra i primi a coniugare il pacifismo ai temi dell'ecologia e dell'ambiente, come se la
convivenza e la tolleranza tra gli uomini e l'armonia con la natura fossero complementari "non due cassetti
separati, ma una cosa sola".
Così lo ricorda Goffredo Fofi, direttore della rivista "Lo straniero",
nella prefazione del libro.
Alex Langer ha svolto una funzione di ponte in due direzioni
prioritarie: quella di accostare popoli e fazioni, di attutirne lo
scontro e di promuoverne l’incontro, e quella dell’apertura a un
rapporto nuovo tra l’uomo e il suo ambiente naturale. E se nel
primo caso, quello più determinato dalle pesanti contingenze
della storia (per Alex, la guerra interna alla ex Jugoslavia), si
trattava di far da ponte ma anche da intercapedine, da camera
d’aria dove potesse esprimersi un dialogo assai difficile, nel
secondo si trattava piuttosto di additare nuovi territori
all’azione politica responsabile, allargandone il significato da città a contesto, da polis a natura. Se sul
fronte della pace e della convivenza tra umani di diversa etnia o religione o parte politica Alex è stato
un continuatore, egli è stato su quel secondo fronte un precursore, uno dei più persuasi pionieri
dell’indispensabilità di una visione ecologica dell’agire politico.
Creare un ponte fra le parti in lotta scrisse spesso dedicandosi con forza alla risoluzione della guerra e
disfacimento della ex Jugoslavia, senza però trovare una soluzione né per il conflitto né per sé stesso. Langer si
suicidò nel luglio del '95, lasciando un biglietto: "Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto"
"Quando Langer era giovane - racconta Rubini - il Sud Tirolo era segnato da un conflitto, da infiltrazioni
neonaziste. Langer fece la scelta di radunare persone di diverse culture per imparare a stare insieme e dimostrare
che è possibile non prendere posizioni estreme". Negli articoli emerge sempre un approccio didattico e una ricerca
incentrata sugli stili di vita. Il libro è un tentativo di descrivere il percorso intellettuale e di azione".
LA COSTITUENTE ECOLOGISTA DEVE ANCORA COSTITUIRSI
Scritto da Filippo Piredda
La Costituente ecologista ha bisogno di una spinta in più, di far più movimento. Per ora oltre l'ottima idea di
partenza "superare e ampliare il movimento ambientalista", non si è visto molto. Ne avevamo parlato in occasione
del primo incontro bolognese, in questo week end (29 - 30 gennaio), si è celebrato il secondo senza apparenti
passi avanti.
Come racconta Terra, il quotidiano cartaceo della Federazione dei Verdi
Si tratta di una decisiva tappa del percorso iniziato nel 2009 con la nascita della Costituente ecologista
e andato avanti mese dopo mese, fino alla definizione di una rete unitaria, aperta e inclusiva, alla quale
tutti coloro che intendono aderire sono invitati a dare un contributo attivo, seguendo l’esempio dei
soggetti che si sono fatti promotori dell’appuntamento: Abbiamo un sogno, (il cui referente è Marco
Boschini), Centro nuovo modello di sviluppo (Francuccio Gesualdi), Costituente ecologista (Giuliano
Tallone) e Gruppo delle cinque Terre (Maurizio Di Gregorio).
La prima critica è la comunicazione: "l’intenzione è raggiungere tutte le associazioni per diritti civili, giustizia
sociale e ambientale esistenti", ma purtroppo pare un lavoro non solo "lungo", ma assai lontano. Gli interventi e
gruppi di lavoro son sembrati troppo autoreferenziali perché concentrati sull'operato, certamente lodevole se non
eccellente, dei singoli gruppi piuttosto che su come
coinvolgere. Mentre scrivo cercando le parole "costituente
ecologista" su Google News - ultime 24 ore, esce un solo hit.
In un fine settimana in cui la città era invasa da turisti, curiosi
e passanti per ArteFiera, si doveva e poteva far qualcosa di più
per farsi notare, per approfittare di un bacino di pubblico più
vasto. E perché no, per fare anche qualcosa di artistico ed
ecologico insieme.
Secondo punto dolente sono le scadenze. Chi fa politica deve
porsi una data in cui raggiungere un obiettivo: elezioni,
referendum, congresso o manifestazione. Tanto più in una fase
di attesa della fine dell'Impero come quella attuale in cui gli
scenari futuri sono più che mai incerti e aperti ad ogni
possibilità, e a chi con le idee chiare e un po' di tempismo sa farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. In
qualche modo la sensazione è di una sorta di sindrome da PD: tutti ragionano sul come, sulle regole, e li
rinegoziano incessantemente, e mai nessuno fissa un quando che può avere una sola risposta SUBITO.
(Le immagini che illustrano gli articoli sono prese da Flickr)