Italimpianti, delitto senza perché - Marco Vezzani
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Italimpianti, delitto senza perché - Marco Vezzani
Italimpianti, delitto senza perché di MARCO VEZZANI odici. anni fa finiva la storia di Italimpianti, fino a pochi anni prima definita “il gioiello dell’in”. Privatizzata (o spartita?) veniva divisa in tre tronconi che oggi vivono più o meno anonimamente, lasciando a casa circa mille tecnici e impiegati. Cessava così di esistere l’unico “generai contractor” italiano, abbandonando ai concorrenti stranieri il mercato delle grandi infrastrutture e dell’impiantistica dei paesi in via di sviluppo; ancora poche settimane fa, all’onorevole Prodi è stato mostrato dai cinesi il tubificio di Tjanjn, costruito da Italimpianti. Peccato che, dopo, lì e altrove abbiano operato solo americani, francesi, inglesi e tedeschi e che l’esperienza fatta in Iran, Russia e Sud America sia ora sfruttata da altri. Italimpianti è stata uno straordinario contenitore di esperienze manageriali, di arditi progetti realizzati in terre straniere in condizioni spesso proibitive, D ma anche il laboratorio dove il sindacato, guidato da Michele Sette e Franco Frattini, recentemente scomparso, ha realizzato per primo in Italia l’inquadramento unico e forgiato un consiglio di fabbrica riformista e propositivo, capace di sfidare un’azienda che, a sua volta, con Sicouri, Puri, Castellano, Tornich e tanti altri sapeva rispondere sviluppando un modello originale e coinvolgente di organizzazione, basato sul lavoro di gruppo e sulla meritocrazia. Perché allora Italimpianti è stata “uccisa”? Il “certificato di morte” parla di un indebitamento di alcune centinaia di miliardi causato dalla cattiva gestione di alcuni contratti esteri, ma sarebbe bastata una modesta ricapitalizzazione per ripartire. E va anche ricordato che l’indebitamento era un effetto, e non una causa. Quest’ultima va ricercata in un meccanismo perverso che costringeva il “management” (di nomina politica) ad acquisire contratti a condizioni capestro per poterli poi “distribuire” ai fornitori a condizioni invece remunerative per questi ultimi. E a farne le spese sono stati i tecnici, costretti al prepensionamento o i più fortunati alla diaspora. Veniva così disperso un patrimonio umano e professionale di valore inestimabile: a distanza di dodici anni girano per il mondo almeno 20 tra presidenti e amministratori di origine Italimpianti (a partire dal presidente di Parmalat Pi-cella), a Genova operano imprenditori di successo usciti da piazza Piccapietra, da dove provengono anche il presidente del consiglio comunale Guastavino, gli assessori Liccardo e Facco, e molti manager delle aziende pubbliche, un assessore provinciale, un ex assessore regionale. Alcuni anni fa, l’onorevole Prodi, presidente dell’In in quegli anni, incontrando a un convegno un ex dirigente di Italimpianti, aveva commentato: «Che peccato, la fine di Italimpianti». Già, perché?