CALTANISSETTA MEDIEVALE: “L`ORO DEL GRANO”

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CALTANISSETTA MEDIEVALE: “L`ORO DEL GRANO”
CALTANISSETTA MEDIEVALE: “L’ORO DEL
GRANO” E LO SVILUPPO DELLA CITTÀ
di
SALVINA FIORILLA
Caltanissetta è generalmente considerata un centro
musulmano, tuttavia non se ne trova alcun cenno nelle fonti arabe. L’abitato appare documentato come esistente
nell’XI secolo quando viene occupato dai Normanni. Goffredo Malaterra nella sua cronaca, narrando delle vicende
militari della conquista normanna e del percorso seguito da
Ruggero nel 1086, per arrivare all’interno dell’isola e ad
Enna, ricorda la conquista di Caltanissetta inserendola fra
le roccaforti musulmane e annotando circa il significato del
nome “Caltanissetta” «quod in nostra lingua resolvitur Castra foeminarum…» con chiara allusione ad una traduzione
dall’arabo e con riferimento al fatto che si tratta di un abitato fortificato (MALATERRA, pp. 87-88).
La città come centro fortificato “oppidum” è nota anche a Falcando (FALCANDO, p. 15) e già agli inizi del XII
secolo essa doveva presentarsi così come la descrive qualche decennio più tardi il musulmano Edrisi: una «rocca di
bella costruzione» che «sovrasta a colti contigui l’uno all’altro ed ha ricche industrie, produce delle civaie (legumi),
ha degli alberi e delle frutte. Le scorre a levante il Salso»
(«BAS», I, p. 98).
Caltanissetta medievale, nel racconto di Edrisi, appare
edificata in posizione elevata, circondata da ampie aree coltivate irrigate dalle acque del Salso che ne assicurano la
fertilità. È difficile tuttavia ipotizzare quali dimensioni e
quale ubicazione precisa avesse il centro musulmano, se
avesse i caratteri del casale aperto unitario o risultasse da
più nuclei abitati, se disponesse di un castello.
Sulla base delle riscossioni delle imposte (BRESC 1986,
p. 65) si può ipotizzare che per lo meno fino al XIV secolo
quella che oggi è la città di Caltanissetta corrispondesse
quanto meno a due centri differenti uno ubicato a S. Spirito
ed un altro da collocare nell’area ad ovest del castello di
Pietrarossa. I due centri potrebbero aver avuto fasi di vita
parallele almeno per un certo periodo di tempo. Successivamente l’abitato di S. Spirito sarebbe via via scomparso,
assorbito da quello di Caltanissetta sorto presso il castello
di Pietrarossa (Tav. 1).
Il casale di S. Spirito risulta attestato già nel 1178, quando Alessandro III assegna a Monte Sion «Ecclesia Sancti
Spiritus cum suo casale» e continua ad essere documentato
separatamente da Caltanissetta ancora nel 1376 con 12 fuochi mentre Caltanissetta ne ha 660 (BRESC 1986, p. 65).
Nell’area del costruendo Museo Archeologico, poco ad est
dell’abbazia, agli inizi degli anni ’80 sono state ritrovate
alcune strutture murarie e sono stati recuperati manufatti
ceramici e monete. Per la fragilità delle strutture murarie, la
posizione dei depositi archeologici e la frammentarietà dei
manufatti si è ipotizzato il ritrovamento di una discarica
medievale. In realtà forse si trattava di parte dell’abitato di
S. Spirito. I rinvenimenti, seppure estremamente esigui,
documentano una fase di vita databile già all’XI secolo e
testimoniano l’esistenza di un abitato da collegare all’abbazia di S. Spirito. Sono stati ritrovati manufatti d’uso che
includono pentole da fuoco eseguite a mano libera del tipo
noto da Monte Iato e da altri insediamenti siciliani (FIORILLA 1991, pp. 118-119), frammenti di scodelle a parete carenata del tipo decorato con motivo di pavoncella recentemente attribuite all’XI secolo (MOLINARI 1992, pp. 503-506),
scodelle del tipo già noto da Agrigento, decorate con motivi solcati ed invetriate in verde che per la complessità dei
motivi potrebbero essere riferite alla seconda metà dell’XI
secolo o forse all’inizio del XII e monete di Guglielmo II
(Catalogo Gela 1990, p. 87, nn. 62, 66, 67; p. 88, nn. 71,
73; p. 89, nn. 74, 75, 76). Sono stati ritrovati anche manufatti pertinenti ad una fase di vita più recente come le protomaioliche sia del tipo Gela che decorate in bruno e le pentole con orlo bifido e invetriatura piombifera sull’orlo che
possono essere attribuiti al XIII secolo (FIORILLA 1996). Vi
sono inoltre ciotole invetriate stannifere decorate in bruno
e verde del tipo privo di piede ed invetriato all’interno e
all’esterno datato alla fine del XIV ed agli inizi del XV secolo (CUOMO DI CAPRIO FIORILLA 1994).
È possibile che il casale avesse occupato un’area precedentemente abitata, che al momento in cui sorse l’abbazia esistesse già e pertanto la sua popolazione sia stata
commendata all’abbazia stessa; potrebbe essere una conferma in tal senso il fatto che all’inizio del XV secolo (1407)
l’abbate di S. Spirito ritenesse possibile ritrovare dei tesori
nei territori di sua competenza e pertanto chiedesse e ricevesse dal re l’autorizzazione a ricercarli ed a servirsene
(BRESC 1986, p. 223).
L’abbazia di S. Spirito sorta agli inizi del XII secolo
potrebbe essere stata edificata proprio presso il casale forse
a controllo di una comunità musulmana con l’intento di
convertirla. L’abbazia è attestata nel 1093 quando Ruggero
assegna una parte delle decime rurali dell’abbazia ad un
canonico della diocesi di Agrigento (GARUFI 1903, p. 143),
tuttavia si ritiene che l’edificio attuale sia stato costruito un
po’ più tardi fra il 1105 e il 1112 quando Adelaide era reggente (WHITE 1938, pp. 360-361). Certo è che fu consacrata
nel 1153 ad opera di Goffredo di Montescaglioso come ricorda l’iscrizione marmorea che si trova all’interno della
chiesa (GARUFI 1912, p. 324). Già intorno alla metà del XII
secolo dovette diventare suffraganea dell’abbazia di Monte
Sion di Gerusalemme, come è attestato da una bolla di Alessandro III del 1178, che ne conferma il possesso a Monte
Sion (WHITE 1938, p. 360). L’abbazia, dove officiavano gli
agostiniani, godeva di una serie di privilegi che le avevano
assegnato Ruggero e sua moglie Adelasia quali i diritti di
pascolo e di abbeverata degli animali su tutto il territorio,
diritti parrocchiali e le decime relative.
Finora si sapeva poco sui rapporti fra l’abbazia e il casale, anche se la tradizione locale ipotizza che parte del convento fosse stata costruito sul casale (ZAFFUTO ROVELLO 1991,
pp. 33-34) ed oggi si ipotizza che la chiesa stessa sorga sul
casale; recenti saggi di scavo effettuati all’interno della chiesa ed all’esterno a ridosso delle absidi hanno fornito una
serie di elementi nuovi.
I saggi all’esterno (SCUTO 1996) hanno accertato una
frequentazione dell’area fra il XII e il XIII secolo e il suo
utilizzo per una necropoli in cui sono state individuate delle tombe: alcune sembrano prive di corredo, altre già violate in antico. Le tombe sono del tipo a fossa scavate nel terreno con orientamento nordest/sudest, decubito laterale su
fianco destro, cranio ad est, corpo in direzione nordest-sudovest, piedi a nordest. Per le caratteristiche esterne e la posizione del defunto esse si configurano come appartenenti
a musulmani che non è chiaro come mai ebbero la possibilità di riposare in terreno consacrato intorno alla chiesa di
S. Spirito. Le stesse tombe risultano scavate in un’area in
cui si rinvengono scarichi riferibili al XII-XIII secolo che
hanno restituito (saggio 1-prolung. est. 5. 1. 95) unitamente
a molti frammenti di ceramica priva di rivestimento, frammenti di pentole con orlo bifido e invetriatura piombifera
del tipo noto dai pozzi di Gela, due frammenti di scodelle
invetriate in verde con orlo estroflesso e parete emisferica
ed uno di scodella con orlo a tesa con estremità ondulata
del tipo noto dalle fornaci di Agrigento, un frammento di
invetriata decorata in bruno e rosso presumibilmente di produzione pugliese o calabrese, una scodella in protomaiolica del tipo Gela decorata con spirali desinenti con foglie
campite a reticolo bruno (dm. o. cm 21,2, dm. p. cm 6,5 h.
cm 7, dm. c. cm 14,4, prof. c. cm 4,7), la parte superiore di una
brocca con grande bocca trilobata tutti ancora inediti.
Il saggio condotto all’interno della chiesa ha rivelato la
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presenza di strati sconvolti con materiali rimescolati: sono
stati individuati frammenti di ceramica priva di rivestimento, un frammento di tegola striata (bizantina), due frammenti di pentola a corpo ceramico bruno nero ed a decorazione striata (già osservato nei livelli più antichi della chiesa di S. Cataldo di Enna), una lucerna paleocristiana, un
frammento di vetro.
L’interesse dei rinvenimenti ha indotto la Soprintendenza di Caltanissetta a prevedere saggi stratigrafici per verificare la reale entità del sepolcreto, le eventuali fasi di vita
differenti, i suoi rapporti con l’abitato e con le costruzioni
annesse alla chiesa tuttora in fase di studio (Tav. 2).
Se oggi è possibile ipotizzare la presenza di un nucleo
abitato a S. Spirito in parte musulmano, in parte cristiano
ancora meno si sa sull’ubicazione precisa e sulle caratteristiche del centro abitato sorto presso il castello di Pietrarossa.
Si può ritenere che in età musulmana avesse dimensioni ridotte ed un’economia prettamente agricola; con l’arrivo dei Normanni, già alla fine dell’XI secolo sarebbe stato
ricompreso nella diocesi di Agrigento (1093) e nel corso
del XII secolo sarebbe divenuto via via più popoloso più
popoloso e si sarebbe arricchito di più edifici di carattere
religioso.
I dati archeologici a disposizione sono ancora molto ridotti. È probabile che in parte siano andati perduti in anni
recenti quando la città è stata investita da grandi trasformazioni edilizie collegate alla sua funzione di provincia. Tuttavia sulla base di recenti indagini sull’urbanistica del centro storico si ipotizza l’esistenza dell’abitato più antico nel
quartiere “Zingari” una delle aree più antiche della città,
inoltre nell’attuale Piazza Garibaldi sembra sia stata ritrovata in anni passati un’area sepolcrale con caratteristiche
tali da farla riconoscere come necropoli musulmana. Recentemente in contrada Bagni sono state recuperate due
brocchette monoansate, del tipo a lungo collo cilindrico,
parete globulare e basso piede ad anello, ricoperte da invetriatura piombifera incolore, e decorate con bande verticali
verdi marginate in bruno ed alcune monete in oro (Caltanissetta Museo Archeologico) riferite al XII secolo per confronto con altri rinvenimenti siciliani (Catalogo Gela, 1990,
p. 35, n. 49; p. 138, nn. 250-252).
Sulla base di questi dati, ancora molto frammentari,
sembrerebbe che il centro abitato sorgesse vicino al castello spostato però ad ovest. Esso potrebbe aver compreso
nuclei aperti sparsi sul territorio costituiti da Musulmani,
Ebrei e Normanni.
Secondo gli autori locali il nucleo musulmano potrebbe avere avuto la propria moschea nell’area dell’attuale Piazza Medaglie d’Oro (ZAFFUTO ROVELLO 1991, p. 137).
D’altra parte le fonti segnalano sempre nel XII secolo,
specificando che si tratta di edifici extra moenia, la presenza di
edifici religiosi quali S. Giovanni, S. Leone e S. Salvatore.
S. Giovanni «quae sita est iuxta villam Calatanisset» è
documentata nel 1151; dipende dall’abbazia della SS. Trinità di Mileto (PIRRI II, pp. 1263-1264, Bolla Eugenio III).
La chiesa ospita una comunità religiosa ed è circondata probabilmente da un casale che lascerà il nome al quartiere per
lungo tempo. Verrà inglobata entro le mura nel XIV secolo
(ZAFFUTO ROVELLO 1991, p. 64). Anche S. Leone, ubicata
«iuxta Villam Calatanixetta», è attestata nel 1170-1176 e
come la chiesa di S. Giovanni paga un censo alla chiesa di
Agrigento (WHITE 1938, pp. 425-426). Poco più tardi nel
1199 presso S. Leone (in regione oppidi Calatanixectae) su
autorizzazione del vescovo di Agrigento, frate Gregorio
costruisce un hospitale per i poveri, in cambio tanto frate
Gregorio quanto ai suoi successori, ogni anno, nel sesto giorno dell’Assunzione di Maria, giungeranno alla cattedrale
di Agrigento per pagare una libbra di cera ed una di incenso
a titolo di censo (PIRRI, p. 1199; COLLURA 1960, p. 93; PULCI
1977, p. 258).
S. Salvatore infine è una chiesa rurale che paga le deci-
me all’inizio del XIV secolo (Rationes Decimarum: p. 105);
potrebbe essere sorta anche nel corso del XIII secolo, forse
nel sito dell’attuale Municipio (PULCI 1977, p. 247).
Questi dati inducono a supporre che il centro musulmano fosse rimasto compatto, integro e attivo quanto meno
nel XII secolo. Le chiese sarebbero sorte al di fuori dell’abitato musulmano e forse vicino a quello normanno o
potrebbero essersi distribuite tutt’intorno per controllare il
territorio. Sembrerebbe inoltre che sul finire del XII secolo
il percorso lungo il quale sorgeva S. Leone avesse acquistato importanza tanto che il vescovo di Agrigento vi favoriva
il sorgere di un hospitium per i pellegrini.
Non è ancora possibile localizzare con certezza la comunità ebraica che comunque si deve supporre esistente
sulla scorta della “iocularia iudeorum” (tassa sui riti giudaici)
inserita tra le gabelle vecchie in uso ancora nel 1225, ma da
riferire probabilmente già al secolo precedente. Un documento del XVI secolo segnala la presenza presso S. Giovanni del cortile della Muschita de li Iudei (ZAFFUTO ROVELLO 1991, pp. 234-235), si tratterebbe dunque di una sinagoga che sorgeva fuori dall’abitato in tal caso anche la
chiesa di S. Giovanni potrebbe essere sorta a controllo della comunità ebraica e per favorirne la cristianizzazione;
ancora nel 1492 sono attestate ben 15 famiglie di Ebrei che
versano 15 tarì (BRESC 1986, p. 641). Quanto al gruppo latino dei Normanni potrebbe essersi insediato come spesso è
accaduto nella storia al limite dell’abitato esistente e nei
pressi del castello.
In un centro piccolo ma tanto eterogeneo è probabile
che la latinizzazione degli abitanti avvenisse progressivamente quasi accerchiando il centro antico e comunque evitando di interferire con le forme di abitato esistenti. La forte presenza di un nucleo musulmano sarebbe rimasta il motore dell’economia locale, il che pare confermato dall’esistenza di produzioni ceramiche invetriate in verde e decorate con motivi solcati del tipo già noto in Sicilia dalle fornaci musulmane di Agrigento. Manufatti di queste fornaci
scartati nel corso della lavorazione furono riadoperati per
rivestire una cisterna destinata a raccogliere acqua piovana
nel castello di Pietrarossa (CUOMO DI CAPRIO FIORILLA 1995,
pp. 363-465). È stato ipotizzato che le ceramiche fossero
state prodotte in officine ubicate nei pressi del castello da
artigiani musulmani.
Il castello è stato a lungo ritenuto una fortezza musulmana successivamente occupata dai Normanni, secondo
recenti studi si tratterebbe invece di una costruzione fortificata del XII secolo (MAURICI 1992, p. 272). Dai rinvenimenti effettuati nel corso dei lavori di restauro, tuttora in
corso, se per un verso appare confermata una fase abitativa
di rilievo databile al XII secolo, per altri aspetti si potrebbe
ipotizzare anche una fase precedente di XI secolo dunque
ancora musulmana scarsamente documentata e accertabile
anche perché i pochi frammenti ceramici che potrebbero
testimoniarla provengono dal versante est del castello in
gran parte crollato ed intaccato dalla costruzione delle cappelle gentilizie del cimitero moderno. Si tratta di pochi frammenti ceramici raccolti negli anni ’60 dall’Associazione
Archeologica Nissena (Catalogo Gela 1990, pp. 76-77, nn.
8-17, 1,2); essi, pur non potendo essere considerati sicuramente rappresentativi di una realtà castrale, pongono una
serie di interrogativi. In particolare un solo frammento pare
riferibile all’inizio dell’XI secolo e potrebbe appartenere
ad un manufatto importato, si tratta di una scodella decorata in nero a boli gialli che potrebbe però far parte di ceramiche in uso anche in un periodo molto più tardi. Vi sono poi
alcune scodelle con orlo bifido, parete verticale carenata ed
ampio cavo su piede ad anello talora invetriate in giallo,
talaltra in verde che potrebbero essere datate anche alla seconda metà dell’XI secolo; invetriate verdi decorate a motivi cufici in bruno e invetriate incolori decorate in bruno e
verde con motivi di treccia o con trecce e spirali di un tipo
riferibile anche al XII secolo. Sulla base dei dati attualmen-
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te disponibili è difficile ipotizzare una fase di vita del castello che preceda il XII secolo e l’arrivo dei Normanni.
È invece chiara l’importanza acquisita dall’edificio nel
XII secolo quando vi sarebbe sorto un sacello dedicato a S.
Maria della Grazia che avrebbe ospitato anche la tomba della
Contessa Adelasia per lo meno fino al 1600 (PIRRI, I, p. 752).
Potrebbe essere considerato anche un castello sorto a difesa
dell’abitato in cui si erano insediati i Normanni.
Dall’esame delle gabelle vecchie, attestate nel 1225 e
assegnate ai canonici di Agrigento salvo la terziaria devoluta alla chiesa di Caltanissetta, ma risalenti certamente già
al periodo normanno risultano documentate le attività della
città. Sono tassate baiulationes (diritti pagati al baiulo),
bucheria (legnatico ?), tintoria, bardaria (basto dei muli),
venationes cuniculorum, herbagia, mandragia, combia terrae
sub acquis censualia gisie (sull’irrigazione dei campi),
iocularia iudeorum (sui riti giudaici) e celamide (tegole).
Se ne può dedurre l’immagine di un centro essenzialmente
agricolo con colture irrigue e non, circondato probabilmente da aree boschive dove si può esercitare il diritto di legnatico e di caccia, un centro ricco di pascoli riservati a bovini
ed ovini la cui lana è poi lavorata e tinta sul posto. In questo
centro sembra inserita fattivamente la comunità ebraica che
con buona probabilità esercita le attività artigianali connesse alla tintura delle stoffe e alla concia delle pelli.
Poco più tardi nel XIII secolo la città pare crescere ed
ampliare le proprie attività produttive, lo confermano le
gabelle nuove imposte da Federico II e note per il 1264;
esse documentano una tassazione dei fondaci, delle bilance, del sale e del ferro (COLLURA 1960, p. 179) segnalando
un’attività estrattiva ed una valorizzazione e commercializzazione delle risorse del sottosuolo; i proventi delle nuove gabelle vengono devoluti alla chiesa di Caltanissetta e
questo indica senza dubbio una maggiore attenzione alla
città da parte del Sovrano.
In concomitanza con la diffusione delle colture cerealicole Caltanissetta pare acquistare maggiore importanza. Non
è ancora chiaro se i musulmani costituiscano ancora una
comunità o siano stati assimilati ai Normanni. Si può invece ipotizzare un progressivo accrescersi della comunità latina e forse un maggiore interesse dello stato per la città,
elementi che potrebbero aver determinato il trasferimento
della parrocchia da S. Spirito a S. Maria degli Angeli presso il castello, nel 1225, ad opera di Federico II e l’assegnazione alla nuova parrocchia del beneficio delle terziarie delle
gabelle vecchie e della terza parte delle decime di frumento, orzo e formaggio (BARBERI 1963, cc. 111, 115); gli altri
due terzi venivano assegnati ad un canonico agrigentino. È
evidente che alla cappella di S. Maria della Grazia ubicata
presumibilmente all’interno del castello, si è aggiunta la
chiesa di S. Maria degli Angeli all’esterno; entrambi gli
edifici religiosi hanno un unica sacerdote parro di S. Maria
degli Angeli e cappellano regio. el 1238 S. Maria degli Angeli diviene parrocchia reale (ZAFFUTO ROVELLO 1991, pp.
Tav. I - Caltanissetta: gli insediamenti. 1. Castello di Pietrarossa; 2. insediamento normanno (?); 3. insediamento musulmano riorganizzato
nel XIII secolo (?); 4. Abbazia di S. Spirito; 5. casale di S. Spirito.
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Tav. II - Caltanissetta, gli edifici religiosi in area urbana ed extraurbana: 1. S. Spirito, secc. XI-XII; 2. S. Maria della Grazia, sec. XII;
3. S. Maria degli Angeli, sec. XIII; 4. S. Giovanni sec. XII; 5. S. Salvatore, sec. XIII; 6. Convento e chiesa dei Carmelitani, sec. XIV; 7.
S. Leo, sec. XII.
59-61); forse la popolazione del castello si è accresciuta
tanto da obbligare gli abitanti ad uscire dal castello stesso
per le diverse cerimonie religiose o forse si tratta solo di
una scelta politica realizzata allo scopo controllare meglio
la parrocchia o di saldare comunità che appaiono ancora
separate.
Del resto nel corso del XIII secolo sono attestati grandi
restauri e lavori al castello di Pietrarossa e un recente studio ipotizza una fondazione o quanto meno una risistemazione del quartiere Zingàri secondo schemi urbanistici già
sperimentati a Terranova (SCUTO 1994). È possible che si
richiedano nuovi spazi alla comunità latina e forse anche a
mercanti toscani e non.
La città è divenuta importante per il controllo delle produzioni cerealicole dell’interno, ospita Galvano Lancia, giustiziere del regno, intimo e familiare del re e più tardi non è
certo un caso che costituisca il rifugio di Nicolò Maletta
per l’ultima difesa contro gli Angioini e che, sotto Carlo
d’Angiò, possa essere stata infeudata a Fulcone de Puy
Richard, che aveva guidato le truppe francesi contro Maletta,
o che abbia avuto come castellano Raul de Grollay, un francese contro cui si solleverà il popolo nel 1282 (ZAFFUTO
ROVELLO 1991, p. 66).
Alla fine del secolo, alla colletta del 1282, risultano registrati 210 fuochi ossia circa 1200 famiglie (ZAFFUTO ROVELLO 1991, p. 89). La città sembra basare ancora la propria
economia sull’agricoltura e la pastorizia come conferma la
richiesta che Re Pietro d’Aragona fa all’Università di Caltanissetta di versare un contributo di duecento salme di grano, trecento salme di orzo, venti vacche, cento maiali, duecento castrati (De Rebus… pp. 13-15 doc. XV). È probabile
che ancora in questi anni Caltanissetta produca più orzo
che grano. Negli anni seguenti la situazione sembra cam-
biare con la grande esportazione il grano avrà il predominio sull’orzo perché è più richiesto sul mercato internazionale. Si registrerà così una crescita progressiva che coinvolgerà naturalmente la struttura urbanistica. Nel XIV secolo S. Giovanni si troverà all’interno della città, a S. Spirito e S. Leo esterni alla città si aggiungerà il convento dei
Carmelitani (ZAFFUTO ROVELLO 1991, p. 113).
Già da questi primi dati il caso di Caltanissetta appare
emblematico per lo studio dello sviluppo di molti centri interni della Sicilia e suggerisce una chiave di lettura nuova
per spiegare il loro sviluppo fra il XIII ed il XV secolo.
Pare essere una costante che abitati musulmani, divenuti
poi centri normanni abbiano acquistato importanza in concomitanza con lo sfruttamento cerealicolo del territorio, solo
per fare un esempio si potrebbe ricordare Enna forte centro
musulmano, isolato dai Normanni, ma rivitalizzato nel XIII
e nel XIV secolo.
A Caltanissetta, come in altri centri interni, ad un’economia di sussistenza, basata sulle colture irrigue e tipica
del periodo musulmano, forse anche a causa di lente mutazioni climatiche oltre che per ragioni di mercato, in età normanna si sarebbero sostituite via via colture cerealicole di
tipo estensivo destinate a contribuire all’alimentazione, al
mercato internazionale ed al sostegno dei combattenti delle
crociate. Più tardi nel XIII secolo già con il regno di Federico II, successivamente con gli Angioini e più tardi con gli
Aragonesi quando la città viene infeudata agli ultimi Lancia, l’attività agricola si sarebbe concentrata sulla produzione granaria e sull’allevamento del bestiame essendo destinata ai commerci su vasta scala. Grazie al grano ed al
bestiame probabilmente Caltanissetta si sviluppò progressivamente acquisendo importanza, venne a far parte dei
centri considerati importanti prova ne sia che Federico II
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prima e gli Aragonesi poi vi insediarono i Lancia, gli Angioini la assegnarono a loro fedeli, anche nel XIV secolo la
città rimase al centro degli scontri tra le fazioni latina e catalana. Come Enna con i prodotti del territorio circostante
poteva assicurare il vettovagliamento dell’esercito oltre che
garantire rendite non indifferenti in un periodo in cui le tasse sul grano erano appannaggio della Corona. Si può ipotizzare tuttavia che Caltanissetta risultasse avvantaggiata
rispetto ad altri centri interni per la relativa vicinanza al
caricatore di Agrigento da cui partiva il grano e questo potrebbe aver determinato l’ulteriore espansione del XIV e
del XV secolo.
Devo alla cortesia del personale della Soprintendenza ai
BB.CC.AA. l’aver potuto vedere i rinvenimenti dei saggi effettuati all’abbazia di S. Spirito e l’aver potuto studiare i rinvenimenti del Castello di Pietrarossa.
Sono grata al Soprintendente ai BB.CC.AA. di Caltanissetta
Arch. Salvatore Scuto per la sua disponibilità; ringrazio inoltre
gli Architetti Daniela Vullo, Ettore Di Mauro, Enrico Marchese e
Giuseppe Saggio della sezione PAU della stessa Soprintendenza
per aver discusso con me dei lavori ancora in corso e dei rinvenimenti effettuati ed aver messo a disposizione le planimetrie presentate.
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