30° Gruppo Navale: piccoli contributi, un unico

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30° Gruppo Navale: piccoli contributi, un unico
30° GRUPPO NAVALE
CELLULA PUBBLICA INFORMAZIONE
30° Gruppo Navale:
piccoli contributi, un unico grande cuore
Emos ha cinque anni. E’ timido, e osserva da lontano, incuriosito, quegli uomini in tuta blu che lavorano
alacremente nel cortile della sua scuola. Gli tendono una mano, lui sorride, fa qualche passo in avanti, poi
si butta tra le loro braccia. Siamo alla periferia di Maputo, alla Casa de Alegria, dove vivono circa
centoventi bambini, e più di cinquecento vanno a scuola ogni giorno. Gli uomini in blu sono i ragazzi di
nave Bergamini, una decina circa, che hanno volontariamente deciso di dedicare il loro tempo libero a chi
ne ha bisogno. Il centro, gestito dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, si trova in una delle zone più
povere della città. Qui il tasso di malati di HIV è elevatissimo. Molti dei bimbi che frequentano la scuola
sono sieropositivi, e contraggono di frequente tubercolosi e scabbia, anche per le scarse condizioni
igieniche in cui vivono.
Gli uomini della Marina Militare sono esperti di idraulica, di impianti elettrici, sanno mettere la propria
esperienza e manualità al servizio di chi vive, anzi sopravvive giorno dopo giorno. E cosi rimettendo a
nuovo l’impianto elettrico e idraulico, ridanno luce e acqua ai bimbi. Quello che noi diamo per scontato,
qui può fare la differenza tra una vita dignitosa, anche se povera, e una condizione sociale che può
ucciderti in breve tempo.
Sistemano condizionatori e ventilatori, installano un boiler per l’acqua calda, ricollegano la cisterna
dell’acqua e i tubi idraulici, riparano la pavimentazione esterna.
La Casa de Alegria, che funziona esclusivamente grazie a donazioni private, è anche un ricovero per
uomini e donne affette da Hiv e tubercolosi. Qui una volta al mese viene anche distribuito del cibo ai
bisognosi e alle famiglie povere della zona.
A settanta kilometri da Maputo c’è l’orfanotrofio Irmas Franciscanas Missionarias de Maria. Qui sono gli
uomini del Cavour a rinunciare a qualche ora libera a terra per ricostruire tre forni, riverniciare cancelli e
pareti, installare delle panche. E colorare la vita di chi è stato meno fortunato.
All’Infantario Primeiro de Maio, il terzo sito in cui la Marina Militare ha deciso di portare il proprio
contributo di solidarietà, la prima immagine che ci troviamo davanti è quella di un militare di Nave Etna
attorniato dai bambini. Gioca con loro e gli regala qualche caramella. Ci sono anche i ragazzi di Nave
Borsini. SI fermeranno a Maputo due mesi, e uno di loro ci dice: “eravamo praticamente tutti disponibili
a venire qui. Ci fermeremo un bel po’ di tempo, ci sembra il minimo dedicare il nostro tempo a questi
bambini”. “E la franchigia?” gli chiedo, “appena scendi a terra dopo giorni di lavoro e navigazione non
preferiresti andare a farti un giro per la città, rilassarti con gli amici?”. “Vediamo spesso in tv
documentari e servizi su queste realtà” mi risponde, “ma quando le tocchi con mano, e sai che con poco
puoi cambiare la quotidianità di una persona, è impossibile dire di no”.
L’Infantario Primeiro de Maio è un orfanotrofio atipico. I cinquantatrè bambini presenti sono stati
abbandonati o portati qui dalle famiglie perché malati, e la povertà estrema non consente cure. E spesso
queste malattie sono considerate una maledizione, come nel caso di John, epilettico. Quasi tutti sono
affetti da scabbia e hanno i pidocchi. L’Infantario si trova in centro città, ed è in condizioni certamente
migliori delle altre strutture in cui le squadre lavori son intervenute. Anche questo centro si regge sulle
donazioni private, e già un finanziamento del Governo Italiano aveva consentito (nel duemilasei) di
costruire l’ambulatorio medico e il refettorio.
Anche qui vengono sistemati ventilatori, lavatrici, alcuni dei lettini in ferro, zanzariere. Piccoli dettagli che
possono fare la differenza in un contesto dalle condizioni igieniche più che precarie.
Inoltre nei tre centri le squadre lavori sono state affiancate da un team sanitario, che ha dato la
disponibilità a effettuare visite mediche, e ha fornito i medicinali necessari e di cui le strutture erano
prive. Agli ufficiali medici di bordo e ai sottoufficiali infermieri sono stati affiancati gli ufficiali medici del
Corpo Militare e le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana. Anche in Mozambico le squadre
lavori dei volontari della Marina Militare hanno portato il loro contributo. Anche a Maputo hanno
lasciato sorrisi, e migliorato la vita di centinaia di bambini.
E infine, come era già accaduto a Mombasa, dove un’altalena era stata costruita a bordo di Nave Etna e
poi regalata a una scuola, due vecchie, rotte e arrugginite altalene sono state rimesse a nuovo. Perché, per
un bambino, il “diritto al gioco” è fondamentale. Quel bambino timido che avevamo incontrato a inizio
giornata sorride, con gli occhi bassi. Emos potrà giocare di nuovo sull’altalena. Ricorderà i sorrisi e l’aiuto
inaspettato, la mano tesa di quegli uomini in tuta blu. E, dondolandosi, potrà distrarsi e non pensare alle
difficoltà che la vita gli ha messo davanti".
Redatto dal Dott. Ernesto Clausi, Cellula PI, 30° Gruppo Navale