Omelia festadel Sacro Cuore 2016

Transcript

Omelia festadel Sacro Cuore 2016
Omelia nella festa del S. Cuore - 3 giugno 2016
Conclusione Anno Accademico 2015-2016
Facoltà Teologica della Sardegna di Cagliari
Oggi la Chiesa celebra la Solennità del S. Cuore di Gesù: manifestazione suprema
dell’amore sensibile, umano, di Gesù, che si donò al Padre e a noi; un Mistero stupendo
che, straordinariamente, collega la più alta teologia alla più diffusa pietà popolare, la più
ampia grandezza all'intimità più personale. Ciascuno di noi trova in quel Cuore la sintesi,
la personificazione, la sorgente della propria vita; trova il rifugio nell'incomprensione, la
saldezza nella prova. Ciascuno trova la misura dell'amore: l'Amore con il quale quel Cuore
«ha tanto amato il mondo»!
Nel Cuore squarciato di Cristo celebriamo in pieno il mistero insondabile e consolante
della tenerezza di Dio per ogni uomo… un amore che non conosce limiti!
“Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della Croce” (Moltmann).
Se vogliamo sapere che cos’è l’amore, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della croce.
Ed è lì… proprio lì che ci chiede di sostare questa Solennità del Sacro Cuore di Gesù.
Lì, contempliamo le dimensioni dell’amore di Cristo: “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e
la profondità” di questo amore pieno di misericordia.
Nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, celebriamo l’esaltazione dell’Amore, che è una –
e senza dubbio la più importante – delle quattro dimensioni fondamentali dell’uomo: la
conoscenza, la libertà, l’amore e la fede. Essa mostra che tutto è dovuto all’amore: dal
disegno originale di Dio alla creazione, alla redenzione, alla pienezza della comunione in
Dio. Tutto questo splende nel cuore di Gesù. È quanto abbiamo pregato nella prima parte
della orazione colletta: “O Padre, nel Cuore del tuo dilettissimo Figlio ci dai la gioia di
celebrare le grandi opere del suo amore per noi”.
Nella festa del Sacro Cuore di Gesù, si svolge la Giornata mondiale di preghiera per la
Santificazione dei Sacerdoti. Festa profondamente legata al sacerdozio: perché Cristo è il
Sommo sacerdote da cui nasce il nostro sacerdozio. Perché il mistero del Cuore di Gesù
si rivela nella croce, nella quale Cristo s´immola ed è “sacerdote, vittima e altare”.
Diceva Curato d’Ars, “il Sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù”.
La giornata è diventata un appuntamento annuale che ogni Chiesa particolare è chiamata
a celebrare, mostrando quella comunione e reciprocità nella preghiera, che deve
caratterizzare l’intero popolo di Dio, chiamato ad implorare dal Signore il dono di Pastori
Santi. Del resto il Sacerdozio ministeriale è al servizio di quello comune di tutti i battezzati,
che si attua, concretamente, nella risposta alla chiamata universale alla santità.
In un mondo in cui anche la figura del sacerdote sembra essere travolta da caos,
confusione, dubbi, tentazioni, ogni battezzato rinnova la sua fede nel Signore e la sua
fiducia nel tanto bene che i sacerdoti diffondono nel mondo ed è invitato alla preghiera per
l’identità, la santificazione e la missione dei Sacerdoti.
Già l’Anno Sacerdotale - che è stato un evento eccezionale voluto da Papa Benedetto XVI
- ha inteso sottolineare il profondo legame tra identità e Missione dei sacerdoti,
riconoscendo come, i due elementi, siano totalmente relativi l’uno all’altro: il Sacerdozio
ministeriale è per la missione e nella missione si definisce l’identità sacerdotale.
In questa nostra eucaristia siamo riconoscenti per il dono del sacerdozio, preghiamo per la
missione dei nostri presbiteri, preghiamo per chi si prepara e discerne questa vocazione
nella sua vita.
Ora facciamo splendere in questa giornata, con le sue proposte celebrative, la pagina
evangelica proclamata e acclamata.
Con questa pagina siamo introdotti nel mistero dell’amore e della misericordia, siamo
introdotti nel cuore di Cristo. La parabola evangelica della pecora persa, cercata, ritrovata
e portata a casa. Assieme alla parabola della moneta perduta e del padre misericordioso
costituisce la perla di tutta la rivelazione.
Questa parabola ci chiede di entrare in sintonia con l’opera del Cristo, di poter fissare lo
sguardo senza distrazioni sul suo operato.
Di fronte a Gesù buon Pastore non basta la devozione. La vera devozione sa uscire dal
sentimentalismo e passare alla comunione con Cristo che ci porta a fare ciò che faceva
lui. “Chi dice di dimorare in lui deve comportarsi come egli si è comportato” (1 Gv. 2, 6).
La devozione non si dirige a un pezzo del corpo di Cristo, ma all’amore che esso
simboleggia. E’ bene dunque ritornare al suo fondamento che è la rivelazione dell’amore
di Dio proclamato nella Scrittura e celebrato nella liturgia. L’amore di Dio per noi non è
merito nostro, come spiega il Deuteronomio, ma iniziativa di Dio: “Non perché siete più
numerosi di tutti gli altri popoli il Signore si è unito a voi e vi ha scelto; ché anzi voi siete il
più piccolo di tutti i popoli. Ma perché il Signore vi ama e per mantenere il giuramento fatto
ai vostri padri” (Dt 7,7-8).
Fermiamoci volentieri a contemplare il Mistero del Cuore di Cristo, trafitto perché amante:
che si offre, che esce fuori di Sé, che si supera;
che va oltre ogni offesa, ma anche oltre ogni tornaconto personale. Che va oltre ogni
sentimento: e quanto è importate capire questo;
è importante per i giovani, per gli sposi, per i consacrati, per i presbiteri, sì, amare è più
che sentire.
Senza il Mistero del Cuore di Gesù, il nostro Dio non sarebbe comprensibile. Anzi, senza il
Mistero del Cuore, noi non potremmo, nel senso più pregnante del termine, «conoscere»
Dio.
È il Suo Cuore che parla al nostro cuore.
Carissimi fratelli e sorelle, dimentichiamo, dunque, noi stessi ed entriamo in quel Cuore
che, nelle litanie, usiamo chiamare «fornace ardente di carità». Nella fornace lo capiamo
bene ci si brucia ma, allo stesso tempo, si risplende di luce, illuminando al mondo la via
che conduce a Dio.
Ecco, carissimi il Cuore di Cristo è il luogo dove questo amore del Padre per l’uomo pulsa
e si rende manifesto.
Il fianco è stato aperto: la porta è spalancata. Non restare fuori; entra nell’intelligenza
dell’amore del Padre che in Cristo è venuto a cercarti. Dal costato di Cristo si effondono
sangue ed acqua, “perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingessero con
gioia alla fonte perenne della salvezza”.
Mi permetto di attirare la vostra attenzione alla testimonianza di Charles de Faucauld,
fratel Carlo, alla cui esperienza spirituale mi sento particolarmente legato. Esperienza
spirituale proprio legata al Cuore, al cuore di Dio, di Gesù.
Il 3 aprile 1905, mentre è in pieno deserto, in marcia nella terra dei Tuareg, evoca «l’ultima
raccomandazione di Gesù», il «comandamento nuovo» di amarsi gli uni gli altri come Lui
ha amato noi, e dopo una lunga serie di citazioni evangeliche, annota:
«Il riassunto di tutta la religione è il mio Cuore (…) Il mio Cuore vi ricorda che Dio è
AMORE, e che come lui dovete ESSERE AMORE… Il mio Cuore vi ricorda che Dio è
AMORE e che voi sarete perfetti nella misura in cui gli assomiglierete, sarete uniti a lui,
trasformati in lui, sarete uno con lui, essendo come lui TUTTO AMORE».
Nelle pagine seguenti, fa parlare così Gesù: «…qualunque cosa tu faccia, non cessare di
contemplarmi; quando mi accompagni, non cessare di guardarmi; in qualsiasi atto tu mi
segua, i tuoi occhi non mi lascino: le due cose sono ugualmente necessarie, indispensabili
per la mia imitazione e il mio amore: fare in ogni momento ciò che io voglio da te e farlo
avendo costantemente gli occhi e il cuore fissi su di me…».
Amore di Dio e fraternità universale è il senso della sua vita.
Amare è infatti per lui ripetere o meglio continuare l’opera di salvezza del Dio di Gesù, è
farsi «salvatore con Gesù Salvatore».
Non a caso il suo motto, fin da quando viene ordinato prete nel 1901, diventa “JESUS
CARITAS”.
Del resto, insiste fratel Carlo, amare non vuol dire “sentire”. Da parte sua non sente né
vede, ma “vuole”, “desidera”.
Anche in questo rassicura più volte Massignon.
«L’amore consiste – gli scrive –, non a sentire che si ama ma a voler amare: quando si
vuole amare, si ama; quando si vuole amare al di sopra di tutto, si ama al di sopra di
tutto… Se capita di soccombere a una tentazione, è perché l’amore è troppo debole, non
che non esista: bisogna piangere, come San Pietro, pentirsi, come San Pietro, umiliarsi
come lui, ma anche come lui dire per tre volte “ti amo, ti amo, tu sai che, nonostante le mie
debolezze e i miei peccati, ti amo”… Quanto all’amore che GESÙ ha per noi, ce l’ha
provato abbastanza perché crediamo senza sentirlo: sentire che L’amiamo e che Lui ci
ama, sarebbe il cielo: il cielo non è, salvo rari momenti e rare eccezioni, per quaggiù…»
Ecco, io credo che la grande ferita di fratel Carlo sia anche la nostra, quella di ognuno e di
ognuna di noi: quella d’un desiderio di amare che non può raggiungere la sua pienezza.
Ma, felice piaga dell’amore ferito, perché può essere lo stimolo per andare più avanti !
+ Corrado Vescovo