l`elemento oggettivo
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LEZIONE: “L’ELEMENTO OGGETTIVO” PROF. GIUSEPPE SACCONE Igiene Generale ed Applicata Lezione I Indice 1 Le componenti dell’elemento oggettivo: la condotta ---------------------------------------------- 3 2 L’azione ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 5 3 L’omissione ------------------------------------------------------------------------------------------------ 7 4 I presupposti della condotta ---------------------------------------------------------------------------- 9 5 L’evento -------------------------------------------------------------------------------------------------- 11 6 Distinzione dei reati in base all’evento ------------------------------------------------------------- 13 6.1 6.2 6.3 6.4 7 Il rapporto di causalità -------------------------------------------------------------------------------- 15 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 8 Reati di pura condotta e reati di evento ------------------------------------------------------------ 13 Reati omissivi propri ed impropri ------------------------------------------------------------------ 13 Reati di danno e reati di pericolo ------------------------------------------------------------------- 13 Reati istantanei e reati permanenti ------------------------------------------------------------------ 14 La teoria della causalità naturale -------------------------------------------------------------------- 16 La teoria della causalità adeguata ------------------------------------------------------------------- 17 La teoria della causalità umana --------------------------------------------------------------------- 18 La sussunzione del rapporto causale sotto leggi scientifiche------------------------------------ 19 La teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento ------------------------------------------------- 21 Il nesso causale nel nostro codice -------------------------------------------------------------------- 23 8.1 Le concause -------------------------------------------------------------------------------------------- 23 8.2 Il caso fortuito e la forza maggiore ----------------------------------------------------------------- 24 9 La causalità nei reati omissivi ------------------------------------------------------------------------ 26 10 L’obbligo di impedire l’evento ----------------------------------------------------------------------- 28 11 La posizione di garanzia ------------------------------------------------------------------------------ 29 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 1 Le componenti dell’elemento oggettivo: la condotta Secondo il diritto penale moderno il reato consiste innanzitutto in un fatto umano, vale a dire in un fatto che deve avere il suo principio nel soggetto. Ma poiché da un punto di vista generale è fatto umano non solo quello che si estrinseca nel mondo esteriore ma anche quello che si esaurisce nella sfera della psiche (sentimenti, volizioni, stati soggettivi etc.) resta il problema se il diritto penale debba avere come suo oggetto solo comportamenti esterni o anche fatti meramente interni. In materia la dottrina penalistica ha elaborato due contrapposti principi: 1) il principio di soggettività, che tende a considerare reato anche momenti puramente psichici, quali la nuda cogitatio, gli atteggiamenti volontari puramente interni o i modi di essere della persona; 2) il principio di materialità, secondo il quale può essere reato solo il comportamento umano che materialmente si estrinseca nel mondo esteriore, ovvero suscettibile di percezione sensoria e quindi dotato di una sua oggettiva corporeità. È quest’ultimo principio ad essere stato accolto dalla nostra Costituzione che all’art. 25, comma secondo, fa riferimento al cd. <<fatto commesso>>. Tale espressione, intesa nella sua naturale accezione, porta ad escludere qualsiasi concezione del fatto di reato basata su atteggiamenti meramente psichici, ed a fondare invece il nostro diritto penale sul principio di materialità. Alla luce di tale principio il fatto di reato è costituito da un insieme di componenti che danno luogo al cd. elemento oggettivo (o materiale) del reato, distinto dall’elemento soggettivo (o psicologico). Dell’elemento oggettivo del reato fanno parte necessariamente la condotta e, ove richiesto, l’evento ed il rapporto di causalità tra la prima ed il secondo. Può consistere tanto in un’azione quanto in una omissione. Con il termine condotta si indica il comportamento umano che costituisce reato. Per essere rilevante la condotta deve essere conforme a quella descritta dalla norma incriminatrice di parte speciale, deve cioè essere tipica: ad es. per configurare il delitto di omicidio è necessario che sia stata posta in essere una condotta idonea a cagionarlo; che si sia verificato l’evento mortale; che quest’ultimo sia effettivamente stato causato dalla predetta condotta. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I Essa rappresenta, inoltre, un elemento necessario, anche se non sufficiente, affinché possa verificarsi una ipotesi di reato, non esistendo reato senza condotta. La dottrina penalistica, al fine soprattutto di delimitare a priori ciò che è penalmente irrilevante1, si è sempre sforzata di ricercare un concetto pregiuridico di condotta, giungendo ad elaborare varie teorie, tra le quali debbono segnalarsi: • la concezione naturalistica o causale, secondo la quale la condotta è un movimento corporeo cagionato dalla volontà. Tale teoria però se da un lato è capace di abbracciare le condotte del reato perfetto e del reato tentato e, in certa misura, anche le condotte colpose (in quanto il momento soggettivo rileva in sede di colpevolezza e non di condotta), dall’altro ha il difetto di non riuscire a comprendere la condotta omissiva, che sotto il profilo naturalistico non esiste; • la concezione finalistica dell’azione, secondo la quale la condotta è un’attività finalisticamente rivolta alla realizzazione dell’evento tipico. In altre parole secondo tale teoria l’uomo, sulla base della conoscenza delle leggi di causalità, è in grado di prevedere, entro una determinata estensione, i possibili effetti della sua azione, e conseguentemente <<pilotare>>, secondo scopi differenti, il proprio agire verso il risultato avuto di mira, in modo del tutto pianificato. 1 Altre finalità perseguite sono quella dogmatica applicativa, cioè quella di ritagliare nella serie ininterrotta di movimenti corporei del soggetto, la singola condotta nella sua unità ed individualità; quella classificatoria, cioè di accogliere comportamenti ontologicamente diversi, attivi ed omissivi, dolosi e colposi, senza essere però tanto omnicomprensivo da anticipare i connotati generali dell’intero reato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 2 L’azione Sotto il profilo materiale l’azione è <<il movimento del corpo idoneo ad offendere l’interesse protetto dalla norma o l’interesse statuale perseguito dal legislatore attraverso l’incriminazione>> (MANTOVANI). Per movimento del corpo deve intendersi non solo il movimento degli arti, ma anche la parola (es. ingiuria verbale), gli spostamenti del corpo, la mimica facciale, essendo tutti movimenti corporei tramite i quali si manifesta la volontà del soggetto. Ai fini del diritto interessa osservare che l’azione si presenta molte volte nella forma di un procedimento complesso, vale a dire, come una serie o molteplicità di movimenti del corpo. Ognuno di questi movimenti si dice “atto”: l’insieme degli atti costituisce l’azione. L’atto, quindi, non è che un frammento dell’azione nei casi in cui questa non si esaurisce in un solo movimento corporeo. La frequente complessità dell’azione fa sorgere la necessità di determinare quando si abbia una sola azione e quando una molteplicità di azioni, perché questa circostanza serve a stabilire se si è dinanzi ad uno o più reati. Affinché l’azione sia dotata di un carattere unitario è necessario che i tanti atti che la compongono abbiano un fine unico, siano cioè determinati da un solo scopo. Ma v’è di più. L’azione, per essere unica, deve essere dotata anche di una certa contestualità: i vari atti o complessi di atti devono susseguirsi immediatamente, senza notevole interruzione, formando un insieme distinto. Se invece tra essi trascorre un rilevante lasso di tempo, invece, non si avrà una sola azione bensì una molteplicità di azioni. Affinché l’azione sia punibile, è necessario che la stessa sia idonea ad offendere l’interesse che la norma incriminatrice protegge (reati di offesa) o che il legislatore attraverso essa intende perseguire (reati di scopo). Tale idoneità, che viene definita da MANTOVANI <<finalismo oggettivo>>2, rileva sotto un duplice profilo: 2 Per Mantovani, op. cit., pag. 164, mentre il finalismo soggettivo è proprio e soltanto del reato doloso, quello oggettivo caratterizza ogni tipo di condotta. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 31 Igiene Generale ed Applicata • Lezione I quello di individuare sul piano materiale <<l’unità minima>> della condotta nella pluralità di movimenti muscolari che sono di per sé insignificanti ed irrilevanti; quindi, un determinato movimento muscolare può integrare la condotta di azione solo qualora offenda il suddetto interesse, altrimenti risulta irrilevante penalmente; • quello di costituire una nota comune di tutte le condotte punibili, cioè dei reati consumati e tentati, dei reati di danno e di pericolo, dei reati di offesa e di scopo. Ciò posto, v’è da chiedersi se si è in presenza di una o più azioni quando l’agente pone in essere più atti ciascuno dei quali è già di per sé idoneo ad offendere il bene protetto (es. un soggetto arreca più ferite ad una persona). In tali casi, il problema della unicità o della pluralità dell’azione può risolversi tenendo conto di due requisiti: a) l’idoneità dei diversi atti ad offendere lo stesso interesse protetto; b) la loro contestualità. Pertanto, se vengono posti in essere più atti offensivi del medesimo interesse in un unico contesto, vi sarà una sola azione, e ciò in quanto, secondo il giudizio giuridico-sociale, non può dirsi interrotta un’azione ed iniziata una nuova, ma i vari atti che si susseguono formano un tutto unitario. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 3 L’omissione L’omissione nel pensiero penalistico si è imposta più tardi, subendo solo recentemente una progressiva considerazione3 che ha spinto la dogmatica penale ad una revisione dell’analisi del reato tradizionalmente fondata sul reato commissivo. Non pochi problemi ha creato in passato la conciliabilità dell’omissione, che naturalisticamente è un non facere, con il principio della causalità materiale. Alcuni autori in passato hanno tentato di delineare una fisicità dell’omissione, la quale consisterebbe nel diverso comportamento tenuto dal soggetto al posto di quello che avrebbe dovuto tenere. Tale tesi però si prestava a facili obiezioni in quanto si affermava che chi omette di agire non sempre compie un’altra azione, perché può essere rimasto totalmente inerte, continuando ad es. a dormire. Falliti tali tentativi, la dottrina oggi è concorde nel riconoscere alla omissione una essenza non <<fisica>> ma normativa consistendo essa nel non compiere l’azione possibile, che il soggetto ha il dovere di compiere. Ben vero, la vera essenza dell’omissione sta proprio nel non aver agito in un determinato modo, nel non aver compiuto una determinata azione. Altra cosa è, invece, l’aver tenuto una condotta diversa da quella che si attendeva: in questo caso si tratterebbe di un’azione vera e propria, che nulla ha a che fare con il concetto di omissione, che si fonda proprio sul fatto puramente negativo. L’omissione quale mancato compimento dell’azione che si attendeva da un uomo rileva, naturalmente, solo quando l’omissione contrasta con un precetto dell’ordinamento giuridico, ossia quando consiste nel non compimento di azioni prescritte dall’ordinamento. La dottrina distingue i reati omissivi in due categorie: • reati omissivi propri, che sono quelli per la cui sussistenza è necessaria e sufficiente la semplice condotta negativa del reo, non essendo richiesto anche un ulteriore effetto di tale condotta. Tali reati sono tutti tipizzati dal legislatore ed hanno quali elementi costitutivi oggettivi: 3 L’espansione dei reati omissivi, sottolinea MANTOVANI, op. cit., pag. 165, si è avuta con l’affermarsi dello Stato sociale di diritto o solidaristico «il quale addossandosi nuovi compiti in ampie sfere, ha imposto ai cittadini l’obbligo di determinate azioni per il raggiungimento di alcune finalità che esso assume come proprie. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 31 Igiene Generale ed Applicata • Lezione I i presupposti, vale a dire la situazione tipica da cui scaturisce l’obbligo di agire (es.: la condizione di pericolo del soggetto bisognoso di cure nell’art. 593 c.p.); • • la condotta omissiva; • il termine (esplicito o implicito) entro cui l’obbligo deve essere adempiuto; reati commissivi mediante omissione detti anche omissivi impropri, nei quali, ai fini della sussistenza del reato, il soggetto deve aver causato, con la propria omissione, un dato evento: tale è ad esempio il caso del cantoniere il quale, omettendo di manovrare uno scambio, causa un sinistro ferroviario. Nell’ambito dei reati omissivi impropri deve ancora distinguersi secondo tra reati espressamente previsti da norme di parte speciale (es.: mancato impedimento di strepiti animali ex art. 659); e quelli risultanti, invece, dalla combinazione della clausola generale dell’art. 40, comma secondo con la norma di parte speciale, configurante un reato commissivo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 4 I presupposti della condotta Con l’espressione <<presupposti della condotta>>, la dottrina dominante si riferisce a quegli elementi di fatto o di diritto che preesistono alla condotta e dai quali la condotta stessa deve prendere le mosse perché il reato sussista. A titolo esemplificativo, rientrano tra i presupposti della condotta: • lo stato di gravidanza nei reati d’aborto (L. 22-5-78, n. 194); • il precedente matrimonio nella bigamia (art. 556 c.p.); • la detenzione altrui nel furto (art. 624 c.p.); • il possesso della cosa da parte dello stesso agente nell’appropriazione indebita e nel peculato (artt. 646 e 314 c.p.). Tale categoria acquista una sua rilevanza pratica sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato in quanto i presupposti, essendo del tutto indipendenti dalla condotta dell’agente, possono essere da lui soltanto conosciuti ma non voluti. In base alla struttura e al tipo di condotta previsto dalla singola norma incriminatrice, i reati si distinguono in: • reati di azione ed omissione: sono reati di azione o commissivi quelli che possono essere commessi soltanto mediante un’azione (es. furto, rapina); sono reati di omissione quelli che possono essere compiuti soltanto a mezzo di una omissione (es. omissione di referto; omissione di atti d’ufficio). In base a questa distinzione non è possibile scindere tutti i reati in due categorie perfettamente separate, perché vi sono reati (ad es. l’omicidio) che possono compiersi sia con una azione che con una omissione; • reati a condotta mista: sono quei reati che richiedono per la loro realizzazione, cumulativamente, sia un’azione sia un’omissione. Ne sono esempi i reati d’insolvenza fraudolenta (art. 641) e il reato di dolosa inesecuzione di un provvedimento del giudice (art. 388); • reati a forma libera e reati a forma vincolata: la distinzione va fatta a seconda che la legge descriva più o meno precisamente, nella figura tipica, l’attività esecutiva richiesta per la commissione del reato. Per i primi la legge richiede che l’azione tipica si articoli attraverso determinate modalità (es.: nel furto l’impossessamento della cosa deve avvenire attraverso la <<sottrazione>>). Per i secondi è sufficiente che l’azione sia <<causale>> rispetto all’evento Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I tipico, cioè idonea a cagionarlo (es.: l’omicidio può essere commesso con qualsiasi azione e mezzo idoneo a causare la morte); • reati unisussistenti e plurisussistenti: reati che possono essere realizzati sia con uno sia con più atti. Questa distinzione è importante in tema di reato tentato. • i cd. reati senza azione: sono i cd. <<reati di posizione>>, anche detti reati di <<mero sospetto>>. La definizione è dovuta al fatto che nelle norme che li prevedono (es. 707), la formulazione della legge non descrive la condotta in sé stessa, ma il momento in cui il soggetto viene scoperto, riferendosi al momento della scoperta e dell’accertamento del reato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 5 L’evento L’evento può definirsi come <<il risultato dell’azione o dell’omissione>>. Esso rappresenta, difatti, il realizzarsi di uno stato di fatto, di una situazione in rapporto al principio di causalità: evento non è, perciò, propriamente ogni fatto, ma l’avvenimento che si presenta congiunto ad un altro fatto mediante un nesso causale. Gli effetti dell’azione umana, che il più delle volte sono assai numerosi, rilevano per il diritto quando il loro verificarsi è connesso a conseguenze di carattere penale. Sul significato di tale espressione e sul tipo di legame che deve intercorrere tra la condotta e l’evento si contendono il campo due opposte concezioni: • La concezione naturalistica dell’evento. Per tale concezione l’evento è l’effetto naturale della condotta umana penalmente rilevante, vale a dire una entità esteriore alla condotta, diversa e distinta da quest’ultima sia cronologicamente sia logicamente e ad essa legata da un nesso di causalità . Da tale concezione dell’evento discende che l’evento non è un elemento costante di tutti i reati, in quanto per la esistenza di alcune fattispecie la legge richiede la semplice condotta di un soggetto (cd. reati di mera condotta); esistono, infatti, reati che non producono alcuna modificazione esteriore come conseguenza della condotta, quali l’evasione (art. 385), l’omissione di soccorso (art. 593) e tutti i reati cd. di pura omissione. Vi sono reati ad evento plurimo, vale a dire reati che presentano una pluralità di eventi tipici, come ad es. la truffa (errore della vittima, atto di disposizione patrimoniale della medesima, danno altrui, profitto dell’agente o di altri); reati aggravati dall’evento, che subiscono un aumento di pena quando si verifica un evento più grave, come avviene ad esempio nel delitto di maltrattamenti (art. 572), aggravato dal fatto che si verifica la lesione o la morte; reati ad evento differito, vale a dire quei reati in cui l’evento (es.: morte nell’omicidio) segue a distanza di tempo la condotta; reati a distanza, vale a dire quei reati in cui l’evento si verifica in un luogo diverso da quello in cui si è svolta la condotta (es. lesioni provocate da un pacco esplosivo spedito da un’ altra città); reati ad evento frazionato, vale a dire quei reati in cui la verificazione dell’evento si fraziona nel tempo (es.: versamento di tangenti periodiche, estorte con un’unica minaccia iniziale). • La concezione GIURIDICA dell’evento. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I Secondo tale concezione l’evento è l’effetto offensivo della condotta, vale a dire la lesione o la messa in pericolo dell’interesse tutelato dalla norma, ad essa legata da un nesso di causalità. Ne discende che : • ogni reato consta di un evento, per cui non esistono reati senza evento come afferma la concezione naturalistica, in quanto tutti i reati ledono o mettono in pericolo un bene4; • il nesso causale viene concepito in termini di derivazione logica e non necessariamente di successione temporale, poiché l’offesa dell’interesse protetto, se in certi reati è distaccata anche cronologicamente dalla condotta, come nei reati ad evento naturalistico5, in altri è contestuale ad essa, come accade nei reati di mera condotta; • non esistono dei reati con doppio evento o reati aggravati dall’evento: mentre la concezione naturalistica considera tali tutti quei reati che presentano accanto all’evento base un secondo <<evento>>, il quale induce il legislatore a comminare una pena diversa, la concezione giuridica ritiene, invece, che debba parlarsi sempre di un solo evento in quanto l’ulteriore risultato (morte) non va considerato come evento in senso tecnico, ma più semplicemente come circostanza del reato. La disputa circa la concezione dell’evento trova il suo fondamento in varie norme del nostro codice, che sembrano offrire argomenti testuali non decisivi e capovolgibili a sostegno di entrambe le tesi. In realtà tale disputa non ha ragion d’esistere perché ad una lettura non preconcetta delle norme del codice ci si accorge che in realtà lo stesso legislatore usa il termine <<evento>> a volte nella sua accezione di <<accadimento esteriore>> ed a volte nella sua accezione di <<offesa>>. Più precisamente la parola <<evento>> è usata in senso naturalistico in tutte le norme in cui si pone il problema della causalità, ed in senso giuridico quando viene in considerazione ad altri fini come ad esempio per il dolo e la colpa. 4 MANTOVANI, op. cit., pag. 172, in posizione critica, rileva come tale concezione dimentica che vi sono reati senza offesa o di mero scopo e che quindi non hanno un evento giuridico. 5 Nella concezione giuridica dell’evento, l’evento naturalistico è pur sempre distinto dall’offesa, costituendone il sostrato di fatto: così nell’omicidio la morte è il sostrato di fatto, mentre l’offesa al bene della vita costituisce l’evento giuridico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 6 Distinzione dei reati in base all’evento 6.1 Reati di pura condotta e reati di evento A questo punto è possibile distinguere i reati, in relazione all’evento: • Reati di pura condotta (cd. reati formali): • secondo la concezione naturalistica, quei reati nei quali manca l’evento, essendo sufficiente per la loro realizzazione il compimento di una determinata condotta (esempio evasione); • secondo la concezione giuridica, quei reati nei quali vi è solo l’evento giuridico e non anche un evento inteso in senso naturalistico. • Reati di evento (cd. reati materiali): • secondo la concezione naturalistica, quei reati per la cui configurazione è richiesto, oltre all’azione o all’omissione, il verificarsi di un evento; • secondo la concezione giuridica, quei reati che presentano, oltre all’evento giuridico che non può mai mancare anche un evento materiale (o naturalistico). 6.2 Reati omissivi propri ed impropri Alla distinzione precedente si riallaccia quella tra: • reati omissivi propri e • reati omissivi impropri di cui si è già detto al precedente paragrafo, cui si rinvia. 6.3 Reati di danno e reati di pericolo La differenza va fatta a seconda che l’evento sia di danno o di pericolo, consista cioè in una lesione o nella semplice <<messa in pericolo>> del bene protetto dalla norma. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I Il diritto penale non prende in considerazione soltanto i risultati che effettivamente derivano dall’azione dell’uomo, ma anche quelli che possono derivarne. Com’è noto, la probabilità è una congettura che si fonda sull’esperienza dei casi simili, e poiché nel procedere dei fenomeni della natura esiste una uniformità costante, è possibile stabilire a priori la capacità di un fatto di causare un altro fatto. E’ da questa attitudine che si desume dell’id quod plerumque accidit, vale a dire dal corso ordinario dei fatti, consiste la probabilità. Il pericolo è, dunque, la probabilità, ovvero la probabilità di un evento temuto e, nel campo del diritto, la probabilità di un evento antigiuridico; tale caratteristica fonda la natura in elementi strettamente oggettivi e si ricollega a dati di esperienze indipendenti da fattori psichici come le emozioni o i timori di un soggetto determinato. Il reato di pericolo deve essere tenuto distinto dal cd. reato di esecuzione anticipata (reato di attentato), in cui basta il compimento di quel minimum richiesto dalla norma per aversi un delitto perfetto mentre potrebbe al massimo configurarsi un tentativo. Quanto al pericolo, generalmente si distingue tra: a) pericolo effettivo: se consiste nella probabilità che si verificherà un certo evento dannoso; b) pericolo eventuale: derivante da uno stato di fatto semplicemente pericoloso (esempio art. 431). 6.4 Reati istantanei e reati permanenti Per la teoria dominante sono istantanei quei reati in cui l’evento si, produce in un solo istante (es.: la morte nell’omicidio). Sono, invece, reati permanenti quelli in cui l’evento, e con esso la consumazione, perdura per un certo lasso di tempo (es.: sequestro di persona a scopo di estorsione). Affinché possa aversi reato permanente occorrono, secondo la dottrina dominante, due presupposti, e cioè: • che lo stato dannoso o pericoloso derivante dalla condotta del reo perduri per un certo lasso • che tale protrarsi sia dovuto alla volontà stessa del reo, il quale, quindi, può sempre, ed in qualsiasi momento farlo cessare. La permanenza del reato è rilevante per stabilire il tempo ed il luogo del commesso reato e, quindi, incide concretamente su istituti sostanziali (es.: successioni di leggi penali; prescrizione etc.) e processuali (es. competenza territoriale; flagranza del reato). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 7 Il rapporto di causalità La fattispecie obbiettiva del reato ricomprende tra i suoi elementi costitutivi il nesso di causalità che lega la condotta all’evento. L’imputazione di un evento lesivo richiede, infatti, come presupposto di partenza, che il reo abbia materialmente contribuito alla verificazione del risultato dannoso. In sostanza il nesso di causalità sussiste quando è possibile attribuire un determinato evento ad una determinata condotta. L’esigenza del nesso di causalità tra condotta ed evento è sancita dal legislatore in via generale nell’art. 40 c.p., <<per cui nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione>>. Tale esigenza è pure desumibile dalle singole norme incriminatrici, ove il nesso causale è variamente espresso dai verbi transitivi <<cagionare>>, determinare>>, <<procurare>>, <<produrre>> etc., ma trova la sua più solenne consacrazione nell’art. 27 Cost., il quale nel sancire che <<la responsabilità penale è personale>> ha negato 1’ ammissibilità di una responsabilità per fatto altrui, consentendo di configurare solo una responsabilità per fatto proprio, che postula in primo luogo il nesso di causalità fra condotta ed evento. Riconoscere questa imprescindibile esigenza non equivale però a risolvere il problema relativo alla determinazione concettuale e ai modi di accertamento del rapporto di causalità. In realtà il concetto di causalità non è univoco, ma varia in base al <<punto di vista>> di volta in volta prescelto dal soggetto d’indagine. Così ad esempio l’ottica in cui si pone lo scienziato è diversa da quella in cui si pone il giurista, poiché il primo indaga al fine di scoprire e formulare leggi scientifiche di causalità, il secondo al fine di emettere un giudizio di responsabilità. Altro problema posto dal nesso di causalità è costituito dal fatto che l’insieme dei fattori causali, concorrenti e necessari, non rientra sempre nella sfera di dominabilità umana, sicché occorre stabilire quand’ è che la condotta umana, pur concorrendo naturalisticamente all’evento, possa dirsi anche <<causa>> dello stesso sotto il profilo della responsabilità penale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 15 di 31 Igiene Generale ed Applicata 7.1 Lezione I La teoria della causalità naturale Per la teoria della causalità naturale la causa dell’evento è l’insieme delle condizioni necessarie e sufficienti a produrlo. Come tali ciascuna delle condizioni è condicio sine qua non dell’evento ed esse tutte ai fini della produzione dell’evento si equivalgono: affinché, dunque, la condotta umana possa essere considerata causa dell’evento, basta che costituisca una delle condizioni antecedenti che concorrono al realizzarsi dell’evento stesso. Per accertare l’esistenza di tale nesso causale è sufficiente il ricorso al procedimento di eliminazione mentale (o giudizio contrafattuale): se eliminando mentalmente la condotta presa in considerazione l’evento rimane, tale condotta non è causa dello stesso; se viceversa, eliminando mentalmente la condotta viene meno anche l’evento, questo è causato da quella. Tale teoria tuttavia pecca per eccesso, in quanto considerando equivalenti tutte le condizioni che concorrono alla produzione dell’evento, finisce per ritenere rilevanti anche gli antecedenti più remoti fino ad arrivare a conclusioni paradossali: così ad esempio, se è innegabile che causa della morte di Tizio è chi gli ha sparato, è però ugualmente innegabile, sul presupposto della equivalenza delle condizioni, che causa della stessa sarà anche chi ha fabbricato l’arma, chi l’ha venduta all’assassino e, addirittura, i genitori di quest’ultimo i quali, se non lo avessero messo al mondo, avrebbero appunto impedito il verificarsi della morte di Tizio. Per correggere tale eccessiva estensione della responsabilità penale, due sono i correttivi apportati dalla dottrina: • quello di prendere in considerazione solo gli antecedenti che rilevano in via immediata con l’evento di cui si discute; • quello di tenere conto del dolo e della colpa, come fattori che contribuiscono a circoscrivere l’ambito di rilevanza di tutti i possibili antecedenti del risultato lesivo. Così ad esempio se un rivenditore d’armi vende una pistola ad un soggetto insospettabile legittimato ad acquistarla, e l’arma viene usata per commettere un omicidio, nessun rimprovero, neppure di negligenza, potrebbe essergli mosso. Tale correttivo tuttavia ha il difetto di effettuare una contaminazione tra elemento oggettivo (nesso di causalità) ed elemento soggettivo (dolo e colpa), la quale oltre a non essere corretta, può rilevarsi del tutto inutile. Si pensi, infatti, alle ipotesi di responsabilità oggettiva nelle quali l’attribuzione all’agente di alcuni elementi della fattispecie avviene a prescindere dal dolo e dalla colpa e nelle quali, quindi, il correttivo proposto non può operare. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 16 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I Ma il vero limite della teoria condizionalistica consiste nella sua incapacità di spiegare tutti quei casi in cui non si conosca a priori se la condotta tenuta dall’agente possa considerarsi condizione idonea a produrre l’evento. Se infatti davanti ad un uomo ucciso con un colpo di arma da fuoco la teoria condizionalistica ha gioco facile poiché, con il ricorso al procedimento della eliminazione mentale accerta che causa di quella morte è la condotta consistita nell’esplodere il colpo, invece, davanti ad lavoratore di una fabbrica che utilizza l’amianto, morto di tumore alla pleura, la teoria condizionalistica può eliminare all’infinito il contatto tra uomo ed amianto, ma non arriverà mai a nessuna conclusione circa le cause della morte, se non sa già da prima che il contatto con l’amianto è, secondo la scienza medica, una delle causa più comuni di tumori alla pleura. Inoltre la teoria condizionalistica trascura l’eventuale ricorrenza di condizioni determinanti ma estranee alla condotta del soggetto, magari addirittura eccezionali, mostrando inevitabili inefficienze ai fini dell’esatta individuazione del fatto criminoso. Sulla scorta dei problemi posti dalla teoria condizionalistica, la dottrina penalistica ha elaborato altre due teorie causali: quella della causalità adeguata e quella della causalità umana. 7.2 La teoria della causalità adeguata La teoria della causalità adeguata è sorta per ovviare al rigorismo della causalità naturale, in particolare con riguardo ai delitti cd. aggravati dall’evento. Essa non rinnega quindi la teoria condizionalistica, ma tende solo a selezionare tra i molteplici antecedenti causali quelli veramente rilevanti in sede giuridico-penale. Questa esigenza di selezionare tra i vari antecedenti causali si avverte in maniera particolare con riferimento ai reati con decorso causale atipico, caratterizzati cioè da una successione degli eventi che fuoriesce dagli schemi di un’ordinaria prevedibilità. Ciò è tanto più vero appunto nel caso di delitti aggravati dall’evento, nei quali l’evento aggravante è addossato all’agente su base meramente oggettiva, prescindendo cioè dal dolo e dalla colpa. Così ad esempio nel caso del tossicodipendente, morto in seguito all’assunzione di una dose di eroina di per sé non mortale a causa di una preesistente alterazione organica, secondo la teoria condizionalistica dovrebbe applicarsi l’art. 586 (morte o lesione come conseguenza di un altro Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 17 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I delitto), in quanto in base al giudizio contrafattuale la morte è conseguenza del delitto di spaccio di stupefacenti (eliminando mentalmente la dazione della dose al tossicodipendente viene meno anche l’evento morte). Proprio per ovviare alla rigida applicazione della teoria condizionalistica, la teoria della causalità adeguata considera causa la condotta umana che, oltre ad essere condicio sine qua non, risulta altresì — secondo un giudizio ex ante, rapportato al momento della condotta stessa — adeguata, proporzionata all’evento: cioè idonea a determinare l’effetto sulla base dell’id quod plerumque accidit. Anche tale teoria però non si sottrae a critiche. In primo luogo si sottolinea l’indeterminatezza del riferimento alla <<comune esperienza>> (l’id quod plerumque accidit), che finisce per rendere tale teoria poco rigorosa ed esclusivamente empirica. In secondo luogo si rileva che attraverso la suddetta prevedibilità ex ante dell’evento, si opera una contaminazione tra la colpevolezza (elemento soggettivo) ed il rapporto di causalità (elemento oggettivo). Infine si sottolinea come tale teoria pecchi per difetto in quanto espelle dal campo della causalità giuridica tutti quegli eventi che, anche se in generale debbono ritenersi conseguenza non probabile, straordinaria di quel certo tipo di condotta, tuttavia rispetto alla specificità della situazione concreta e alla specifica scienza dell’agente, da lui sfruttate, possono essere preventivamente calcolati come del tutto probabili o pressoché certi. Così ad esempio non dovrebbe considerarsi causa della morte il chimico che propini la nuova sostanza mortale da lui scoperta e a lui soltanto nota o chi percuota l’emofiliaco o somministri zucchero al diabetico, in quanto tali condotte sarebbero astrattamente inidonee ad uccidere. 7.3 La teoria della causalità umana Tra gli opposti estremi della causalità naturale e della causalità adeguata s’inserisce la teoria della causalità umana formulata da ANTOLISEI. Per tale Autore la condotta umana è causa dell’evento quando ne costituisce condicio sine qua non e l’evento stesso non sia dovuto all’intervento di fattori eccezionali. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 18 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I Poiché esiste una sfera d’azione che l’uomo può dominare in virtù di suoi poteri conoscitivi e volitivi, solo i risultati che rientrano in tale sfera possono considerarsi causati dall’uomo, perché anche se questi non li ha voluti, era comunque in grado di impedirli. Di conseguenza non possono considerarsi opera dell’uomo, ma delle forze cieche della natura, i risultati che non sono dominabili dall’uomo in quanto hanno una probabilità minima di verificarsi. Quindi, a differenza della causalità adeguata, sfuggono al controllo umano non tutti gli effetti atipici, poiché anche quelli che nella generalità dei casi non si verificano possono essere, e spesso sono, calcolati in anticipo e, quindi preveduti, ma soltanto gli effetti che hanno una insignificante probabilità di verificarsi: i fatti eccezionali. Secondo l’Autore per l’esistenza del rapporto di causalità occorrono due elementi: uno positivo e l’altro negativo. L’elemento positivo è dato dal fatto che l’uomo, con la sua azione, abbia posto in essere una condizione dell’evento, e cioè un antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato; l’elemento negativo, invece, è dato dal fatto che il risultato stesso non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali, i quali possono sopravvenire alla condotta, ma anche essere concomitanti o preesistenti (es.: emofiliaco che muore in seguito a gravi lesioni). Anche la teoria della causalità umana, però, non va esente da critiche, accusata sia di presentare i limiti applicativi della teoria condizionalistica, relativamente alla indimostrabilità del nesso causale nel caso in cui non si conosca a priori l’idoneità della condizione a cagionare il fatto; sia di operare una contaminazione tra l’elemento soggettivo e quello oggettivo, in quanto il concetto di signoria o dominabilità del fatto attraverso i poteri conoscitivi o volitivi dell’uomo richiama i criteri di imputazione, che più propriamente coinvolgono il problema della colpevolezza. 7.4 La sussunzione del rapporto causale sotto leggi scientifiche Come già accennato, il limite principale della teoria condizionalistica consiste nella sua incapacità di spiegare il perché del verificarsi di un determinato evento in tutti quei casi in cui non si sappia, a priori, se la condotta posta in essere appartenga o meno al novero delle condizioni idonee a produrlo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 19 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I Il problema del nesso di causalità è in realtà un problema di conoscenza dell’uomo sulla idoneità dei propri comportamenti a mettere in moto o dominare determinati processi eziologici, o meglio un problema di conoscenza di quelle che sono le leggi generali di copertura. Il criterio della certezza restringerebbe il campo della causalità giuridica in quanto per la scienza nulla è assolutamente certo, mentre il criterio della possibilità lo allargherebbe in quanto tutto è minimamente possibile. Il criterio probabilistico, pertanto, è quello da accogliere, precisandosi che per probabilità non deve intendersi la probabilità assoluta (maggiori possibilità positive che negative), bensì quella relativa, e ciò a causa, soprattutto, della mancanza troppo spesso di tavole statistiche in ordine al succedersi dei fenomeni. Sulla base di tali premesse sono quindi utilizzabili non solo le leggi universali (di certezza) ma anche quelle statistiche. Le prime sono quelle in grado di affermare che la verificazione di un evento è invariabilmente accompagnata dalla verificazione di un altro evento: questo tipo di leggi, proprio in quanto asseriscono un rapporto di regolarità tra fenomeni non smentito da eccezioni, soddisfano al massimo livello le esigenze di rigore scientifico e di certezza (es. legge di gravità). Le seconde, invece esprimono successioni di fenomeni soltanto in una certa percentuale per il subentrare di fattori indeterministici, ma che pur sempre consentono di sussumere un evento sotto la causalità, se esso risulta percentualizzato in un rilevante grado di possibilità. In definitiva secondo la causalità scientifica, l’azione è causa dell’evento, quando secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, l’evento è conseguenza certa o altamente probabile dell’azione, in quanto senza di essa l’evento non si sarebbe, con certezza o con alto grado di probabilità, verificato. Tali conclusioni sono state ribadite anche in tema di accertamento del nesso causale in caso di responsabilità per colpa dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 21-5-2003, n. 22341). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 20 di 31 Igiene Generale ed Applicata 7.5 Lezione I La teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento La recente teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento nasce dall’esigenza di evitare le inaccettabili conseguenze di una meccanica applicazione della formula della condicio sine qua non, in specie con riguardo ai casi di decorso causale atipico. Tale teoria si fonda sul rilevo che non sempre alla sussistenza di un nesso condizionalistico si accompagna la capacità umana di governare e controllare il decorso eziologico. Così nell’esempio di scuola del nipote che induce lo zio a compiere íl viaggio in aereo che ne determina il decesso si tratta di verificare non se l’agente abbia causato l’evento, quanto piuttosto di stabilire se questo gli possa essere obiettivamente imputato come suo fatto proprio, o se invece non debba considerarsi come conseguenza di una coincidenza del tutto casuale. È evidente quindi come la teoria in esame muova da preoccupazioni identiche a quelle che hanno ispirato la teoria della causalità adeguata, costituendone uno sviluppo aggiornato e ripresentandone con altra formulazione gli assunti di fondo. Di qui lo sforzo di individuare dei criteri di attribuzione giuridica non strettamente causale atti a giustificare nei casi nevralgici l’imputazione oggettiva dell’evento lesivo. Tali criteri sono fondamentalmente due: • quello dell’aumento del rischio, secondo il quale l’imputazione obiettiva dell’evento presuppone, oltre al nesso condizionalistico, che l’azione in questione abbia di fatto aumentato la probabilità di verificazione dell’evento dannoso. ; • quello dello scopo della norma secondo il quale l’imputazione viene meno tutte le volte in cui l’evento che si verifica, pur essendo riconducibile alla condotta dell’autore, non costituisce concretizzazione dello specifico rischio che la norma di volta in volta violata mira a prevenire. Secondo FIANDACA e MUSCO alla teoria obiettiva dell’evento vanno mosse ulteriori obiezioni. La prima fa riferimento al fatto che tale teoria è stata elaborata in un ordinamento come quello tedesco che è privo di una disciplina della causalità, a differenza del nostro ordinamento che non solo contiene una regolamentazione del rapporto di causalità, ma la stessa è in contrasto con la teoria in esame. La seconda obiezione deriva dal fatto che applicando il criterio dell’aumento del rischio si trasformano tutti gli illeciti di danno in illecito di pericolo, con la conseguenza di ribaltare il principio <<in dubio pro reo>> nel suo esatto contrario. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 21 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I In definitiva, la teoria in esame, seppure suggestiva, non si è ancora tradotta in formulazioni così rigorose e convincenti tali da attribuirle un ruolo indiscusso tra i criteri di accertamento della causalità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 22 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 8 Il nesso causale nel nostro codice 8.1 Le concause Il codice penale contiene la disciplina del nesso di causalità negli articoli 40 e 41. Mentre l’art. 40 afferma nel comma primo la necessità del nesso causale tra condotta ed evento, l’art. 41 invece sembra più specifico nell’indicare all’interprete le condizioni in presenza delle quali è possibile affermare l’esistenza di Pale nesso, anche se comunque non offre una soluzione univoca. Disciplinando la dibattuta materia delle concause l’art. 41 al comma primo dispone: <<Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione e l’omissione e l’evento>>. Tale norma non pone particolari problemi in quanto essa almeno se presa singolarmente sembra accogliere la teoria della condicio sine qua non. Nessuna difficoltà pone poi la norma del terzo comma la quale nel disporre che ha la sola funzione di chiarire che il concorso di fatti illeciti altrui soggiace alle regole causali generali, fissate dai precedenti commi. Più problemi invece pone la norma di cui al comma secondo, la quale dispone: <<Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce di per sé reato, si applica la pena per questo stabilita>>. Secondo una parte della dottrina tale norma ribadisce il principio della equivalenza adottato nel primo comma, in quanto si riferirebbe ai casi in cui sopravvenga dopo la condotta una serie causale autonoma, che ha prodotto l’evento in maniera del tutto indipendente per cui l’evento si sarebbe verificato anche senza la condotta dell’agente6 . 6 A fornire una chiave interpretativa del concetto di cui si tratta ha provveduto la Cassazione, sostenendo che il concetto di causalità sopravvenuta, da sola sufficiente ad escludere il rapporto causale a nonna dell’art. 41, comma secondo, cod. pen., anche se non postula necessariamente la completa autonomia del fattore causale prossimo rispetto a quello più remoto, esige comunque che il primo non sia strettamente dipendente dall’altro e che si ponga aldilà di ogni prevedibile linea di sviluppo dello stesso. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 23 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I Esempio di serie causale autonoma sopravvenuta può ravvisarsi nell’ipotesi in cui una persona venga avvelenata, ma poi resta uccisa da un fulmine o dal crollo del soffitto, prima che il veleno abbia agito, mentre è a letto per il consueto riposo. Tale interpretazione non si sottrae a critiche, in quanto in primo luogo riduce l’art. 41 comma secondo ad un inutile duplicato dell’art. 40, ed in secondo luogo fa riferimento senza alcuna ragione alle sole serie causali sopravvenute e non anche a quelle antecedenti o a quelle simultanee. Secondo altra parte della dottrina la disposizione in esame introdurrebbe una limitazione al principio della conditio sine qua non, facendo riferimento ad un fattore che opera non indipendentemente, ma congiuntamente, alla precedente condotta del soggetto. Il secondo comma dell’articolo 41 farebbe quindi riferimento alla serie causale apparentemente indipendente che sussiste quando all’azione dell’agente sopravvenga un avvenimento o altra azione che, pur non essendo dalla prima determinata, trovi nella stessa un precedente senza del quale l’evento non si sarebbe verificato. Esempio di serie causale apparentemente indipendente si ha nell’ipotesi (di scuola) della morte per capovolgimento dell’ambulanza, nella quale il ferito di un’aggressione è trasportato. L’interpretazione più corretta sembrerebbe invece quella per cui il nesso di causalità è escluso quando l’evento è dovuto al sopravvenire di un fattore eccezionale. Per fattore eccezionale secondo deve intendersi quel fattore causale che ha reso possibile il verificarsi dell’evento, il quale secondo la migliore scienza ed esperienza non è conseguenza neppure probabile di quel tipo di condotta. 8.2 Il caso fortuito e la forza maggiore Secondo la giurisprudenza ed una parte della dottrina il caso fortuito e la forza maggiore presuppongono il nesso causale tra la condotta e l’evento e di conseguenza debbono essere studiati nell’ambito della colpevolezza o, anche della stessa condotta, quali cause di esclusione della colpevolezza o della suitas. Tanto si desumerebbe dalla lettura dell’art. 45 che nel disporre che <<non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore>>, con l’espressione commettere presupporrebbe già l’esistenza di un nesso causale, sicché il caso fortuito e la forza maggiore farebbero riferimento a quelle ipotesi in cui l’evento non era prevedibile (soggettivamente) Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 24 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I dall’agente secondo le conoscenze da lui possedute o che avrebbe dovuto possedere in base alla sua posizione o professione. La dottrina più recente sostiene, invece, che il caso fortuito e la forza maggiore costituiscono fattori di esclusione della causalità. Ciò si ricaverebbe sempre dalla lettura dell’art. 45, il quale nel far seguire alla parola <<commettere>> la preposizione <<per>>, che deve essere intesa nel significato di <<a causa di>>, farebbe rientrare il caso fortuito e la forza maggiore tra le concause dell’evento, degradando la condotta a mera condicio sine qua non. In particolare il caso fortuito abbraccia tutti quei fattori causali non solo sopravvenuti ma anche preesistenti e concomitanti, che hanno reso eccezionalmente possibile il verificarsi di un evento che si presenta come conseguenza del tutto inverosimile secondo la migliore scienza ed esperienza. La forza maggiore, invece, si identifica con tutte quelle forze naturali esterne al soggetto che lo determinano in modo inevitabile ad un determinato atto (es.: imbianchino che, spinto da una tromba d’aria, precipita al suolo dall’impalcatura su cui stava lavorando e uccide un passante). Caso fortuito e forza maggiore pertanto escludono il rapporto di causalità tra condotta ed evento e, mediatamente e a fortiori, anche la colpevolezza, in quanto l’agente non poteva prevedere come verosimile ciò che non era tale secondo la migliore scienza ed esperienza. In definitiva dal combinato disposto degli artt. 41 e 45 discende che: • l’art. 41 comma primo disciplina il concorso di fattori causali, preesistenti, concomitanti e sopravvenuti che non escludono il rapporto di causalità, in quanto, secondo la migliore scienza ed esperienza, l’evento verificatosi deve considerarsi conseguenza certa o altamente probabile della condotta; • gli artt. 41 comma secondo e 45 disciplinano invece il concorso di fattori causali, preesistenti, concomitanti che escludono il rapporto di causalità, in quanto hanno reso possibile un evento che non può essere considerato conseguenza certa od altamente probabile alla condotta secondo la migliore scienza ed esperienza. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 25 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 9 La causalità nei reati omissivi Il problema della causalità dell’omissione si pone ovviamente solo per i reati omissivi impropri in quanto essi, a differenza di quelli propri, sono caratterizzati dalla necessaria presenza di un evento in senso naturalistico. Unanimemente la dottrina moderna nega che la condotta omissiva possa avere efficacia causale poiché naturalisticamente consiste in un non lacere che non può produrre nulla, sicché l’evento verificatosi è riconducibile a fattori diversi da quelli umani. Così ad esempio della morte del malato da un punto di vista naturalistico è causa il processo patologico in atto, non l’omessa cura del medico. Con riferimento all’omissione si può parlare quindi solo di una causalità normativa, in quanto è la legge che interviene attraverso l’art. 40. Tra la causalità dell’azione e quella dell’omissione può tracciarsi la seguente differenza: • la prima è basata su un giudizio di realtà, su un evento che si è verificato perché il soggetto ha agito; • la seconda è basata su un giudizio ipotetico, su un evento che non si sarebbe verificato se l’azione impeditiva fosse stata tenuta, sicché viene definita anche causalità ipotetica. Sulla base di tali premesse l’omissione dell’azione impeditiva può essere equiparata alla causa umana dell’evento quando secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico l’evento sia conseguenza certa o altamente probabile di detta omissione, in quanto l’azione suddetta l’avrebbe, con certezza o alto grado di probabilità, impedito. L’unico punto che in tema di missione esige un particolare chiarimento riguarda il processo logico per accertare l’esistenza del rapporto conseguenziale fra la condotta omissiva ed il risultato. In proposito si deve tener presente che al concetto dell’omissione è indissolubilmente legato quello dell’azione che si attendeva dal soggetto, perché omettere non significa far nulla, ma non compiere quell’azione. Ne consegue che per accertare il nesso dobbiamo domandarci: avrebbe o no l’azione attesa impedito l’evento? Qualora a tale domanda si risponda affermativamente, sussiste il rapporto il quale, al contrario, deve escludersi se, malgrado il compimento dell’azione attesa, il risultato si sarebbe verificata allo stesso modo. Significativa, sul tema, è una pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione (11-9-2002, n. 30328), le quali, con riferimento al reato colposo omissivo improprio, ebbero a sostenere che il Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 26 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Più di recente, la medesima Corte ha riconosciuto una sostanziale affinità, sul piano dell’accertamento del nesso causale, fra reato commissivo ed omissivo, sostenendo che nelle due tipologie di reato sarebbero applicabili identici criteri di verifica, visto che, nella condotta omissiva, nel violare le regole cautelari, il soggetto non sempre è assolutamente inerte, ma non infrequentemente pone in essere un comportamento diverso da quello dovuto, cioè da quello che sarebbe stato doveroso secondo le regole della comune prudenza, perizia, attenzione. Ciò detto, si è ribadito che l’unico vero distinguo fra le regole di accertamento della causalità commissiva e di quella omissiva si individua nel fatto che, nella prima, si ricorre ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico (dandosi per verificato il comportamento invece omesso), anziché fondato sui dati della realtà (così Cass. 27-1-2006, n. 3380). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 27 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I 10 L’obbligo di impedire l’evento L’art. 40 del nostro codice, dopo aver sancito la necessità di un legame di dipendenza tra la condotta, positiva o negativa, e l’evento, aggiunge: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Per effetto di questa disposizione, colui che determina un risultato mediante un’omissione non ne risponde sempre: ne risponde quando sia venuto meno ad un obbligo giuridico. La causalità, dunque, non basta: occorre in più l’esistenza, per il soggetto, dell’obbligo di compiere una data azione, e precisamente quella azione che avrebbe impedito il verificarsi dell’evento7. Tale obbligo deve essere giuridico, cioè imposto dal diritto, sicché la semplice violazione di un dovere morale non è sufficiente. L’obbligo giuridico che deve essere violato perché sorga la responsabilità penale può essere generale, cioè valevole per tutti i cittadini, professionale o d’ufficio, cioè valevole solo per una classe o categoria di persone, oppure speciale, cioè valevole per una dato individuo. Non è necessario che sia espresso, potendo anche essere tacito. Per equiparare il non impedire al cagionare, nel nostro ordinamento, non è sufficiente la materiale possibilità di impedire l’evento, in quanto l’esigere l’intervento impeditivo da parte di ogni soggetto in grado di farlo comporterebbe gravi interferenze nella sfera delle libertà individuali e comprometterebbe l’”eccezionalità” del reato omissivo improprio. Si richiede quindi come ulteriore requisito quello dell’obbligo di impedire l’evento anche se sussistono profonde divergenze sulla natura, le fonti e la portata di esso. Una possibile questione attinente il tema sinora trattato implica la possibilità che l’obbligo venga meno quando il compiere l’azione prescritta esporrebbe il soggetto ad un pericolo personale. In tal caso il pericolo, a cui l’obbligato vada incontro, può far cessare l’obbligo di attivarsi solo quando ricorrano gli estremi dello stato di necessità previsto nell’art. 54 c.p. 7 Antolisei, L’obbligo di impedire l’evento, in Riv. 1936. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. 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L’obbligo di garanzia può, quindi, essere definito come l’obbligo giuridico del soggetto, fornito dei necessari poteri, d’impedire l’evento offensivo di beni, affidati alla sua tutela. Gli obblighi di garanzia sono classificabili in: a) obblighi di protezione, che hanno lo scopo di difendere indeterminati beni da ogni fonte di pericolo che ne minacci l’integrità; b) obblighi di controllo, che hanno lo scopo di neutralizzare determinate fonti di pericolo per proteggere tutti i beni ad esse esposti, non potendo i soggetti minacciati autoproteggersi senza una ingerenza nelle sfera altrui (ad es. l’obbligo del proprietario dell’edificio pericolante di evitare eventi dannosi per qualsiasi soggetto). Gli obblighi di garanzia siano essi di controllo o di protezione possono altresì distinguersi in originari e derivati. I primi nascono in capo a determinati soggetti, in considerazione dello specifico molo o della speciale posizione di volta in volta rivestita (si pensi agli obblighi gravanti sul proprietario di un edificio pericolante); i secondi invece trapassano dal titolare originario ad un soggetto diverso per lo più mediante un atto di trasferimento negoziale (si pensi ancora alla baby sitter che s’impegna a sorvegliare i bambini in assenza dei genitori). Il trasferimento della posizione di garanzia può avvenire anche attraverso assunzione volontaria che si ha nell’ipotesi in cui un soggetto svolga spontaneamente compiti di tutela di certi beni al di fuori di alcun preesistente obbligo giuridico, stante l’incapacità dei titolari di provvedervi e sempre che l’assunzione di garanzia determini o accentui l’esposizione a pericolo del bene: ad es. perché tale intervento o induce ad affrontare un pericolo che altrimenti non si sarebbe corso (è il caso già citato dell’alpinista che, grazie alla spontanea presenza di una guida, decide di avventurarsi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 29 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I in una difficile scalata), ovvero impedisce l’attivarsi di <<istanze di protezione alternative>> (es.: bagnante che non prende il salvagente confidando nel bagnino, offertosi per soccorrerlo in caso di bisogno). Sulla base di tali premesse, possono esaminarsi le singole posizioni di garanzia gli obblighi di protezione sorgono da: 1 obblighi previsti dal diritto di famiglia: • dei genitori tenuti a tutelare la vita, l’incolumità, il patrimonio dei figli minori contro eventi naturali o altrui aggressioni (art. 30 Cost., 147 c.c.) nonché del tutore (artt. 357, 424 c.c.); • Il rapporto di protezione genitori-figli minori, proprio perché trova il suo fondamento nell’incapacità naturale dei secondi a difendersi dalle situazioni di pericolo, non sussiste in modo reciproco. Tuttavia può accadere in casi eccezionali che anche il figlio possa assumere il ruolo di garante della vita dei genitori, come nell’ipotesi in cui una malattia privi il genitore della capacità di provvedere a se stesso ed il figlio avendone i mezzi si faccia spontaneamente carico dell’assistenza; • dai coniugi, non legalmente separati, per la tutela reciproca della vita e incolumità personale (art. 143 c.c.); 2 obblighi previsti da leggi speciali in ragione del molo sociale svolto dal soggetto: • dei dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria tenuti a proteggere la vita e l’incolumità dei detenuti negli istituti di pena (artt. 1 e 11 legge n. 354/75); 3 gli obblighi di controllo da una determinata fonte di pericolo sorgono in capo a: • proprietari di edifici, costruzioni, animali, autoveicoli pericolosi, tenuti ad adottare le misure impeditive di eventi dannosi alle persone o cose (art. 2054 c.c.); • esercenti di attività pericolose, i quali sono tenuti all’adozione delle idonee misure di salvaguardia (art. 451 c.p. e legislazione antinfortunistica); • i titolari di poteri di educazione, istruzione, cura, custodia (genitori, tutori, insegnanti, infermieri) che hanno l’obbligo d’impedire che i figli minori, pupilli, scolari, alienati di mente, sottoposti alla loro vigilanza compiano fatti dannosi (artt. 30 Cost., 147, 357, 424, 2058 etc.); • gli amministratori e sindaci di società i quali avendo un potere giuridico (GRASSO) hanno l’obbligo d’impedire la commissione di reati da parte di altri soggetti (artt. 2392 e 2403); • gli appartenenti alla Polizia giudiziaria, alla forza pubblica e alle forze armate. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 30 di 31 Igiene Generale ed Applicata Lezione I Nell’ipotesi in cui i titolari della posizione di garanzia od obbligo di impedire l’evento, siano più di uno, ciascuno è, per intero, destinatario di quell’obbligo, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per 1’ altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente e adeguatamente intervenuto8. In giurisprudenza si è, altresì precisato che non è giuridicamente possibile il trasferimento dall’uno all’altro di detti soggetti, mediante accordo interno fra di loro, della suindicata posizione e della connessa responsabilità. 8 Sul tema, la Cassazione ha precisato che quando l’obbligo di impedire l’evento ricade su più persone che debbano intervenire in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario dell’obbligo di impedire l’evento, configurandosi in tale ipotesi un concorso di cause ai sensi dell’art. 41 comma 1 c.p. (Cass. 13.2.2003, n.7026). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 31 di 31