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inchiostro anno sesto numero 5 dicembre 2006 Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università degli Studî Suor Orsola Benincasa Mercato e sviluppo Spedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli Descrivere lo stato complessivo dell’economia campana in questo momento storico non è stato un compito facile. Tante sono le variabili all’interno del sistema. Il lavoro degli allievi del Master in giornalismo di Napoli mette innanzitutto in evidenza, in questo numero, la necessità che la classe dirigente campana metta all’ordine del giorno i temi della competitività e della crescita. La regione rischia infatti di rimanere drammaticamente indietro sotto questo aspetto, malgrado le enormi potenzialità che pure ci sono. Ciò che emerge dalla nostra piccola inchiesta è effettivamente la qualità potenziale di un sistema economico oggi assediato da competitori all’interno del mercato globale, un sistema che deve dunque saper valorizzare accuratamente le sue eccellenze, e non trascurarle come spesso accade. Come si vedrà nelle prossime pagine, sono molti i settori nei quali l’economia campana eccelle: l’agroalimentare, la moda (soprattutto quella maschile), l’industria orafa, la cantieristica navale. Il porto di Napoli si sta proponendo come arma vincente per un nuovo modello di sviluppo nei traffici internazionali. E abbiamo riscontrato come la Campania sia competitiva a livello nazionale anche per quanto riguarda gli investimenti nella ricerca: costituiscono il 2,5% del prodotto interno lordo regionale. Si tratta di una ricerca scientifica a volte ben organizzata, come dimostra il felice esperimento dei centri di competenza. Quando parliamo invece dei problemi, parliamo soprattutto delle aziende. Ce ne sono molte che, pur avendo le qualità per diventare davvero competitive, si accontentano di sopravvivere. Come si può leggere in queste pagine, la burocrazia diventa troppo spesso un ostacolo alla libertà e allo sviluppo dell’impresa. Un esempio? Le trafile che occorrono per aprire e per gestire una società, e qui parliamo anche della più piccola attività artigiana a conduzione familiare. Si è voluto allora esplorare la proposta di legge del radicale Daniele Capezzone, sulla possibilità di aprire un’attività imprenditoriale in sette giorni: se non naufragasse, “consentirebbe di ottenere una concessione edilizia senza attendere fino a ventisette mesi”. Ciò che emerge ancora è il peso dell’aliquota Irpef sulle imprese, allo scopo di sanare il disavanzo gestionale della sanità regionale. Occorre molta attenzione, ancora una volta, perché il sistema fiscale non figuri tra le cause di una depressione economica. Si è visto inoltre che le emergenze sono ben note alla classe dirigente. Per cominciare, il cronico problema della criminalità. Che qui è un problema di immagine. La Campania non dà affidamento a chi potrebbe investire da fuori, e anche molti imprenditori della regione scelgono di delocalizzare la propria produzione per non dover convivere con il sistema criminale. Se parliamo invece dell’eterno problema lavoro, troviamo una Campania ancora ai vertici nazionali per tasso di disoccupazione, soprattutto per quanto riguarda i giovani. Chi ha un’occupazione, spesso lavora al di fuori di ogni sfera contrattuale, malpagato, e Impresa Eroica non protetto in quanto a criteri di sicurezza e a garanzia dei diritti. La legge Biagi ha di certo il merito di avere sbloccato il mercato e incentivato nuove assunzioni e regolarizzazioni dal sommerso. Ma - come ci ricordano ancora una volta i sindacati e anche Confindustria - va urgentemente completata con un sistema di ammortizzatori sociali più moderno, per non lasciare privo di ogni tutela chi ha la disavventura di trovarsi disoccupato e chi rischia di diventarlo. La ricerca svolta da Inchiostro ha evidenziato che un sistema economico evoluto tende all’efficienza: oltre ad aver bisogno della liberalizzazione dei mercati, necessita anche della liberalizzazio- ne dei servizi e delle professioni. Timidi passi in avanti sono stati compiuti con la legge Bersani, ma forti sono ancora le resistenze delle tante categorie che, in Campania come in Italia, affollano il sistema produttivo. Forse non è bastato sbloccare le licenze dei tassisti. Le imprese ci hanno segnalato il loro bisogno di servizi professionali snelli ed efficienti. E ci siamo imbattuti ancora nelle croniche inefficienze della giustizia: le imprese richiedono strumenti rapidi, che concilino le esigenze del mercato con i tempi di accertamento del diritto. È un problema che riguarda soprattutto la giustizia civile, in questi anni purtroppo relegata a “sorella mino- re” di quella penale, all’interno delle riforme e del dibattito politico. Per accorgersi dell’urgenza di cambiamenti radicali basta calcolare i tempi di durata di un processo in materia di lavoro o di previdenza, o contare i lavoratori in attesa di veder riconosciuta l’ingiustizia di un licenziamento. Come spiega Luciano Morelli, il delegato al settore energetico di Confindustria Campania, va ripensato il rapporto che la nostra classe dirigente ha instaurato con il problema dell’approvvigionamento energetico. Le imprese oggi scontano prezzi elevati per una qualità non sempre corrispondente ai costi. Molte imprese domandano la ripre- “Troppi illeciti nelle aziende” Il documento di Cgil, Cisl e Uil Nuove attività in tempi più brevi pagina 2 pagina 5 pagina 9 Un pm lancia l’allarme Ma Cola risponde: “Siamo noi le vittime” L’economia in affanno Calano i consumi e i disoccupati crescono ancora pagina 3 “Tredici misure contro l’evasione e il lavoro sommerso” Il porto di Napoli continua a crescere In cinque anni più che raddoppiati i croceristi sbarcati pagina 6 Una proposta di legge per snellire l’iter burocratico Il nodo energia: costi e incentivi Per le fonti rinnovabili 50 milioni di euro in aiuto alle aziende pagina 10 Illustrazione di Mario Ferraro di Renato d’Emmanuele sa - fuori da furori e dogmi ideologici - degli studi sul nucleare, un tempo punta di eccellenza della ricerca italiana. Sono queste le sfide che attendono la classe dirigente della Campania e dell’intero Paese. Evidente come sia ancora in corso la transizione dall’epoca del parastato, e dello “Stato primo imprenditore”, a quella dell’economia di mercato. Altrettanto evidente, dai risultati dell’inchiesta, la necessità di un forte sforzo riformatore, di una nuova idea di avventura nazionale da parte degli attori politici. Se la coglieremo, sappiamo fin d’ora di poter contare su una terra fertile e potenziale protagonista del mercato. Certi risvegli Lo Zarathustra di Nietzsche, il suo superuomo, ad un certo punto guardandosi allo specchio vi vede l’immagine di un mostro. Non sappiamo se Antonio Bassolino sia un lettore abituale di Nietzsche né, se, vedendosi oggi nello specchio dei media nazionali, abbastanza improvvisamente diventato ostile, abbia la sensazione di essere diventato un mostro. Sappiamo ora invece che, se è vero che “il sonno della ragione genera mostri”, è vero pure che certi risvegli improvvisi – o a orologeria – non sono da meno: la differenza è che generano mostri in coro. [ Il fratello di Caino ] 2 i commenti A Napoli uso eccessivo di illegalità Il pm Aldo Ingangi attacca: gli imprenditori sfruttano la manodopera ed evadono gli obblighi fiscali “Gomorra”, il best-seller di Roberto Saviano, è quasi completamente incentrato sui rapporti tra criminalità organizzata e impresa. La camorra che si fa “sistema”. Sistema imprenditoriale. Attraverso il lavoro nero, evasione fiscale e contraffazione. Sono i reati su cui sembra poggiarsi la criminalità imprenditoriale in Campania. A scattare la fotografia della situazione giuridica delle imprese partenopee è il magistrato della sezione economica della Procura della Repubblica di Napoli Aldo Ingangi. Il pm Ingangi è da due anni alla Procura napoletana. Prima ha svolto le funzioni di pubblico ministero per tre anni alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Paola, in Calabria. La sua analisi è franca, spietata fin dalle prime battute.“A Napoli è il modo stesso di fare impresa a essere criminale. Il suo certificato di nascita è già all’insegna dell’illecito. I servizi e le infrastrutture che di norma fanno parte di un’impresa qui sono assenti. Il motivo è che gli imprenditori fanno sì che alcune delle voci dell’impresa costino meno, sfruttando mano d’opera, specialmente tra gli extra comunitari, ed evadendo gli obblighi fiscali”. In che modo questi soggetti riescono a raggiungere i propri obiettivi senza essere ‘disturbati’ dalla giustizia? “Il mezzo principale con il quale si commettono reati è la dichiarazione fraudolenta. Questo fenomeno avviene in alcuni settori commerciali specifici, della telefonia o delle carni. Gli imprenditori hanno questa tecnica. Vanno avanti simulando costi d’impresa che non esistono nella realtà, mantenendo bassi i costi fissi di produzione e portando benefici i dati 3 inchiostro notevoli sul piano del guadagno”. Quali altre armi utilizzano questi imprenditori senza scrupoli? “La contraffazione innanzitutto, segno distintivo del mondo del lavoro, così detto ‘sommerso’. In Campania questo si verifica per lo più nel settore della pelletteria perché qui c’è una buona capacità artigianale, che riesce a mantenere la concorrenza con i prodotti di marca. Non è un caso quanto questo mondo nostrano si intrecci a quello dei cinesi, i cui manufatti molto spesso li troviamo persino in negozio, non più sulle bancarelle”. Quali sono i settori più colpiti dal reato della contraffazione? “Quello della pelletteria, dell’abbigliamento e dell’audiovisivo. Ma pare che quest’ultimo tenda ad essere soppiantato dal progresso. Grazie ad internet, infatti, molti prodotti come cd, film e video in generale, sono facilmente raggiungibili dalle case private”. I problemi degli altri due settori si risolveranno o, quantomeno, hanno una speranza di risoluzione? “Per quanto riguarda i settori dell’abbigliamento e della pelletteria, fin quando ci sarà un’estesa domanda per le grandi marche, e la pubblicità, i media e la moda incentiveranno l’enorme richiesta sul mercato, ci sarà sempre spazio per la contraffazione. Noi magistrati combattiamo l’illecito, ma esiste sempre la spinta a delinquere, specialmente a carattere economico. E qui a Napoli, dove il fabbisogno è tanto, è sicuramente più forte”. Qual è, allo stato attuale, la difficoltà maggiore per la magistratura? “Di fatto c’è un processo di osmosi, cioè alla fine dei conti non si capisce fino a che punto un soggetto è coinvolto consapevolmente o inconsapevolmente, volontariamente o involontariamente. Inoltre, in particolare nel napoletano, molto spesso ci troviamo di fronte a soggetti ‘fantasma’, imprenditori o dipendenti. Oltre al fatto che qui il lavoro nero è una costante”. La Campania, quindi, secondo lei è un’isola in Italia dove hanno luogo questi fenomeni di criminalità? “Napoli è una realtà particolare per i suoi aspetti di criminalità. E nel mondo dell’imprenditoria questi aspetti sono particolarmente evidenti. Purtroppo sono molti i soggetti che, per emergere sul mer- cato, sono disposti a qualunque cosa. Comunque in tutta Italia, sono molte le imprese che vanno avanti in questo modo grazie al quale riescono a sopravvivere, senza far correre il rischio a nessuno”. [ Ornella Mincione ] Gaetano Cola, presidente della Camera di commercio, difende il mondo produttivo dalle accuse di collusione “Siamo noi le vere vittime del sistema criminale” anche con la Regione, come stia“A Napoli l’impresa è criminale? mo già facendo”. Al momento, Non scherziamo”. Il presidente tuttavia, per il giovane che si della Camera di Commercio di avvicina al mondo imprenditoriaNapoli Gaetano Cola non vuol le non sussiste alcun incentivo: sentir parlare dell’impresa parte“Purtroppo è così – dice Cola -, nopea come causa e non vittima senza sviluppo, senza cultura della criminalità. Già leader d’impresa, i giovani saranno della Confindustria regionale e sempre quell’enorme patrimonio dell’Unione industriali di Napoli, Gaetano Cola, foto di Giulia Nardone di eccellenza senza possibilità di Cola, 71 anni, è da poco diventato emergere come lo sono oggi. Molto si sta muovenpresidente di Unioncamere Campania: “Se è vero do: basta pensare alla zona Est della città, dove ci – spiega – che esiste un problema anche a livello sono tanti progetti già avviati per investimenti di amministrazione delle imprese, è pur vero che futuri, dai porti turistici di Bagnoli, del Molosiglio noi di imprese ne assistiamo 260mila, e si tratta di e di Vigliena ai centri commerciali. Parliamo di un imprese serie, forti. Il ‘doping’ aziendale non è un programma da 5mila milioni di euro, praticamenproblema che ci riguarda”. Tutto rose e fiori, allote mezza finanziaria da investire a Napoli, per un ra? “No, anzi – dice Cola -. Il problema semmai totale di 14mila nuovi posti di lavoro”. Ma quansta nelle troppe diseconomie che si vengono a do i progetti saranno realtà? “Questo è l’altro creare: il costo del lavoro, ad esempio, ma anche grande problema delle imprese – spiega Cola-. La l’assenteismo, per dire. Basta pensare che qui i burocrazia è lentissima, ci vorrebbe una legge costi di gestione sono del 21% più alti della media speciale che deleghi la totalità dei poteri decisionazionale”. Significa che oltre un quinto del fattunali al sindaco”. Un modo in più, questo, per rato delle aziende campane si perde nel confronto valorizzare i settori d’eccellenza regionali: con le imprese del Nord: “E’ un grave handicap “L’agricoltura e l’edilizia vanno fortissimo, ma spiega Cola -, l’obiettivo è quello di superarlo: le non solo: Napoli ha battuto Washington e imprese ottime ci sono, bisogna metterle nelle conCleveland e sarà la sede del prossimo master estidizioni di lavorare”. E gli accordi di Basilea 2 vo dell’Isu (International Space University) per rappresentano un ulteriore scoglio: “Certo – dice 200 manager e neolaureati. I mezzi ci sono, dobil presidente –, quello del rating è un problema biamo puntare tutto sull’internazionalizzazione serio, soprattutto per le piccole aziende, che sono della città. E se possibile riuscire a non sprecare i il 92% delle imprese da noi rappresentate. Per fondi strutturali Ue del 2007-2013”. questo dobbiamo essere ancora più solerti a con[ Davide Certosino ] certare ogni possibilità di lavoro con le banche ma Il deputato di Forza Italia punta l’indice sulle scelte della maggioranza Il consigliere regionale Ds elenca le priorità per favorire lo sviluppo “Un’economia che si regge in buona parte su investimenti pubblici, fondi europei che non hanno prodotto sviluppo a lungo termine e occupazione in calo a favore della crescita di forme di lavoro irregolare”. Paolo Russo, deputato napoletano eletto nelle fila di Forza Italia alla Camera, conferma i dati dell’ultimo rapporto della Banca d’Italia fotografando un’economia campana in forte crisi. Di contro denuncia una politica regionale e nazionale incapace di porre argini. Come si colloca nel panorama italiano un’economia come quella della Campania? In Italia come in Campania le piccole e medie imprese rappresentano oltre il 90% del sistema produttivo, ma la debolezza del nostro territorio è nella portata degli investimenti. Un’economia che si poggia in maggioranza sulla spesa pubblica è un elemento di vulnus. Non produce sviluppo. Genera un progresso a breve termine che non è crescita strutturale. Alla vigilia di nuovi stanziamenti dei fondi europei 2007-13, ci può tracciare un bilancio dei risultati del primo quinquennio? La soddisfazione si misura con risultati concreti che incidono su cambiamenti di sistema. In Campania invece di misurare lo sviluppo prodotto le amministrazio- “Le imprese in Campania sono svantaggiate due volte: da un lato devono risolvere il difficile rapporto con la Pubblica amministrazione, dall’altro sono indebolite dalla questione sicurezza”. Luisa Bossa, consigliere regionale Ds ed ex sindaco di Ercolano, non ha dubbi: per il futuro dell’economia campana bisogna puntare su progetti concreti. E i giovani e le donne rientrano sicuramente tra questi. La consigliera intende puntare su queste risorse per rilanciare il futuro del capoluogo partenopeo. In un momento di difficoltà per la città, occorre infatti investire in quei settori che possono offrire una stabilità maggiore per il futuro. La Campania è perennemente in bilico tra sviluppo e sottosviluppo. Lei che ne pensa? “Il contesto economico italiano è caratterizzato da un profondo divario fra Nord e Sud. È un contesto difficile anche perché c’è la piccola impresa che prevale su quella grande. La complessità e i tempi lunghi della burocrazia rallentano l’iniziativa degli imprenditori meridionali. Diverse aziende sono infatti costrette a rallentare i loro progetti perchè l’iter da seguire è lungo e complicato.Molto spesso poi si è costretti a fare investimenti in aree dove man- La ricetta economica di Luisa Bossa: “Donne e giovani per il rilancio” “Brindano a dieci anni di fallimenti” Paolo Russo attacca la Regione ni si soffermano a brindare perchè hanno speso i fondi in tempo e perchè siamo rimasti ancora una volta “obiettivo 1” dell’Unione Europea. Negli ultimi anni si è registrato un aumento del lavoro nero e una crescita della disoccupazione. I due fenomeni sono strettamente legati e la causa principale è da addebitare alla mancanza di reti di controllo. La Regione ha preferito investire in progetti singoli, slegati tra loro, invece di puntare ai distretti e alla creazione di aree sinergiche. Come valuta le risposte della politica? Il mio giudizio non può essere positivo. Non sono state adottate misure sufficienti, né incisive. Di chi sono le responsabilità? Da parte delle amministrazioni locali registro un’incapacità di comprendere i fenomeni e da parte della Camera, con le proposte dell’ultima Finanziaria, vedo solo la volontà di chiudere i commissariati di polizia e di aumentare le tasse. Quali politiche suggerirebbe per migliorare il futuro delle imprese napoletane? Bisogna sostenere i privati e favorire uno sviluppo integrato puntando sulle aree di eccellenza partenopee. Solo così si può pensare di crescere e di competere con i mercati globali. [ Iolanda Palumbo ] Paolo Russo Luisa Bossa cano i minimi presupposti di sicurezza, soprattutto quella ambientale”. Che cosa propone per risolvere queste difficoltà? “Per quanto riguarda la questione sicurezza la Campania ha tutte le carte in regola per fare un passo in avanti. Sono stati adottati provvedimenti significativi: i protocolli e il patto per la sicurezza di Napoli. Per snellire l’iter burocratico, invece, è in fase d’approvazione una legge per il conferimento delle deleghe agli enti locali. La Regione gestirà di meno e programmerà di più. Gli imprenditori saranno agevolati nei tempi dei loro progetti”. E per ciò che riguarda nuove iniziative? “Sono in cantiere una nuova legge sugli appalti pubblici e un progetto per dare più spazio all’iniziativa dei privati. Inoltre stiamo lavorando anche ad alcune iniziative in favore delle donne. Per l’imprenditoria femminile già nella precedente finanziaria era stata varata una legge. L’imprenditoria femminile è un settore dalle molteplici risorse e dalle grandi potenzialità economiche. Al momento vogliamo lanciare un progetto per facilitare l’iniziativa economica dei giovani imprenditori”. [ Anna Clemente ] numero 5 dicembre 2006 La Campania, un’emergenza irrisolta Pil in picchiata e disoccupazione in aumento. Le statistiche fotografano un’economia che perde colpi Sirene d’allarme sull’economia della Campania. I dati degli istituti statistici fotografano una realtà ferma al palo. Sempre più incapace di reggere il confronto con le regioni del nord del Paese. Produzione e occupazione sono in picchiata, mentre crescono inflazione e debito pubblico. Mai negli ultimi dieci anni il Pil aveva raggiunto livelli così bassi: meno 1,9 per cento secondo il rapporto Svimez, più 0,2 per cento per i rilevamenti di UnioncamerePrometeia. L’attività produttiva si va attestando su livelli deboli in quasi tutti i settori economici. Le imprese investono poco nell’ammodernamento delle tecnologie. Così il valore aggiunto nell’industria ha continuato a diminuire. Elettronica e abbigliamento, ad esempio, tradizionali punti di forza, hanno risentito dell’ingresso sul mercato di paesi a forte crescita e grande dimensione. Per Bankitalia le debolezze dell’economia campana sono strutturali, legate alla ridotta dimensione media delle aziende e alla scarsa diffusione di attività specializzate . “Mancano politiche regionali d’incentivo alla produzione - spiega il funzionario della sede napoletana Giovanni Ruzzolino - ma anche gli investimenti privati stentano a decollare”. Una tendenza, quest’ultima, in contrasto con l’espansione del credito bancario che cresce a un tasso di tre punti percentuali in più rispetto alla media nazionale (il 9,5 per cento contro il 6,2). Incapacità di crescere e fare sistema, dunque. Si chiama “nanismo” la malattia mortale dell’attività produttiva in Campania. In dieci anni non sono emerse valide alternative alla dismissione della grande industria. Una stagnazione nella quale emergono pochissime eccezioni. Quasi sempre isolate. Iniziative di grande successo che però non riescono a innescare un sistema virtuoso. Anche dove emergono eccellenze si palesano le contraddi zioni. E’ in netta crescita, ad esempio, il settore crocieristico, ma di contro calano le presenze di visitatori nelle strutture ricettive. Lo scorso anno le presenze turistiche sono calate del 5,7 per cento.L’agroalimentare resta un comparto trainante (la Campania si conferma ai vertici nazionali in diversi segmenti di offerta), ma Lo specchio della crisi nella frenata dei consumi delle famiglie Supermercati come oreficerie. Acquistare beni di prima necessità a Napoli costa più che nel resto d’Italia. Così calano i consumi e cresce l’inflazione. Il prezzo di alimentari e bevande ha subito nel capoluogo campano un incremento di nove punti percentuali superiore alla media nazionale. Non c’è concorrenza sufficiente, troppe barriere in entrata per gli investimenti - è la diagnosi degli analisti. Lo scorso anno sono stati inaugurati cinquantasei nuovi esercizi della grande distribuzione portando a 549 unità il totale nel settore. Un numero che confrontato in rapporto con la popolazione resta sensibilmente inferiore a quello di tutte le altre regioni italiane. L’indice dei prezzi al consumo per la collettività nel complesso è cresciuto del 2,3 per cento (dati Istat). A Napoli non si risparmia sull’abbigliamento (più 3 per cento) e sul- anche qui è calata la produzione e si registrano ritardi nell’ammodernamento strutturale delle imprese. Anche il settore delle costruzioni ha fatto registrare un vero e peoprio boom: 7 per cento in più di investimenti nell’ultimo anno. Un incremento, però, quasi interamente legato a opere pubbliche finanziate da governo e Regione (con fondi Cipe e fondi europei) e in misura assai ridotta all’iniziativa privata. La crisi si è palesata in tutta la sua gravità proprio alla vigilia del nuovo Piano operativo regionale con il quale dovrà essere programmata la spesa dei fondi strutturali stanziati dall’Unione Europea dal 2007 al 2013. Nei cinque anni precedenti sono stati già impegnati per il Por 20001-2006 già cinque miliardi di euro. Ma non sono bastati. Si è parecchio investito in infrastrutture ma a differenza di altre regioni la Campania è rimasta un’emergenza irrisolta. Non migliora certo le imprese il buco di oltre un miliardo di euro nelle casse regionali. Per appianare il debito nella sanità campana, che impegna i due terzi delle uscite complessive, si è reso necessario l’aumentodi un punto percentuale della già controversa aliquota Irap. l’arredamento (più 1 per cento), mentre sono convenienti acqua, elettricità e combustibili (meno 4 per cento), istruzione e servizi sanitari (meno 2 per cento). Con l’aumento dei prezzi dei beni di largo consumo cresce anche l’inflazione. Dalla fine degli anni ’90 a Napoli si registrano tassi di circa mezzo punto superiori al dato nazionale. Altra conseguenza immediata è la frenata dei consumi delle famiglie. Negli ultimi due trienni sono passati da 1 punto percentuale allo 0,4 per cento di crescita media annua. Un evidente danno per il mercato campano, che non è stato compensato nemmeno dalla spesa delle pubbliche amministrazioni. Anche questa ha subito una flessione notevole, passando dal 2,7 per cento dello scorso triennio all’1,3 per cento dell’ultimo anno. [ L. R. ] “E’ assurdo – ripete Cristiana Coppola, presidente di Confindustria Campania – Gli imprenditori non possono farsi carico degli sperperi di palazzo Santa Lucia”. Da palazzo Partana hanno stillato un piano di priorità da sottoporre alla Regione. Nell’elenco: fiscalità di vantaggio, infrastrutture, reti energetiche e risoluzione delle emergenze croniche quali la criminalità e i rifiuti. Problemi di immaggine e sicurezza che incidono parecchio sull’afflusso pressapoco nullo di capitali esteri. Appena 250 milioni di euro in entrata nel 2005. Un dato che deve preoccupare se si considera la grande capacità attrattiva delle regioni dell’Est in procinto di entrare a far parte dell’Unione Europea. Una sofferenza quella economica che pesa sui livelli di occupazione (2 per cento di posti di lavoro in meno nel 2005, un altro 0,8 in meno nei primi quattro mesi di quest’anno, per un totale di qurantamila unità ). A essere maggiormente colpiti dai tagli sono i giovani e le donne.Mentre cresce – denunciano i sindacati – il numero dei lavoratori a nero. [ Luca Romano ] La regione resta nel gruppo dell’Obiettivo 1: ancora lontani gli standard di competitività richiesti da Bruxelles Non più incentivi a pioggia ma solo investimenti mirati Malgrado gli ingenti stanziamenti degli ultimi anni la Campania continua ad arrancare. E l’Unione Europea la conferma nel gruppo di aree facenti parte dell’ “obiettivo 1”. Essere in questa categoria significa, in pratica, far parte di quelle aree dove il Pil (Prodotto interno lordo) per abitante è inferiore al 75% della medi dei 25 Paesi membri dell’Unione Europea. Uno “status” che dal 2007 la Campania condividerà in Italia con altre tre regioni del Sud: Puglia, Calabria e Sicilia e in Europa, con tre regioni della Spagna, due di Portogallo, quattro di Grecia e con le aree più povere dei nuovi Paesi dell’Unione. Sei anni di interventi, misure e finanziamenti già varati dal Piano Operativo Regionale non sono stati sufficienti a imprimere alla Campania quei livelli minimi di competitività richiesti dall’Europa e mentre il Por 2000-2006 giunge quasi a conclusione, la Regione si sta preparando a varare un nuovo piano operativo per gli anni 20072013. Ancora nell’obiettivo 1. A dire il vero, per questo nuovo periodo di programmazione, l’espressione “obiettivo 1” è stata ulteriormente specificata dall’Unione Europea in “obiettivo convergenza e competitività”, parole che porteranno dritto dritto alle regioni incluse nella categoria, il 78% delle risorse totali, in cifre, 264 milioni di euro. E in vista del nuovo Piano Operativo Regionale, si è pronunciata Confindustria Campania, presentando un suo documento. Una voce per indicare, dalla parte delle imprese, le misure ritenute urgenti per lo sviluppo. “E’ indispensabile – dice il documento di Confindustria – puntare su tre obiettivi particolari: infrastrutture, Insieme con la Campania fanno parte dell’Obiettivo 1 Puglia, Calabria e Sicilia ricerca e formazione”. Un altro punto essenziale nella nuova programmazione 2007-2013, secondo Confindustria, è la questione incentivi: “non dovranno più essere distribuiti a pioggia, ma concessi soltanto per promuovere investimenti di qualità, o investimenti che producano sia occupazione che crescita dimensionale delle imprese”. A guardare le previsioni, con il prossimo piano di sviluppo, la rotta della Campania potrebbe davvero cambiare. Uno studio condotto di recente da Unioncamere prospetta un futuro più roseo. Nel corso dei prossimi anni, tutte le regioni del Mezzogiorno correranno all’acquisto di impianti, macchinari e mezzi di trasporto. In Campania si stima che dopo una flessione negativa, l’esportazione di beni verso l’estero riprenderà a crescere.Si metteranno in moto – diceUnioncamere - anche i consumi da parte delle famiglie: al Sud meno che al Nord, con uno 0,8% a fronte di un incremento massimo stimato in Friuli del 1,7%. Un destino migliore potrebbe toccare anche al prodotto interno lordo. Nonostante la riduzione avvenuta nel 2005 (-1,8), già per il prossimo anno è attesa una netta inversione di tendenza con una stima di crescita dell’1,8%. Un piccolo passo per uscire dall’obiettivo 1 e raggiungere il livelli d’Europa. [ Caterina Scilipoti ] 4 le aziende Stare sul mercato costa molto di più Dalla criminalità all’energia, una ricerca della Camera di commercio individua otto elementi di debolezza del sistema locale lnvestire in Campania: un’impresa possibile? Una domanda che si tira dietro altri due interrogativi: quanto costa fare impresa nella nostra regione? E in epoca globale, che cosa manca per rilanciare investimenti e competitività nel confronto sempre più serrato con i mercati nazionali ed internazionali? L’analisi economica non offre risposte confortanti. Le imprese della nostra regione, nel bench-marching competitivo con gli altri Paesi, soffrono di un “doppio gap” strutturale: in primo luogo risentono del basso grado di competitività di tutto il sistema Italia nel panorama economico globale, ma soprattutto non riescono a tenere il confronto con le aree maggiormente industrializzate del nord del Paese. Reddito pro-capite, tasso di disoccupazione, produttività, esportazioni e dotazione infrastrutturale segnano, infatti, un profondo divario tra le due aree della penisola. In questo scenario complesso, che non a caso viene definito duale, la voglia d’impresa in Campania costituisce ancora una sfida apertadifficile. La Camera di Commercio di Napoli, sulla base di questa ipotesi di fondo, ha promosso un’indagine su un campione di circa 300 imprese napoletane e parmensi, che è stata presentata anche a Bruxelles. Lo studio ha evidenziato i maggiori gap economici di cui soffrono le imprese meridionali rispetto alle aziende del Nord. Il confronto con Parma non è casuale, dal momento che l’articolazione del tessuto imprenditoriale presenta, per dimensioni e produttività, una serie di analogie con quello napoletano. Criminalità, credito, mercato del lavoro, infrastrutture, pubblica amministrazione, energia elettrica, servizi alle imprese e sistemi regionali per l’innovazione, rappresentano gli otto fattori principali, in termini differenziali di costo e ricavo, alla base del divario che genera il cosiddetto “gap localizzativo”. Per verificare l’impatto che questi gap esercitano sul bilancio complessivo delle imprese, lo studio ha combinato metodologie di analisi differenziate: all’individuazione dei potenziali fattori che generano differenziali economici è seguita un’analisi documentale tesa ad individuare precisi indicatori espressivi in 103 province italiane. Tutto ciò ha consentito di quantificare, in termini relativi, l’impatto dei differenziali sfavorevoli nel confronto fra le province di Napoli e Parma. La fotografia che ne emerge rappresenta una realtà ben poco confortante. I dati più preoccupanti riguardano il peso che sugli investimenti assumono i fenomeni criminali: assunzioni forzate di personale, pagamenti estorti con minacce, attentati e acquisti forzati di servizi sono molto diffusi. Una realtà sconosciuta a Parma. L’insieme di questi elementi determina un differenziale di svantaggio complessivo che incide sui costi di produzione del 7,30 per cento e determina il 7,50 per cento in meno di ricavi rispetto al capoluogo emiliano. A ciò si aggiunge che, rispetto alle imprese parmensi, il costo e l’accesso al credito, nel rapporto bancaimpresa, è del 15,70% in più, per gli oneri finanziari su debiti finanziati a breve. Lo scenario non muta anche nell’analisi dei sistemi regionali di innovazione. La carenza di trasferimento di know–how tecnologico tra Chiudono le fabbriche nascono le partite Iva mondo della ricerca e quello delle imprese incide negativamente sui bilanci: il 15 per cento di ricavi mancati per le aziende campane, contro il 5 per cento di quelle parmensi.La speranza è che questi punti di debolezza della nostra struttura produttiva possano generare punti di forza. E’ questo il traguardo che imprenditori ed economisti pongono con insistenza all’attenzione della politica. Nell’elenco delle priorità individuate, le richieste più pressanti riguardano: fiscalità di vantaggio, cuneo fiscale differenziato, credito d’imposta, corretto e pieno utilizzo dei fondi del quadro comunitario di sostegno 2007/13. Dobbiamo crederci: dai numeri ai fatti. [ Nadia Fiore ] Le proposte di Confindustria per stimolare la competitività. Intervista con il direttore Pino Cannistrà “Meno burocrazia e più infrastrutture” Una macchina amministrativa più snella, infrastrutture da realizzare in tempi brevi e un sistema del credito più articolato e flessibile che normalizzi il rapporto tra banche e imprese. Sono questi, secondo il direttore di Confindustria Campania Pino Cannistrà, gli interventi necessari per rimettere in moto la crescita dell’impresa nella nostra regione e agganciare il treno della pur timida ripresa economica che sta investendo l’Europa. Dottor Cannistrà, quali sono le caratteristiche del tessuto imprenditoriale campano?Le imprese campane sono per lo più di piccole dimensioni, mentre quelle di grandi dimensioni stanno via via scomparendo. Le piccole imprese hanno dalla loro il fatto di essere più agili e snelle e quindi di sapersi adeguare al mercato in modo più repentino. Il fatto che siano piccole, però, determina il rischio che immettan. Una macchina amministrativa più snella, infrastrutture da realizzare in tempi brevi e un sistema del credito più articolato e flessibile che normalizzi il rapporto tra banche e imprese. Sono questi, secondo il direttore di Confindustria Campania Pino Cannistrà, gli interventi necessari per rimettere in moto la crescita dell’impresa nella nostra regione e agganciare il treno della pur timida ripresa economica che sta investendo l’Europa. Ma soprattutto, è necessario cooperare a tutti i livelli per “fare sistema” e stimolare la competitività. Dottor Cannistrà, quali sono le caratteristiche del tessuto imprenditoriale campano? Le imprese campane sono per lo più di piccole dimensioni. Un vantaggio per la flessibilità, uno svantaggio per la competitività internazionale. Quali sono, allora, gli interventi necessari a favorire la crescita dimensionale delle imprese? Occorre semplificare la macchina amministrativa. Siamo asfissiati dalla burocrazia, mentre per stimolare la competitività ci vuole semplificazione. Leggi, politica fiscale, enti locali e burocrazia devono essere tutti alleati per stimolare la competitività territoriale e ambientale e “fare sistema”. C’è poi il tema della liberalizzazione dei mercati di beni e servizi essenziali per le imprese: soltanto liberalizzando si stimola davvero la competitività. Ci sono segnali positivi, come i primi risultati della politica di concertazione regionale, che ha prodotto il disegno di legge sulla formazione, ma la strada è ancora tutta da percorrere. La strategia proposta da Confindustria si muove all’interno di un progetto complessivo per il Mezzogiorno, che si snoda su tre punti fondamentali: innovazione e competizione, attrazione di investitori italiani ed esteri, politiche di sviluppo che puntino sulle peculiarità culturali delle regioni meridionali. Quali sono gli interventi che fanno parte di questa strategia? Per attrarre investitori esteri si è parlato di creare alcune zone franche urbane in cui le imprese abbiano vantaggi particolari. È davvero impor- tante ma non è sufficiente. Per stimolare la competitività bisogna agire sui problemi dell’ordine pubblico, prevedere una fiscalità di vantaggio, lavorare sulla rete delle infrastrutture dei trasporti e dell’energia. Il terzo asse per la crescita economica, infine, passa inevitabilmente per la valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale della nostra regione. La Campania avrebbe tutte le carte in regola per essere il massimo punto di riferimento del turismo mediterraneo, ma è fondamentale potenziare e modernizzare tutto il sistema. Sulle infrastrutture, il precedente governo aveva posto al centro dell’attenzione le grandi opere, mentre l’esecutivo guidato da Prodi sembra aver fatto marcia indietro. Come giudica questa inversione di tendenza? Il governo Berlusconi aveva fatto un piano delle grandi opere senza valutare se ci fossero i fondi necessari. All’Italia non servono grandi piani irrealizzabili, ma progetti concreti da attuare in tempi brevi. Confindustria ha condotto uno studio sulle infrastrutture urgenti per il rilancio del Mezzogiorno. Non si tratta di un libro dei sogni, ma di una lista concreta di opere già cantierabili, come l’ampliamento delle autostrade SalernoReggio Calabria e Napoli-Bari. Di fronte al bivio tra incentivi e condizioni favorevoli allo sviluppo, ogni vero imprenditore sceglierebbe di avere condizioni favorevoli. Qual é lo stato del sistema creditizio in Italia? Il sistema del credito, in particolare nel Mezzogiorno, non è né articolato né flessibile. Per espandersi le imprese hanno bisogno di passare per il credito e il finanziamento, ma il rapporto con le banche è ancora troppo critico, con ostacoli a volte insormontabili. Non abbiamo bisogno di interventi speciali, ma solo di raggiungere la normalità. Le banche devono comportarsi con il Sud come fanno con il Nord. Confindustria ha proposto il rilancio dei confidi. Si tratta di fondi chiusi a capitale misto pubblico-privato e a conduzione strettamente professionale che aiutino le imprese meritevoli quando il capitale privato è insufficiente. Ci sono già e funzionano in altre regioni: potrebbero funzionare meglio anche qui. [ Mario Leombruno ] Palazzo Partanna, sede di Confindustria Campania Il sistema imprenditoriale campano è fatto di molte piccole imprese. Sono le aziende che sono sopravvissute alla darwiniana selezione naturale che ogni impresa deve affrontare dal giorno della sua nascita. Le grande impresa nel territorio campano è ormai estinta e le piccole e medie imprese, che rappresentano il 99% delle aziende del territorio campano superando di due punti la media nazionale, vanno avanti tra molte difficoltà. Difficoltà burocratiche, come la lunghezza dei processi civili e la necessità di stare al passo con i cambiamenti della politica fiscale. Un esempio su tutti? La difficoltà che hanno avuto molti possessori di partita Iva da quando i pagamenti del modello f24 non possono più essere eseguiti allo sportello bancario ma devono essere eseguiti tramite internet. E che dire dell’introduzione degli studi di settore? Ha creato non pochi problemi ai commercialisti e ha indotto alcuni piccoli artigiani, non più giovani, ad andare in pensione anticipatamente. “Non si può più lavorare in questa maniera, così ho scelto di chiudere” confessa preoccupato Mario, sessantacinquenne, ex-titolare di un’officina meccanica. “Inoltre – afferma Dario Scalella, presidente dell’associazione piccole e medie industrie di Napoli - c’è una complicazione del mercato, sempre più, globalizzato, accompagnato dal sempre più complesso sistema del credito e da un maggiore degrado del contesto produttivo in cui è sempre più difficile essere competitivi”. Ma non basta; “se si fa un confronto con le regioni settentrionali si può notare che anche quanto a costi fissi le aziende meridionali sono penalizzate”. Secondo un’indagine della Camera di commercio, infatti, le imprese meridionali spendono il 22% in più di quelle delle regioni settentrionali, si spende molto per la sicurezza, ma non solo. Un’azienda friulana, ad esempio, paga il 3,5% di Irap, contro il 5,25% di un’azienda campana. Scalella denuncia: “il nostro sistema regionale non è competitivo. Le piccole imprese, che spesso non hanno facilitazioni e fondi sufficienti per investire in marketing e sviluppo, non hanno grossi margini di ampliamento”. Secondo Giuseppe Cannistrà, direttore di Confindustria Campania,“le piccole imprese hanno però dalla loro parte il vantaggio di essere più agili e versatili e di potersi quindi adeguare al mercato in modo repentino”. (Vedi articolo Mario Leombruno). Le difficoltà di chi ha la responsabilità di un’azienda sono inoltre legate ai costi dell’energia e dei trasporti. Quando i costi sono così elevati da non compensare i rischi l’azienda capitalizza i proventi a discapito dello sviluppo industriale del territorio. E, anche se il registro delle imprese quest’anno ha chiuso con il segno positivo, ciò non vuol dire che le cose stiano necessariamente migliorando.Infatti, per colmare il vuoto che lascia la chiusura di una grande azienda, certamente non basta l’apertura di qualche partita Iva in più. È assolutamente necessario, invece, far aumentare lo scambio di merci tra le varie aziende del meridione d’Italia. D’altronde, da sempre, è l’unione a fare la forza, e anche la differenza tra il rilancio e il declino dell’industria in Campania. [ Caterina Morlunghi ] i sindacati 5 inchiostro Sommerso, una piaga ancora aperta numero 5 dicembre 2006 La disoccupazione in Campania è al 12 per cento ma secondo l’Istat sono molti i lavoratori impiegati in nero nelle aziende Dodici per cento di disoccupazione, secondo i dati Istat. Molto meno, secondo le stime che prendono in considerazione il mondo del sommerso. In Campania le imprese irregolari offrono lavoro a una grande fetta di popolazione che per le statistiche ufficiali risulta senza impiego. L’Istituto nazionale di statistica non riesce a inquadrare il fenomeno del lavoro irregolare e si limita a scattare un’istantanea sul numero di persone che compongono la forza lavoro attiva sul territorio. Nel terzo trimestre del 2006 sono stati registrati 15 mila occupati in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma l’incremento è dovuto in larga misura al lavoro stagionale e le persone in cerca di lavoro sono ancora 248 mila. La Campania si allinea così, formalmente, al livello medio di disoccupazione registrato nel resto del Mezzogiorno, ossia 12 per cento, contro una media nazionale ferma al 7 per cento.Tra i singoli settori di attività economica, la Campania può contare su 90 mila lavoratori nell’agricoltura, 422 mila nell’industria e 1 milione 265 mila nei servizi. Va però considerato che il 22 per cento dei nuovi occupati meridionali è assunto a tempo determinato. E il resto della popolazione attiva come riesce ad arrivare a fine mese? Ecco che ci si inabissa nel mondo del sommerso. Da una ricerca del Comitato per l’emersione del lavoro non regolare scritta da Liliana Bàculo, docente di Economia dello Sviluppo presso l’Università Federico II di Napoli, risulta che il sommerso in Campania varia con il Un corteo di disoccupati napoletani, foto di Giulia Nardone variare delle caratteristiche sociali e culturali della regione. Così, ad esempio, nelle zone interne della Campania, abbondano i laboratori semisommersi, che impiegano personale con un contratto formalmente in regola ma pagato per un periodo inferiore a quello effettivo. Al contrario, nelle zone costiere o nella città di Napoli è maggiormente estesa la presenza di lavoro irregolare non dichiarato. In questo caso, in imprese con tre o quattro addetti denunciati ne lavora il doppio o il triplo. Ma le imprese sommerse non sono solo quelle che hanno al loro interno lavoratori dipendenti. Una parte considerevole dell’attività economica non regolare è costituita da imprese individuali. Massimo Angrisano, responsabile del settore Lavoro della Regione Campania, spiega che in questi casi il sommerso sfugge a qualsiasi tipo di controllo. Con il programma Misura 3.12 dei fondi Por la Regione, secondo quanto afferma Angrisano, ha aiutato circa 600 imprese individuali a emergere attraverso sistemi di finanziamento mutuati dal prestito d’onore. Le cause che spingono gli imprenditori a dare inizio a un’attività produttiva irregolare sono quasi sempre da trovare, in base alle analisi della Regione, nel complesso rapporto con le istituzioni e nei tempi lunghi che intercorrono tra la decisione di intraprendere un’atti- vità e il rilascio della licenza. Individuato il problema, una commissione regionale che fa capo all’assessorato al Lavoro ha utilizzato a partire dal 2003 i fondi europei dell’Obiettivo 1 per le politiche di emersione. Fondi che saranno erogati nuovamente nel periodo 2007-2013 ma che, allo stato attuale, dichiara Angrisano, non rientrano ancora in una programmazione ben definita. Le politiche per l’emersione basate sull’erogazione di fondi non sono considerate da tutti come la giusta via per la soluzione del problema. È quanto crede Vincenzo Esposito, ricercatore dell’Ires Campania, l’Istituto di ricerche economiche e sociali, vicino alla Cgil, che da anni studia il fenomeno del sommerso. Secondo Esposito si commette un errore nelle analisi sul lavoro irregolare, considerando la questione come un dato astratto. Le politiche per l’emersione, in quest’ottica, non servirebbero a molto. Si dovrebbero creare “occasioni per l’emersione”, con le parole del ricercatore Ires, non distribuire soldi “a pioggia”. Le imprese, così, potrebbero essere aiutate a mantenersi al passo con i cambiamenti tecnologici ed essere indirizzate alla creazione di consorzi, per abbattere i costi della concorrenza e poter fare quel salto di qualità ancora possibile grazie allo sfruttamento del “made in Italy”. [ Diego Dionoro ] Tredici, ecco il numero giusto per il lavoro legale I sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil elaborano un documento per combattere l’evasione fiscale e propongono: “Più controlli sui vincitori di appalti” ”Rinforzare nel Mezzogiorno i centri per l’impiego e pensare nuovi sostegni al settore agricolo” Tredici proposte per cercare di contrastare il lavoro nero. E’ la ricetta contenuta in un documento sottoscritto dalle tre maggiori organizzazioni sindacali, Cgil-Cisl-Uil. I consigli, rivolti alle imprese che vogliono uscire dall’illegalità, si sono resi necessari per impedire un fenomeno diffuso soprattutto nelle regioni meridionali. Dai dati risulta che in Italia più di quattro milioni di uomini e donne versano in condizione di irregolarità (a nero o con contratti parzialmente dichiarati). L’economia sommersa produce tra il 15,9% e il 17,6% del prodotto interno lordo per un valore minimo di circa 170 miliardi di euro annui: 72 miliardi di euro per l’omissione di versamenti fiscali e contributivi Irap, 1,9 miliardi di euro di base imponibile Irpeg e circa 16,5 miliardi di euro di versamenti previdenziali e assicurativi omessi (Inps e Inail). Le proposte assumono come strategia una politica di premialità e di sviluppo, con meccanismi di valorizzazione degli elementi di qualità del sistema produttivo e con sistemi di sostegno per quelle imprese che decidano di emergere. Si parte con una campagna di informazione che costruisca un patrimonio sociale. “Bisogna mobilitare le energie sociali, imprenditoriali e istituzionali del territorio – si legge nel documento – per far diventare il sommerso un disvalore. Quindi si devono cercare nuove azioni per governare e raccordare a livello Anna Rea, segretario regionale della Uil nazionale le attività di contrasto (una sede di confronto nazionale, una banca dati unica sugli incentivi e sulle agevolazioni e un rafforzamento delle azioni contro l’irregolarità)”. Secondo le organizzazioni sindacali non si può prescindere da uno snellimento burocratico e dall’istituzione degli indici di congruità, rapporto tra quantità/qualità della prestazione e quantità delle ore lavorate e del numero di lavoratori impiegati. In materia di immigrazione CgilCisl-Uil chiedono: “il riconoscimento del permesso di lavoro per tutti i lavoratori che ne abbiano fatto richiesta. Deve essere istituito anche un meccanismo di tutela del lavoratore immigrato che lo accompagni nel periodo dell’emersione fino all’eventuale regolarizzazione del rapporto. A livello provinciale, soprattutto nel Mezzogiorno, devono essere rafforzati i centri per l’impiego così da indirizzarli verso la promozione di politiche attive a sostegno dei lavoratori a rischio lavoro nero. E’ necessario rendere più efficaci i sistemi di collocamento e conoscenza dei soggetti occupati e realizzare una piena applicazione della legislazione sulla comunicazione unica da parte delle aziende all’Inps”. Nel documento si richiedono nuove norme per gli appalti così da definire insieme alle rappresentanze d’impresa vincoli che prevedano l’esplicita richiesta d’indicazione nei bandi ed estendere nel campo dei servizi, del commercio, dell’industria e dell’artigianato il meccanismo del Durc (Documento unico di regolarità contributiva). I sindacati propongono “l’introduzione della solidarietà fiscale nei rapporti di fornitura e sub fornitura con configurazione del principio di reato fiscale e di evasione contributiva in capo all’azienda leader”. Non meno importante è l’auspicata nascita di una clausola sociale nel contratto di franchising e norme più precise sul distacco dei lavoratori stranieri. Un punto fondamen- tale nel documento è quello relativo al comparto dell’agricoltura. CgilCisl-Uil chiedono “l’immediata attuazione dell’Avviso Comune di settore sottoscritto dalle rispettive categorie, che deve essere seguito da una modifica del sistema di versamento dei contributi dovuti dalle aziende agricole”. Inoltre si reclama “l’istituzione di un fondo nazionale per l’emersione e la razionalizzazione delle risorse contro il lavoro nero vincolando una parte delle quote a una maggiorazione del bonus rivolto ai lavoratori in emersione e alle imprese coinvolte nei Piani Locali di Emersione e, quindi, sostenere la ricostruzione dei periodi contributivi passati dei lavoratori in emersione, per gli anni precedenti la partecipazione ai Piani locali di sistema per l’emersione”.Infine il documento si sofferma sull’ingresso nel sistema di piani locali per lo sviluppo e per la ricostruzione delle carriere previdenziali.I sindacati vogliono che questi piani siano parte integrante di una rivisitazione dei Pit, patti territoriali e contratti d’area “i piani locali dovrebbero funzionare con gli strumenti riservati allo sviluppo locale: istituzione di marchi di qualità, piani di riqualificazione delle aree urbane ex industriali, sostegno finanziario alle attività consortili, piani formativi mirati con accesso gratuito a programmi formativi, la possibilità di usufruire per almeno di due anni di un apposito tutor per lo sviluppo d’impresa e le pratiche amministrative e un bonus di sistema da concordare con le parti sociali e presentato da più imprese che si strutturino in un sistema distrettuale”. I vantaggi previsti per le aziende che favoriscono l’emersione consisterebbero in una maggiorazione di guadagni che si aggiungono al credito di imposta, per tre anni e per ogni lavoratore emerso e assunto a tempo indeterminato (si riconoscerà solo alla fine del triennio). Ancora si percepirà una fiscalizzazione ulteriore per altri tre anni fino al 50% della base imponibile Irap emersa e un sostegno per i contributi previdenziali omessi attraverso specifici Piani di ricostruzione delle carriere previdenziali. I sindacati, in questo sistema premiale/incentivante, propongono che tutti i procedeimenti giudiziari per le imprese che aderiscano ai Piani locali di sistema per l’emersione siano sospesi per tre anni alla scadenza dei quali effettuare la verifica in relazione al rispetto dei tempi previsti dai “piani di rientro concordati”. La ricostruzione previdenziale a cui hanno diritto i lavoratori non dovrebbe in ogni caso essere inferiore a un periodo prefissato di versamenti. Le Regioni potrebbero inoltre compartecipare al contributo per la ricostruzione delle carriere previdenziali. [ Nicola Salati ] 6 i punti di forza Il porto verso un futuro in crescita In aumento il numero di turisti che sbarca a Napoli. E dalla Cina arriva un importante investimento per il traffico commerciale Proseguono i lavori del waterfront che riqualificherà la zona di accesso via mare alla città Passeggeri / Quinquennio Passeggeri Sul porto di Napoli piovono milioni di euro: merito di una sentenza emessa dal Tar del Lazio lo scorso 8 settembre, che ha sbloccato i mutui contratti dagli scali italiani. Il tribunale amministrativo ha accolto il ricorso presentato dalle Autorità portuali di Napoli, Ravenna e Salerno e ha annullato i limiti di spesa posti dalla Finanziaria 2005. A causa di quella limitazione, Napoli si era vista finanziare solo 15 dei 26 progetti legati al porto. Nella nuova Finanziaria è stato eliminato il tetto del 2%, e per Napoli sono stati sbloccati 96 milioni di euro di mutui contratti, che serviranno per i lavori al nuovo terminal Levante, per la viabilità all’interno del porto, per le autostrade del mare e per il riposizionamento delle aziende cantieristiche e di riparazione navale. Dopo questa buona notizia e dopo un trend positivo di crescita per tutto il settore dello shipping partenopeo, il segretario generale dell’autorità portuale di Napoli Pietro Capogreco si sbilancia: “Possiamo dire con certezza – afferma – di aver vinto la nostra scommessa. Adesso si tratta di continuare a lavorare su questa strada”. Una strada in discesa, che in pochi anni ha portato lo scalo portuale di Napoli ad assumere un posto di rilievo nel panorama internazionale dell’economia marittima. Il rilancio è iniziato nel 2000 e prosegue con il progetto di restyling del waterfront, un’area in cui la città e il mare si incontrano. Nonostante le recenti polemiche sulla gara d’appalto vinta dalla holding pubblica Nausicaa Spa, “i lavori – secondo Capogreco - non dovrebbero subire alcuna battuta d’arresto”. Lo sviluppo del porto ha convinto anche i cinesi, che hanno scelto Napoli come punto di arrivo dei loro container. La Cosco ha investito oltre 200 milioni di euro nel terminal di Levante attraverso la società controllata Conateco (che è per il 50% di proprietà della Msc). “È una scelta di grande rilievo – spiega Anno 2002 2003 2004 2005 2006 In un anno 800 mila croceristi Sono stati più di settecentomila i croceristi che nel 2006 hanno affollato il porto di Napoli. Un incremento rispetto all’anno precedente del 17,9%. È quanto emerge dalla statistica annuale realizzata dall’Autorità portuale in collaborazione con il Ced (Centro di educazione demografica), che hanno monitorato l’affluenza turistica navale nel periodo compreso tra gennaio e settembre. Stando ai dati, il numero di navi attraccate al porto ad oggi si attesta intorno alle seicento: di queste, più di ottanta nel solo mese di agosto, mentre a settembre i passeggeri sono stati 160mila. La continua espansione del settore è stata confermata durante la conferenza sulle crociere nel Mediterraneo che si è svolta nei giorni scorsi in città. Nel corso dell’incontro il vicepresidente del Consiglio con delega al Turismo Francesco Rutelli ha ricordato che l’Italia e la Campania si attestano ai primi posti nel mondo per qualità dei servizi, efficienza e sicurezza navale. Rutelli ha poi firmato con il presidente della Confederazione Italiana Armatori Nicola Coccia un’intesa finalizzata a sfruttare le opportunità generate dal turismo marittimo. Per Coccia, le crociere e le compagnie che gestiscono le navi traghetto sono le uniche ad aver sperimentato e messo in pratica con successo forme di turismo destagionalizzato. Negli ultimi quattro anni, infatti, anche le crociere invernali hanno promosso iniziative importanti, raddoppiando il loro fatturato: tra novembre e dicembre 2005 sono passate per Napoli 54 navi da crociera, per un totale di oltre 52mila passeggeri. Per la fine di quest’anno se ne prevedono almeno ventimila in più. Il presidente di Confitarma ha aggiunto che le compagnie croceristiche stanno realizzando un importante lavoro nel campo del marketing territoriale nelle aree in cui le loro navi scalano, volto a favorire gli standard di eccellenza promessi ai turisti. Tra questi, in Campania sono previsti lavori di ristrutturazione nella zona del porto, apertura di nuovi alberghi e potenziamento dei trasporti. Nonostante i dati incoraggianti, Coccia ha sottolineato quanto i problemi legati alla criminalità potrebbero essere devastanti per il comparto turistico regionale. Per il presidente è quindi indispensabile intervenire nel breve tempo con misure mirate: “Le crociere generano in città un indotto pari a 250 milioni di euro. Per questo è necessario intervenire subito, affinché l’emergenza non si trasformi in una spirale involutiva con riflessi disastrosi sull’economia”. [Ornella d’Anna] l’assessore regionale ai Trasporti Ennio Cascetta – che influisce sull’assetto del futuro della portualità italiana e che doterà il porto di Napoli di un terminal contenitori in grado di ricevere navi da 10 mila teus (unità di misura dei container, pari a 20 piedi, ndr)”. L’ultimo bilancio del comitato portuale, relativo al 2005, registra un aumento del 6,8% delle merci movimentate rispetto all’anno precedente, con un totale di oltre 21 milioni di tonnellate. Anche il traffico container è cresciuto: sono 373.706 i contenitori movimentati nell’ultimo anno. In aumento nel 2005 anche il traffico ro-ro (cabotaggio nazionale): secondo i dati forniti dall’Autorità il tonnellaggio di questo traffico, che riguarda gli autocarri e i veicoli industriali, ammonta a 8.172.429, con un incremento annuo del 10,7%. Un altro settore che registra un trend positivo è quello del traffico passeggeri: attraverso le autostrade del mare si sono mosse nel 2005 oltre 980 mila persone, registrando una crescita pari a 103,9% negli ultimi 5 anni. Il successo del trasporto passeggeri, però, viene anche dal numero sempre crescente di crociere che fanno tappa a Napoli, e dal successo del Metrò del mare. Nei soli primi tre mesi dell’anno sono stati oltre 90 mila i passeggeri imbarcati sulle sei linee in servizio. Un possibile scoglio alla crescita dell’economia marittima di Napoli (ma in generale di tutti i porti italiani) è rappresentato dai dragaggi, necessari per far arrivare negli scali marittimi le navi portacontainer giganti con un pescaggio maggiore. “Confidiamo conclude Capogreco - che al più presto il presidente della commissione trasporti della Camera Michele Meta possa presentare una proposta risolutiva che coniughi le esigenze di tutela ambientale con le escavazioni dei fondali necessarie per lo sviluppo dell’economia portuale”. [ Francesca Milano ] i punti di forza 7 inchiostro numero 5 dicembre 2006 La ricerca si avvicina all’impresa I fondi in arrivo dalla Regione e dall’Europa finanziano la collaborazione tra produzione e università Con i “Centri di competenza” la sperimentazione può trasformarsi in ricchezza Un’indagine svolta nel marzo 2006 dall’Osservatorio sulle piccole e medie imprese rivela come le aziende meridionali e specialmente quelle campane, mostrino, rispetto a quelle centro-settentrionali, una maggiore propensione a stipulare accordi con le università, non solo finalizzati alla formazione del personale, ma anche alla ricerca e al trasferimento tecnologico. Dato confortante poiché, secondo Capitalia, tra il 2001 e il 2003 l’apporto delle università alle imprese è stato di poco inferiore al 13%. Il segnale è preciso: lo sviluppo di accordi di cooperazione tra imprese, università e centri di ricerca, è uno dei punti di debolezza del nostro sistema competitivo. In questo quadro generale, tuttavia, la Campania si differenzia per una opposta linea di tendenza. Le ragioni vanno individuate, secondo l’Osservatorio sulle piccole e medie imprese, in una politica per l’innovazione che ha dotato la regione di organismi specifici come i centri regionali di competenza. Definiti in gergo burocratese come “incubatori per lo sviluppo”, “interfacce tra la scienza e l’imprenditoria”, “mediatori tra la domanda e l’offerta di conoscenze”, i centri di competenza non sono altro che un tramite privilegiato fra l’università e le imprese. Dieci in tutta la Campania, finanziati, nel quadro dalla misura 3.16 del piano operativo regionale, con fondi regionali e comunitari. Il loro scopo è di potenziare la ricerca e l’innovazione mettendo a sistema l’intero patrimonio di competenze esistente in Campania riguardo a specifiche materie che vanno dai trasporti all’analisi e il monitoraggio di rischi ambientali, dai beni culturali alle produzioni alimentari. Uno di questi centri è il Bioteknet: “Il nostro centro di competenza – spiega il project manager Amleto D’Agostino - si occupa di biotecnologie industriali. L’ attenzione è rivolta cioè allo sviluppo di processi industriali e di tecnologie che utilizzano sistemi biologici o loro componenti”. Il Bioteknet sfrutta una rete costituita da dieci dipartimenti appartenenti a tre diverse università campane, due istituti del Consiglio nazionale delle ricerche, due strutture di ricerca ospedaliere e due parchi scientifici e tecnologici. Secondo questo modello, ogni centro di competenza svolge principalmente un lavoro di coordinamento finalizzato ad aggregare piuttosto che a stimolare la concorrenza tra gli attori presenti sul territorio, come le imprese, i centri di ricerca e i dipartimenti universitari. L’obiettivo è quello di generare un circolo virtuoso di cooperazione fra tutte queste strutture, ma c’è di più. “Il coordinamento e la formazione - spiega infatti D’Agostino sono solo alcuni aspetti del lavoro svolto dal nostro centro di competenza. Su un altro versante, una attenzione molto particolare è rivolta alle imprese. Le nostre ricerche riguardano infatti aspetti pratici dei processi produttivi, ad esempio, lo sviluppo di nuove tecnologie e i risultati conseguiti sono indirizzati innanzitutto all’offerta”. “Il Bioteknet – specifica ancora D’Agostino - si occupa anche di monitorare il mercato alla ricerca di imprese interessate ai risultati dei nostri studi. Su una commessa dell’azienda farmaceutica Altergon Italia, siamo riusciti, ad esempio, a sviluppare attraverso un processo produttivo su scala industriale una particolare sostanza chiamata condroitinosolfato utilizzata in campo farmaceutico per il benessere dei tessuti articolari. L’apporto specifico della nostra opera di ricerca sta nel fatto che la sostanza in questione è solitamente estratta dalle cartilagini di alcuni animali rari come ad esempio gli squali: noi invece siamo riusciti ad Capofila Centri di competenza I Centri di competenza in Campania ottenerla in laboratorio, per via fermentativa. La nostra scoperta permetterà di facilitare la produzione salvaguardando contemporaneamente la sopravvivenza di determinate specie animali”. Il lavoro svolto dal Bioteknet ha conseguito anche delle positive ricadute sul territorio: “A seguito di una costante e proficua cooperazione – racconta D’Agostino – l’azienda farmaceutica svizzera IBSA ha aperto un nuovo stabilimento produttivo in Italia, proprio in Campania, ad Avellino”. Questo esempio può chiarire come gli strumenti teorici e pratici dei centri di competenza possano favorire l’ integrazione nel mondo del lavoro, stimolando la creazione di imprese innovative. Tuttavia, anche se, sulla carta, gli interessi delle aziende e delle università possono apparire convergenti, la gestione dei rapporti tra le parti in gioco può diventare a volte molto difficile da gestire, lo sottolinea il professore Giuseppe Cantillo, direttore del centro d’ateneo per la formazione nella scienza umana e sociale dell’università Federico II: “La complessa struttura dei centri di competenza – avverte infatti Cantillo - prevede che tutti i componenti di questa rete siano all’altezza del progetto e può spesso accadere che non sia così. Non sempre, infatti, le aziende sono disposte ad investire in risorse umane e tecnologiche”. L’Osservatorio sulle piccole e medie imprese, infatti, ha messo in luce come queste riescano a sfruttare il concorso delle università per far fronte a problemi come quello della formazione del personale. In questo il centro di competenza svolge un ruolo primario, utilizzando i fondi pubblici per l’organizzazione di attività didattica e stage aziendali. “Cosa accadrà – si chiede però Cantillo – quando, nella seconda fase del progetto, ogni centro di competenza dovrà sganciarsi dai fondi pubblici e rendersi completamente autonomo sotto il profilo dei finanziamenti? In quel caso il rapporto si rovescerà e saranno le aziende a dover investire concretamente, diventando finanziatori attivi della ricerca”. La questione è aperta. Tra i dieci centri della Campania, Il Bioteknet è tra quelli che già hanno intrapreso la strada dell’autonomia. Bisognerà attendere che tutti riescano a portare a termine questo percorso. E’ una delle grandi sfide dell’economia campana. Il rapporto tra università e aziende può essere decisivo per lo sviluppo della regione. Ora è importante trovare il giusto equilibrio perchè il binomio sia davvero vincente. [ Daniele Demarco ] Entro il 2008 due nuovi padiglioni per il Consorzio “Tarì” Al Cis-Interporto si affiancherà il centro servizi Vulcano Buono realizzato da Renzo Piano Il gioiello di Marcianise A Nola un business da 15 miliardi Ersac: vino, pomodori e pasta reggono la competizione con i Paesi in via di sviluppo. Il caso di eccellenza della Doria per competere sul mercato: tre “La strategia vincente del Tarì è manifestazioni fieristiche specializuna sola: mettere a sistema imprezate per il settore, 100 espositori se, istituzioni e i più diversi esterni, 400.000 operatori presenti, ambienti culturali”, è il vanto di oltre 23.600 presenze consolidate Gianni Carità, presidente del per ogni edizione. Gran rilievo Consorzio Orafo di Marcianise, ha il settore export: il prodotto che unisce alcune delle più prestidelle aziende è destinato, per il giose aziende del settore in trenta per cento, ai paesi europei, Campania. Con queste premesse il del Mediterraneo e agli Stati Uniti. Tarì si fa strada, da anni, sul merIn cantiere ci sono nuovi progetti: cato della gioielleria. la realizzazione di due nuovi padi“Fare sistema – continua Carità - è glioni espositivi, che entro il 2008 la strada per salvaguardare le idensostituiranno l’attuale struttura, tità dei singoli, allargando infinitaraddoppiando li spazi espositivi mente le loro potenzialità di crescie la nascita della Fondazione ta. È stata anche in questi anni la “Il Tarì”, per lo sviluppo del strada per affrontare la contrazione Centro di Marcianise. “Più che dimercato e la grande confusione punti di eccellenza – che ne è scaturita. conclude Carità – il È però una strada difTarì ha una costante ficilissima, che richiede tensione verso l’ecceltempo, maturità, conlenza, l’attenzione ai sapevolezza della problemi della necessità di abbandoqualità, dell’organiznare gli estremismi zazione e del servizio dell'individualismo”. al Cliente. Le leve per Il Tarì è nato nel 1996 la competitività delle creando una sinergia nostre aziende sono tra 370 aziende che l’attenzione alla formafatturano annualmente zione lo stimolo della circa 800 milioni di creatività”. euro. Una cittadella Il Tarì, foto di G. Nardone con le carte in regola [ Giulia Nardone ] Tredicimila mezzi all’ora nel 2007. Questa la stima del movimento di Cis, Interporto di Nola e Vulcanobuono, che – secondo il presidente Gianni Punzo – registreranno un fatturato complessivo di 15-16 miliardi di euro. Tre soggetti che insieme puntano a fare della Campania il polo economico del Mezzogiorno. Tra gli ultimi eventi che dimostrano l’importanza dell’interporto campano c’è l’ingresso del gruppo Gallozzi, leader nella movimentazione di container, che ha recentemente acquisito una significativa partecipazione in Tin (Terminal intermodale di Nola). Una joint venture che si pone l’obbiettivo di rafforzare il sistema logistico intermodale campano. Il punto di forza dell’interporto è la posizione geografica: vicino non solo al porto di Napoli, ma anche a quello di Salerno e a quello di Gioia Tauro, ritenuto uno dei centri più importanti di movimentazione di containers del Mediterraneo. Nell’interporto di Nola vengono stoccate, manipolate e movimentate merci attraverso tutte le quattro modalità di trasporto (aria, gomma, acqua, ferro). Una volta conclusi i “Piccola dimensione e limitata superficie agricola – spiega Giancarlo Mellucci, responsabile ufficio progettazione e marketing dell’Ersac, Ente regionale di sviluppo agricolo in Campania –, ecco gli ostacoli allo sviluppo”. Secondo le valutazioni dell’Ersac, il sistema economico campano soffre per le carenze infrastrutturali, per la diminuzione del Pil regionale e la scarsezza degli investimenti imprenditoriali. Intralciano la crescita anche la limitata capacità di esportazione e di attrazione di investimenti esterni. “Il dislivello si può superare – dice Mellucci – con la comunicazione incisiva e la diffusione dell’aggregazione-cooperazione tra microaziende”. L’Ente regionale di sviluppo agricolo in Campania valorizza e promuove i prodotti agroalimentari. Le società ritenute idonee all’export sono 600 e contribuiscono a costruire progetti di internazionalizzazione del comparto. “I risultati migliori – continua – li abbiamo ottenuti con la certificazione di qualità delle aziende”. L’agroalimentare è uno dei sistemi produttivi più attivi. Occupa il quinto posto nella graduatoria delle esportazioni nazionali per i prodotti trasformati e il settimo Il ‘Vulcano buono’ in costruzione accanto al Cis di Nola, foto di Giulia Nardone lavori dei 350 mila metri quadrati, nell’interporto troveranno spazio 10 mila tonnellate di merci al giorno, conservate nella “polo del freddo”, la zona frigoriferi di oltre 30 mila metri quadri e nei magazzini coperti di 75 mila metri quadri. Al binomio già rodato tra il Cis, diventato il maggior centro di distribuzione all’ingrosso d’Europa, e l’interporto campano, si aggiunge anche il progetto del centro servizi polifunzionale “Vulcano buono”, che dovrebbe vedere la luce nel 2007. Ideato dall’architetto Renzo Piano, il centro servizi – costruito a immagine e somiglianza del Vesuvio - ospiterà alberghi, ipermercati, ristoranti, multisala e una piazza centrale, luogo simbolo degli “scambi”. I lavori procedono, nonostante un recente blitz delle forze dell’ordine contro il lavoro nero. Carabinieri, Asl Napoli 4, Inps e hanno posto il divieto d’uso parziale del cantiere. [ F. M. ] Industria agroalimentare, la sua forza è la qualità posto per il settore dei prodotti primari. In Campania la bilancia agroalimentare è in positivo grazie al surplus cospicuo dell’industria di trasformazione. Per le vendite all’estero prevale il settore delle conserve di frutta e verdura, con quasi la metà delle esportazioni del comparto.I sei mercati che assorbono oltre il 50% dei prodotti campani sono la Germania, il Regno Unito, la Francia e la Spagna, nell’area euro, insieme ai non europei Usa e Svizzera. Migliori clienti acquisiti risultano i cinesi. “La sfida – con clude Mellucci – è puntare sulla qualità anche se il rapporto qualitàprezzo ci rende meno competitivi rispetto ai sud africani, ai cinesi e ai paesi dell’america latina”. La congiuntura del biennio scorso ha ridotto il Pil campano. La contrazione dei consumi delle famiglie ha influito sulla riduzione delle vendite all’estero e degli investimenti nel comparto. Le esportazioni sono calate di 1,2 miliardi di euro. Rispetto alla quota dell’export nazionale la Campania ha ridotto di mezzo punto percentuale il valore delle vendite all’estero. Nella commercializzazione della produzione ci sono due filoni. Uno di prodotti tradizionali diventati commerciabili come i liquori agli agrumi, le paste speciali, le varianti della lavorazione di formaggi a pasta filata. L’altro delle merci fidelizzate come la pasta, l’olio extra vergine d’oliva, i prodotti caseariolattieri, le conserve alimentari e l’ortofrutta fresca. Negli ultimi anni il vino ha assunto il ruolo di “prodotto bandiera” del comparto inducendo effetti positivi sull’economia regionale. Il conserviero invece contiene La Doria, l’eccellenza campana per essere l’unica azienda quotata in borsa.La società di trasformazione del pomodoro è nata negli anni cinquanta ad Angri. Negli anni sessanta è presente all’estero con le private labels. Negli anni settanta diversifica la produzione con legumi, succhi e macedonia. Negli anni ’80 ammoderna gli impianti per raddoppiare la capacità produttiva. Il 1995 si quota in borsa. In seguito la Doria costituisce una società di commercializzazione con la Gerber Foods International, uno dei maggior operatori inglesi. Acquisisce poi la Pomagro, Sanafrutta e Eugea Mediterranea. [ Patrizia Varone ] Avere la stoffa La Campania che è di moda nel mondo L’eccellenza napoletana ha il volto antico dell’artigianato manifatturiero. Numerose sono le aziende di prestigio che operano nel settore della moda, soprattutto maschile, con marchi di lunghissima storia, che rappresentano oggi l’evoluzione della più antica tradizione campana. Ed ecco sulla passerella mondiale il “made in Naples” delle creazioni di Attolini e di Isaia, delle camicie di Finamore, delle scarpe da uomo di De Cristoforo, delle cravatte di Marinella e, ancora, degli abiti firmati Flannel Bay, Harmont&Blaine e Kiton. Ci vorrebbe un libro per raccontare, uno per uno, chi sono questi paladini dell’eccellenza, per descrivere la loro voglia di impresa, la genialità che si trasmettono di padre in figlio e, soprattutto, la determinazione di guardare il mondo restando a Napoli, perché hanno scoperto che la location gioca un ruolo determinante. In questi ultimi anni, infatti, la geografia della moda italiana ha polarizzato le previsioni di sviluppo su province inconsuete fino a pochi anni fa: Milano, Roma e Napoli. Sono queste le città in cui si avverte la nascita dei nuovi “guru” del “made in Italy”. La moda a Napoli in particolare è un fenomeno di vitalità crescente confermata dalla Banca d’Italia, i cui dati indicano un incremento nell’export campano del settore, che sta spingendo l’alta moda in una direzione diversa dal passato. Lo testimonia l’obiettivo di realizzare un marchio di identificazione del prodotto che ne chiarisca la provenienza e dia la giusta visibilità alle aziende. I segnali positivi già sono arrivati da varie parti del mondo in circa due anni di operazioni in tal senso. L’export è aumentato in maniera consistente in Europa, Giappone e soprattutto in America a dimostrazione che i capi caratterizzati da qualità attirano sempre maggiormente, perché i compratori esteri considerano il prodotto artigianale il frutto della fantasia e della manualità, un concetto di cui far tesoro in un mondo industriale che tende all’omologazione. E così è nata la giacca a “mappina”, il taschino a barchetta e i bottoni ravvicinati sulle maniche inventati da Vincenzo Attolini, padre del marchio omonimo che ha vestito uomini come Totò, De Sica, Clark Gable e il duca di Windsor e che ancora veste nomi illustri con i suoi discendenti. E ancora la camicia Finamore che ha una scuola quasi centenaria di manufatto realizzato completamente a mano, oppure la realtà aziendale del marchio Isaia che, da laboratorio degli anni venti dove si confezionavano abiti da uomo su misura, è diventata una piccola impresa ma con un’ottica di sviluppo internazionale. Eccellente esempio del “made in Naples” è l’azienda Marinella. Dopo il nonno Eugenio e il padre Luigi, Maurizio rappresenta la terza generazione della famiglia, nel portare avanti con successo le sorti del piccolo negozio di Riviera di Chiaia, rimasto immutato nel tempo. Questo, famoso in America quanto i Faraglioni di Capri, fino a quattro anni fa era anche l’unico punto vendita nel mondo. Oggi accanto al negozio di Chiaia ci sono le sedi a Milano e il corner nel departement store di Bergdorf & Goodman a New York. [ Adriana Costanzo ] 8 i liberi mercati Liberalizzazioni, rivoluzione mancata Privatizzazione delle ex municipalizzate: l’Italia a due velocità. Il Sud arranca, il Nord compie i primi passi Da Telecom agli istituti bancari, tutte le cessioni delle aziende di Stato per competere sulla scena internazionale Aprire un rubinetto, accendere un fornello, salire su un taxi o sul metro. Ma anche acquistare una casa, ottenere un finanziamento e dar vita a un’impresa. Dai gesti quotidiani alle pratiche più complesse, il motto è sempre lo stesso: “spendere meno, ottenere di più”. È quanto promette da vent’anni l’Eden della liberalizzazione, riforma delle riforme di ogni esecutivo e agognato miraggio del popolo dei consumatori. Negli ultimi quattro lustri, i più importanti settori della cosa pubblica – credito, telecomunicazioni, energia elettrica, gas, servizi idrici e trasporti pubblici – sono stati oggetto di un passaggio, totale o parziale, alla sfera della libera impresa. Un processo di massiccia privatizzazione mirato a risanare i conti pubblici e a rendere i mercati nazionali sempre più competitivi ed efficienti. Tra il 1992 e i primi mesi del 2001 in Italia sono state effettuate cessioni di quote di aziende pubbliche per circa 234.800 miliardi di lire. Tali cessioni hanno riguardato importanti aziende di proprietà del Ministero del Tesoro (Telecom, Seat, Ina, Imi, Eni, Enel, Mediocredito Centrale, Bnl), della smantellata Iri (Finmeccanica, Aeroporti di Roma, Cofiri, Autostrade, Comit, Credit, Ilva, Stet), del gruppo Eni (Enichem, Saipem, Nuovo Pignone), dell’Efim e di altri enti, come l’Istituto bancario S. Paolo di Torino e il Monte dei paschi di Siena. Nei sette anni più intensi del processo, dal ’92 al ’99, sono entrati nelle casse pubbliche oltre 178.000 miliardi di lire, quasi l’8% del Pil di quello stesso periodo. In questo mare magno, il primato in termini di aziende dismesse se lo aggiudicava il settore delle telecomunicazioni, con un’incidenza del 33,2% sul numero complessivo di soggetti privatizzati. Sulla scia si attestava il bancarioassicurativo, a quota 31,6% e a distanza i trasporti con il 13%, l’agro-alimentare con il 3,4% e l’editoria con il 2,8%. Sulla stessa direttiva, si è proceduto alla privatizzazione parziale di aziende pubbliche locali come l’Acea di Roma o l’Atm di Milano. Eppure il limite di questa maxi-operazione, in termini di liberalizzazione di mercato, appare oggi evidente con gli effetti di piazza portati dal decreto Bersani. L’obiettivo del pacchetto di riforme, nelle parole dal ministro dello Sviluppo, è quello “di accrescere l’offerta nel settore dei trasporti, del commercio, delle assicurazioni e delle libere professioni”. Ma l’immediata e virulenta reazione delle categorie coinvolte – tassisti, avvocati, farmacisti titolari di esercizi – la dice lunga sullo stato dell’arte della “rivoluzione liberal” italiana. Il processo di dismissione degli anni ’90 ha contribuito certamente al parziale risanamento dei conti pubblici, con la riduzione di circa 25.000 miliardi della spesa per interessi sul debito pubblico. Tuttavia, gli esiti liberisti di questa riconversione sono stati molto modesti, e disomogenei a livello territoriale. Il Belpaese ha funzionato a due marce. Da una parte le rapide e competitive aggregazioni delle ex municipalizzate del Nord, dall’altra l’inerzia e la mancanza di un disegno strategico dei soggetti del Sud. Tra il 2000 e il 2004, il Mezzogiorno ha visto realizzare appena il 7% delle alleanze tra operatori degli ex servizi pubblici locali, e tutte di respiro limitato. Fusioni, quotazioni in Borsa e costituzioni di holding su piano comunale restano sconosciute a sud di Roma, dove le ex-municipalizzate hanno spesso gravi difficoltà di bilancio. Una privatizzazione affrettata in queste regioni – avvertono le associazioni di categoria – può diventare un viatico per il riciclaggio di denaro sporco da parte della malavita organizzata. Poco consolano, poi, le Sirene della nati-mortalità d’impresa, che pure indurrebbero a un ottimismo moderato.Secondo dati Uniocamere, nelle cinque regioni del Sud, nel solo primo trimestre 2005 sono nate 8.458 imprese commerciali, con saldo positivo rispetto all’anno precedente. Ma si tratta di un dato quantitativo, che non tiene conto del fatturato dei soggetti in gioco. Ed è altrettanto vero che a salire – e in maniera più consistente – è anche il numero di imprenditori che cessano l’attività, che sono saltati a 7.512 unità, il 14,6% in più rispetto al 2004. Palma nera alla Campania, dove la vita media delle imprese commerciali sarebbe ormai ridotta a sei mesi. E dove il pil pro capite è precipitato a quota 15.499 euro - davanti solo a Puglia e Calabria –, quando la media nazionale sfiora i 25.000 euro. Secondo Confcommercio e eonfesercenti si tratterebbe degli effetti “collaterali” della riforma contenuta nel decreto legislativo 114/98, che ha introdotto un iter più snello per le nuove aperture. Attraverso un radicale decentramento di competenze a regioni e enti locali, il provvedimento è nato con l’intento di apportare significativi elementi di concorrenza in un settore per decenni regolamentato come quello della distribuzione al dettaglio. Ma gli effetti benefici sarebbero stati limitati dal fatto che, questo stesso snellimento avrebbe favorito il debutto di imprenditori impreparati, dunque destinati al fallimento. Se poi si volge lo sguardo al grado di concentrazione del commercio al dettaglio, ciò che emerge è ancora una volta il forte disequilibrio tra la realtà settentrionale e quella meridionale. Alle regioni del Centro-Nord in cui la grande distribuzione è penetrata con maggior intensità, si contrappone un Sud in cui la presenza della grande distribuzione risulta scarsa. Sempre a livello regionale si evidenzia poi una correlazione negativa tra densità per abitanti della piccola e della grande ditribuzione. Per esempio, là dove la struttura regionale appare sbilanciata sulla tipologia di esercizi commerciali a ridotte dimensioni, il grado di penetrazione della grande impresa è generalmente molto ridotto. Avvicinando ancora una volta la lente di ingrandimento alla Campania, si rileva un aumento di densità sia della piccola che della grande impresa. Dal 1998 al 2001 gli esercizi mediopiccoli sono passati dal numero di 129 ogni 10.000 abitanti a 140, mentre le grandi catene di distribuzione da otto a più di dieci. Valutare positivamente un aumento della numerosità delle attività di minor “stazza” sembrerebbe contraddittorio conquanto sostenuto dalla teoria economica, che vede nell’espansione della grande impresa commerciale la spinta a un effettivo aumento di concorrenza. Tuttavia il fatto che queste nuove aziende abbiano siano venute alla luce non come prodotto di regolamentazioni restrittive, ma come effetto della riduzionedi barriere all’entrata, non può che far ben sperare. [ Alessandro Potenza ] Licenze taxi, con il decreto Bersani ogni Comune deciderà in autonomia A Napoli dopo le proteste estive dei tassisti si attende l’insediamento di una commissione consultiva che stabilirà modifiche su tariffe e percorsi Le proteste a fiume dei tassisti, nel mese di luglio, partite dal Circo Massimo di Roma e propagatesi per tutta la penisola e le levate di scudi da parte delle categorie di farmacisti, avvocati e notai, sono un indicatore di come il percorso verso le liberalizzazioni in Italia sia irto di ostacoli. Il ministro allo sviluppo economico, Pierluigi Bersani, dopo la vittoria della coalizione guidata da Romano Prodi, il 4 luglio ha apposto il proprio sigillo ad un decreto sulle liberalizzazioni, passato poi in via definitiva il 4 agosto. Gli effetti su mercati e competitività del cosiddetto “Pacchetto Bersani” non sono ancora a portata di analisivisto il breve lasso di tempo dalla sua entrata in vigore, ma vediamo cosa prevede. Sugli alimentari introduce “la liberalizzazione della produzione del pane con l’abolizione del limite al numero dei panifici in ciascun comune, via libera alla vendita dei farmaci da banco anche in supermercati ed esercizi commerciali (esclusi gli alimentari). Per quanto riguarda le professioni regolate da albi è stato abolito l’obbligo dell’atto notarile per il passaggio di proprietà di auto, moto e barche. Abolita la tariffa minima per i professionisti con “possibilità del cliente di negoziare la parcella” e possibilità per i liberi professionisti – esclusi i medici facenti capo alle Asl – di pubblicizzare la propria attività. Ma il passaggio che ha incontrato le proteste più accese della categoria interessata, è quello della disciplina relativa ai taxi. Il decreto prevede un “aumento dei mezzi in circolazione attraverso la ‘programmazione a livello locale’ e la possibilità per i tassisti di ampliare i turni di lavoro, avvalendosi di dipendenti o familiari, e per i consorzi di utilizzare veicoli aggiuntivi. Nel caso in cui la programmazione locale manchi, i Comuni possono intervenire bandendo pubblici concorsi, nonchè concorsi riservati ai titolari di licenza taxi per l'assegnazione di licenze aggiuntive”. Si tratta di un compromesso perché inizialmente il decreto-legge prevedeva la possibilità del “cumulo delle licenze ad uno stesso intestatario”. Sono seguiti scioperi dei tassisti in tutta Italia. La categoria temeva che nuovi grandi gestori, acquisendo più licenze, avrebbero monopolizzato il mercato schiacciando i singoli tassisti. Nel testo definitivo viene conservato “il divieto di cumulo di licenze al medesimo intestatario”. A tre mesi dal decreto, però, la normativa sui taxi si decide a livello locale, grazie ad accordi tra amministrazioni comunali e tassinari. A Napoli, i 2400 tassisti che a luglio, temendo il peggio, hanno protestato e bloccato il loro servizio, dopo l’accordo, raggiunto a livello nazionale, sono ritornati alla loro normale attività. Come se nulla fosse accaduto e il decreto Bersani fosse solo un incubo ormai passato. In città, intanto, si attende l’insediamento di una Commissione consultiva, composta da esperti di viabilità nominati dal Comune, rappresentanti sindacali della categoria dei tassisti e una rappresentantza degli utenti nominati da Unione consumatori. Si tratta di una taskforce che collaborerà con il Comune e lavorerà a stretto contatto con i tassinari, per concordare sistemi di prenotazione da estendere alle postazioni dei vari quartieri e per passare al vaglio ulteriori misure che vadano incontro alle esigenze degli utenti senza danneggiare i tassisti.Il responsabile dei trasporti pubblici ‘non di linea’, Vincenzo Assorgi,spiega: “L’emergenza viabi- Tassisti in sciopero, foto di Giulia Nardone lità e il conseguente commissariamento della funzione viabilità e parcheggio è il contesto in cui siamo costretti a muoverci. Effetti del decreto Bersani sulla domanda e offerta di taxi ancora non se ne vedono e non se ne vedranno almeno sino a fine novembre, data in cui si insedierà la Commissione Consultiva”. Ma la novità a Napoli è il taxi gratis per particolari classi di utenti, gli appassionati di teatro. “Grazie ad una apposita convenzione – sottolinea Assorgi – stipulata dai gestori del teatro Trianon con il servizio Radiotaxi, agli spettatori abbonati alla stagione teatrale è offerta la possibilità di raggiungere il teatro in taxi dopo aver lasciato la propria auto al parcheggio custodito S. Francesco e di usufruire dello stesso servizio a fine serata”. [ Eugenio Bonanata ] inchiostro numero 5 dicembre 2006 Il Comune di Napoli Tano Grasso: “Più coraggio nelle denunce” “L’associazione antiracket deve promuovere e organizzare il coraggio degli imprenditori”. Parte da qui la decima relazione del 14 giugno 2006 sulla situazione napoletana nel campo dell’antiracket nel periodo 2002-2006 stilata da Tano Grasso, consulente per le attività dell’Amministrazione comunale di Napoli in materia di tutela del cittadino dal racket e dall’usura. “Il coraggio è solo uno degli elementi dell’intera strategia antiracket. L’associazione antiracket è la somma della responsabilità individuale degli imprenditori e dell’intelligenza di una strategia”, dichiara Grasso nello scritto. Uno dei nodi centrali della relazione è la denuncia, vista come mossa vincente e necessaria da parte di quelle imprese bloccate dal giogo del racket. “L’impresa che accetta di subire il pagamento del pizzo costituisce un grave problema”. E’ per questo, infatti, informa Grasso che “una delle iniziative assunte dal Comune di Napoli riguarda l’introduzione, nei bandi di gara delle opere pubbliche, di una clausola tesa a scoraggiare l’acquiescenza delle imprese alle richieste estorsive. L’obiettivo è quello di rendere conveniente la denuncia. Gli imprenditori andrebbero sollecitati a denunciare, a liberarsi dai condizionamenti mafiosi e a passare dalla parte degli imprenditori non-conviventi. Lo Stato deve essere al loro fianco.” [ Ornella Mincione ] le proposte 9 ”Sul mercato in sette giorni” Il progetto del presidente della commissione Attività produttive Daniele Capezzone Il disegno di legge punta a favorire e ad accelerare l’iter di avviamento d’impresa Favorire, semplificare e accelerare la nascita di nuove imprese. E’ questo l’obiettivo della proposta di legge presentata lo scorso 20 luglio in Parlamento da Daniele Capezzone, presidente della Commissione Attività produttive ed ex segretario dei Radicali Italiani. L’idea rientra nel più ampio dibattito sulle liberalizzazioni che sta interessando l’Italia in questi mesi. Secondo un rapporto di oltre duecento pagine di Doing business, il rapporto che la Banca Mondiale stila ogni anno per stabilire la classifica dove è più semplice iniziare un’ attività, l’Italia è scesa dal sessantanovesimo al ottantaduesimo posto, penultima nell’Unione europea. “I dati parlano chiaro – dice Daniele Capezzone -. Il disegno di legge, né di destra né di sinistra, ma liberale rappresenta una nuova visione culturale prima ancora che strategica. Sarebbe una svolta epocale per il nostro Paese, una riforma a costo zero con l’unico scopo si snellire la burocrazia e favorire la crescita”. Adesso c’è da aspettare il lungo iter parlamentare. Se passerà la proposta, firmata da parlamentari di entrambe le parti politiche, sarà snellito il rapporto tra imprenditori e Stato facendo ricadere su quest’ultimo il peso e la lentezza della burocrazia. Sarà possibile entro una sola settimana lavorativa, e non più in un mese, autocertificare l’avvio di una nuova impresa commerciale o artigianale, poterla subito realizzare. Daniele Capezzone Solo dopo, la pubblica amministrazione potrà disporre i controlli di rito, ma avrà novanta giorni e non più trenta, come avviene ora, per farlo. “L’Italia è oggi il Paese occidentale in cui è più difficile fare impresa. Sono necessarie da cinquantotto a ottanta autorizzazioni per iniziare un discorso imprenditoriale. Per aprire una semplice carrozzeria ne occorrono addirittura settantasei rilasciate da diciotto diversi enti. Le difficoltà sono troppe sia per chi è in proprio sia per i lavoratori che sperano di essere assunti. Ora, ad esempio, per ottenere una concessione edilizia ci vogliono dai nove ai ventisette mesi”, fa notare Capezzone. Obiettivo della proposta di legge, di cui l’ex segretario radicale è il primo firmatario, è quindi modificare la legge del 1990 che prevede tempi troppo lunghi dalla dichiarazione di inizio attività, quella che i tecnici chiamano in gergo tecnico “dia”, all’effettivo inizio di questa. L’altra grande novità potrebbe essere l’obbligatorietà dello sportello unico in ogni comune, sulla carta presente già dal 2000 su indicazione del ministro della funzione pubblica Franco Bassanini, dedicato agli imprenditori. E se questo non sarà possibile da subito dovranno farsene carico i sindaci. Secondo Capezzone “l’approvazione della legge avrebbe un forte valore simbolico, aprendo la strada a una nuova prospettiva da cui guardare alla pubblica amministrazione”. Dichiarazioni favorevoli a questo tipo di iniziative non provengono soltanto dal mondo politico ma anche da quello dell’ impresa. Il direttore generale di Confindustria Maurizio Beretta ha affermato che i costi della burocrazia pesano sui bilanci delle aziende per quasi l’1% del Pil (il prodotto interno lordo). La Confartigianato ha rilevato nello studio sulla libertà d’impresa dello scorso giugno che un’azienda è costretta a dedicare più di trecentocinquanta ore al pagamento delle tasse, alla soluzioni di problemi legati alla documentazione da produrre per continuare a esistere. Troppe per chi guida una impresa che potrebbe spendere questo tempo alla ricerca di nuove tecnologie, all’organizzazione di corsi di aggiornamento che possano migliorare la qualità del lavoro degli operai. [ Marco Lombardini ] 10 i servizi Incentivi della Regione Fonti rinnovabili: pronti 50 milioni per le aziende Incentivi e finanziamenti alle imprese che investono nelle fonti rinnovabili: sono alcuni degli strumenti con cui la Regione Campania si propone di ripianare il deficit energetico. E con la diffusione di impianti di cogenerazione distribuita l’obbiettivo è abbattere del 30% i costi energetici delle aziende utenti. Sul Bollettino ufficiale della Regione sono stati pubblicati diversi decreti dirigenziali che riguardano il Programma operativo regionale 2006 e i relativi bandi per finanziamenti alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. Un primo decreto dello scorso mese di giugno prevede misure di sostegno all’efficienza energetica delle piccole e medie imprese attraverso la realizzazione di impianti fotovoltaici. Il bando è stato pubblicato nell’ambito del progetto integrato isole del golfo. Gli impianti incentivabili in conto capitale devono avere potenza inferiore a 20 kW e i soggetti destinatari sono le imprese operanti nell’ambito dei territori interessati dai Progetti integrati. Le risorse disponibili ammontano a un totale di 1.300.000 euro. In un altro decreto del 16 giugno 2006 sono previste invece incentivazioni al risparmio energetico, alla produzione di energia da fonti rinnovabili e alla cogenerazione distribuita. Gli interventi possono essere monosettoriali o in ambito di progetti integrati. Per quanto riguarda le rinnovabili gli impianti incentivabili sono quelli di produzione di energia elettrica. Le risorse disponibili sono pari a 50 milioni di euro. Lo scopo dell’intervento, si legge in una nota diffusa dalla Regione, è quello di contribuire ad aumentare il grado di diversificazione delle fonti energetiche incrementando la previsione a favore delle energie qualificate, indicata dalle linee guida di sviluppo sostenibile del settore. La previsione, prosegue la nota, di installare il 25% da fonti rinnovabili sul totale della potenza entro 2010 per l’azzeramento del deficit energetico, risulta, già oggi, ampiamente raggiunta. Possono beneficiare degli incentivi gli interventi finalizzati a realizzare o ad ampliare gli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, cioè che possonoriprodursi, a razionalizzare i consumi, ad ottimizzare l’uso dell’energia, a incentivare il risparmio energetico, a incrementare l’efficienza energetica negli usi finali, a promuovere il rendimento energetico nell'edilizia. Nonchè a incentivare la produzione distribuita di energia elettrica di piccola taglia anche mediante cogenerazione, di potenza non superiore a 50 MW. Ammesse agli aiuti le micro, piccole e medie imprese operanti in tutti i settori economici ad eccezione di quelli che si occupano delle attività connesse alla produzione, trasformazione, commercializzazione dei prodotti agricoli, di attività connesse all’esportazione, alla costruzione navale, all’industria carboniera e siderurgica, automobilistica e delle fibre sintetiche. Un’ulteriore priorità viene assicurata ai progetti che prevedano un utilizzo prevalente di fonte primaria proveniente da biogas e biomassa, meglio ancora da colture agroenergetiche. Potrebbe essere questa una delle strade per la soluzione del problema energetico. [ P. D. V. ] Industria in cerca di energia Acqua, corrente elettrica e rifiuti: una spesa in più nei bilanci degli imprenditori campani Molte strutture si sono dotate di generatori per superare i cali di tensione Buchi nella rete elettrica e buchi nelle tubature degli acquedotti: sono i principali ostacoli che l’energia incontra prima di raggiungere le imprese campane. A dirlo è il responsabile del settore energetico di Confindustria regionale Luciano Morelli. Perdite che pesano sui bilanci delle imprese, come le tasse per lo smaltimento dei rifiuti. Secondo le stime dell’associazione degli industriali, le interruzioni della fornitura di corrente elettrica sono mediamente superiori anche del 30% rispetto a quelle registrate nella media delle imprese del Centro-nord. I danni che derivano da questi blocchi sono il deperimento delle merci, interruzioni e ritardi nelle attività amministrative, perdite di commesse, semilavorati e hardware danneggiati. Secondo l’associazione degli industriali, le perdite si aggirano intorno all’1% del costo complessivo di produzione, ossia decine di milioni di euro all’anno. “Per fronteggiare i sempre più frequenti buchi di tensione – prosegue Morelli - diverse imprese si sono dotate di generatori propri”. Istituzioni ed enti del settore si stanno mobilitando per rattoppare la rete. “Confindustria Campania – rende noto Morelli – sta monitorando insieme all’Enel una serie di aree dove realizzare interventi strutturali per migliorare le connessioni della rete elettrica”. Ma in Campania i problemi più seri Un impianto eolico in Irpinia riguardano l’immissione in rete di energia: in regione se ne produce il 17% di quanta se ne consuma. Secondo il responsabile energia di Confindustria, la questione si risolve solo con la creazione di nuove centrali, soprattutto a turbogas. Come quella che sta nascendo a Sparanise. Per quanto riguarda le risorse idriche, Morelli definisce il sistema “abbastanza razionale”. Il fabbisogno campano di acqua si aggira intorno ai 1450 milioni di metri cubi all’anno, e di questi 200 milioni sono destinati ad usi industriali, secondo le stime di Confindustria. Allarmanti sono i dati sulla dipersione d’acqua: su 100 litri, circa un terzo si perde nel sottosuolo a causa delle pessime condizioni del sistema di tubature. Eppure, fa notare Morelli, in Campania vi è una grande disponibilità d’acqua. La parola d’ordine è quindi intervenire sulle infrastrutture, sui grandi adduttori e, anche in questo caso, rattoppare il sistema di condutture. Altro peso per le imprese, l’emergenza rifiuti. “Siamo danneggiati - aggiunge Morelli - sia dal punto di vista dell’immagine che offriamo ai clienti che vengono da fuori, sia dal punto di vista delle tasse da pagare per un servizio non reso”. Un danno che si riflette in maniera gravissima sull’industria del turismo. I rifiuti industriali devono essere trasportati fuori regione: un’azienda napoletana viene a pagare minimo 50 euro in più a tonnellata per il trasporto, secondo le stime di Confindustria. Per lo smaltimento dei rifiuti è in vigore una tassa basata sulla superficie dell’azienda e non una tariffa regolata in base alla quantità effettiva di rifiuti prodotta. “Il risultato, lamenta Morelli, è che si arrivano a pagare per un cassonetto anche 30-40 mila euro all’anno”. Per uscire dall’impasse, gli industriali napoletani propongono la gestione privata dei rifiuti industriali e l’avvio della differenziata. Confindustria ha tra i suoi obiettivi quello di concorrere allo sviluppo sostenibile attraverso collaborazioni ed accordi con istituzioni, enti e associazioni e con azioni di sensibilizzazione della popolazione tese a migliorare l’attitudine a “farsi carico delle responsabilità ambientali”. Già attivo in tal senso è il programma Energia intelligente dell’Unione europea, che si concentra sulla rimozione delle barriere non tecniche e sulla creazione di opportunità di mercato. [ Pasquale De Vita ] Tariffe minime: scontro tra generazioni Gli Ordini professionali si oppongono alla manovra del Governo. Ma i giovani apprezzano le novità Liberalizzare vuol dire decretare la morte della professionalità. Anche i commercialisti, insieme ad avvocati, architetti e ingegneri, dicono no al decreto Bersani. Hanno analizzato le nuove regole, vagliato le proposte e questa volta, i conti non tornano. Eppure a sostenere il valore della libera concorrenza erano stati soprattutto gli studiosi di economia. E ancora di più i giovani. Ad aprile, sul portale delle professioni economico giuridiche, è stato pubblicato un documento dal titolo “La sfida della concorrenza” dove i neo iscritti all’unione nazionale dei commercialisti evidenziavano il problema delle professioni in Italia, troppe regole e poco ricambio generazionale. I professionisti alle prime armi provavano a fornire un supporto per un’analisi critica della questione. Ma la scossa di luglio, seguita alla pubblicazione del decreto, ha spiazzato anche loro. Ne condividono la spinta verso l’apertura della professione e apprezzano l’abbattimento delle tariffe minime. Contestano però alcuni punti cruciali e i modi in cui la riforma è stata fatta. Non vogliono un aumento di responsabilità e di incombenze cui non corrisponda adeguato riconoscimento economico e non vogliono che siano date le stesse competenze a chi non ha seguito lo stesso iter formativo, passando per l’università e l’esame di abilitazione. Totalmente negativo, invece, il parere dei più anziani. L’ordine dei commercialisti campani, guidati da Achille Coppola, ha sottoscritto un manifesto di protesta indirizzato al Governo e subito dopo ha deciso di impugnare l’arma dello sciopero di piazza. Lo scorso 12 ottobre la maggior parte degli associati si è unita al coro delle voci dei 50mila professionisti che hanno manifestato a Roma contro il progetto di riforma. Un evento che sicuramente non rientra nel loro dna. Un forte segnale di disagio per il cambiamento. I professionisti dicono no all’abolizione delle tariffe minime, no al divieto di pattuire compensi che corrispondano agli obiettivi raggiunti, no alle libere società multidisciplinari e no soprattutto all’aumento di responsabilità e oneri senza alcuna contropartita. In particolare contestano la norma che impone al professionista di collaborare con la Pubblica amministrazione nella lotta all’evasione fiscale (Decreto Visco-Bersani), che si traduce solo in un aggravio di incombenze, rischi e costi. “Il governo ci chiede un ruolo di vigilanza antiriciclaggio, ci attribuiscono un ruolo di garanti della pubblica buona fede, ma a tutto ciò non corrisponde alcuna esclusiva professionale”, afferma Coppola. Ma non solo. Il Governo chiede che le parcelle non potranno più essere pagate in contanti, dovranno essere saldate attraverso una transazione bancaria, sia essa un bonifico, un assegno o un pagamento con carta di credito, insomma tutte le operazioni dovranno essere tracciabili. I professionisti saranno infine obbligati a tenere conti correnti dedicati per la gestione dell’attività professionale. “Tutte norme che addossano ulteriori oneri economici agli studi che inevitabilmente ricadranno sul cittadino stesso. Invece di snellire la Achille Coppola, foto di Giulia Nardone macchina burocratica la complicano e ne raddoppiano i tempi”, spiega Coppola. Le liberalizzazioni varate dal pacchetto Bersani rispondono alla chiamata di Bruxelles che nella relazione del 9 febbraio 2004, ha invitato i governi nazionali ad eliminare tutte le rigidità corporative e protezionistiche che limitano la concorrenza nei servizi professionali. Ma sui consumatori come influirà concretamente la riforma? Potranno trovare su riviste e giornali pubblicità degli studi e scegliere così la prestazione più consona alle proprie esigenze. Cosa fino ad ora impossibile perché imbrigliati dai codici deontologici che ponevano restrizioni sia di contenuti che di mezzi di diffusione. Niente più limitazioni dunque. Si potranno promuovere i propri servizi presso gli utenti che anche sulle riviste informative di pubblica utilità. Infine i clienti potranno rivolgersi anche a società di persone o associazioni tra professionisti per l’erogazione di servizi di tipo interdisciplinare. Il decreto però detta due condizioni. Il divieto di prendere parte a più di una società e la necessità di indicare preventivamente i soggetti che forniscono la prestazione, sui quali grava l’obbligo di responsabilità per l’attività svolta. E’ una prima risposta al crescente grado di internazionalizzazione dei servizi che consentirà di creare studi italiani più competitivi nello scenario europeo. “Pensare di liberalizzare le professioni non significa aprire a una concorrenza selvaggia, dove l’abusivismo diventa regola e l’improvvisazione viene elevata a rango di legalità”, afferma Raffaele Giglio, presidente del Collegio dei ragionieri di Napoli. I professionisti, infatti sono convinti che ci sia un accanimento da parte del Governo nei loro confronti. Chiedono di procedere nelle liberalizzazioni, non imponendole solo a categorie numericamente modeste, ma a tutti gli ambiti economicosociali, proprio nell’interesse delle nuove generazioni. “Ci sono settori strategici come l’energia e le telecomunicazioni, concentrati in poche mani, che operano in regime di oligopolio per questo vogliono che la Pubblica Amministrazione crei modelli di meritocrazia trasparenti e una riforma del mondo delle università, fondamentale per la ricerca”. aggiunge l’unione dei giovani commercialisti di Salerno. [ Iolanda Palumbo ] la burocrazia 11 inchiostro numero 5 dicembre 2006 La giustizia civile intralcia l’economia Un’indagine dell’Istat rivela come la lentezza dei processi incida negativamente sul sistema produttivo campano Napoli è la prima città d’Italia per numero di cause in materia di rapporti di lavoro e previdenza L’inefficienza della giustizia civile in Italia è uno dei fattori che limitano competitività e capacità di crescita nel paese. Questo è ancora più vero quando si parla di regioni come la Campania. Qui il grado di efficienza della giustizia, misurata in durata dei processi, spiega la scarsa natalità di imprese e le loro ridotte dimensioni rispetto alle altre regioni. I ritardi nella conclusione dei processi civili, infatti, penalizzano le realtà produttive e minano la competitività del sistema economico. In questo scenario si colloca la ricerca che l’Istituto nazionale di statistica ha commissionato al Consorzio per lo sviluppo delle metodologie e delle innovazioni nelle pubbliche amministrazioni. L’indagine Istat sottolinea come la durata dei processi nei tribunali del nord sia molto più breve rispetto a quelli del sud. Ma resta da spiegare come mai alcuni uffici con un maggior carico di processi come quello di Napoli, evidenziano performance migliori in termini di probabilità di chiusura dei procedimenti in primo grado. Le principali critiche mosse all’attuale sistema di crisi d’impresa in particolare nel meridione, consistono nell'inadeguatezza di alcune norme nel perseguire obiettivi di tutela dell’occupazione e di salvataggio d’impresa. La procedura fallimentare s’incentra, infatti, sul processo liquidatorio delle imprese insolventi. Prevale insomma la caratteristica d’azione di tutela dei creditori da realizzarsi attraverso la vendita di tutti i beni d'impresa anziché la conservazione del patrimonio organizzativo in grado di far sopravvivere l’impresa stessa. L’indagine evidenzia come la durata media delle procedure fallimentari si attesta intorno ai sette anni e mezzo, un valore di circa un anno superiore rispetto alla durata media registrata nell'anno 2000. Sono le società di fatto (46% contro il 62% del 2000) e le imprese individuali (36% contro il 40% del 2000) ad avere la più alta possibilità di incorrere in procedure dalla durata eccessiva. In generale le imprese coinvolte in procedure fallimentari sono per la maggior parte di “recente” costituzione. Hanno, infatti, mediamente circa 10 anni di vita. Sembrerebbe che, all’aumentare dell’età, per l’impresa si riducano le probabilità di entrare in crisi e di essere coinvolta in una procedura fallimentare. Anche i procedimenti per cause di lavoro Il cortile di Castel Capuano sede delle sezioni civili del Tribunale di Napoli, foto di Giulia Nardone incidono sulla nascita e soprattutto sulla sopravvivenza di alcun e imprese. Napoli ne subisce le conseguenze essendo la prima città d’Italia per numero di processi in materia di lavoro raccogliendo il 17% circa dei procedimenti accolti e il 27% circa di quelli rigettati. Le controversie in questo specifico ambito, sempre secondo l’indagine Istat, hanno una durata media di 2 anni e 5 mesi e sono caratterizzate dal fatto che per avere una sentenza occorrono 4 o 5 udienze per procedimento, e che trascorre circa un anno tra l’iscrizione a ruolo della causa e la data della prima udienza. La caratteristica principale di questo tipo di cause è che il tempo d’attesa della prima udienza assorbe più di un terzo del tempo complessivo. Inoltre il 40% di queste cause termina con un rigetto o con la rimessione di giudizio ad altra autorità. Strumenti quali la conciliazione e l’arbitrato che potrebbero preservare le imprese dai problemi derivanti dalla lentezza della giustizia, sono ancora poco utilizzati in Italia, nonostante i benefici che questi istituti presentano: durata certa e molto ridotta, costi minimi connessi alla tipologia di contenzioso, esecutività della decisione. [ Giuseppe Porcelli ] Uffici con maggiore concentrazione di procedimenti in materia di lavoro e previdenza (fonte: Istat) DOMANDE ACCOLTE NAPOLI 17% BARI 16% TORINO 9,30% DOMANDE RIGETTATE NAPOLI 27% BARI 9,20% PALERMO 9% L’associazione di categoria pronta a una nuova serrata se l’assessorato alla Sanità non dovesse saldare il debito contratto in questi anni con le farmacie Federfarma denuncia: troppo lenti i pagamenti della Regione La spesa farmaceutica, a carico del Servizio sanitario nazionale, è in calo. O meglio, il suo aumento, nel mese di agosto 2006, è stato contenuto del +2,4% rispetto allo stesso periodo del 2005. L’aumento contenuto della spesa farmaceutica, secondo i dati di Federfarma, ha determinato un ulteriore rallentamento del trend di crescita della spesa. E questo nonostante l’aumento generalizzato in tutte le Regioni. Unica eccezione la provincia autonoma di Bolzano dove è stata registrata una diminuzione della spesa pari a -3,4%: il numero di ricette è stato contenuto rispetto alla media nazionale (+2,8%). “Un dato importante – spiega Nicola Stabile, presidente di Federfarma Campania – è quello relativo alla nostra regione: si è infatti registrato uno scostamento dalla media nazionale del 2,8%”. La Campania, così, è al secondo posto per numero di ricette nei primi 8 mesi del 2006 (4,9%). E Stabile precisa: “Analizzando nel dettaglio queste percentuali, si legge che le ricette a Bolzano sono state 1 milione e 600 mila. Nella sola città di Napoli, invece 37 Differenza spesa netta e numero ricette dei primi otto mesi 2006 rispetto allo stesso periodo 2005 milioni”. Un rapporto di 3 a 100 dovuto alle dimensioni geografiche.Le farmacie continuano a dare un contributo al contenimento della spesa sotto forma di sconto al Servizio sanitario nazionale. Nel periodo gennaio-agosto 2006, infatti, hanno garantito un risparmio di oltre 440 milioni di euro. Inoltre lo sconto dello 0,6% a carico dell’industria, finalizzato al recupero dello sforamento del tetto di spesa imposto nel 2005 alla spesa farmaceutica di Asl e ospedali, ha determinato un risparmio di quasi 50 milioni di euro. Anche la compartecipazione dei cittadini all’acquisto dei farmaci contribuisce al contenimento della spesa. “In Campania – spiega Stabile – non esistono leggi in materia, nonostante il contenimento dei costi. Significa che i meccanismi di controllo per la vendita dei farmaci sono stati altri e hanno funzionato”. Ma restano i problemi legati ai pagamenti. Le farmacie di alcune regioni del centro-sud continuano a subire da parte delle Asl consistenti ritardi nei pagamenti degli importi dovuti per i farmaci erogati ai cittadini. I ritardi più pesanti si verificano in Sicilia, in Calabria e in Campania. “C’è una delibera regionale – afferma Stabile – che affida alla società Soresa il compito di liquidare i pagamenti alle aziende private. Al momento è impegnata con il recupero dei crediti relativi al 2005”. Per il presidente di Federfarma Campania, il meccanismo della società di recupero crediti si è però ingolfato: “la Soresa ha dei tempi lunghissimi. Spesso i farmacisti aggrediscono le Asl sul piano giudiziario per ottenere i pagamenti. Così facendo la situazione continua ad aggravarsi perché quando le Asl sono costrette a saldare i debiti, ricorrono al fondo monetario corrente rendendo di fatto inutile l’operato di una società come la Soresa”. E allora quale sarebbe la soluzione? “Dopo la serrata delle farmacie dello scorso 9 ottobre, non è ancora cambiato nulla. Le promesse dell’assessorato alla Sanità si sono risolte in un nulla di fatto. Siamo pronti a prendere decisioni anche drastiche se le cose non tornano alla normalità”. E il 6 novembre scorso, la Federfarma Campania ha incontrato l’assessore alla Sanità. “Purtroppo non abbiamo avuto buone notizie. I pagamenti restano bloccati e nessuna delle promesse che ci erano state fatte verranno mantenute. La situazione non è mai stata più grave”. Eppure la Regione Campania ha messo a disposizione dell’Asl Napoli 1 più di 750 milioni di euro per pagare le mensilità da gennaio a novembre 2006. Cosa è successo? “L’azienda sanitaria ha girato alle farmacie 200 milioni, pagando 2 mesi soltanto”. Il resto sarebbe servito, secondo Stabile, a pagare i decreti ingiuntivi. La situazione dei pagamenti arretrati ha una lunga tradizione: “Sono titolare della farmacia dal 1986 - racconta Stabile - e non ricordo un solo anno in cui i pagamenti siano stati correntizi”. L’unica eccezione è data dal 1995: “In quell’anno le vecchie Usl (Unità sanitarie locali) furono sostituite dalle Asl. La liquidazione dei debiti fu affidata ai commissari liquidatori e così le Asl partirono da zero. Quello, per noi, è stato l’unico periodo florido”. [ Laura Pirone ] 12 inchiostro numero 5 dicembre 2006 Così le famiglie possono risparmiare Le associazioni dei consumatori si confrontano sulla legge Bersani. Il Codacons: “Ci vuole più coraggio” Nei capoluoghi campani è possibile spendere fino a 500 euro in meno sull’assicurazione dell’auto Polemiche, scioperi e proteste. Sono stati questi i primi effetti del decreto legge sulle liberalizzazioni approvato dal Consiglio dei ministri il 30 giugno. Ma non ci sono stati solo malcontenti. Segnali di approvazione provengono dalle associazioni dei consumatori come Adoc, Adiconsum, Codacons, Movimento difesa del cittadino e Cittadinanzattiva. Molte di queste hanno apprezzato le decisioni del governo, dall’apertura della vendita dei farmaci nella grande distribuzione al possibile aumento del numero delle licenze per i taxi nelle grandi città, dagli effetti sulle banche e sugli ordini professionali. Secondo il Codacons il provvedimento sulla competitività consentirà un risparmio di 500 euro l’anno per le famiglie italiane grazie all’aumento della concorrenza. Infatti, solo per quanto riguarda il via libera alla vendita dei farmaci nei supermercati, si avrà un risparmio di circa 150 euro a famiglia in un anno. Dall’abolizione dei limiti alle tariffe dei professionisti, a cominciare da quelle degli avvocati, il Codacons stima invece un risparmio di 300 euro l’anno. Dalla liberalizzazione delle licenze dei taxi, invece, l’impatto positivo sulla spesa delle famiglie sarebbe intorno ai 50 euro. Il provvedimento, che favorirà la liberalizzazione per banche, farmacie e professioni, rappresenta un’opportunità di maggior concorrenza e tariffe più basse per i consumatori italiani, un’opportunità sulla quale, secondo le associazioni, si dovrà vigilare con attenzione. Secondo l’Adoc, per evitare che la Le associazioni dei consumatori liberalizzazione diventi lettera morta, è necessaria la presenza di un’Autorità che vigili rigorosamente sull’applicazione corretta della legge. L’Adoc esprime apprezzamento sugli sviluppi derivanti dal decreto legge sulle licenze per la guida dei taxi. Ritiene però che gli albi debbano sopravvivere in quanto garanzia della professionalità e parametro di riferimento per il consumatore. Anche l’Adiconsum giudica positivamente la decisione del Governo, riservandosi una valutazione di merito su ogni singolo provvedimento. Il giudizio del Movimento difesa del cittadino sul decreto legge è positivo, soprattutto riguardo al provvedimento che autorizza la vendita dei farmaci da banco nella grande distribuzione. Questo porterà l’Italia al livello degli altri Paesi europei permettedo un abbassamento dei costi, un maggiore disponibilità dei punti vendita e il superamento della chiusura corporativa delle farmacie. Positivo, secondo Mdc, anche l’intervento nel settore dei taxi: con il provvedimento si avvia a soluzione il problema della scarsità del servizio nelle grandi città. Inoltre, il trasferimento della competenza per gli atti di compravendita dell’auto dai notai ai Comuni semplifica la vita e riduce i costi per milioni di cittadini. Cittadinanzattiva sul decreto competitività chiede che maggiore liberalizzazione si traduca in maggiore tutela dei diritti. Secondo il vice segretario Giustino Trincia “gli interventi volti ad una maggiore liberalizzazione nei servizi locali, come per esempio per i taxi, la Feltrinelli | Libri e Musica piazza dei Martiri, Napoli Eventi la Feltrinelli vanno sicuramente nella giusta direzione perché superano monopli di fatto e interessi spesso corporativi, pagati da decenni dai cittadini consumatori e dal sistema Paese”. E in Campania? L’Associazione contribuenti utenti servizi pubblici ha recentemente protestato proprio perché la grande distribuzione continua a penalizzare la regione. In molti centri commerciali non sono stati ancora istituiti corner per la vendita di farmaci da banco e di automedicazione come accade, invece, in altre regioni d’Italia. Secondo l’Acusp, la liberalizzazione dei farmaci nei supermercati, se applicata, garantirebbe ai campani sconti tra il 20 e il 30 per cento. Altro punto dolente, le banche. Il decreto Bersani ha azzerato i costi di chiusura per i conti correnti: ma inchiostro anno VI numero 5 dicembre 2006 Chiuso in redazione il 21 novembre 2006 Periodico a cura della Scuola di giornalismo dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa diretta da Paolo Mieli Direttore editoriale Francesco M. De Sanctis Citarsi addosso live L'idea E se per qualche volta provassimo a ribaltare la prospettiva? A mettere da parte le classifiche di vendita e a dare voce al pubblico? L'invito è rivolto al popolo dei lettori, degli ascoltatori e dei videospettatori che hanno lo spirito e la voglia di testimoniare a favore (o contro, perchè no?) un libro letto o di condividere la loro passione per un film o un brano musicale. Partecipare è facile: ogni incontro ha un tema e due ospiti d'eccezione lieti di contribuire a questa nuova esperienza. I partecipanti (ospiti compresi) hanno cinque minuti per presentare la propria proposta, per incuriosire, coinvolgere, appassionare. Poi il piacere di ascoltare gli altri e tanta voglia di incontrare il libro, il disco, il film della propria vita. Gli incontri si tengono indicativamente due giovedì al mese, alle 18.00, alla Feltrinelli Libri e Musica di Napoli, in Piazza dei Martiri e vertono su di un tema ogni volta diverso. Maggiori notizie le potete trovare sul sito www.lafeltrinelli.it e su www.citarsiaddosso.it. dove verranno pubblicati tutti i commenti, le recensioni e le citazioni raccolte durante gli incontri. Tra i partecipanti agli incontri ci sono stati e ci saranno: Offrire a chi legge libri, ascolta musica, guarda film uno spazio nel quale recensirli, commentarli, citarli. Dar loro l’opportunità di essere non solo dei consumatori ma anche dei promotori di cultura. Da tempo siamo impegnati a pensare a coloro che frequentano i nostri negozi non solo come clienti ma anche, e soprattutto, come soggetti attivi, protagonisti delle nostre scelte imprenditoriali e culturali. Citarsi Addosso è un altro passo in questa direzione. Valerio Caprara, Giuseppe Montesano, Nicola Oddati, Valeria Parrella.. ecc. Il parere dei nostri collaboratori Il sito CitarsiAddosso.it ospita già da qualche anno gli amanti della citazione , dice Vincenzo Moretti – presidente di SMILE e docente di Sociologia dell’Organizzazione all’Università di Salerno – ma l’iniziativa avviata con la Feltrinelli rappresenta qualcosa di nuovo e di più: la possibilità per le persone di rileggere e reinterpretare gli scrittori, i musicisti, gli attori, i registi che amano; di contribuire in questo modo a mantenere sempre vive e attuali le loro opere; di portare il loro piccolo ma prezioso mattone alla costruzione della biblioteca virtuale delle recensioni e delle citazioni. Buona citazione a tutti Condirettore Lucio d’Alessandro Direttore responsabile Arturo Lando Coordinamento redazionale Alfredo d’Agnese Carla Mannelli Alessandra Origo Guido Pocobelli Ragosta Caporedattore Renato d’Emmanuele Capi servizio Nadia Fiore Marco Lombardini Luca Romano Caterina Scilipoti I n r e d az i o n e Gaetano Agrelli, Eugenio Francesco Bonanata, Davide Certosino, Anna Clemente, Adriana Costanzo, Ornella D’Anna, Daniele Demarco, Elena Della Rocca, Pasquale De Vita, Diego Dionoro, Mario Leombruno, Francesca Milano, Ornella Mincione, Caterina Morlunghi, Giulia Cajetana non tutti gli istituti si sono adeguati. Tra i nuovi obblighi della banca previsti dal pacchetto di riforme, c’è quello di comunicare in anticipo al cliente le variazioni di contratto In tal caso il correntista ha il diritto di chiudere il conto senza alcuna spesa. Tuttavia, secondo l’Associazione per i diritti degli utenti, sono ancora troppe le segnalazioni di scorrettezze: molte banche, afferma l’Aduc, eludono la norma addebitando ugualmente al risparmiatore le spese di chiusura. La tecnica è semplice: i costi sono registrati sotto altre voci. Sul fronte delle assicurazioni risparmiare sull’Rc auto nei capoluoghi campani è possibile. È sufficiente confrontare le diverse offerte, e far giocare concretamente la concorrenza. È quanto emerge da un’inchiesta di Altroconsumo sulle tariffe assicurative a Napoli, Avellino, Benevento, Caserta, Salerno. Qualche esempio: nel caso della classe di bonus-malus 1, se si sceglie l’offerta più conveniente si possono risparmiare in un anno 100 euro di media, con picchi di 500 euro rispetto all’offerta peggiore. Per il neopatentato le possibilità di risparmio sono maggiori: a Caserta in media si possono risparmiare dai 1000 ai 4000 euro. I neopatentati campani sono molto penalizzati: i premi minimi sono, in ogni caso, superiori ai 1000 euro. Il fanalino di coda è sempre Napoli, dove devono sborsare almeno 2000 euro l’anno. Fare più confronti, sottolinea l’associazione, è l'unica arma che possiede il consumatore per contenere il rincaro delle tariffe. [ Elena Della Rocca ] Nardone, Iolanda Palumbo, Maria Laura Pirone, Giuseppe Porcelli, Alessandro Potenza, Nicola Salati, Patrizia Varone. S p e d iz i o ni Vincenzo Crispino Vincenzo Esposito tel. 081.2522278 E d i t or e Università degli Studi Suor Orsola Benincasa 80135 Napoli via Suor Orsola 10 Partita Iva 03375800632 R e d a z io n e 80135 Napoli via Suor Orsola 10 tel. 081.2522212/234/236 fax 081.2522212 R e g i s t r a z i on e Tribunale di Napoli n. 5210 del 2/5/2001 S ta m p a Imago sas di Elisabetta Prozzillo Napoli 80123 via del Marzano 6 Partita Iva 05499970639 Progetto grafi ficco Sergio Prozzillo I m p a g i n a z i o ne Luca Bottigliero