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inchiostro
anno sesto numero 5 dicembre 2006
Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università degli Studî Suor Orsola Benincasa
Mercato
e sviluppo
Spedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli
Descrivere lo stato complessivo dell’economia campana in questo
momento storico non è stato un
compito facile. Tante sono le variabili all’interno del sistema. Il lavoro
degli allievi del Master in giornalismo di Napoli mette innanzitutto in
evidenza, in questo numero, la
necessità che la classe dirigente
campana metta all’ordine del giorno i temi della competitività e della
crescita. La regione rischia infatti
di rimanere drammaticamente
indietro sotto questo aspetto, malgrado le enormi potenzialità che
pure ci sono. Ciò che emerge dalla
nostra piccola inchiesta è effettivamente la qualità potenziale di un
sistema economico oggi assediato da
competitori all’interno del mercato
globale, un sistema che deve dunque saper valorizzare accuratamente le sue eccellenze, e non trascurarle come spesso accade.
Come si vedrà nelle prossime pagine,
sono molti i settori nei quali l’economia campana eccelle: l’agroalimentare, la moda (soprattutto quella
maschile), l’industria orafa, la cantieristica navale. Il porto di Napoli si
sta proponendo come arma vincente
per un nuovo modello di sviluppo
nei traffici internazionali. E abbiamo riscontrato come la Campania
sia competitiva a livello nazionale
anche per quanto riguarda gli investimenti nella ricerca: costituiscono
il 2,5% del prodotto interno lordo
regionale. Si tratta di una ricerca
scientifica a volte ben organizzata,
come dimostra il felice esperimento
dei centri di competenza.
Quando parliamo invece dei problemi, parliamo soprattutto delle
aziende. Ce ne sono molte che, pur
avendo le qualità per diventare
davvero competitive, si accontentano di sopravvivere. Come si può
leggere in queste pagine, la burocrazia diventa troppo spesso un
ostacolo alla libertà e allo sviluppo
dell’impresa. Un esempio? Le trafile che occorrono per aprire e per
gestire una società, e qui parliamo
anche della più piccola attività artigiana a conduzione familiare. Si è
voluto allora esplorare la proposta
di legge del radicale Daniele
Capezzone, sulla possibilità di aprire un’attività imprenditoriale in
sette giorni: se non naufragasse,
“consentirebbe di ottenere una concessione edilizia senza attendere
fino a ventisette mesi”.
Ciò che emerge ancora è il peso dell’aliquota Irpef sulle imprese, allo
scopo di sanare il disavanzo gestionale della sanità regionale.
Occorre molta attenzione, ancora
una volta, perché il sistema fiscale
non figuri tra le cause di una
depressione economica.
Si è visto inoltre che le emergenze
sono ben note alla classe dirigente.
Per cominciare, il cronico problema
della criminalità. Che qui è un problema di immagine. La Campania
non dà affidamento a chi potrebbe
investire da fuori, e anche molti
imprenditori della regione scelgono
di delocalizzare la propria produzione per non dover convivere con
il sistema criminale.
Se parliamo invece dell’eterno problema lavoro, troviamo una
Campania ancora ai vertici nazionali per tasso di disoccupazione,
soprattutto per quanto riguarda i
giovani. Chi ha un’occupazione,
spesso lavora al di fuori di ogni
sfera contrattuale, malpagato, e
Impresa Eroica
non protetto in quanto a criteri di
sicurezza e a garanzia dei diritti. La
legge Biagi ha di certo il merito di
avere sbloccato il mercato e incentivato nuove assunzioni e regolarizzazioni dal sommerso. Ma - come ci
ricordano ancora una volta i sindacati e anche Confindustria - va
urgentemente completata con un
sistema di ammortizzatori sociali più
moderno, per non lasciare privo di
ogni tutela chi ha la disavventura di
trovarsi disoccupato e chi rischia di
diventarlo. La ricerca svolta da
Inchiostro ha evidenziato che un
sistema economico evoluto tende
all’efficienza: oltre ad aver bisogno
della liberalizzazione dei mercati,
necessita anche della liberalizzazio-
ne dei servizi e delle professioni.
Timidi passi in avanti sono stati
compiuti con la legge Bersani, ma
forti sono ancora le resistenze delle
tante categorie che, in Campania
come in Italia, affollano il sistema
produttivo. Forse non è bastato
sbloccare le licenze dei tassisti. Le
imprese ci hanno segnalato il loro
bisogno di servizi professionali snelli ed efficienti. E ci siamo imbattuti
ancora nelle croniche inefficienze
della giustizia: le imprese richiedono strumenti rapidi, che concilino
le esigenze del mercato con i tempi
di accertamento del diritto. È un
problema che riguarda soprattutto
la giustizia civile, in questi anni
purtroppo relegata a “sorella mino-
re” di quella penale, all’interno
delle riforme e del dibattito politico. Per accorgersi dell’urgenza di
cambiamenti radicali basta calcolare i tempi di durata di un processo
in materia di lavoro o di previdenza, o contare i lavoratori in attesa
di veder riconosciuta l’ingiustizia di
un licenziamento.
Come spiega Luciano Morelli, il
delegato al settore energetico di
Confindustria Campania, va ripensato il rapporto che la nostra classe
dirigente ha instaurato con il problema dell’approvvigionamento
energetico. Le imprese oggi scontano prezzi elevati per una qualità
non sempre corrispondente ai costi.
Molte imprese domandano la ripre-
“Troppi illeciti
nelle aziende”
Il documento
di Cgil, Cisl e Uil
Nuove attività
in tempi più brevi
pagina 2
pagina 5
pagina 9
Un pm lancia l’allarme
Ma Cola risponde:
“Siamo noi le vittime”
L’economia
in affanno
Calano i consumi
e i disoccupati
crescono ancora
pagina 3
“Tredici misure
contro l’evasione
e il lavoro sommerso”
Il porto di Napoli
continua a crescere
In cinque anni
più che raddoppiati
i croceristi sbarcati
pagina 6
Una proposta di legge
per snellire
l’iter burocratico
Il nodo energia:
costi e incentivi
Per le fonti rinnovabili
50 milioni di euro
in aiuto alle aziende
pagina 10
Illustrazione di Mario Ferraro
di Renato d’Emmanuele
sa - fuori da furori e dogmi ideologici - degli studi sul nucleare, un
tempo punta di eccellenza della
ricerca italiana.
Sono queste le sfide che attendono
la classe dirigente della Campania e
dell’intero Paese. Evidente come sia
ancora in corso la transizione dall’epoca del parastato, e dello “Stato
primo imprenditore”, a quella dell’economia di mercato. Altrettanto
evidente, dai risultati dell’inchiesta,
la necessità di un forte sforzo riformatore, di una nuova idea di
avventura nazionale da parte degli
attori politici. Se la coglieremo,
sappiamo fin d’ora di poter contare
su una terra fertile e potenziale
protagonista del mercato.
Certi risvegli
Lo Zarathustra di Nietzsche,
il suo superuomo, ad un certo
punto guardandosi allo specchio
vi vede l’immagine di un mostro.
Non sappiamo se Antonio
Bassolino sia un lettore abituale
di Nietzsche né, se, vedendosi oggi
nello specchio dei media nazionali,
abbastanza improvvisamente
diventato ostile, abbia la sensazione di essere diventato un mostro.
Sappiamo ora invece che, se è
vero che “il sonno della ragione
genera mostri”, è vero pure che
certi risvegli improvvisi – o a
orologeria – non sono da meno:
la differenza è che generano mostri
in coro.
[ Il fratello di Caino ]
2 i commenti
A Napoli uso eccessivo di illegalità
Il pm Aldo Ingangi attacca: gli imprenditori sfruttano la manodopera ed evadono gli obblighi fiscali
“Gomorra”, il best-seller di
Roberto Saviano, è quasi completamente incentrato sui rapporti tra
criminalità organizzata e impresa.
La camorra che si fa “sistema”.
Sistema imprenditoriale.
Attraverso il lavoro nero, evasione
fiscale e contraffazione. Sono i reati
su cui sembra poggiarsi la criminalità imprenditoriale in Campania.
A scattare la fotografia della situazione giuridica delle imprese partenopee è il magistrato della sezione
economica della
Procura della Repubblica di Napoli
Aldo Ingangi.
Il pm Ingangi è da due anni alla
Procura napoletana. Prima ha svolto le funzioni di pubblico ministero
per tre anni alla Procura della
Repubblica presso il tribunale di
Paola, in Calabria.
La sua analisi è franca, spietata
fin dalle prime battute.“A Napoli è
il modo stesso di fare impresa a
essere criminale. Il suo certificato
di nascita è già all’insegna dell’illecito. I servizi e le infrastrutture che
di norma fanno parte di un’impresa
qui sono assenti.
Il motivo è che gli imprenditori
fanno sì che alcune delle voci dell’impresa costino meno, sfruttando
mano d’opera, specialmente tra gli
extra comunitari, ed evadendo gli
obblighi fiscali”.
In che modo questi soggetti
riescono a raggiungere i propri
obiettivi senza essere ‘disturbati’
dalla giustizia?
“Il mezzo principale con il quale si
commettono reati è la dichiarazione
fraudolenta. Questo fenomeno
avviene in alcuni settori commerciali specifici, della telefonia o delle
carni. Gli imprenditori hanno questa tecnica.
Vanno avanti simulando costi d’impresa che non esistono nella realtà,
mantenendo bassi i costi fissi di
produzione e portando benefici
i dati 3
inchiostro
notevoli sul piano del guadagno”.
Quali altre armi utilizzano questi
imprenditori senza scrupoli?
“La contraffazione innanzitutto,
segno distintivo del mondo del lavoro, così detto ‘sommerso’.
In Campania questo si verifica per
lo più nel settore della pelletteria
perché qui c’è una buona capacità
artigianale, che riesce a mantenere
la concorrenza con i prodotti di
marca.
Non è un caso quanto questo
mondo nostrano si intrecci a quello
dei cinesi, i cui manufatti molto
spesso li troviamo persino in negozio, non più sulle bancarelle”.
Quali sono i settori più colpiti dal
reato della contraffazione?
“Quello della pelletteria, dell’abbigliamento e dell’audiovisivo.
Ma pare che quest’ultimo tenda ad
essere soppiantato dal progresso.
Grazie ad internet, infatti, molti
prodotti come cd, film e video in
generale, sono facilmente raggiungibili dalle case private”.
I problemi degli altri due settori si
risolveranno o, quantomeno,
hanno una speranza di risoluzione?
“Per quanto riguarda i settori dell’abbigliamento e della pelletteria,
fin quando ci sarà un’estesa
domanda per le grandi marche, e la
pubblicità, i media e la moda incentiveranno l’enorme richiesta sul
mercato, ci sarà sempre spazio per
la contraffazione.
Noi magistrati combattiamo l’illecito, ma esiste sempre la spinta a
delinquere, specialmente a carattere economico. E qui a Napoli, dove
il fabbisogno è tanto, è sicuramente
più forte”.
Qual è, allo stato attuale, la difficoltà maggiore per la magistratura?
“Di fatto c’è un processo di osmosi,
cioè alla fine dei conti non si capisce fino a che punto un soggetto è
coinvolto consapevolmente o inconsapevolmente, volontariamente o
involontariamente. Inoltre, in particolare nel napoletano, molto spesso ci troviamo di fronte a soggetti
‘fantasma’, imprenditori o dipendenti. Oltre al fatto che qui il lavoro nero è una costante”.
La Campania, quindi,
secondo lei è un’isola in Italia
dove hanno luogo questi
fenomeni di criminalità?
“Napoli è una realtà particolare per
i suoi aspetti di criminalità.
E nel mondo dell’imprenditoria
questi aspetti sono particolarmente
evidenti. Purtroppo sono molti i
soggetti che, per emergere sul mer-
cato, sono disposti a qualunque
cosa. Comunque in tutta Italia,
sono molte le imprese che vanno
avanti in questo modo grazie al
quale riescono a sopravvivere,
senza far correre il rischio
a nessuno”.
[ Ornella Mincione ]
Gaetano Cola, presidente della Camera di commercio, difende il mondo produttivo dalle accuse di collusione
“Siamo noi le vere vittime del sistema criminale”
anche con la Regione, come stia“A Napoli l’impresa è criminale?
mo già facendo”. Al momento,
Non scherziamo”. Il presidente
tuttavia, per il giovane che si
della Camera di Commercio di
avvicina al mondo imprenditoriaNapoli Gaetano Cola non vuol
le non sussiste alcun incentivo:
sentir parlare dell’impresa parte“Purtroppo è così – dice Cola -,
nopea come causa e non vittima
senza sviluppo, senza cultura
della criminalità. Già leader
d’impresa, i giovani saranno
della Confindustria regionale e
sempre quell’enorme patrimonio
dell’Unione industriali di Napoli,
Gaetano Cola, foto di Giulia Nardone
di eccellenza senza possibilità di
Cola, 71 anni, è da poco diventato
emergere come lo sono oggi. Molto si sta muovenpresidente di Unioncamere Campania: “Se è vero
do: basta pensare alla zona Est della città, dove ci
– spiega – che esiste un problema anche a livello
sono tanti progetti già avviati per investimenti
di amministrazione delle imprese, è pur vero che
futuri, dai porti turistici di Bagnoli, del Molosiglio
noi di imprese ne assistiamo 260mila, e si tratta di
e di Vigliena ai centri commerciali. Parliamo di un
imprese serie, forti. Il ‘doping’ aziendale non è un
programma da 5mila milioni di euro, praticamenproblema che ci riguarda”. Tutto rose e fiori, allote mezza finanziaria da investire a Napoli, per un
ra? “No, anzi – dice Cola -. Il problema semmai
totale di 14mila nuovi posti di lavoro”. Ma quansta nelle troppe diseconomie che si vengono a
do i progetti saranno realtà? “Questo è l’altro
creare: il costo del lavoro, ad esempio, ma anche
grande problema delle imprese – spiega Cola-. La
l’assenteismo, per dire. Basta pensare che qui i
burocrazia è lentissima, ci vorrebbe una legge
costi di gestione sono del 21% più alti della media
speciale che deleghi la totalità dei poteri decisionazionale”. Significa che oltre un quinto del fattunali al sindaco”. Un modo in più, questo, per
rato delle aziende campane si perde nel confronto
valorizzare i settori d’eccellenza regionali:
con le imprese del Nord: “E’ un grave handicap “L’agricoltura e l’edilizia vanno fortissimo, ma
spiega Cola -, l’obiettivo è quello di superarlo: le
non solo: Napoli ha battuto Washington e
imprese ottime ci sono, bisogna metterle nelle conCleveland e sarà la sede del prossimo master estidizioni di lavorare”. E gli accordi di Basilea 2
vo dell’Isu (International Space University) per
rappresentano un ulteriore scoglio: “Certo – dice
200 manager e neolaureati. I mezzi ci sono, dobil presidente –, quello del rating è un problema
biamo puntare tutto sull’internazionalizzazione
serio, soprattutto per le piccole aziende, che sono
della città. E se possibile riuscire a non sprecare i
il 92% delle imprese da noi rappresentate. Per
fondi strutturali Ue del 2007-2013”.
questo dobbiamo essere ancora più solerti a con[ Davide Certosino ]
certare ogni possibilità di lavoro con le banche ma
Il deputato di Forza Italia punta l’indice sulle scelte della maggioranza
Il consigliere regionale Ds elenca le priorità per favorire lo sviluppo
“Un’economia che si regge in buona
parte su investimenti pubblici,
fondi europei che non hanno prodotto sviluppo a lungo termine e
occupazione in calo a favore della
crescita di forme di lavoro irregolare”. Paolo Russo, deputato napoletano eletto nelle fila di Forza Italia
alla Camera, conferma i dati dell’ultimo rapporto della Banca
d’Italia fotografando un’economia
campana in forte crisi. Di contro
denuncia una politica regionale e
nazionale incapace di porre argini.
Come si colloca nel panorama
italiano un’economia come quella
della Campania?
In Italia come in Campania le piccole e medie imprese rappresentano
oltre il 90% del sistema produttivo,
ma la debolezza del nostro territorio è nella portata degli investimenti. Un’economia che si poggia in
maggioranza sulla spesa pubblica è
un elemento di vulnus. Non produce sviluppo. Genera un progresso a
breve termine che non è crescita
strutturale.
Alla vigilia di nuovi stanziamenti
dei fondi europei 2007-13, ci
può tracciare un bilancio dei
risultati del primo quinquennio?
La soddisfazione si misura con
risultati concreti che incidono su
cambiamenti di sistema.
In Campania invece di misurare lo
sviluppo prodotto le amministrazio-
“Le imprese in Campania sono
svantaggiate due volte: da un lato
devono risolvere il difficile rapporto con la Pubblica amministrazione,
dall’altro sono indebolite dalla
questione sicurezza”.
Luisa Bossa, consigliere regionale
Ds ed ex sindaco di Ercolano, non
ha dubbi: per il futuro dell’economia campana bisogna puntare su
progetti concreti.
E i giovani e le donne rientrano
sicuramente tra questi. La consigliera intende puntare su queste
risorse per rilanciare il futuro del
capoluogo partenopeo.
In un momento di difficoltà per la
città, occorre infatti investire in
quei settori che possono offrire una
stabilità maggiore per il futuro.
La Campania è perennemente in
bilico tra sviluppo e sottosviluppo.
Lei che ne pensa?
“Il contesto economico italiano è
caratterizzato da un profondo divario fra Nord e Sud.
È un contesto difficile anche perché
c’è la piccola impresa che prevale
su quella grande. La complessità e i
tempi lunghi della burocrazia rallentano l’iniziativa degli imprenditori meridionali.
Diverse aziende sono infatti costrette a rallentare i loro progetti perchè
l’iter da seguire è lungo e complicato.Molto spesso poi si è costretti a
fare investimenti in aree dove man-
La ricetta economica di Luisa Bossa:
“Donne e giovani per il rilancio”
“Brindano a dieci anni di fallimenti”
Paolo Russo attacca la Regione
ni si soffermano a brindare perchè
hanno speso i fondi in tempo e perchè siamo rimasti ancora una volta
“obiettivo 1” dell’Unione Europea.
Negli ultimi anni si è registrato un
aumento del lavoro nero e una crescita della disoccupazione.
I due fenomeni sono strettamente
legati e la causa principale è da
addebitare alla mancanza di reti di
controllo. La Regione ha preferito
investire in progetti singoli, slegati
tra loro, invece di puntare ai
distretti e alla creazione di aree
sinergiche.
Come valuta le risposte della
politica?
Il mio giudizio non può essere positivo. Non sono state adottate misure
sufficienti, né incisive.
Di chi sono le responsabilità?
Da parte delle amministrazioni
locali registro un’incapacità di comprendere i fenomeni e da parte
della Camera, con le proposte dell’ultima Finanziaria, vedo solo la
volontà di chiudere i commissariati
di polizia e di aumentare le tasse.
Quali politiche suggerirebbe per
migliorare il futuro delle imprese
napoletane?
Bisogna sostenere i privati e favorire uno sviluppo integrato puntando
sulle aree di eccellenza partenopee.
Solo così si può pensare di crescere
e di competere con i mercati globali.
[ Iolanda Palumbo ]
Paolo Russo
Luisa Bossa
cano i minimi presupposti di sicurezza, soprattutto quella ambientale”.
Che cosa propone per risolvere
queste difficoltà?
“Per quanto riguarda la questione
sicurezza la Campania ha tutte le
carte in regola per fare un passo in
avanti. Sono stati adottati provvedimenti significativi: i protocolli e il
patto per la sicurezza di Napoli.
Per snellire l’iter burocratico, invece, è in fase d’approvazione una
legge per il conferimento delle deleghe agli enti locali.
La Regione gestirà di meno e programmerà di più.
Gli imprenditori saranno agevolati
nei tempi dei loro progetti”.
E per ciò che riguarda nuove iniziative?
“Sono in cantiere una nuova legge
sugli appalti pubblici e un progetto
per dare più spazio all’iniziativa dei
privati. Inoltre stiamo lavorando
anche ad alcune iniziative in favore
delle donne.
Per l’imprenditoria femminile già
nella precedente finanziaria era
stata varata una legge.
L’imprenditoria femminile è un settore dalle molteplici risorse e dalle
grandi potenzialità economiche.
Al momento vogliamo lanciare
un progetto per facilitare
l’iniziativa economica dei giovani
imprenditori”.
[ Anna Clemente ]
numero 5 dicembre 2006
La Campania, un’emergenza irrisolta
Pil in picchiata e disoccupazione in aumento. Le statistiche fotografano un’economia che perde colpi
Sirene d’allarme sull’economia
della Campania. I dati degli istituti
statistici fotografano una realtà
ferma al palo. Sempre più incapace
di reggere il confronto con le regioni del nord del Paese.
Produzione e occupazione sono in
picchiata, mentre crescono inflazione e debito pubblico.
Mai negli ultimi dieci anni il Pil
aveva raggiunto livelli così bassi:
meno 1,9 per cento secondo il rapporto Svimez, più 0,2 per cento per
i rilevamenti di UnioncamerePrometeia. L’attività produttiva si
va attestando su livelli deboli in
quasi tutti i settori economici. Le
imprese investono poco nell’ammodernamento delle tecnologie. Così il
valore aggiunto nell’industria ha
continuato a diminuire. Elettronica
e abbigliamento, ad esempio, tradizionali punti di forza, hanno risentito dell’ingresso sul mercato di
paesi a forte crescita e grande
dimensione.
Per Bankitalia le debolezze dell’economia campana sono strutturali,
legate alla ridotta dimensione media
delle aziende e alla scarsa diffusione di attività specializzate .
“Mancano politiche regionali d’incentivo alla produzione - spiega il
funzionario della sede napoletana
Giovanni Ruzzolino - ma anche gli
investimenti privati stentano a
decollare”. Una tendenza, quest’ultima, in contrasto con l’espansione
del credito bancario che cresce a un
tasso di tre punti percentuali in più
rispetto alla media nazionale (il 9,5
per cento contro il 6,2).
Incapacità di crescere e fare sistema, dunque. Si chiama “nanismo”
la malattia mortale dell’attività produttiva in Campania.
In dieci anni non sono emerse valide alternative alla dismissione della
grande industria.
Una stagnazione nella quale emergono pochissime eccezioni. Quasi
sempre isolate. Iniziative di grande
successo che però non riescono a
innescare un sistema virtuoso.
Anche dove emergono eccellenze si
palesano le contraddi zioni. E’ in
netta crescita, ad esempio, il settore
crocieristico, ma di contro calano le
presenze di visitatori nelle strutture
ricettive. Lo scorso anno le presenze turistiche sono calate del 5,7 per
cento.L’agroalimentare resta un
comparto trainante (la Campania si
conferma ai vertici nazionali in
diversi segmenti di offerta), ma
Lo specchio della crisi nella frenata dei consumi delle famiglie
Supermercati come oreficerie. Acquistare beni di prima necessità a
Napoli costa più che nel resto d’Italia. Così calano i consumi e cresce
l’inflazione.
Il prezzo di alimentari e bevande ha subito nel capoluogo campano un
incremento di nove punti percentuali superiore alla media nazionale.
Non c’è concorrenza sufficiente, troppe barriere in entrata per gli
investimenti - è la diagnosi degli analisti. Lo scorso anno sono stati
inaugurati cinquantasei nuovi esercizi della grande distribuzione portando a 549 unità il totale nel settore. Un numero che confrontato in
rapporto con la popolazione resta sensibilmente inferiore a quello di
tutte le altre regioni italiane. L’indice dei prezzi al consumo per la
collettività nel complesso è cresciuto del 2,3 per cento (dati Istat).
A Napoli non si risparmia sull’abbigliamento (più 3 per cento) e sul-
anche qui è calata la produzione e
si registrano ritardi nell’ammodernamento strutturale delle imprese.
Anche il settore delle costruzioni ha
fatto registrare un vero e peoprio
boom: 7 per cento in più di investimenti nell’ultimo anno. Un incremento, però, quasi interamente
legato a opere pubbliche finanziate
da governo e Regione (con fondi
Cipe e fondi europei) e in misura
assai ridotta all’iniziativa privata.
La crisi si è palesata in tutta la sua
gravità proprio alla vigilia del
nuovo Piano operativo regionale
con il quale dovrà essere programmata la spesa dei fondi strutturali
stanziati dall’Unione Europea dal
2007 al 2013. Nei cinque anni precedenti sono stati già impegnati per
il Por 20001-2006 già cinque miliardi di euro. Ma non sono bastati. Si
è parecchio investito in infrastrutture ma a differenza di altre regioni
la Campania è rimasta un’emergenza irrisolta.
Non migliora certo le imprese il
buco di oltre un miliardo di euro
nelle casse regionali. Per appianare
il debito nella sanità campana, che
impegna i due terzi delle uscite
complessive, si è reso necessario
l’aumentodi un punto percentuale
della già controversa aliquota Irap.
l’arredamento (più 1 per cento), mentre sono convenienti acqua,
elettricità e combustibili (meno 4 per cento), istruzione e servizi sanitari (meno 2 per cento).
Con l’aumento dei prezzi dei beni di largo consumo cresce anche
l’inflazione. Dalla fine degli anni ’90 a Napoli si registrano tassi
di circa mezzo punto superiori al dato nazionale.
Altra conseguenza immediata è la frenata dei consumi delle famiglie.
Negli ultimi due trienni sono passati da 1 punto percentuale allo 0,4
per cento di crescita media annua. Un evidente danno per il mercato
campano, che non è stato compensato nemmeno dalla spesa delle
pubbliche amministrazioni. Anche questa ha subito una flessione
notevole, passando dal 2,7 per cento dello scorso triennio all’1,3 per
cento dell’ultimo anno.
[ L. R. ]
“E’ assurdo – ripete Cristiana
Coppola, presidente di
Confindustria Campania – Gli
imprenditori non possono farsi
carico degli sperperi di palazzo
Santa Lucia”.
Da palazzo Partana hanno stillato
un piano di priorità da sottoporre
alla Regione. Nell’elenco: fiscalità
di vantaggio, infrastrutture, reti
energetiche e risoluzione delle
emergenze croniche quali la criminalità e i rifiuti.
Problemi di immaggine e sicurezza
che incidono parecchio sull’afflusso
pressapoco nullo di capitali esteri.
Appena 250 milioni di euro in
entrata nel 2005. Un dato che deve
preoccupare se si considera la grande capacità attrattiva delle regioni
dell’Est in procinto di entrare a far
parte dell’Unione Europea.
Una sofferenza quella economica
che pesa sui livelli di occupazione (2
per cento di posti di lavoro in meno
nel 2005, un altro 0,8 in meno nei
primi quattro mesi di quest’anno,
per un totale di qurantamila unità
). A essere maggiormente colpiti dai
tagli sono i giovani e le
donne.Mentre cresce – denunciano i
sindacati – il numero dei lavoratori
a nero.
[ Luca Romano ]
La regione resta nel gruppo dell’Obiettivo 1: ancora lontani gli standard di competitività richiesti da Bruxelles
Non più incentivi a pioggia ma solo investimenti mirati
Malgrado gli ingenti stanziamenti
degli ultimi anni la Campania continua ad arrancare. E l’Unione
Europea la conferma nel gruppo di
aree facenti parte dell’ “obiettivo
1”. Essere in questa categoria significa, in pratica, far parte di quelle
aree dove il Pil (Prodotto interno
lordo) per abitante è inferiore al
75% della medi dei 25 Paesi membri dell’Unione Europea. Uno “status” che dal 2007 la Campania condividerà in Italia con altre tre
regioni del Sud: Puglia, Calabria e
Sicilia e in Europa, con tre regioni
della Spagna, due di Portogallo,
quattro di Grecia e con le aree più
povere dei nuovi Paesi dell’Unione.
Sei anni di interventi, misure e
finanziamenti già varati dal Piano
Operativo Regionale non sono stati
sufficienti a imprimere alla
Campania quei livelli minimi di
competitività richiesti dall’Europa e
mentre il Por 2000-2006 giunge
quasi a conclusione, la Regione si
sta preparando a varare un nuovo
piano operativo per gli anni 20072013. Ancora nell’obiettivo 1.
A dire il vero, per questo nuovo
periodo di programmazione, l’espressione “obiettivo 1” è stata ulteriormente specificata dall’Unione
Europea in “obiettivo convergenza e
competitività”, parole che porteranno dritto dritto alle regioni incluse
nella categoria, il 78% delle risorse
totali, in cifre, 264 milioni di euro.
E in vista del nuovo Piano
Operativo Regionale, si è pronunciata Confindustria Campania, presentando un suo documento. Una
voce per indicare, dalla parte delle
imprese, le misure ritenute urgenti
per lo sviluppo. “E’ indispensabile
– dice il documento di
Confindustria – puntare su tre
obiettivi particolari: infrastrutture,
Insieme con la Campania fanno parte dell’Obiettivo 1 Puglia, Calabria e Sicilia
ricerca e formazione”. Un altro
punto essenziale nella nuova programmazione 2007-2013, secondo
Confindustria, è la questione incentivi: “non dovranno più essere distribuiti a pioggia, ma concessi soltanto per promuovere investimenti
di qualità, o investimenti che producano sia occupazione che crescita
dimensionale delle imprese”.
A guardare le previsioni, con il
prossimo piano di sviluppo, la
rotta della Campania potrebbe davvero cambiare. Uno studio condotto
di recente da Unioncamere prospetta un futuro più roseo. Nel corso
dei prossimi anni, tutte le regioni
del Mezzogiorno correranno all’acquisto di impianti, macchinari e
mezzi di trasporto. In Campania si
stima che dopo una flessione negativa, l’esportazione di beni verso l’estero riprenderà a crescere.Si metteranno in moto – diceUnioncamere
- anche i consumi da parte delle
famiglie: al Sud meno che al Nord,
con uno 0,8% a fronte di un incremento massimo stimato in Friuli del
1,7%. Un destino migliore potrebbe
toccare anche al prodotto interno
lordo. Nonostante la riduzione
avvenuta nel 2005 (-1,8), già per il
prossimo anno è attesa una netta
inversione di tendenza con una
stima di crescita dell’1,8%. Un piccolo passo per uscire dall’obiettivo
1 e raggiungere il livelli d’Europa.
[ Caterina Scilipoti ]
4 le aziende
Stare sul mercato costa molto di più
Dalla criminalità all’energia, una ricerca della Camera di commercio individua otto elementi di debolezza del sistema locale
lnvestire in Campania: un’impresa
possibile? Una domanda che si tira
dietro altri due interrogativi: quanto costa fare impresa nella nostra
regione? E in epoca globale, che
cosa manca per rilanciare investimenti e competitività nel confronto
sempre più serrato con i mercati
nazionali ed internazionali?
L’analisi economica non offre risposte confortanti.
Le imprese della nostra regione, nel
bench-marching competitivo con gli
altri Paesi, soffrono di un “doppio
gap” strutturale: in primo luogo
risentono del basso grado di competitività di tutto il sistema Italia nel
panorama economico globale, ma
soprattutto non riescono a tenere il
confronto con le aree maggiormente
industrializzate del nord del Paese.
Reddito pro-capite, tasso di disoccupazione, produttività, esportazioni e dotazione infrastrutturale
segnano, infatti, un profondo divario tra le due aree della penisola.
In questo scenario complesso, che
non a caso viene definito duale, la
voglia d’impresa in Campania costituisce ancora una sfida apertadifficile. La Camera di Commercio di
Napoli, sulla base di questa ipotesi
di fondo, ha promosso un’indagine
su un campione di circa 300 imprese napoletane e parmensi, che è
stata presentata anche a Bruxelles.
Lo studio ha evidenziato i maggiori
gap economici di cui soffrono le
imprese meridionali rispetto alle
aziende del Nord.
Il confronto con Parma non è
casuale, dal momento che l’articolazione del tessuto imprenditoriale
presenta, per dimensioni e produttività, una serie di analogie con
quello napoletano.
Criminalità, credito, mercato del
lavoro, infrastrutture, pubblica
amministrazione, energia elettrica,
servizi alle imprese e sistemi regionali per l’innovazione, rappresentano gli otto fattori principali, in termini differenziali di costo e ricavo,
alla base del divario che genera il
cosiddetto “gap localizzativo”.
Per verificare l’impatto che questi
gap esercitano sul bilancio complessivo delle imprese, lo studio ha
combinato metodologie di analisi
differenziate: all’individuazione dei
potenziali fattori che generano differenziali economici è seguita un’analisi documentale tesa ad individuare precisi indicatori espressivi
in 103 province italiane.
Tutto ciò ha consentito di quantificare, in termini relativi, l’impatto
dei differenziali sfavorevoli nel confronto fra le province di Napoli e
Parma.
La fotografia che ne emerge rappresenta una realtà ben poco confortante. I dati più preoccupanti
riguardano il peso che sugli investimenti assumono i fenomeni criminali: assunzioni forzate di personale,
pagamenti estorti con minacce,
attentati e acquisti forzati di servizi
sono molto diffusi.
Una realtà sconosciuta a Parma.
L’insieme di questi elementi determina un differenziale di svantaggio
complessivo che incide sui costi di
produzione del 7,30 per cento e
determina il 7,50 per cento in meno
di ricavi rispetto al capoluogo emiliano.
A ciò si aggiunge che, rispetto alle
imprese parmensi, il costo e l’accesso al credito, nel rapporto bancaimpresa, è del 15,70% in più, per
gli oneri finanziari su debiti finanziati a breve.
Lo scenario non muta anche nell’analisi dei sistemi regionali di innovazione. La carenza di trasferimento di know–how tecnologico tra
Chiudono le fabbriche
nascono le partite Iva
mondo della ricerca e quello delle
imprese incide negativamente sui
bilanci: il 15 per cento di ricavi
mancati per le aziende campane,
contro il 5 per cento di quelle parmensi.La speranza è che questi
punti di debolezza della nostra
struttura produttiva possano generare punti di forza.
E’ questo il traguardo che imprenditori ed economisti pongono con insistenza all’attenzione della politica.
Nell’elenco delle priorità individuate, le richieste più pressanti riguardano: fiscalità di vantaggio, cuneo
fiscale differenziato, credito d’imposta, corretto e pieno utilizzo dei
fondi del quadro comunitario di
sostegno 2007/13.
Dobbiamo crederci: dai numeri
ai fatti.
[ Nadia Fiore ]
Le proposte di Confindustria per stimolare la competitività. Intervista con il direttore Pino Cannistrà
“Meno burocrazia e più infrastrutture”
Una macchina amministrativa più snella, infrastrutture da realizzare in tempi brevi e un sistema
del credito più articolato e flessibile che normalizzi il rapporto tra banche e imprese. Sono questi,
secondo il direttore di Confindustria Campania
Pino Cannistrà, gli interventi necessari per rimettere in moto la crescita dell’impresa nella nostra
regione e agganciare il treno della pur timida
ripresa economica che sta investendo l’Europa.
Dottor Cannistrà, quali sono le caratteristiche del
tessuto imprenditoriale campano?Le imprese campane sono per lo più di piccole dimensioni, mentre
quelle di grandi dimensioni stanno via via scomparendo. Le piccole imprese hanno dalla loro il
fatto di essere più agili e snelle e quindi di sapersi
adeguare al mercato in modo più repentino. Il
fatto che siano piccole, però, determina il rischio
che immettan. Una macchina amministrativa più
snella, infrastrutture da realizzare in tempi brevi
e un sistema del credito più articolato e flessibile
che normalizzi il rapporto tra banche e imprese.
Sono questi, secondo il direttore di Confindustria
Campania Pino Cannistrà, gli interventi necessari
per rimettere in moto la crescita dell’impresa
nella nostra regione e agganciare il treno della pur
timida ripresa economica che sta investendo
l’Europa. Ma soprattutto, è necessario cooperare
a tutti i livelli per “fare sistema” e stimolare la
competitività.
Dottor Cannistrà, quali sono le caratteristiche
del tessuto imprenditoriale campano?
Le imprese campane sono per lo più di piccole
dimensioni. Un vantaggio per la flessibilità, uno
svantaggio per la competitività internazionale.
Quali sono, allora, gli interventi necessari a
favorire la crescita dimensionale delle imprese?
Occorre semplificare la macchina amministrativa.
Siamo asfissiati dalla burocrazia, mentre per stimolare la competitività ci vuole semplificazione.
Leggi, politica fiscale, enti locali e burocrazia
devono essere tutti alleati per stimolare la competitività territoriale e ambientale e “fare sistema”.
C’è poi il tema della liberalizzazione dei mercati
di beni e servizi essenziali per le imprese: soltanto
liberalizzando si stimola davvero la competitività.
Ci sono segnali positivi, come i primi risultati
della politica di concertazione regionale, che ha
prodotto il disegno di legge sulla formazione, ma
la strada è ancora tutta da percorrere. La strategia proposta da Confindustria si muove all’interno di un progetto complessivo per il Mezzogiorno,
che si snoda su tre punti fondamentali: innovazione e competizione, attrazione di investitori italiani
ed esteri, politiche di sviluppo che puntino sulle
peculiarità culturali delle regioni meridionali.
Quali sono gli interventi che fanno parte di
questa strategia?
Per attrarre investitori esteri si è parlato di creare alcune zone franche urbane in cui le imprese
abbiano vantaggi particolari. È davvero impor-
tante ma non è sufficiente. Per stimolare la competitività bisogna agire sui problemi dell’ordine
pubblico, prevedere una fiscalità di vantaggio,
lavorare sulla rete delle infrastrutture dei trasporti e dell’energia. Il terzo asse per la crescita
economica, infine, passa inevitabilmente per la
valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale della nostra regione. La Campania avrebbe
tutte le carte in regola per essere il massimo punto
di riferimento del turismo mediterraneo, ma è
fondamentale potenziare e modernizzare tutto il
sistema.
Sulle infrastrutture, il precedente governo
aveva posto al centro dell’attenzione le grandi
opere, mentre l’esecutivo guidato da Prodi
sembra aver fatto marcia indietro. Come giudica questa inversione di tendenza?
Il governo Berlusconi aveva fatto un piano delle
grandi opere senza valutare se ci fossero i fondi
necessari. All’Italia non servono grandi piani
irrealizzabili, ma progetti concreti da attuare in
tempi brevi. Confindustria ha condotto uno studio
sulle infrastrutture urgenti per il rilancio del
Mezzogiorno. Non si tratta di un libro dei sogni,
ma di una lista concreta di opere già cantierabili,
come l’ampliamento delle autostrade SalernoReggio Calabria e Napoli-Bari. Di fronte al bivio
tra incentivi e condizioni favorevoli allo sviluppo,
ogni vero imprenditore sceglierebbe di avere condizioni favorevoli.
Qual é lo stato del sistema creditizio in Italia?
Il sistema del credito, in particolare nel
Mezzogiorno, non è né articolato né flessibile. Per
espandersi le imprese hanno bisogno di passare
per il credito e il finanziamento, ma il rapporto
con le banche è ancora troppo critico, con ostacoli
a volte insormontabili. Non abbiamo bisogno di
interventi speciali, ma solo di raggiungere la normalità. Le banche devono comportarsi con il Sud
come fanno con il Nord. Confindustria ha proposto il rilancio dei confidi. Si tratta di fondi chiusi
a capitale misto pubblico-privato e a conduzione
strettamente professionale che aiutino le imprese
meritevoli quando il capitale privato è insufficiente. Ci sono già e funzionano in altre regioni:
potrebbero funzionare meglio anche qui.
[ Mario Leombruno ]
Palazzo Partanna, sede di Confindustria Campania
Il sistema imprenditoriale campano
è fatto di molte piccole imprese.
Sono le aziende che sono sopravvissute alla darwiniana selezione naturale che ogni impresa deve affrontare dal giorno della sua nascita.
Le grande impresa nel territorio
campano è ormai estinta e le piccole
e medie imprese, che rappresentano
il 99% delle aziende del territorio
campano superando di due punti la
media nazionale, vanno avanti tra
molte difficoltà. Difficoltà burocratiche, come la lunghezza dei processi civili e la necessità di stare al
passo con i cambiamenti della politica fiscale. Un esempio su tutti?
La difficoltà che hanno avuto molti
possessori di partita Iva da quando
i pagamenti del modello f24 non
possono più essere eseguiti allo
sportello bancario ma devono essere eseguiti tramite internet. E che
dire dell’introduzione degli studi di
settore? Ha creato non pochi problemi ai commercialisti e ha indotto
alcuni piccoli artigiani, non più giovani, ad andare in pensione anticipatamente. “Non si può più lavorare in questa maniera, così ho scelto
di chiudere” confessa preoccupato
Mario, sessantacinquenne, ex-titolare di un’officina meccanica.
“Inoltre – afferma Dario Scalella,
presidente dell’associazione piccole
e medie industrie di Napoli - c’è
una complicazione del mercato,
sempre più, globalizzato, accompagnato dal sempre più complesso
sistema del credito e da un maggiore degrado del contesto produttivo
in cui è sempre più difficile essere
competitivi”. Ma non basta; “se si
fa un confronto con le regioni settentrionali si può notare che anche
quanto a costi fissi le aziende meridionali sono penalizzate”.
Secondo un’indagine della Camera
di commercio, infatti, le imprese
meridionali spendono il 22% in più
di quelle delle regioni settentrionali,
si spende molto per la sicurezza, ma
non solo. Un’azienda friulana, ad
esempio, paga il 3,5% di Irap, contro il 5,25% di un’azienda campana. Scalella denuncia: “il nostro
sistema regionale non è competitivo.
Le piccole imprese, che spesso non
hanno facilitazioni e fondi sufficienti per investire in marketing e sviluppo, non hanno grossi margini di
ampliamento”. Secondo Giuseppe
Cannistrà, direttore di
Confindustria Campania,“le piccole
imprese hanno però dalla loro parte
il vantaggio di essere più agili e versatili e di potersi quindi adeguare al
mercato in modo repentino”.
(Vedi articolo Mario Leombruno).
Le difficoltà di chi ha la responsabilità di
un’azienda sono inoltre legate ai costi
dell’energia e dei trasporti. Quando i
costi sono così elevati da non compensare i rischi l’azienda capitalizza i proventi a discapito dello sviluppo industriale del territorio.
E, anche se il registro delle imprese
quest’anno ha chiuso con il segno
positivo, ciò non vuol dire che le
cose stiano necessariamente migliorando.Infatti, per colmare il vuoto
che lascia la chiusura di una grande
azienda, certamente non basta l’apertura di qualche partita Iva in
più. È assolutamente necessario,
invece, far aumentare lo scambio di
merci tra le varie aziende del meridione d’Italia. D’altronde, da sempre, è l’unione a fare la forza, e
anche la differenza tra il rilancio e
il declino dell’industria in
Campania.
[ Caterina Morlunghi ]
i sindacati 5
inchiostro
Sommerso, una piaga ancora aperta
numero 5 dicembre 2006
La disoccupazione in Campania è al 12 per cento ma secondo l’Istat sono molti i lavoratori impiegati in nero nelle aziende
Dodici per cento di disoccupazione,
secondo i dati Istat. Molto meno,
secondo le stime che prendono in
considerazione il mondo del sommerso. In Campania le imprese
irregolari offrono lavoro a una
grande fetta di popolazione che per
le statistiche ufficiali risulta senza
impiego.
L’Istituto nazionale di statistica non
riesce a inquadrare il fenomeno del
lavoro irregolare e si limita a scattare un’istantanea sul numero di
persone che compongono la forza
lavoro attiva sul territorio.
Nel terzo trimestre del 2006 sono
stati registrati 15 mila occupati in
più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Ma l’incremento è dovuto in larga
misura al lavoro stagionale e le persone in cerca di lavoro sono ancora
248 mila. La Campania si allinea
così, formalmente, al livello medio
di disoccupazione registrato nel
resto del Mezzogiorno, ossia 12 per
cento, contro una media nazionale
ferma al 7 per cento.Tra i singoli
settori di attività economica, la
Campania può contare su 90 mila
lavoratori nell’agricoltura, 422 mila
nell’industria e 1 milione 265 mila
nei servizi. Va però considerato che
il 22 per cento dei nuovi occupati
meridionali è assunto a tempo
determinato.
E il resto della popolazione attiva
come riesce ad arrivare a fine mese?
Ecco che ci si inabissa nel mondo
del sommerso. Da una ricerca del
Comitato per l’emersione del lavoro
non regolare scritta da Liliana
Bàculo, docente di Economia dello
Sviluppo presso l’Università
Federico II di Napoli, risulta che il
sommerso in Campania varia con il
Un corteo di disoccupati napoletani, foto di Giulia Nardone
variare delle caratteristiche sociali
e culturali della regione. Così, ad
esempio, nelle zone interne della
Campania, abbondano i laboratori
semisommersi, che impiegano personale con un contratto formalmente in regola ma pagato per un periodo inferiore a quello effettivo.
Al contrario, nelle zone costiere o
nella città di Napoli è maggiormente
estesa la presenza di lavoro irregolare non dichiarato. In questo caso,
in imprese con tre o quattro addetti
denunciati ne lavora il doppio o il
triplo. Ma le imprese sommerse non
sono solo quelle che hanno al loro
interno lavoratori dipendenti. Una
parte considerevole dell’attività
economica non regolare è costituita
da imprese individuali.
Massimo Angrisano, responsabile
del settore Lavoro della Regione
Campania, spiega che in questi casi
il sommerso sfugge a qualsiasi tipo
di controllo.
Con il programma Misura 3.12 dei
fondi Por la Regione, secondo
quanto afferma Angrisano, ha aiutato circa 600 imprese individuali a
emergere attraverso sistemi di
finanziamento mutuati dal prestito
d’onore.
Le cause che spingono gli imprenditori a dare inizio a un’attività
produttiva irregolare sono quasi
sempre da trovare, in base alle analisi della Regione, nel complesso
rapporto con le istituzioni e nei
tempi lunghi che intercorrono tra la
decisione di intraprendere un’atti-
vità e il rilascio della licenza.
Individuato il problema, una commissione regionale che fa capo
all’assessorato al Lavoro ha utilizzato a partire dal 2003 i fondi europei dell’Obiettivo 1 per le politiche
di emersione. Fondi che saranno
erogati nuovamente nel periodo
2007-2013 ma che, allo stato attuale, dichiara Angrisano, non rientrano ancora in una programmazione
ben definita.
Le politiche per l’emersione basate
sull’erogazione di fondi non sono
considerate da tutti come la giusta
via per la soluzione del problema.
È quanto crede Vincenzo Esposito,
ricercatore dell’Ires Campania,
l’Istituto di ricerche economiche e
sociali, vicino alla Cgil, che da anni
studia il fenomeno del sommerso.
Secondo Esposito si commette un
errore nelle analisi sul lavoro irregolare, considerando la questione
come un dato astratto.
Le politiche per l’emersione, in
quest’ottica, non servirebbero a
molto. Si dovrebbero creare “occasioni per l’emersione”, con le parole del ricercatore Ires, non distribuire soldi “a pioggia”.
Le imprese, così, potrebbero essere
aiutate a mantenersi al passo con i
cambiamenti tecnologici ed essere
indirizzate alla creazione di consorzi, per abbattere i costi della concorrenza e poter fare quel salto di
qualità ancora possibile grazie allo
sfruttamento del “made in Italy”.
[ Diego Dionoro ]
Tredici, ecco il numero giusto per il lavoro legale
I sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil elaborano un documento per combattere l’evasione fiscale e propongono: “Più controlli sui vincitori di appalti”
”Rinforzare nel Mezzogiorno i centri per l’impiego e pensare nuovi sostegni al settore agricolo”
Tredici proposte per cercare di contrastare il lavoro nero. E’ la ricetta
contenuta in un documento sottoscritto dalle tre maggiori organizzazioni sindacali, Cgil-Cisl-Uil.
I consigli, rivolti alle imprese che
vogliono uscire dall’illegalità, si
sono resi necessari per impedire un
fenomeno diffuso soprattutto nelle
regioni meridionali. Dai dati risulta
che in Italia più di quattro milioni
di uomini e donne versano in condizione di irregolarità (a nero o con
contratti parzialmente dichiarati).
L’economia sommersa produce tra
il 15,9% e il 17,6% del prodotto
interno lordo per un valore minimo
di circa 170 miliardi di euro annui:
72 miliardi di euro per l’omissione
di versamenti fiscali e contributivi
Irap, 1,9 miliardi di euro di base
imponibile Irpeg e circa 16,5 miliardi di euro di versamenti previdenziali e assicurativi omessi (Inps e
Inail). Le proposte assumono come
strategia una politica di premialità
e di sviluppo, con meccanismi di
valorizzazione degli elementi di
qualità del sistema produttivo e con
sistemi di sostegno per quelle
imprese che decidano di emergere.
Si parte con una campagna di informazione che costruisca un patrimonio sociale. “Bisogna mobilitare le
energie sociali, imprenditoriali e
istituzionali del territorio – si legge
nel documento – per far diventare
il sommerso un disvalore. Quindi si
devono cercare nuove azioni per
governare e raccordare a livello
Anna Rea, segretario regionale della Uil
nazionale le attività di contrasto
(una sede di confronto nazionale,
una banca dati unica sugli incentivi
e sulle agevolazioni e un rafforzamento delle azioni contro l’irregolarità)”. Secondo le organizzazioni
sindacali non si può prescindere da
uno snellimento burocratico e dall’istituzione degli indici di congruità, rapporto tra quantità/qualità
della prestazione e quantità delle
ore lavorate e del numero di lavoratori impiegati.
In materia di immigrazione CgilCisl-Uil chiedono: “il riconoscimento del permesso di lavoro per tutti i
lavoratori che ne abbiano fatto
richiesta. Deve essere istituito
anche un meccanismo di tutela del
lavoratore immigrato che lo accompagni nel periodo dell’emersione
fino all’eventuale regolarizzazione
del rapporto.
A livello provinciale, soprattutto
nel Mezzogiorno, devono essere rafforzati i centri per l’impiego così da
indirizzarli verso la promozione di
politiche attive a sostegno dei lavoratori a rischio lavoro nero. E’
necessario rendere più efficaci i
sistemi di collocamento e conoscenza dei soggetti occupati e realizzare
una piena applicazione della legislazione sulla comunicazione unica da
parte delle aziende all’Inps”.
Nel documento si richiedono nuove
norme per gli appalti così da definire insieme alle rappresentanze
d’impresa vincoli che prevedano
l’esplicita richiesta d’indicazione
nei bandi ed estendere nel campo
dei servizi, del commercio, dell’industria e dell’artigianato il meccanismo del Durc (Documento unico
di regolarità contributiva).
I sindacati propongono “l’introduzione della solidarietà fiscale nei
rapporti di fornitura e sub fornitura con configurazione del principio
di reato fiscale e di evasione contributiva in capo all’azienda leader”.
Non meno importante è l’auspicata
nascita di una clausola sociale nel
contratto di franchising e norme
più precise sul distacco dei lavoratori stranieri. Un punto fondamen-
tale nel documento è quello relativo
al comparto dell’agricoltura. CgilCisl-Uil chiedono “l’immediata
attuazione dell’Avviso Comune di
settore sottoscritto dalle rispettive
categorie, che deve essere seguito
da una modifica del sistema di versamento dei contributi dovuti dalle
aziende agricole”. Inoltre si reclama “l’istituzione di un fondo nazionale per l’emersione e la razionalizzazione delle risorse contro il lavoro nero vincolando una parte delle
quote a una maggiorazione del
bonus rivolto ai lavoratori in emersione e alle imprese coinvolte nei
Piani Locali di Emersione e, quindi, sostenere la ricostruzione dei
periodi contributivi passati dei
lavoratori in emersione, per gli anni
precedenti la partecipazione ai
Piani locali di sistema per l’emersione”.Infine il documento si sofferma sull’ingresso nel sistema di piani
locali per lo sviluppo e per la ricostruzione delle carriere previdenziali.I sindacati vogliono che questi
piani siano parte integrante di una
rivisitazione dei Pit, patti territoriali e contratti d’area “i piani locali dovrebbero funzionare con gli
strumenti riservati allo sviluppo
locale: istituzione di marchi di qualità, piani di riqualificazione delle
aree urbane ex industriali, sostegno
finanziario alle attività consortili,
piani formativi mirati con accesso
gratuito a programmi formativi, la
possibilità di usufruire per almeno
di due anni di un apposito tutor per
lo sviluppo d’impresa e le pratiche
amministrative e un bonus di sistema da concordare con le parti
sociali e presentato da più imprese
che si strutturino in un sistema
distrettuale”. I vantaggi previsti per
le aziende che favoriscono l’emersione consisterebbero in una maggiorazione di guadagni che si
aggiungono al credito di imposta,
per tre anni e per ogni lavoratore
emerso e assunto a tempo indeterminato (si riconoscerà solo alla fine del
triennio). Ancora si percepirà una
fiscalizzazione ulteriore per altri tre
anni fino al 50% della base imponibile Irap emersa e un sostegno per i
contributi previdenziali omessi
attraverso specifici Piani di ricostruzione delle carriere previdenziali. I sindacati, in questo sistema premiale/incentivante, propongono che
tutti i procedeimenti giudiziari per
le imprese che aderiscano ai Piani
locali di sistema per l’emersione
siano sospesi per tre anni alla scadenza dei quali effettuare la verifica in relazione al rispetto dei tempi
previsti dai “piani di rientro concordati”.
La ricostruzione previdenziale a cui
hanno diritto i lavoratori non
dovrebbe in ogni caso essere inferiore a un periodo prefissato di versamenti.
Le Regioni potrebbero inoltre compartecipare al contributo per la
ricostruzione delle carriere previdenziali.
[ Nicola Salati ]
6 i punti di forza
Il porto verso un futuro in crescita
In aumento il numero di turisti che sbarca a Napoli. E dalla Cina arriva un importante investimento per il traffico commerciale
Proseguono i lavori del waterfront che riqualificherà la zona di accesso via mare alla città
Passeggeri / Quinquennio
Passeggeri
Sul porto di Napoli piovono milioni
di euro: merito di una sentenza
emessa dal Tar del Lazio lo scorso 8
settembre, che ha sbloccato i mutui
contratti dagli scali italiani. Il tribunale amministrativo ha accolto il
ricorso presentato dalle Autorità
portuali di Napoli, Ravenna e
Salerno e ha annullato i limiti di
spesa posti dalla Finanziaria 2005.
A causa di quella limitazione,
Napoli si era vista finanziare solo
15 dei 26 progetti legati al porto.
Nella nuova Finanziaria è stato eliminato il tetto del 2%, e per Napoli
sono stati sbloccati 96 milioni di
euro di mutui contratti, che serviranno per i lavori al nuovo terminal
Levante, per la viabilità all’interno
del porto, per le autostrade del
mare e per il riposizionamento delle
aziende cantieristiche e di riparazione navale. Dopo questa buona
notizia e dopo un trend positivo di
crescita per tutto il settore dello
shipping partenopeo, il segretario
generale dell’autorità portuale di
Napoli Pietro Capogreco si sbilancia: “Possiamo dire con certezza –
afferma – di aver vinto la nostra
scommessa. Adesso si tratta di continuare a lavorare su questa strada”. Una strada in discesa, che in
pochi anni ha portato lo scalo portuale di Napoli ad assumere un
posto di rilievo nel panorama internazionale dell’economia marittima.
Il rilancio è iniziato nel 2000 e prosegue con il progetto di restyling del
waterfront, un’area in cui la città e
il mare si incontrano. Nonostante le
recenti polemiche sulla gara d’appalto vinta dalla holding pubblica
Nausicaa Spa, “i lavori – secondo
Capogreco - non dovrebbero subire
alcuna battuta d’arresto”. Lo sviluppo del porto ha convinto anche i
cinesi, che hanno scelto Napoli
come punto di arrivo dei loro container. La Cosco ha investito oltre
200 milioni di euro nel terminal di
Levante attraverso la società controllata Conateco (che è per il 50%
di proprietà della Msc). “È una
scelta di grande rilievo – spiega
Anno
2002
2003
2004
2005
2006
In un anno 800 mila croceristi
Sono stati più di settecentomila i croceristi che
nel 2006 hanno affollato il porto di Napoli.
Un incremento rispetto all’anno precedente del
17,9%. È quanto emerge dalla statistica annuale
realizzata dall’Autorità portuale in collaborazione
con il Ced (Centro di educazione demografica),
che hanno monitorato l’affluenza turistica navale
nel periodo compreso tra gennaio e settembre.
Stando ai dati, il numero di navi attraccate
al porto ad oggi si attesta intorno alle seicento:
di queste, più di ottanta nel solo mese di
agosto, mentre a settembre i passeggeri
sono stati 160mila.
La continua espansione del settore è stata
confermata durante la conferenza sulle crociere
nel Mediterraneo che si è svolta nei giorni scorsi
in città. Nel corso dell’incontro il vicepresidente
del Consiglio con delega al Turismo Francesco
Rutelli ha ricordato che l’Italia e la Campania si
attestano ai primi posti nel mondo per qualità
dei servizi, efficienza e sicurezza navale.
Rutelli ha poi firmato con il presidente della
Confederazione Italiana Armatori Nicola Coccia
un’intesa finalizzata a sfruttare le opportunità
generate dal turismo marittimo. Per Coccia,
le crociere e le compagnie che gestiscono
le navi traghetto sono le uniche ad aver
sperimentato e messo in pratica con successo
forme di turismo destagionalizzato.
Negli ultimi quattro anni, infatti, anche le
crociere invernali hanno promosso iniziative
importanti, raddoppiando il loro fatturato:
tra novembre e dicembre 2005 sono passate per
Napoli 54 navi da crociera, per un totale
di oltre 52mila passeggeri.
Per la fine di quest’anno se ne prevedono
almeno ventimila in più.
Il presidente di Confitarma ha aggiunto che le
compagnie croceristiche stanno realizzando un
importante lavoro nel campo del marketing territoriale nelle aree in cui le loro navi scalano, volto
a favorire gli standard di eccellenza promessi ai
turisti. Tra questi, in Campania sono previsti
lavori di ristrutturazione nella zona del porto,
apertura di nuovi alberghi e potenziamento dei
trasporti. Nonostante i dati incoraggianti, Coccia
ha sottolineato quanto i problemi legati alla criminalità potrebbero essere devastanti per il comparto turistico regionale. Per il presidente è quindi indispensabile intervenire nel breve tempo con
misure mirate: “Le crociere generano in città un
indotto pari a 250 milioni di euro. Per questo è
necessario intervenire subito, affinché l’emergenza non si trasformi in una spirale involutiva con
riflessi disastrosi sull’economia”.
[Ornella d’Anna]
l’assessore regionale ai Trasporti
Ennio Cascetta – che influisce sull’assetto del futuro della portualità
italiana e che doterà il porto di
Napoli di un terminal contenitori in
grado di ricevere navi da 10 mila
teus (unità di misura dei container,
pari a 20 piedi, ndr)”.
L’ultimo bilancio del comitato portuale, relativo al 2005, registra un
aumento del 6,8% delle merci movimentate rispetto all’anno precedente, con un totale di oltre 21 milioni
di tonnellate. Anche il traffico container è cresciuto: sono 373.706 i
contenitori movimentati nell’ultimo
anno. In aumento nel 2005 anche il
traffico ro-ro (cabotaggio nazionale): secondo i dati forniti
dall’Autorità il tonnellaggio di questo traffico, che riguarda gli autocarri e i veicoli industriali, ammonta a 8.172.429, con un incremento
annuo del 10,7%. Un altro settore
che registra un trend positivo è
quello del traffico passeggeri: attraverso le autostrade del mare si sono
mosse nel 2005 oltre 980 mila persone, registrando una crescita pari a
103,9% negli ultimi 5 anni. Il successo del trasporto passeggeri,
però, viene anche dal numero sempre crescente di crociere che fanno
tappa a Napoli, e dal successo del
Metrò del mare. Nei soli primi tre
mesi dell’anno sono stati oltre 90
mila i passeggeri imbarcati sulle sei
linee in servizio. Un possibile scoglio alla crescita dell’economia
marittima di Napoli (ma in generale
di tutti i porti italiani) è rappresentato dai dragaggi, necessari per far
arrivare negli scali marittimi le navi
portacontainer giganti con un
pescaggio maggiore. “Confidiamo conclude Capogreco - che al più
presto il presidente della commissione trasporti della Camera
Michele Meta possa presentare una
proposta risolutiva che coniughi
le esigenze di tutela ambientale con
le escavazioni dei fondali necessarie
per lo sviluppo dell’economia
portuale”.
[ Francesca Milano ]
i punti di forza 7
inchiostro
numero 5 dicembre 2006
La ricerca si avvicina all’impresa
I fondi in arrivo dalla Regione e dall’Europa finanziano la collaborazione tra produzione e università
Con i “Centri di competenza” la sperimentazione può trasformarsi in ricchezza
Un’indagine svolta nel marzo 2006
dall’Osservatorio sulle piccole e
medie imprese rivela come le aziende meridionali e specialmente quelle campane, mostrino, rispetto a
quelle centro-settentrionali, una
maggiore propensione a stipulare
accordi con le università, non solo
finalizzati alla formazione del personale, ma anche alla ricerca e al
trasferimento tecnologico.
Dato confortante poiché, secondo
Capitalia, tra il 2001 e il 2003 l’apporto delle università alle imprese
è stato di poco inferiore al 13%.
Il segnale è preciso: lo sviluppo di
accordi di cooperazione tra imprese, università e centri di ricerca, è
uno dei punti di debolezza del
nostro sistema competitivo.
In questo quadro generale, tuttavia, la Campania si differenzia per
una opposta linea di tendenza.
Le ragioni vanno individuate,
secondo l’Osservatorio sulle piccole
e medie imprese, in una politica
per l’innovazione che ha dotato la
regione di organismi specifici come
i centri regionali di competenza.
Definiti in gergo burocratese come
“incubatori per lo sviluppo”,
“interfacce tra la scienza e l’imprenditoria”, “mediatori tra la
domanda e l’offerta di conoscenze”, i centri di competenza non
sono altro che un tramite privilegiato fra l’università e le imprese.
Dieci in tutta la Campania, finanziati, nel quadro dalla misura 3.16
del piano operativo regionale, con
fondi regionali e comunitari.
Il loro scopo è di potenziare la
ricerca e l’innovazione mettendo a
sistema l’intero patrimonio di competenze esistente in Campania
riguardo a specifiche materie che
vanno dai trasporti all’analisi e il
monitoraggio di rischi ambientali,
dai beni culturali alle produzioni
alimentari.
Uno di questi centri è il Bioteknet:
“Il nostro centro di competenza –
spiega il project manager Amleto
D’Agostino - si occupa di biotecnologie industriali.
L’ attenzione è rivolta cioè allo sviluppo di processi industriali e di
tecnologie che utilizzano sistemi
biologici o loro componenti”.
Il Bioteknet sfrutta una rete costituita da dieci dipartimenti appartenenti a tre diverse università campane, due istituti del Consiglio
nazionale delle ricerche, due strutture di ricerca ospedaliere e due
parchi scientifici e tecnologici.
Secondo questo modello, ogni centro di competenza svolge principalmente un lavoro di coordinamento
finalizzato ad aggregare piuttosto
che a stimolare la concorrenza tra
gli attori presenti sul territorio,
come le imprese, i centri di ricerca
e i dipartimenti universitari.
L’obiettivo è quello di generare un
circolo virtuoso di cooperazione fra
tutte queste strutture, ma c’è di
più. “Il coordinamento e la formazione - spiega infatti D’Agostino sono solo alcuni aspetti del lavoro
svolto dal nostro centro di competenza. Su un altro versante, una
attenzione molto particolare è
rivolta alle imprese.
Le nostre ricerche riguardano
infatti aspetti pratici dei processi
produttivi, ad esempio, lo sviluppo
di nuove tecnologie e i risultati conseguiti sono indirizzati innanzitutto
all’offerta”.
“Il Bioteknet – specifica ancora
D’Agostino - si occupa anche di
monitorare il mercato alla ricerca
di imprese interessate ai risultati
dei nostri studi.
Su una commessa dell’azienda farmaceutica Altergon Italia, siamo
riusciti, ad esempio, a sviluppare
attraverso un processo produttivo
su scala industriale una particolare sostanza chiamata condroitinosolfato utilizzata in campo farmaceutico per il benessere dei tessuti
articolari.
L’apporto specifico della nostra
opera di ricerca sta nel fatto che la
sostanza in questione è solitamente
estratta dalle cartilagini di alcuni
animali rari come ad esempio gli
squali: noi invece siamo riusciti ad
Capofila
Centri di competenza
I Centri di competenza in Campania
ottenerla in laboratorio, per via
fermentativa. La nostra scoperta
permetterà di facilitare la produzione salvaguardando contemporaneamente la sopravvivenza di
determinate specie animali”.
Il lavoro svolto dal Bioteknet ha
conseguito anche delle positive
ricadute sul territorio:
“A seguito di una costante e proficua cooperazione – racconta
D’Agostino – l’azienda farmaceutica svizzera IBSA ha aperto un
nuovo stabilimento produttivo in
Italia, proprio in Campania, ad
Avellino”.
Questo esempio può chiarire come
gli strumenti teorici e pratici dei
centri di competenza possano favorire l’ integrazione nel mondo del
lavoro, stimolando la creazione di
imprese innovative.
Tuttavia, anche se, sulla carta, gli
interessi delle aziende e delle università possono apparire convergenti, la gestione dei rapporti tra le
parti in gioco può diventare a volte
molto difficile da gestire, lo sottolinea il professore Giuseppe
Cantillo, direttore del centro d’ateneo per la formazione nella scienza
umana e sociale dell’università
Federico II: “La complessa struttura dei centri di competenza –
avverte infatti Cantillo - prevede
che tutti i componenti di questa
rete siano all’altezza del progetto e
può spesso accadere che non sia
così.
Non sempre, infatti, le aziende
sono disposte ad investire in risorse
umane e tecnologiche”.
L’Osservatorio sulle piccole e medie
imprese, infatti, ha messo in luce
come queste riescano a sfruttare il
concorso delle università per far
fronte a problemi come quello della
formazione del personale.
In questo il centro di competenza
svolge un ruolo primario, utilizzando i fondi pubblici per l’organizzazione di attività didattica e stage
aziendali.
“Cosa accadrà – si chiede però
Cantillo – quando, nella seconda
fase del progetto, ogni centro di
competenza dovrà sganciarsi dai
fondi pubblici e rendersi completamente autonomo sotto il profilo dei
finanziamenti?
In quel caso il rapporto si rovescerà
e saranno le aziende a dover investire concretamente, diventando
finanziatori attivi della ricerca”.
La questione è aperta. Tra i dieci
centri della Campania, Il Bioteknet
è tra quelli che già hanno intrapreso la strada dell’autonomia.
Bisognerà attendere che tutti
riescano a portare a termine questo
percorso. E’ una delle grandi sfide
dell’economia campana. Il rapporto tra università e aziende può
essere decisivo per lo sviluppo della
regione. Ora è importante trovare
il giusto equilibrio perchè il binomio sia davvero vincente.
[ Daniele Demarco ]
Entro il 2008 due nuovi padiglioni per il Consorzio “Tarì”
Al Cis-Interporto si affiancherà il centro servizi Vulcano Buono realizzato da Renzo Piano
Il gioiello di Marcianise A Nola un business da 15 miliardi
Ersac: vino, pomodori e pasta reggono la competizione con i Paesi in via di sviluppo. Il caso di eccellenza della Doria
per competere sul mercato: tre
“La strategia vincente del Tarì è
manifestazioni fieristiche specializuna sola: mettere a sistema imprezate per il settore, 100 espositori
se, istituzioni e i più diversi
esterni, 400.000 operatori presenti,
ambienti culturali”, è il vanto di
oltre 23.600 presenze consolidate
Gianni Carità, presidente del
per ogni edizione. Gran rilievo
Consorzio Orafo di Marcianise,
ha il settore export: il prodotto
che unisce alcune delle più prestidelle aziende è destinato, per il
giose aziende del settore in
trenta per cento, ai paesi europei,
Campania. Con queste premesse il
del Mediterraneo e agli Stati Uniti.
Tarì si fa strada, da anni, sul merIn cantiere ci sono nuovi progetti:
cato della gioielleria.
la realizzazione di due nuovi padi“Fare sistema – continua Carità - è
glioni espositivi, che entro il 2008
la strada per salvaguardare le idensostituiranno l’attuale struttura,
tità dei singoli, allargando infinitaraddoppiando li spazi espositivi
mente le loro potenzialità di crescie la nascita della Fondazione
ta. È stata anche in questi anni la
“Il Tarì”, per lo sviluppo del
strada per affrontare la contrazione
Centro di Marcianise. “Più che
dimercato e la grande confusione
punti di eccellenza –
che ne è scaturita.
conclude Carità – il
È però una strada difTarì ha una costante
ficilissima, che richiede
tensione verso l’ecceltempo, maturità, conlenza, l’attenzione ai
sapevolezza della
problemi della
necessità di abbandoqualità, dell’organiznare gli estremismi
zazione e del servizio
dell'individualismo”.
al Cliente. Le leve per
Il Tarì è nato nel 1996
la competitività delle
creando una sinergia
nostre aziende sono
tra 370 aziende che
l’attenzione alla formafatturano annualmente
zione lo stimolo della
circa 800 milioni di
creatività”.
euro. Una cittadella
Il Tarì, foto di G. Nardone
con le carte in regola
[ Giulia Nardone ]
Tredicimila mezzi all’ora nel 2007.
Questa la stima del movimento di
Cis, Interporto di Nola e
Vulcanobuono, che – secondo il
presidente Gianni Punzo – registreranno un fatturato complessivo di
15-16 miliardi di euro.
Tre soggetti che insieme puntano a
fare della Campania il polo economico del Mezzogiorno.
Tra gli ultimi eventi che dimostrano
l’importanza dell’interporto campano c’è l’ingresso del gruppo
Gallozzi, leader nella movimentazione di container, che ha recentemente acquisito una significativa
partecipazione in Tin (Terminal
intermodale di Nola). Una joint
venture che si pone l’obbiettivo di
rafforzare il sistema logistico intermodale campano.
Il punto di forza dell’interporto è la
posizione geografica: vicino non
solo al porto di Napoli, ma anche a
quello di Salerno e a quello di Gioia
Tauro, ritenuto uno dei centri più
importanti di movimentazione di
containers del Mediterraneo.
Nell’interporto di Nola vengono
stoccate, manipolate e movimentate
merci attraverso tutte le quattro
modalità di trasporto (aria, gomma,
acqua, ferro). Una volta conclusi i
“Piccola dimensione e limitata superficie agricola – spiega Giancarlo
Mellucci, responsabile ufficio progettazione e marketing dell’Ersac, Ente
regionale di sviluppo agricolo in
Campania –, ecco gli ostacoli allo sviluppo”. Secondo le valutazioni
dell’Ersac, il sistema economico campano soffre per le carenze infrastrutturali, per la diminuzione del Pil
regionale e la scarsezza degli investimenti imprenditoriali. Intralciano la
crescita anche la limitata capacità
di esportazione e di attrazione di
investimenti esterni. “Il dislivello si
può superare – dice Mellucci – con
la comunicazione incisiva e la diffusione dell’aggregazione-cooperazione tra microaziende”. L’Ente regionale di sviluppo agricolo in
Campania valorizza e promuove i
prodotti agroalimentari. Le società
ritenute idonee all’export sono 600
e contribuiscono a costruire progetti di internazionalizzazione del comparto. “I risultati migliori – continua – li abbiamo ottenuti con la
certificazione di qualità delle aziende”. L’agroalimentare è uno dei
sistemi produttivi più attivi. Occupa
il quinto posto nella graduatoria
delle esportazioni nazionali per i
prodotti trasformati e il settimo
Il ‘Vulcano buono’ in costruzione accanto al Cis di Nola, foto di Giulia Nardone
lavori dei 350 mila metri quadrati,
nell’interporto troveranno spazio
10 mila tonnellate di merci al giorno, conservate nella “polo del freddo”, la zona frigoriferi di oltre 30
mila metri quadri e nei magazzini
coperti di 75 mila metri quadri.
Al binomio già rodato tra il Cis,
diventato il maggior centro di distribuzione all’ingrosso d’Europa, e
l’interporto campano, si aggiunge
anche il progetto del centro servizi
polifunzionale “Vulcano buono”,
che dovrebbe vedere la luce nel
2007. Ideato dall’architetto Renzo
Piano, il centro servizi – costruito a
immagine e somiglianza del Vesuvio
- ospiterà alberghi, ipermercati,
ristoranti, multisala e una piazza
centrale, luogo simbolo degli “scambi”. I lavori procedono, nonostante
un recente blitz delle forze dell’ordine contro il lavoro nero.
Carabinieri, Asl Napoli 4, Inps e
hanno posto il divieto d’uso parziale del cantiere.
[ F. M. ]
Industria agroalimentare, la sua forza è la qualità
posto per il settore dei prodotti primari. In Campania la bilancia
agroalimentare è in positivo grazie
al surplus cospicuo dell’industria di
trasformazione. Per le vendite all’estero prevale il settore delle conserve di frutta e verdura, con quasi la
metà delle esportazioni del comparto.I sei mercati che assorbono oltre
il 50% dei prodotti campani sono la
Germania, il Regno Unito, la
Francia e la Spagna, nell’area euro,
insieme ai non europei Usa e
Svizzera. Migliori clienti acquisiti
risultano i cinesi. “La sfida – con
clude Mellucci – è puntare sulla
qualità anche se il rapporto qualitàprezzo ci rende meno competitivi
rispetto ai sud africani, ai cinesi e
ai paesi dell’america latina”. La
congiuntura del biennio scorso ha
ridotto il Pil campano. La contrazione dei consumi delle famiglie ha
influito sulla riduzione delle vendite
all’estero e degli investimenti nel
comparto. Le esportazioni sono
calate di 1,2 miliardi di euro.
Rispetto alla quota dell’export
nazionale la Campania ha ridotto di
mezzo punto percentuale il valore
delle vendite all’estero.
Nella commercializzazione della
produzione ci sono due filoni. Uno
di prodotti tradizionali diventati
commerciabili come i liquori agli
agrumi, le paste speciali, le varianti
della lavorazione di formaggi a
pasta filata. L’altro delle merci fidelizzate come la pasta, l’olio extra
vergine d’oliva, i prodotti caseariolattieri, le conserve alimentari e
l’ortofrutta fresca. Negli ultimi anni
il vino ha assunto il ruolo di “prodotto bandiera” del comparto inducendo effetti positivi sull’economia
regionale. Il conserviero invece contiene La Doria, l’eccellenza campana per essere l’unica azienda quotata in borsa.La società di trasformazione del pomodoro è nata negli
anni cinquanta ad Angri. Negli anni
sessanta è presente all’estero con le
private labels. Negli anni settanta
diversifica la produzione con legumi, succhi e macedonia. Negli anni
’80 ammoderna gli impianti per
raddoppiare la capacità produttiva.
Il 1995 si quota in borsa. In seguito
la Doria costituisce una società di
commercializzazione con la Gerber
Foods International, uno dei maggior operatori inglesi. Acquisisce
poi la Pomagro, Sanafrutta e Eugea
Mediterranea.
[ Patrizia Varone ]
Avere la stoffa
La Campania
che è di moda
nel mondo
L’eccellenza napoletana ha il volto
antico dell’artigianato manifatturiero. Numerose sono le aziende di
prestigio che operano nel settore
della moda, soprattutto maschile,
con marchi di lunghissima storia,
che rappresentano oggi l’evoluzione
della più antica tradizione campana. Ed ecco sulla passerella mondiale il “made in Naples” delle creazioni di Attolini e di Isaia, delle
camicie di Finamore, delle scarpe
da uomo di De Cristoforo, delle
cravatte di Marinella e, ancora,
degli abiti firmati Flannel Bay,
Harmont&Blaine e Kiton. Ci vorrebbe un libro per raccontare, uno
per uno, chi sono questi paladini
dell’eccellenza, per descrivere la
loro voglia di impresa, la genialità
che si trasmettono di padre in figlio
e, soprattutto, la determinazione di
guardare il mondo restando a
Napoli, perché hanno scoperto che
la location gioca un ruolo determinante. In questi ultimi anni, infatti,
la geografia della moda italiana ha
polarizzato le previsioni di sviluppo
su province inconsuete fino a pochi
anni fa: Milano, Roma e Napoli.
Sono queste le città in cui si avverte
la nascita dei nuovi “guru” del
“made in Italy”.
La moda a Napoli in particolare è
un fenomeno di vitalità crescente
confermata dalla Banca d’Italia, i
cui dati indicano un incremento
nell’export campano del settore,
che sta spingendo l’alta moda in
una direzione diversa dal passato.
Lo testimonia l’obiettivo di realizzare un marchio di identificazione del
prodotto che ne chiarisca la provenienza e dia la giusta visibilità alle
aziende. I segnali positivi già sono
arrivati da varie parti del mondo in
circa due anni di operazioni in tal
senso. L’export è aumentato in
maniera consistente in Europa,
Giappone e soprattutto in America
a dimostrazione che i capi caratterizzati da qualità attirano sempre
maggiormente, perché i compratori
esteri considerano il prodotto artigianale il frutto della fantasia e
della manualità, un concetto di cui
far tesoro in un mondo industriale
che tende all’omologazione. E così è
nata la giacca a “mappina”, il
taschino a barchetta e i bottoni ravvicinati sulle maniche inventati da
Vincenzo Attolini, padre del marchio omonimo che ha vestito uomini
come Totò, De Sica, Clark Gable e
il duca di Windsor e che ancora
veste nomi illustri con i suoi discendenti.
E ancora la camicia Finamore che
ha una scuola quasi centenaria di
manufatto realizzato completamente a mano, oppure la realtà aziendale del marchio Isaia che, da laboratorio degli anni venti dove si confezionavano abiti da uomo su misura, è diventata una piccola impresa
ma con un’ottica di sviluppo internazionale.
Eccellente esempio del “made in
Naples” è l’azienda Marinella.
Dopo il nonno Eugenio e il padre
Luigi, Maurizio rappresenta la
terza generazione della famiglia, nel
portare avanti con successo le sorti
del piccolo negozio di Riviera di
Chiaia, rimasto immutato nel
tempo.
Questo, famoso in America quanto i
Faraglioni di Capri, fino a quattro
anni fa era anche l’unico punto
vendita nel mondo. Oggi accanto al
negozio di Chiaia ci sono le sedi a
Milano e il corner nel departement
store di Bergdorf & Goodman a
New York.
[ Adriana Costanzo ]
8 i liberi mercati
Liberalizzazioni, rivoluzione mancata
Privatizzazione delle ex municipalizzate: l’Italia a due velocità. Il Sud arranca, il Nord compie i primi passi
Da Telecom agli istituti bancari, tutte le cessioni delle aziende di Stato per competere sulla scena internazionale
Aprire un rubinetto, accendere un
fornello, salire su un taxi o sul
metro. Ma anche acquistare una
casa, ottenere un finanziamento e
dar vita a un’impresa.
Dai gesti quotidiani alle pratiche
più complesse, il motto è sempre lo
stesso: “spendere meno, ottenere di
più”. È quanto promette da vent’anni l’Eden della liberalizzazione,
riforma delle riforme di ogni esecutivo e agognato miraggio del popolo
dei consumatori.
Negli ultimi quattro lustri, i più
importanti settori della cosa pubblica – credito, telecomunicazioni,
energia elettrica, gas, servizi idrici
e trasporti pubblici – sono stati
oggetto di un passaggio, totale o
parziale, alla sfera della libera
impresa.
Un processo di massiccia privatizzazione mirato a risanare i conti
pubblici e a rendere i mercati
nazionali sempre più competitivi ed
efficienti. Tra il 1992 e i primi mesi
del 2001 in Italia sono state effettuate cessioni di quote di aziende
pubbliche per circa 234.800 miliardi di lire. Tali cessioni hanno
riguardato importanti aziende di
proprietà del Ministero del Tesoro
(Telecom, Seat, Ina, Imi, Eni, Enel,
Mediocredito Centrale, Bnl), della
smantellata Iri (Finmeccanica,
Aeroporti di Roma, Cofiri,
Autostrade, Comit, Credit, Ilva,
Stet), del gruppo Eni (Enichem,
Saipem, Nuovo Pignone), dell’Efim
e di altri enti, come l’Istituto bancario S. Paolo di Torino e il Monte
dei paschi di Siena.
Nei sette anni più intensi del processo, dal ’92 al ’99, sono entrati
nelle casse pubbliche oltre 178.000
miliardi di lire, quasi l’8% del Pil
di quello stesso periodo.
In questo mare magno, il primato in
termini di aziende dismesse se lo
aggiudicava il settore delle telecomunicazioni, con un’incidenza del
33,2% sul numero complessivo di
soggetti privatizzati.
Sulla scia si attestava il bancarioassicurativo, a quota 31,6% e a
distanza i trasporti con il 13%, l’agro-alimentare con il 3,4% e l’editoria con il 2,8%. Sulla stessa direttiva, si è proceduto alla privatizzazione parziale di aziende pubbliche
locali come l’Acea di Roma o l’Atm
di Milano.
Eppure il limite di questa maxi-operazione, in termini di liberalizzazione di mercato, appare oggi evidente
con gli effetti di piazza portati dal
decreto Bersani.
L’obiettivo del pacchetto di riforme,
nelle parole dal ministro dello
Sviluppo, è quello “di accrescere
l’offerta nel settore dei trasporti,
del commercio, delle assicurazioni e
delle libere professioni”.
Ma l’immediata e virulenta reazione
delle categorie coinvolte – tassisti,
avvocati, farmacisti titolari di esercizi – la dice lunga sullo stato dell’arte della “rivoluzione liberal”
italiana.
Il processo di dismissione degli anni
’90 ha contribuito certamente al
parziale risanamento dei conti pubblici, con la riduzione di circa
25.000 miliardi della spesa per interessi sul debito pubblico.
Tuttavia, gli esiti liberisti di questa
riconversione sono stati molto
modesti, e disomogenei a livello territoriale.
Il Belpaese ha funzionato a due
marce. Da una parte le rapide e
competitive aggregazioni delle ex
municipalizzate del Nord, dall’altra
l’inerzia e la mancanza di un disegno strategico dei soggetti del Sud.
Tra il 2000 e il 2004, il Mezzogiorno
ha visto realizzare appena il 7%
delle alleanze tra operatori degli ex
servizi pubblici locali, e tutte di
respiro limitato.
Fusioni, quotazioni in Borsa e costituzioni di holding su piano comunale restano sconosciute a sud di
Roma, dove le ex-municipalizzate
hanno spesso gravi difficoltà di
bilancio.
Una privatizzazione affrettata in
queste regioni – avvertono le associazioni di categoria – può diventare un viatico per il riciclaggio di
denaro sporco da parte della malavita organizzata.
Poco consolano, poi, le Sirene della
nati-mortalità d’impresa, che pure
indurrebbero a un ottimismo moderato.Secondo dati Uniocamere,
nelle cinque regioni del Sud, nel
solo primo trimestre 2005 sono nate
8.458 imprese commerciali, con
saldo positivo rispetto all’anno precedente. Ma si tratta di un dato
quantitativo, che non tiene conto
del fatturato dei soggetti in gioco.
Ed è altrettanto vero che a salire –
e in maniera più consistente – è
anche il numero di imprenditori che
cessano l’attività, che sono saltati a
7.512 unità, il 14,6% in più rispetto
al 2004. Palma nera alla Campania,
dove la vita media delle imprese
commerciali sarebbe ormai ridotta
a sei mesi.
E dove il pil pro capite è precipitato
a quota 15.499 euro - davanti solo a
Puglia e Calabria –, quando la
media nazionale sfiora i 25.000
euro.
Secondo Confcommercio e eonfesercenti si tratterebbe degli effetti
“collaterali” della riforma contenuta nel decreto legislativo 114/98, che
ha introdotto un iter più snello per
le nuove aperture.
Attraverso un radicale decentramento di competenze a regioni e
enti locali, il provvedimento è nato
con l’intento di apportare significativi elementi di concorrenza in un
settore per decenni regolamentato
come quello della distribuzione al
dettaglio.
Ma gli effetti benefici sarebbero
stati limitati dal fatto che, questo
stesso snellimento avrebbe favorito
il debutto di imprenditori impreparati, dunque destinati al fallimento.
Se poi si volge lo sguardo al grado
di concentrazione del commercio al
dettaglio, ciò che emerge è ancora
una volta il forte disequilibrio tra la
realtà settentrionale e quella meridionale.
Alle regioni del Centro-Nord in cui
la grande distribuzione è penetrata
con maggior intensità, si contrappone un Sud in cui la presenza
della grande distribuzione risulta
scarsa. Sempre a livello regionale si
evidenzia poi una correlazione negativa tra densità per abitanti della
piccola e della grande ditribuzione.
Per esempio, là dove la struttura
regionale appare sbilanciata sulla
tipologia di esercizi commerciali a
ridotte dimensioni, il grado di penetrazione della grande impresa è
generalmente molto ridotto.
Avvicinando ancora una volta la
lente di ingrandimento alla
Campania, si rileva un aumento di
densità sia della piccola che della
grande impresa.
Dal 1998 al 2001 gli esercizi mediopiccoli sono passati dal numero di
129 ogni 10.000 abitanti a 140,
mentre le grandi catene di distribuzione da otto a più di dieci.
Valutare positivamente un aumento
della numerosità delle attività di
minor “stazza” sembrerebbe contraddittorio conquanto sostenuto
dalla teoria economica, che vede
nell’espansione della grande impresa commerciale la spinta a un effettivo aumento di concorrenza.
Tuttavia il fatto che queste nuove
aziende abbiano siano venute alla
luce non come prodotto di regolamentazioni restrittive, ma come
effetto della riduzionedi barriere
all’entrata, non può che far ben
sperare.
[ Alessandro Potenza ]
Licenze taxi, con il decreto Bersani ogni Comune deciderà in autonomia
A Napoli dopo le proteste estive dei tassisti si attende l’insediamento di una commissione consultiva che stabilirà modifiche su tariffe e percorsi
Le proteste a fiume dei tassisti, nel
mese di luglio, partite dal Circo
Massimo di Roma e propagatesi per
tutta la penisola e le levate di scudi
da parte delle categorie di farmacisti, avvocati e notai, sono un indicatore di come il percorso verso le
liberalizzazioni in Italia sia irto di
ostacoli.
Il ministro allo sviluppo economico,
Pierluigi Bersani, dopo la vittoria
della coalizione guidata da Romano
Prodi, il 4 luglio ha apposto il proprio sigillo ad un decreto sulle liberalizzazioni, passato poi in via definitiva il 4 agosto. Gli effetti su mercati e competitività del cosiddetto
“Pacchetto Bersani” non sono
ancora a portata di analisivisto il
breve lasso di tempo dalla sua
entrata in vigore, ma vediamo cosa
prevede.
Sugli alimentari introduce “la liberalizzazione della produzione del
pane con l’abolizione del limite al
numero dei panifici in ciascun
comune, via libera alla vendita dei
farmaci da banco anche in supermercati ed esercizi commerciali
(esclusi gli alimentari).
Per quanto riguarda le professioni
regolate da albi è stato abolito l’obbligo dell’atto notarile per il passaggio di proprietà di auto, moto e
barche. Abolita la tariffa minima
per i professionisti con “possibilità
del cliente di negoziare la parcella”
e possibilità per i liberi professionisti – esclusi i medici facenti capo
alle Asl – di pubblicizzare la propria attività. Ma il passaggio che ha
incontrato le proteste più accese
della categoria interessata, è quello
della disciplina relativa ai taxi.
Il decreto prevede un “aumento dei
mezzi in circolazione attraverso la
‘programmazione a livello locale’ e
la possibilità per i tassisti di ampliare i turni di lavoro, avvalendosi di
dipendenti o familiari, e per i consorzi di utilizzare veicoli aggiuntivi.
Nel caso in cui la programmazione
locale manchi, i Comuni possono
intervenire bandendo pubblici concorsi, nonchè concorsi riservati ai
titolari di licenza taxi per l'assegnazione di licenze aggiuntive”.
Si tratta di un compromesso perché
inizialmente il decreto-legge prevedeva la possibilità del “cumulo delle
licenze ad uno stesso intestatario”.
Sono seguiti scioperi dei tassisti in
tutta Italia. La categoria temeva
che nuovi grandi gestori, acquisendo più licenze, avrebbero monopolizzato il mercato schiacciando i singoli tassisti. Nel testo definitivo
viene conservato “il divieto di
cumulo di licenze al medesimo intestatario”. A tre mesi dal decreto,
però, la normativa sui taxi si decide
a livello locale, grazie ad accordi
tra amministrazioni comunali e tassinari.
A Napoli, i 2400 tassisti che a
luglio, temendo il peggio, hanno
protestato e bloccato il loro servizio, dopo l’accordo, raggiunto a
livello nazionale, sono ritornati alla
loro normale attività.
Come se nulla fosse accaduto e il
decreto Bersani fosse solo un incubo ormai passato.
In città, intanto, si attende l’insediamento di una Commissione consultiva, composta da esperti di viabilità nominati dal Comune, rappresentanti sindacali della categoria
dei tassisti e una rappresentantza
degli utenti nominati da Unione
consumatori. Si tratta di una taskforce che collaborerà con il Comune
e lavorerà a stretto contatto con i
tassinari, per concordare sistemi di
prenotazione da estendere alle
postazioni dei vari quartieri e per
passare al vaglio ulteriori misure
che vadano incontro alle esigenze
degli utenti senza danneggiare i tassisti.Il responsabile dei trasporti
pubblici ‘non di linea’, Vincenzo
Assorgi,spiega: “L’emergenza viabi-
Tassisti in sciopero, foto di Giulia Nardone
lità e il conseguente commissariamento della funzione viabilità e
parcheggio è il contesto in cui siamo
costretti a muoverci.
Effetti del decreto Bersani sulla
domanda e offerta di taxi ancora
non se ne vedono e non se ne
vedranno almeno sino a fine novembre, data in cui si insedierà la
Commissione Consultiva”.
Ma la novità a Napoli è il taxi gratis
per particolari classi di utenti, gli
appassionati di teatro. “Grazie ad
una apposita convenzione – sottolinea Assorgi – stipulata dai gestori
del teatro Trianon con il servizio
Radiotaxi, agli spettatori abbonati
alla stagione teatrale è offerta la
possibilità di raggiungere il teatro
in taxi dopo aver lasciato la propria
auto al parcheggio custodito
S. Francesco e di usufruire dello
stesso servizio a fine serata”.
[ Eugenio Bonanata ]
inchiostro
numero 5 dicembre 2006
Il Comune di Napoli
Tano Grasso:
“Più coraggio
nelle denunce”
“L’associazione antiracket deve
promuovere e organizzare il coraggio degli imprenditori”. Parte da
qui la decima relazione del 14 giugno 2006 sulla situazione napoletana nel campo dell’antiracket nel
periodo 2002-2006 stilata da Tano
Grasso, consulente per le attività
dell’Amministrazione comunale di
Napoli in materia di tutela del cittadino dal racket e dall’usura.
“Il coraggio è solo uno degli elementi dell’intera strategia antiracket.
L’associazione antiracket è la
somma della responsabilità individuale degli imprenditori e dell’intelligenza di una strategia”, dichiara
Grasso nello scritto.
Uno dei nodi centrali della relazione è la denuncia, vista come mossa
vincente e necessaria da parte di
quelle imprese bloccate dal giogo
del racket. “L’impresa che accetta
di subire il pagamento del pizzo
costituisce un grave problema”.
E’ per questo, infatti, informa
Grasso che “una delle iniziative
assunte dal Comune di Napoli
riguarda l’introduzione, nei bandi
di gara delle opere pubbliche, di
una clausola tesa a scoraggiare l’acquiescenza delle imprese alle richieste estorsive.
L’obiettivo è quello di rendere conveniente la denuncia. Gli imprenditori andrebbero sollecitati a denunciare, a liberarsi dai condizionamenti mafiosi e a passare dalla
parte degli imprenditori non-conviventi. Lo Stato deve essere al loro
fianco.”
[ Ornella Mincione ]
le proposte 9
”Sul mercato in sette giorni”
Il progetto del presidente della commissione Attività produttive Daniele Capezzone
Il disegno di legge punta a favorire e ad accelerare l’iter di avviamento d’impresa
Favorire, semplificare e accelerare
la nascita di nuove imprese.
E’ questo l’obiettivo della proposta
di legge presentata lo scorso 20
luglio in Parlamento da Daniele
Capezzone, presidente della
Commissione Attività produttive ed
ex segretario dei Radicali Italiani.
L’idea rientra nel più ampio dibattito sulle liberalizzazioni che sta interessando l’Italia in questi mesi.
Secondo un rapporto di oltre duecento pagine di Doing business, il
rapporto che la Banca Mondiale
stila ogni anno per stabilire la classifica dove è più semplice iniziare
un’ attività, l’Italia è scesa dal sessantanovesimo al ottantaduesimo
posto, penultima nell’Unione europea. “I dati parlano chiaro – dice
Daniele Capezzone -.
Il disegno di legge, né di destra né
di sinistra, ma liberale rappresenta
una nuova visione culturale prima
ancora che strategica.
Sarebbe una svolta epocale per il
nostro Paese, una riforma a costo
zero con l’unico scopo si snellire la
burocrazia e favorire la crescita”.
Adesso c’è da aspettare il lungo
iter parlamentare. Se passerà la
proposta, firmata da parlamentari
di entrambe le parti politiche, sarà
snellito il rapporto tra imprenditori
e Stato facendo ricadere su quest’ultimo il peso e la lentezza della
burocrazia. Sarà possibile entro
una sola settimana lavorativa, e
non più in un mese, autocertificare
l’avvio di una nuova impresa commerciale o artigianale, poterla subito realizzare.
Daniele Capezzone
Solo dopo, la pubblica amministrazione potrà disporre i controlli di
rito, ma avrà novanta giorni e non
più trenta, come avviene ora, per
farlo. “L’Italia è oggi il Paese occidentale in cui è più difficile fare
impresa.
Sono necessarie da cinquantotto a
ottanta autorizzazioni per iniziare
un discorso imprenditoriale.
Per aprire una semplice carrozzeria ne occorrono addirittura settantasei rilasciate da diciotto diversi
enti. Le difficoltà sono troppe sia
per chi è in proprio sia per i lavoratori che sperano di essere assunti.
Ora, ad esempio, per ottenere una
concessione edilizia ci vogliono dai
nove ai ventisette mesi”, fa notare
Capezzone.
Obiettivo della proposta di legge, di
cui l’ex segretario radicale è il
primo firmatario, è quindi modificare la legge del 1990 che prevede
tempi troppo lunghi dalla dichiarazione di inizio attività, quella che i
tecnici chiamano in gergo tecnico
“dia”, all’effettivo inizio di questa.
L’altra grande novità potrebbe essere l’obbligatorietà dello sportello
unico in ogni comune, sulla carta
presente già dal 2000 su indicazione
del ministro della funzione pubblica Franco Bassanini, dedicato agli
imprenditori. E se questo non sarà
possibile da subito dovranno farsene carico i sindaci.
Secondo Capezzone “l’approvazione della legge avrebbe un forte
valore simbolico, aprendo la strada
a una nuova prospettiva da cui
guardare alla pubblica amministrazione”. Dichiarazioni favorevoli a
questo tipo di iniziative non provengono soltanto dal mondo politico
ma anche da quello dell’ impresa.
Il direttore generale di
Confindustria Maurizio Beretta ha
affermato che i costi della burocrazia pesano sui bilanci delle aziende
per quasi l’1% del Pil (il prodotto
interno lordo).
La Confartigianato ha rilevato nello
studio sulla libertà d’impresa dello
scorso giugno che un’azienda è
costretta a dedicare più di trecentocinquanta ore al pagamento delle
tasse, alla soluzioni di problemi
legati alla documentazione da produrre per continuare a esistere.
Troppe per chi guida una impresa
che potrebbe spendere questo tempo
alla ricerca di nuove tecnologie,
all’organizzazione di corsi di aggiornamento che possano migliorare la
qualità del lavoro degli operai.
[ Marco Lombardini ]
10 i servizi
Incentivi della Regione
Fonti rinnovabili:
pronti 50 milioni
per le aziende
Incentivi e finanziamenti alle
imprese che investono nelle fonti
rinnovabili: sono alcuni degli strumenti con cui la Regione Campania
si propone di ripianare il deficit
energetico.
E con la diffusione di impianti di
cogenerazione distribuita l’obbiettivo è abbattere del 30% i costi energetici delle aziende utenti.
Sul Bollettino ufficiale della
Regione sono stati pubblicati diversi decreti dirigenziali che riguardano il Programma operativo regionale 2006 e i relativi bandi per finanziamenti alle fonti rinnovabili e
all’efficienza energetica.
Un primo decreto dello scorso mese
di giugno prevede misure di sostegno all’efficienza energetica delle
piccole e medie imprese attraverso
la realizzazione di impianti fotovoltaici. Il bando è stato pubblicato
nell’ambito del progetto integrato
isole del golfo. Gli impianti incentivabili in conto capitale devono
avere potenza inferiore a 20 kW e i
soggetti destinatari sono le imprese
operanti nell’ambito dei territori
interessati dai Progetti integrati. Le
risorse disponibili ammontano a un
totale di 1.300.000 euro.
In un altro decreto del 16 giugno
2006 sono previste invece incentivazioni al risparmio energetico, alla
produzione di energia da fonti rinnovabili e alla cogenerazione distribuita. Gli interventi possono essere
monosettoriali o in ambito di progetti integrati.
Per quanto riguarda le rinnovabili
gli impianti incentivabili sono quelli
di produzione di energia elettrica.
Le risorse disponibili sono pari a 50
milioni di euro.
Lo scopo dell’intervento, si legge in
una nota diffusa dalla Regione, è
quello di contribuire ad aumentare
il grado di diversificazione delle
fonti energetiche incrementando la
previsione a favore delle energie
qualificate, indicata dalle linee
guida di sviluppo sostenibile del settore. La previsione, prosegue la
nota, di installare il 25% da fonti
rinnovabili sul totale della potenza
entro 2010 per l’azzeramento del
deficit energetico, risulta, già oggi,
ampiamente raggiunta.
Possono beneficiare degli incentivi
gli interventi finalizzati a realizzare
o ad ampliare gli impianti per la
produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili, cioè che possonoriprodursi, a razionalizzare i consumi, ad ottimizzare l’uso dell’energia, a incentivare il risparmio energetico, a incrementare l’efficienza
energetica negli usi finali, a promuovere il rendimento energetico
nell'edilizia. Nonchè a incentivare
la produzione distribuita di energia
elettrica di piccola taglia anche
mediante cogenerazione, di potenza
non superiore a 50 MW.
Ammesse agli aiuti le micro, piccole
e medie imprese operanti in tutti i
settori economici ad eccezione di
quelli che si occupano delle attività
connesse alla produzione, trasformazione, commercializzazione dei
prodotti agricoli, di attività connesse all’esportazione, alla costruzione
navale, all’industria carboniera e
siderurgica, automobilistica e delle
fibre sintetiche.
Un’ulteriore priorità viene assicurata ai progetti che prevedano un
utilizzo prevalente di fonte primaria proveniente da biogas e biomassa, meglio ancora da colture agroenergetiche. Potrebbe essere questa
una delle strade per la soluzione
del problema energetico.
[ P. D. V. ]
Industria in cerca di energia
Acqua, corrente elettrica e rifiuti: una spesa in più nei bilanci degli imprenditori campani
Molte strutture si sono dotate di generatori per superare i cali di tensione
Buchi nella rete elettrica e buchi
nelle tubature degli acquedotti:
sono i principali ostacoli che l’energia incontra prima di raggiungere le
imprese campane. A dirlo è il
responsabile del settore energetico
di Confindustria regionale Luciano
Morelli. Perdite che pesano sui
bilanci delle imprese, come le tasse
per lo smaltimento dei rifiuti.
Secondo le stime dell’associazione
degli industriali, le interruzioni
della fornitura di corrente elettrica
sono mediamente superiori anche
del 30% rispetto a quelle registrate
nella media delle imprese del
Centro-nord.
I danni che derivano da questi blocchi sono il deperimento delle merci,
interruzioni e ritardi nelle attività
amministrative, perdite di commesse, semilavorati e hardware danneggiati.
Secondo l’associazione degli industriali, le perdite si aggirano intorno all’1% del costo complessivo di
produzione, ossia decine di milioni
di euro all’anno. “Per fronteggiare
i sempre più frequenti buchi di tensione – prosegue Morelli - diverse
imprese si sono dotate di generatori
propri”. Istituzioni ed enti del settore si stanno mobilitando per rattoppare la rete.
“Confindustria Campania – rende
noto Morelli – sta monitorando
insieme all’Enel una serie di aree
dove realizzare interventi strutturali per migliorare le connessioni della
rete elettrica”.
Ma in Campania i problemi più seri
Un impianto eolico in Irpinia
riguardano l’immissione in rete di
energia: in regione se ne produce il
17% di quanta se ne consuma.
Secondo il responsabile energia di
Confindustria, la questione si risolve solo con la creazione di nuove
centrali, soprattutto a turbogas.
Come quella che sta nascendo a
Sparanise.
Per quanto riguarda le risorse idriche, Morelli definisce il sistema
“abbastanza razionale”. Il fabbisogno campano di acqua si aggira
intorno ai 1450 milioni di metri
cubi all’anno, e di questi 200
milioni sono destinati ad usi industriali, secondo le stime di
Confindustria. Allarmanti sono i
dati sulla dipersione d’acqua: su
100 litri, circa un terzo si perde nel
sottosuolo a causa delle pessime
condizioni del sistema di tubature.
Eppure, fa notare Morelli, in
Campania vi è una grande disponibilità d’acqua.
La parola d’ordine è quindi intervenire sulle infrastrutture, sui
grandi adduttori e, anche in questo
caso, rattoppare il sistema di condutture. Altro peso per le imprese,
l’emergenza rifiuti. “Siamo danneggiati - aggiunge Morelli - sia dal
punto di vista dell’immagine che
offriamo ai clienti che vengono da
fuori, sia dal punto di vista delle
tasse da pagare per un servizio non
reso”. Un danno che si riflette in
maniera gravissima sull’industria
del turismo. I rifiuti industriali
devono essere trasportati fuori
regione: un’azienda napoletana
viene a pagare minimo 50 euro in
più a tonnellata per il trasporto,
secondo le stime di Confindustria.
Per lo smaltimento dei rifiuti è in
vigore una tassa basata sulla superficie dell’azienda e non una tariffa
regolata in base alla quantità effettiva di rifiuti prodotta. “Il risultato, lamenta Morelli, è che si arrivano a pagare per un cassonetto
anche 30-40 mila euro all’anno”.
Per uscire dall’impasse, gli industriali napoletani propongono la
gestione privata dei rifiuti industriali e l’avvio della differenziata.
Confindustria ha tra i suoi obiettivi
quello di concorrere allo sviluppo
sostenibile attraverso collaborazioni
ed accordi con istituzioni, enti e
associazioni e con azioni di sensibilizzazione della popolazione tese a
migliorare l’attitudine a “farsi carico delle responsabilità ambientali”.
Già attivo in tal senso è il programma Energia intelligente dell’Unione
europea, che si concentra sulla
rimozione delle barriere non tecniche e sulla creazione di opportunità
di mercato.
[ Pasquale De Vita ]
Tariffe minime: scontro tra generazioni
Gli Ordini professionali si oppongono alla manovra del Governo. Ma i giovani apprezzano le novità
Liberalizzare vuol dire decretare la
morte della professionalità. Anche i
commercialisti, insieme ad avvocati,
architetti e ingegneri, dicono no al
decreto Bersani. Hanno analizzato
le nuove regole, vagliato le proposte
e questa volta, i conti non tornano.
Eppure a sostenere il valore della
libera concorrenza erano stati
soprattutto gli studiosi di economia.
E ancora di più i giovani. Ad aprile, sul portale delle professioni economico giuridiche, è stato pubblicato un documento dal titolo “La
sfida della concorrenza” dove i neo
iscritti all’unione nazionale dei
commercialisti evidenziavano il problema delle professioni in Italia,
troppe regole e poco ricambio generazionale. I professionisti alle prime
armi provavano a fornire un supporto per un’analisi critica della
questione. Ma la scossa di luglio,
seguita alla pubblicazione del
decreto, ha spiazzato anche loro.
Ne condividono la spinta verso l’apertura della professione e apprezzano l’abbattimento delle tariffe
minime. Contestano però alcuni
punti cruciali e i modi in cui la
riforma è stata fatta. Non vogliono
un aumento di responsabilità e di
incombenze cui non corrisponda
adeguato riconoscimento economico
e non vogliono che siano date le
stesse competenze a chi non ha
seguito lo stesso iter formativo, passando per l’università e l’esame di
abilitazione. Totalmente negativo,
invece, il parere dei più anziani.
L’ordine dei commercialisti campani, guidati da Achille Coppola, ha
sottoscritto un manifesto di protesta
indirizzato al Governo e subito
dopo ha deciso di impugnare l’arma
dello sciopero di piazza. Lo scorso
12 ottobre la maggior parte degli
associati si è unita al coro delle voci
dei 50mila professionisti che hanno
manifestato a Roma contro il progetto di riforma. Un evento che
sicuramente non rientra nel loro
dna. Un forte segnale di disagio per
il cambiamento.
I professionisti dicono no all’abolizione delle tariffe minime, no al
divieto di pattuire compensi che
corrispondano agli obiettivi raggiunti, no alle libere società multidisciplinari e no soprattutto all’aumento di responsabilità e oneri
senza alcuna contropartita. In particolare contestano la norma che
impone al professionista di collaborare con la Pubblica amministrazione nella lotta all’evasione fiscale
(Decreto Visco-Bersani), che si traduce solo in un aggravio di incombenze, rischi e costi. “Il governo ci
chiede un ruolo di vigilanza antiriciclaggio, ci attribuiscono un ruolo
di garanti della pubblica buona
fede, ma a tutto ciò non corrisponde alcuna esclusiva professionale”,
afferma Coppola. Ma non solo. Il
Governo chiede che le parcelle non
potranno più essere pagate in contanti, dovranno essere saldate
attraverso una transazione bancaria, sia essa un bonifico, un assegno
o un pagamento con carta di credito, insomma tutte le operazioni
dovranno essere tracciabili. I professionisti saranno infine obbligati a
tenere conti correnti dedicati per la
gestione dell’attività professionale.
“Tutte norme che addossano ulteriori oneri economici agli studi che
inevitabilmente ricadranno sul cittadino stesso. Invece di snellire la
Achille Coppola, foto di Giulia Nardone
macchina burocratica la complicano e ne raddoppiano i tempi”, spiega Coppola.
Le liberalizzazioni varate dal pacchetto Bersani rispondono alla
chiamata di Bruxelles che nella
relazione del 9 febbraio 2004, ha
invitato i governi nazionali ad eliminare tutte le rigidità corporative e
protezionistiche che limitano la
concorrenza nei servizi professionali. Ma sui consumatori come influirà concretamente la riforma?
Potranno trovare su riviste e giornali pubblicità degli studi e scegliere così la prestazione più consona
alle proprie esigenze. Cosa fino ad
ora impossibile perché imbrigliati
dai codici deontologici che ponevano restrizioni sia di contenuti che
di mezzi di diffusione. Niente più
limitazioni dunque. Si potranno
promuovere i propri servizi presso
gli utenti che anche sulle riviste
informative di pubblica utilità.
Infine i clienti potranno rivolgersi
anche a società di persone o associazioni tra professionisti per l’erogazione di servizi di tipo interdisciplinare. Il decreto però detta due
condizioni.
Il divieto di prendere parte a più di
una società e la necessità di indicare preventivamente i soggetti che
forniscono la prestazione, sui quali
grava l’obbligo di responsabilità
per l’attività svolta. E’ una prima
risposta al crescente grado di internazionalizzazione dei servizi che consentirà di creare studi italiani più
competitivi nello scenario europeo.
“Pensare di liberalizzare le professioni non significa aprire a una concorrenza selvaggia, dove l’abusivismo diventa regola e l’improvvisazione viene elevata a rango di legalità”, afferma Raffaele Giglio, presidente del Collegio dei ragionieri di
Napoli.
I professionisti, infatti sono convinti che ci sia un accanimento da
parte del Governo nei loro confronti. Chiedono di procedere nelle liberalizzazioni, non imponendole solo
a categorie numericamente modeste, ma a tutti gli ambiti economicosociali, proprio nell’interesse delle
nuove generazioni.
“Ci sono settori strategici come l’energia e le telecomunicazioni, concentrati in poche mani, che operano
in regime di oligopolio per questo
vogliono che la Pubblica
Amministrazione crei modelli di
meritocrazia trasparenti e una
riforma del mondo delle università,
fondamentale per la ricerca”.
aggiunge l’unione dei giovani commercialisti di Salerno.
[ Iolanda Palumbo ]
la burocrazia 11
inchiostro
numero 5 dicembre 2006
La giustizia civile intralcia l’economia
Un’indagine dell’Istat rivela come la lentezza dei processi incida negativamente sul sistema produttivo campano
Napoli è la prima città d’Italia per numero di cause in materia di rapporti di lavoro e previdenza
L’inefficienza della giustizia civile in Italia è uno
dei fattori che limitano competitività e capacità di
crescita nel paese. Questo è ancora più vero quando si parla di regioni come la Campania. Qui il
grado di efficienza della giustizia, misurata in
durata dei processi, spiega la scarsa natalità di
imprese e le loro ridotte dimensioni rispetto alle
altre regioni. I ritardi nella conclusione dei processi civili, infatti, penalizzano le realtà produttive e minano la competitività del sistema economico. In questo scenario si colloca la ricerca che
l’Istituto nazionale di statistica ha commissionato
al Consorzio per lo sviluppo delle metodologie e
delle innovazioni nelle pubbliche amministrazioni.
L’indagine Istat sottolinea come la durata dei processi nei tribunali del nord sia molto più breve
rispetto a quelli del sud. Ma resta da spiegare
come mai alcuni uffici con un maggior carico di
processi come quello di Napoli, evidenziano performance migliori in termini di probabilità di
chiusura dei procedimenti in primo grado.
Le principali critiche mosse all’attuale sistema di
crisi d’impresa in particolare nel meridione, consistono nell'inadeguatezza di alcune norme nel
perseguire obiettivi di tutela dell’occupazione e di
salvataggio d’impresa. La procedura fallimentare
s’incentra, infatti, sul processo liquidatorio delle
imprese insolventi.
Prevale insomma la caratteristica d’azione di tutela dei creditori da realizzarsi attraverso la vendita
di tutti i beni d'impresa anziché la conservazione
del patrimonio organizzativo in grado di far
sopravvivere l’impresa stessa. L’indagine evidenzia come la durata media delle procedure fallimentari si attesta intorno ai sette anni e mezzo, un
valore di circa un anno superiore rispetto alla
durata media registrata nell'anno 2000. Sono le
società di fatto (46% contro il 62% del 2000) e le
imprese individuali (36% contro il 40% del 2000)
ad avere la più alta possibilità di incorrere in procedure dalla durata eccessiva. In generale le
imprese coinvolte in procedure fallimentari sono
per la maggior parte di “recente” costituzione.
Hanno, infatti, mediamente circa 10 anni di vita.
Sembrerebbe che, all’aumentare dell’età, per
l’impresa si riducano le probabilità di entrare in
crisi e di essere coinvolta in una procedura fallimentare. Anche i procedimenti per cause di lavoro
Il cortile di Castel Capuano sede delle sezioni civili del Tribunale di Napoli, foto di Giulia Nardone
incidono sulla nascita e soprattutto sulla sopravvivenza di alcun e imprese. Napoli ne subisce le conseguenze essendo la prima città d’Italia per numero di processi in materia di lavoro raccogliendo il
17% circa dei procedimenti accolti e il 27% circa
di quelli rigettati. Le controversie in questo specifico ambito, sempre secondo l’indagine Istat,
hanno una durata media di 2 anni e 5 mesi e sono
caratterizzate dal fatto che per avere una sentenza
occorrono 4 o 5 udienze per procedimento, e che
trascorre circa un anno tra l’iscrizione a ruolo
della causa e la data della prima udienza. La
caratteristica principale di questo tipo di cause è
che il tempo d’attesa della prima udienza assorbe
più di un terzo del tempo complessivo. Inoltre il
40% di queste cause termina con un rigetto o con
la rimessione di giudizio ad altra autorità.
Strumenti quali la conciliazione e l’arbitrato che
potrebbero preservare le imprese dai problemi
derivanti dalla lentezza della giustizia, sono ancora poco utilizzati in Italia, nonostante i benefici
che questi istituti presentano: durata certa e molto
ridotta, costi minimi connessi alla tipologia di contenzioso, esecutività della decisione.
[ Giuseppe Porcelli ]
Uffici con maggiore concentrazione di
procedimenti in materia di lavoro e
previdenza (fonte: Istat)
DOMANDE ACCOLTE
NAPOLI
17%
BARI
16%
TORINO
9,30%
DOMANDE RIGETTATE
NAPOLI
27%
BARI
9,20%
PALERMO
9%
L’associazione di categoria pronta a una nuova serrata se l’assessorato alla Sanità non dovesse saldare il debito contratto in questi anni con le farmacie
Federfarma denuncia: troppo lenti i pagamenti della Regione
La spesa farmaceutica, a carico del
Servizio sanitario nazionale, è in
calo. O meglio, il suo aumento, nel
mese di agosto 2006, è stato contenuto del +2,4% rispetto allo stesso
periodo del 2005.
L’aumento contenuto della spesa
farmaceutica, secondo i dati di
Federfarma, ha determinato un
ulteriore rallentamento del trend di
crescita della spesa.
E questo nonostante l’aumento
generalizzato in tutte le Regioni.
Unica eccezione la provincia autonoma di Bolzano dove è stata registrata una diminuzione della spesa
pari a -3,4%: il numero di ricette è
stato contenuto rispetto alla media
nazionale (+2,8%).
“Un dato importante – spiega
Nicola Stabile, presidente di
Federfarma Campania – è quello
relativo alla nostra regione: si è
infatti registrato uno scostamento
dalla media nazionale del 2,8%”.
La Campania, così, è al secondo
posto per numero di ricette nei
primi 8 mesi del 2006 (4,9%).
E Stabile precisa: “Analizzando nel
dettaglio queste percentuali, si legge
che le ricette a Bolzano sono state 1
milione e 600 mila.
Nella sola città di Napoli, invece 37
Differenza spesa netta e numero ricette dei primi otto mesi 2006
rispetto allo stesso periodo 2005
milioni”. Un rapporto di 3 a 100
dovuto alle dimensioni geografiche.Le farmacie continuano a dare
un contributo al contenimento della
spesa sotto forma di sconto al
Servizio sanitario nazionale. Nel
periodo gennaio-agosto 2006, infatti, hanno garantito un risparmio di
oltre 440 milioni di euro. Inoltre lo
sconto dello 0,6% a carico dell’industria, finalizzato al recupero
dello sforamento del tetto di spesa
imposto nel 2005 alla spesa farmaceutica di Asl e ospedali, ha determinato un risparmio di quasi 50
milioni di euro.
Anche la compartecipazione dei cittadini all’acquisto dei farmaci contribuisce al contenimento della
spesa.
“In Campania – spiega Stabile –
non esistono leggi in materia, nonostante il contenimento dei costi.
Significa che i meccanismi di controllo per la vendita dei farmaci
sono stati altri e hanno funzionato”.
Ma restano i problemi legati ai
pagamenti.
Le farmacie di alcune regioni del
centro-sud continuano a subire da
parte delle Asl consistenti ritardi
nei pagamenti degli importi dovuti
per i farmaci erogati ai cittadini.
I ritardi più pesanti si verificano in
Sicilia, in Calabria e in Campania.
“C’è una delibera regionale –
afferma Stabile – che affida alla
società Soresa il compito di liquidare i pagamenti alle aziende private.
Al momento è impegnata con il
recupero dei crediti relativi al
2005”. Per il presidente di
Federfarma Campania, il meccanismo della società di recupero crediti
si è però ingolfato: “la Soresa ha
dei tempi lunghissimi. Spesso i farmacisti aggrediscono le Asl sul
piano giudiziario per ottenere i
pagamenti.
Così facendo la situazione continua
ad aggravarsi perché quando le Asl
sono costrette a saldare i debiti,
ricorrono al fondo monetario corrente rendendo di fatto inutile l’operato di una società come la
Soresa”.
E allora quale sarebbe la soluzione?
“Dopo la serrata delle farmacie
dello scorso 9 ottobre, non è ancora
cambiato nulla. Le promesse dell’assessorato alla Sanità si sono
risolte in un nulla di fatto. Siamo
pronti a prendere decisioni anche
drastiche se le cose non tornano
alla normalità”. E il 6 novembre
scorso, la Federfarma Campania ha
incontrato l’assessore alla Sanità.
“Purtroppo non abbiamo avuto
buone notizie. I pagamenti restano
bloccati e nessuna delle promesse
che ci erano state fatte verranno
mantenute. La situazione non è mai
stata più grave”.
Eppure la Regione Campania ha
messo a disposizione dell’Asl Napoli
1 più di 750 milioni di euro per
pagare le mensilità da gennaio a
novembre 2006.
Cosa è successo? “L’azienda sanitaria ha girato alle farmacie 200
milioni, pagando 2 mesi soltanto”.
Il resto sarebbe servito, secondo
Stabile, a pagare i decreti ingiuntivi. La situazione dei pagamenti
arretrati ha una lunga tradizione:
“Sono titolare della farmacia dal
1986 - racconta Stabile - e non
ricordo un solo anno in cui i pagamenti siano stati correntizi”.
L’unica eccezione è data dal 1995:
“In quell’anno le vecchie Usl (Unità
sanitarie locali) furono sostituite
dalle Asl. La liquidazione dei debiti
fu affidata ai commissari liquidatori
e così le Asl partirono da zero.
Quello, per noi, è stato l’unico
periodo florido”.
[ Laura Pirone ]
12
inchiostro
numero 5 dicembre 2006
Così le famiglie possono risparmiare
Le associazioni dei consumatori si confrontano sulla legge Bersani. Il Codacons: “Ci vuole più coraggio”
Nei capoluoghi campani è possibile spendere fino a 500 euro in meno sull’assicurazione dell’auto
Polemiche, scioperi e proteste.
Sono stati questi i primi effetti del
decreto legge sulle liberalizzazioni
approvato dal Consiglio dei ministri
il 30 giugno.
Ma non ci sono stati solo malcontenti. Segnali di approvazione provengono dalle associazioni dei consumatori come Adoc, Adiconsum,
Codacons, Movimento difesa del
cittadino e Cittadinanzattiva.
Molte di queste hanno apprezzato
le decisioni del governo, dall’apertura della vendita dei farmaci nella
grande distribuzione al possibile
aumento del numero delle licenze
per i taxi nelle grandi città, dagli
effetti sulle banche e sugli ordini
professionali.
Secondo il Codacons il provvedimento sulla competitività consentirà un risparmio di 500 euro l’anno
per le famiglie italiane grazie all’aumento della concorrenza.
Infatti, solo per quanto riguarda il
via libera alla vendita dei farmaci
nei supermercati, si avrà un risparmio di circa 150 euro a famiglia in
un anno.
Dall’abolizione dei limiti alle tariffe
dei professionisti, a cominciare da
quelle degli avvocati, il Codacons
stima invece un risparmio di 300
euro l’anno.
Dalla liberalizzazione delle licenze
dei taxi, invece, l’impatto positivo
sulla spesa delle famiglie sarebbe
intorno ai 50 euro.
Il provvedimento, che favorirà la
liberalizzazione per banche, farmacie e professioni, rappresenta
un’opportunità di maggior concorrenza e tariffe più basse per i consumatori italiani, un’opportunità
sulla quale, secondo le associazioni,
si dovrà vigilare con attenzione.
Secondo l’Adoc, per evitare che la
Le associazioni dei consumatori
liberalizzazione diventi lettera
morta, è necessaria la presenza di
un’Autorità che vigili rigorosamente sull’applicazione corretta della
legge. L’Adoc esprime apprezzamento sugli sviluppi derivanti dal
decreto legge sulle licenze per la
guida dei taxi.
Ritiene però che gli albi debbano
sopravvivere in quanto garanzia
della professionalità e parametro di
riferimento per il consumatore.
Anche l’Adiconsum giudica positivamente la decisione del Governo,
riservandosi una valutazione di
merito su ogni singolo provvedimento. Il giudizio del Movimento
difesa del cittadino sul decreto legge
è positivo, soprattutto riguardo al
provvedimento che autorizza la
vendita dei farmaci da banco nella
grande distribuzione.
Questo porterà l’Italia al livello
degli altri Paesi europei permettedo
un abbassamento dei costi, un maggiore disponibilità dei punti vendita
e il superamento della chiusura corporativa delle farmacie. Positivo,
secondo Mdc, anche l’intervento
nel settore dei taxi: con il provvedimento si avvia a soluzione il problema della scarsità del servizio nelle
grandi città.
Inoltre, il trasferimento della competenza per gli atti di compravendita dell’auto dai notai ai Comuni
semplifica la vita e riduce i costi
per milioni di cittadini.
Cittadinanzattiva sul decreto competitività chiede che maggiore liberalizzazione si traduca in maggiore
tutela dei diritti.
Secondo il vice segretario Giustino
Trincia “gli interventi volti ad una
maggiore liberalizzazione nei servizi
locali, come per esempio per i taxi,
la Feltrinelli | Libri e Musica
piazza dei Martiri, Napoli
Eventi la Feltrinelli
vanno sicuramente nella giusta
direzione perché superano monopli
di fatto e interessi spesso corporativi, pagati da decenni dai cittadini
consumatori e dal sistema Paese”.
E in Campania?
L’Associazione contribuenti utenti
servizi pubblici ha recentemente
protestato proprio perché la grande
distribuzione continua a penalizzare la regione.
In molti centri commerciali non sono
stati ancora istituiti corner per la
vendita di farmaci da banco e di
automedicazione come accade, invece, in altre regioni d’Italia.
Secondo l’Acusp, la liberalizzazione
dei farmaci nei supermercati, se
applicata, garantirebbe ai campani
sconti tra il 20 e il 30 per cento.
Altro punto dolente, le banche.
Il decreto Bersani ha azzerato i costi
di chiusura per i conti correnti: ma
inchiostro
anno VI numero 5
dicembre 2006
Chiuso in redazione
il 21 novembre 2006
Periodico a cura
della Scuola
di giornalismo dell’Università
degli Studi Suor Orsola Benincasa
diretta da Paolo Mieli
Direttore editoriale
Francesco M. De Sanctis
Citarsi addosso live
L'idea
E se per qualche volta provassimo a ribaltare la prospettiva? A mettere da parte le classifiche di vendita e
a dare voce al pubblico? L'invito è rivolto al popolo dei
lettori, degli ascoltatori e dei videospettatori che
hanno lo spirito e la voglia di testimoniare a favore (o
contro, perchè no?) un libro letto o di condividere la
loro passione per un film o un brano musicale.
Partecipare è facile: ogni incontro ha un tema e due
ospiti d'eccezione lieti di contribuire a questa nuova
esperienza. I partecipanti (ospiti compresi) hanno cinque minuti per presentare la propria proposta, per
incuriosire, coinvolgere, appassionare. Poi il piacere di
ascoltare gli altri e tanta voglia di incontrare il libro, il
disco, il film della propria vita. Gli incontri si tengono
indicativamente due giovedì al mese, alle 18.00, alla
Feltrinelli Libri e Musica di Napoli, in Piazza dei Martiri
e vertono su di un tema ogni volta diverso. Maggiori
notizie le potete trovare sul sito www.lafeltrinelli.it e
su www.citarsiaddosso.it. dove verranno pubblicati tutti
i commenti, le recensioni e le citazioni raccolte durante
gli incontri. Tra i partecipanti agli incontri ci sono stati
e ci saranno:
Offrire a chi legge libri, ascolta musica, guarda film
uno spazio nel quale recensirli, commentarli, citarli. Dar
loro l’opportunità
di essere non solo dei consumatori ma anche dei promotori di cultura. Da tempo siamo impegnati a pensare a coloro che frequentano i nostri negozi non solo
come clienti ma anche, e soprattutto, come soggetti
attivi, protagonisti delle nostre scelte imprenditoriali e
culturali. Citarsi Addosso è un altro passo in questa
direzione.
Valerio Caprara, Giuseppe Montesano, Nicola Oddati,
Valeria Parrella.. ecc.
Il parere dei nostri collaboratori
Il sito CitarsiAddosso.it ospita già da qualche anno
gli amanti della citazione , dice Vincenzo Moretti –
presidente di SMILE e docente di Sociologia
dell’Organizzazione all’Università di Salerno – ma l’iniziativa avviata con la Feltrinelli rappresenta qualcosa di
nuovo e di più: la possibilità per le persone di rileggere
e reinterpretare gli scrittori, i musicisti, gli attori, i registi che amano; di contribuire in questo modo a mantenere sempre vive e attuali le loro opere; di portare il
loro piccolo ma prezioso mattone alla costruzione della
biblioteca virtuale delle recensioni e delle citazioni.
Buona citazione a tutti
Condirettore
Lucio d’Alessandro
Direttore responsabile
Arturo Lando
Coordinamento redazionale
Alfredo d’Agnese
Carla Mannelli
Alessandra Origo
Guido Pocobelli Ragosta
Caporedattore
Renato d’Emmanuele
Capi servizio
Nadia Fiore
Marco Lombardini
Luca Romano
Caterina Scilipoti
I n r e d az i o n e
Gaetano Agrelli, Eugenio Francesco
Bonanata, Davide Certosino,
Anna Clemente, Adriana Costanzo,
Ornella D’Anna, Daniele Demarco,
Elena Della Rocca, Pasquale De Vita,
Diego Dionoro, Mario Leombruno,
Francesca Milano, Ornella Mincione,
Caterina Morlunghi, Giulia Cajetana
non tutti gli istituti si sono adeguati.
Tra i nuovi obblighi della banca
previsti dal pacchetto di riforme,
c’è quello di comunicare in anticipo
al cliente le variazioni di contratto
In tal caso il correntista ha il diritto
di chiudere il conto senza alcuna
spesa. Tuttavia, secondo
l’Associazione per i diritti degli
utenti, sono ancora troppe le segnalazioni di scorrettezze: molte banche, afferma l’Aduc, eludono la
norma addebitando ugualmente al
risparmiatore le spese di chiusura.
La tecnica è semplice: i costi sono
registrati sotto altre voci.
Sul fronte delle assicurazioni
risparmiare sull’Rc auto nei
capoluoghi campani è possibile.
È sufficiente confrontare le diverse
offerte, e far giocare concretamente
la concorrenza.
È quanto emerge da un’inchiesta di
Altroconsumo sulle tariffe assicurative a Napoli, Avellino, Benevento,
Caserta, Salerno.
Qualche esempio: nel caso della
classe di bonus-malus 1, se si sceglie
l’offerta più conveniente si possono
risparmiare in un anno 100 euro di
media, con picchi di 500 euro
rispetto all’offerta peggiore.
Per il neopatentato le possibilità di
risparmio sono maggiori: a Caserta
in media si possono risparmiare dai
1000 ai 4000 euro.
I neopatentati campani sono molto
penalizzati: i premi minimi sono, in
ogni caso, superiori ai 1000 euro.
Il fanalino di coda è sempre Napoli,
dove devono sborsare almeno 2000
euro l’anno.
Fare più confronti, sottolinea l’associazione, è l'unica arma che possiede il consumatore per contenere
il rincaro delle tariffe.
[ Elena Della Rocca ]
Nardone, Iolanda Palumbo,
Maria Laura Pirone, Giuseppe Porcelli,
Alessandro Potenza, Nicola Salati,
Patrizia Varone.
S p e d iz i o ni
Vincenzo Crispino
Vincenzo Esposito
tel. 081.2522278
E d i t or e
Università degli Studi
Suor Orsola Benincasa
80135 Napoli
via Suor Orsola 10
Partita Iva 03375800632
R e d a z io n e
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ficco
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I m p a g i n a z i o ne
Luca Bottigliero