le industrie culturali e creative: una mappatura quantitativa

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le industrie culturali e creative: una mappatura quantitativa
LE INDUSTRIE CULTURALI E CREATIVE:
UNA MAPPATURA QUANTITATIVA
Andrea Orlandi - Agenzia Umbria Ricerche
Maria Elena Santagati - Institut d’Études Politiques de Grenoble
Il presente saggio intende indagare il ruolo che la cultura e la creatività esercitano nei
confronti dell’economia umbra. Alle imprese che operano in tali settori - chiamate nel
contesto europeo “industrie culturali e creative1” - è stato infatti riconosciuto, nell’ultimo
decennio, un ruolo importante nell’evoluzione del sistema economico attuale verso la
cosiddetta economia della conoscenza. Soprattutto per due ragioni (che analizzeremo di
seguito): per la loro dinamica positiva in termini di crescita e occupazione negli ultimi anni,
non assecondando il ciclo economico negativo congiunturale; e per il contributo che
danno al resto dell’economia, soprattutto in termini di spinta all’innovazione.
A grandi linee, le ICC sono costituite da un aggregato di attività produttive talora
tradizionali (quali attività artistiche, editoria, architettura) o totalmente nuove (ad esempio
editoria e comunicazione basate sui nuovi media) che hanno in comune un legame
particolare e forte con la cultura, la creatività, la produzione di significati simbolici e di
valore estetico. Questi elementi rappresentano input fondamentali che alimentano le
attività delle ICC, ma ne sono anche l’output, in quanto incorporati in prodotti e
soprattutto in servizi venduti sul mercato, e quindi con un valore commerciale di scambio,
al di là di quello strettamente artistico, espressivo e sociale.
Come vedremo nel paragrafo dedicato alla rassegna degli approcci alla classificazione dei
settori culturali e creativi, l’identificazione delle ICC è ancora parzialmente aperta, e ciò è
probabilmente inevitabile, data la forte e costante evoluzione delle attività interessate,
spesso difficilmente collocabili o trasversali ai settori tradizionali riconosciuti dalle
classificazioni economiche. Le interdipendenze strutturali che stanno alla base del
funzionamento delle filiere culturali e creative, inoltre, sono spesso difficili da tracciare
nella loro completezza.
In primo luogo, ciascuna forma di produzione culturale mutua di norma processi,
contenuti e competenze tipiche di altre forme: per la valorizzazione del patrimonio
storico-artistico, ad esempio, c’è bisogno di allestimenti, di supporti informativi
multimediali, della redazione di testi scientifici e divulgativi, di layout grafici e stampa e di
iniziative di comunicazione.
In secondo luogo, la produzione culturale e creativa interagisce in maniera sempre più
costante e proficua con le tante filiere di prodotti e servizi che hanno bisogno di caricarsi
di valore simbolico-culturale per competere in un mercato dei consumi fortemente
1
D’ora in avanti solo ICC.
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individualizzato e influenzato da fattori di varia natura, quindi ben al di là della semplice
comunicazione pubblicitaria.
In terzo luogo, soprattutto in regioni come l’Umbria, in cui il comparto manifatturiero si
caratterizza in buona misura per una tradizione artigianale di piccola e piccolissima
impresa, esista una vasta “zona grigia” nella quale il confine tra settori creativi e
manifatturieri è difficile da cogliere. Ed è proprio questa zona grigia che caratterizza quello
che viene definito il “sistema produttivo culturale” della Terza Italia (Symbola, 2014).
Le diverse accezioni, più o meno restrittive, di questi settori creativi incidono soprattutto
sulla quantificazione del loro peso sull’insieme dell’economia, in termini di valore aggiunto,
occupati, export, ecc. Da un punto di vista dinamico, invece, i risultati sono più omogenei:
nell’ultima decade la crescita delle ICC nel contesto europeo è stata quasi sempre maggiore
del resto dell’economia.
In termini generali, è possibile individuare alcuni elementi caratterizzanti i diversi soggetti
economici che operano nelle ICC (Ervet, 2012): il ricorso come input strategico a risorse
culturali e capacità creative; la produzione di senso, valore estetico e altro valore simbolico
in aggiunta al valore funzionale dei beni e servizi realizzati; un modus operandi che possiamo
qualificare come di “ricerca applicata continua”, lontano dalla produzione seriale e volto
alla continua produzione di novità-unicità, quasi sempre costretto a prove e aggiustamenti
reiterati perché l’esito commerciale positivo di ciò che viene realizzato non è mai garantito
(si pensi alla produzione artistica e all’industria dei media, oppure alla comunicazione
pubblicitaria o ai software).
Si tratta di attività tendenzialmente innovative e poco ripetitive, organizzate solitamente in
forma di progetto, il che richiede ogni volta un formato ad hoc. Questo porta con sé che il
contenuto dell’attività non è ottenibile e replicabile con ragionevole facilità una volta che la
“macchina” produttiva sia stata opportunamente ingegnerizzata e costruita. L’attività a
progetto, inoltre, è causa di una elevata flessibilità, non solo a livello dell’organizzazione
dell’impresa, ma anche del singolo lavoratore, artista o professionista che sia. Il lavoro
tipico nei settori delle ICC, quindi, è un lavoro qualificato, precario e molto mobile.
Ma la caratteristica che forse meglio aiuta a qualificare i soggetti economici come “creativi”
è la prevalenza nel loro lavoro della dimensione artigianale, un aspetto non di immediata
comprensione. Nell’accezione comune, infatti, il nesso tra lavoro artigiano, cultura e
creatività è stabilito dall’importanza che hanno in molte attività artigianali i saperi
tradizionali (in genere radicati in una tradizione culturale, in un contesto sociale o
territoriale) e/o dalla presenza di attività artigianali con una chiara connotazione artisticocreativa. In effetti, l’attenzione concentrata sul “creare e fare bene” tipico del lavoro
artigiano, piuttosto che sulla dimensione manageriale dell’azienda, è un carattere distintivo
di molti creativi. Le questioni gestionali (i finanziamenti, le strategie di mercato, le logiche
“industriali del contenimento dei costi, del conseguire un certo grado di serialità per
raggiungere una maggiore sostenibilità economica della propria attività, ecc.) sono
necessarie ma spesso vengono viste come esterne al core delle attività aziendali. La
dimensione tipicamente artigiana del lavoro creativo, quella che Richard Sennett (2008)
definisce efficacemente “maestria artigiana”, rinvia alla piena padronanza di tecniche e
conoscenze, e a un costante impegno al miglioramento di sé e del proprio lavoro. La
capacità di rielaborare la tradizione, infine, oltre a trasformarsi spesso in produzione
artistico-culturale, è necessaria per “informare di sé” anche produzioni di carattere seriale.
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Stefano Micelli (2011) identifica tre dimensioni in grado di caratterizzare l’artigiano
contemporaneo: l’artigiano traduttore, il creativo e l’adattatore. L’artigiano traduttore (ad
esempio, il modellista che traduce il disegno dell’architetto in un plastico tridimensionale)
ha bisogno sia della familiarità con la materia che di “una cultura all’altezza del compito”.
La sua è quella capacità in grado di tradurre in un contesto diverso esperienze già esistenti,
facendo spesso innovazione cosiddetta “di processo”, oppure di tradurre in linguaggio
espressivo il messaggio insito all’interno di un prodotto realizzato in modalità seriale
dall’industria, innervandolo di un’anima artistica e culturale. L’artigiano creativo, o artistico,
è rappresentato dai mestieri d’arte, e costituisce uno “straordinario bagaglio di storia
materiale, di gusto estetico, di significati e di storia, che rischia di non essere
adeguatamente riconosciuto sul piano culturale, e che deve ancora trovare una risposta sul
piano della sostenibilità economica”. Esempi sono la ceramica a Deruta o i costruttori
d’organo a Foligno. La terza figura, quella dell’artigiano adattatore, riguarda mestieri diversi:
coloro che intervengono nella personalizzazione di un prodotto altrimenti seriale (sia di
lusso, che a basso costo); coloro che contribuiscono ad allungare la vita di un oggetto
dopo che è stato licenziato dal suo produttore (riparatori meccanici e sartoriali, restauratori
e così via); gli sviluppatori di software che adattano soluzioni open source alle necessità
specifiche dell’utilizzatore finale, ecc. Questa terza figura è quella dove prevale il saper
fare, le capacità tecniche dell’artigiano, mentre creatività, legami con la cultura e saperi
tradizionali sono meno importanti.
La dimensione artigiana viene considerata centrale dallo studio della Fondazione SymbolaUnioncamere nella perimetrazione delle imprese manifatturiere da includere nell’economia
della creatività. L’approccio concettuale di Symbola privilegia, da un lato, la componente
artigiana delle attività tipiche del made in Italy, in quanto ritenuta quella più creativa e legata
a tradizioni e saperi consolidati; dall’altro, per le imprese più grandi, si scelgono quelle che
esportano, assumendo ragionevolmente che queste imprese riescano a competere sui
mercati esteri grazie al design e allo stile originale dei loro prodotti. Per diverse ragioni - di
cui daremo conto nei successivi paragrafi - abbiamo fatto nostro tale tipo di approccio, e
quindi anche la mappatura delle ICC umbre, per ora solo quantitativa, muoverà dalle
premesse appena illustrate.
BOX: L’Europa e le industrie culturali e creative2
A livello europeo, le azioni intraprese a sostegno delle imprese culturali e creative sono di varia
natura.
Già nel 2007, nell’ambito dell’Agenda europea della cultura e del metodo aperto di coordinamento
(MOC), uno dei gruppi di lavoro costituiti in ambito culturale aveva ad oggetto le imprese culturali
e creative. Il gruppo di esperti ha poi elaborato documenti utili e raccomandazioni rivolte a Stati
membri e Regioni per la promozione del settore e di politiche pubbliche a sostegno del settore.
Gli studi commissionati dalla Commissione europea all’agenzia KEA European affairs nel 2006 e
nel 2009, dedicati rispettivamente all’economia della cultura in Europa e all’impatto della cultura
sulla creatività, costituiscono due esempi rilevanti dell’importanza attribuita al settore a livello
europeo. Successivamente, nel 2009, viene proclamato l’Anno europeo della creatività e
dell’innovazione, due tematiche profondamente interconnesse che l’Unione europea considera
congiuntamente anche in altre occasioni, in primis per il loro legame a livello economico.
Per un ulteriore approfondimento si rimanda al n. 11-12/2015 di AUR&S, la cui uscita è prevista nella
primavera 2015.
2
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Nel 2010, viene pubblicato il Libro verde “Unlocking the potential of cultural and creative industries”, con
cui si afferma la necessità di favorire lo sviluppo del settore e i suoi impatti diretti e indiretti.
Ancora, negli ultimi anni, la Commissione europea elabora molteplici comunicazioni aventi ad
oggetto le imprese culturali e creative e il loro apporto in termini di occupazione, di sviluppo locale
e di innovazione.
Il contributo che le ICC possono apportare nel raggiungimento delle strategie di Europa 2020 è
inoltre riconosciuto, in particolare per quanto concerne la crescita intelligente.
A livello finanziario, con il nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, le ICC sono sostenute
attraverso il programma Europa Creativa, che sostituisce i programmi Cultura e Media, ma anche
attraverso alcuni strand dei programmi Horizon 2020 e COSME - Competitiveness of Enterprises and
Small and Medium-sized Enterprises, oltre che con i Fondi Strutturali.
Nell’attuazione della politica di coesione, alle ICC, come più in generale alla cultura, non è stato
dedicato nessun obiettivo tematico tra gli 11 proposti, ma sono state inserite al loro interno in
maniera trasversale.
La necessità di formulare politiche evidence based per promuovere le ICC è sostenuta da molteplici
progetti e documenti europei, come il “Policy handbook on: how to strategically use the EU support
programmes, inlcuding Structural Funds, to foster the potential of culture for local, regional and national
development and the spill-over effects on the wider economy?” pubblicato nel 2012 dal gruppo OMC on cultural
and creative industries, in cui la mappatura delle ICC è considerata une precondizione allo sviluppo
delle politiche di sostegno al settore.
Sintesi dei principali approcci di perimetrazione e classificazione del settore
culturale e creativo
La definizione del perimetro delle imprese culturali e creative risulta particolarmente
complessa e controversa, come dimostra la provocazione per cui “all industries are
cultural” (D. Mato, 2008), al punto che, nonostante i vari tentativi avviati a livello
internazionale, non si è ancora pervenuti ad una soluzione universalmente condivisa.
Molteplici ed eterogenei sono, infatti, gli approcci elaborati dagli anni ’90 del secolo
scorso, secondo i quali la classificazione delle imprese culturali e creative si può basare su
criteri distinti a livello di input, di output, di produzione, di diritto d’autore, di valore
d’uso, etc., che possono variare anche in funzione del contesto geografico; ad esempio,
mentre l’approccio nordeuropeo si concentra sull’economia dell’esperienza, quello
statunitense preferisce la proprietà intellettuale.
A sua volta, il confine stesso tra industrie culturali e creative risulta piuttosto labile, ancor
più nel contesto internazionale; in linea molto generale, è comunque possibile affermare
che le industrie culturali si caratterizzano per la produzione di output strettamente
culturali, mentre le industrie creative hanno all’origine un input culturale e creativo, ma i
relativi output non hanno una funzione necessariamente culturale (ad esempio il design,
l’artigianato artistico, etc.).
Il termine “cultural industries” risale agli anni ’40 del secolo scorso con i lavori della
Scuola di Francoforte, in particolare di Horkheimer e Adorno, che attribuivano
all’industria culturale una connotazione negativa in relazione alla produzione culturale di
massa, e acquisisce l’accezione odierna soltanto a partire dagli anni ’80, mentre quello di
“creative industries” risale agli anni ’90 del secolo scorso, nel contesto della politica
culturale australiana, prima, e anglosassone, poi.
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Tuttavia, è soprattutto a partire dall’inizio del nuovo secolo che il fenomeno delle ICC
assume grande rilevanza, quando viene compreso il ruolo decisivo che esse svolgono nello
sviluppo economico contemporaneo, anche in relazione allo sviluppo delle ICT, e alla luce
di una crescente culturalizzazione dell’economia; per la loro affermazione, risultano senza
dubbio fondamentali anche i lavori di C.Landry, J.Howkins e R.Florida, che hanno
fortemente contribuito al riconoscimento del valore sociale ed economico della creatività,
occupandosi rispettivamente di creative cities, creative economy e creative class.
Nell’ambito delle ICC, il primo contributo decisivo è quello realizzato dal DCMS Department of Culture, Media and Sport del Regno Unito (attualmente DCOMS - Department of
Culture, Olympics, Media and Sport) che, nel 1998, istituisce la Creative Industries Task Force e
pubblica il Creative Industries Mapping Document, ed elabora successivamente ulteriori
documenti utili.
L’approccio inglese, che ha avuto ampia diffusione a livello internazionale e in particolar
modo in Asia orientale, considera le industrie creative come “quelle attività che hanno la
loro origine nella creatività, nelle capacità e nel talento individuali, e che hanno il
potenziale per la creazione di benessere attraverso la generazione e lo sfruttamento della
proprietà intellettuale” (DCMS, 1998), comprendendo i seguenti tredici settori: pubblicità;
architettura; antiquariato; artigianato; design; moda; film e video; software
d’intrattenimento; software professionale; musica; spettacolo dal vivo; editoria; tv e radio.
Tra i principali contributi in materia di industrie culturali e creative3 risultano
particolarmente significativi la distinzione tra creative e humdrum inputs e la definizione delle
sette proprietà economiche caratterizzanti le industrie creative, proposte nel 2000 da
Richard Caves4, e il modello dei “cerchi concentrici” con cui David Throsby5, nel 2001,
distingue quattro categorie di imprese sulla base del livello di cultural value dei prodotti, in
ordine decrescente:
- nel primo cerchio: le arti visive, lo spettacolo e la letteratura;
- nel secondo cerchio: i musei, il cinema, la fotografia, le biblioteche e gli archivi;
- nel terzo cerchio: l’editoria, la televisione, i media;
- nel quarto cerchio: la pubblicità, la moda, il design, l’architettura.
A livello europeo, il rapporto “Jan Figel”, realizzato nel 2006 dalla società KEA European
Affairs per la Commissione europea e intitolato “The economy of culture in Europe”, costituisce
un contributo di fondamentale importanza, poiché per la prima volta viene stimato
l’impatto economico e sociale del settore culturale e creativo in Europa. Si dimostra che il
settore, oltre a registrare importanti trend di crescita, genera un contributo importante in
termini di PIL, di occupazione, di competitività a livello europeo, oltre ad essere in stretta
interdipendenza con il settore delle ICT e a costituire un importante fattore per lo
sviluppo locale.
3 Tra gli altri, O’Connor 1999; Caves, 2000; Cunningham, 2001; Flew, 2001; Howkins, 2001; Pratt, 2004;
Hartley, 2005; Garnham, 2005; Hesmondhalgh, 2002, 2007; Galloway e Dunlop, 2007; Hartely, 2005, 2008;
Throsby, 2001, 2008; Higgs, Cunningham e Bakhshi, 2008; Towse, 2003, 2010.
4 R. Caves, Creative industries. Contracts between arts and commerce, Harvard University Press, 2000. L’autore propone
una lista di sette economic properties che caratterizzano le imprese creative: 1.Nobody knows principle; 2. Art for art’s
sake; 3.Motley crew principle; 4.Infinite variety; 5.A list/B list; 6.Time flies; 7.Ars longa.
5 D. Throsby, Economics and culture, Cambridge University Press, 2001. Il modello “a cerchi concentrici” di D.
Throsby è stato ripreso e riformulato nel 2007 dalla Work Foundation, che al centro sostituisce il cultural value
con l’expressive value.
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Graf. 1 - Modello dei cerchi concentrici di D. Throsby
Fonte: D. Throsby, 2001
Nel rapporto si riprende e si rielabora il modello a cerchi concentrici precedentemente
illustrato, arrivando a formulare un approccio così articolato: al centro il cuore delle arti,
nel primo cerchio le industrie culturali, nel secondo le industrie e attività creative, nel terzo
le industrie connesse.
Tab. 1 - Classificazione settore culturale e creativo, Rapporto KEA 2006
CERCHI
SETTORI
CUORE DELLE ARTI
Arti visive
Arti dello spettacolo
Patrimonio
Cerchio 1:
INDUSTRIE CULTURALI
Cerchio 2:
INDUSTRIE E ATTIVITÀ
CREATIVE
Cerchio 3:
INDUSTRIE E ATTIVITÀ
CONNESSE
Film e video
Televisione e radio
Videogiochi
Musica
Editoria
Design
Architettura
Pubblicità
Produttori di computer, mp3, telefonia
mobile, etc.
Fonte: elaborazione degli autori da Rapporto KEA 2006
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SOTTO-SETTORI
Artigianato
Pittura
Scultura
Fotografia
Teatro
Danza
Circo
Festivals
Musei
Biblioteche
Siti archeologici
Archivi
Mercato della musica registrata
Spettacoli dal vivo
Ricavati delle società di gestione dei
diritti di proprietà intellettuale nel
settore musicale
Editoria di libri, giornali e riviste
Design nella moda, design grafico,
design di prodotto e design d’interni
Sempre per conto della Commissione europea, Eurostat pubblica alcuni rapporti
sull’economia del settore culturale in Europa: nel 2002 attraverso i lavori del Gruppo
LEG-Culture (1997-2000), che distingue il settore culturale e creativo adottando le
categorie NACE6, il relativo aggiornamento nel 2007 e infine, nel 2012, il Rapporto
Eurostat ESSnet on cultural statistics, a conclusione dei lavori del gruppo ESSnet - European
Statistical System Network on Culture (2010-2012).
Quest’ultimo ha proposto una classificazione del settore in 10 categorie: patrimonio
culturale (materiale e immateriale); archivi; biblioteche; editoria e stampa; arti visive
(compreso il design); arti performative; audivisivi e multimedia; architettura; pubblicità;
artigianato, e 6 funzioni: creazione, produzione/pubblicazione, distribuzione/commercio,
conservazione, educazione, management/regolamentazione.
A livello internazionale, altri approcci sono stati elaborati da organismi quali WIPO - World
Intellectual Property Organisation nel 2003, che basa la classificazione sul criterio della
proprietà intellettuale, OECD - Organisation for Economic Co-operation and Development nel
2005, che considera la società dell’informazione, e UNESCO - United Nations Educational,
Scientific and Cultural Organisation.
Nel 1986, quest’ultimo pubblica, a seguito di lavori avviati nel 1974, la classificazione delle
attività culturali in 9 categorie7, che risultano più ampie di quelle individuate da Eurostat,
comprendendo anche lo sport e il patrimonio naturale. In seguito, nell’UNESCO
Framework for cultural statistics del 2009, vengono individuate 7 categorie principali per il
settore culturale: patrimonio culturale e naturale; arti performative e celebrazioni; arti
visive e artigianato; editoria e stampa; audiovisivi e media interattivi; design e servizi
creativi; patrimonio culturale immateriale, oltre a 2 categorie per i settori collegati: turismo,
sport e attività ricreative.
Altri importanti contributi UNESCO in proposito sono i “Report on the creative economy”
pubblicati nel 2008, 2010 e 20138.
A livello nazionale, vari sono stati i tentativi di perimetrazione del settore culturale e
creativo, a partire dal Rapporto Bodo-Spada sull’economia della cultura in Italia 1990-2000
(2004), ad altri eterogenei sviluppati successivamente dall’Istituto Tagliacarne (2009), da
Walter Santagata (2009), da Symbola (2011, 2012, 2013, 2014) e da Pietro Valentino per
Civita (2013).
Il Rapporto Bodo-Spada, che ha analizzato la spesa pubblica e privata per la cultura in
Italia dal 1990 al 2000, divide il settore culturale in quattro categorie: beni culturali;
spettacolo dal vivo; audiovisivi; industria editoriale, mentre l’Istituto Tagliacarne, nel
rapporto “Il sistema economico integrato dei beni culturali”, realizzato per Unioncamere
nel 2009, considera un perimetro più esteso, con l’obiettivo di “far emergere il ruolo di un
insieme di aziende, trasversali all’economia, potenzialmente collegabili al patrimonio
culturale/ambientale presente sul territorio, quantificandone il peso in termini di valore
aggiunto prodotto e occupazione”.
NACE: nomenclature générale des activités économiques
Patrimonio culturale, editoria e letteratura, musica e spettacoli dal vivo, arti visive, mezzi audiovisivi, attività
socio-culturali, sport e giochi, ambiente e natura.
8 I rapporti sono stati realizzati da: UNCTAD-United Nations Conference on Trade and Development e
UNDP- United Nations Development Programme, attraverso UNOSSC-United Nations Office for SouthSouth Cooperation in collaborazione con UNESCO-United Nations Educational, Scientific and Cultural
Organization, WIPO-World Intellectual Property Organization e ITC-International Trade Centre.
6
7
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Graf. 2 - Classificazione del settore culturale secondo l’UNESCO
Fonte: UNESCO Framework for cultural statistics, 2009
Il Rapporto Tagliacarne, infatti, a seguito di un’analisi delle 883 categorie economiche
ATECO, individua 138 settori ATECO di interesse, raggruppati in cinque macro-aree:
- beni e attività culturali (23 categorie);
- industria culturale: editoria, audiovisivi, multimediale (31 categorie);
- enogastronomia e produzioni tipiche (21 categorie più le produzioni agricole di qualità9);
- produzioni di natura industriale e artigiana (42 categorie);
- architettura ed edilizia di riqualificazione (21 categorie).
Questo approccio considera anche il settore dell’enogastronomia, con le specificità delle
produzioni alimentari tipiche, che assume particolare rilevanza per l’economia italiana.
Anche l’approccio di Santagata, principalmente qualitativo e pubblicato nel Libro Bianco
sulla Creatività del 2009, risulta ampio, includendo, ad esempio, la moda e l’industria del
gusto. In particolare, vengono individuati 12 settori economici suddivisi in tre macrocategorie:
- “cultura materiale”: la moda, il design industriale e l’artigianato, l’industria del gusto;.
- “produzione di contenuti, informazione e comunicazione”: computer e software,
editoria, tv e radio, film e pubblicità;
- “patrimonio storico e artistico”: il patrimonio culturale, le arti performative,
l’architettura e l’arte contemporanea.
9 Il rapporto include nell’analisi anche alcuni prodotti che non appartengono ad una specifica categoria
ATECO, in particolare le produzioni agricole classificate DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP
(Indicazione Geografica Protetta), e le produzioni vitivinicole classificate DOC (Denominazione di Origine
Controllata), DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) e IGT (Indicazione Geografica
Tipica).
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Tuttavia, l’approccio più noto a livello nazionale è indubbiamente quello sviluppato da
Symbola - Fondazione per le qualità italiane e Unioncamere, in occasione dei Rapporti
annuali “Io sono cultura. L’Italia della bellezza e della qualità sfida la crisi”, che stima il
valore aggiunto, l’occupazione, le esportazioni e l’attivazione della spesa turistica del
settore culturale e creativo in Italia, e che spiegheremo nei prossimi paragrafi.
Inoltre, nel 2013, Pietro Antonio Valentino sviluppa, in occasione dell’Indagine Civita
sulla dimensione del settore privato nell’industria culturale e creativa italiana10, un
approccio che esclude dalla classificazione quelle imprese che, sia a livello di input, sia a
livello di output, risultano strumentali al settore culturale e creativo.
A livello regionale, soltanto alcune Regioni italiane hanno provveduto o stanno
provvedendo ad analizzare il settore delle imprese culturali e creative nel proprio territorio
o in una parte di esso, tra le quali Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Puglia,
Marche, Umbria; a questo proposito, la ricerca11 realizzata da ERVET - Emilia Romagna
Valorizzazione Economica del Territorio risulta particolarmente esaustiva.
È evidente che la mappatura del settore a livello regionale costituisce un primo
fondamentale passo per l’elaborazione di politiche evidence based a favore delle imprese
culturali e creative, come sottolineato anche in alcuni documenti europei citati sopra.
L’approccio metodologico dello studio AUR sulle imprese culturali e creative in
Umbria
Per l’analisi in oggetto è stata adottata la metodologia di Symbola e Unioncamere,
elaborata a partire dagli elementi comuni alle più note classificazioni europee, con alcune
integrazioni alla luce delle peculiarità del sistema produttivo culturale italiano, utilizzando i
dati forniti da Unioncamere Umbria.
Il rapporto di Symbola sulle ICC italiane è arrivato ormai alla sua quarta edizione, e
l’adozione della sua impostazione concettuale ci ha consentito di inquadrare il sistema
produttivo culturale umbro all’interno del più ampio quadro italiano e di compararlo con
quello delle altre regioni.
Si è arrivati così a ricomporre un insieme di attività economiche al dettaglio settoriale più
fine possibile (quinta cifra ATECO), corrispondenti a 82 codici ATECO 2007, raggruppati in
quattro macro aree:
- Patrimonio storico artistico: quelle attività, svolte in forma d’impresa, legate alla gestione e
valorizzazione del patrimonio storico-artistico (3 codici);
- Performing arts e arti visive: quelle attività che, per loro natura, non si prestano a un modello
organizzativo di tipo industriale, che riguardano produzioni artistiche o l’organizzazione di
eventi dal vivo (6 codici);
- Industrie culturali: quelle attività collegate alla produzione di beni riproducibili, connessi alle
principali attività artistiche a elevato contenuto creativo, in cui le imprese operano
comunque secondo logiche industriali: cinematografia, televisione, editoria, industria
musicale (31 codici);
- Industrie creative: tutte quelle attività produttive non propriamente culturali che, comunque,
traggono linfa creativa dalla cultura, e che contribuiscono a veicolare significati e valori
10L’arte
11 C/C
di produrre Arte. Imprese italiane del design a lavoro, a cura di Pietro Antonio Valentino, Marsilio Editori, 2014
Cultura e creatività, ricchezza per l’Emilia Romagna, ERVET, 2012.
295
nelle produzioni di beni e servizi: il design, l’architettura e la comunicazione. Sono escluse,
quindi, la distribuzione e il commercio, mentre vi rientrano quelle attività che si occupano
di produrre beni e servizi creative driven, derivanti da sfere più estese della produzione di
beni e servizi, ad esempio nell’ambito dell’enogastronomia, della moda, dell’arredamento,
etc., realizzati da imprese artigiane e da imprese non artigiane esportatrici, che veicolano le
specificità del made in Italy nei mercati esteri (42 codici).
Il contributo del sistema produttivo culturale all’economia umbra in una
prospettiva comparativa
Vista la disponibilità dei dati camerali fornitici da Unioncamere, nei paragrafi che seguono
analizzeremo la componente imprenditoriale del sistema produttivo culturale,
quantificandone il fenomeno e descrivendone le principali caratteristiche. Procederemo, in
particolare, ad una prima mappatura delle imprese culturali e creative umbre, per capire il
loro contributo all’economia regionale.
In chiave comparativa nazionale, ricorreremo ai dati elaborati dalla Fondazione Symbola
nel recente rapporto Io sono cultura 2014, il quale evidenzia, innanzitutto, il ruolo
polarizzatore dei grandi agglomerati urbani nei confronti delle ICC. Su scala regionale,
infatti, la maggiore specializzazione culturale si registra in Lombardia e nel Lazio (circa il
17% del totale del sistema produttivo culturale italiano si localizza in queste regioni), che
vedono la presenza delle due aree metropolitane più importanti del paese.
In termini assoluti (tab. 2), e con riferimento al settore privato, a livello nazionale il sistema
culturale rende il 5,4% della ricchezza prodotta, pari all’incirca a 75 miliardi di euro, dando
lavoro a 1,3 milioni di persone, il 5,8% del totale degli occupati in Italia (Fondazione
Symbola, 2014). Il valore aggiunto culturale e l’occupazione hanno seguito andamenti
differenziati all’interno del territorio italiano. Il Nord Ovest ha prodotto il 35% del valore
aggiunto culturale italiano, occupando il 31,6% del totale degli addetti italiani della filiera.
Il Centro, grazie al traino del Lazio, è la ripartizione con il tessuto economico
maggiormente specializzato dal punto di vista culturale. L’Umbria si classifica al nono
posto tra le regioni italiane, con 887,8 milioni di euro di ricchezza generata dal sistema
delle ICC nel 2013, pari al 4,7% del valore aggiunto totale prodotto dall’economia
regionale12.
L’economia umbra legata alle ICC, da questi primi dati, sembra essere ancora una
“nicchia”, collocandosi al di sotto della media nazionale e della ripartizione di riferimento
sia come quota di valore aggiunto prodotto dal sistema delle ICC sia come numero di
addetti.
Esaminando più nel dettaglio le imprese del sistema produttivo culturale, Symbola ha
stimato che, a livello nazionale, la ricchezza viene generata quasi in pari misura dalle
industrie culturali in senso stretto (46,4%) e dalle imprese creative (47,0%), mentre un
ruolo secondario spetta alle performing arts e arti visive (5,2%) e al patrimonio storicoartistico (1,5%).
Su scala provinciale, Perugia si colloca al 39° posto tra le province italiane con il 5% del valore aggiunto
prodotto dal sistema culturale, e Terni al 77° con il 3,9%.
12
296
Tab. 2 - Valore aggiunto e occupazione del sistema produttivo culturale nelle regioni
italiane al 2013 (Incidenza %)
REGIONE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino AA
Veneto
Friuli VG
Liguria
Emilia-R.
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
VALORE AGGIUNTO
% su tot
% su tot
nazionale
economia regionale
8,5
5,7
0,2
3,8
24,8
6,2
2,1
4,8
11,1
6,3
2,5
5,7
1,7
3,3
7,5
4,5
6,8
5,3
1,2
4,7
3,1
6,5
13,9
6,8
1,6
4,4
0,3
4,3
4,9
4,4
3,2
3,9
0,6
4,5
1,4
3,7
3,3
3,4
1,4
3,7
35,2
5,8
23,2
5,4
25,0
6,2
16,7
4,0
100,0
5,4
OCCUPAZIONE
% su tot
% su tot
nazionale
economia regionale
8,6
6,1
0,3
5,9
20,8
6,4
1,9
5,4
11,5
7,0
2,6
6,5
2,0
4,2
7,6
5,0
7,7
6,5
1,4
5,2
3,6
7,1
11,5
6,5
1,8
5,0
0,4
5,2
5,3
4,5
4,1
4,6
0,8
5,5
1,9
4,2
4,4
4,2
1,9
4,4
31,6
6,1
23,7
6,1
24,2
6,5
20,5
4,5
100,0
5,8
Fonte: Fondazione Symbola, Io sono cultura. Rapporto 2014
In una dimensione sub-nazionale, il sistema produttivo culturale sembra più legato alle
industrie culturali - che potremmo definire il core della filiera - nelle aree metropolitane,
mentre nelle aree periferiche della Terza Italia assume maggiore rilevanza il settore
creativo, probabilmente perché più legato alla veicolazione culturale della tradizione
manifattura di quei territori. Questo spiega come, in termini di valore aggiunto sul totale
dell’economia delle singole regioni, accanto a realtà caratterizzate da grandi aree
metropolitane come il Lazio e la Lombardia, si posizionino le province manifatturiere del
Veneto e delle Marche.
Il grafico 3 fa riferimento al 2012 e dà maggiore contezza di tale fenomeno. Le regioni
delle grandi conurbazioni di Roma, Milano, Torino e Napoli sono quelle in cui il sistema
delle ICC è più legato alla capacità di produrre ricchezza dei settori culturali “tradizionali”,
capacità evidentemente correlata al ruolo di attrattore esercitato dalle grandi città. Nel
Lazio il 64% del valore aggiunto generato dalle ICC è imputabile alle industrie culturali, in
Lombardia il 53,3%, in Piemonte il 48,6% e in Campania il 47,3%.
La maggior parte delle altre regioni, al contrario, si caratterizza per una netta prevalenza, in
termini di valore economico, dei settori economici legati alla creatività: in Basilicata il
67,5% della ricchezza viene prodotta dalle industrie creative (e solo il 29% da quelle
culturali), in Friuli Venezia Giulia e nelle Marche il 62,3%, in Toscana il 60,6%, in Veneto
il 60%, in Sardegna il 56%, in Puglia e in Liguria il 55,7%. Vi è poi un altro gruppo di
297
regioni - l’Umbria, il Trentino Alto Adige, l’Emilia Romagna, l’Abruzzo e la Calabria prive di una marcata caratterizzazione produttiva, in cui si segnala una prevalenza dei
settori legati alla creatività e in cui, nello stesso tempo, anche le attività economiche
ascrivibili alle industrie culturali “tradizionali” mantengono un peso specifico rilevante.
In Umbria, nel 2012, il 50,3% del valore aggiunto del valore aggiunto che le ICC
sull’economia regionale, è da attribuire alle imprese creative, il 42,8% a quelle culturali, il
5,2% alle performing arts e arti visive, e l’1,7% alle attività legate alla gestione e
valorizzazione del patrimonio storico-artistico. Nella nostra regione, quindi, nonostante la
chiara prevalenza, in termini di ricchezza prodotta, delle attività economiche che
ascriviamo alle industrie creative, le imprese culturali - in virtù soprattutto del ruolo
dell’editoria e della stampa - mantengono uno spazio rilevante all’interno delle ICC.
Graf. 3 - Il valore aggiunto prodotto dal sistema produttivo culturale italiano (2012) Distribuzione % per Regione e macro-settore
Industrie culturali
Industrie creative
Performing Arts
Patrimonio storico-artistico
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
È necessario ora soffermarci anche sui dati relativi al commercio con l’estero perché,
secondo le elaborazioni di Symbola, quella umbra sembra essere un’economia che ha pienamente colto le opportunità offerte dal sistema culturale per una più rapida uscita dalla crisi.
Nel 2013, le esportazioni del sistema produttivo culturale italiano sono state il 10,7% del
totale dell’export italiano, mantenendo un saldo positivo della bilancia commerciale dal
2009. Le regioni che nel 2013, in termini assoluti, hanno esportato più cultura sono
Lombardia e Veneto. Sempre nel 2013, quelle in cui la crescita dell’export imputabile alle
ICC è stata più sostenuta sono la Toscana, l’Umbria e la Sicilia, tutte con una crescita
annua del 12,1%. Le tendenze di medio periodo, e in particolare quelle degli anni della crisi
(2009-2013), mostrano ancora in Toscana e in Umbria le migliori performance di crescita
(rispettivamente, +12,6% e +12,1%).
298
La struttura imprenditoriale del sistema produttivo culturale in Umbria
Un recente studio europeo (HKU, 2010) ha rilevato le caratteristiche principali della
dimensione imprenditoriale delle imprese culturali e creative, che possiamo così
sintetizzare:
- i settori ICC vedono in genere poche grandi imprese, che però realizzano una quota
importante del fatturato di settore e ne controllano una parte importante delle risorse;
- numericamente, i settori ICC sono dominati da micro-imprese che sono estremamente
flessibili per sopravvivere;
- sono prevalenti le forme non convenzionali di occupazione quali contratti a breve
termine, frequenti cambi di lavoro, più lavori in contemporanea;
- sono presenti molti professionisti autonomi, che spesso accettano compensi sotto la
media;
- le imprese di frequente si aggregano, fanno outsourcing e gestiscono progetti multipli con
altre imprese per cogliere le opportunità di mercato;
- l’attenzione è centrata sulla creazione e sviluppo dei prodotti, più che sulla distribuzione;
- si seguono processi diversi per acquisire competenze e formazione, spesso in assenza di
qualunque loro certificazione. Da ciò conseguono difficoltà non banali anche per i datori
di lavoro;
- molti professionisti delle ICC lavorano anche in altri settori dell’economia;
- scarsa visibilità e natura particolare dei processi di innovazione nelle ICC: solo il 3%
deriva da attività di ricerca e sviluppo.
Nell’impossibilità di effettuare un’indagine qualitativa sul campo, siamo però in grado di
affermare - grazie ai dati camerali messici a disposizione da Infocamere - che tali
caratteristiche sono in buona misura riscontrabili anche nelle ICC umbre.
Secondo tali dati (tab. 3), il numero delle imprese che caratterizzano il sistema produttivo
culturale umbro raggiunge, nel 2013, quota 5.465, corrispondenti al 6,7% del totale del
sistema imprenditoriale regionale. Di queste, quasi tre quarti (il 71,1%) sono da ascrivere
alle industrie creative, con particolare riguardo alla produzione di beni e servizi creative
driven (3.229 imprese, pari al 59% del totale dell’intera filiera ICC). All’interno di questo
macro-settore, ben 1.718 aziende (circa un terzo dell’intera filiera ICC) sono attività legate
alla cosiddetta “industria del gusto”.
Altre 1.337 imprese, cioè il 24,5% dell’intero settore ICC, sono da associare alle industrie
culturali in senso stretto, con un ruolo rilevante delle imprese legate all’editoria ed alla
produzione libraria (681 imprese, pari al 12,5% del totale ICC). Le Performing Arts e le
attività di intrattenimento coprono appena il 4,2% della filiera, con 227 imprese. E una
quota residuale dello 0,2% (13 imprese) opera nella gestione del patrimonio storico e
artistico.
Nel grafico 4 abbiamo esemplificato la composizione dei quattro aggregati che,
nell’impostazione adottata, costituiscono la filiera delle imprese culturali e delle imprese
creative umbre.
In generale, possiamo affermare che le ICC, negli ultimi anni, hanno svolto un’importante
funzione anticiclica nell’economia umbra. Complessivamente, il periodo della crisi
economica, dal 2009 al 2013, vede crescere le ICC umbre in numeri assoluti del 2%, e gli
addetti del 12,5%.
299
Tab. 3 - Imprese attive nei settori ICC in Umbria (2003)
SETTORI ICC
IMPRESE
ATTIVE
IMPRESE
Industrie culturali
1.337
Film, video, radio-tv
Videogiochi e software
Musica
Libri e stampa
VAR.
2009/2013
VAR. %
2009/2013
24,5
-39
-2,8
105
1,9
-1
-0,9
520
9,5
-7
-1,3
3,1
31
0,6
+1
3,3
1,3
5,5
(% SU
TOTALE)
DIMENSIONE
(ADDETTI/
IMPRESA)
2,6
681
12,5
-32
-4,5
3.888
71,1
+109
+2,9
Architettura
66
1,2
+38
135,7
3,0
Comunicazione e branding
408
7,5
+37
10,0
1,8
Industrie creative
Design
Beni e servizi creative driven
185
3,4
+48
35,0
2,4
3.229
59,1
-14
-0,4
4,5
3,5
Performing arts e arti visive
227
4,2
+33
+17,0
Rappresentazioni artistiche
227
4,2
+33
17,0
3,5
Patrimonio storico-artistico
13
0,2
+5
+62,5
5,6
Musei, biblioteche
Totale ICC
% su totale Umbria
13
0,2
+5
62,5
5,6
5.465
100
108
2,0
4,1
6,7
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Infocamere-Unioncamere
Graf. 4 - I quattro macro-settori delle ICC umbre e relativi sotto-settori: composizione %
Industrie Culturali
(24,5%)
Editoria, libri e
stampa (50,9%)
Industrie Creative
(71,1%)
Performing Arts e arti
visive (4,2%)
Produzione di beni e
servizi Creative Driven
(83%)
Videogiochi e
software (38,9%)
Comunicazione e
Branding (10,5%)
Film, video, radio, tv
(7,9%)
Design (4,7%)
Musica (2,3%)
Architettura (1,7%)
Rappresentazioni
artistiche,
intrattenimento,
convegni, fiere
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
300
Patrimonio storicoartistico (0,2%)
Gestione e
valorizzazione musei
e biblioteche
Nel grafico 5, per meglio evidenziare la dinamica delle ICC umbre e dei loro addetti
all’interno della congiuntura economica negativa, abbiamo considerato il 2009 come l’anno
zero. Entrambe le grandezze (e soprattutto il numero di addetti) fanno registrare
incrementi significativi negli anni dal 2009 al 2013, cioè in piena crisi economica. Dal 2012
la dinamica di crescita subisce un rallentamento, facendo tuttavia segnare un saldo positivo
nei cinque anni di congiuntura negativa per il complesso dell’economia regionale.
Graf. 5 - Dinamica delle imprese attive in Umbria e degli addetti nei settori ICC nel
periodo 2009-2013 (Variazioni %)
ICC Umbria
Addetti ICC
18
16,2
16
16,6
14
12,5
12
10
9,9
8
6
4
3,6
2,7
3,1
2
2,0
0
2009
2010
2011
2012
2013
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Infocamere-Unioncamere
Grazie ai dati camerali siamo in grado di effettuare una comparazione tra i tassi di
variazione (calcolati sull’anno precedente) delle ICC e del complesso del sistema
imprenditoriale umbro negli anni dal 2011 al 2013. Dal grafico 6 traiamo la conferma di
come, a partire dal 2012, sia in termini di imprese attive che di addetti, anche le ICC, dopo
anni di crescita sostenuta, abbiano iniziato a contrarsi. In chiave comparativa, la dinamica
di contrazione delle ICC, nel periodo, si allinea a quella del più generale sistema
imprenditoriale umbro, mentre il numero degli addetti diminuisce in maniera meno
marcata.
Più nello specifico (graf. 7), negli anni della crisi economica, nonostante la performance
positiva del complesso della filiera ICC, le imprese culturali hanno conosciuto una
contrazione del 2,8%, sostanzialmente imputabile alla profonda ridefinizione della propria
identità che sta attraversando l’editoria. Le attività di produzione e stampa di libri, nel
2013, rappresentano da sole il 50,9% del macro-settore delle industrie culturali e ne
impiegano oltre il 65% degli addetti. Nei cinque anni considerati, complice la continua
innovazione tecnologica necessaria per restare competitivi in un settore rivoluzionato nelle
modalità di produzione, acquisto e fruizione dei libri, perde il 4,5% delle imprese (in valore
assoluto -32 unità) ed il 4,2% degli addetti (-164).
301
Graf. 6 - Tassi di variazione delle ICC umbre, delle imprese umbre, degli addetti ICC e
del totale degli addetti in Umbria (Variazioni % anni 2012-2011 e 2013-2012)
0,0
-0,2
-0,4
-0,6
-0,6
-0,5
-0,8
-1,0
-1,0
-1,2
-1,3
-1,4
Var.% 2012/2011
Var.% 2013/2012
TOT Imprese Umbria
ICC Umbria
0,3
1,0
0,0
-1,0
-1,2
-2,0
-3,0
-3,6
-4,0
-5,0
-5,6
-6,0
Var.% 2012/2011
Var.% 2013/2012
TOT Addetti Umbria
Addetti ICC
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
La produzione di contenuti e servizi per i media e la produzione di musica, al contrario,
evidenzia significativi incrementi nelle percentuali degli addetti (rispettivamente +24,2% e
+60%). Si tratta, tuttavia, di un piccola nicchia, la cui consistenza in numeri assoluti è pari,
rispettivamente a 277 e 40 addetti nel 2013.
Le attività “strettamente culturali” fanno registrare una dinamica positiva nel periodo: sia
la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico (+62,5% di addetti)
che le perfoming arts (+17% di imprese attive e +20,3% di addetti) evidenziano un
incremento in controtendenza con l’andamento generale dell’economia.
302
Anche il macro-settore delle imprese creative ha conosciuto una grande crescita,
soprattutto nei settori più innovativi dell’architettura (+135,7% di imprese), del design
(+35%), della comunicazione e del branding (+10%), che insieme “valgono”, nel 2013, 650
imprese e 1.382 addetti.
Graf. 7 - Le Imprese Culturali e Creative (ICC) in Umbria per numero di imprese attive
e addetti* (Var.% 2009-2013)
Totale ICC
2,0
Musei, biblioteche
0,0
Rapp. artistiche, intrat., fiere
Beni e servizi creative driven
12,5
62,5
20,3
17,0
16,7
-0,4
Design
35,0
Comunicazione e branding
10,0
52,5
22,5
Architettura
Libri e stampa
115,4
-4,2
-4,5
Musica
videogiochi e software
Film, video, radio, tv
135,7
60,0
3,3
-1,6
-1,3
-0,9
Patrimonio storico-artistico
Performing Arts e arti visive
24,2
Imprese Creative
Imprese culturali
*per ogni coppia di serie in corrispondenza delle grandezze sull’asse verticale, la serie in alto sta per la var.% degli
addetti, la serie in basso per la var.% delle imprese attive
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Infocamere-Unioncamere
Un discorso a parte merita l’insieme delle attività legate alla produzione di beni e servizi
creative driven, che da sole rappresentano quasi il 60% delle ICC umbre. Il numero di
imprese di questo macro-settore settore rimane sostanzialmente invariato nel quinquennio
ma, in piena crisi economica, registra un incremento di oltre 2.000 addetti (pari ad un
+16,7%). I settori più significativi dal punto di vista statistico di cui si compone tale
aggregato sono evidenziati, per numerosità delle imprese e addetti, nelle torte del grafico 8.
Registriamo, innanzitutto, la netta prevalenza della filiera gastronomica, a cui ascriviamo il
53% delle imprese del settore e quasi il 60% degli addetti13.
In realtà, la consistenza della filiera dell’enogastronomia è qui sottostimata. Della nostra ricostruzione, per
esigenze di comparazione, fanno solamente parte quelle attività economiche già selezionate da Symbola nel
macro-aggregato delle imprese creative, e corrispondenti ai seguenti codici ATECO a cinque cifre:
13
303
Graf. 8 - I settori della produzione di beni e servizi creative driven in Umbria per
numero di imprese e di addetti al 2013 (Incidenza %)
Fabbricazione
oggetti
oreficeria e
gioielleria; 3,9
IMPRESE ATTIVE
Altro; 11,3
Restauro
mobili; 6,4
Oggetti in
ferro e altri
metalli; 7,0
Enogastrono
mia; 53,2
Porte e
finestre; 5,7
Sartoria
e 7,3
Ceramica;
confezione
abbigliamento;
5,2
Fabbricazione
oggetti oreficeria
e gioielleria; 1,6
Restauro mobili;
3,3
ADDETTI
Altro; 11,9
Oggetti in ferro e
altri metalli; 6,1
Porte e finestre;
6,1
Enogastronomia;
59,7
Ceramica;
8,0
Sartoria e
confezione
abbigliamento;
3,4
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
Andando a leggere all’interno di tale aggregato (graf. 9), registriamo che i settori più legati
alla manifattura artigiana e artistica (produzione ceramica, di manufatti in metallo, il
restauro di mobili) hanno subito la crisi maggiore, sia in termini di imprese registrate che
di addetti, probabilmente legata alla contestuale contrazione dei rispettivi mercati durante
la congiuntura economica negativa. Le aziende del comparto della ceramica diminuiscono
10730: Produzione di paste alimentari, di cuscus e di prodotti farinacei e simili; 11010: Distillazione, rettifica e
miscelatura di alcolici; 11021: Produzione di vini da tavola e v.q.p.r.d.; 11022: Produzione di vino spumante e
altri vini speciali; 56101: Ristorazione con somministrazione; ristorazione connessa alle aziende agricole.
304
di 24 unità, perdendo 197 addetti (nel grafico la variazione percentuale); la manifattura di
oggetti in ferro e altri metalli perde 35 aziende e 84 addetti; il settore del restauro dei
mobili -14 e -32, rispettivamente, mentre le aziende di produzione orafa si contraggono di
5 unità e guadagnano 10 addetti.
Crescono, invece, sostenendo la dinamica anticiclica delle ICC, i settori legati
all’enogastronomia, complessivamente del 13,7% come numero di imprese e del 35,4% in
termini di addetti. Più nello specifico, le imprese della ristorazione registrano un +8,9%
imprese registrate nel periodo (che corrisponde a +140 unità) e +35,9% di addetti (+2.227
in valore assoluto); la produzione di paste alimentari e farinacei che, pur perdendo il 5,3%
di imprese, incrementa gli occupati del 26,3% (pari a 137 addetti). Crescono anche le
aziende di sartoria e confezione di abiti, legate alla dimensione artigianale del design.
Graf. 9 - La produzione di beni e servizi creative driven: i sotto-settori più importanti
in Umbria per numero delle imprese attive e addetti (Var.% 2009-2013)
13,7
Imp
35,4
Add
Enogastronomia
10,7
Imp
8,8
Add
Sartoria e
confezione
abbigliamento
9,6
-10,2
-14,6
-4,3
Imp
Add
Imp
Ceramica
Add
4,4
-15,6
-8,8
-12,1
-15,3
-4
Imp
Add
Imp
Add
Imp
Add
Porte e finestre Oggetti in ferro e Restauro mobili Fabbricazione
altri metalli
oggetti oreficeria
e gioielleria
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Infocamere-Unioncamere
La tabella 4 presenta la distribuzione delle ICC in base alla forma giuridica e al numero
medio di addetti. Quasi la metà delle ICC (47,5%) risulta composta da imprese individuali
o liberi professionisti. Solo una su cinque è una società di capitali, anche se tale forma
giuridica è in crescita nei cinque anni considerati (+13,8%).
Le ICC umbre, soprattutto quelle del comparto creativo, in una congiuntura economica
difficile, hanno mostrato chiari segnali di dinamismo, anche in termini di strutturazione
305
societaria. Il numero delle imprese creative umbre organizzate in società di capitali, infatti,
cresce del 23,7% negli anni della crisi.
È nei settori più innovativi (architettura, comunicazione e branding) che si evidenziano i
maggiori tassi di crescita di società di capitali nel periodo considerato. Nel 2013 sono
attive in Umbria 50 società di capitali che si occupano di architettura o ingegneria, con una
crescita del 138% nei cinque anni, e 96 che lavorano nei settori della comunicazione e del
branding, con un incremento, nello stesso periodo, del 31,5%. Annotiamo, infine, una
significativa crescita anche delle società di capitali che producono beni e servizi creative
driven: +17,6%, pari a +68 imprese.
Si tratta di segnali incoraggianti nella direzione di una maggiore strutturazione della filiera.
Nonostante ciò, e pur con significative eccezioni a livello di territorio e di settore
economico (che vedremo in seguito), la forma dell’impresa individuale rimane largamente
prevalente tra le ICC umbre, a dimostrazione di una evidente polverizzazione del tessuto
imprenditoriale, soprattutto nei comparti più innovativi e dinamici.
I settori dove l’incidenza della forma giuridica della ditta individuale è maggiore, infatti,
sono proprio quelli delle imprese creative: nel campo del design pesa per il 54,6%, nella
produzione di beni e servizi creative driven per il 50,8%, nella comunicazione per il 49,8%.
Nel design, inoltre, tale forma d’impresa è cresciuta, nei cinque anni considerati, del 53%.
Tab. 4 - Imprese attive per forma giuridica, settore ICC, numero medio di addetti al
2013 e tassi di crescita 2009-2013
SETTORI ICC
Industrie culturali
Film, video, radio-tv
Videogiochi e software
Musica
Libri e stampa
Industrie creative
Architettura
Comunicazione e branding
Design
Produzione di beni e
servizi creative driven
Performing arts e arti visive
Rappresentazioni artistiche
Patrimonio storico-artistico
Musei, biblioteche
Totale
% su totale ICC
SOCIETÀ DI CAPITALI
SOCIETÀ DI
PERSONE
Var.
Val.
%
assoluti
20092013
2013
IMPRESE
INDIVIDUALI
Var.
Val.
% 2009assoluti
2013
2013
ALTRE FORME
Val.
assoluti
2013
Var.
%
20092013
11,4
6,6
-7,1
-4,5
12
8
3
39
20,0
-27,3
0,0
8,3
3
203
101
1639
300,0
4,1
53,0
-2,5
4
51
4
26
100,0
13,3
300,0
-3,7
0,0
106
20,5
44
18,9
-4,3
3
2.596
47,5
200,0
1,0
6
197
3,6
100,0
12,6
Val.
assoluti
2013
Var. %
2009-2013
27
210
9
153
-10,0
5,5
12,5
-5,0
27
109
6
193
-12,9
-19,9
20,0
-6,3
39
193
13
296
50
96
41
455
138,1
31,5
7,9
17,6
9
58
39
1109
80,0
0,0
21,9
-3,4
48
20,0
29
3
1.092
20,0
13,8
1
1.580
28,9
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Infocamere-Unioncamere
In coerenza con i dati sulla forma giuridica, complessivamente le ICC risultano essere
molto piccole (tab. 5), con una media di 4,1 addetti per impresa. Fanno eccezione le
imprese dell’editoria che, nonostante la crisi, rimangono le più strutturate, con una media
di 5,5 addetti (le 153 società di capitali del settore hanno in media 14 addetti), le aziende
che producono beni e forniscono servizi creative driven (le 455 società di capitali hanno in
media quasi 10 addetti) e le società che si occupano di gestire e valorizzare il patrimonio
storico-artistico della regione (le 3 società di capitali e le 6 cooperative hanno in media
oltre 7 addetti).
306
Tab. 5 - ICC attive in Umbria per settore economico, addetti e dimensione media (2013)
Addetti 2013
Industrie culturali
Film, video, radio-tv
Videogiochi e software
Musica
Libri e stampa
Industrie creative
Architettura
Comunicazione e branding
Design
Produzione di beni e servizi creative driven
Performing arts e arti visive
Rappresentazioni artistiche
Patrimonio storico-artistico
Musei, biblioteche
Totale
Var.%
2009-2013
% Imprese
individuali
Dimensione media
(addetti/impresa)
24,2
-1,6
60,0
-4,2
37,1
37,1
41,9
43,5
2,6
3,1
1,3
5,5
115,4
22,5
52,5
16,7
4,5
49,8
54,6
50,8
3,0
1,8
2,4
4,5
20,3
46,7
3,5
0
23,1
47,5
5,6
4,1
5.673
277
1.636
40
3.720
15.824
196
736
450
14.442
799
799
73
73
22.369
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
Le nuove leve dell’imprenditoria culturale: giovani, donne e stranieri
Le informazioni del sistema camerale ci consentono di approfondire anche alcuni
fenomeni legati alla profonda ridefinizione che il sistema imprenditoriale umbro sta
attraversando, con le componenti più tradizionali in evidente difficoltà a stare al passo con
la continua innovazione resa necessaria dai nuovi target di competitività imposti dalla crisi,
e l’affacciarsi con sempre maggiore convinzione di nuovi strati sociali nel mondo
dell’imprenditoria. Stiamo parlando di giovani, donne e stranieri.
I fenomeni dell’impresa giovanile e della cosiddetta “autoimprenditorialità” sono stati
ormai da tempo messi a fuoco dalla ricerca sociale ed economica. È chiaro come il “fare
impresa” sia influenzato da due leve contrastanti: da una parte la maggiore innovatività che
normalmente caratterizza questa particolare tipologia d’imprese e, dall’altra, la carenza di
lavoro nelle sue forme tradizionali (il posto fisso), che spinge ampi strati della popolazione
giovane, spesso con alti livelli di istruzione, a tentare la strada dell’autoimpiego, a
prescindere dalla presenza o meno di un progetto imprenditoriale credibile, con
conseguenti ripercussioni sulle chances di sopravvivenza dell’impresa stessa.
Le imprese giovanili sono quelle ditte individuali con un titolare under 35 o quelle società
di persone in cui oltre la metà dei soci abbiano un’età inferiore ai 35 anni, o quelle società
di capitali in cui la media dell’età dei soci e degli amministratori sia inferiore a tale limite di
età. Al 2013, le imprese giovanili nei settori ICC in Umbria sono 552.
Un tessuto che si è ristretto rispetto alle 615 imprese registrate nel 2011, seguendo una
dinamica negativa al pari delle ICC “adulte” e del più complessivo tessuto imprenditoriale
umbro, ma accentuata della fragilità che spesso interessa questa tipologia di impresa e di
imprenditori.
Anche gli addetti, nel medesimo periodo, si contraggono del 7,5%, e nel 2013 ammontano
a 1.620 unità. Il 2012 è l’anno nero delle ICC giovanili, che fanno registrare una
contrazione del 8% delle imprese attive e del 6% degli addetti. Una dinamica negativa che
prosegue, anche se meno accentuata, nel 2013.
307
Graf. 10 - Tassi di variazione delle ICC giovanili, femminili e straniere e relativi addetti*
(Variazioni % anni 2012-2011 e 2013-2012)
7,0
5,0
3,0
1,0
-1,0
-1,5
-2,5
-3,0
-5,0
-6,1
-7,0
-9,0
-8,0
Var.% 2012/2011
ICC giovanili
Var.% 2013/2012
Addetti ICC giovanili
* Il 2011 è il primo anno per cui abbiamo a disposizione i dati camerali per le imprese giovanili, femminili e straniere
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
Nella nostra regione, le imprese giovanili rappresentano il 10,1% del sistema produttivo
culturale, ed il 9,6% del totale delle imprese. Non si segnala, quindi, una particolare
propensione dei giovani umbri ad intraprendere nei settori della cultura e della creatività.
All’interno della filiera delle imprese giovanili emerge una connotazione fortemente
creativa (graf. 11): il 73,5%% delle ICC giovanili umbre lavorano nei settori della creatività,
il 20,3% in quelli culturali “tradizionali”, il 6,2% nel campo delle arti performative e visive,
mentre nessuna impresa giovanile opera nel comparto del patrimonio storico-artistico.
Tra le imprese culturali giovanili hanno sicuramente meno peso quelle dell’editoria e
stampa, che rappresentano l’8,6% del totale contro il 12,5% di quelle mature; mentre, tra i
settori creativi, pesano percentualmente di più quelli legati alla comunicazione (8,7%) e al
design (6,3%).
Le imprese più legate alla dimensione artigiana (cioè quelle che producono beni e servizi
creative driven) sono il 57% di tutte le ICC giovanili, ma danno lavoro al 75,6% di tutti gli
addetti delle imprese under 35. Questo per segnalare che, nonostante l’intrinseca fragilità
di queste “avventure” imprenditoriali, in alcuni settori si inizia a registrare una migliore
strutturazione aziendale. Il fatto che 3/4 degli addetti delle ICC giovanili lavorino in settori
che hanno a che fare con la componente artigiana sta ad evidenziare la particolare
attenzione che i giovani ripongono su due fenomeni: le possibilità espansive del made in
Italy legato alla rielaborazione della tradizione e della cultura materiale del territorio, e la
nuova frontiera degli artigiani digitali.
308
Graf. 11 - Composizione delle ICC giovanili al 2013 (Valori %)
Film,
video,
radio-tv;
2,4
Rappresentazio
ni artistiche,
intrattenimento,
convegni e
fiere; 6,2
videogiochi e
software; 9,1
Musica; 0,2
Libri e stampa;
8,7
Architettura; 1,6
Produzione
beni e servizi
creative driven;
56,9
Comunicazione
e branding; 8,7
Design; 6,3
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
Questi ultimi, i cosiddetti makers, amano inventare e produrre autonomamente, in maniera
sostenibile, utilizzando nuovi linguaggi espressivi per ripensare le tecniche tradizionali
(pensiamo all’oreficeria, alla ceramica, alla filiera dell’enogastronomia, ecc.) e spesso
sperimentano nuovi approcci alla produzione basati su tecnologie a basso costo14.
La distribuzione territoriale delle ICC giovanili e dei rispettivi addetti rilascia l’immagine di
una localizzazione piuttosto omogenea e dispersa sul territorio.15 In Umbria, al pari delle
altre regioni della cosiddetta Terza Italia, manca un grande agglomerato urbano che eserciti
attrazione nei confronti del sistema produttivo culturale. I maggiori centri urbani della
nostra regione (graf. 12), con la parziale eccezione del capoluogo, stentano a interpretare
tale ruolo: a Perugia sono localizzate il 17% di tali imprese e sono occupati il 16,6% degli
addetti totali delle ICC giovanili, e a Terni l’11,8% di imprese e l’8,8% degli occupati. Per il
resto, si rileva il dinamismo di realtà come Città di Castello e Bastia Umbra, e la presenza
delle imprese più strutturate in termini di numerosità media di addetti nella stessa Bastia
Umbra, a Foligno e a Corciano.
Le ICC giovanili (tab. 6) impiegano il 7,3% del totale degli addetti del sistema produttivo
culturale umbro, e sono per lo più piccole entità, con una dimensione media di 2,3 addetti.
Fanno parziale eccezione le aziende produttrici di beni e servizi creative driven, che
impiegano mediamente quasi quattro addetti.
Soprattutto, si rilevano dei settori economici più attrattivi per i giovani imprenditori, e
sono quelli legati al design (un settore che registra il 18,9% di imprese giovanili, che
occupano il 10,2% degli addetti settoriali), e alla comunicazione (con un 11,8% di imprese
giovanili e il 12,4% degli occupati).
Uno dei principali teorici del movimento dei maker è Chris Anderson, che nel suo Makers. Il ritorno dei produttori
(Rizzoli), si spinge a dire che la cultura digitale dei giovani contemporanei sarebbe alla base della terza rivoluzione
industriale, in atto oggi. Dopo sovvertito il mondo dei bit – e quindi l’industria della musica, dei video e l’editoria –
la cultura digitale sta trasformando, infatti, anche il mondo degli atomi, degli oggetti fisici. La rete, inoltre, crea
un’esplosione di talenti, liberando le idee e rendendo sempre meno indispensabile la fabbrica.
15 Ai fini delle analisi di livello comunale, d’ora in avanti, abbiamo preso in considerazione i 32 comuni umbri sopra
i 5.000 abitanti.
14
309
Graf. 12 - Distribuzione territoriale delle ICC giovanili e loro addetti, città di maggiore
localizzazione (val. % al 2013)
Assisi
Gubbio
Spoleto
Todi
Corciano
Orvieto
Foligno
Bastia
Città di Castello
Terni
Perugia
0,0
2,0
4,0
6,0
8,0
% Addetti
10,0
12,0
14,0
16,0
18,0
% ICC giovanili
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
Tab. 6 - Incidenza delle ICC giovanili e dei loro addetti per settore economico (valori
assoluti e %) e dimensione media al 2013
SETTORI ICC
Industrie culturali
Film, video, radio-tv
Videogiochi e software
Musica
Libri e stampa
Industrie creative
Architettura
Comunicazione e branding
Design
Produzione di beni e servizi creative
driven
Performing arts e arti visive
Rappresentazioni artistiche,
intrattenimento, convegni e fiere
Patrimonio storico-artistico
Musei, biblioteche
Totale ICC giovanili
Valori
assoluti
% su totale ICC
del settore
Addetti
% su totale ICC
del settore
Dimensione
media
(addetti/
impresa)
112
13
50
1
48
406
9
48
35
314
8,4
12,4
9,6
3,2
7,0
10,4
13,6
11,8
18,9
9,7
203
14
79
2
108
1.387
14
91
46
1236
3,6
5,1
4,8
5,0
2,9
8,8
7,1
12,4
10,2
8,6
34
34
15,0
15,0
44
44
5,5
5,5
1,3
0
0
552
0
0
10,1
0
0
1.634
0
0
7,3
2,3
1,1
1,6
2,0
2,3
1,6
1,9
1,3
3,9
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
In estrema sintesi, i dati ci rinviano l’immagine di ICC giovanili molto fragili al vento della
crisi, perché spesso consistono di micro-imprese che fanno della flessibilità la loro parola
d’ordine, fanno capo o impiegano professionisti che, soprattutto in tempi difficili come
questi, lavorano anche in altri settori dell’economia o cambiano frequentemente lavoro, e
sembrano meno in grado di altre di aggregarsi, fare outsourcing e gestire progetti multipli
con altre imprese per cogliere le opportunità di mercato (il fatto che la dinamica degli
addetti ricalchi fedelmente quella delle imprese attive suggerisce, infatti, una difficoltà a
“fare concentrazione” da parte di tali aziende).
310
Se le imprese giovanili incontrano difficoltà con il prolungarsi della crisi, altrettanto non
può dirsi per la componente femminile delle ICC umbre.16 Le difficoltà che le donne
spesso incontrano nel mercato del lavoro possono rappresentare lo stimolo ad
abbandonare le strade più battute e a trasformarsi in imprenditrici.
Nel 2013 sono 1.534 le ICC umbre al femminile (graf. 10), un tessuto che è si è
leggermente ristretto rispetto alle 1.553 imprese del 2011, ma la cui evoluzione dimostra
una certa capacità di “resistenza”, comunque in controtendenza rispetto all’andamento
negativo che ancora interessa le altre ICC ed il complesso del sistema imprenditoriale
umbro. La dinamica degli addetti, tuttavia (graf. 10), come per le ICC giovanili, fa
registrare una decisa tendenza al ridimensionamento, perdendo il 6,9% delle unità nel
biennio considerato.
Nel 2013 le ICC al femminile, comunque, rappresentano una quota considerevole del
sistema produttivo culturale (il 28,1%). Nel generale tessuto economico umbro, invece, le
imprese femminili sono il 26,5% del totale. Non si registra, quindi, una particolare
propensione delle donne umbre ad intraprendere nei settori della cultura e della creatività.
Nella tabella 7 abbiamo condensato le principali caratteristiche delle ICC al femminile, al
cui interno emerge una chiara propensione creativa: il 76,5% delle imprese femminili sono
da ascriversi ai settori economici della creatività, e in testa la produzione di beni e servizi
creative driven, che da sola rappresenta il 68,5% delle ICC femminili, dando lavoro al 73%
degli addetti di tali imprese.
Questo fa sì che, all’interno dell’universo delle ICC umbre, vi siano dei settori che
potremmo definire a “specializzazione al femminile”: il 31,3% delle imprese che si
occupano di beni e servizi creative driven sono al femminile, quasi il 30% delle aziende di
design e il 28% di quelle che si occupano di editoria e stampa. Tali aziende impiegano
rispettivamente il 27%, il 17% e il 16% del totale degli addetti dei settori di riferimento.
Anche per le imprese femminili, infine, dobbiamo registrare un certo “nanismo”
strutturale, con una media di 3,5 addetti ad impresa. Con la relativa (perché riferita al 4,4%
delle aziende) eccezione dei settori delle performing arts e della gestione del patrimonio
storico-artistico, che occupano mediamente 5,9 e 7,7 addetti.
La distribuzione territoriale di tali imprese (graf. 13), come per quelle giovanili, evidenzia
una geografia abbastanza polverizzata nella regione, con la parziale eccezione del
capoluogo. Il 18% delle ICC femminili sono localizzate a Perugia (dove si trova anche il
20,4% dell’occupazione generata da tali imprese) e il 10,5% a Terni (con l’8,4% degli
addetti).
Le restanti aziende si distribuiscono in maniera abbastanza uniforme nelle città più grandi,
con Città di Castello che, anche nel caso delle imprese al femminile, dimostra un certo
dinamismo. Infine, tra le diverse tipologie di imprenditoria culturale e creativa, quella
straniera dimostra di essere la più in salute17.
Le imprese femminili sono quelle ditte individuali con titolare donna o quelle società di persone in cui oltre la
metà dei soci sia donna, o quelle società di capitali in cui la maggioranza del capitale sia detenuto da donne.
17 Per imprese straniere si intendono quelle ditte individuali il cui titolare è nato all’estero, nonché le società di
persone in cui oltre il 50% dei soci è nato all’estero oppure le società di capitali in cui la maggioranza del capitale
sia detenuto da persone nate all’estero.
16
311
Tab. 7 - Incidenza delle ICC femminili e dei loro addetti per settore economico (valori
assoluti e %), composizione delle ICC femminili (val.%) e dimensione media (2013)
SETTORI ICC
Industrie culturali
Film, video, radio-tv
Videogiochi e software
Musica
Libri e stampa
Industrie creative
Architettura
Comunicazione e branding
Design
Produzione di beni e
servizi creative driven
Performing arts e arti visive
Rappresentazioni artistiche
Patrimonio storico-artistico
Musei, biblioteche
Totale ICC femminili
Valori
assoluti
% su tot ICC
femminili
293
15
80
7
191
1.173
9
99
55
1.010
19,1
1,0
5,2
0,5
12,4
76,5
0,6
6,5
3,6
65,8
62
62
6
6
1.534
4,0
4,0
0,4
0,4
100,0
% su totale
ICC del
settore
14,3
15,4
22,6
28,0
13,6
24,3
29,7
31,3
27,3
46,2
28,1
Addetti
811
25
194
3
589
4.133
12
140
77
3.904
363
363
46
46
5.353
% su totale
ICC del
settore
Dimensione
media
(addetti/impresa)
9,0
11,9
7,5
15,8
1,7
2,4
0,4
3,1
6,1
19,0
17,1
27,0
1,3
1,4
1,4
3,9
45,4
5,9
63,0
23,9
7,7
3,5
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
Graf. 13 - Distribuzione territoriale delle ICC femminili e loro addetti, città di maggiore
localizzazione (val. % al 2013)
Corciano
Gualdo Tadino
Bastia
Orvieto
Gubbio
Assisi
Deruta
Spoleto
Città di Castello
Foligno
Terni
Perugia
0,0
5,0
10,0
% Addetti
15,0
20,0
% ICC femminili
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
Nel 2013 risultano attive 296 ICC straniere in Umbria, il 4,5% in più rispetto al 2011. In
particolare (graf. 10), le ICC straniere sembrano interpretare una dinamica anticiclica
rispetto al resto del tessuto economico, crescendo, solo tra il 2012 ed il 2013 (anno di crisi
del sistema produttivo culturale umbro), di oltre il 6%. Anche gli addetti, nel biennio
considerato, sono aumentati del 6,9%.
La quasi totalità delle ICC (92,6%) straniere lavorano nei settori della creatività (tab. 8). In
generale, rappresentano il 5,4% del totale ICC umbre. Il 77,4% delle ICC straniere
lavorano nella produzione di beni e servizi creative driven. Registriamo una evidente
specializzazione delle ICC straniere nei settori più legati alla dimensione artigiana e, in
particolare, dell’enogastronomia: ben 128 (cioè il 43% di tutte le imprese straniere)
lavorano nella ristorazione, occupando 480 addetti (il 56,7% del totale). Si tratta, nel
complesso, anche in questo caso, di imprese unipersonali o di piccolissime dimensioni,
312
con una media di quasi 3 addetti. Le più “strutturate”, non a caso, sono proprio quelle
operanti nei settori che producono o offrono servizi creative driven (tra cui, appunto,
l’enogastronomia).
Tab. 8 - Incidenza delle ICC straniere e dei loro addetti per settore economico (valori
assoluti e %), composizione delle ICC straniere (val.%) e dimensione media (2013)
SETTORI ICC
Industrie culturali
Film, video, radio-tv
Videogiochi e software
Musica
Libri e stampa
Industrie creative
Architettura
Comunicazione e branding
Design
Produzione di beni e servizi
creative driven
Performing arts e arti visive
Rappresentazioni artistiche
Patrimonio storico-artistico
Musei, biblioteche
Totale ICC straniere
Valori
assoluti
% su tot ICC
straniere
37
2
13
4
18
249
2
10
8
229
12,5
0,7
4,4
1,3
6,1
92,6
0,7
3,4
2,7
77,4
10
10
0
0
296
3,4
3,4
0
0
100
% su totale ICC
del settore
1,9
2,5
12,9
2,6
3,0
2,5
4,3
7,1
4,4
5,4
Addetti
% su totale ICC
del settore
Dimensione
media
(addetti/
impresa)
3,2
1,5
2,4
0,4
4,5
1,8
0,3
0,9
2,0
1,4
4,0
5,2
2,0
1,0
2,3
3,3
1,1
0,9
0
3,8
0
2,9
50
9
24
1
16
787
4
10
18
755
9
9
0
0
846
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
L’analisi della distribuzione territoriale (graf. 14) evidenzia, al contrario di quelle giovanili e
femminili, il capoluogo della regione esercitare un indubbio ruolo di attrazione nei
confronti di tali imprese. Nella sola Perugia, infatti, insiste il 27% delle ICC straniere della
regione ed il 35% del totale degli addetti, corrispondenti, in numeri assoluti, a 80 imprese e
299 lavoratori (di cui 41 e 239 operanti nella ristorazione).
È da segnalare il particolare dinamismo di Castiglione del Lago, che risulta essere la terza
città umbra in quanto a presenza di ICC straniere (5,7%) e di addetti (4,4%) (vi insistono,
in particolare, 8 imprese straniere con 30 addetti operanti nella ristorazione), mentre Città
di Castello, anche in questa tipologia d’imprese, si conferma una realtà attrattiva.
Graf. 14 - Distribuzione territoriale delle ICC straniere e loro addetti, città di maggiore
localizzazione (val. % al 2013)
Assisi
Foligno
Spoleto
Gubbio
Corciano
Bastia
Città di Castello
Castiglion del Lago
Terni
Perugia
0,0
5,0
10,0
% Addetti
15,0
20,0
% ICC straniere
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
313
25,0
30,0
35,0
La specializzazione settoriale delle ICC umbre nei territori
Come annotato in precedenza, il panorama umbro delle ICC si caratterizza per una chiara
preponderanza dei settori produttivi legati alla creatività e alla dimensione artigianale,
settori in cui risultano occupati la gran parte degli addetti. Si tratta di quelle aziende che
producono beni e servizi creative driven (in cui sono ricomprese quelle attività che, svolte in
forma artigianale o secondo una logica export-oriented, definiscono e rinnovano
continuamente la fisionomia e l’immagine culturale del made in Italy sui mercati
internazionali), che da sole occupano il 65% degli addetti totali delle ICC.
Tra le attività economiche legate all’industria culturale in senso stretto, infatti, i dati
evidenziano una specializzazione di territorio solamente nel settore dell’editoria e stampa,
che a Città di Castello e San Giustino rivestono un ruolo importante nel panorama
complessivo delle ICC, occupando, rispettivamente, il 60,4% ed il 41% degli addetti totali
del sistema produttivo culturale delle due città.
Dai dati emergono, poi, dei settori che, pur rappresentando delle nicchie in termini di
numerosità di imprese e addetti, connotano comunque il panorama produttivo delle ICC
locali. Parliamo della produzione di software e videogiochi, per esempio, settori economici
che a Terni e Corciano danno lavoro al 19,3% ed al 18,6% degli occupati del sistema. O di
un’impresa di produzioni radiofoniche che, da sola, occupa 44 addetti ad Assisi. A Bastia
Umbria (una delle città più vive dal punto di vista dell’imprenditoria giovanile) il settore
delle rappresentazioni artistiche, della convegnistica e delle fiere (probabilmente per la
presenza dell’indotto di Umbria Fiere) dà lavoro al 10% degli addetti ICC. Perugia vanta il
primato di librerie (22, con 72 addetti) e nell’edizione di quotidiani (205 addetti).
La fotografia che emerge con forza dai dati, tuttavia, è quella di un sistema produttivo
culturale fortemente caratterizzato dalla dimensione creativa, più che culturale in senso
stretto: in tutti i 32 comuni sopra i 5.000 abitanti (graf. 15), con la sola eccezione di Città di
Castello, oltre la metà degli addetti del sistema produttivo culturale è occupata nella
produzione di beni e servizi creative driven, con punte di oltre il 90% a Deruta, Gualdo
Tadino e Bevagna.
In generale, l’immagine che ne risulta, come spesso accade per la nostra regione, è quella di
una specializzazione produttiva che emerge a macchia di leopardo, con alcuni comuni della
Valle del Tevere (Deruta, Marsciano, Umbertide), della media Valle Umbra (Bevagna,
Gualdo Cattaneo e Montefalco), del Trasimeno (Castiglione del Lago, Magione,
Passignano sul Trasimeno), più Gualdo Tadino, Nocera Umbra, Orvieto e Amelia, in cui
si registra una spiccata vocazione produttiva verso le imprese impegnate nella dimensione
artigianale della produzione di beni e servizi. Si tratta, quindi, di comuni di media e piccola
dimensione, in cui probabilmente sono più vive le vocazioni produttive legate alla
tradizione del territorio.
All’interno del macro-aggregato della produzione di beni e servizi creative driven, tuttavia, la
maggiore specializzazione produttiva è sicuramente quella legata alla cosiddetta “industria
del gusto”, che possiamo definire come quell’espressione della tradizione enogastronomica
locale e fortemente legata al territorio e alla sua storia, con una grande capacità di
attrazione simbolica nei confronti del consumatore-visitatore.
Ma quali sono i settori produttivi, all’interno di tale aggregato, in cui i territori dell’Umbria
si sono maggiormente specializzati? Proprio a Deruta e Gualdo Tadino osserviamo la
concentrazione più significativa di aziende creative, in questo caso legate ai tradizionali
314
distretti della ceramica: a Deruta il 78% delle ICC lavorano la ceramica, occupando l’81%
degli addetti; a Gualdo Tadino il 31,2% delle ICC producono manufatti in ceramica, con il
67,2% degli occupati. Rimanendo alla ceramica, registriamo a Passignano sul Trasimeno
un’impresa con 43 addetti, che non caratterizza la vocazione produttiva di quella città, ma
rappresenta sicuramente una presenza significativa. Ad Assisi il 13,5% degli addetti (in 15
imprese) è occupato nella fabbricazione di oggetti in ferro.
A Corciano, l’11% degli occupati lavora nel settore della confezione sartoriale su misura
(in 6 imprese con una dimensione media di 15 addetti). A Magione i laboratori di cornici
danno lavoro al 16% degli addetti totali delle ICC locali. Si tratta, a ben vedere, di attività
che basano la loro produzione sulla rielaborazione di conoscenze tecniche appartenenti
alla tradizione e alla cultura manifatturiera del territorio.
L’inclusione della filiera dell’enogastronomia all’interno delle tassonomie dedicate alle ICC
è una prerogativa tutta italiana, ed è stata ricostruita in questa occasione a partire dai codici
ATECO già selezionati da Symbola. La filiera, nel suo complesso, rappresenta il 44,2% delle
imprese creative (ed il 54,5% dei relativi addetti) ed il 31,5% (con il 38,5% degli occupati)
di tutto il sistema produttivo culturale umbro18.
Come evidenziato dalla cartina del grafico 16, con l’eccezione di Orvieto, i territori in cui
l’enogastronomia incide di più in termini di “densità” di addetti ed imprese sono i piccoli
comuni della Valle Umbra (Bevagna, Montefalco e Trevi), tra i quali Bevagna è in cima alla
classifica, con il 54,5% delle aziende ed il 78,4% dell’occupazione del sistema produttivo
culturale che si concentra in tale filiera; seguita da Amelia (con il 78% degli addetti),
Nocera Umbra (74,4%), Umbertide (64%), Castiglione del Lago (64%) e Orvieto (63,7%).
Si tratta, a ben vedere, di piccoli comuni (eccetto Orvieto), e di territori in cui è presente
una grande tradizione vinicola e olearia. Tradizione su cui negli ultimi dieci anni politiche
pubbliche mirate e spirito d’iniziativa privata hanno saputo investire sull’aggiornamento e
formazione di competenze e sulla creazione di aree DOP e DOCG, creando un tessuto
diffuso di piccole ma solide esperienze imprenditoriali.
Nel settore del design i dati ci restituiscono un livello significativo di specializzazione nel
sistema produttivo culturale di Spello, in cui è presente una unica azienda (lo Studio
Roscini) che occupa il 34% di tutti gli addetti ICC (137 unità).
Nelle attività legate alla comunicazione e nel branding registriamo a Perugia 74 aziende con
202 addetti.
In conclusione, abbiamo osservato diverse dinamiche di specializzazione delle ICC nei
territori. Alcuni piccoli comuni, soprattutto nella cosiddetta “filiera del gusto”, si sono
Ripetiamo, qui, quanto sottolineato nella nota 24: nella nostra analisi la consistenza della filiera
dell’enogastronomia è sottostimata. Avendo utilizzato l’impianto metodologico realizzato dalla Fondazione
Symbola per esigenze di comparazione su scala sovra-regionale, abbiamo, conseguentemente, ricostruito la
filiera dell’enogastronomia regionale sulla base di quelle attività economiche già selezionate nei rapporti
Symbola nel macro-aggregato delle imprese creative, e corrispondenti ai seguenti codici ATECO a cinque cifre:
10730: Produzione di paste alimentari, di cuscus e di prodotti farinacei e simili; 11010: Distillazione, rettifica e
miscelatura di alcolici; 11021: Produzione di vini da tavola e v.q.p.r.d.; 11022: Produzione di vino spumante e
altri vini speciali; 56101: Ristorazione con somministrazione; ristorazione connessa alle aziende agricole
Rimangono fuori, quindi, le produzioni di birra, dell’olio, e di altre produzioni agricole tipiche che hanno
certamente un peso significativo nell’economia umbra.
18
315
dimostrati molto intraprendenti a reinterpretare la tradizione enogastronomica umbra in
forma d’impresa. In alcune città medio-piccole, invece, esiste una robusta cultura
produttiva che stenta a reinterpretarsi (Deruta e Gualdo Tadino), città medie che,
nonostante la crisi dei comparti tradizionali, vedono un significativo dinamismo di imprese
under 35 legate ai settori delle ICC (Città di Castello), altre che hanno saputo investire
sulla filiera dell’enogastronomia, creando nuova impresa e occupazione (Orvieto).
Graf. 15 - Specializzazione19 delle ICC umbre nel settore della produzione di beni e
servizi creative driven nei Comuni sopra i 5.000 abitanti
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
Abbiamo ottenuto un indice di specializzazione su base comunale considerando il rapporto Addetti settore
nel comune/Addetti TOT ICC nel Comune*100.
19
316
In altre città si scorgono segnali di una certa concentrazione di imprese più legate
all’innovazione tecnologica: a Corciano e a Terni. In altre insospettabili quanto
significative realtà imprenditoriali operanti nei settori più avanzati del design (a Spello). La
città capoluogo, Perugia, pur concentrando la quota maggiore delle ICC umbre, stenta sia
a interpretare un ruolo di vero attrattore di filiera, sia a ritagliare per le sue ICC una
specializzazione produttiva precisa. Nell maggior parte dei 32 comuni umbri sopra i 5.000
abitanti, soprattutto, non abbiamo osservato alcuna vera specializzazione produttiva
all’interno delle ICC.
Graf. 16 - Specializzazione delle ICC umbre nella filiera dell’enogastronomia nei
Comuni sopra i 5.000 abitanti
Fonte: elaborazioni degli autori su dati Unioncamere-Fondazione Symbola
317
Note conclusive
L’approccio di tipo comparativo che abbiamo utilizzato ci consente di avanzare alcune
ipotesi sul perché il sistema produttivo culturale umbro produce meno ricchezza e meno
occupazione rispetto all’Italia.
In primo luogo, mentre a livello nazionale le quote di ricchezza prodotte dai due macrosettori delle industrie culturali strictu sensu e delle industrie creative si equivalgono, in
Umbria le prime appaiono sottodimensionate, almeno per due ragioni. Innanzitutto, più
della metà delle attività economiche di natura culturale appartengono al comparto
dell’editoria e stampa (tradizionalmente rilevante soprattutto nell’area dell’alto Tevere),
oggi impegnato in una fase di difficile ristrutturazione dei processi produttivi. Le imprese
culturali umbre, inoltre, scontano l’assenza di un grande attrattore urbano. Esistono
diverse evidenze empiriche che dimostrano come la presenza di numerosi assets culturali
abbia un effetto di stimolo sull’economia del territorio, attirando impresa che da essi trae
alimento.
Le regioni in cui il sistema delle ICC è più legato alla capacità di produrre ricchezza dei
settori culturali “tradizionali”, infatti, sono quelle delle grandi conurbazioni di Roma,
Milano, Torino e Napoli. Nella nostra regione, il capoluogo stenta ad interpretare tale
ruolo di attrazione e stimolo, per ragioni legate alla natura del tessuto produttivo oltre che
a evidenti limiti dimensionali e strutturali. Il panorama delle ICC umbre si caratterizza, di
conseguenza, per una natura ibrida, con una prevalenza delle attività economiche legate
alla creatività e una presenza comunque significativa delle imprese culturali “tradizionali”.
Il che priva il nostro sistema produttivo culturale di una spiccata specializzazione
produttiva. In secondo luogo, il modello analitico qui adottato rischia di rappresentare in
maniera parzialmente distorta il reale perimetro del sistema produttivo culturale umbro.
Alcuni dei settori economici che vantano radicamento e presenza strutturata nella nostra
regione hanno sofferto più di altri la congiuntura economica negativa. Trattandosi di
alcuni dei settori quantitativamente più consistenti (editoria, software e videogiochi,
l’audiovisivo), e quindi meglio leggibili dai dati, hanno inevitabilmente influenzato la
ricostruzione della dinamica complessiva del sistema. Dando luogo alla lettura del sistema
produttivo culturale come di un microcosmo che riproduce, in piccolo, gli stessi “mali” del
più vasto sistema dell’economia umbra. Dalla ricostruzione delle specializzazioni
produttive di territorio, infatti, come spesso accade per la nostra regione, emerge la
fotografia di enclave produttive sparse a macchia di leopardo sul territorio.
Accanto a “distretti” più consolidati, come l’editoria nel tifernate e la ceramica a Deruta e
Gualdo Tadino, emerge ormai chiara la tendenza in molti piccoli comuni a specializzarsi in
quei settori ascrivibili alla cosiddetta “industria del gusto”. In località come Bevagna,
Amelia o Nocera Umbra impresa creativa significa essenzialmente enogastronomia. I due
capoluoghi provinciali emergono dai dati per motivi diversi: a Terni danno segnali di
vitalità le imprese che producono software e videogiochi, mentre nel sistema produttivo
culturale perugino, nonostante si concentri la percentuale maggiore di ICC della regione, si
fatica a leggere una vera caratterizzazione produttiva. I comuni di media dimensione,
infine, con poche eccezioni, faticano a far emergere una chiara specializzazione produttiva
per le proprie ICC. In realtà, attività che qualificano in termini di innovazione il panorama
delle ICC possono sfuggire ad una lettura prettamente quantitativa come la nostra. Per due
motivi: per la natura dimensionale di attività che ricercano e innovano, spesso a partire
318
dalla cultura materiale del territorio (si pensi ai costruttori di organi di Foligno, o ai
restauratori di opere d’arte, solo per fare degli esempi), spesso piccole e piccolissime, che
passano attraverso le trame della significatività statistica; e per la tipologia di molte attività
economiche che caratterizzano le ICC umbre, spesso trasversali e interdipendenti con altre
sfere produttive. Lacune che sarà possibile colmare solo affiancando un approfondimento
di tipo qualitativo alla mappatura quantitativa prodotta in queste pagine.
Per il momento, i dati a nostra disposizione ci hanno consentito di cogliere alcune
tendenze in atto nella geografia del sistema produttivo culturale umbro. Sin d’ora
possiamo sottolineare come sia la parte più innovativa delle ICC a far intravedere spiragli
di luce, che meriterebbero di essere approfonditi. Si pensi alle imprese giovanili che,
nonostante una tendenza dinamica non dissimile dal resto del sistema imprenditoriale,
registrano segnali di innovazione.
Accanto all’intrinseca fragilità di queste “avventure” imprenditoriali, infatti, abbiamo
fotografato l’esistenza di specializzazioni produttive, oltre che in attività “quasi scontate”
come la comunicazione, l’editoria o il design, soprattutto in quei settori più legati alla
dimensione artigiana. Il che sta probabilmente ad evidenziare la particolare attenzione che
i giovani ripongono nelle possibilità espansive del made in Italy legato alla rielaborazione
della cultura materiale del territorio (si pensi ai mestieri tradizionali, ad esempio la
manifattura di ceramiche, arricchite di competenze legate al design o all’ICT) e alla nuova
frontiera degli artigiani digitali. Pensiamo, ancora, al fatto che alcuni settori creativi, in
particolare il design, segnino ormai un forte “presidio” al femminile. Oppure al particolare
dinamismo delle imprese straniere, in crescita nonostante la crisi. Sul territorio, poi, in
alcuni comuni si stanno affermando significative realtà imprenditoriali nelle
specializzazioni più legate all’innovazione (pensiamo al design a Spello o alla produzione di
software e videogiochi a Corciano). In ultimo, segnaliamo il problema di ordine
metodologico legato all’approccio concettuale qui utilizzato che, se da un lato ci ha
garantito la comparabilità dei dati su scala sovra-regionale, dall’altro rischia di alterare il
reale perimetro del sistema produttivo culturale umbro. Il modello Symbola, come detto,
privilegia la componente artigiana (quindi imprese di piccole dimensioni20) delle attività
tipiche del made in Italy e, per le imprese più grandi, il fatto che esportino. Entrambi i
criteri, tuttavia, presentano dei limiti.
Mentre il criterio dell’artigianalità appare interessante per i nessi che ha con creatività e
cultura, la sua traduzione in chiave strettamente dimensionale rischia sia di includere
imprese qualificate come artigiane solo per la loro dimensione e, al tempo stesso, di
escludere imprese medio-grandi che in realtà valorizzano il lavoro artigiano. Il criterio
dell’esportazione a sua volta, che certamente risponde alla logica di “catturare” molti casi
di successo, al tempo stesso rischia di includere imprese che hanno successo sui mercati
esteri per ragioni diverse da design e stile originale (ad es. tecnologia e costi) e di escludere
imprese forti su questo terreno, ma operanti solo sul mercato nazionale.
I limiti dimensionali che devono osservare le imprese registrate come artigiane variano a secondo del tipo di
attività. Per le imprese che operano nei settori delle lavorazioni artistiche, tradizionali e dell’abbigliamento su
misura è ammesso un massimo di 32 dipendenti, compresi gli apprendisti (elevabili fino a 40 a condizione che le
unità aggiuntive siano apprendisti).
20
319
Una maggiore enfasi alla dimensione della “cultura materiale”, al contrario, consentirebbe
di includere una lunga serie di attività economiche che l’approccio Symbola esclude per
esigenze di omogeneità e comparazione su scala sovra-regionale, ma che inglobano a tutti
gli effetti design e creatività nelle produzioni e nei servizi che offrono al mercato e sono a
tutti gli effetti delle “eccellenza” del sistema produttivo culturale regionale, con un peso
specifico significativo nell’economia umbra21.
Così come sarebbe opportuno non soltanto estendere l’analisi regionale al settore pubblico
e no profit, ma anche alla formazione in ambito culturale e creativo. Il poco spazio che
abbiamo avuto a disposizione, in definitiva, ci ha consentito una prima mappatura
quantitativa delle industrie culturali e creative umbre, che apre una feconda e ricca serie di
piste di ricerca utili ad aggiungere importanti elementi di conoscenza di uno dei fenomeni
più interessanti degli ultimi anni.
21 Si pensi, tra le altre, al restauro delle opere d’arte, alla fabbricazione di particolari tessuti a maglia come il
cashmere, al confezionamento di biancheria da letto, da tavola o da arredamento, o ancora alle produzioni
alimentari tipiche. Una considerazione particolare merita, infatti, il settore dell’enogastronomia, poiché esso
viene soltanto in parte analizzato da Symbola che, ad esempio, include la produzione del vino, ma esclude quella
della birra, dell’olio, e di altre produzioni agricole tipiche che hanno un peso significativo nell’economia umbra.
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