Maggio 2014 - prima pagina
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Maggio 2014 - prima pagina
DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO Maggio 2014 Convegno sul Microcredito Roma, 5 maggio 2014 DPPO & Redazione Luana BELLACOSA Mirella GORI Giovanna RICCI Rete Fulvia ALLEGRI Sandra APUZZO Paola BOTTA Bianca CUCINIELLO Laura FORIN Raffaella INFELISI Stefania LEONE Nadia PETRINI Carla PROIETTI Stefania SABA Stefania SALVI Filomena TEDESCHI UILCA Segreteria Regionale Roma e Lazio Via Collina n. 24 00187 Roma Tel. 06 42012215 Fax 06 42012375 Microcredito o Microdebito ? Avere la possibilità di accedere a dei finanziamenti da utilizzare per combattere la povertà e l’esclusione sociale o per avviare o riavviare un’attività, per chi appartiene a categorie svantaggiate, può fare la differenza. In un’economia in fase di stallo con un sistema bancario volto solo al profitto e non sensibile alle necessità dei cittadini ( imprenditori o lavoratori) il MICROCREDITO della Regione Lazio apre quelle porte che spesso rimangono chiuse… Utilizzato dalle donne nel mondo per l’84%, ma in Italia solo per il 34%, è un’idea che viene da lontano. Nacque nel 1974 come strumento di sviluppo economico per sostenere la popolazione indiana, allora duramente provata dalle continue inondazioni, mentre si raggiungeva la consapevolezza che la povertà non fosse dovuta all'ignoranza o alla pigrizia delle persone, bensì al carente sostegno da parte delle strutture finanziarie del paese; ma era anche necessario “educare all'uso del denaro” gli strati più bisognosi della popolazione. Nato in uno scenario e in una realtà economica e sociale estremamente diversi da quelli tipici del territorio laziale, per poter avere piena applicazione, ha quindi dovuto subire delle significative trasformazioni. Da questi adattamenti scaturisce l’idea di coinvolgere una rete di operatori territoriali, nella loro qualità di soggetti che già operano nell’ambito sociale della Regione Lazio, costituiti in cooperative e associazioni "non profit" e appartenenti al mondo del volontariato. A questi Operatori viene infatti affidato l’importante ruolo di “sensori territoriali”, e quindi, in quanto tali, di ricettori delle esigenze dei cittadini comuni che, per i motivi più vari, (spese straordinarie, motivi di salute, redditi familiari troppo bassi, sofferenze bancarie, problemi di protesto, procedimenti penali a carico), si trovano in momenti di empasse economica. Si è stimato che per aprire un’attività occorrono mediamente 18.000 euro e, contestualmente, non sempre si hanno tutte le garanzie necessarie per ottenere un finanziamento bancario, ma invece si hanno le energie per costruirsi un futuro. Tramite SVILUPPO LAZIO si può accedere a fondi pubblici destinati a chi non ha accesso al credito, ma che acquisisce il dovere di restituirlo. Serve per creare nuova ricchezza. Oggi su 100 domande 20 vengono accolte senza discriminazione territoriale e di genere. 1 Dal 2010 al 2013 si sono avute 218 domande(120 da donne, 98 da uomini), ma 42 hanno rinunciato per tempi di attesa troppo dilatati, 54 sono state valutate idonee, 46 approvate da SVILUPPO LAZIO, ma solo 8 sono state accolte dalle Banche. Tempistica, analisi delle capacità di restituzione, istruttoria unica sono fasi oggetto di miglioramento, così come la razionalizzazione dei 205 siti online, dei 94 ENTI esistenti in Italia nonché dei 96 convegni che si sono tenuti sul MICROCREDITO. Il dibattito sul perché è aperto e ad alto rischio di sessismo più o meno consapevole. Escludiamo subito, per decenza, l’ipotesi secondo cui le donne sarebbero meno brave a comandare. Nessuno l’ha avanzata, per fortuna. La seconda della lista è fastidiosa ma il coautore dell’indagine Per-Ola Karlsson la ritiene plausibile. In alcuni Paesi le pressioni culturali e politiche spingerebbero le società a osare un po’ di più pur di mettere al vertice una donna, e azzardare in qualche caso significa sbagliare. Una tesi, riportata dal Financial Times , che non avrà fatto piacere alle neo-presidentesse di Eni, Enel e Poste. Scoraggiante anche la lettura dell’Economist, secondo cui le donne falliscono perché messe alla guida di aziende in difficoltà. Il ragionamento è questo: in mancanza di vivai interni, spesso le top manager di sesso femminile sono degli esterni, categoria da cui di solito si pesca quando il cielo è nero e che è facile cacciare quando inizia a piovere. Oltre al soffitto di cristallo che frena l’ascesa delle donne, insomma, ci sarebbe un precipizio di cristallo pronto a farle scivolare. a cura di Fulvia Allegri Ma dati forti a sostegno di queste ipotesi non ce ne sono, dice al Corriere John Antonakis, che studia le dinamiche della leadership all’Università di Losanna. Quello su cui molti sembrano d’accordo, invece, è che le donne sono delle osservate speciali, perché il ruolo di capo è tradizionalmente maschile. Se la nave affonda la responsabilità è del capitano. Quando si tratta di una donna è probabile che riceva poco sostegno e che la colpa sembri maggiore. I fallimenti femminili fanno notizia dunque. Ma i naufragi più rovinosi sono avvenuti con un uomo al timone. Donne Manager sempre sotto esame. Ma i grandi disastri sono degli uomini. Le donne sono delle osservate speciali, perché il ruolo di capo è per tradizione maschile. La scalata delle donne leader è ancora agli inizi e già si contano le cadute. Secondo uno studio sulle 2.500 aziende più importanti del mondo, solo il 5% degli amministratori delegati è di sesso femminile eppure la probabilità di perdere la poltrona è più alta per lei che per lui. Ben il 38% delle donne che hanno lasciato il posto negli ultimi dieci anni vi sono state costrette, mentre solo il 27% degli uomini è stato licenziato. (Fonte:” Il Corriere della Sera”) Non posso dire se le donne sono migliori degli uomini, ma posso dire che sicuramente non sono peggio di loro. Golda Meir 2 Search e di talent management, quotata al Nyse, e il focus di Maurizia Villa è la selezione di CEO, Cfo, membri di CdA, vertici di istituzioni ed altri livelli operativi di elevata seniority nella finanza e nell’economia. Attenta osservatrice dei trend relativi alla leadership femminile in ambito professionale, il suo è un giudizio indubbiamente non di parte. Non si tratta, dunque, di discriminazione conclamata. Ma certo, ancora sussistono remore e pregiudizi. «Sono due i motivi di questo fenomeno », sostiene Per-Ola Karlsson, coautore dello studio di Strategy&. Se il CEO è donna, più facile licenziare Uno studio di Strategy& su 2.500 maggiori compagnie quotate del mondo evidenzia che si tende a silurare più facilmente se il vertice è femminile. Ma è la foto di una fase di passaggio, che registra un forte incremento di Chief Executive in tailleur Carol Bartz, destituita dall’incarico di CEO di Yahoo! nel 2011 in seguito all’insoddisfazione degli azionisti per i risultati del gruppo. Anne Lauvergeon, sostituita alla testa del gruppo energeticonucleare Areva, dopo che il governo francese ha rinforzato la sua presa sulla multinazionale, nel 2011. Carly Fiorina, silurata dal ruolo di presidente e CEO di HP nel 2005, dopo una dura battaglia col board del gruppo hi-tech. Tre delle più influenti donne nelle classifiche mondiali del business sono diventate l’emblema di una nuova tendenza: i CEO di sesso femminile vengono più facilmente licenziati rispetto ai loro colleghi uomini. Il primo motivo è il cosiddetto fattore “beneficio del dubbio”: in pratica, sotto la pressione delle pari opportunità, le corporate si spingono ad assumere CEO femmine, forzandosi a fare una selezione più audace, questo comporta che si sentano di poter assumere un rischio maggiore pur di reclutare una donna. «In qualche caso questo rischio si rivela reale», è il commento di Karlsson. Il secondo motivo, sempre secondo Strategy&, è che comunque il mondo delle grandi corporate è ancora dominato da un clima maschile. E non tutte le CEO in gonnella riescono a procedere come carri armati in un campo di battaglia. E’ il risultato di uno studio condotto da Strategy&, società di consulenza precedentemente conosciuta come Booz & Co. Strategy& ha passato al setaccio le 2.500 più grandi corporate quotate di tutti i paesi, scelte in base alla loro capitalizzazione, monitorando per 14 anni il turnover aziendale dei CEO, chief executive officer. Studiando i flussi in entrata e quelli in uscita, ha portato alla luce questa predominanza di “licenziamenti” di donne di vertice. Un trend prontamente ripreso e rilanciato dalla prima pagina del Financial Times. «Non mi sembra questo un caso che riguardi direttamente il nostro paese. La ricerca riguarda grandi corporate quotate, in Italia abbiamo un paio di gruppi che si possono equiparare a questo campione. In ogni caso, fermandoci ai risultati della ricerca, non emerge con decisione una forma di discriminazione a livello globale», commenta Maurizia Villa, Managing Director di Korn Ferry Italia. Korn Ferry è la più grande società mondiale di Executive Questo non significa che siano pronte a gettare subito la spugna. Né che, di fronte a pressioni di uscita, forme di 3 incentivazione all’esodo, un CEO donna guardi con maggiore attenzione a una visione più ampia di sé, della famiglia, di altri impegni. «Non credo proprio. Quando si arriva a livello di CEO una donna, come un uomo, ha scelto e deciso che comunque deve rispettare degli impegni e che non può avere problematiche complesse con le quali dividere il proprio tempo di lavoro, o addirittura trascurarlo. Mi appare difficile una spiegazione di questo tipo », incalza Maurizia Villa. Strategy& ha monitorato i flussi in entrata e in uscita dei CEO delle 2.500 maggiori corporate per 14 anni e sono state 118 le donne coinvolte. (Fonte: Repubblica.it) Nel 2013 il 14,4% dei CEO ha lasciato l’incarico, una percentuale leggermente più bassa del 2012, ma più alta della media degli ultimi cinque anni -13,9% - che pure sono stati proprio gli anni dello tsunami finanziario ed economico globale, gli anni dei tagli e dei risparmi. Ma il turnover, ora, ha una funzione diversa. Nel 70% dei casi è pianificato, rientra nelle strategie di cambiamento. Si tratta, insomma, di aziende in cerca di innovazione, che dunque cercano anche la figura giusta per i nuovi programmi di sviluppo. E molto spesso sono chiamate a raccolta nuove protagoniste. I dati, in definitiva, riflettono una situazione di trasformazione, sono la foto di una fase di passaggio. Con tutte le sue contraddizioni. Maternità e lavoro, nel mondo aumenta la protezione ma restano gravi lacune Le CEO donne, infatti, rappresentano ancora solo il 3% dell’universo dei chief executive, ma il trend è in salita ed entro il 2040 arriveranno a costituire un terzo dei CEO di nuovo reclutamento. A fronte dei loro colleghi maschi, che nella stragrande maggioranza dei casi arrivano al vertice dopo aver scalato la gerarchia interna all’azienda, le manager in tailleur approdano sulla poltrona di CEO per chiamata esterna, dopo aver dato prova delle loro qualità in altre realtà. Insomma, quando si tratta di dare una scossa all’azienda, se possibile, si chiama un talento femminile. Un esempio viene dal mondo hi-tech. E’ quello, Telecom in testa, dove si sono registrati i maggiori licenziamenti di CEO. Ma è anche lo stesso dove maggiore è la chiamata di executive femminili. Yahoo! fa scuola. Il posto di Carol Bartz è stata assoldata un’altra donna, Marissa Mayer, già vicepresidente di Google. Assunta, peraltro, mentre era in attesa di un figlio. La società di consulenza Da un rapporto dell’Ilo appena pubblicato emerge che, nonostante i costanti progressi registrati a partire dalla prima Convenzione del 1919 e una chiara tendenza verso il rafforzamento del congedo di paternità, sono ancora più di 800 milioni le donne che continuano a essere escluse da qualsiasi tipo di tutela GINEVRA - Dal 1919, anno in cui l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) adottò la sua prima Convenzione sulla Protezione della maternità, la maggior parte dei Paesi ha adottato disposizioni per tutelarla. Secondo un rapporto appena pubblicato, però, nel mondo sono più di 800 milioni le lavoratrici che non hanno ancora un’adeguata protezione. Analizzate legislazioni e prassi di 185 Paesi. Nel report Maternity and Paternity 4 at Work: Law and practice across the world (Maternità e paternità nel lavoro: legislazioni e prassi nel mondo), l’Ilo sottolinea che su un totale di 185 Paesi e territori, 66 hanno assunto impegni con almeno una delle tre Convenzioni in materia di protezione della maternità, adottate nel 1919, 1952 e 2000. Queste Convenzioni stabiliscono, in particolare, la prevenzione dall’esposizione a rischi per la salute e la sicurezza durante la gravidanza e l’allattamento, il diritto al congedo di maternità retribuito, alla tutela della salute della madre e del bambino e ai permessi per allattamento, e il diritto al reintegro sul posto di lavoro dopo il periodo di congedo. figlio. Il congedo parentale a favore dei padri è più frequente nei Paesi industrializzati, in Africa, in Europa Orientale e in Asia Centrale, ed è retribuito in 70 dei 78 Paesi in cui è previsto. “Nella pratica resta una delle principali sfide di oggi”. “Se le nostre conclusioni mostrano che sono molti i Paesi che hanno introdotto nelle loro legislazioni i principi sulla tutela della maternità e il sostegno ai lavoratori con responsabilità familiari – sottolinea Laura Addati, coautrice del rapporto ed esperta di protezione della maternità e di conciliazione vita-lavoro dell’Ilo – nella pratica la mancanza di queste tutele resta una delle principali sfide di oggi in materia di maternità e paternità nel lavoro”. In 111 casi norme precise sugli impieghi pericolosi. Il rapporto traccia anche un’analisi comparata delle legislazioni nazionali con le norme dell’Ilo più recenti. In materia di salute e sicurezza, 111 Paesi su 160 prevedono norme specifiche sui lavori considerati pericolosi e insalubri per le donne in gravidanza o che allattano, e 78 prevedono il divieto assoluto di svolgere questo tipo di lavori. Sono soltanto tre, inoltre, i Paesi che non prevedono l’obbligo di versare un’indennità durante il congedo di maternità e, ad oggi, più di cento quelli che garantiscono il pagamento di un’indennità all’interno dei loro sistemi di sicurezza sociale, in modo da ridurre il contributo dei datori di lavoro. Verso una durata del congedo di almeno 14 settimane. Dal 1994 a oggi, nessun Paese ha ridotto la durata del congedo e si osserva un’evoluzione progressiva verso una durata minima di 14 settimane, come previsto dalle Convenzioni Ilo. Rispetto alla protezione contro la discriminazione, invece, solo 20 Paesi su 165 non la vietano esplicitamente durante la gravidanza e il congedo di maternità. In Africa e Asia l’80% delle lavoratrici senza tutela. Circa l’80 per cento dei circa 830 milioni di lavoratrici che non godono ancora di un’adeguata protezione della maternità, in termini di congedo e sicurezza del reddito al momento del parto, si trova in Africa e in Asia, dove alcuni gruppi di lavoratori sono completamente esclusi da qualsiasi forma di protezione, sia dal punto di vista normativo che pratico. È il caso, per esempio, dei lavoratori autonomi, migranti, domestici, del settore agricolo, occasionali o temporanei, o delle persone che appartengono a minoranze indigene e tribali. In queste aree geografiche, dove la copertura è principalmente sotto la responsabilità del datore di lavoro, predomina il lavoro informale e i tassi di mortalità materna e infantile sono ancora molto elevati. Sempre più diffuse anche le misure a favore dei padri. Oltre alla legislazione sulla protezione della maternità, molti Paesi dispongono anche di misure a favore dei padri che lavorano. Su 167 Paesi esaminati, infatti, 78 prevedono norme per il congedo di paternità, spesso retribuito, a indicare una chiara tendenza verso una maggiore partecipazione dei padri alla nascita di un 5 invece l’ordinario è diventato eccezionale. A scuola ci hanno insegnato che “lavorare” è un verbo sia transitivo che intransitivo, il suo valore cambia in base al rapporto che stabilisce con il soggetto. Necessari interventi per conciliare vita familiare e professionale. “Per raggiungere la parità di genere – spiega Shauna Olney, direttore dell’ufficio Ilo per la parità di genere, l’uguaglianza e la diversità – è necessario proteggere la maternità. E se non esiste parità all’interno della propria casa, sarà una battaglia ardua conquistarla nel lavoro. È qui che entrano in gioco le misure sulle prestazioni di paternità e la cura dei bambini come anche altre politiche dirette a conciliare la vita familiare e professionale”. Ma capita che col soggetto non riesca ad incontrarsi perché la strada è punteggiata da buche. Se in matematica cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, in italiano (e in Italia) che cosa più che cosa ha dato come risultato un’incognita invece che un diritto? Mutualizzare le risorse per alleggerire i datori di lavoro. Il rapporto dell’Ilo raccomanda quindi ai governi di adottare e attuare leggi e politiche inclusive per rendere efficace la protezione, e sottolinea la necessità di effettuare una valutazione delle carenze dei sistemi attuali. Il rapporto sottolinea, inoltre, che i datori di lavoro non dovrebbero sostenere l’intero carico dei costi delle prestazioni. “Il fatto di mutualizzare le risorse nel quadro di un’assicurazione sociale o di finanziamenti pubblici e di servizi sociali – precisa Olney a questo proposito –alleggerirebbe i datori di lavoro e favorirebbe allo stesso tempo la non discriminazione nel lavoro”. “Scelta”, “giuste”, “dignità” risuonano come un motivo lontano di una canzone che abbiamo quasi dimenticato. Apriamo i giornali e leggiamo di drammatici livelli di disoccupazione, stendendo rotoli di veli pietosi su quella giovanile. Se i giovani sono (siamo) l’ago della bilancia di un Paese, a chi stiamo riempiendo l’altro piatto? Ogni giorno battiamo un record, in negativo, s’intende. Oggi si registrano i peggiori dati dal 1977. Tanto per tirare le somme: il Sole 24 Ore informa che dal 2008, anno d’inizio della crisi, l’Italia conta 984mila occupati in meno. La crisi, questa nube nera che si è addensata sul Paese del sole e delle contraddizioni che viaggiano ad un ritmo difficile da inseguire. (Fonte: Inail.it) Lavoro: esprimiamo un desiderio per i giovani «Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale». Ci vogliono giovani ma con esperienza. Perché se l’esperienza ce l’abbiamo ma siamo già alla 30esima primavera, per la società siamo vecchi. E la preparazione cucita addosso con anni di studio potrebbe (potenzialmente) andare via come il pane ma scade come il latte fuori dal frigo delle strategie aziendali. Recita così l’articolo 23 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, una “solenne deliberazione” delle Nazioni Unite che mette nero su bianco quello che in un Paese civile dovrebbe essere normale. E (Fonte:” Il Corriere della Sera”) 6 Mathys è un bimbo di 11 anni, malato di cancro al fegato. Il papà, pur di vivergli accanto ogni giorno, chiede ferie, permessi, congedi, fino a quando il tempo messo a disposizione dall’azienda per stare accanto a suo figlio finisce. Allora i colleghi decidono di organizzarsi e gli regalano giorni di ferie, arrivando ai 170 giorni necessari a Cristophe per stare accanto a Mathys. Già così questa sarebbe una storia che, nella sua tristezza, allarga il cuore. Ma è una storia che non è finita: il 30 aprile il senato francese ha dato vita alla Legge Mathys, una norma che consentirà ai dipendenti di donare, in modo gratuito e anonimo, tempo a quel collega che ha un figlio sotto i 20 anni malato o vittima di un incidente. Il dono del tempo: in Francia nasce la legge Mathys per aiutare chi assiste un figlio malato Ti dono il tempo, un regalo prezioso. I colleghi di papà Christophe gli hanno donato i loro giorni di ferie (ben 170) perché potesse stare accanto al figlio che andava incontro alla morte per un cancro. Da questo gesto straordinario è nata in Francia una legge che permetterà ai dipendenti di donare in modo anonimo e gratuito i loro giorni di riposo a un collega per la cura di un figlio gravemente malato (Fonte: lavitadelpopolo.it) Esiste qualcosa di più prezioso del tempo? Chi vive accanto a qualcuno che sta male lo sa quanto sia unico ogni minuto passato vicino a chi si sa destinato ad andare via. Sa quanto ci siano giorni, momenti che non torneranno più, quanto sia importante godere dell’oggi, avere tempo a disposizione per… Viviamo in un’epoca in cui l’importanza del tempo si è persa, perché questo esser sempre più frenetici, impegnati, di corsa, ci lascia costantemente la sensazione di non averne mai abbastanza a disposizione per fare tutto. Salvo poi, in quel tutto, finire per trascurare ciò che è davvero importante. Ma, per fortuna, ogni tanto accade di imbattersi in storie significative, capaci di restituire valore alle cose che ci appaiono ovvie, a quel che diamo per scontato. Quella di Cristophe, papà di Mathys, è una di quelle. 7