Supplemento la tutela della salute

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Supplemento la tutela della salute
Periodico di documentazione del Terziario, Turismo e Servizi della Fisascat Cisl - Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Roma - Supplemento N. 2 al N. 2/2012 Anno VI
LA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO. ANALISI ED APPROFONDIMENTI
LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
NEI LUOGHI DI LAVORO
ANALISI ED APPROFONDIMENTI
Periodico di documentazione del Terziario, Turismo e Servizi della Fisascat Cisl - Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Roma - Supplemento N. 2 al N. 2/2012 Anno VI
LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
NEI LUOGHI DI LAVORO
ANALISI ED APPROFONDIMENTI
Periodico di documentazione della FISASCAT CISL
Supplemento N. 2 al N. 2/2012 Anno VI
Direttore Responsabile
Pierangelo Raineri
Editore, Redazione, Direzione,
Amministrazione, Pubblicità
Union Labor S.r.l.
Via Tevere 15
00198 Roma
Telefono/Fax 0685357906
www.laboratorioterziario.it
[email protected]
Registrazione del Tribunale di Roma
n. 485/2006 del 13/12/2006
ROC 17005
Redazione:
Prof. Luigi Garattoni
Progetto grafico e impaginazione:
Fulvia Silvestroni - Paola Mele
Foto a cura di:
Giuseppe Lami, Alessandro Andriotto
Stampa:
Romana Editrice S.r.l.
Via dell’Enopolio 37
00030 San Cesareo (Roma)
Finito di stampare nel mese di novembre 2012
Pubblicazione associata
all’Unione della Stampa Periodica Italiana
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Sommario
Presentazione
di Rosetta Raso
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Prefazione
di Pierangelo Raineri
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Il testo unico sulla tutela della salute e della sicurezza
sul lavoro (d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, come modificato
dal d.lgs. 3 agosto 2009, n.106) quadro normativo
e spunti interpretativi
di Marco Lai
(Centro Studi Cisl/Università di Firenze)
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La formazione per la sicurezza nell’accordo
Stato-Regioni: un’occasione da non sprecare
di Marco Lai
(Centro Studi Cisl/Università di Firenze)
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
PRESENTAZIONE
di Rosetta Raso
Segretario Organizzativo Fisascat-Cisl
L’argomento della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro resta
purtroppo sempre di grande attualità. Mi vedo costretta a dire “purtroppo”, perché troppo drammaticamente evidenti sono i dati relativi
ai decessi che possono essere ricondotti alla mancata applicazione
delle leggi finalizzate a tutelare la salute ed a garantire la sicurezza
dei lavoratori.
Il decreto legislativo n. 106 del 2009 – che rappresenta l’intervento
normativo più recente, sopravvenuto a regolare la materia – riguarda tutti i settori di attività e coinvolge tutti i lavoratori, sia quelli subordinati che quelli autonomi, ivi compresi i lavoratori a progetto, quelli
che forniscono collaborazioni coordinate continuative ed anche i
lavoratori in appalto. Ne restano escluse colf e badanti, le quali operano in un ambito molto particolare, che è quello domestico.
La normativa che disciplina questo ambito è molto complessa: al Prof.
Lai il compito di tracciarne e commentarne le linee essenziali. Per
quanto ci riguarda più direttamente, va detto che il decreto attribuisce
alla contrattazione un ruolo ben preciso: quello di favorire quanto più
possibile il raccordo tra salute, sicurezza ed organizzazione del lavoro.
Come Fisascat riteniamo più che giusto questo ampliamento dei
compiti affidati agli enti bilaterali, perché è in quella sede che si possono più adeguatamente armonizzare le esigenze sia delle imprese
sia dei lavoratori, al fine di prevenire gli infortuni, garantire costantemente la sicurezza, impedire preventivamente l’insorgere di malattie
professionali.
E siccome noi siamo convinti che su questo tema la formazione sia
necessaria, per favorire la corretta applicazione della normativa esistente, proprio agli enti bilaterali spetterà il compito di programmare
le attività formative relative a questo importantissimo ambito e determinare le modalità di attuazione di questo particolare settore della
formazione professionale.
Insomma, gli enti bilaterali devono essere considerati da ora in poi
non solo come le sedi privilegiate per la regolazione del mercato del
lavoro, ma soprattutto come lo strumento principe per lo sviluppo di
interventi finalizzati alla tutela della salute e della sicurezza nei posti
di lavoro.
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Noi siamo fortemente convinti infatti che il ruolo delle Parti Sociali
debba consistere anche nel contribuire alla corretta applicazione dei
nuovi strumenti legislativi e che questa rappresenti un obiettivo raggiungibile: è solo rispettando rigorosamente le norme, che si potranno ottenere dei risultati positivi in questa battaglia che – come ogni
anno ci ricorda la ricorrenza del 1° Maggio – è iniziata con l’origine
stessa del movimento sindacale.
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lavoratrici;
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con la sottoscrizione del contratto nazionale, hanno inteso mettere a disposizione
del settore il proprio sforzo comune per
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e il servizio di collaborazione domestica,
fornendo strumenti bilaterali in grado di
raggiungere tali scopi.
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datori di lavoro per migliorare la tutela
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Si invitano i lettori ad approfondire le
informazioni attraverso il sito internet
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Ulteriori approfondimenti potranno essere forniti dalle parti sociali recandosi
presso le rispettive sedi che si potranno
trovare tramite i siti nazionali.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
PREFAZIONE
di Pierangelo Raineri
Segretario Generale Fisascat-Cisl
La salute non è soltanto l’assenza di malattia, ma è uno stato di
completo benessere fisico, psichico e sociale dell’individuo, perciò
gli ambienti lavorativi devono garantire lo svolgimento di qualsiasi
attività senza rischi per l’integrità psico-fisica del lavoratore.
Purtroppo a tutt’oggi i costi sociali determinati dagli incidenti sul lavoro
sono ancora elevati: gli ultimi dati pubblicati dall’Inail, relativi al primo
semestre del 2011, dimostrano una riduzione di circa 16.000 casi rispetto al corrispondente periodo del 2010: da circa 388.000 casi si è passati a 372.000, con un saldo pari a –4%, ma il numero degli infortuni mortali è fermo sui valori del 2010, siamo passati solo da 431 vittime a 428,
è dunque evidente che la strada da percorrere è ancora molto lunga.
Qualcuno è arrivato a dire che nel nostro Paese è in atto una guerra civile: una guerra tra coloro che risparmiano per massimizzare il
profitto e coloro che sono sottoposti ad un continuo pericolo per la
propria incolumità fisica e psichica. Possiamo definire tutto questo
come il "ventre molle" del mondo del lavoro, che connota la presenza di un elemento di inciviltà e di forte arretratezza nella cultura della
preservazione e della tutela della vita.
In più occasioni il legislatore ha tentato di arginare gli effetti di questa arretratezza culturale ed in ultimo la complessa disciplina che
regola il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro è stata rivisitata nel
2009 con il D.Lgs 106, il quale attribuisce alla contrattazione collettiva un ruolo ben preciso nel favorire un raccordo tra salute e sicurezza ed organizzazione del lavoro.
Noi della Fisascat siamo convinti che la formazione su questo tema sia
necessaria per favorire la corretta applicazione della normativa esistente. A tale scopo abbiamo chiesto al Prof. Marco Lai, Responsabile dell'area giuslavoristica del Centro Studi Nazionale Cisl di Firenze, di illustrarci e commentarci le norme che regolano attualmente questa materia: ne è risultato questo testo tanto accurato negli approfondimenti,
quanto chiaro nell’esposizione, che volentieri pubblichiamo nella convinzione che possa essere un valido aiuto per tutti coloro che operano
nel mondo del lavoro, sia dalla parte datoriale che dalla parte dei lavoratori, al fine di concorrere alla diminuzione del numero ancora spaventoso di incidenti sul lavoro e, soprattutto, delle “morti bianche”.
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FONDO PARITETICO INTERPROFESSIONALE NAZIONALE
PER LA FORMAZIONE CONTINUA DEI DIPENDENTI
DEGLI STUDI PROFESSIONALI E DELLE AZIENDE COLLEGATE
IL TESTO UNICO SULLA TUTELA
DELLA SALUTE E DELLA
SICUREZZA SUL LAVORO
(D.LGS. 9 APRILE 2008, N.81, COME MODIFICATO
DAL D.LGS. 3 AGOSTO 2009, N.106)
QUADRO NORMATIVO E
SPUNTI INTERPRETATIVI
di MARCO LAI
(Per ulteriori approfondimenti e richiami di dottrina
e giurisprudenza cfr. M. LAI, Diritto della salute e
della sicurezza sul lavoro, Giappichelli editore, Torino, 2010)
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
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Note introduttive
Con il d.lgs. n.626/1994 e successive modifiche ed integrazioni, si
era operata una profonda revisione della materia della salute e della
sicurezza sul lavoro, in particolare per la necessità di dare attuazione alla normativa comunitaria che proprio in tale campo si era particolarmente sviluppata.
Si era osservato tuttavia come la materia in esame si caratterizzasse per un eccesso di normazione, spesso ispirata ad approcci diversi e, d’altro lato, come fosse su taluni aspetti oscura e lacunosa,
finendo così per fornire una comoda giustificazione per la sua elusione o disapplicazione.
Proprio il campo della sicurezza del lavoro è infatti quello in cui al massimo del rigore formale delle norme corrisponde il massimo di tolleranza sociale della loro trasgressione, poiché l’opinione pubblica considera gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali un tributo comunque inevitabile da pagare allo sviluppo economico o alla fatalità.
Da qui la proposta di un Testo Unico in materia di salute e sicurezza
sul lavoro che permettesse di “…disporre di un sistema dinamico,
facilmente comprensibile e certo nell’indicazione dei principi e dei
doveri, e di eliminare la complessità e talora la farraginosità di un
sistema cresciuto in modo alluvionale”.
Le proposte a più riprese avanzate nel corso degli anni si sono alla
fine tradotte, sulla scia di una lunga serie di tragedie sul lavoro, nel
d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, attuativo della delega contenuta nell’art.1,
della l. n.123/2007, c.d. Testo Unico sulla salute e sicurezza del lavoro, che sviluppa significativi principi posti dal d.lgs. n.626/1994, ora
abrogato. È stata così raccolta e trasfusa in un unico testo gran parte
delle norme in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, a
partire dalle disposizioni contenute nel d.p.r. n.54/71955, sulla prevenzione degli infortuni del lavoro nell’industria, nel d.p.r.
n.303/1956, sull’igiene del lavoro, e soprattutto nel d.lgs. n.626/1994,
di recepimento di direttive comunitarie.
Con il d.lgs. 3 agosto 2009, n.106 sono state introdotte disposizioni
integrative e correttive al d.lgs. n.81/2008 (misure di semplificazione,
potenziamento della bilateralità, rivisitazione dell’apparato sanzionatorio), che nel complesso non paiono stravolgerne l’impianto complessivo. Si viene dunque a disporre di un quadro legislativo definitivo in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Tratto distintivo della disciplina è peraltro il necessario coordinamen-
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
to tra i diversi soggetti operanti in materia ed il consolidarsi di una
cultura della prevenzione attraverso un approccio di sistema basato
sul “tripartitismo”, principio già affermato nell’ambito dell’Organizzazione internazionale del lavoro, e che il decreto estende a tutti i livelli. Tale principio implica la definizione di un quadro, possibilmente
chiaro, delle diverse responsabilità istituzionali in un’ottica di integrazione dei ruoli e di confronto con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. Si tratta di una significativa novità perché nel
nostro Paese, a differenza di altre esperienze europee, scarse sono
le pratiche di bilateralità e di relazioni (formalizzate) tra parti sociali
ed istituzioni.
D’altro lato il fatto che si dia rilievo (specie nel d.lgs. n.106/2009) alle
forme di controllo sociale non significa che queste vengano a sostituirsi alle forme di controllo istituzionale, dovendosi considerare l’attività
degli organismi paritetici di natura promozionale ed integrativa rispetto a quella ispettiva che, in quanto rivolta alla verifica dell’applicazione
delle prescrizioni normative, con conseguenze sul piano sanzionatorio, non può che essere esercitata da un soggetto terzo (pubblico).
Nel periodo più recente va peraltro evidenziato lo stretto legame tra
sicurezza del lavoro, lavoro nero, sommerso, flessibile. È da condividere infatti l’affermazione secondo la quale “… a circa un secolo
dalle prime esperienze (di analisi delle malattie da lavoro), la mortalità torna a descrivere, con le sue crude cifre, il differenziale di speranza di vita che ancora divide i ricchi dai poveri, i lavoratori manuali da quelli addetti a lavori non manuali, i disoccupati dagli occupati,
i nati in Italia dagli immigrati da paesi del Terzo Mondo e, talvolta, le
disuguaglianze riconoscibili tra mestiere e mestiere”.
La flessibilità ha interessato sia lo svolgimento del rapporto di lavoro (si veda ad esempio la disciplina del tempo di lavoro posta dal
d.lgs. n.66/2003, e successive modifiche ed integrazioni) sia il mercato del lavoro, mediante in particolare le tipologie contrattuali (somministrazione di lavoro, lavoro intermittente, ripartito, a progetto)
introdotte dalla c.d. “Legge Biagi” (l. n.30/2003) e dai relativi provvedimenti di attuazione, in particolare il d.lgs. n. 276/2003.
È di tutta evidenza come le questioni della salute e della sicurezza
si pongano in termini di più accentuata gravità per quei lavoratori che
non fanno parte in modo stabile di una determinata collettività aziendale. In tale contesto significativa è la maggior esposizione al rischio
dei lavoratori extracomunitari.
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
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Gli interventi sulla sicurezza sul lavoro si sono fortemente intrecciati con quelli per la lotta al lavoro nero e sommerso. La flessibilità è
infatti chiamata a coniugarsi con la sicurezza, termine che richiama
il concetto di legalità, da intendere non solo come applicazione rigorosa di norme ma soprattutto come rispetto della persona, operandosi una sorta di “presunzione” da parte dell’ordinamento giuridico
tra lavoro irregolare e scarsa sicurezza sul lavoro. In tale contesto il
settore dell’edilizia, come noto ad elevato tasso infortunistico, ha funzionato da apripista quale ambito sperimentale per l’introduzione di
misure poi da estendere ad altri settori. Disporre di un mercato del
lavoro trasparente e regolare è del resto interesse non solo dei lavoratori ma anche del mondo imprenditoriale (e delle associazioni
datoriali) al fine di contrastare forme di concorrenza sleale. Di tutto
ciò si è tenuto conto nel riordino normativo operato dal d.lgs.
n.81/2008, come integrato e corretto dal d.lgs. n.106/2009.
Il più chiaro assetto legislativo non potrà tuttavia rappresentare da
solo il rimedio ad ogni problema. Più che al dato formale occorre
infatti mirare ai comportamenti tenuti e all’effettiva applicazione delle
norme esistenti; molto spesso gli infortuni sul lavoro sono frutto della
violazione di regole elementari di prudenza o di procedure di sicurezza mai seguite. Se l’errore umano è inevitabile, è possibile tuttavia monitorare il contesto organizzativo all’interno del quale le persone lavorano, rimuovendo quelle situazioni di criticità che predispongono all’errore. In tale prospettiva l’analisi dei mancati infortuni,
un audit continuativo, molto più dell’annuale riunione periodica, una
vigilanza partecipata dei lavoratori e delle loro rappresentanze risultano decisivi.
Vivere la sicurezza non come obbligo ma come scelta consapevole
diventa fondamentale. La tecnica può peraltro essere di aiuto ai fini
della prevenzione e della protezione. Certo la sicurezza ha un costo:
non si possono infatti volere costi cinesi e sicurezza scandinava;
tema questo di stringente attualità in situazioni di prolungata crisi
economica ed occupazionale, in cui è assai probabile che tra i primi
ad essere tagliati siano proprio gli investimenti in sicurezza.
D’altro lato del tutto mistificatoria appare la pretesa contrapposizione tra cultura della sicurezza e regole e sanzioni, che pur ha accompagnato l’elaborazione del d.lgs. n.81/2008 e le successive modifiche. Le regole e le sanzioni, da graduare in funzione della gravità
degli inadempimenti, infatti, non sono altro che gli strumenti di
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
garanzia della cultura della sicurezza, che ne costituisce il fondamento, avendo ben presente la gerarchia di valori affermati dalla
Costituzione, che vedono (o dovrebbero vedere) il primato della protezione dell’integrità psico-fisica e morale delle persone che lavorano sull’interesse, pur meritevole di rispetto, della produzione. Certo
le regole e le sanzioni da sole non bastano, se non se ne coglie il
significato o se si dubita della loro effettiva applicazione. Dirompente sarebbe peraltro il messaggio per l’opinione pubblica di “un
abbassamento della guardia” nel momento in cui la serie delle morti
sul lavoro, pur in un quadro tendenzialmente decrescente, continua
a mantenersi a livelli inaccettabili.
Dal momento che la tutela della salute e della sicurezza del lavoro
non è prerogativa di alcun schieramento politico o parte sociale
(come dimostra la diretta implicazione di lavoratori autonomi o piccoli imprenditori nei casi di infortunio anche mortale) l’auspicio è che
su tale materia si possa raggiungere il massimo di convergenza possibile.
Il campo di applicazione (oggettivo e soggettivo)
La disciplina posta dal d.lgs. n.81/2008 ha una portata generale
applicandosi a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le
tipologie di rischio. Non si distingue dunque a seconda della natura
(imprenditoriale o non), del tipo di attività esercitata (industriale,
commerciale, artigiana, ecc.) o delle dimensioni dell’organizzazione
produttiva. Anche la Pubblica Amministrazione nel suo complesso, al
pari dell’imprenditore privato, è tenuta espressamente ad occuparsi
delle questioni inerenti la salute e sicurezza del lavoro. L’estensione
indifferenziata della tutela rappresenta uno degli aspetti di maggiore
criticità dal momento che si è riconosciuto come la disciplina di prevenzione già prevista dal d.lgs. n.626/1994 meglio si adatti alle
aziende di medie o grandi dimensioni.
Peraltro nei confronti di una serie di settori, per lo più riconducibili
alla P.A., si rinvia all’emanazione di appositi decreti ministeriali per
l’individuazione “… delle effettive particolari esigenze connesse al
servizio espletato o alle peculiarità organizzative” da considerare ai
fini dell’applicazione delle norme del decreto.
Sul piano dei soggetti tutelati (campo di applicazione soggettivo) il
d.lgs. n.81/2008, sulla base di quanto previsto nei criteri di delega,
estende la sua applicazione “… a tutti i lavoratori e lavoratrici, subor-
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
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dinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati.” (art.3,
4°comma). L’ampliamento della tutela si coglie peraltro alla luce della
nuova definizione di “lavoratore”, di cui all’art.2, 1°comma, lett. a),
qualificato come la “persona che, indipendentemente dalla tipologia
contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una
professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”. Nozione dunque ben più ampia di quella di cui all’art.2, 1°comma, lett. a),
d.lgs. n.626/1994 (“persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro … con rapporto di lavoro subordinato
anche speciale”), ancorata all’elemento della subordinazione.
Tra i soggetti equiparati ai lavoratori non contemplati nel d.lgs.
n.626/1994 merita segnalare: l’associato in partecipazione di cui
all’art.2549 e seguenti del c.c.; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento; i volontari, come definiti
dalla l. n.266/1991, nonché i volontari del Corpo Nazionale dei Vigili
del Fuoco e della Protezione Civile.
Si opera poi una serie di specificazioni per particolari tipologie di
lavoro flessibile, talora già desumibili dal quadro normativo previgente (la somministrazione di lavoro, il lavoro a progetto) o da acquisizioni giurisprudenziali (il distacco) o ancora da accordi quadro a
livello europeo (il telelavoro).
Nei confronti dei lavoratori in somministrazione tutti gli obblighi di
prevenzione e protezione sono a carico dell’utilizzatore, fermo
restando quanto specificatamente previsto dall’art.23, 5°comma,
d.lgs. n.276/2003 (art.3, 5° comma).
Nell’ipotesi di distacco del lavoratore tutti gli obblighi di prevenzione
e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a
carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi
tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansione per le
quali egli viene distaccato (art.3, 6° comma).
Nei confronti dei lavoratori a progetto e dei collaboratori coordinati e
continuativi le disposizioni in materia di salute e sicurezza si applicano qualora la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del
committente (art.3, 7° comma).
Nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di
tipo accessorio, ex art.70 e seguenti d.lgs. n.276/2003, le disposizioni del decreto n.81 si applicano con esclusione dei piccoli lavori
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
domestici a carattere straordinario, compreso l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani,
agli ammalati e ai disabili (art.3, 8° comma).
Ai lavoratori a domicilio, fermo restando quanto previsto dalla l.
n.877/1973, le disposizioni si applicano limitatamente agli obblighi di
informazione e formazione. Ad essi devono inoltre essere forniti i
necessari dispositivi di protezione individuale in relazione alle effettive mansioni assegnate; nel caso vengano fornite attrezzature, queste devono essere conformi alle disposizioni del Titolo III (art.3, 9°
comma).
Ai lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa
di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico (telelavoro) si applicano le disposizioni del Titolo IV (art.3, 10°
comma).
Significativa novità del decreto n.81 è la previsione di taluni obblighi
per i lavoratori autonomi, ben oltre dunque le varie forme di parasubordinazione (art.3, 11° comma, che richiama gli artt. 21 e 26). Le
previsioni dell’art.21 si applicano infatti anche ai componenti dell’impresa familiare di cui all’art. 230.bis c.c., dei coltivatori diretti del
fondo, degli artigiani e dei piccoli commercianti e dei soci delle società semplici operanti nel settore agricolo (art.3, 12°comma, come
modificato dal d.lgs. n.106/2009).
Per completare l’analisi del campo di applicazione soggettivo merita
richiamare l’art.4 del decreto, sul computo dei lavoratori, che individua le fattispecie da non considerare ai fini della determinazione del
numero dei lavoratori, dal quale far discendere particolari obblighi
(ad esempio la possibilità di effettuare l’autocertificazione in luogo
del più completo documento di valutazione dei rischi – art.29, 5°
comma – o circa il numero dei rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza – art.47, 7° comma –).
Il notevole ampliamento delle fattispecie non computabili, rispetto a
quanto previsto dal d.lgs. n.626/1994, è compensato dall’estensione
della normativa ben oltre il lavoro subordinato, prendendosi ora a
riferimento, per l’applicazione di molte disposizioni, il più ampio concetto di “lavoratore” e non più di “dipendente”.
Tra i lavoratori non computabili sono da segnalare i collaboratori
coordinati e continuativi, nonché i lavoratori a progetto, “… ove la
loro attività non sia svolta in forma esclusiva a favore del committente” (art.4, 1°comma, lett. l); dal che si deduce che se tali collaborato-
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
20
ri operano in regime di esclusiva devono essere computati nell’organico del committente.
Ci si è infine interrogati sul fondamento dell’esplicita esclusione prevista per il lavoro domestico, anche in connessione con il crescente
fenomeno delle c.d. badanti. È da osservare peraltro che l’analoga
esclusione disposta dal d.lgs. n.626/1994 era compensata dalla sussistenza delle norme protettive contenute in particolare nel d.p.r.
n.547/1955. Ora anche tale disciplina è venuta meno in quanto
espressamente abrogata dall’art.304, 1°comma, lett. a), d.lgs.
n.81/2008. Ciò potrebbe risultare in contrasto con i criteri di delega
circa la necessaria considerazione delle differenze di genere e della
tutela dei lavoratori immigrati.
I maggiori rilievi critici si sono peraltro incentrati sul fatto che ai fini
dell’applicazione della normativa di sicurezza non si operassero
distinzioni in ordine alle dimensioni dell’impresa; unico elemento di
differenziazione era infatti, nel testo originario del d.lgs. n.626/1994,
la prevista emanazione di un decreto interministeriale concernente
tra l’altro la semplificazione di alcuni adempimenti documentali per
non meglio definite “piccole e medie imprese”.
Già il decreto integrativo (n.242/1996) era venuto parzialmente
incontro a tali esigenze, stabilendo per le aziende familiari e per
quelle che occupano fino a dieci addetti la sostituzione degli obblighi
inerenti la documentazione della valutazione dei rischi con una più
semplice autocertificazione.
La legislazione successiva ha dedicato particolare attenzione alle
norme premiali e alle misure di sostegno specie alle piccole e medie
imprese che si adeguino alle norme di sicurezza. Tale linea è ripresa e sviluppata nel d.lgs. n.81/2008. Si pone peraltro la necessità di
una verifica dell’efficacia di tali interventi essendo il settore delle piccole imprese quello statisticamente più esposto ai rischi di infortuni
e di malattie professionali e nello stesso tempo quello in cui l’affermarsi di un sistema di rappresentanza dei lavoratori (aziendale o territoriale) e di controllo, da parte degli organi di vigilanza, è venuto ad
incontrare le maggiori difficoltà.
I principi fondamentali: la valutazione dei rischi e la programmazione della prevenzione
Rilievo centrale assume nel modello prevenzionale delineato dal
d.lgs. n.81/2008, al pari che nel d.lgs. n.626/1994, il principio della
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
valutazione dei rischi. Il fatto che “la valutazione di tutti i rischi per la
salute e sicurezza” figuri al primo posto tra le misure generali di tutela, stabilite dall’art.15, non può essere infatti meramente casuale.
Peraltro la valutazione dei rischi più che essere essa stessa una
misura di tutela costituisce il presupposto dell’intero sistema di prevenzione. La valutazione dei rischi è infatti lo strumento fondamentale che permette al datore di lavoro di individuare le misure di prevenzione e di pianificarne l’attuazione, il miglioramento ed il controllo al fine di verificarne l’efficacia e l’efficienza.
Ai sensi dell’art.28, 1°comma, la valutazione dei rischi deve riguardare, secondo uno schema che potremo definire “a matrice”, “tutti i
rischi” esistenti in azienda, sia quelli collegati alla scelta delle attrezzature di lavoro, delle sostanze o dei preparati chimici impiegati,
nonché alla sistemazione dei luoghi di lavoro (profilo oggettivo), sia
quelli relativi alla condizione dei lavoratori interessati (profilo soggettivo). In tale prospettiva sono da considerare i gruppi di lavoratori
esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavorocorrelato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre
2004, quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo
quanto previsto dal d.lgs. n.151/2001, nonché quelli connessi alle
differenze di genere, all’età ed alla provenienza da altri Paesi; a cui
si è da ultima aggiunta la variabile “precarietà”, dovendosi comprendere nella valutazione anche i rischi “connessi alla specifica tipologia contrattuale” utilizzata.
La valutazione dei rischi viene dunque ad interessare l’intero
ambiente di lavoro, nonché tutte le persone presenti nell’organizzazione aziendale, compresi i lavoratori impiegati tramite il ricorso a
tipologie contrattuali diverse da quelle del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
È da evidenziare, stante il raccordo con l’ampia nozione di “salute”,
che anche i rischi di c.d. “natura psicosociale”, definibili in termini di
interazioni tra contenuto del lavoro, condizioni ambientali ed organizzative ed esigenze e competenze dei lavoratori, di cui lo stress lavoro-correlato costituisce un’esemplificazione, dovranno essere considerati nell’attività di valutazione dei rischi. Si è d’altro lato messo in
rilievo il difficile accertamento in concreto, in mancanza di univoche
indicazioni al riguardo, delle specifiche violazioni in tema di valutazione dei rischi psico-sociali. La portata generale dell’obbligo in questione, affermata a più riprese dalla giurisprudenza comunitaria, è
21
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
22
peraltro ricavabile dalla definizione di “valutazione dei rischi”, di cui
all’art.2, 1°comma, lett. q).
La valutazione dei rischi, nei termini sopra descritti, costituisce dunque un’azione preventiva e ricorrente che deve avvenire ogniqualvolta si operi una “scelta” di natura organizzativa o produttiva.
La valutazione dei rischi non può peraltro essere effettuata in astratto, ma deve tradursi in un atto scritto, in un documento (DVR), i cui
elementi sono indicati nell’art.28, 2°comma.
Si distinguono dunque due momenti: la vera e propria valutazione
dei rischi e l’elaborazione del documento ad essa inerente, documento da custodirsi (al pari del documento di valutazione dei rischi
da interferenze in caso di appalto – DUVRI –) presso l’unità produttiva alla quale si riferisce.
Rispetto alla corrispondente disciplina posta dal d.lgs. n.626/1994
(art.4, 2°comma) è da notare la maggiore specificazione degli elementi da riportare nel DVR, tra i quali assume particolare rilievo “l’individuazione delle procedure (il “come”) per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli (il “chi”) dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere.” (art.28, 2°comma, lett. d). Ne
dovrebbe risultare chiaramente l’organigramma aziendale della sicurezza, in raccordo del resto con la maggiore formalizzazione della
figura del dirigente e del proposto, che di norma dovrebbero operare sulla base di specifico incarico. Anche la previsione relativa alla
“individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento” (art.28, 2°comma, lett. f), venendo a combinare il profilo
oggettivo di valutazione dei rischi con quello soggettivo, della professionalità, esperienza e formazione del lavoratore, è di particolare
significato sul piano operativo (si pensi agli apprendisti, alle tipologie
di lavoro flessibile e, più in generale, ai neoassunti).
Il contenuto del DVR dovrà altresì rispettare le indicazioni previste
dalle specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei titoli particolari del decreto (art.28, 3°comma).
Significativa innovazione è quella secondo la quale il DVR deve
avere “data certa”. Quale alternativa alle usuali procedure al riguardo (ad esempio la ratifica da parte di un notaio o l’utilizzo di un sistema di posta certificata) può peraltro valere la “sottoscrizione del
documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché, ai soli
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
fini della prova della data, … del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e
del medico competente, ove nominato.” (art.28, 2°comma). La previsione è volta ad evitare inutili appesantimenti burocratici, non venendo d’altro lato meno le responsabilità del datore di lavoro in ordine
alla valutazione dei rischi.
In caso di costituzione di nuova impresa, riprendendo quanto disposto dall’art.96-bis, d.lgs. n.626/1994 (ma non anche dal d.lgs.
n.81/2008), il datore di lavoro è tenuto ad effettuare immediatamente la valutazione dei rischi, dovendo elaborare il relativo documento
entro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività (art.28,
comma 3-bis, aggiunto dal d.lgs. n.106/2009).
La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata in
occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro “significative” ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado della tecnica, della prevenzione o della
protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati
della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di
tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate (cfr. il raccordo con l’obbligo a carico del datore di lavoro di cui
all’art.18, 1°comma, lett. z). In tali ipotesi il DVR deve essere rielaborato entro trenta giorni dalle rispettive causali (art.29, 3°comma). In
molti di tali casi si tratterà tuttavia di una semplice integrazione dell’originario DVR e non di una sua completa riformulazione, richiesta
solo in presenza di modifiche più radicali del processo produttivo. La
periodicità dell’aggiornamento del DVR non è, di norma, stabilita,
fermo restando che anche la nuova valutazione dei rischi deve essere effettuata da personale competente sotto la responsabilità del
datore di lavoro; fanno eccezione alcuni rischi di particolare rilievo
che debbono essere oggetto di revisione dopo un determinato periodo di tempo.
In riferimento ai soggetti coinvolti si prevede che il datore di lavoro
effettui la valutazione dei rischi ed elabori il documento ad essa relativo in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione
e protezione e con il medico competente, nei casi in cui sia obbligatoria la sorveglianza sanitaria; tali attività sono realizzate previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Si
intende dunque associare tutti i principali soggetti interessati a quel-
23
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
24
lo che a buon motivo può considerarsi il “perno” del sistema prevenzionale. Oltre alla naturale partecipazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, quale consulente tecnico del datore di lavoro, anche il medico competente deve pertanto prendere
parte alle diverse fasi della valutazione dei rischi per fornire il suo
contributo specialistico sia nella individuazione dei pericoli per la
salute che ai fini della predisposizione dell’attuazione delle misure di
prevenzione e protezione. La consultazione “preventiva” (e “tempestiva”) del Rls, d’altro lato, implica il coinvolgimento di tale figura fin
dal momento iniziale della procedura.
Sia l’obbligo di documentare la valutazione dei rischi sia quello di
aggiornarla sono sanzionati penalmente ad esclusivo carico del
datore di lavoro. L’impossibilità da parte del datore di lavoro di delegare gli adempimenti inerenti la valutazione dei rischi è chiaramente
espressa dall’art.17, 1°comma, lett. a), d.lgs. n.81/2008.
Se la valutazione dei rischi compete peraltro al datore di lavoro, le
diverse figure aziendali (dirigenti, preposti, responsabile del servizio
di prevenzione e protezione, medico competente) sono comunque
tenute a collaborare alla sua realizzazione, dal momento che “… una
regola propedeutica a tale valutazione … discende dall’obbligo di
osservare le comuni regole di diligenza che impongono, anche a chi
non abbia un potere deliberativo, di segnalare eventuali pericoli o
carenze nei sistemi di protezione”.
Si ritiene che la valutazione dei rischi non sia soggetta ad un controllo di merito da parte dell’organo di vigilanza, che potrebbe solo verificare l’eventuale inosservanza della sequenza metodologica prestabilita ai fini della sua documentazione. La scelta di come procedere
alla redazione del DVR è peraltro rimessa al datore di lavoro che vi
provvede “con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo
da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo
di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione”.
Si pone inoltre fine, sia pure in forma graduale, prevedendo un regime transitorio, al sistema dell’autocertificazione. La possibilità di
ricorrere all’autocertificazione, che sostituisce l’obbligo di elaborare
il documento ma non quello sostanziale di effettuare la valutazione
dei rischi, per i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori, è
infatti prevista fino alla scadenza del diciottesimo mese successivo
alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale (di cui
all’art.6, 8°comma, lett. f), di recepimento delle procedure standar-
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
dizzate di effettuazione della valutazione dei rischi e comunque non
oltre il 30 giugno 2012 (art.29, 5°comma, d.lgs. n.81/2008).
Quello della valutazione dei rischi è il campo, insieme a quello della
formazione e, da ultimo, della certificazione di qualità, sul quale si è
attivato un giro di interessi (e di affari) di notevoli dimensioni, dove si
sono cimentate professionalità più o meno consolidate e attendibili.
Occorre prendere atto con amarezza come il metodo della valutazione dei rischi e dell’elaborazione del relativo documento, elemento
centrale del sistema prevenzionale, sia stato in molti casi inteso
come adempimento puramente burocratico. “Non deve poter più
accadere quello che si è visto fino ad oggi: uno stesso “consulente”
che, su incarico di dieci artigiani diversi, fa dieci valutazioni dei rischi
tutte uguali fra loro, ricevendo evidentemente dieci compensi”. Tutto
ciò favorito da una cultura aziendale ancora ben lontana da un impegno convinto sui temi della salute e sicurezza sul lavoro.
Sul piano operativo, in assenza di puntuali indicazioni, è poi invalsa
la prassi, alquanto sbrigativa, di ritenere adempiuto l’obbligo di autocertificazione con la mera dichiarazione scritta da parte del datore di
lavoro dell’avvenuta valutazione dei rischi e dell’adempimento degli
obblighi ad essa collegati, senza ulteriori specificazioni (in merito ad
esempio alle misure adottate). È dubbio il valore di tale “autocertificazione” in caso di visite ispettive.
Interessanti indicazioni in ordine alla valutazione dei rischi vengono
anche dalla giurisprudenza. Così la Cassazione ha ritenuto sanzionabile il datore di lavoro che in sede di valutazione del rischio ometta di
programmare nel tempo una costante e periodica rilevazione del
rumore. Più in generale viene affermato con chiarezza che la valutazione dei rischi deve essere eseguita in modo adeguato e completo.
Pertanto è perseguibile non solo il datore di lavoro che ometta del tutto
di elaborare il documento ma anche quello che elabori un documento
insufficiente, alla stregua dei parametri stabiliti dall’art.28, 2° comma,
del d.lgs. n.81/2008 e delle altre specifiche prescrizioni normative.
È infine da sottolineare che il documento di valutazione dei rischi,
qualora sia incompleto, è fonte di responsabilità, oltre che per il datore di lavoro, anche per chi ha concorso alla sua incompiuta redazione (ad esempio il RSPP) nel caso di evento di danno, cioè qualora
dalla omessa indicazione dei rischi esistenti e dalla conseguente
mancata adozione delle necessarie misure di sicurezza sia derivato
un danno ai lavoratori.
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
28
Strettamente connesso alla valutazione dei rischi è il principio della
“programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che
integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche
produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e
dell’organizzazione del lavoro” (art.15, 1° comma, lett. b).
In base a quanto sopra esposto la protezione della salute dei lavoratori va dunque considerata non come un elemento a sé stante,
subordinato e conseguente alle scelte tecniche e organizzative, ma
come un momento tipico, ordinario dell’organizzazione dell’attività
produttiva. Quasi un obbligo di strategia pianificata.
Si è messo in rilievo come proprio sul terreno dell’organizzazione del
lavoro si stiano delineando nuovi profili di rischio (psichico), connessi agli aspetti relazionali ed al rapporto persona/ambiente.
Ne deriva quale necessario un approccio integrato e globale alla
conoscenza, al controllo ed alla limitazione dei rischi, mediante il
legame tra prevenzione tecnica, prevenzione organizzativa e prevenzione sanitaria, nella realtà spesso eccessivamente frammentate.
L’importanza, accanto a quelle tecniche, delle misure organizzative
e procedurali ai fini della prevenzione, è sottolineata in molte parti
del decreto, a partire dagli obblighi generali a carico del datore di
lavoro e dei dirigenti (art.18, 1°comma, lett. z). La «programmazione
della prevenzione», nei termini sopra precisati, dovrebbe scaturire
da una gestione condivisa con i lavoratori e le loro specifiche rappresentanze: lo spirito della normativa comunitaria è infatti quello che,
con felice espressione, si è chiamato il passaggio «dalla nocività
conflittuale alla sicurezza partecipata».
Sul piano applicativo peraltro sono stati individuati proprio nelle attività di “programmazione degli interventi”, di definizione e gestione
delle “procedure di sicurezza”, oltre che di formazione, i punti deboli dell’intervento e delle politiche aziendali di prevenzione (anche
nelle aziende di medio - grandi dimensioni), registrandosi in genere
uno scollamento con i centri di responsabilità effettiva nella gestione
dell’impresa e una sostanziale delega al servizio di prevenzione e
protezione di tutti gli aspetti in materia.
Anche a livello italiano, sulla base di quanto elaborato a livello internazionale ed europeo, più di recente sono state predisposte Linee
guida per un sistema di gestione della salute e della sicurezza sul
lavoro (SGSL), volte ad integrare maggiormente le politiche della
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
sicurezza nel contesto organizzativo aziendale. L’adozione, su base
volontaria, di un SGSL da parte delle aziende si configura del resto
come funzionale al rispetto degli obblighi di legge.
Sul punto la normativa valorizza l’adozione e l’efficace attuazione di
modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza, prendendoli, tra l’altro, a riferimento ai fini dell’efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, di cui al d.lgs.
n.231/2001 (cfr. art.30, 1°comma). In sede di prima applicazione si
prevede una presunzione di conformità (relativa) per i modelli di
organizzazione aziendale definiti in base alle Linee guida Uni - Inail
per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro
(SGSL), del 28 settembre 2001 o al British Standard Ohsas
18001:2007, ed in futuro per quelli indicati dalla Commissione consultiva (art.30, 5°comma).
I soggetti coinvolti e le loro interazioni: l’organizzazione aziendale della prevenzione (il datore di lavoro, la delega di funzioni e la
ripartizione di responsabilità, i dirigenti e i preposti, lavori in
appalto, contratti d’opera e qualificazione delle imprese, il servizio di prevenzione e protezione e la gestione delle emergenze, la
sorveglianza sanitaria ed il ruolo del medico competente)
Il d.lgs. n. 81/2008, come integrato e corretto dal d.lgs. n.106/2009,
introduce categorie ed istituti che sostituiscono, modificano o accrescono quelli previsti dalla legislazione precedente.
Per il suo carattere analitico, completo e sistematico, il d.lgs.
n.81/2008, ed in particolare il suo titolo primo, si configura come il
testo base della legislazione antinfortunistica.
Le questioni inerenti la salute e la sicurezza del lavoro vengono a
interessare una pluralità di soggetti: datore di lavoro, dirigenti e preposti; responsabile ed addetti del servizio di prevenzione e protezione, servizi di gestione delle emergenze e medico competente; lavoratori e loro rappresentanze specifiche per la sicurezza1.
Di ciascuna di tali figure cercheremo di esaminare gli aspetti di maggiore problematicità emersi sul piano applicativo.
1
In questo studio non ci occuperemo dei soggetti deputati all’attività di vigilanza, né
delle figure esterne, quali i progettisti, i fabbricanti, i fornitori e gli installatori, per i
quali si rinvia a M. LAI, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva,
cit., pp.134 ss.
29
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Il datore di lavoro
Il datore di lavoro è definito come «il soggetto titolare del rapporto di
lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo
e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la
propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa …”
(art.2, 1°comma, lett. b), d.lgs. n.81/2008).
Tale definizione àncora dunque la responsabilità non solo a chi rivesta una funzione istituzionale, in qualità di titolare del rapporto di
lavoro, ma anche a coloro che in concreto abbiano la responsabilità
di direzione e di gestione, con poteri di spesa, dell’attività produttiva
(ad esempio il direttore di stabilimento)2.
Si viene dunque a determinare un “effetto diffusivo” del debito di
sicurezza, con una pluralità di centri di imputazione di responsabilità, potendo esserci molteplici datori di lavoro in una stessa impresa
articolata in più unità produttive3.
“Dal che si deduce che gli indici di riconoscimento della figura del datore di lavoro
sono almeno due: uno di carattere formale (ricondotto alla titolarità del rapporto di
lavoro con il lavoratore) ed uno di natura sostanziale (ancorato al concetto di
responsabilità, a sua volta modulato sugli indici di autonomia-potere a) decisionale
e b) di spesa)”; in tal senso P. SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, cit., p.80. Sulla responsabilità del direttore di stabilimento, pur sprovvisto di autonomia di spesa, stante il suo potere organizzativo di impedire l’uso di macchinari
pericolosi, cfr. Cass. pen., 3 ottobre 2008, in c. Pennacchietti, in ISL, 2009, p.37.
3
Cfr. L. MONTUSCHI, I principi generali, cit., pp.45 ss; F. BASENGHI, La ripartizione
intersoggettiva degli obblighi prevenzionistici del nuovo quadro legale, in L. GALANTINO (a cura di) La sicurezza del lavoro, Milano, 1996, pp.60 ss; G. FERRARO, Il
2
30
datore di lavoro e l’obbligazione di sicurezza: attribuzione di compiti e delegabilità di
funzioni nel complessivo quadro dei nuovi adempimenti, in L. MONTUSCHI (a cura
di), Ambiente, Salute e Sicurezza, cit., il quale rileva come ciò sia particolarmente
importante nelle imprese a struttura complessa, mentre in quelle di piccole dimensioni in genere si avrà coincidenza tra titolarità formale del rapporto e attribuzione
di responsabilità, p.112. Una chiara affermazione di tali principi è offerta da Cass.
pen., 6 febbraio 2004, in c. Ligresti e altri, cit. secondo la quale "la qualifica di datore di lavoro non è intesa nel senso esclusivamente civilistico e giuslavoristico, e
quindi limitata a chi è titolare del rapporto di lavoro, ma si estende a chi ha la
responsabilità dell'impresa o dell'unità produttiva ed è titolare dei poteri decisionali
e di spesa". Ne consegue, tra l'altro, "la possibilità di coesistenza, all'interno della
medesima impresa, di più figure aventi la qualità di datore di lavoro ai sensi del
D.lgs. n.626/1994 perché accanto al datore di lavoro, inteso nel senso civilistico tradizionale quale titolare dei rapporti di lavoro, possono esservi coloro che hanno la
responsabilità dell'impresa o di una o più unità produttive che non sono invece titolari dei rapporti di lavoro, sempre che, beninteso, siano titolari dei poteri decisionali e di spesa".
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Tale modello dà peraltro prevalenza, come emerge dall’utilizzo dell’avverbio “comunque”, al datore di lavoro sostanziale e cioè a chi è
responsabile della gestione effettiva dell’impresa o dell’unità produttiva4.
Trova dunque conferma il principio della effettività delle attribuzioni
sul quale si sono a lungo soffermate la dottrina e la giurisprudenza5.
Si è osservato come la definizione di “datore di lavoro” contemplata
nel d.lgs. n.81/2008, pur richiamando quella contenuta nel d.lgs.
n.626/1994 (art.2, 1°comma, lett. b), sposti ancor più l’accento a
favore del criterio di effettività, facendo perno sulla posizione che “di
fatto” il soggetto assume nell’ambito dell’organizzazione produttiva,
come si desume dall’utilizzo del termine “esercizio”, in luogo della
mera “titolarità”, dei poteri decisionali e di spesa6. Il principio di effettività è peraltro espressamente affermato nell’art.299, gravando le
posizioni di garanzia del datore di lavoro, dirigente e preposto, “...
altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”. D’altro lato riferimento per l’individuazione della figura di datore di
lavoro è la responsabilità non più dell’“impresa” bensì dell’“organizzazione” nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività.
Si tratta dunque di una nozione ampia di datore di lavoro, comprensiva non solo dell’esercizio di un’attività di impresa in senso stretto
(art.2082 c.c.), ma parametrata su un criterio di responsabilità in
ordine al concreto assetto organizzativo. Ciò in raccordo del resto
con la più estesa definizione di lavoratore (di cui all’art.2, 1°comma,
lett. a) ed alla stessa nozione di azienda (come “il complesso della
4
Cfr., tra gli altri, F. BASENGHI, cit.,p.69; R. ROMEI, cit., p.77; S. MARETTI, Norma-
tiva comunitaria in materia di sicurezza: le nozioni di datore di lavoro, lavoratore e
rappresentante per la sicurezza, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 2001,
5
6
p.455.
Cfr. per ampi riferimenti già F. BASENGHI, I soggetti dell’obbligo di sicurezza, in
Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1993, n.14, p.31; più di
recente per la giurisprudenza cfr. R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul
Lavoro, cit., pp.16 ss.
Cfr. al riguardo A. GIULIANI, Misure generali di tutela, obblighi del datore di lavoro
e valutazione dei rischi, in G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), La nuova sicurezza in azienda. Commentario al Titolo I del D.Lgs n.81/2008, Milano, 2008, pp.89
ss.; F. STOLFA, Le definizioni, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura
di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, cit. pp.62 ss.; D. VENTURI, I datori di lavoro privati, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo Unico della
salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit., pp.259 ss.
31
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
32
struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato”, art.2,
1°comma, lett. c), che supera i confini di cui all’art. 2555, c.c.7.
Il criterio di effettività non può d’altro lato prescindere, in base allo
stesso dato testuale, dalla ripartizione di compiti e responsabilità tra
i diversi soggetti operata all’interno dell’organizzazione aziendale.
Connessa alla nozione di datore di lavoro, è la definizione di unità
produttiva. Per unità produttiva si intende lo «stabilimento o (la) struttura finalizzati alla produzione di beni o servizi, dotati di autonomia
finanziaria e tecnico-funzionale» (art.2, 1° comma, lett. t). L’espressione, oltre a riprendere quanto elaborato dalla giurisprudenza lavoristica prevalente, aggiunge il più ambiguo requisito dell’autonomia
finanziaria, il quale, se rigorosamente inteso8, può limitare di molto
la possibilità di individuare come autonome unità produttive articolazioni aziendali anche di consistenti dimensioni9.
Significative novità, che vengono opportunamente a superare elementi di ambiguità presenti nella disciplina previgente, sono apportate in merito alla definizione di datore di lavoro pubblico. Recependo le indicazioni affermatesi in giurisprudenza, nell’ottica di una più
decisa equiparazione di tale figura con quella di datore di lavoro privato, nelle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art.1,2°comma,del
d.lgs. n.165/2001, per datore di lavoro si intende “… il dirigente al
quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente
qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad
un ufficio avente autonomia gestionale” – con l’aggiunta rispetto alla
formulazione precedente – quale “individuato dall’organo di vertice
delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e del7
8
9
Cfr. D. VENTURI, cit., p.261. Sulla responsabilità in ambito prevenzionistico nel caso
di imprese gestite da società di capitali, cfr., tra le altre, Cassazione penale, 8 febbraio 2008, in c. Mantelli, in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro,
cit., p.16. Al riguardo cfr. in particolare A. GIULIANI, Misure generali di tutela, obblighi del datore di lavoro e valutazione dei rischi, cit. p.92.
Come potere di reperire autonomamente le risorse finanziarie necessarie al suo
finanziamento e di disporre di un capitale proprio e di un autonomo bilancio.
Per Cassazione penale, 22 novembre 2004, in C. ALOI (in ISL, 2005, p.109), è da
qualificare come “unità produttiva” l’organismo che, pur restando un’emanazione
dell’impresa, “abbia una sua fisionomia distinta, presenti un proprio bilancio e possa
deliberare, in condizioni di relativa indipendenza, il riparto delle risorse disponibili,
operando così le scelte organizzative ritenute più confacenti alle proprie caratteristiche funzionali e produttive”.Per l’individuazione, quale unità produttiva, di un poliambulatorio medico nell’ambito di un’azienda sanitaria locale, cfr. Cassazione penale,
26 marzo 2004, in C. RANIERI, in ISL, 2004, p.316.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
l’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa …” (art.2, 1°comma, lett.
b), 2° periodo, d.lgs. n.81/2008).
Tre sono dunque i requisiti che concorrono alla individuazione del
datore di lavoro pubblico:
• la qualifica di dirigente, ovvero di funzionario, che di fatto svolga
compiti assimilabili a quelli propri della qualifica dirigenziale;
• la nomina da parte dell’organo di vertice delle singole amministrazioni (è da ritenere che si tratti di un atto amministrativo di organizzazione diverso dalla delega di funzioni, di cui all’art.16, d.lgs.
n.81/2008);
• ma soprattutto il fatto che il soggetto designato quale datore di
lavoro deve essere “dotato di autonomi poteri decisionali e di
spesa”, venendosi così a precisare la più generica espressione di
“autonomia gestionale”, che pur in via interpretativa poteva ritenersi comprensiva del potere di disporre di risorse finanziarie10.
Sul punto è da notare come siano rafforzate le caratteristiche proprie
della funzione dirigenziale operandosi una netta distinzione tra funzioni di indirizzo e di controllo (organi di governo) e funzioni di gestione (dirigenza).
Ciò non significa peraltro escludere da qualsiasi responsabilità l’organo di vertice dal quale i dirigenti ed i funzionari dipendono. All’organo di vertice compete infatti, nell’ambito degli obiettivi e dei programmi dell’attività amministrativa nel suo complesso, predisporre
nei documenti di bilancio le risorse necessarie in materia prevenzionistica, nonché di vigilare sulla loro concreta attuazione11. La giurisprudenza ha peraltro distinto tra carenze di tipo strutturale, addebitabili ai vertici dell’amministrazione, e carenze derivanti dall’ordina10
11
Sulla figura del datore di lavoro nelle Pubblica Amministrazione cfr., tra gli altri, A.
GIULIANI, Misure generali di tutela, obblighi del datore di lavoro e valutazione dei
rischi, cit., pp.93 ss.; F. STOLFA, Le definizioni, cit., pp.67 ss.; D. VENTURI, I datori di lavoro pubblici, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e
sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit., pp.265 ss. Per la configurazione dei poteri di gestione, da intendere come comprensivi del potere di
spesa, cfr. Cassazione penale, 7 ottobre 2004, in C. BELTRAMI e altro, in ISL,
2005, p.333, con nota di P. SOPRANI; Cass. pen., 24 giugno 2005, in C. SPINOSA
e altro, in ISL,, 2005, p.523; contra, Cass. pen., 29 maggio 2000, in C. FICHERA,
in ISL, 2000, p.545. Per la prima pronuncia della Corte Suprema nel nuovo quadro
normativo posto dal d.lgs. n.81/2008, cfr. Cass. pen., 17 luglio 2009, in C. COREA
e altro, in ISL, 2009, p.577.
Cfr., anche per riferimenti, A. GIULIANI, cit., pp.94-95.
33
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
rio funzionamento delle attività, imputabili invece ai dirigenti/funzionari designati12. Quando non disponga dei mezzi finanziari il dirigente/funzionario, non potendo acquisire direttamente risorse, ha
comunque l’obbligo di attivarsi per segnalare tempestivamente le
necessità agli organi di vertice, adottando al contempo misure prudenziali, quali la sospensione delle attività a rischio13.
“In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di
vertice medesimo” (art.2, 1°comma, lett. b), 3° periodo, d.lgs.
n.81/2008). La previsione, che recepisce un consolidato orientamento giurisprudenziale14, si configura come norma di chiusura in materia, facendo riemergere la piena responsabilità dell’organo di vertice
che non abbia provveduto alla designazione del datore di lavoro o
nel caso in cui al soggetto designato non siano forniti i mezzi necessari per lo svolgimento delle sue funzioni15.
Nelle Pubbliche Amministrazioni per le quali è previsto un regime
speciale, ai sensi dell’art.3, 2° e 3°comma, d.lgs. n.81/2008, in ragione della peculiarità delle funzioni pubbliche svolte, criteri più specifici di individuazione della figura di datore di lavoro possono essere
determinati dai relativi decreti ministeriali.
34
Cfr. Cass. pen., 31 luglio 1997, in C. MEDULLA e altro, in ISL, 1997, p.639; Cass.
pen., 27 settembre 1997, in C. MORELLI, in ISL, 1997, p.675; Cass. pen., 7 ottobre 2004, in C. BELTRAMI e altro, cit.
13
Cfr., tra le altre, Cass. pen., 12 giugno 2007, in c. Finestra Ajmone, in ISL, 2007, p.691,
con nota di P. SOPRANI; cfr. anche Cass. pen., 2 febbraio 2005, in c. Sasso (direttore
di laboratorio di Università degli studi dichiarato colpevole per aver cagionato lesioni
personali gravi ad un dottorando intento ad una operazione di regolazione manuale
della direzione del raggio laser fuoriuscente da un’apparecchiatura non dotata degli
opportuni accorgimenti in ordine alla sicurezza per il suo utilizzo, e pertanto colpito
all’occhio sinistro da un raggio laser); Cass. pen., 7 giugno 2001, in c. Altamore (per la
condanna di un preside di liceo statale per aver consentito l’utilizzo di un laboratorio di
informatica in violazione della normativa sugli impianti elettrici), entrambe riportate da
R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., pp.65 ss.
14
Cfr., tra le altre, Cass. pen., 17 settembre 2007, in c. Buzzanca, in ISL, 2007, p.718;
Cass. pen., 28 settembre 2007, in c. Lo Turco, in ISL, 2007, p.719.
15
Gli “organi di vertice” sono da individuare sulla base delle disposizioni legislative e
soprattutto statutarie che disciplinano la distribuzione delle competenze fra i vari
organi, con particolare riguardo al conferimento degli incarichi dirigenziali; cfr. in tal
senso F. STOLFA, Le definizioni, cit., p.68. Secondo una parte della dottrina la
scomparsa nel nuovo testo del riferimento agli “organi di direzione politica” comporterebbe che abilitati alla nomina del datore di lavoro sarebbero ora solo gli organi
di vertice amministrativo e non più gli organi politici elettivi; in tal senso D. VENTURI, da ultimo cit., p.267.
12
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
D’altro lato gli obblighi relativi ad interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici
assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi
comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico
dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla
loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli obblighi si intendono
assolti, da parte dei dirigenti o dei funzionari preposti agli uffici interessati, con la semplice richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico16.
Si assiste dunque ad una scissione tra il potere di controllo sulla
sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro, attribuito ai capi ufficio,
ed il potere di intervento e di spesa, spettante invece all’amministrazione destinataria della richiesta, alla quale devono considerarsi trasferite le relative responsabilità17. Ciò non toglie, anche in tal caso,
che nelle situazioni di grave ed immediato pregiudizio per la sicurezza e la salute dei lavoratori e degli utenti, il dirigente/datore di lavoro sia comunque tenuto a porre in essere ogni misura idonea a fronteggiare la situazione pericolosa e potenzialmente dannosa18.
Rilevante aggiunta in materia apportata dal d.lgs. n.106/2009, quale
comma 3 bis, dell’art.18, è la previsione secondo la quale il datore
di lavoro (e i dirigenti), oltre agli obblighi propri, sono tenuti altresì a
vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi posti a carico di altri
soggetti, comunque sottoposti al loro controllo (preposti, lavoratori,
progettisti, fabbricanti e fornitori, installatori, medico competente),
“ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati …
qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile
unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza
del datore di lavoro e dei dirigenti”. La disposizione, che sostituisce
la più criticata (e criticabile) proposta contenuta nello schema originario di decreto correttivo (art.15.bis), con cui si operava un forte
ridimensionamento del ruolo di garanzia, e di connessa responsabilità, del datore di lavoro rispetto alle altre figure aziendali19, pare
16
17
18
19
Cfr. art.18, 3°comma, d.lgs. n.81/2008.
Cfr. Cass. pen., 23 maggio 2001, in c. Cinquia, in ISL,, 2001, p.673, relativa ad
interventi sui locali di lavoro degli uffici giudiziari, di spettanza dell’ente comunale.
Con riguardo agli istituti di istruzione ed educazione cfr. quanto stabilito dall’art.5,
2°comma, d.m. n.382/1998.
Cfr. per rilievi critici C. SMURAGLIA, O. BONARDI, L. MASERA, Note allo schema
di decreto “correttivo e integrativo” del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81: provvedimento
“correttivo” o controriforma ?., in Riv.giur.lav.2009, I, specie pp.375 ss.
35
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
sostanzialmente conforme a quanto indicato dalla giurisprudenza
prevalente, potendo escludersi la corresponsabilità del datore di
lavoro, e del dirigente, in caso di violazione dei precetti di sicurezza
da parte dei soggetti menzionati, solo qualora sia provato il corretto
svolgimento della funzione di vigilanza e nulla possa imputarsi al
datore di lavoro, rimanendo egli pur sempre titolare di una posizione
di “garanzia” nei confronti dei propri collaboratori20.
36
La delega di funzioni e la ripartizione di responsabilità.
Tra le novità di maggior rilievo del d.lgs. n.81/2008 è la previsione,
all’art.16, di un’apposita disciplina in tema di delega di funzioni, che
traspone in termini di diritto positivo larga parte dei principi elaborati nel corso degli anni dalla giurisprudenza21.
Già il d.lgs. n.626/1994, come riformato dal d.lgs. n.242/1996, aveva
contribuito a fare chiarezza al riguardo, individuando un ristretto
nucleo di obblighi primari, non delegabili da parte del datore di lavoro, ammettendo dunque a contrario la delegabilità di ogni diverso
adempimento22.
Il d.lgs. n.81/2008, nel ribadire tale impostazione, introduce tuttavia
per la prima volta nel nostro ordinamento una regolamentazione
specifica dei limiti e delle condizioni con cui è ammessa la delega di
funzioni da parte del datore di lavoro.
Ai sensi dell’art.17, sono qualificati obblighi non delegabili del datore di lavoro: “a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’art.28; b)la designazione del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.
Si tratta in sostanza degli stessi obblighi individuati dall’art.1, comma
4 ter del d.lgs. n.626/1994, con la sola differenza del mancato riferimento all’autocertificazione dell’avvenuta valutazione dei rischi (per
i datori di lavoro che occupano fino a dieci lavoratori, la cui attività
non esponga a rischi particolari). L’eliminazione si giustifica per il
20
21
22
Cfr. sul punto F. BACCHINI, La delega di funzioni e gli obblighi del ddl e dei dirigenti, in ISL,2009, p.492, che si domanda se l’obbligo di vigilanza in questione, al pari
di quello in caso di delega di funzioni, di cui all’art.16, 3°comma, d.lgs. n.81/2008,
non possa ritenersi assolto dall’adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo, di cui all’art.30, 4°comma, inerente i modelli di organizzazione e di
gestione per la salute e sicurezza.
Cfr. per ampi riferimenti R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit,
pp. 70 ss.
Cfr. M. LAI, Flessibilità e sicurezza del lavoro, cit., p.60.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
fatto che anche tali imprese, a partire dal 30 giugno 2012, non
potranno più ricorrere all’autocertificazione. Dal momento che l’autocertificazione, per quanto detto23, viene a sostituire l’obbligo di elaborare il DVR è da ritenere, per il periodo transitorio, che tale potere
autocertificativo non possa essere oggetto di delega24.
L’art.16, 1°comma, prevede che la delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa (art.17), sia ammessa
sulla base di una serie di “limiti e condizioni” di carattere oggettivo
(relative ad aspetti di forma e di contenuto dell’atto di delega) e soggettivo (attinenti alla persona del delegante e del delegato)25.
La delega deve innanzitutto risultare “da atto scritto recante data
certa” (lett. a). Si afferma dunque il requisito della forma scritta quale
elemento essenziale (ad substantiam) dell’atto di delega26. Pur se il
legislatore non vi fa esplicito riferimento è da ritenere che nell’atto
scritto di delega debbano essere specificati anche i compiti assegnati al soggetto delegato27.
Il criterio della forma scritta va peraltro esaminato in raccordo con
l’ulteriore requisito della “adeguata e tempestiva pubblicità” della
delega (art.16, 2°comma), essendo entrambi finalizzati a soddisfare
le esigenze di certezza e di effettività delle situazioni giuridiche. In
riferimento alla tipologia dell’atto scritto, secondo l’insegnamento
della Cassazione, carattere di pubblicità non può essere riconosciuto alla mera scrittura privata o ad atti interni (quali deliberazioni del
consiglio di amministrazione, previsioni statutarie, specifiche clausole inserite nei contratti con singoli dirigenti), ritenendo più idoneo a
tale scopo l’atto notarile ovvero l’atto sottoscritto davanti ad un pub23
24
25
26
27
Cfr. supra
Cfr. in tal senso A. RUSSO, Delega di funzioni e obblighi del datore di lavoro non
delegabili, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e sicurezza
sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit., p.349.
Cfr. A. GIULIANI, cit., p.124.
Un diverso orientamento giurisprudenziale si limitava a rilevare l’esigenza che la
delega fosse espressa con certezza, con possibilità di provarne la sussistenza
anche in assenza di atto scritto; cfr. Cass. pen. n.32014/2007; Si è rilevata l’incongruenza del disposto normativo laddove si prevede la necessaria indicazione della
data certa esclusivamente nell’atto di conferimento della delega e non, più propriamente, ai fini della individuazione delle responsabilità penali, al momento dell’accettazione da parte del delegato salvo la contestualità di quest’ultima con la “proposta” di delega, cfr. A. RUSSO, Delega di funzioni e obblighi del datore di lavoro
non delegabili, cit., p.339.
Cfr. in tal senso A. RUSSO, cit., p.340.
37
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
38
blico ufficiale28. Ciò non toglie che il requisito della pubblicità, oltre
che nei più rigorosi termini indicati, possa essere espresso anche
come pubblicità interna all’azienda, secondo le modalità ritenute più
opportune (affissione in bacheca, circolari interne), al fine di far
conoscere l’atto di delega a tutti i dipendenti29.
Il delegato deve inoltre possedere “ tutti i requisiti di professionalità ed
esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate” (lett. b).
La previsione non è altro che la traduzione sul piano legislativo del principio di culpa in eligendo a carico del datore di lavoro delegante, da
tempo affermato dalla giurisprudenza. L’idoneità tecnico- professionale
più che su qualifiche astratte, quali il possesso di un determinato titolo di
studio, andrà accertata sulla base delle competenze acquisite dal soggetto delegato nell’esercizio di attività analoghe a quelle assegnate30.
Il delegato deve poi disporre di “tutti i poteri di organizzazione,
gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni
delegate” (lett. c). Tale indicazione va rapportata con il requisito soggettivo di cui alla lettera precedente. Non è dunque sufficiente che il
delegato sia in possesso di determinate competenze professionali,
ma a queste deve sommarsi, attraverso l’atto di delega, una capacità/potestà organizzativa e gestionale: “la mera competenza professionale è –infatti- una dote inutile, se non accompagnata dalla possibilità concreta di formare e verificare l’operato dei dipendenti”31.
Al delegato deve essere inoltre attribuita “l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate” (lett. d). Il requisito dell’autonomia finanziaria, strettamente connesso a quello della capacità
gestionale ed organizzativa, è quello a cui la giurisprudenza ha assegnato valore centrale. La delega non avrà dunque alcun effetto liberatorio per il datore di lavoro delegante, se il soggetto delegato, pur munito
di ampi poteri, non disponga dei corrispondenti mezzi finanziari idonei
a far fronte in piena autonomia alle esigenze in materia di prevenzione
degli infortuni32. È d’altro lato ammissibile che possa essere fissato un
Cfr. Cass. pen.,12 luglio 2001, in c. Bertoli, in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit, p.92.
29
Cfr. in tal senso A. GIULIANI, cit., p.130.
30
Cfr. in tal senso A. GIULIANI, cit., p.126, anche per riferimenti.
31
Cfr. Cass. pen., 11 aprile 2008, in c. Leonardi, in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico
Sicurezza sul Lavoro, cit, p.82.
32
Cfr. Cass. pen., 4 luglio 2008, in c. Becagli e R.C.; Cass. pen. 20 febbraio 2008, in c.
Santi e altro, in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., pp.77 ss.
28
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
tetto massimo di spesa, da rapportare alle azioni da intraprendere.
La delega infine deve essere “accettato dal delegato per iscritto”
(lett. e). È dunque necessaria una manifestazione esplicita di volontà del destinatario della delega perché questa possa produrre effetti. L’accettazione libera e volontaria del delegato, quale requisito dell’atto di delega, è principio riconosciuto dalla giurisprudenza33, anche
se non sottoposto a particolari vincoli di forma (come ora invece nel
testo di legge). Tale criterio, che distingue la delega dal conferimento d’incarico34, implica d’altro lato la possibilità di una rinuncia ai
poteri conferiti da parte del delegato. L’atto dismissorio tuttavia, in
base al principio di effettività, non avrà effetti liberatori fino a quando
siano in concreto mantenute le funzioni delegate35.
L’art.16, 3°comma, primo periodo, stabilisce poi che “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”. Il datore di lavoro in quanto primo, anche se non esclusivo, titolare
di una posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro,
nel caso abbia validamente delegato ad altri l’osservanza delle norme
di prevenzione è tenuto comunque a vigilare e controllare che tali
norme vengano praticate e fatte osservare da delegato. Né il datore di
lavoro può utilmente scagionarsi assumendo di non essere a conoscenza della mancata adozione dei presidi antinfortunistici, dovendo
egli di propria iniziativa attivarsi al riguardo, a prescindere da sollecitazioni altrui36. Il tema della responsabilità del datore di lavoro, per mancata vigilanza, in caso di prassi di lavoro non corrette è stato di frequente
oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza più recente37.
L’obbligo di vigilanza va d’altro lato contemperato con il divieto di
ingerenza nella sfera del delegato che, per quanto detto, farebbe
Cfr. Cass. pen., 21 dicembre 2006, in c. Lestingi e altro, in ISL, 2007, p.277; secondo parte della dottrina l’accettazione scritta renderebbe la delega un negozio bilaterale e non un mero atto unilaterale recettizio, cfr. F. BACCHINI, Misure di tutela e
obblighi, in ISL, 2008, p.257.
34
Cfr. infra
35
Cfr. Cass. pen.,16 aprile 2002, in c. Parisi e altro, in R. GUARINIELLO, Il Testo
Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., p.91.
36
Cfr., tra le altre, Cass. pen., 26 maggio 2004, in c. Niboli; Cass. pen., 21 giugno 2006,
in c. Dameno, in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., pp.85-86.
37
Cfr. Cass. pen., 18 dicembre 1989, in c. Raho e altro, in R. GUARINIELLO, Il Testo
Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., p.85 e ivi per riferimenti; cfr.,tra le ultime, Cass.
pen., 23 ottobre 2008, n.39888, in DPL, 2009, p.356, annotata da A. TAMPIERI.
33
39
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
40
venir meno l’efficacia stessa della delega. È da osservare che il
dovere di vigilanza del datore di lavoro circa il corretto espletamento delle funzioni trasferite va ad aggiungersi a quello che a lui compete, più in generale, sull’operato dei propri collaboratori38. Con la
delega infatti il datore di lavoro attribuisce al delegato la propria
quota di esposizione alla responsabilità, nei limiti ed alle condizioni
stabilite, mentre il generale potere di controllo riguarda compiti (e
responsabilità) che sono già proprie, a titolo originario, del dirigente
e del preposto39.
Ancor più chiaramente del testo originario l’art.16, 3°comma, secondo periodo, del d.lgs. n.81/2008, come modificato dal d.lgs.
n.106/2009, prevede che l’obbligo di vigilanza in capo al datore di
lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle
funzioni trasferite “si intende assolto in caso di adozione ed efficace
attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’art.30,
4°comma”. La previsione, che introduce una presunzione legale
(relativa)40 circa il rispetto dell’obbligo di vigilanza, appare discutibile
dal momento che nei modelli di organizzazione e gestione il sistema
di controllo risponde a finalità diverse (a controllare appunto che tale
modello funzioni e sia mantenuto nel tempo, e non invece in merito
alla corretta esecuzione delle misure antinfortunistiche) ed è in
genere affidato ad un organismo terzo, con carattere di indipendenza dal datore di lavoro. Si confonde dunque il piano del funzionamento organizzativo con quello della responsabilità penale41.
38
39
40
41
Cfr. per il datore di lavoro e i dirigenti quanto stabilito dall’art.18, comma 3.bis introdotto dal d.lgs. n.106/2009.
Cfr. al riguardo P. SOPRANI, La delega di funzioni, in DPL, 2009, pp.2205 ss.
Che ammette dunque prova contraria.
Si è osservato criticamente come “con questa modifica, la responsabilità del datore di lavoro viene modellata su quella della persona giuridica, nel senso che l’adozione e l’efficace attuazione di uno di quei modelli di verifica e controllo, che, ex
art.6, d.lgs. n.231/01, fanno venir meno la responsabilità penale-amministrativa dell’ente, comporta altresì l’automatica esenzione da responsabilità dell’imprenditorepersona fisica … Da strumento per ampliare gli strumenti di reazione a disposizione dell’ordinamento, il sistema del d.lgs. n.231 diventerebbe così lo schermo dietro
cui il datore di lavoro potrebbe “nascondersi”, evitando di assumere le responsabilità derivanti dalle proprie personali condotte: anche in questo caso un risultato davvero contrario ai principi, e ispirato a una logica di generalizzata de-responsabilizzazione dei vertici aziendali in materia di sicurezza”;in tal senso C. SMURAGLIA,
O. BONARDI, L. MASERA, Note sullo schema di decreto “correttivo e integrativo”
del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81: provvedimento “correttivo” o controriforma ?, cit.,
pp.380-381.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Che l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza non garantisca la certezza del
rispetto delle norme di prevenzione lo si ricava peraltro dallo stesso disposto normativo laddove si impone “il riesame e l’eventuale
modifica del modello organizzativo … quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli
infortuni e all’igiene sul lavoro …”(art.30, 4°comma, secondo
periodo)42.
Controversa novità da ultimo introdotta è quella relativa alla subdelega di funzioni. L’art.16, comma 3 bis, aggiunto dal d.lgs.
n.106/2009, consente infatti al soggetto delegato di poter, a sua
volta, “delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza
sul lavoro..”. Tale previsione, seppur disposta previa intesa con il
datore di lavoro e limitata ad un solo livello di sub-delega, complica
il quadro di accertamento delle responsabilità ai diversi livelli e si
pone in contrasto con l’orientamento prevalente della dottrina nonché con quanto affermato dalla rara giurisprudenza (in base alla
massima delegatus non potest delegare)43.
La sub-delega potrà in ogni caso avvenire solo per “specifiche
funzioni”, non potendosi ammettere per vie generali; d’altro lato
“non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine
al corretto espletamento delle funzioni trasferite”. È da escludere che l’obbligo di vigilanza, anche nell’ipotesi di sub-delega,
possa ritenersi assolto in caso di adozione e di efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione per la sicurezza,
stante anche il mancato richiamo al comma 3, dell’art.1644. Più in
generale è assai discutibile che si possa operare una sorta di
“delega a cascata”, attribuendo al preposto compiti così ampi
42
43
44
Cfr. al riguardo F. BACCHINI, La delega di funzioni e gli obblighi del DDL e dei dirigenti, in ISL, 2009, p.486, secondo il quale il modello di verifica e controllo previsto
dall’art.30, comma 4, d.lgs. n.81/2008 sarebbe “qualcosa di specificatamente diverso dalla vigilanza di cui all’art.6, comma 1, lett. b), del D.lgs. n.231/2001”
Cfr., tra le ultime, Cass. pen., 29 dicembre 2008,n.48313, in ISL, 2009, pp.441 ss,
con nota di P. SOPRANI, secondo il quale (p.445) “l’istituto della subdelega non ha
uno spazio operativo autonomo, giacché questo spazio è interamente coperto dall’organigramma di sicurezza, che si pone quale strumento maggiormente dinamico
e flessibile, concezione moderna rispetto alla sequela di deleghe “a cascata”, e più
aderente agli statuti mansionali (giuslavoristicamente intesi) dei vari soggetti che
compongono l’organizzazione aziendale”.
In senso contrario F. BACCHINI,La delega di funzioni e gli obblighi del DDL e dei
dirigenti, cit., p.489.
41
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
42
che sono propri del datore di lavoro, senza finire per snaturane
la figura.
In via conclusiva rispetto al modello operativo esaminato, basato su
un limitato numero di obblighi prioritari non delegabili da parte del
datore di lavoro e per il resto su un generale ricorso allo strumento
della delega, paiono opportune ulteriori considerazioni.
Innanzitutto è da ritenere che il datore di lavoro possa comunque
affidare la materiale esecuzione degli adempimenti posti a suo
esclusivo carico, specie se di natura tecnica, quali la valutazione dei
rischi, a persone di sua fiducia, fermo restando che egli rimane l’unico soggetto responsabile al riguardo.
In secondo luogo, come si è visto, non si può parlare di delega di
funzioni nei casi in cui l’assegnazione di compiti, e delle connesse
responsabilità, sia legislativamente posta in capo a determinati soggetti (dirigenti, preposti), configurandosi tali ipotesi come reati propri,
che sussistono a prescindere dalla delega45.
È da rilevare che con la delega non si opera un integrale trasferimento della posizione obbligatoria, restando comunque a carico del soggetto delegante gli obblighi riconducibili alla culpa in eligendo e alla
culpa in vigilando, nonché quelle competenze legate da un vincolo
inscindibile con la qualità di datore di lavoro46.
Si è infine osservato come nel quadro delineato dall’art.16, d.lgs.
n.81/2008 la delega di funzioni da parte del datore di lavoro non
appaia più necessariamente esclusa nelle aziende di minori dimensioni, in linea del resto con l’indirizzo prevalente della Cassazione
(sulla base, tra l’altro,del richiamo all’art.1,comma 4-ter, d.lgs.
n.626/1994)47.
Cfr., tra le altre, Cass. pen.,30 gennaio 2001, in c. Colizzi e altri, in ISL,, 2001, p.158
per la corresponsabilità del proposto (oltre che del direttore di stabilimento) in un
caso di infortunio mortale subito nel piazzale di uno stabilimento da un operaio
dipendente urtato dalla parte posteriore di un semirimorchio in manovra di retromarcia, e Cass. pen.5 luglio 2001, in c. Palmerini, in ISL, 2001, p.440. Cfr., più di
recente Cass. pen., 8 febbraio 2008, in c. Oberrauch e altro, in ISL, 2008, p.226;
Cass. pen., 20 dicembre 2007, in c. Lospinuso, in ISL, 2009, p.85, con nota di P.
SOPRANI.
46
Così F. BASENGHI, cit.; cfr. più ampiamente sul punto P. SOPRANI, Sicurezza e
prevenzione nei luoghi di lavoro, cit., pp.50 ss.
47
In tal senso cfr. Cass. pen., 26 maggio 2003, in c. Conci, in ISL, 2003, p.650;
Cass. pen., 15 luglio 2005, n.26122, in ISL, 2006, pp.329 con nota di P.
SOPRANI.
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
I dirigenti e i preposti
Se il datore di lavoro è il principale garante della sicurezza, ciò non
toglie che, in base alle regole di organizzazione interna ed ai poteri
in concreto esercitati, anche gli altri soggetti della c.d. line aziendale, i dirigenti ed i preposti, siano responsabili di quote del debito di
sicurezza.
Con il d.lgs. n.81/2008 per la prima volta si interviene a definire tali
figure, riprendendo le indicazioni da tempo fornite dalla giurisprudenza48.
Ai sensi della lett. d), dell’art.2, 1°comma, d.lgs. n.81/2008 il dirigente per la sicurezza è qualificato come la “persona che, in ragione
delle competenze professionali e di poteri gerarchici adeguati alla
natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro
organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”.
Compete dunque al dirigente attuare le direttive del datore di lavoro
mediante l’esercizio di un potere organizzativo, comprensivo di
un’effettiva capacità di spesa e di un potere di controllo sull’attività
lavorativa, o su una articolazione della stessa, rimanendo in capo
del datore di lavoro le responsabilità inerenti alle scelte gestionali di
carattere generale. Il dirigente dunque, nell’ambito del suo elevato
ruolo nell’organizzazione delle attività, è tenuto a cooperare con il
datore di lavoro nell’assicurare l’osservanza della disciplina legale in
materia. I confini della sua azione sono determinati “dall’incarico
conferitogli”, in relazione al quale sono individuati i poteri gerarchici
e funzionali, in ragione delle competenze professionali49.
Così come osservato per la nozione di datore di lavoro si realizza
anche in tal caso una dissociazione tra la figura del dirigente ai fini
prevenzionistici e quella di derivazione più propriamente lavoristica,
di cui all’art.2095 c.c.
Più problematica era risultata l’identificazione della figura dei prepo48
49
Sulla responsabilità del dirigente nell’ambito del d.lgs. n.626/1994, cfr., tra le altre,
Cass. pen., 20 maggio 2003, in c. Lazzareschi, in ISL, p.471; sulle responsabilità
dei preposti cfr. Cass. pen., 21 aprile 2006, in c. Lena, in R. GUARINIELLO, Il Testo
Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., p.131; tra le ultime, Cass. 15 dicembre 2008,
n.29323, in ISL, 2009, pp.269 ss., con commento di P. SOPRANI. Al riguardo
cfr.,anche per riferimenti, A. GIULIANI, Dirigenti, preposti e delega di funzioni,cit.,
pp.115 ss..
Acquisite anche sulla base di specifici percorsi formativi e di aggiornamento, a cui
è ora tenuto nei suoi confronti il datore di lavoro”; cfr. art.37, 7°comma, come modificato dal d.lgs. n.106/2009.
43
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
44
sti ai fini degli adempimenti in materia di sicurezza, dal momento che
per essi veniva meno la possibilità di rifarsi ad un’analoga definizione di origine legale o contrattuale di carattere generale. La dottrina
e la giurisprudenza formatesi sulla legislazione prevenzionistica
degli anni ‘50, seguendo un profilo funzionale, avevano per lo più
identificato il preposto nel “ soggetto che ha funzioni sia di supervisione del lav
L’individuazione dei compiti e delle responsabilità del preposto si
desumeva peraltro dalle sanzioni poste a suo carico50.
La lett. e), dell’art.2, 1°comma, d.lgs. n.81/2008, dando attuazione al
criterio di delega di cui all’art.1, 2°comma, lett. f), l. n.123/2007, con
formulazione riepilogativa degli indirizzi giurisprudenziali, identifica il
preposto nella “ persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura
dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta
esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale
potere di iniziativa”.
La norma ribadisce dunque quale tratto distintivo del preposto quello di sovrintendere all’attuazione della normativa antinfortunistica.
Ricade sul preposto un dovere di “vigilanza oggettiva” circa la concreta attuazione delle misure di prevenzione e protezione decise dal
datore di lavoro e dai dirigenti, nonché un dovere di “vigilanza soggettiva”, di pretenderne la specifica osservanza da parte dei lavoratori interessati51. Nondimeno grava sul preposto “un funzionale potere di iniziativa”, pur sempre limitato agli aspetti esecutivi della attività lavorativa. Ciò fa dubitare della possibilità di delegare (o subdelegare) al preposto, se non snaturandone la figura, attribuzioni proprie
del datore di lavoro o del dirigente52.
Tra gli obblighi del preposto, elencati nell’art.19, merita segnalare
quello di informare il diretto superiore gerarchico dei casi di persistente inosservanza delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori (lett. a), ultimo periodo), al fine presumibilmente dell’esercizio del
potere disciplinare, nonché quello di frequentare gli appositi corsi di
formazione e aggiornamento secondo quanto previsto dall’art.37,
50
51
52
Cfr. art.90, d.lgs. n.626/1994.
Cfr. P. SOPRANI, nota a Cass. n.29323/2008, cit., p.272.
In tal senso G. NICOLINI, Disposizioni generali: nuove definizioni e allargamento
del campo di applicazione, in ISL, 2008, p.245.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
7°comma (lett. g), presupposto per l’attribuzione delle correlate
responsabilità53.
Il riferimento ai fini della qualifica sia di dirigente54 che di preposto al
conferimento di uno specifico “incarico” implica un’investitura formale da parte dei vertici aziendali55. Il legislatore opportunamente opta
per una maggiore formalizzazione di tali figure, in modo che sia chiaramente definito il c.d. “organigramma di sicurezza”, sì da prevederlo quale elemento obbligatorio da riportare nel DVR (art.28,
2°comma, lett. d)56. Si è d’altro lato sottolineato come il riparto di attribuzioni e competenze desumibili dall’organigramma di sicurezza
non sia di per sé idoneo “a “costituire” le posizioni di garanzia prevenzionistica delle figure dirigenziali e dei preposti, ma –più limitatamente- le “individua” con attività meramente ricognitiva dell’assetto
organizzativo aziendale”57. Determinante risulterà infatti in ogni caso,
ai fini della individuazione dei soggetti penalmente responsabili in
caso di infortunio, il criterio di effettività, espressamente affermato
nell’art.299, d.lgs. n.81/200858, indipendentemente e finanche oltre il
mero dato formale della qualifica posseduta; dovendo dunque sussistere una necessaria corrispondenza tra “qualifica” e “poteri” attribuiti e di fatto esercitati59.
Va peraltro distinto tra conferimento di incarico e delega di funzioni. L’attribuzione di incarico è una decisione presa “a monte” dai
vertici aziendali e rivolta in forma diretta all’interessato. Riguarda
figure, quali prevalentemente il dirigente ed il preposto, definite
per legge, a cui corrisponde un’assunzione di responsabilità a tito53
54
55
56
57
58
59
Le sanzioni per il preposto sono contemplate nell’art.56.
Cfr. anche l’art.18, 1°comma, alinea, d.lgs. n.81/2008, secondo cui i dirigenti “organizzano e dirigono le stesse attività (del datore di lavoro) secondo le attribuzioni e
competenze ad essi conferite”.
Non necessariamente da parte del “datore di lavoro” prevenzionistico, potendo
derivare anche tale qualifica da un atto di nomina dei vertici aziendali.
La cui mancanza è penalmente sanzionata a carico del datore di lavoro (art.55,
3°comma).
Cfr. P. SOPRANI, nota a Cass. pen., 20 dicembre 2007, in c. Lospinuso, cit, p.90.
Cfr. al riguardo M. BELLINA, Esercizio “di fatto” di poteri direttivi e responsabilità
penale, in DPL, 2009, pp.426 ss., il quale configura l’art.299, d.lgs. n.81/2008 come
“norma di chiusura destinata, con tutta probabilità, ad assumere un significato più
pregnante ai fini della ricostruzione del sistema, piuttosto che ai fini della concreta
disciplina dei criteri di imputazione della responsabilità per violazioni della normativa prevenzionistica”.
Cfr. P. SOPRANI, cit., p.90.
45
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
lo originario (iure proprio); la delega di funzioni costituisce invece
un meccanismo di assunzione di responsabilità in capo al soggetto delegato a titolo derivato (non operando del resto un totale trasferimento della posizione obbligatoria del “datore di lavoro” delegante)60.
La predisposizione di un adeguato organigramma di sicurezza, ed il
suo corretto funzionamento, finisce d’altro lato per rendere secondario l’uso della delega di funzioni quale strumento operativo di organizzazione del lavoro61.
46
Lavori in appalto e contratti d’opera
Il settore degli appalti e dei subappalti è da tempo segnalato tra
quelli maggiormente esposti a pericolo e fonte di gravi incidenti.
D’altro lato i modelli di organizzazione di impresa sembrano decisamente orientati al decentramento produttivo ed alle esternalizzazioni. Non sono infatti infrequenti forme di “esternalizzazione
interna”, mediante le quali si cedono a terzi parti del processo
produttivo, che poi si riacquistano tramite appalti, talora con utilizzo delle stesse attrezzature e capitale umano impiegato in precedenza62.
Il d.lgs. n.81/2008 prevede un più penetrante coinvolgimento del
datore di lavoro committente nell’attività di prevenzione a favore,
oltre che dei propri dipendenti, dei lavoratori autonomi (contratto
d’opera) e dei dipendenti delle imprese appaltatrici63.
La legislazione precedente al d.lgs. n.626/1994 richiedeva soprattutto al committente pubblico una maggiore attenzione alle problematiPer la distinzione tra delega di funzioni e attribuzione d’incarico cfr., in particolare,
Cass. pen., 9 marzo 2007, n.10109, in ISL, 2008, p.188.
61
Cfr. in tal senso P. SOPRANI, da ultimo cit., p.91 (che richiama Cass. pen., 2 ottobre 2003, n.37470).
62
Cfr. in particolare R DE LUCA TAMAJO, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, in Riv.it.dir.lav., 2007, I, pp.4
ss; A. PERULLI, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva
comparata: problemi e prospettive, in Riv.it.dir.lav., 2007, I, pp.29 ss.
63
Cfr. per riferimenti J. TSCHOLL, Committenti e appaltatori, in M. TIRABOSCHI L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo
(d.lgs. n.106/2009), cit., pp.295 ss; V. PASQUARELLA, La responsabilità nel
sistema degli appalti, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le
nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, cit., pp.297 ss.; per la giurisprudenza cfr. R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit.,
pp.167 ss.
60
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
che attinenti la sicurezza, anche se obblighi e responsabilità ricadevano principalmente sulle imprese appaltatrici64.
Il committente privato, fermo restando il rispetto nei confronti dei
lavoratori autonomi, tra i quali si erano fatti rientrare anche gli appaltatori65, degli obblighi di cui all’art.5, d.p.r. n.547/195566, poteva invece considerarsi sostanzialmente estraneo ai compiti e alle responsabilità connesse alla sicurezza sul lavoro nella realizzazione dell’appalto.
Ciò in base ai principi stessi che disciplinano il contratto di appalto
nel nostro ordinamento67. Da tempo peraltro la giurisprudenza, specie di Cassazione, aveva riconosciuto in numerose ipotesi la responsabilità, esclusiva o concorrente, del committente: là dove ad esempio il committente avesse omesso di controllare con oculatezza che
l’appaltatore possedesse le capacità tecniche e le attrezzature
necessarie per portare a compimento l’incarico affidatogli (culpa in
eligendo); qualora si fosse ingerito nell’esecuzione dei lavori; là dove
avesse commissionato o consentito l’inizio dei lavori pur in presenza
di situazioni pericolose68.
Ci si riferisce in particolare all’art.18, 8°comma, della l. 19 marzo 1990, n.55 (c.d.
legge antimafia) che in materia di opere pubbliche stabilisce a carico delle imprese esecutrici l’obbligo di predisporre, prima dell’inizio dei lavori, “il piano delle misure per la sicurezza fisica dei lavoratori”, piano che deve essere messo a disposizione degli organi di vigilanza. Tali disposizioni sono richiamate nelle successive regolamentazioni concernenti gli appalti pubblici.
65
Cfr., tra le altre, Cass. pen. n.1992/1994 e Cass. pen. n.3497/1994.
66
Questi riguardavano l’obbligo del datore di lavoro,dei dirigenti e dei preposti di rendere edotti i lavoratori autonomi dei rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro in cui
erano chiamati ad operare e di munire dei dispositivi di sicurezza le macchine o
attrezzi di proprietà del datore di lavoro concessi in uso per l’esecuzione dei lavori.
67
L’appalto è infatti “il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei
mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un
servizio verso un corrispettivo in denaro” (art.1655 c.c.). La disciplina dell’appalto è
stata peraltro oggetto di significative innovazioni contenute principalmente nell’art.29, d.lgs. n.276/2003, e successive modifiche ed integrazioni, attuativo della
c.d. “legge Biagi” (n.30/2003). Particolare rilievo ha il regime di responsabilità solidale del committente, imprenditore o datore di lavoro, in tema di corresponsione dei
trattamenti retributivi e contributivi dovuti ai lavoratori impiegati (entro il limite di due
anni dalla cessazione dell’appalto), responsabilità ora estesa, come vedremo,
anche in materia di sicurezza del lavoro.
68
Per la responsabilità del committente nei lavori in appalto, cfr. Cass. pen., 20
novembre 1996, in causa Russo e Cass. pen., 11 novembre 1996, in causa Stirpe,
entrambe in ISL, 1997, p.143; più in generale F. FOCARETA, Responsabilità in
materia di sicurezza sul lavoro negli appalti, in Q.D.L.R.I., 1993, pp.139 ss.
64
47
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
La disciplina posta dall’art.26, d.lgs. n.81/2008,come modificata dal
d.lgs. n.106/2009, estende di gran lunga la responsabilità del datore
di lavoro committente.
Le novità rispetto all’art.7, d.lgs. n.626/1994, pur significative, non
sono del tutto originali, essendo state in buona parte introdotte dalla
l. Finanziaria 2007 (art.1, comma 910, l. n.296/2006) e dalle norme
immediatamente precettive della l. n.123/2007 (art.3, 1°comma, lett.
a) e b) e art.6)69, nell’ambito della più ampia politica di contrasto del
lavoro sommerso ed irregolare70. Anche in tema di appalti pubblici la
disciplina base, contenuta nel d.lgs. n.163/200671, è stata oggetto, a
breve distanza di tempo, di successive modifiche nel segno di un
maggior rigore72.
Per quanto riguarda la tutela prevenzionistica negli appalti con
l’art.26, d.lgs. n.81/2008, come integrato e corretto dal d.lgs.
n.106/2009, si viene finalmente a disporre di una disciplina legislativa compiuta, di attuazione delle specifiche previsioni in materia
poste dalla legge delega (art.1, 2°comma, lett. s), l. n.123/2007)73,
Cfr. F. BACCHINI, Le tutele lavoristico - antinfortunistiche negli appalti “d’impresa”
ed endoaziendali. Commento all’art.3, comma 1, lett. a),b), in F. BACCHINI (a cura
di), Commentario alla sicurezza del lavoro, Milano, 2008, pp.67 ss.. Gli artt. 3 e 6,
della l. n.123/2007 sono espressamente abrogati dall’art.304, 1°comma, lett. c),
d.lgs. n.81/2008.
70
Iniziata con il dl.l. n.223/2006 (c.d. “decreto Bersani”); cfr. V. PASQUARELLA,cit.,
pp.297ss.; P. SOPRANI, Il sistema degli appalti tra Testo Unico e decreto correttivo,
in ISL, 2009, p.478.
71
Cfr. in particolare P. SOPRANI, Nuovo codice degli appalti e sicurezza del lavoro,
in ISL, inserto n.9/2006.
72
Cfr. art.1, comma 909, l. n.296/2006 – l. Finanziaria 2007 – e art.8, l. n.123/2007,
di modifica dell’art.86, comma 3 bis, d.lgs. n.163/2006; cfr. A. ODDO, La congruità
69
48
dei costi del lavoro e della sicurezza nei lavori, nei servizi e nelle forniture pubbliche. Commento all’art.8, in F. BACCHINI (a cura di), Commentario alla sicurezza
del lavoro, cit. pp.213 ss.
73
Ai sensi del criterio di delega contenuto nell’art.1, 2°comma, lett. s), l. n.123/2007,
si dispone la “revisione della normativa in materia di appalti prevedendo misure
dirette a:
1) migliorare l’efficacia della responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore e
il coordinamento degli interventi di prevenzione dei rischi, con particolare riferimento ai subappalti, anche attraverso l’adozione di meccanismi che consentano di valutare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese pubbliche e private, considerando il rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di
lavoro quale elemento vincolante per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a
carico della finanza pubblica;
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
non mancando peraltro richiami alla normativa lavoristica e rinvii alla
regolazione pattizia74.
È da precisare che i contratti di appalto che diano luogo a lavoro edili
o di ingegneria civile sono specificatamente regolati dal Titolo IV, del
d.lgs. n.81/2008.
Una prima novità della riforma, rispetto all’art.7, d.lgs. n.626/1994,
concerne il campo di applicazione. Ai sensi dell’art.26, 1°comma, alinea, gli obblighi di collaborazione prevenzionale a carico del datore
di lavoro committente scattano “in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della
stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda
medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in
cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo”. Recependo la modifica già operata dalla l. Finanziaria 2007 (art.1, comma
910) si mette dunque in rilievo la responsabilità del datore di lavoro
committente non solo, come nel testo originario dell’art.7, d.lgs.
n.626/1994, in riferimento agli “appalti interni”, bensì a tutta la catena dell’appalto e del subappalto, anche sul versante “esterno”,
dovendosi intendere in tal senso il riferimento “all’intero ciclo produttivo”. Si dà pertanto rilievo al profilo funzionale più che topologico
dell’appalto, venendo ad interessare tutte quelle lavorazioni che
risultino necessarie all’organizzazione produttiva del committente, a
prescindere dalla collocazione fisica delle stesse (con esclusione di
quelle semplicemente preparatorie o complementari dell’attività produttiva in senso stretto)75. Le correzioni apportate dal d.lgs.
n.106/2009 individuano ancor meglio il campo di applicazione della
2) modificare il sistema di assegnazione degli appalti pubblici al massimo ribasso,
al fine di garantire che l’assegnazione non determini la diminuzione del livello di
tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori;
3) modificare la disciplina del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture, di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n.163, prevedendo che i costi relativi alla
sicurezza debbano essere specificatamente indicati nei bandi di gara e risultare
congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, servizi o delle forniture
oggetto di appalto”.
74
Cfr. rispettivamente i commi 4 nonché 5 e 6, dell’art.26.
75
Cfr. al riguardo circ. Min. lavoro 14 novembre 2007, n.24; anche per riferimenti V.
PASQUARELLA, cit., p.298. Sull’obbligo di sicurezza in caso di esternalizzazioni
merita segnalare Cass.,7 gennaio 2009, n.45, in Riv.giur.lav., 2009, II, p.342, con
nota di S. VARVA, secondo la quale “ove lavoratori dipendenti da più imprese siano
presenti sul medesimo teatro lavorativo, i cui rischi lavorativi interferiscano con
49
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
50
normativa: da un lato aggiungendo all’ipotesi di affidamento di “lavori” quella di “servizi e forniture”, dall’altro precisando che debbono
escludersi le attività che, pur rientrando nel ciclo produttivo aziendale, si svolgano in luoghi sottratti alla disponibilità giuridica del committente, la qual cosa impedirebbe l’assolvimento degli obblighi di
legge76.
Ai sensi del 1° comma, dell’art.26, il datore di lavoro committente ha
innanzitutto l’obbligo di verificare “con le modalità previste dal decreto di cui all’art.6, 8°comma, lett. g), l’idoneità tecnico professionale
delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai
lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione …”(lett. a) e di fornire agli stessi
soggetti “dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione
e di emergenza adottate in relazione alla propria attività”(lett. b).
Il primo obbligo menzionato non è altro che uno sviluppo del principio
della c.d. culpa in eligendo, propria del datore di lavoro. Rispetto alla
generica formulazione utilizzata dall’art.7, d.lgs. n.626/1994, che
lasciava al datore di lavoro committente una certa discrezionalità al
riguardo, si prevede ora, in attuazione del menzionato criterio di delega, di affidare la selezione delle imprese appaltatrici e dei lavoratori
autonomi ad un sistema di qualificazione, da determinare tramite
decreto, sulla base dei criteri individuati dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro, istituita presso
l’opera o con il risultato dell’opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l’ambiente di lavoro … sicché ciascun datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell’art.2087 cod.civ., a informarsi dei rischi derivanti dall’opera o dal risultato dell’opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo, e dare le conseguenti informazioni e istruzioni ai propri dipendenti”. Ai fini
delle responsabilità rileva dunque il dato oggettivo di una pluralità di lavoratori chiamati ad operare nel medesimo “teatro” lavorativo e non i rapporti giuridici che intercorrono tra i diversi datori di lavoro. Sull’evoluzione della normativa in materia cfr.
D. IZZI, La tutela del lavoro negli appalti, in Lavoro e Diritto, 2008, pp.439 ss.
76
Tale indicazione era già contenuta nella circ. n.24/2007, con riferimento tuttavia ai
“locali” e non ai “luoghi di lavoro”.Si è osservato come improprio e riduttivo sia il
richiamo alla “disponibilità giuridica”, rilevando ai fini delle responsabilità la “disponibilità materiale” del luogo di lavoro; “disponibilità che deve necessariamente
estrinsecarsi nell’esercizio di un effettivo potere gestionale, indipendentemente dall’esistenza di un titolo giuridico corrispondente”; cfr. in tal senso P. SOPRANI, Il
sistema degli appalti tra Testo Unico e decreto correttivo, cit. p.481. Sulla problematica degli appalti c.d. extraziendali cfr. Cass. pen., 12 ottobre 2007, in c. Capezzoli,
in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit.,p.167.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
il Ministero del lavoro77. In attesa del decreto tale verifica dovrà essere effettuata dal datore di lavoro committente, mediante l’acquisizione di due documenti: il certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato; un’autocertificazione del possesso dei
requisiti di idoneità tecnico professionale. La previsione è dunque
volta a valorizzare le imprese tecnicamente e socialmente affidabili.
Il possesso di informazioni “dettagliate” sui rischi specifici esistenti
nell’ambiente di lavoro e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate (ad esempio sui cicli lavorativi, le macchine ed impianti,
le sostanze ed i preparati pericolosi, nonché circa la presenza o
meno dei lavoratori del committente durante l’esecuzione dei lavori)
dovrebbe peraltro consentire ai lavoratori autonomi o ai dipendenti
delle imprese appaltatrici, a loro volta appropriatamente informati, di
operare con la necessaria prudenza in un ambiente che non è conosciuto78. La naturale collocazione di tale documentazione può essere il capitolato di appalto, documento che contiene le norme che
regolano il contratto d’appalto79. In merito agli obblighi di informazione del datore di lavoro committente la giurisprudenza ha escluso che
destinatari, oltre all’appaltatore (e ai lavoratori autonomi) siano
anche i singoli dipendenti del medesimo, che dovranno invece essere adeguatamente informati dal loro datore di lavoro con le rigorose
modalità stabilite dall’art.36, del d.lgs. n.81/200880.
I datori di lavoro (committente e impresa appaltatrice, ivi compresi i
subappaltatori) devono poi cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto, e coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi
cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine
di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva, ad esempio in caso
di pluralità di appalti o di subappalto (art.26,2° comma), dove “coordinare significa senza dubbio collegare razionalmente le varie fasi dell’attivi77
78
79
80
Cfr. art.27, infra.
Sulla nozione ampia di “rischio ambientale” ed il conseguente obbligo informativo
del committente, cfr. in particolare Cass. pen., 17 ottobre 2003, in c. Luciano e altro,
cit.,in un caso di infortunio mortale occorso ad un lavoratore autonomo incaricato
di procedere all’installazione dell’insegna luminosa di un locale, precipitato a terra
causa la caduta della controsoffittatura lungo la quale si stava muovendo.
Cfr. Coordinamento delle Regioni e delle Province autonome, Linee guida per l’applicazione del d.lgs. n.626/1994, doc. n.6, Ravenna, 1999, p.190.
Cfr. in tal senso Cass. pen, 5 dicembre 1998, in c. Duilio, in ISL,1999, p.96.
51
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
tà in corso … – mentre – cooperare è qualcosa di più, perché vuol dire
contribuire attivamente, dall’una e dall’altra parte, a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie”81.
Si precisa peraltro che spetta al datore di lavoro committente l’onere di promuovere la cooperazione e il coordinamento, non estendendosi tale obbligo solo ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, rispetto ai quali non
si può attribuire una responsabilità al committente (art.26, 3°
comma, penultimo periodo)82.
L’obbligo di cooperazione e di coordinamento riguarda dunque i
rischi comuni a cui possono andare incontro i dipendenti delle due
parti per effetto dell’esecuzione dell’appalto83.
È dunque il ribaltamento dell’ottica precedente: da un onere di non
ingerenza si passa infatti ad un vero e proprio obbligo di iniziativa,
penalmente sanzionato84, a carico del committente85.
Non hanno alcuna rilevanza in materia, dovendosi considerare nulle,
le eventuali clausole contrattuali di trasferimento del rischio e di
responsabilità, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie86.
È da sottolineare che la giurisprudenza ha esteso tali principi anche
52
81
82
83
84
85
86
Cfr. A. CULOTTA, M. DI LECCE, G.C. COSTAGLIOLA, cit., p.181. Sull’obbligo di
cooperazione del datore di lavoro committente, cfr., tra le altre,Cass. pen., 30 giugno 2008, in c. Bovo e Cass. pen., 23 gennaio 2008, in c. Marinelli, entrambe in R.
GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit.,pp.170-171.
Ciò non esclude tuttavia la configurabilità di un profilo di colpa generica a carico del
datore di lavoro committente, nel caso in cui egli possa rendersi conto delle condizioni di estremo pericolo in cui sono eseguiti i lavori. Per la responsabilità del committente in caso di appalto di lavori altamente pericolosi, in violazione di regole
minime di prudenza e sicurezza, cfr. Cass. pen., 8 ottobre 2003, in c. Scalia, in ISL,
2003, p.720; Cass. pen., 29 novembre 2005, in c. Limonta, in ISL, 2006, p.57; Cass.
pen., 20 marzo 2008, in c. Giorgiin ISL, 2008, p.313.
Per il significato ed i limiti della cooperazione tra appaltante e appaltatore, cfr. in
particolare Cass. pen.,20 settembre 2002, in c. Zanini e altro, in ISL, 2004, p.75,
con nota di P. SOPRANI. Cfr., nel nuovo contesto normativo, Cass. pen., 19 giugno
2009, in c. Curioni e altro, in ISL, 2009, p.463; Cass. pen., 22 settembre 2009, in c.
Cingolani, in ISL, 2009, p.631.
La violazione dell’obbligo in questione (art.26,2°comma, d.lgs. n.81/2008) è punita
a carico del datore di lavoro e del dirigente, ai sensi dell’art.55, 5°comma, lett. d).
Cfr. B. DEIDDA, La responsabilità penale delle figure previste dal decreto 626/94,
in Ambiente e Sicurezza sul lavoro, 1996, n.9, p.15.
Cfr. Cass. pen., 21 giugno 2006, in c. Clemente e altro, in ISL, 2006, p.699; Cass.
pen., 17 gennaio 2007, in c. Lanari, in ISL, 2007, p.279.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
ai casi di subappalto, dal momento che la condizione dell’appaltatore rispetto a quella del subappaltatore è sostanzialmente equivalente a quella del committente87.
Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento attraverso l’elaborazione di “un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non
è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze” (DUVRI) (art.26,
3°comma). Nel DUVRI, da custodire presso l’unità produttiva a cui si
riferisce la valutazione dei rischi88, devono dunque essere riportate le
indicazioni operative e gestionali per superare i rischi scaturenti dalla
“interferenza” delle lavorazioni (ad esempio direttive specifiche, designazione di personale appositamente incaricato, coordinamento dei
Rls delle diverse imprese). “L’interferenza può essere definita come una
sovrapposizione di attività lavorative risolventesi in un loro contatto
“rischioso”, a condizione che i soggetti coinvolti nel rischio interferenziale appartengano a distinte organizzazioni di lavoro”89.
Il DUVRI deve essere allegato al contratto di appalto o di opera90 e “va
adeguato in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture”. Si
mette dunque in rilievo il carattere “dinamico” di tale documento91.
Per gli appalti pubblici il documento in esame è redatto “dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione
dello specifico appalto”, in raccordo peraltro con la definizione di
committente pubblico di cui al titolo IV (cantieri temporanei e mobili), d.lgs. n.81/2008 (art.89, 1°comma, lett. b), secondo periodo)92.
Cfr., tra le altre, Cass. pen., 16 luglio 2004, in c. Di Tria e altri, in ISL,2004, p.755;
Cass. pen., 3 luglio 2006, in c. Beltrami e altri, in ISL, 2006, p.569.
88
Cfr. art.29, 4°comma.
89
Cfr. in tal senso P. SOPRANI, Il sistema degli appalti tra Testo Unico e decreto correttivo, cit., p. 481.
90
Non anche al contratto di somministrazione; cfr. V. PASQUARELLA, cit., p.305.
91
“Per cui la valutazione effettuata prima dell’inizio dei lavori deve necessariamente
essere aggiornata in caso di subappalti o forniture e posa in opera intervenuti successivamente ovvero in caso di modifiche di carattere tecnico, logistico o organizzativo incidenti sulle modalità realizzative dell’opera o del servizio che dovessero
intervenire in corso d’opera”; cfr. circ. Min. lavoro n.24/2007.
92
Per gli appalti rientranti nel campo di applicazione della normativa cantieri (titolo IV,
d.lgs. n.81/2008) non appare necessaria la redazione del DUVRI, dal momento che
l’analisi dei rischi interferenti e la stima dei relativi costi sono contenuti nel piano di
sicurezza e coordinamento (PSC); cfr. la Determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, del 5 marzo 2008, n.3; al riguardo cfr. V. PASQUARELLA, cit., p.303.
87
53
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quali la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro,
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
56
Ferma restando la necessaria attività di cooperazione e coordinamento tra le diverse organizzazioni di lavoro, l’obbligo di redigere il
DUVRI non si estende “ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, nonché ai lavori o servizi la cui
durata non sia superiore ai due giorni, sempre che essi non comportino rischi derivanti dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici,
atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui
all’allegato XI” (comma 3 bis, aggiunto dal d.lgs. n.106/2009)93.
Per quanto detto il DUVRI riguarda dunque i rischi comuni. “Per tutti
gli altri rischi non riferibili alle interferenze resta immutato l’obbligo
per ciascuna impresa di elaborare il proprio documento di valutazione dei rischi e di provvedere all’attuazione delle misure di sicurezza
necessarie per eliminare o ridurre al minimo i rischi specifici propri
dell’attività svolta”94.
Parte della dottrina ha ritenuto non coerente con le finalità perseguite l’estraniazione dell’appaltatore dalla redazione del DUVRI, finendo egli per attuare passivamente “una pianificazione di sicurezza
ideata e redatta in via esclusiva da altri”95. Discutibile è anche la scelta di inserire l’elaborazione del DUVRI tra gli obblighi delegabili del
datore di lavoro (art.18, 1° comma, lett. p), stante lo stretto legame
con il generale DVR, di cui all’art.28, 2°comma, opzione giustificata
con motivazioni di carattere operativo connesse alla gestione ed al
suo frequente aggiornamento96.
Altra significativa previsione è quella relativa all’obbligo di indicare
specificatamente nei contratti di appalto, subappalto e somministrazione (ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali) i “costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò
non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni” (5°
comma). Tali costi, non soggetti a ribasso, ai sensi della modifica
apportata dal d.lgs. n.106/2009, sono dunque solo quelli necessari
93
94
95
96
Una particolare disciplina è posta in taluni casi per le Pubbliche Amministrazioni o
qualora il datore di lavoro non coincida con il committente (redazione da parte del
soggetto che affida il contratto di un DUVRI ricognitivo standard, da integrare ad
opera del soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, con sottoscrizione, per accettazione, dell’esecutore) (art.26, comma 3.ter).
Cfr. circ. Min. lavoro n.24/2007.
Cfr. F. BACCHINI, Le modifiche alle norme sulla sicurezza e la “cantierizzazione”
degli appalti interni, in ISL, 2007, p.542.
Cfr. al riguardo P. PASCUCCI, Dopo la legge n.123 del 2007, cit., p.116.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
per eliminare o ridurre rischi dovuti a interferenze delle lavorazioni e
non quelli generali propri dell’attività esercitata dal singolo appaltatore/affidatario97.
In caso di mancata indicazione dei costi per la sicurezza il contratto
è da ritenersi nullo ai sensi dell’art.1418, c.c.98. Ai dati relativi ai costi
per la sicurezza possono accedere, su richiesta, il rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza (Rls) (è da ritenere del committente e
di ciascuna impresa appaltatrice, stante il raccordo con quanto
disposto dall’art.50, 5° comma)99, nonché gli organismi locali delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Per quanto riguarda la predisposizione delle gare di appalto e la valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di
appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori
sono altresì tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e
sufficiente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza, il quale, oltre che essere specificatamente indicato, deve risultare
congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o
delle forniture. In particolare il costo del lavoro è determinato periodicamente dal Ministero del lavoro in apposite tabelle, sulla base dei
valori economici previsti, tra l’altro, dalla contrattazione collettiva. In
mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è
determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino (6° comma). La previsione è volta ad evitare che offerte
“anormalmente basse” derivino da un risparmio sui costi del lavoro e
della sicurezza. In materia di appalti pubblici le disposizioni contenute nel Testo Unico trovano peraltro applicazione per quanto non diversamente stabilito dal d.lgs. n.163/2006 (7° comma).
97
98
99
Per la quantificazione dei costi della sicurezza da interferenze, stante l’assenza
(per il settore privato) di criteri espliciti di riferimento, si è ritenuto utile il richiamo
alle misure di cui all’art.7, 1°comma, d.p.r. n.222/2003, in quanto compatibili, già
disposte per i cantieri temporanei e mobili; cfr. V. PASQUARELLA, cit., p.308, la
quale richiama la Determinazione n.3/2008 (cfr. ora punto 4, allegato XV, d.lgs.
n.81/2008); cfr. anche R. DUBINI, DUVRI e costi della sicurezza, in Ambiente e
lavoro, n.38, 2008, pp.17 ss.
Per la determinazione dei soggetti legittimati a far valere la nullità del contratto
(dipendenti dell’appaltatore, del subappaltatore, del somministratore e del committente; rls di entrambe le parti contrattuali; organismi locali delle organizzazioni sindacali), cfr. V. PASQUARELLA, cit., p.309, anche per riferimenti di dottrina.
Cfr. in tal senso P. PASCUCCI, Dopo la legge n.123 del 2007, cit., p.120.
57
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
58
Il comma 4, dell’art.26, riprendendo quanto già stabilito dall’art.1,
comma 910, della l. n.296/2006 (l.”Finanziaria 2007”), ferme restando le disposizioni vigenti in materia di responsabilità solidale per il
mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e
assicurativi, sancisce il principio della responsabilità in solido dell’imprenditore committente con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli
eventuali subappaltatori, “per tutti i danni per i quali il lavoratore,
dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro (Inail) o dell’Istituto di Previdenza per il settore
marittimo (Ipsema)”. La responsabilità solidale non si estende “ai
danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”.
Ci si è interrogati sulla portata della previsione, dal momento che,
in base al principio di “automaticità” delle prestazioni, di cui
all’art.2116, c.c. il lavoratore rientrante nell’obbligo assicurativo, in
caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, è comunque
tutelato dall’Inail, anche nel caso in cui il proprio datore di lavoro
non abbia provveduto al pagamento del premio. La norma, pur
riguardando i soli rischi comuni, non è priva di rilievo venendo a
coprire, tra l’altro, i c.d. “danni differenziali”, nelle ipotesi in cui l’ammontare del danno, liquidato secondo gli ordinari criteri civilistici,
raggiunga una somma superiore all’indennità corrisposta dagli istituti assicurativi100. La portata pratica di tale prospettiva, che accresce i profili di responsabilità del datore di lavoro committente è di
tutta evidenza.
Nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto il personale occupato dall’impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro (8° comma).
La previsione, che riproduce la prima parte dell’art.6, l. n.123/2007,
espressamente abrogata101, è richiamata, con pressoché identica
formulazione, tra gli obblighi del datore di lavoro e dei dirigenti
(art.18, 1°comma, lett. u)102 e degli stessi lavoratori, anche autonoCfr. al riguardo V. PASQUARELLA, cit., pp.305 ss.
Cfr. art.304, 1°comma, lett. c), d.lgs. n.81/2008.
102
È sanzionata solo la violazione dell’art.26, 8°comma e non anche
dell’art.18,1°comma, lett. u); cfr. art.55, 5° comma, lett. i).
100
101
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
mi103. La finalità della norma, pur limitata dalla circ. n.24/2007 ai soli
appalti interni, è quella di “consentire una più agevole identificazione
del personale impegnato in contesti organizzativi complessi caratterizzati dalla compresenza, in uno stesso luogo, di lavoratori appartenenti a diversi datori di lavoro”104. La norma deve essere letta anche
come misura di contrasto del lavoro irregolare, in raccordo con
l’art.14, del Testo Unico, che prevede la sospensione dell’attività
imprenditoriale qualora venga riscontrato l’impiego di manodopera
irregolare in misura superiore al 20%.
L’obbligo datoriale è quello di munire di tessera “il personale occupato”, intendendosi come tale “sia i lavoratori subordinati che coloro i
quali risultano comunque inseriti nel ciclo produttivo, ricevendo direttive in ordine alle concrete modalità di svolgimento della prestazione
lavorativa dedotta in contratto (ad es. lavoratore a progetto)”105. In
merito alla più ampia questione della possibile lesione del diritto alla
riservatezza (da parte dei “cartellini identificativi” dei lavoratori) è
lecito domandarsi se possa essere sufficiente un codice identificativo (o il solo nome o ruolo professionale), specie qualora la prestazione esponga il lavoratore/lavoratrice a possibili rischi (ad esempio
nelle attività a contatto con il pubblico)106.
La qualificazione delle imprese
L’art.27, dando attuazione al criterio direttivo contenuto nella lett. m),
dell’art.1, comma 2, della l. n.123/2007107, prevede che nell’ambito
della Commissione consultiva permanente presso il Ministero del lavoPer l’obbligo dei lavoratori di esporre la tessera di riconoscimento cfr. art.20,
3°comma; per i componenti dell’impresa familiare ed i lavoratori autonomi, cfr.
art.21, 1°comma, lett. c).
104
Cfr. circ. Min. Lavoro n.24/2007.
105
“I dati contenuti nella tessera di riconoscimento devono consentire l’inequivoco ed
immediato riconoscimento del lavoratore interessato e pertanto, oltre alla fotografia, deve essere riportato in modo leggibile almeno il nome, il cognome e la data
di nascita. La tessera inoltre deve indicare il nome o la ragione sociale dell’impresa datrice di lavoro”, cfr. circ. Min. lavoro n.24/2007.
106
Cfr più ampiamente al riguardo F. BACCHINI, La tessera di riconoscimento. Commento all’art.6, in F. BACCHINI (a cura di), Commentario alla sicurezza del lavoro,
cit., pp. 189 ss.
107
Tale criterio direttivo contempla la “previsione di un sistema di qualificazione delle
imprese e dei lavoratori autonomi, fondato sulla specifica esperienza, ovvero sulle
competenze e conoscenze in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro,
acquisite attraverso percorsi formativi mirati”.
103
59
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
ro, anche tenendo conto delle indicazioni provenienti dagli organismi
paritetici, vengano individuati settori e criteri “finalizzati alla definizione
di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi,
con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro,fondato
sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza,
acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati”108.
Il d.lgs. n.106/2009 accanto alla formazione, peraltro eventuale109, da
rapportare alle caratteristiche di pericolosità delle attività che si
intendono avviare110, aggiunge quali utili riferimenti al riguardo le attività, di carattere facoltativo, disposte per le imprese familiari ed i
lavoratori autonomi111, nonché l’applicazione di determinati standard
contrattuali e organizzativi nell’impiego della manodopera, anche in
relazione agli appalti e alle tipologie di lavoro flessibile, appositamente certificati112.
La previsione basata sull’assunto secondo cui “un’efficace prevenzione presuppone un’adeguata organizzazione qualitativamente
apprezzabile”113 è particolarmente innovativa nel panorama italiano
in quanto volta a promuovere la cultura della sicurezza a partire dalla
stessa impresa.
Tale indirizzo trova una esplicazione maggiormente compiuta nella
proposta di introdurre una sorta di “patente a punti”, tramite un mec60
Il compito di individuare i criteri finalizzati alla definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi è dunque affidato alla Commissione
consultiva permanente. Una volta elaborato, il sistema di qualificazione sarà poi
disciplinato con d.p.r., acquisito il parere della Conferenza Stato/Regioni e province autonome, da emanarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del
d.lgs. n.81/2008 (art.6,8°comma, lett. g).
109
Si è sottolineato come, a differenza da quanto disposto nel criterio di delega di cui
alla lettera m) (art.1, 2°comma, l. n.123/2007), nel testo definitivo del d.lgs.
n.81/2008 i percorsi formativi sembrano perdere il carattere della obbligatorietà,
stante l’aggiunta del termine “anche” nella formulazione dell’art.27, 1°comma; cfr.
sul punto N. PACI, I sistemi di qualificazione delle imprese, in L. ZOPPOLI, P.
PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza
dei lavoratori, cit., p.321.
110
L’introduzione di “criteri per la qualificazione delle imprese mediante obblighi formativi per i datori di lavoro” era uno dei punti qualificanti del documento dell’Assemblea dei quadri e delegati Cgil-Cisl-Uil, Roma, 12 gennaio 2007.
111
Sorveglianza sanitaria e partecipazione a corsi di formazione specifica, con oneri
a proprio carico; cfr. art.21, 2°comma.
112
Ai sensi del titolo VIII, capo I, del d.lgs. n.276/2003, di attuazione della legge di
riforma del mercato del lavoro (c.d. “legge Biagi”, n.30/2003).
113
Cfr. in tal senso P. PASCUCCI, Dopo la legge n.123 del 2007, cit., p.122.
108
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
canismo di penalità che consentendo una verifica immediata e continuativa del possesso dei requisiti di idoneità tecnico-professionale
delle imprese e dei lavoratori autonomi, escluda la possibilità di esercitare attività imprenditoriale a seguito di accertate e ripetute violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art.27, comma 1
bis). Il sistema, esplicitamente previsto per il comparto edile114, potrà
essere esteso, tramite accordi interconfederali115, anche ad altri settori di attività (art.27, 2°comma, primo periodo). Esistono peraltro
modelli di qualificazione già adottati in taluni settori, a cui la Commissione potrà utilmente fare riferimento (cfr., ad esempio, per i lavori
pubblici, il Regolamento per l’istituzione di un sistema di qualificazione unica dei soggetti esecutori di lavori pubblici, d.p.r. n.34/2000,
nonché quanto disposto dall’art.38, d.lgs. n.163/2006, sui requisiti di
ordine generale dei partecipanti alle procedure di affidamento;
disposizioni espressamente fatte salve dall’art.27, comma 2.bis, del
d.lgs. n.81/2008)116.
La prospettiva indicata,volta a realizzare un mercato del lavoro trasparente e regolare, pare tuttavia contraddetta dalla previsione secondo la
quale il possesso dei requisiti per ottenere la qualificazione costituisce
elemento “preferenziale” e non più “vincolante”, come nel testo originario del d.lgs. n.81/2008, per la partecipazione a gare relative ad appalti e subappalti pubblici nonché per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica, sempre se correlati ai
medesimi appalti e subappalti (art.27, 2°comma, secondo periodo)117.
Cfr. D. PESENTI, Il sistema della patente a punti in edilizia, in M. TIRABOSCHI L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo
(d.lgs. n.106/2009), cit., pp.129 ss.
115
Stipulati a livello nazionale dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei
lavoratori comparativamente più rappresentative.
116
Cfr. al riguardo in particolare N. PACI,cit., p.319. Sull’art.38, d.lgs. n.163/2006, cfr.
P. SOPRANI, Nuovo codice degli appalti e sicurezza del lavoro, cit., pp. VI-VII.
117
Si potrebbe dunque configurare un possibile contrasto della norma in esame
rispetto a quanto stabilito dal 3°comma, dell’art.1, della l. n.123/2007, secondo cui
i decreti attuativi “non possono disporre un abbassamento dei livelli di protezione,
di sicurezza e di tutela o una riduzione dei diritti e delle prerogative dei lavoratori
e delle loro rappresentanze”. Il “rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro” (che indubbiamente ha a che fare con “il possesso dei requisiti per ottenere la qualificazione”, di cui all’art.27) è del resto considerato “quale elemento vincolante” per la partecipazione alle gare relative agli
appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica, in base al criterio di delega di cui alla lett. s),
dell’art.1, 2°comma, l. n.123/2007.
114
61
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
La definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei
lavoratori autonomi d’altro lato è strettamente connessa alla disciplina degli appalti, stante l’obbligo per il datore di lavoro committente di
verificare l’idoneità tecnico-professionale dei soggetti a cui affidare i
lavori, ai sensi dell’art.26, 1°comma, lett. a)118 ed inoltre acquista rilievo quale elemento necessario per l’accesso a benefici e norme premiali (si pensi all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione gestione della sicurezza, di cui all’art.30, con efficacia
esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ai sensi del d.lgs. n.231/2001)119.
62
Il Servizio di prevenzione e protezione: le tipologie organizzative
Tra le principali novità derivanti dal d.lgs. n.626/1994, sostanzialmente confermate dal Testo Unico (d.lgs. n.81/2008), è l’istituzione,
a carico del datore di lavoro, di uno specifico servizio di prevenzione
e protezione (SPP), definito come l’“insieme delle persone, sistemi e
mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori” (art.2, 1°
comma, lett. l), a capo del quale è posto il responsabile del servizio
(RSPP)120.
Più che la presenza formale del servizio nella struttura organizzativa dell’azienda, la normativa sembra privilegiare la funzione ai fini
della sicurezza che deve comunque essere assicurata. Infatti il datore di lavoro, anche in relazione alle caratteristiche e alle dimensioni
aziendali, ha la possibilità di organizzare il servizio di prevenzione e
protezione secondo tre diverse tipologie:
a) designando all’interno della propria azienda o unità produttiva,
una o più persone da lui dipendenti, per svolgere tale compito (servizio interno);
b) facendo ricorso a competenze esterne (servizio esterno);
c) svolgendo direttamente i compiti del servizio qualora l’azienda
Cfr. supra
La maggiore problematicità dell’introduzione di un sistema di qualificazione per le
piccole e micro imprese, rispetto a quelle di maggiori dimensioni, richiede la predisposizione di risorse ed incentivi appositamente dedicati (cfr. al riguardo quanto
disposto dall’art.30, 6°comma e dall’art.11, 5°comma, d.lgs. n.81/2008); sul punto,
anche per riferimenti, N. PACI,cit., p.316.
120
Cfr. infra.
118
119
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
rientri in una delle ipotesi previste nell’allegato II e nel rispetto di
determinate condizioni (esercizio diretto).
La scelta tra queste diverse opzioni organizzative non è peraltro del
tutto libera per il datore di lavoro. Si indica infatti una marcata preferenza per l’organizzazione interna del SPP, tipologia che è comunque obbligatoria in talune ipotesi specifiche121.
In ogni caso il datore di lavoro ha l’obbligo di consultare le rappresentanze specifiche dei lavoratori in merito, tra l’altro, alla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione
(art.50, 1°comma, lett. c).
Passando ad un esame più puntuale della disciplina, l’art.31,
1°comma, fatto salvo lo svolgimento diretto dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi da parte del datore di lavoro, di cui al successivo art.34, conferma l’opzione stabilita dal d.lgs. n.626/1994 tra
l’organizzazione del servizio all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva e l’incarico a persone o servizi esterni, che possono essere
costituiti “anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici”.
Gli addetti ed i responsabili dei servizi interni o esterni, oltre a possedere la capacità ed i requisiti professionali di cui all’art.32, “devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a
causa dell’attività svolta nell’espletamento del proprio incarico”
(2°comma). La previsione pur estendendosi, a differenza da quanto
stabilito dall’art.8, 3°comma, d.lgs. n.626/1994, anche ai componenti esterni del SPP, sembra tuttavia propriamente riferirsi all’ipotesi del
servizio interno, dal momento che quello esterno dovrebbe già
disporre in proprio delle attrezzature tecniche necessarie122 e si giustifica per il fatto che l’attività di tali soggetti, pur qualificabili come
collaboratori del datore di lavoro, può dare luogo a conflitti tra ruoli e
Si tratta: delle aziende industriali di cui all’art.2 del d.lgs. n.334/1999 e successive
modifiche ed integrazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli
articoli 6 e 8 del decreto stesso; delle centrali termoelettriche; degli impianti e laboratori nucleari; delle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni; delle aziende industriali con oltre 200 lavoratori; delle
industrie estrattive con oltre 50 lavoratori; delle strutture di ricovero e cura sia pubbliche che private con oltre 50 lavoratori; cfr. art.31, 6°comma.
122
Sulle condizioni organizzative indispensabili per un efficace funzionamento del
servizio, cfr. Cass. pen., 22 gennaio 2001, in c. Di Donato, in ISL, 2001, p.493.
121
63
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
64
poteri all’interno dell’organizzazione aziendale123.
Il 3°comma prevede poi la possibilità per il datore di lavoro di avvalersi di competenze esterne all’azienda “per integrare”, ove occorra,
l’azione di prevenzione e protezione, fermo restando dunque il carattere interno del servizio124.
Il ricorso a persone o servizi esterni è in ogni caso obbligatorio in
assenza di dipendenti che, all’interno dell’azienda ovvero dell’unità
produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all’art.32 (4°comma)
(se dunque vi sono lavoratori dipendenti in possesso dei requisiti
richiesti il ricorso al servizio esterno diventa facoltativo, tranne che
nelle ipotesi di cui al 6°comma)125.
Il 5°comma ribadisce il principio,già affermato dall’art.8,10°comma,
d.lgs. n.626/1994, secondo cui “ove il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla propria
responsabilità in materia”.
La disposizione, oltre ad evidenziare la natura “consultiva” del servizio e del suo responsabile, non destinatario di obblighi propri in tema
di prevenzione, sottolinea la responsabilità del datore di lavoro nella
scelta e sull’operato del servizio stesso, ad eccezione di quello che
può essere configurato come un affidamento incolpevole.
Il ricorso al servizio esterno è a “persone o servizi”; ciò significa che
il servizio esterno potrà essere costituito da uno specialista della
sicurezza ovvero da una società di consulenza, fermo restando che
il responsabile del servizio esterno, in possesso delle “capacità e i
requisiti professionali di cui all’art. 32”, dovrà essere necessariamente una persona fisica.
Cfr. C. LAZZERI, Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, in L. ZOPPOLI,
P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, cit, p.349.
124
In relazione a tale previsione normativa si inserisce dunque, quale figura ulteriore,
quella dello “specialista in prevenzione”, professionista esterno all’azienda, non
responsabile del servizio di prevenzione e protezione; cfr. al riguardo F. BACCHINI, Il servizio di prevenzione e protezione, il suo responsabile e i c.d. “consulenti
per la sicurezza”, in ISL, 2001, pp.481 ss.
125
Si è sottolineato come tale criterio sia più obiettivo e rigoroso di quello della generica “insufficienza di capacità”, dei dipendenti, di cui al precedente art.8, 6°comma,
d.lgs. n.626/1994;cfr. in tal senso F. BACCHINI, Il servizio di prevenzione e protezione, in ISL, 2008, p.270. Più ampiamente sulla disciplina definitiva, dopo il d.lgs.
n.106/2009, cfr. A. AMATO, Il responsabile e gli addetti del servizio di prevenzione
e protezione, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit., pp.351 ss.
123
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Il 6°comma specifica i casi in cui è comunque obbligatoria l’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno della azienda
ovvero dell’unità produttiva126. Le ipotesi elencate rimangono invariate rispetto a quelle del d.lgs. n.626/1994 (art.8, 5°comma); per le
strutture di ricovero e cura, pubbliche e private, viene tuttavia inserito il limite, in precedenza non previsto, dei 50 lavoratori, oltre il quale
scatta l’obbligo di istituire il servizio interno. Tutte le soglie dimensionali sono peraltro parametrate al concetto di “lavoratore” e non più di
“dipendente”, in conformità con la definizione di cui all’art.2,
1°comma, lett. a).
Nei casi in cui è obbligatoria l’istituzione di un servizio di prevenzione interno è d’altro lato espressamente sancito che anche il responsabile debba essere interno (7°comma)127. Rilevante novità introdotta dal Testo Unico è la possibilità di istituire un unico servizio di prevenzione e protezione nei casi di aziende con più unità produttive
nonché nei casi di “gruppi di imprese” (8°comma), nozione che in
assenza di un’espressa definizione legislativa pare riferibile alle
società controllate e collegate ai sensi dell’art.2359, c.c.128.
Il Responsabile del servizio
E innanzitutto da precisare che l’atto di designazione del RSPP, che
rientra tra gli adempimenti datoriali non delegabili di cui all’art.17,
1°comma, lett. b), non equivale ad una delega di funzioni129. Al
responsabile del servizio è infatti assegnato un ruolo strategico ai fini
prevenzionali ma non certo sostitutivo degli obblighi a carico del
datore di lavoro130. Fuorviante al riguardo rischia di essere l’uso
improprio del termine “responsabile”, da intendere invece come
Cfr. supra
Se ne deduce che “negli altri casi al datore di lavoro è lasciata piena libertà di scelta in ordine all’affidamento all’esterno delle attività di prevenzione e protezione, a
sua volta obbligatorio solo in assenza di soggetti “interni” in possesso dei requisiti
indicati dall’art.32; cfr. in tal senso C. LAZZERI, cit., p.347.
128
Cfr. al riguardo in particolare A. AMATO,cit., p.358; C. LAZZERI, cit., pp.347-348.
129
Anche la designazione del Rspp da parte del datore di lavoro, pur diversa dalla
delega di funzioni, deve comunque essere dimostrata da un documento avente
data certa, cfr. in tal senso Cass. pen., 25 novembre 2008, in c. Signorino, in ISL,
2009, 182.
130
Sottolineano come la designazione del Rspp non abbia un’efficacia liberatoria per
il datore di lavoro, che rimane il principale destinatario della norma penale, tra le
altre, Cass. pen., 31 ottobre 2008, in c. Mandaletti e altro, in ISL, 2009, p.40; Cass.
pen., 25 marzo 2009, in c. Collivignarelli e altri, in ISL, 2009, p.297.
126
127
65
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
66
mero coordinatore del servizio di prevenzione e protezione.
Spunti chiarificatori al riguardo sono peraltro ricavabili dalla definizione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di cui
alla lett. f), dell’art.2, 1°comma, d.lgs. n.81/2008, quale “persona in
possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’art.32,
designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi”131.
Aspetto non soddisfacente in relazione a tale figura è stata per lungo
tempo la vaghezza della qualifica professionale richiesta: persona
“in possesso di attitudini e capacità adeguate” (nella versione originaria degli articoli 2,1°comma,lett. e) ed 8, 2° e 8°comma, del d.lgs.
n.626/1994) soprattutto se rapportata agli importanti compiti attribuiti. Al riguardo si era fatto notare che se le capacità possono essere
acquisite, e verificate, le attitudini, che esprimono un concetto più
ampio, appartengono in qualche modo al patrimonio genetico del
soggetto.
Tutto ciò a differenza dei titoli specificatamente richiesti per l’esercizio dell’attività di medico competente132.
Conseguenza di tali considerazioni è stato il moltiplicarsi di c.d.
esperti alla sicurezza in cui si sono cimentate professionalità più o
meno consolidate e attendibili a danno soprattutto delle piccole e
medie imprese che non hanno in genere una tradizione consolidata
di strutture e di consulenza interna in materia.
Su tale rilevante questione è intervenuta la Corte di Giustizia europea, con sentenza 15 novembre 2001, in causa n. C 49/00, che ha
condannato il nostro Paese, tra l’altro, per non aver previsto una disciplina chiara e dettagliata in merito alle capacità e attitudini di cui devono essere in possesso le persone preposte alle attività di prevenzione e protezione dei rischi professionali, non essendo sufficiente attribuire al singolo datore di lavoro la responsabilità di determinare i criteri al riguardo133. La l. n.39/2002 (“Comunitaria 2001”) ha delegato il
Governo ad emanare, entro un anno, un apposito decreto legislativo
recante le modifiche “necessarie ai fini dell’adeguamento ai principi e
criteri affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia”.
131
132
133
Il d.lgs. n.81/2008, alla successiva lett. g) introduce anche la definizione di addet-
to al servizio di prevenzione e protezione.
Cfr. infra, p..
Per un commento sul punto in esame cfr. C. SMURAGLIA, Sicurezza del lavoro e
obblighi comunitari.., cit., pp.193 ss.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
I requisiti professionali di addetti e responsabili del servizio di
prevenzione e protezione
In materia è intervenuto il d.lgs. 23 giugno 2003, n.195, sull’individuazione delle capacità e dei requisiti professionali richiesti agli
addetti ed ai responsabili dei servizi di prevenzione e protezione dei
lavoratori, con cui si è data attuazione alla delega conferita134.
La disciplina ivi contenuta è ora trasfusa nell’art.32, d.lgs. n.81/2008,
come integrato e corretto dal d.lgs. n.106/2009135.
È d’altro lato fatta salva (art.32, 6°comma) l’ipotesi di esercizio
diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e
protezione, di cui all’art.34, d.lgs. n.81/2008, sulla quale la disciplina in esame dovrebbe comunque influire, quanto meno con riguardo ai contenuti e alla durata del percorso formativo necessario in
tali casi136, fissato in un minimo di 16 ore ed in un massimo di 48
ore (in via transitoria rimane tuttora in vigore il d. m. 16 gennaio
1997)137.
L’art.32, opportunamente, fa riferimento alle “capacità e (ai) requisiti
professionali” degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni o esterni e non anche alle “attitudini” di tali
soggetti, termine la cui ambiguità è stata già rilevata.
Principio generale è quello della necessaria adeguatezza delle
capacità e dei requisiti professionali delle figure considerate alla
natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività
lavorative (1°comma).
Per lo svolgimento delle funzioni sopra indicate si richiede il possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore nonché di un attestato di frequenza, con verifica di
apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura
dei rischi presenti sul luogo di lavoro, che devono rispettare quanto
previsto in materia dall’accordo sancito il 26 gennaio 2006, in sede
di Conferenza Stato/Regioni.
Sul d.lgs. n.195/2003, cfr., tra gli altri, F. BACCHINI, Il D.Lgs. 195/2003: riflessioni
e spunti critici, in ISL,2003, pp.577 ss; P. SOPRANI, Rspp: nuova figura professionale del sistema di sicurezza aziendale, in DPL,2003, pp.2431 ss.
135
Cfr. al riguardo P. DE VITA, I requisiti dei responsabili e degli addetti al servizio di
prevenzione e protezione, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo Unico della
salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit.,pp.627 ss.
134
Mette in dubbio sul punto la compatibilità della normativa interna con quella comunitaria, P. SOPRANI, Rspp: nuova figura professionale.., cit.,p.2433.
137
Cfr. art.34, 2°comma, infra.
136
67
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
68
Ci si è domandati se la designazione di un RSPP o di un ASPP
sprovvisto di tali requisiti rilevi ai fini penali, dal momento che
l’art.55, 1°comma, lett. b), sanziona solo l’ipotesi della mancata
nomina del responsabile “ai sensi dell’art.17, 1°comma, lett. b)”,
senza alcun riferimento all’art.32138. Fa propendere per l’affermativa
il fatto che venga peraltro sanzionata la violazione dell’art.34,
2°comma (sulla mancata formazione in caso di esercizio diretto da
parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai
rischi) “nella prospettiva che un responsabile del servizio … non formato coincide di fatto con un responsabile non nominato”139.
L’intesa Stato/Regioni del 26 gennaio 2006, alla quale hanno fatto
seguito le Linee guida interpretative, del 5 ottobre 2006, articola i
corsi menzionati in tre moduli: modulo A, di 28 ore, quale corso
base per RSPP e ASPP di qualsiasi settore produttivo; modulo B,
anch’esso comune alle due figure professionali, di specializzazione in relazione ai rischi presenti sul luogo di lavoro e alle attività
lavorative (da un minimo di 12 ad un massimo di 68 ore, a seconda dei macrosettori Ateco); modulo C, di 24 ore, di specializzazione per i soli RSPP140 (2° comma). La frequenza dei moduli A e C
costituisce credito formativo permanente; per il modulo B è invece previsto un obbligo di aggiornamento, con cadenza quinquennale141.
Rifacendosi alla disciplina transitoria disposta dall’art.3,
1°comma, d.lgs. n.195/2003, su cui si sofferma in particolare la
circolare del Ministero del lavoro n.39/2003142, si prevede che possano altresì svolgere le funzioni di responsabile o addetto coloro
che, pur non essendo in possesso del predetto titolo di studio,
dimostrino di aver svolto una delle funzioni richiamate, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei
mesi alla data del 13 agosto 2003 (entrata in vigore del d.lgs.
n.195/2003), previa comunque la partecipazione ai corsi secondo
Cfr. C. LAZZERI, cit., p.353; in senso affermativo A. AMATO, cit., p.356.
Cfr. Relazione di accompagnamento al d.lgs. n.106/2009, p.24.
140
Su tematiche“ in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura
ergonomia e da stress lavoro-correlato … di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali”
141
Cfr. punto 3, dell’accordo Stato/Regioni del 26 gennaio 2006.
142
Sulla circ. n.39/2003, cfr. in particolare F. BACCHINI, La circolare sui requisiti professionali degli addetti al SPP: nodi interpretativi, in ISL,2004, pp.159 ss.
138
139
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
quanto stabilito dall’accordo Stato/Regioni del 26 gennaio 2006
(3° comma).
Dalla frequenza dei corsi di formazione di cui ai moduli A e B sono
peraltro esonerati coloro che abbiano conseguito una laurea in una
delle seguenti classi: L7, L8, L9, L17, L23, laurea magistrale LM
26, o nelle classi: 8, 9, 10, 4, di cui al decreto del Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica 4 agosto 2000,
ovvero nella classe 4, di cui al decreto del Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica 2 aprile 2001; ovvero di
altre lauree e lauree magistrali riconosciute corrispondenti ai sensi
della normativa vigente (5° comma)143. Il predetto esonero non
riguarda né il modulo C né i corsi di aggiornamento (di cui al
6°comma).
Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività
formative da parte dei componenti del servizio interno dovranno
essere registrate nel libretto formativo del cittadino (di cui all’art.2,
1°comma, lett. i), d.lgs. n.276/2003),se concretamente disponibile in
quanto attivato (7° comma)144.
Volendo trarre qualche breve spunto conclusivo è da dire che per le
figure considerate parrebbe utile definire standard di qualità di comportamento, stabilendo ad esempio, accanto alla positiva previsione
dell’obbligo di periodico aggiornamento, la revoca della possibilità di
svolgere i compiti di addetto o di responsabile del servizio di prevenzione e protezione in caso di mancanze gravi riscontrate in connessione di infortuni. Di interesse sarebbe altresì stabilire un apposito
tariffario per lo svolgimento di attività di consulenza in materia, prevedendo sanzioni amministrative per coloro che svolgano attività al
di fuori delle tariffe indicate.
I compiti
La funzione del servizio di prevenzione e protezione è di supporto
tecnico e di assistenza al datore di lavoro e di conseguenza la figu-
Ulteriori titoli di studio possono essere individuati in sede di Conferenza
Stato/Regioni.
144
La parte finale dell’art.32 (commi 8/9/10) concerne gli obblighi del datore di lavoro
in ordine all’organizzazione del SPP negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari e nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica,
che richiamano quanto stabilito dall’art.2, d. m. n.382/1998, relativo agli istituti di
istruzione e di educazione di ogni ordine e grado.
143
69
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
70
ra del responsabile è identificabile in quella di un collaboratore, di un
consulente del datore di lavoro, al quale peraltro “risponde”145.
In relazione ai compiti da svolgere il riferimento è innanzitutto al servizio nel suo insieme e non alla persona o alle persone che lo compongono (art.33, 1° comma). Tale sorta di deresponsabilizzazione
(ma forse meglio di corresponsabilizzazione) dei singoli soggetti
sotto il profilo gestionale è confermata dall’assenza di sanzioni
penali per l’inadempimento degli incarichi affidati.
Passando in rassegna i compiti del servizio si nota come si tratti per lo
più di attività complementari o preparatorie di quelle proprie del datore di lavoro che resta il primo destinatario degli obblighi di sicurezza.
Il servizio provvede infatti: “all’individuazione” dei fattori di rischio
(lett. a); “ad elaborare, per quanto di competenza”, misure, sistemi e
procedure (lett. b) e c); “a proporre” programmi di informazione e formazione dei lavoratori (lett. d); “a partecipare” alle consultazioni in
materia, nonché alla riunione periodica di cui all’art. 35 (lett. e).
Non si tratta dunque di funzioni operative. Unica eccezione è il
compito di “fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’art. 36” (lett.
f); la norma non è tuttavia assistita da sanzioni penali e degli obblighi di informazione ne rispondono il datore di lavoro, i dirigenti
(art.55, 4° comma, lett. c) e i preposti (art.56, 1° comma, lett. b), in
relazione all’art.19, 1° comma, lett. d)146.
Cfr. la definizione di Rspp, di cui all’art.2, 1°comma, lett. l), d.lgs. n.81/2008, sopra
menzionata. In tal senso è unanimemente orientata la dottrina; cfr., tra gli altri, P.
SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, cit., p.90; C. LAZZERI, Il
servizio di prevenzione e protezione dai rischi,cit. pp.356-357.Per A. CULOTTA M. DI LECCE - G.C. COSTAGLIOLA, cit.,p.71, i componenti del servizio aziendale
di prevenzione “sono soltanto dei consulenti e i risultati dei loro studi e delle loro
elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell’amministrazione dell’azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario, giuslavoristico
ecc..), vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di
affidamento liberamente instaurato e della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario”.
146
Cfr. sul punto Pret. pen. Trento 25 gennaio 1999, in c. Pezzi e altri, in Dir. lav.,
2000,II, pp.299 con nota di I. BORGHINI, secondo la quale l’adozione di procedure di sicurezza e l’affissione delle relative norme all’esterno dei luoghi di lavoro non
è compito del servizio di prevenzione, che ha il mero obbligo nei confronti del datore di lavoro di segnalare la presenza di omissioni in materia dovendo poi il datore
di lavoro stesso provvedere all’applicazione delle relative disposizioni (in un caso
di morte di un lavoratore frigorista introdotto all’interno di una cella frigorifera ad
atmosfera modificata, cioè povera di ossigeno e ricca di anidride carbonica, sprovvisto di mezzi di protezione, in particolare di maschera respiratoria).
145
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Non è escluso peraltro che il SPP si debba in concreto occupare anche della gestione delle emergenze (organizzazione di squadre
antincendio, pronto soccorso e evacuazione dei lavoratori), nonché
di interventi volti ad evitare che le misure tecniche adottate possano
causare rischi per la popolazione o deteriorare l’ambiente esterno
(art.18.,1°comma, lett. q).
Dall’esame dei compiti attribuiti al SPP ne discende dunque, come
rilevato, la natura eminentemente consultiva di tale organismo e del
suo responsabile, che non ha di per sé il potere di adottare le misure di sicurezza, né tanto meno dispone di poteri di spesa.
In tal modo si spiega il fatto che il Testo Unico non contenga sanzioni penali a carico del RSPP né degli addetti. L’attività del servizio si
configura pertanto come attività di consulenza tecnica del datore di
lavoro, unico soggetto tenuto a rispondere in merito ad essa.
Ciò si desume anche dal testo dell’articolo in esame, che si titola
“compiti” e non “obblighi” del SPP, mettendone in rilievo il profilo
funzionale più di quello relativo alle responsabilità, e dalla perentoria affermazione dell’ultimo comma dell’art. 33, secondo la quale
“il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di
lavoro”147.
La soluzione qui prospettata e su cui la dottrina pare concorde148,
vale a maggior ragione laddove il SPP sia esterno all’azienda. Al
riguardo l’art. 31, 5°comma, precisa infatti, come accennato, che
“ove il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni e non è per
questo esonerato dalla propria responsabilità in materia”.
L’“irresponsabilità” del responsabile del servizio
Dalla qualificazione del SPP come organo di consulenza tecnica, di
staff, del datore di lavoro, derivano conseguenze anche sotto il profilo delle responsabilità per la persona designata a capo di tale servizio, che non comportano tuttavia una sua totale impunità sul piano
penale.
Ferma restando la responsabilità del RSPP sul piano civile, potendo
il datore di lavoro rivalersi delle conseguenze dannose a lui derivate
Quasi “a voler precisare che il SPP è essenzialmente uno strumento tecnico nelle
mani di quest’ultimo –il datore di lavoro-, per permettergli di adempiere correttamente l’obbligazione di sicurezza su di lui gravante”; cfr. in tal senso C. LAZZERI,
cit., p.357.
148
Cfr. autori citati a nota.
147
71
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
72
dall’errata o incompleta attività di consulenza, così come i terzi danneggiati149, sul piano penale, quand’anche tale soggetto non sia sanzionabile per violazione della normativa prevenzionale, potrà comunque essere chiamato a rispondere là dove la sua condotta negligente, imperita o imprudente abbia provocato, eventualmente in concorso con altri, eventi dai quali dipenda l’esistenza di reati (artt. 43 e 113
c.p.). “Occorre –infatti- distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro
pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento,
quando cioè si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie”150.
Nel caso di consulente esterno entra inoltre in gioco la c.d. “colpa professionale”151, qualora nell’esercizio della sua attività particolarmente
qualificata “non abbia tenuto conto dello “stato dell’arte” e non abbia
prestato la propria attività con diligenza, prudenza e perizia”. Così in
riferimento al rumore, si è ritenuto che il consulente che effettui la
valutazione del rischio senza osservare i criteri e le modalità prescritte dalla legge, possa essere chiamato a rispondere in concorso con
il datore di lavoro152. Che se poi dalla condotta colposa del consulente ne consegua un infortunio sul lavoro od una malattia professionale, anche o solo il consulente può essere perseguibile penalmente
per il reato di lesioni personali colpose153. Tali indicazioni rappresentano un indirizzo costante della giurisprudenza più recente154.
Il RSPP, oltre che per reati-evento, potrà peraltro essere chiamato a
rispondere anche per reato di pericolo presunto, in particolare ai
149
Cfr. sul punto, in particolare,P. SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di
lavoro, cit, p.100.
150
Cfr. Cass. pen., 20 giugno 2008, in c. Maciocia e altri, in R. GUARINIELLO, Il Testo
Unico Sicurezza sul Lavoro, cit.,p.196.
Cfr. artt.42 - 43 c.p. in connessione con l’art.2236 c.c.
Cfr. P. Chieri, 17 marzo1994, in c. Miglioretti e altri.
153
Cfr. R. GUARINIELLO, Rassegna della Cassazione penale, nota a Cass. pen, 22
gennaio 2001, in c. Di Diodato, cit., p.493. Cfr. Cass. pen., 17 giugno 2003, in c.
P.M., P.C. e M., in DPL,2004, p.451,in un caso di infortunio mortale accaduto presso i locali di una Asl ad uno psicologo precipitato nel cortile da una scala esterna
di un edificio destinato al servizio di tossicodipendenza a causa della irregolare
altezza del parapetto posto a protezione della predetta scala, non considerata da
parte del Rspp.
154
Cfr. Cass. pen., 17 aprile 2007, in c. Fusilli, in ISL, 2007, pp.449 ss., con nota di P.
SOPRANI, in un caso di infortunio mortale occorso alla dipendente di una ditta
appaltatrice di servizi portavivande all’interno di un Ospedale, che introdotta insieme
al carrello nell’ascensore, ed essendo nel corso della discesa il carrello finito contro
una sporgenza muraria, era rimasta violentemente schiacciata, così morendo per
151
152
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
sensi dell’art.437, c.p., che sanziona “chiunque omette di collocare
impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia”155,dal momento che
tale soggetto non può certo dirsi estraneo all’azienda ed è anzi quello che ha maggiore consapevolezza della funzione preventiva delle
apparecchiature considerate.
La posizione del RSPP (e dell’ASPP) dipendente, d’altro lato, non può
considerarsi sullo stesso piano di quella del responsabile, consulente
esterno. Il dipendente, al quale pare improprio estendere il principio
della colpa professionale, disposto dall’art.2236 c.c. in relazione al lavoro autonomo, non è infatti, di norma, assunto né retribuito per svolgere
le ulteriori funzioni di prevenzione e protezione. Nei suoi confronti troverà dunque applicazione solo l’art.2104 c.c., che commisura la diligenza richiesta al prestatore di lavoro alla natura della prestazione e
all’interesse dell’impresa. Non è del resto ammissibile in tal caso alcuna azione di rivalsa da parte del datore di lavoro che abbia subito un
danno dalla condotta improvvida dei componenti del servizio di prevenzione e protezione, dal momento che costoro, come espressamente
dispone il 2°comma dell’art.31, sono posti al riparo da ogni pregiudizio
derivante dall’attività svolta nell’espletamento dell’incarico ricevuto156.
73
asfissia. Secondo la Corte l’assenza per il Rspp” di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l’inottemperanza alle stesse- e
segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle
lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori- possa integrare un’omissione “sensibile” tutte
le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio”.Cfr., tra le altre Cass. pen., 20 giugno
2008, in c. Maciocia e altri; Cass. pen., 15 maggio 2008,in c. Reduzzi e altra; Cass.
pen., 26 ottobre 2007, in c.Aimone; tutte in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit.,pp.195 ss.
155
Rilevando l’evento solo come circostanza di aggravamento della pena. Cfr., anche
per riferimenti, G. DE FALCO,La repressione delle contravvenzioni e dei delitti in
materia di sicurezza e igiene del lavoro,Padova, 2000, pp.254-255.
156
Cfr. A. CULOTTA - M. DI LECCE - G.C. COSTAGLIOLA, Prevenzione e sicurezza
negli ambienti di lavoro, cit., p.73. Per l’ambiguo riferimento di tale previsione
anche ai componenti esterni del servizio cfr. supra. Cfr.,tuttavia, Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez.I°, 17 gennaio 2005, n.35, che ha affermato la legittimità della
sanzione disciplinare irrogata nei confronti di un componente del servizio di prevenzione e protezione (ispettore di Polizia di Stato in servizio presso un reparto di
volo), che in occasione di infortunio occorso ad un dipendente, non si era attivato
per la verifica e la rimozione della situazione di pericolo, in ISL, 2005, p.341, con
nota critica di P. SCIORTINO.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Detto ciò rimane comunque la sensazione di una certa lacunosità
della normativa in relazione alla figura del RSPP, da un lato ritenuta
di fondamentale impulso ai fini della prevenzione, dall’altro non destinataria di alcuna ipotesi di sanzione sul piano contravvenzionale157.
La responsabilità penale in ordine all’attuazione delle misure di
sicurezza è invece pienamente configurabile in capo al RSPP là
dove egli sia un dirigente o comunque un “delegato” del datore di
lavoro nei limiti in cui la delega sia correttamente conferita. In tali
ipotesi infatti il RSPP risulta soggetto alla responsabilità penale non
per il fatto di rivestire tale ruolo, bensì perché, a prescindere da
esso, egli è titolare dei poteri attribuiti dalla delega158. Contrariamente a buona parte della dottrina il legislatore non ha ritenuto di dover
vietare la possibilità di cumulare nella stessa persona le funzioni di
RSPP con altri incarichi operativi, prassi assai frequente, peraltro
talora avallata dalla giurisprudenza159. Tale scelta pare indirettamente confermata dalla incompatibilità, già anticipata dalla giurispru-
Sulla base della più puntuale qualifica professionale richiesta per l’esercizio delle
funzioni di Rspp, ai sensi dell’art.32, d.lgs. n.81/2008, considerando altresì le
scelte operate in determinati settori (quali la responsabilità anche penale dei
coordinatori per la sicurezza nella normativa cantieri) si è proposto di rivisitare il
rapporto intercorrente tra datore di lavoro e Rspp in tema di valutazione dei rischi,
indirizzando l’impianto attuale della normativa prevenzionale “verso modelli di
“affidamento pagante”, controbilanciati da meccanismi di rigoroso accertamento
di effettività e di corrispondenza della titolarità di poteri (almeno) decisori in capo
al soggetto qualificato”, così P. SOPRANI, Datore di lavoro e Rspp: il principio di
affidamento e l’esenzione dal debito di sicurezza,nota a Cass. pen., 29 luglio
2004, in ISL, 2005, p.86; ID., nota a Cass. pen., 17 aprile 2007, in c. Fusilli,
cit.,p.454. Tale indicazione è richiamata da Cass. pen., 8 febbraio 2008, in c.
Oberrauch e altro, cit.,p.199, la quale ritiene che “il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di
garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di
spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual
volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che
egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel
sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito
l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione”.
158
Cfr. Cass. pen., 23 maggio 2001, in c. Cinquia, cit.; Cass. pen. 12 luglio 2001, in c.
Sottano e altro, in ISL, 2002, pp.49-50; Cass. pen., 1°giugno 2005, in c. Storino, in
ISL, 2005, p.466..
159
Cfr. Cass. pen., 21 giugno 2007, in c. Mazzocchi, in ISL, 2007, p.595; sulla distinzione tra la figura del direttore tecnico delegato alla sicurezza e Rspp, cfr., tra le
ultime, Cass. pen., 10 giugno 2009, in c. Soave, in ISL, 2009, p.514.
157
74
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
denza160, tra la funzione di RSPP e quella di Rls, ora espressamente sancita dall’art.50, 7°comma, d.lgs. n.81/2008, che peraltro la
estende anche alla nomina di addetto al servizio di prevenzione161.
Lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione
L’art.34 del d.lgs. n.81/2008 disciplina l’esercizio diretto da parte del
datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi.
Tranne i casi in cui è obbligatoria l’istituzione di un servizio interno
(art.31, 6°comma), il datore di lavoro può svolgere direttamente i
compiti propri del servizio di prevenzione e protezione, di primo soccorso162, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nelle ipotesi previste dall’Allegato II, dandone preventiva informazione al Rls
e nel rispetto di determinate condizioni (1°comma).
Le ipotesi sono le stesse già individuate dal d.lgs. n.626/1994 (Allegato I), e riferibili sostanzialmente alle piccole realtà aziendali, con
limiti dimensionali diversificati a seconda del settore merceologico di
appartenenza163. Le condizioni, specificate nei commi successivi,
riguardano gli obblighi di frequenza dei corsi di formazione e di
aggiornamento.
A seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n.106/2009, nelle
imprese o unità produttive fino a 5 lavoratori, il datore di lavoro può
svolgere direttamente i compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, anche in caso di affidamento dell’incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione a persone interne all’azienda o all’unità produttiva o a servizi esterni; sola
condizione in tal caso, oltre alla preventiva informativa del Rls, è la
frequenza degli specifici corsi di formazione previsti per tali figure
dagli artt. 45 e 46 (commi 1.bis e 2.bis)164.
Cfr. Cass., 15 settembre 2006, n.19965,in Riv.it.dir.lav., 2007, II, pp.676 ss.,con
nota di V. PASQUARELLA.
161
Cfr., anche per riferimenti, C. LAZZARI, cit., pp.359-360.
162
Ipotesi non contemplata nel corrispondente art.10, d.lgs. n.626/1994.
163
In base all’allegato II lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi è consentito: nelle aziende artigiane e
industriali fino a 30 lavoratori; nelle aziende agricole e zootecniche fino a 30 lavoratori; nelle aziende di pesca fino a 20 lavoratori; nelle altre aziende fino a 200
lavoratori.
164
In tal modo si può ritenere assolto l’obbligo, posto dall’art.18, 1°comma, lett. b),di
designare agli addetti alle emergenze.
160
75
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
In caso di esercizio diretto il datore di lavoro è tenuto a frequentare
appositi corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima
di 48 ore, adeguati alla natura dei rischi presenti, nel rispetto dei
contenuti e delle articolazioni che saranno definiti mediante accordo
in sede di Conferenza Stato/Regioni. Fino alla pubblicazione di tale
intesa conserva validità la formazione effettuata ai sensi dell’art.3,
del d. m. 16 gennaio 1997 (2° comma).
Sul punto la disciplina legale rimane dunque deludente, confermando un regime formativo separato per i datori di lavoro assai inferiore
a quello obbligatoriamente previsto per i componenti interni ed esterni dei servizi di prevenzione165.
La vera novità introdotta dal Testo Unico rispetto alla disciplina posta
dal d.lgs. n.626/1994, consiste nel necessario aggiornamento della
formazione ricevuta, obbligo di valenza generale, esteso anche a
coloro che abbiano frequentato i corsi di cui all’art.3, d. m. 16 gennaio 1997 ed agli esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’art.95, d.lgs. n.626/1994 (3° comma). Anche in tal caso peraltro la
portata innovativa della previsione è in parte sminuita dalla sua non
esigibilità per l’immediato, risultando l’obbligo in questione condizionato alle determinazioni della Conferenza Stato/Regioni, in assenza,
come forse opportuno, di una disciplina transitoria al riguardo166.
76
La gestione delle emergenze
Il Testo Unico, riprendendo e integrando le disposizioni del d.lgs.
n.626/1994, dedica la sezione VI, del Titolo I alla gestione delle
emergenze167. Si tratta di un aspetto che riveste notevole rilievo al
Cfr. Ministero del lavoro, risposta ad interpello 3 marzo 2008, n.5, in DPL, 2008,
p.826, con nota di P. RAUSEI. Non si è dunque dato seguito agli impegni presi in
sede di approvazione della l. delega n.123/2007, di prevedere per i datori di lavoro in caso di esercizio diretto, una formazione non inferiore a quella disposta per il
Rls (32 ore iniziali), con aggiornamento almeno quinquennale.
166
Scompaiono peraltro gli obblighi di comunicazione a carico del datore di lavoro nei
confronti dell’organo di vigilanza territorialmente competente (art.10, 2°comma,
d.lgs. n.626/1994).
167
Cfr. al riguardo in particolare L. ANGELINI, La gestione delle emergenze,in L.
ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le nuove regole per la salute e
la sicurezza dei lavoratori, cit, pp.377 ss.; A. CORVINO, La gestione delle emergenze, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul
lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit., pp.651 ss.; L. FANTINI, Il primo
soccorso e la prevenzione incendi, in Il Testo Unico della salute e sicurezza sul
lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit., pp.661 ss.
165
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
fine di evitare conseguenze devastanti in caso di incidenti.
Punto di riferimento per le disposizioni di carattere generale è
l’art.43, di attuazione dell’art.18, 1°comma, lett. t)168, occupandosi
nello specifico del primo soccorso e della prevenzione incendi rispettivamente gli artt.45 e 46, che peraltro rinviano ad ulteriori decreti
attuativi.
La disciplina in esame sotto il profilo sistematico non presenta una
completa linearità sussistendo talora, come già rilevato a proposito
della analoga regolazione posta dal d.lgs. n.626/1994, inutili duplicazioni di contenuto tra le diverse previsioni169.
È da sottolineare come anche la gestione dell’emergenze sia strettamente connessa agli esiti della valutazione dei rischi, ivi compresa l’elaborazione del c.d. “piano d’emergenza”, a seguito della valutazione specifica del rischio incendio, parte integrante del DVR.
Nell’ambito degli adempimenti di carattere generale il datore di lavoro deve adottare tutte le misure necessarie ai fini della prevenzione
incendi, del primo soccorso e dell’evacuazione dei lavoratori, organizzando in primo luogo i necessari rapporti con i servizi pubblici
competenti. Si tratta di interventi organizzativi e procedurali che si
rivolgono sia verso l’ambiente di lavoro che verso l’esterno.
Le misure da adottare dovranno essere adeguate, oltre alla natura dell’attività e alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, anche al
“numero delle persone presenti” (art.18, 1°comma, lett. t), 2° periodo).
Secondo cui datore di lavoro e dirigente devono “adottare le misure necessarie ai
fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché per il
caso di pericolo grave e immediato, secondo le disposizioni di cui all’art.43. Tali
misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti”. È da precisare che
le misure di emergenza sono comprese tra le misure generali di tutela di cui
all’art.15,1°comma (lett. u), mentre gli adempimenti relativi alla emergenza sono
contemplati tra gli obblighi posti a carico delle diverse figure aziendali per la sicurezza: datore di lavoro e dirigenti (art.18, 1°comma, lett. b),h),i),m),t); 36,
1°comma, lett. b),c); art.37, comma 9; preposti (art.19, 1°comma, lett. c),d),e);
medico competente (art.25, 1°comma, lett. a).
169
Cfr. ad esempio l’art.43, 1°comma, lett. b), che si limita a richiamare l’obbligo di
designazione preventiva dei lavoratori addetti alle emergenze di cui all’art.18,
1°comma, lett. b); cfr. anche i commi 2 e 3 dell’art.43, relativi ai lavoratori da adibire ai servizi di emergenza, concernenti rispettivamente la loro designazione ed il
diritto ad essere formati e a disporre di attrezzature adeguate, dove si ripete, forse
inutilmente, la necessità di tener conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva,cfr. più ampiamente L. ANGELINI, cit, p.380.
168
77
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
78
Decisiva è la preventiva designazione di alcuni lavoratori incaricati di
far rispettare le prescrizioni dirette ad evitare gli incendi e a contrastarli in caso di insorgenza, ad organizzare l’evacuazione di coloro
che sono esposti a pericolo grave e immediato e a seguire le operazioni di salvataggio e di primo soccorso. Tali lavoratori “devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature
adeguate, tenendo conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva“ (art.43,3°comma, 2°periodo).
Occorre pertanto comporre, istruire e attrezzare una squadra interna pronta ad entrare in azione in caso di necessità.
D’altro lato i lavoratori non possono, se non per giustificato motivo,
rifiutare la designazione (art.43,3°comma, 1°periodo), essendo altrimenti anche penalmente sanzionati (art.59, 1°comma, lett. a).
Il fatto che il numero dei designati alla squadra emergenze dipenda
dalle dimensioni nonché dai rischi specifici dell’azienda fa ritenere
che nelle realtà di ridotte dimensioni o di scarso livello di rischio lo
stesso lavoratore possa essere incaricato dell’attuazione di più
misure di sicurezza (ad esempio sia primo soccorso che della prevenzione incendi), “mentre nelle aziende più grandi possano essere
nominate “le riserve” per far fronte alle ferie o ad eventuali malattie.
In tutti i casi ogni provvedimento dovrà essere adottato tenendo
conto dell’organizzazione del lavoro (lavoro a turni, orario flessibile,
presenza di lavoratori a tempo determinato, ecc. …)”170.
La posizione degli addetti alle emergenze è in parte diversa da quella degli addetti al servizio di prevenzione e protezione. Solo i primi
infatti devono poter intervenire tempestivamente in situazioni di
emergenza onde devono essere necessariamente “interni” all’azienda o all’unità produttiva.
Anche per la designazione degli addetti alle emergenze è richiesta
la consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
(art.50, 1° comma, lett. c).
È da ricordare che nelle imprese o unità produttive fino a 5 lavoratori è
possibile lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di
primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, anche
in caso di affidamento dell’incarico di RSPP a persone interne all’azienda o all’unità produttiva o a servizi esterni (art.34, comma 1.bis)171.
170
171
In tal senso L. FANTINI, cit., p.661.
Cfr. supra.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Tra le disposizioni di carattere generale, forse impropriamente172, il
decreto correttivo n.106/2009 aggiunge l’obbligo “di garantire la presenza di mezzi di estinzione idonei alla classe di incendio ed al livello di rischio presenti sul luogo di lavoro, tenendo anche conto delle
particolari condizioni in cui possono essere usati”173.
Con d.m. (Ministero della Salute) 15 luglio 2003, n.388 si è regolamentato il primo soccorso aziendale, dando così attuazione
all’art.15, 3°comma, del d.lgs. n.626/1994174. Il decreto, espressamente richiamato dal Testo Unico (art.45, 2°comma), è venuto a
determinare le caratteristiche minime delle attrezzature a tale fine
dedicate, i requisiti del personale addetto e la sua formazione175; si
prevede peraltro la possibilità di aggiornare i contenuti ivi disposti
tramite “successivi decreti ministeriali di adeguamento”. Si rinvia ad
appositi decreti ministeriali, previo parere della Conferenza
Stato/Regioni, per le modalità di applicazione di tale disciplina in
ambito ferroviario (art.45, 3°comma).
Per la prevenzione incendi, fermo restando quanto previsto dal d.lgs.
n.139/2006176 e dalle disposizioni di cui all’Allegato IV, punto 4, dello
La previsione avrebbe potuto infatti trovare più propria collocazione nell’art.46.
“L’obbligo si applica anche agli impianti di estinzione fissi, manuali o automatici,
individuati in relazione alla valutazione dei rischi” (art.43, 1°comma, lett. e. bis).
174
Ai sensi dell’art.45, 1°comma, “il datore di lavoro, tenendo conto della natura dell’attività e delle dimensioni dell’azienda o della unità produttiva, sentito il medico
competente ove nominato, prende i provvedimenti necessari in materia di primo
soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati”.
175
Il punto 5, dell’Allegato IV, del d.lgs. n.81/2008, che riportava misure in materia di
primo soccorso è stato soppresso dal d.lgs. n.106/2009, dovendosi dunque fare
riferimento direttamente a quanto stabilito dal citato d. m. n.388/2003. Tale regolamentazione richiede al datore di lavoro di classificare la sua azienda rispetto a tre
diversi gruppi di appartenenza, a cui corrispondono obblighi distinti per quanto
concerne, tra l’altro, i presidi sanitari da predisporre nei luoghi di lavoro (cassette
di pronto soccorso e/o pacchetti di medicazione) nonché la messa a disposizione
di strumenti di comunicazione idonei ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio sanitario nazionale. Previsioni specifiche sono disposte anche
per le aziende o unità produttive con lavoratori che prestano la loro attività in luoghi isolati. La formazione dei lavoratori designati al primo soccorso andrà ripetuta
con cadenza triennale almeno per quanto attiene alle capacità di intervento pratico; cfr. in materia L. FANTINI, cit., pp.661 ss.; L. ANGELINI, cit., pp.386 ss., anche
per riferimenti.
176
Che disciplina in particolare le funzioni ed i compiti del Corpo nazionale dei vigili
del fuoco.
172
173
79
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
80
stesso d.lgs. n.81/2008, in via transitoria, fino all’adozione di appositi decreti interministeriali, continuano a trovare applicazione i criteri
generali di sicurezza antincendio e per la gestione delle emergenze
nei luoghi di lavoro di cui al d. m. 10 marzo 1998 (art.46, 3° e
4°comma). Tale disciplina, nell’ambito di un approccio valutativo e
gestionale, e non meramente “autorizzatorio” degli interventi in
materia177, in relazione al tipo di attività, al numero dei lavoratori
occupati ed ai fattori di rischio, detta norme particolari, tra le quali la
previsione di una valutazione specifica del rischio incendio, accanto
alla valutazione generale, e la formazione degli addetti secondo
moduli formativi rapportati alla gravità del rischio (di 16, 8 e 4 ore)178.
Si ritiene che, pur nel nuovo contesto, la regolazione posta dal d. m.
10 marzo 1998 conservi decisivo rilievo anche per il futuro sia per i
principi ispiratori, in assoluta sintonia con quelli del Testo Unico, sia
soprattutto per la considerevole normativa di tipo tecnico, contenuta
negli Allegati, rispetto alla quale si potrà eventualmente porre l’esigenza di un suo aggiornamento179.
Il fatto d’altro lato che la prevenzione incendi sia configurata quale
“funzione di preminente interesse pubblico, di esclusiva competenza
statuale” (art.46, 1°comma), e dunque affidata alle istituzioni competenti (Corpo nazionale dei vigili del fuoco) non significa che venga
meno la centralità dell’azione valutativa e gestionale sul luogo di
lavoro a carico del datore di lavoro (art.46, 2°comma). L’intento è
infatti quello di rafforzare la sinergia tra dimensione esterna e dimensione aziendale, al fine del miglioramento complessivo dei livelli di
sicurezza.
Uno degli aspetti più delicati, e quasi del tutto inesplorati sul piano
applicativo, concerne i profili di responsabilità degli addetti alla
gestione delle emergenze. Si pensi al lavoratore appartenente al
servizio di primo soccorso. In caso di infortunio ad un collega di lavoro ha l’obbligo di intervenire, configurandosi altrimenti una responsabilità, anche sul piano penale, che va al di là del reato di omissione
di soccorso, previsto e punito a carico di chiunque dall’art.593, c.p.,
Cfr. L. FANTINI, cit., p.663.
Aspetto di rilievo è che tutti i lavoratori e non solo gli addetti, devono comunque
essere informati e formati sui comportamenti da tenere in caso di incendio. Ulteriori prescrizioni per la rilevazione e la lotta antincendio sui luoghi di lavoro, come
detto, sono contenute nell’Allegato IV, punto.4, d.lgs. n.81/2008.
179
Cfr. L. ANGELINI, cit., p.391, anche per riferimenti.
177
178
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
essendo egli una persona specificatamente deputata al riguardo;
d’altro lato, l’addetto al primo soccorso è parimenti responsabile, se
pur essendosi attivato, per sua colpa (ad esempio perché non ha
seguito le istruzioni o le procedure aziendali esistenti in materia di
emergenza), arrechi alla vittima un danno ulteriore.
Opportuno è pertanto limitarsi agli interventi di prime cure, volti ad
evitare la degenerazione di danni palesi, coinvolgendo tempestivamente il medico competente, il quale ha una funzione specifica in
materia180, il responsabile del servizio di prevenzione o lo stesso
datore di lavoro, senza alcuna pretesa di sostituirsi al servizio terapeutico o assistenziale, il quale, è utile precisare, può essere svolto
esclusivamente da personale medico o paramedico181.
La sorveglianza sanitaria ed il ruolo del medico competente
Figura di rilievo nel sistema di prevenzione delineato dal d.lgs.
n.81/2008, così come integrato e corretto dal d.lgs. n.106/2009, è il
medico competente, responsabile in particolare della sorveglianza
sanitaria dei lavoratori182.
La normativa sulla salute e sicurezza del lavoro, come sottolineato,
è del resto incentrata sulla collaborazione tra figure con competenAi sensi dell’art.25, 1° comma, lett. a), del d.lgs. n.81/2008, il medico competente
collabora con il datore di lavoro, tra l’altro, “alla organizzazione del servizio di primo
soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro”.
181
Cfr. al riguardo F. MASSIMINO - L. PRATI, Responsabilità degli addetti al servizio
di pronto soccorso, in ISL, 1999, pp.325 ss.; L. ANGELINI, cit., p.382.
182
Che la funzione del medico competente non sia limitata al controllo sullo stato di
salute dei lavoratori, estendendosi anche a “tutti gli altri compiti” contemplati dal
decreto, lo si desume dalla stessa definizione di medico competente, di cui
all’art.2, 1°comma, lett. h), d.lgs. n.81/2008. In argomento, tra gli altri, L. MIGLIETTA, L. FANTINI, Il medico competente, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo
Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit,
pp.361 ss.; F. D’ORSI, La sorveglianza sanitaria, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI,
180
Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs.
n.106/2009), cit.,pp.687 ss. e ID., Le caratteristiche del medico competente, in M.
TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo
il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit, pp.695 ss.; C. AMATO, Il ruolo del medico competente, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di),Le nuove regole
per la salute e la sicurezza dei lavoratori, cit., pp.276 ss.; P. MONDA, La sorveglianza sanitaria, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di),Le nuove
regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, cit., pp.286 ss.; G. CAMPURRA
Le modifiche all’attività del medico competente nel “correttivo” al TU, in ISL, 2009,
pp.495 ss.
81
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
ze diverse in tema di prevenzione (in particolare responsabile del
servizio di prevenzione e protezione, medico competente e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza).
Pare utile in primo luogo sottolineare le principali differenze tra medico competente e responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Innanzitutto la “nomina” del medico competente, contrariamente alla
“designazione” del RSPP, è un adempimento delegabile da parte del
datore di lavoro183.
Il medico competente non è inoltre una figura necessaria184. La sorveglianza sanitaria infatti non è obbligatoria in via generale ma soltanto “nei casi previsti dalla normativa vigente”,secondo le indicazioni fornite dalla Commissione consultiva permanente (art.41,
1°comma, lett. a)185. Cioè quando la legislazione precedente, o
anche quella di futura emanazione, faccia espressa previsione dell’intervento del medico competente, come ad esempio nel caso dei
Cfr. art.18,1° comma, lett. a), in rapporto all’art.17, 1° comma, lett. b), d.lgs.
n.81/2008. L’uso di termini diversi per il medico competente (“nomina”) e per il
Rspp (“designazione”) è alquanto oscuro. In relazione alla scelta del medico competente è d’altro lato prevista, come per il Rspp, la preventiva consultazione del Rls
(art.50, 1° comma, lett. c).
184
Con più dubbi tuttavia rispetto a quanto stabilito dal d.lgs. n.626/1994. L’evoluzione del quadro normativo si caratterizza infatti per il superamento del precedente
approccio legislativo volto a definire in modo tassativo le ipotesi in cui espletare
le attività di controllo sullo stato di salute dei lavoratori, cfr. L. FANTINI, cit., p.361.
Cfr., tra l’altro, l’obbligatorietà della sorveglianza sanitaria ai fini della verifica di
assenza di condizioni di alcool dipendenza o di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti per un lungo elenco di attività che comportano un elevato
rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, o l’incolumità o la salute di
terzi. Tale aspetto, esplicitamente richiamato dall’art.41, 4°comma (in attesa di
una rivisitazione delle condizioni e modalità di accertamento, comma 4.bis), è
disciplinato da norme specifiche per alcool (l. n.125/2001 e provvedimento della
Conferenza Stato/Regioni 16 marzo 2006) e tossicodipendenze (d.p.r.
n.309/1990 e intesa della Conferenza Stato/Regioni 30 ottobre 2007, a sua volta
attuata dall’accordo 18 settembre 2008); cfr. al riguardo M. GIOVANNONE, M.
TIRABOSCHI, La sorveglianza sanitaria speciale: l’accertamento sull’uso di
sostanze psicotrope e alcolemiche, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo
Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit,
pp.701 ss.; G. CAMPURRA, A. PELLEGRINI, A. BRANCIA, Accertamento delle
tossicodipendenze sui lavoratori: competenze, in ISL, 2008, pp.703 ss.; A. BRANCIA, Il ruolo del medico competente nella lotta all’assunzione di sostanze da
abuso, in ISL, 2009, pp.253 ss.
185
Nonché “qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi” (art.41, 1°comma, lett. b).
183
82
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Titoli specifici (da VI a X) del d.lgs. n.81/2008186.
Si può osservare tuttavia, richiamando soprattutto l’art.28,
2°comma, lett. b), secondo il quale nel documento di valutazione dei
rischi deve essere, tra l’altro, riportata “l’indicazione delle misure di
prevenzione e di protezione attuate”, come a seguito di una adeguata valutazione dei rischi la sorveglianza sanitaria possa affermarsi
come indispensabile anche in ambienti di lavoro che, a prima vista,
potrebbero apparirne esenti, là dove si evidenzino rischi che richiedano accertamenti sanitari o un controllo medico periodico (ad
esempio per patologie prive di un apposito riferimento normativo)187.
La valutazione dei rischi esplica dunque una funzione integrativa e
sussidiaria ai fini dell’obbligo della sorveglianza sanitaria rispetto alle
ipotesi espressamente previste dalla normativa188.
Il medico competente infine, diversamente dal RSPP, è una figura
penalmente sanzionata per la violazione della normativa prevenzionale (art.58, d.lgs. n.81/2008). Il medico competente non è dunque
da considerare un mero collaboratore del datore di lavoro e del servizio di prevenzione. Egli è infatti chiamato a svolgere un ruolo autonomo e distinto dal datore di lavoro, con obblighi propri sanzionati
penalmente e dei quali è tenuto a rispondere sia verso l’azienda che
verso la collettività; deve pertanto operare imparzialmente189, e non
per conto e nell’interesse del datore di lavoro, anche qualora sia un
dipendente di quest’ultimo190.
Cfr. circ. Min. lavoro n.102/1995 (punto 5). Rileva come “il riferimento generico dell’art.16 del D.lgs. n.626/94 -ora art.41, d.lgs. n.81/2008- ha il pregio di non precluderne l’estensibilità alla legislazione di futura emanazione”, P. SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro,cit. p.123.
187
Cfr. per la responsabilità del datore di lavoro/medico competente per traumi dell’arto superiore da sforzo ripetuto (nel caso di specie sindrome da tunnel carpale),
Cass. pen., 30 marzo 2005, in c. Mazzoli, in ISL, 2005, p.405.
188
Cfr. sul punto M. DEL NEVO, Quando è necessario nominare il medico competente: gli obblighi reali in tema di sorveglianza sanitaria, in ISL, 2001, pp.301 ss.
189
In base all’art.39, 1°comma, “l’attività del medico competente è svolta secondo i
principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH)”.
190
Se il datore di lavoro è il naturale destinatario delle norme prevenzionali rientrando tra i suoi obblighi anche quello di dotarsi, nei casi richiesti, di un servizio di controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici, il medico competente,
accanto agli obblighi e reati propri, di carattere prevenzionale, di cui agli artt.25 e
58, d.lgs. n.81/2008, può versare in colpa, da valutare con maggiore severità e
rigore rispetto a quella del medico generico, stante la sua qualifica di specialista,
186
83
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
84
La figura del medico competente, a metà strada tra linea operativa e
linea consultiva, non è in definitiva assimilabile a quella del RSPP.
Tali distinzioni possono peraltro portare all’errato convincimento che
il medico competente sia da considerare una figura di minor rilievo,
o meno direttamente impegnata, rispetto al RSPP, all’approntamento del servizio aziendale di prevenzione.
Così non è; il d.lgs. n.81/2008 ha al contrario esteso gli obiettivi della
sorveglianza sanitaria considerando la salute, secondo l’indicazione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, non solo come assenza
di malattia o di infermità, ma come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” (art.2, 1° comma, lett. o)191 del lavoratore.
Il medico competente non deve dunque limitarsi ad eseguire gli
accertamenti obbligatori e a prescrivere eventuali esami specialistici, ma nell’ambito di un approccio integrato e multidisciplinare,
dovrebbe mantenere contatti continui con le altre figure coinvolte, ed
in particolar modo ricercare il consenso e la collaborazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze, conoscere il processo produttivo
e l’ambiente di lavoro nel suo complesso, partecipare attivamente
alla valutazione dei rischi, denunciare le malattie professionali
sospette e attivarsi per rimuoverne le cause.
In connessione con l’attività del medico competente sorgono obblighi anche a carico di altri soggetti. Così il datore di lavoro (e il dirigente) deve, tra l’altro, “inviare i lavoratori alla visita medica entro le
scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo
carico …”(art.18, 1°comma, lett. g)192, informandolo peraltro sui dati
relativi agli infortuni sul lavoro ed alle malattie professionali (art.18,
nei casi di errata diagnosi o di errato giudizio di idoneità, qualora dal suo operato
ne sia derivato un danno per il lavoratore; cfr. sul punto in particolare P. TULLINI,
La responsabilità civile del medico competente verso l’azienda, in Riv.it.dir.lav.,
2002, I,specie pp.226 ss. Per la responsabilità del medico competente in caso di
omesse visite preventive, cfr. Cass. pen., 13 maggio 2005, in c. Quadri, in
DPL,2005, p.1519. Più ampiamente cfr. M. DEL NEVO - A. DEL NEVO, Responsabilità del medico competente, in ISL, inserto n.12/2007.
191
Cfr. supra
192
Si veda anche l’obbligo a carico del datore di lavoro (e del dirigente), nei casi di
sorveglianza sanitaria di cui all’art.41, di “comunicare tempestivamente al medico
competente la cessazione del rapporto di lavoro” (art.18, 1°comma, lett. g). bis), al
fine della visita medica conclusiva all’atto della cessazione del rapporto di lavoro
(di cui all’art.41, 1°comma, lett. e).
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
2°comma, lett. d)193. Ciò a sottolineare il ruolo di garanzia di tali soggetti sull’operato del medico competente, ruolo rispetto al quale
sono chiamati a rispondere sul piano sanzionatorio194.
Il datore di lavoro deve inoltre sopportare gli oneri economici derivanti dalla collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il
medico competente, di cui quest’ultimo può avvalersi per accertamenti diagnostici (art.39, 5° comma). D’altro lato gli stessi lavoratori
non possono, senza giustificato motivo, rifiutare di sottoporsi ai controlli sanitari, previsti o comunque disposti dal medico competente,
incorrendo in tal caso in sanzioni penali e disciplinari195.
Per svolgere le funzioni di medico competente è necessario il possesso di determinati titoli o requisiti. Quanto previsto al riguardo dall’art.38, d.lgs. n.81/2008, rispetto a quanto indicato nel d.lgs.
n.626/1994 (art.2, 1° comma, lett. d), è nel senso di una riduzione
delle specializzazioni necessarie196 e di una maggiore attenzione
alla formazione ed all’aggiornamento, nonché alla trasparenza di
tale figura.
Il datore di lavoro concorda inoltre con il medico competente il luogo di custodia
della cartella sanitaria e di rischio, che il medico competente ha l’obbligo di istituire, aggiornare e custodire, sotto la propria responsabilità, per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria (art.25, 1°comma, lett. c). Contrariamente a quanto stabilito dal d.lgs. n.626/1994 (art.4, 8°comma) l’obbligo di custodire la cartella
sanitaria e di rischio di ciascun lavoratore non è più dunque del datore di lavoro
ma del medico competente (cfr. al riguardo in particolare C. AMATO, cit., p.279). Il
medico competente deve peraltro consegnare al lavoratore, alla cessazione del
rapporto di lavoro, solo copia della cartella sanitaria e di rischio, mentre l’originale
della cartella rimane al datore di lavoro, che la deve conservare per almeno 10
anni, in modo tale che di tale documentazione si possa avere traccia (cfr. art.25,
1°comma, lett. e).
194
Cfr. l’art.55, 5°comma, lett. e), che sanziona a carico del datore di lavoro e del dirigente la violazione, tra l’altro dell’art.18, 1°comma, lett. g). Per l’esclusiva responsabilità del medico competente qualora la mancata attuazione degli obblighi a suo
carico sia addebitabile unicamente allo stesso e non sia riscontrabile un difetto di
vigilanza del datore di lavoro e del dirigente, cfr. l’art.18, comma 3. bis, aggiunto
dal d.lgs. n.106/2009.
195
Cfr. art.20, 2°comma, lett. i).
196
Alcune specializzazioni quali quelle in tossicologia industriale, in igiene industriale, in fisiologia ed igiene del lavoro, nonché in clinica del lavoro non consentono più
l’esercizio delle funzioni di medico competente, a meno che non si abbia anche la
docenza nelle stesse materie (art.38, 1°comma, lett. a) e b). Inoltre per coloro che
hanno la specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale, dal
momento che nel corso di studi non sono previsti tutti gli insegnamenti relativi alla
medicina del lavoro, è stabilito l’obbligo di frequenza di appositi percorsi formativi
193
85
COS’E’ L’ENTE BILATERALE DELL’INDUSTRIA TURISTICA
L’E.B.I.T., Ente Bilaterale dell’Industria Turistica, costituito il 7 giugno 2000 da Federturismo Confindustria, con l’adesione di
Confindustria AICA, e dalle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori del settore FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e UILTuCSUIL, è lo strumento individuato dalle Parti stipulanti il CCNL Industria Turistica per la programmazione e l’organizzazione di
relazioni sul quadro economico e produttivo del settore, per il monitoraggio e la rilevazione permanente dei fabbisogni professionali e formativi del settore e per l’elaborazione di proposte in materia di formazione e qualificazione professionali.
In attuazione di quanto stabilito dalle Parti sociali nel Contratto, l’E.B.I.T. ha svolto studi e ricerche apprezzate non solo nel
settore, ma anche a livello accademico ed istituzionale. È il caso di “Turismo: Prospettive & Governance - Proposte per
uno sviluppo competitivo del Sistema Italia”, dalla cui analisi del settore è emerso un quadro ricco di criticità: la stagionalità della domanda, la frammentazione del tessuto produttivo, l’inadeguatezza dell’organizzazione formativa, l’insufficiente attenzione della politica. Elementi, questi, che permettono di comprendere i motivi di uno sviluppo del turismo inferiore
alle sue grandi potenzialità.
Dallo studio è emersa anche una forte rilevanza attribuita, dalle imprese intervistate, al lavoro competente, vettore di competitività delle imprese e di occupabilità dei lavoratori. Il tema è stato approfondito nella successiva indagine “Per un lavoro competente - La formazione professionale come leva di sviluppo del turismo”.
In questa analisi sono state rilevate le carenze di conoscenze e di profili professionali nel settore turistico, mentre un capitolo è stato dedicato all’uso che le aziende fanno dei fondi dedicati alla formazione, in particolare del Fondo interprofessionale Fondimpresa. Nonostante le aziende riconoscano una certa importanza alla formazione continua dei propri dipendenti, ancora oggi non utilizzano adeguatamente l’opportunità di questi finanziamenti.
L’E.B.I.T. ha, pertanto, avviato una serie di iniziative per incoraggiare le aziende della filiera turistica a sfruttare questa
opportunità, promuovendo costantemente Piani Formativi sugli Avvisi di Fondimpresa. L’E.B.I.T. ha inoltre predisposto un
servizio di assistenza, soprattutto per la fase iniziale di accesso ai finanziamenti per la formazione e l’aggiornamento professionale dei propri dipendenti, momento in cui gran parte delle aziende intervistate hanno manifestato maggiore difficoltà. Il tema della Formazione continua è molto sentito anche dai giovani lavoratori del comparto turistico-alberghiero, come
è stato rilevato dall’ultimo lavoro di E.B.I.T. “Il turismo italiano e le nuove generazioni, un’indagine sul comparto alberghiero”. Lo studio, condotto in collaborazione con E.B.I.T. Veneto e la società Risposte Turismo, ha voluto mettere in luce
valutazioni, problematiche e prospettive future di questo specifico segmento del mercato del lavoro, sia dal punto di vista
delle aziende che da quello dei giovani. L’indagine costituisce, quindi, un importante spunto dal quale partire per una migliore impostazione delle condizioni per fare “nuova” impresa.
Uno dei compiti che la contrattazione ha assegnato all’E.B.I.T. è quello di analizzare l’evoluzione qualitativa e quantitativa
dell’occupazione femminile; a tal fine è stata istituita in seno all’Ente la Commissione per le Pari Opportunità che, utilizzando fonti statistiche e di ricerca diretta, rende conto degli andamenti dell’occupazione maschile e femminile nel settore,
anche e soprattutto rispetto ai livelli di inquadramento professionale e alla tipologia di rapporti di lavoro utilizzati. L’impegno
della Commissione nello svolgimento dei propri compiti ha portato alla realizzazione dell’indagine su “Le Pari Opportunità nel settore dell’industria turistica”, la cui Prefazione è stata scritta dalla Consigliera Nazionale di Parità, Alessandra
Servidori. In E.B.I.T. è stata inoltre istituita la Commissione Apprendistato, a cui le aziende possono rivolgersi per richiedere il parere di conformità per assumere apprendisti a seguito di un percorso formativo in cui il giovane, con la supervisione di un tutor aziendale qualificato, acquisisce competenze di base, trasversali e tecnico-professionali relative alla qualifica
scelta. Sull’argomento, l’E.B.I.T. ha realizzato il Cd-rom “Analisi dinamica e contesto normativo, contrattuale
(1997/2007) sul contratto di Apprendistato”.
L’E.B.I.T. vanta al proprio interno due importanti Osservatori:
Osservatorio sulla Legislazione turistica, primo Osservatorio sul tema istituito in Italia, per la consultazione di tutte le
leggi sulla legislazione turistica italiana e il confronto tra tutte le tipologie di leggi turistiche di ciascuna Regione;
Osservatorio sulla Contrattazione collettiva nazionale e di secondo livello, un importante archivio, in costante aggiornamento, contenente i contratti nazionali ed aziendali.
Inoltre, tutta la Normativa in materia di sicurezza del lavoro è stata raccolta dall’E.B.I.T. In un Cd-rom su “Salute e sicurezza – Vademecum per i lavoratori e le lavoratrici del settore Turismo”.
In questi anni l’E.B.I.T. ha potenziato la propria rete territoriale attraverso la costituzione di Enti Bilaterali Territoriali sia in
forma regionale che provinciale, il cui operato è riassunto nella pubblicazione “Le attività degli Enti Bilaterali”.
Con l’obiettivo di offrire supporto al reddito dei lavoratori dipendenti di imprese turistiche che, per crisi e/o ristrutturazione
e/o riorganizzazione aziendale, sono interessate da periodi di sospensione dell’attività, l’E.B.I.T. è l’Ente che può interviene attraverso l’utilizzo dei Fondi accantonati per il Sostegno al Reddito, Fondo costituito in data 1 aprile 2008.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
88
Così, oltre ai titoli e requisiti indicati, per poter svolgere le funzioni di
medico competente è altresì necessario partecipare al programma
di educazione continua in medicina previsto dal d.lgs. n.229/1999, e
successive modifiche ed integrazioni. Viene inoltre istituito presso il
Ministero del lavoro un “elenco” dei medici competenti, nel quale
devono iscriversi coloro che sono in possesso dei titoli e requisiti
richiesti (cfr. al riguardo d. m. 4 marzo 2009, che dispone, tra l’altro,
un sistema di verifica, anche a campione, che in caso di esito negativo comporta la cancellazione d’ufficio dall’elenco).
Il medico competente può svolgere la sua attività sia in qualità di
dipendente del datore di lavoro, sia come libero professionista sia
ancora come dipendente o “collaboratore” di una struttura esterna
pubblica o privata, ivi comprese quelle costituite su iniziativa delle
organizzazioni datoriali, convenzionate con l’imprenditore (art.39,
2°comma). Contrariamente a quanto prospettato dal d.lgs.
n.626/1994 –art.17,5°comma - e affermato dal Ministero del lavoro (con risposta ad interpello 22 dicembre 2005, prot. n.3148) è
dunque ora ammissibile la possibilità di instaurare rapporti di lavoro di natura autonoma tra il medico competente e la struttura incaricata197.
In merito all’incompatibilità tra attività di consulenza e attività di vigilanza, l’art.39, 3°comma, stabilisce che “il dipendente di una struttura pubblica, assegnato a uffici che svolgono attività di vigilanza, non
può prestare ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente”198. Si è dunque optato per la tesi
della incompatibilità assoluta tra funzioni di consulenza e di vigilanza, rispetto a quella dell’incompatibilità relativa, per cui si poteva riteuniversitari da definire tramite decreto, disponendosi una disciplina transitoria per
chi già svolge le attività di medico competente o dimostri di aver svolto tali attività
per almeno un anno nell’arco dei 3 anni anteriori all’entrata in vigore del d.lgs.
n.81/2008 (art.38, 2°comma). In parziale contro tendenza pare la previsione, introdotta dal d.lgs. n.106/2009, che consente di espletare l’attività di medico competente ai medici militari, compresi quelli della Polizia di Stato, che abbiano svolto
l’attività di medico nel settore del lavoro per almeno 4 anni (art.38, 1°comma, lett.
d).bis).
197
Cfr. in senso critico, G. CAMPURRA, Le modifiche all’attività del medico competente nel “correttivo” al TU,cit. p.496; più ampiamente P. SOPRANI, Medico competente: lavoratore autonomo o dipendente?, in ISL, 2006, pp.133 ss.; F BACCHINI,
Strutture di medicina del lavoro, sorveglianza sanitaria e incarico di medico competente, in ISL, 2007, pp.5 ss.
198
La previsione trova conferma nell’art.13, 5°comma.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
nere legittimo l’esercizio dei compiti di medico competente da parte
dell’organo di vigilanza in un ambito territoriale diverso di quello di
sua competenza ai fini ispettivi, e ciò in considerazione del fatto che
possono rendersi necessarie indagini anche al di fuori dell’ambito
territoriale in cui si esercita il controllo199.
Principale attività del medico competente è quella del controllo
sanitario dei lavoratori. L’art.41, del d.lgs. n.81/2008, sulla sorveglianza sanitaria, integra la previsione dei soli accertamenti preventivi e periodici, stabilita in precedenza (art.16, d.lgs.
n.626/1994) in un contesto più ampio e articolato. In tal senso sono
le disposizioni sulla visita medica in occasione del cambio di mansione200, ed al momento della cessazione del rapporto di lavoro201,
nonché sulla periodicità minima annuale per lo svolgimento dei
controlli di idoneità202.
L’idoneità è d’altro lato da correlare, in senso stretto, alla “mansione
specifica” e non, più in generale, al posto di lavoro, il che presuppone, da parte del medico competente la previa conoscenza dell’ambiente di lavoro. Non si tratta in tal caso di generica visita di idoneità
ma di un accurato accertamento delle condizioni del lavoratore in
relazione ai rischi connessi alla mansione, accertamento che costituirà la base per una efficace successiva sorveglianza sanitaria
periodica203.
Gli accertamenti includono anche gli esami clinici e biologici e le
indagini diagnostiche mirate al rischio ritenute necessarie dal medico competente.
Si fa riferimento in questa sede agli accertamenti sanitari obbligatori, cioè prescritti dalla legge, e non invece a quelli discrezionalmente disposti dal datore di lavoro per controllare l’idoneità fisica
del lavoratore che, ai sensi dell’art.5, 3°comma, Stat. Lav., restano
Non è escluso del resto che personale assegnato ad uffici diversi da quelli di vigilanza possa essere adibito, da parte della struttura pubblica, ad attività di consulenza.
200
Cfr. art.41, 2°comma, lett. d).
201
Cfr. art.41, 2°comma, lett. e).
202
“Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente
in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza,con provvedimento
motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente” (cfr. art.41, 2°comma, lett. b).
203
Cfr. A. CULOTTA - M. DI LECCE - G.C. COSTAGLIOLA, cit., p.98; P. SOPRANI,
Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, cit.,pp.118 ss.
199
89
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
90
di pertinenza degli enti pubblici o degli istituti specializzati di diritto
pubblico204.
Tra le modifiche più rilevanti introdotte dal d.lgs. n.106/2009 quella
relativa alla possibilità di effettuare la visita medica preventiva anche
in fase preassuntiva (art.41, 2°comma, lett. e. bis), risolvendo così
una questione assai controversa sul piano interpretativo205. Si riconduce dunque ad un unico momento valutativo da parte del medico
competente l’idoneità del lavoratore, anche da assumere, che debba
essere adibito ad attività sottoposte a sorveglianza sanitaria, ferma
restando la possibilità di un controllo pubblico successivo sull’operato del medico competente206.
Altra significativa novità è quella che dispone la visita medica “precedente alla ripresa del lavoro”, a seguito di assenza per motivi di
salute di durata superiore ai 60 giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione (art.41,2°comma, lett. e. ter)207.
La sorveglianza sanitaria non può invece essere effettuata per
accertare stati di gravidanza né gli altri casi vietati dalla normativa
vigente (art.41, 3°comma, lett. b) e c)208.
Sulla base delle risultanze delle visite mediche, il medico competente esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
a) idoneità; b)idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni; c)inidoneità temporanea; d) inidoneità permanente. Tali giudizi sono formulati dal medico competente per iscritto
In base all’art.5, 3°comma, St. lav. “il datore di lavoro ha facoltà di far controllare
l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico”.
205
Sul punto sia consentito rinviare, anche per riferimenti, a M. LAI, La sicurezza del
lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, 2002, pp.174 ss.; cfr. sulla nuova
disciplina R. CODEBO’, Visite mediche preassuntive: obbligo o facoltà ?, in ISL,
2009, pp.677 ss.
206
Si prevede altresì che le visite mediche preventive in fase preassuntiva possano
essere svolte, su scelta del datore di lavoro, oltre che dal medico competente,
anche dai dipartimenti di prevenzione delle ASL (art.41, comma 2 bis); ipotesi che
potrebbe risultare contraddittoria (ai sensi dell’art.41, 9°comma) con la prevista
possibilità di ricorso avverso tale accertamento presso lo stesso organo di vigilanza; in tal senso G. CAMPURRA, cit. p.497.
207
La previsione non è esente da critiche; si è infatti evidenziato che se un lavoratore è ancora in malattia non può essere sottoposto a visita da parte del medico
competente, verificandosi altrimenti una violazione dell’art.5, St. lav.; più appropriata poteva risultare l’espressione “prima di una nuova esposizione al rischio”;
cfr. in tal senso G. CAMPURRA,cit., p.497.
208
Ad esempio per i divieti di cui alla legge n.300/1970 e alla legge n.68/1999.
204
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
dandone copia al lavoratore ed al datore di lavoro (nel caso di
espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati
anche i limiti temporali di validità).
Contro i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in
fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente
competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso (art.41, commi 6/9)209.
In attuazione di quanto contemplato nella delega210 si disciplina la controversa questione della inidoneità sopravvenuta del lavoratore alla
mansione specifica211, stabilendo che il datore di lavoro, in caso di giudizio di inidoneità da parte del medico competente, “adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori, garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza” (art.42, d.lgs. n.81/2008, come modificato dal d.lgs.
n.106/2009). È da segnalare come la previsione sia assai più generica di quella originariamente disposta dal d.lgs. n.81/2008, che, in caso
di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori, prevedeva la conservazione della retribuzione, nonché della qualifica originaria.
Oltre al controllo sanitario dei lavoratori, il medico competente svolge anche funzioni informative e di collaborazione e partecipazione212.
Il medico competente è tenuto inoltre ad attivare uno scambio informativo con il Servizio sanitario nazionale, al fine di poter fornire dati
utili al Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di
lavoro, di cui all’art.8213.
Cfr. in argomento, in riferimento a casi pratici, M. DEL NEVO, Il giudizio di idoneità
alla mansione, in ISL,2001, pp.525 ss.; più in generale ID.,Certificati di idoneità con
prescrizioni e reali obblighi del datore di lavoro, in ISL,2003, pp.257 ss.
210
Cfr. il criterio di delega di cui all’art.1, 2° comma,lett. u), l. n.123/2007, secondo cui
occorre “rafforzare e garantire le tutele previste dall’articolo 8 del decreto legislativo
15 agosto 1977”, articolo che del resto prevedeva la tutela del lavoratore inidoneo solo
per i casi di inidoneità sopravvenuta di carattere temporaneo e non anche definitivo.
211
Per riferimenti di dottrina e giurisprudenza cfr. supra
212
Cfr. art.25, d.lgs. n.81/2008.
213
Entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento il medico competente dovrà infatti trasmettere, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per
territorio, le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati
aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria, secondo il modello contenuto nell’Allegato III b), del decreto stesso. La violazione della previsione in esame (art.40, 1°comma) è punita a carico del medico competente con la
sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 4.000 (art.58, 1°comma, lett. e).
209
91
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
I soggetti coinvolti e le loro interazioni: la partecipazione dei
lavoratori e delle loro rappresentanze (diritti e obblighi dei
lavoratori, le disposizioni per i lavoratori autonomi e per i componenti dell’impresa familiare, informazione e formazione, il
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, gli organismi
paritetici)
92
Diritti e obblighi dei lavoratori: il generale obbligo di cura della
sicurezza e della salute
Da più parti si è sottolineato, con particolare enfasi, già in riferimento alla disciplina posta dal d.lgs. n.626/1994, il nuovo ruolo richiesto
al lavoratore: non più destinatario passivo di precetti da eseguire,
ma soggetto attivo e responsabile della sicurezza propria e di quella altrui214.
Dei diritti individuali dei lavoratori si è fatto cenno in riferimento al
diritto del lavoratore di allontanarsi dal lavoro in caso di pericolo
grave e immediato215 e ne tratteremo tra breve esaminando il tema
della informazione e formazione.
I lavoratori non sono d’altro lato solo destinatari di diritti.
La normativa degli anni ‘50 (art.6, d.p.r. n.547/1955 e art.5, d.p.r.
n.303/1956), ora espressamente abrogata216, trattava peraltro di
“doveri” dei lavoratori, accanto agli obblighi dei datori di lavoro, dei
dirigenti e dei preposti; l’attuale disciplina pone invece “obblighi”
anche a carico dei lavoratori, la cui inosservanza è penalmente
sanzionata.
In realtà tale mutamento è desumibile già dalla lettura di quelle parti
del decreto in cui “il disporre ed esigere” che i lavoratori osservino le
norme di sicurezza si trasforma nel “richiedere l’osservanza” delle
disposizioni in materia217.
Cfr. sul punto, tra gli altri, M. LEPORE, La rivoluzione copernicana della sicurezza
del lavoro, in Lav. inf.,1994, n.22,p.8; A. MONEA, D.lgs. n.626/1994. Un nuovo ruolo
per il lavoratore, in DPL, 1995, p.1227; R. DEL PUNTA, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione e formazione, in L. MONTUSCHI (a cura di), Ambiente, Salute
e Sicurezza, cit.,p.157 ss.; M. CORRIAS, Sicurezza e obblighi del lavoratore, Torino, 2008,al quale si rinvia per ulteriori riferimenti.
215
Cfr. supra
216
Cfr. art.304. 1°comma, lett. a)
217
Cfr. art.18, 1°comma, lett. f), d.lgs. n.81/2008 (già art.4,5° comma, lett. f), d.lgs.
n.626) in rapporto all’art.4, lett. c), d.p.r. n.547/1955 e art.4, lett. d), d.p.r.
n.303/1956.
214
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
La disciplina posta dall’art.20, d.lgs. n.81/2008, sugli obblighi dei
lavoratori, riprende sostanzialmente quanto già stabilito dall’art.5,
d.lgs. n.626/1994, con significative aggiunte, specie per quanto
riguarda la materia degli appalti218. Del tutto innovative sono invece
le previsioni dettate dall’art.21 per i lavoratori autonomi ed i componenti dell’impresa familiare219.
In base all’art.20, 1°comma, d.lgs. n.81/2008 “ogni lavoratore deve
prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre
persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle
sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle
istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Il fatto che “ogni lavoratore”, individualmente, abbia un dovere di
fare, di “prendersi cura”, implica “per il lavoratore un’attenzione specifica, una premura, una modalità più attiva, consapevole ed impegnata di quanto risultasse dai testi normativi precedenti”220.
Lo spostamento, rispetto a quanto stabilito dal d.lgs. n.626/1994, al
primo posto delle disposizioni particolari della previsione di “contribuire”, insieme alle figure aziendali, all’adempimento degli obblighi
previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (art.20,
2°comma,lett. a), conferma ulteriormente il ruolo richiesto al lavoratore all’interno del sistema di prevenzione221.
La portata degli obblighi a carico del lavoratore va peraltro letta
sulla base di una verifica dell’esistenza dei presupposti necessari
per il loro adempimento. Gli impegni del lavoratore vanno infatti
valutati “… conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai
mezzi forniti dal datore di lavoro”. Se dunque la “formazione”, le
“istruzioni” o i “mezzi” ricevuti sono carenti, la responsabilità del
Cfr. in particolare A. DI CASOLA, Il ruolo dei lavoratori subordinati e autonomi,in L.
ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di),Le nuove regole per la salute e
la sicurezza dei lavoratori, cit, pp.250 ss.; D. VENTURI, Lavoratore: definizione e
obblighi,in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul
lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n.106/2009), cit, pp.371 ss.
219
Cfr. A. DI CASOLA, cit., pp.259 ss.; L. FANTINI, I componenti dell’impresa familiare, i piccoli imprenditori, i lavoratori autonomi, in M. TIRABOSCHI - L. FANTINI, Il
218
Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs.
n.106/2009),pp.391 ss..
220
Così,in riferimento all’analoga previsione del d.lgs. n.626/1994, A. MONEA, cit.,
221
p.1228; cfr. più ampiamente M. CORRIAS, cit., pp.70 ss.
Cfr. A. DI CASOLA, cit., p.251. “La disposizione contenuta nella lettera a) avrebbe
la valenza di una norma di chiusura, idonea a ricomprendere tutte le situazioni non
espressamente regolate”, cfr. M. CORRIAS, cit., p.91.
93
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
94
lavoratore sarà minore, se non addirittura inesistente222.
Stretto è anche il legame con le prerogative attribuite al lavoratore in
tema di informazione (art.36) e di formazione (art.37), strumentali
non solo ad una migliore tutela della propria salute ma anche alla
possibilità di adempiere agli obblighi di cui all’art.20223.
Più in generale è da osservare come in materia si realizzi un “intreccio stretto e indissolubile fra diritto e obbligazione abbastanza
inconsueto secondo i classici modelli dello ius civile …”224, nonché
tra motivi pubblicistici e privatistici, dal momento che il
lavoratore/creditore di sicurezza, in quanto sufficientemente informato, formato e dotato dei mezzi necessari, è al contempo debitore nei confronti del datore di lavoro, dovendo attivamente collaborare con lui nell’adempimento dell’obbligazione di sicurezza ex
art.2087 c.c., presupposto indispensabile per il corretto esercizio
dell’attività produttiva.
Tutto ciò in una prospettiva che va ben al di là della mera cooperazione creditoria di stampo civilistico, trattandosi, come detto, di obblighi anche penalmente sanzionati225.
D’altro lato se il lavoratore ha l’obbligo di prendersi cura non solo
della propria sicurezza e salute ma anche di quella “delle altre persone presenti sul luogo di lavoro”, siano essi altri lavoratori o terzi,
sui quali possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni,
pare superata una visione individuale e parcellizzata dell’attività
lavorativa, dovendo questa invece collocarsi ed integrarsi all’interno
di una determinata organizzazione produttiva, in piena sintonia
peraltro con l’assetto prefigurato dalla normativa di prevenzione, che
considera l’organizzazione della salute e della sicurezza del tutto
inscindibile dall’organizzazione del lavoro226.
In relazione ai termini utilizzati si può notare come la presenza dell’aggettivo possessivo “sua”, in riferimento alla formazione, stia a significare la necessità di tener
conto del bagaglio complessivo di conoscenze e competenze possedute dal lavoratore, comprensivo dell’esperienza altrove acquisita, oltre che della formazione
specificatamente erogata dal datore di lavoro.
223
Cfr. in particolare L. MONTUSCHI, La sicurezza nei luoghi di lavoro ovvero l’arte
del possibile, cit., p.419; R. DEL PUNTA,cit.., p.158.
224
Cfr. L. MONTUSCHI, cit., p.419.
225
Cfr. L. MONTUSCHI, cit., p.419.
226
Cfr. L. GALANTINO, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, in L. GALANTINO (a
cura di), La sicurezza del lavoro, cit., p.46; R. DEL PUNTA, cit., pp.172-173 al quale
si rinvia per ulteriori considerazioni.
222
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
L’obbligo generale di sicurezza a carico del lavoratore, di cui
all’art.20, 1° comma, così come prospettato, pur non assistito da
sanzione penale227, non sembra avere un valore puramente programmatico, fungendo da rilevante criterio interpretativo per gli obblighi particolari stabiliti dal 2° comma228.
Tra questi merita segnalare, quali importanti precisazioni rispetto
alla disciplina posta dal d.lgs. n.626/1994, l’obbligo per il lavoratore di “partecipare ai programmi di formazione e di addestramento
organizzati dal datore di lavoro” (art.20, 2° comma, lett. h); obbligatorietà non nuova alla disciplina antinfortunistica seppur dispersa in molteplici disposizioni dei titoli specifici del d.lgs.
n.626/1994229, nonché di sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal
decreto “o comunque disposti dal medico competente” (art.20, 2°
comma, lett. i)230.
Nell’ambito delle disposizioni di cui all’art.20 è inserito anche l’obbligo per i lavoratori di aziende che svolgano attività in regime di appalto o subappalto di esporre apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le proprie generalità e l’indicazione
del datore di lavoro (art.20, 3° comma). Mentre per i lavoratori subordinati tale tessera è fornita dal datore di lavoro (art.18, 1°comma,
lett. u), i lavoratori autonomi, che esercitino direttamente la propria
attività nel medesimo luogo di lavoro, sono tenuti a provvedervi per
conto proprio231/232.
La violazione da parte del lavoratore degli obblighi posti a suo carico dall’art.20, 2°comma, con l’eccezione della lettera a), è sanzionaAl pari della previsione di cui alla lett. a), del 2°comma.
Cfr. al riguardo M. CORRIAS, cit., pp.70 ss. In senso parzialmente contrario A.
CULOTTA - M. DI LECCE - G.C. COSTAGLIOLA, cit., per i quali la norma in esame
“… possiede un evidente valore indicativo e programmatico”, p.167.
229
Cfr. art.39, 1°comma, in materia di attrezzature di lavoro; art.44, 1°comma, in
materia di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.
230
Per dubbi sulla costituzionalità della previsione stante la sua indeterminatezza, cfr.
D. VENTURI, cit., p.375.
231
Gli obblighi in esame, sia quello del datore di lavoro di munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento (art.18, 1°comma, lett. u), sia quello del lavoratore
di esporre detta tessera (art.20, 3° comma), erano stati introdotti dall’art.36.bis,
3°comma, della l. n.248/1996 (c.d. “legge Bersani”) per il settore dell’edilizia. Lo
stesso obbligo era stato poi esteso agli appalti di tutti i settori produttivi dall’art.6,
della l. n.123/2007, ora abrogato.
232
Con riferimento ai lavoratori autonomi la previsione è ribadita nell’art.21, 1°
comma, lett. c).
227
228
95
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
ta penalmente233. È da aggiungere, come anticipato nel testo, che il
mancato adempimento delle disposizioni in esame può dare luogo
anche all’irrogazione di sanzioni disciplinari che possono giungere
fino al licenziamento del lavoratore (che si sia ad esempio rifiutato,
senza giustificazione, di indossare una maschera protettiva)234.
Il ricorso, assai impopolare (specie nelle realtà di piccola e media
impresa), alle sanzioni disciplinari, da adottare in rapporto alla gravità dell’inadempimento e secondo la procedura di cui all’art.7, dello
St. lav., in base all’insegnamento della stessa Cassazione, deve
peraltro essere inteso come extrema ratio, quando tutte le altre strade (informazione, formazione, coinvolgimento del lavoratore, richiami informali) siano state esperite senza risultato235.
Le disposizioni per i lavoratori autonomi e per i componenti
dell’impresa familiare
In attuazione del principio di delega di cui all’art.1, 2°comma, lett. c),
della l. n.123/2007236, secondo quanto in particolare prefigurato dall’art.3, 11°237 e 12° comma238, con l’art.21, del d.lgs. n.81/2008, si
Ai sensi dell’art.59, 1° comma, lett. a). La sanzione prevista è l’arresto fino ad un
mese o l’ammenda da duecento a seicento euro. Parimenti è sanzionato, sempre
nell’art.59, 1° comma, lett. a), il rifiuto ingiustificato della designazione di incaricato della gestione delle emergenze (art.43, 3° comma, 1° periodo).
234
Emblematica al riguardo è Cass.26 gennaio 1994, n.774, in Riv.it.dir.lav., 1995, II,
p.118 con nota di O. BONARDI, Rifiuto da parte del lavoratore di misure di protezione e licenziamento disciplinare, dove si afferma che “ai fini del giudizio sulla gravità
di tale infrazione è peraltro necessaria una valutazione sia della specifica idoneità,
soggettiva e oggettiva, di tale misura per garantire l’integrità fisica del lavoratore, sia
delle ragioni del rifiuto di questi”. Cfr. sul punto, Cass.27 febbraio 2004, n.4050 (in
Riv.it.dir.lav., 2004, II, p.897, con nota critica di L. MONTUSCHI) che ha riconosciuto l’illegittimità del licenziamento del lavoratore (affetto da “nevrosi fobica” verso aghi
e siringhe ad uso medico) per il rifiuto di sottoporsi ad accertamenti sanitari, disposti dal medico competente, comprendenti anche l’effettuazione di prelievo ematico.
235
Cfr. Cass. pen.,19 giugno 1992, n.7114. Sul necessario rispetto del principio di proporzionalità ex art.2106 c.c. e della procedura di cui all’art.7, Stat. lav., per le inosservanze del lavoratore alle norme e disposizioni datoriali in materia di sicurezza,
cfr. in particolare L. PRATI, Disciplina antinfortunistica: responsabilità del lavoratore, in ISL, 1997, p.565.
236
Relativo alla previsione di “adeguate e specifiche misure di tutela per i lavoratori autonomi, in relazione ai rischi propri delle attività svolte e secondo i principi della raccomandazione n.2003/134/Ce del Consiglio, del 18 febbraio 2003”; cfr. al riguardo P. SOPRANI, Lavoratori autonomi: prospettive di sicurezza sul lavoro, in DPL, 2003, pp.1367 ss.
237
Secondo cui “nei confronti dei lavoratori autonomi di cui all’art.2222 del codice civile si applicano le disposizioni di cui agli articoli 21 e 26”.
233
96
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
introducono disposizioni anche per i lavoratori autonomi ed i componenti dell’impresa familiare.
I destinatari delle disposizioni di cui all’art.21 sono più propriamente, dopo le modifiche apportate dal d.lgs. n.106/2009, “i componenti dell’impresa familiare di cui all’art.230 bis del codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’art.2222
del codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società
semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti..”.
Si tratta peraltro di obblighi minimali e di facoltà che tengono conto
della particolare natura dell’attività svolta.
Le menzionate categorie di lavoratori, che di norma effettuano lavori in proprio, senza dipendenti, devono utilizzare le attrezzature di
lavoro e i dispositivi di protezione individuale in modo conforme a
quanto stabilito nel Titolo III del d.lgs. n.81/2008 (art.21,1°comma,
lett. a) e b). Sono tenuti inoltre a munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità
qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale
si svolgano attività in regime di appalto o subappalto (art.21,
1°comma, lett. c).
Accanto a tali obblighi, penalmente sanzionati 239, in conformità
alle indicazioni comunitarie, si prevede poi la facoltà di beneficiare, con oneri a proprio carico, della sorveglianza sanitaria,
secondo le previsioni di cui all’art.41, nonché di partecipare a
corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul
lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le
previsioni di cui all’art.37. In entrambi i casi vengono fatti salvi
gli eventuali obblighi previsti da norme speciali (art.21,
2°comma).
Si tratta dunque di un considerevole ampliamento della tutela
prevenzionale. Ad esempio per i componenti dell’impresa familiare, di cui all’art.230. bis, c.c., può dirsi definitivamente superato
l’orientamento che portava ad escludere l’applicabilità delle
norme di sicurezza sul lavoro in quanto considerate incompatibiSecondo cui “nei confronti dei componenti dell’impresa familiare di cui all’art.230.
bis del codice civile, dei coltivatori diretti del fondo, degli artigiani e dei piccoli commercianti e dei soci delle società semplici operanti nel settore agricolo si applicano le disposizioni di cui all’art.21”.
239
Cfr.art.60, 1°comma.
238
97
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
li con il vincolo affettivo che lega tra loro i componenti di tale
impresa240.
D’altro lato il fatto che la sorveglianza sanitaria e la frequenza dei
percorsi formativi sia posta a carico, sul piano economico, dei beneficiari può scoraggiare il ricorso a tali strumenti241.
Responsabilità del lavoratore e del datore di lavoro
L’ampliamento degli obblighi e delle relative sanzioni a carico del lavoratore in materia di sicurezza pone la delicata, e rilevante, questione della
possibile erosione dell’area di responsabilità, civile e penale, del datore
di lavoro e delle altre figure aziendali242. Maggiore è infatti, per un lavoratore informato e formato, la consapevolezza dei suoi comportamenti,
minore dovrebbe essere la pretesa dell’ordinamento di un assiduo e
diretto controllo da parte del datore di lavoro sul suo operato243.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente in caso di infortunio per colpa del lavoratore è esclusa la responsabilità del datore
di lavoro (e/o del dirigente e del preposto) solo nell’ipotesi di comportamento assolutamente “imprevedibile” del lavoratore e cioè
estraneo al processo di produzione o alle mansioni attribuite244 o alle
direttive ricevute245, da valutarsi anche in relazione al livello di espe98
Cfr. Corte cost. n.212/1993, richiamata da circ. Min. lavoro n.154/1996; cfr. tuttavia
circ. Min. lavoro n.28/1997, che ha ritenuto assoggettabili alla normativa di prevenzione i collaboratori familiari nel caso in cui essi “prestino la loro attività in maniera continuativa e sotto la direzione di fatto del titolare”.
241
Cfr. in tal senso M. CORRIAS, cit., p.99.
242
Cfr. in particolare L. GALANTINO, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, cit., pp.4647; R. DEL PUNTA, cit., pp.185 ss.; M. CORRIAS, cit., pp.148 ss.
243
Cfr. S. RUFFILLI, Responsabilità dei lavoratori e dell’impresa,in ISL,1997,p.402.
244
Cfr., tra le altre, in sede civile, Cass. 17 marzo 1999, n.2432,cit., secondo la quale
il datore di lavoro è esonerato da responsabilità “solo quando il comportamento del
dipendente presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed
eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento”. Cfr., più di recente,
Cass., 18 maggio 2007, n.11622,cit.; Cass. pen., 23 ottobre 2008, n.39888, in
DPL, 2009, pp.356 ss., con nota di A TAMPIERI.
245
Cfr. Cass. pen. 3 novembre 1998, in c. Baldini, in ISL, 1998, p.647.
246
Cfr. Cass. pen. 18 maggio 1999, in c. Trydvall, in ISL,, 1999, p.652. Si è peraltro
evidenziato come l’obbligo di vigilanza per prevenire gli infortuni sul lavoro posto a
carico del datore di lavoro dall’art.41, 2° comma, Cost. e dall’art.2087 c.c., sia
ancora più intenso nel caso di impiego di lavoratori giovani, con scarsa esperienza assunti con contratto di formazione e lavoro o apprendistato, cfr. Cass.
n.11622/2007, cit.
240
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
rienza delle stesso lavoratore246. Presupposto per affermare la
responsabilità esclusiva del lavoratore è peraltro l’accertato rispetto
della normativa antinfortunistica da parte del datore di lavoro247.
Al riguardo si fa presente come, in relazione alle forme di cosiddetta protezione oggettiva, il datore di lavoro debba, tra l’altro, predisporre e far osservare le misure tecniche e organizzative atte ad
impedire che le attrezzature di lavoro possano essere utilizzate “per
operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte”
(art.71, 3°comma, d.lgs. n.81/2008), nonché far sì che per ogni
attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i lavoratori incaricati dell’uso dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una formazione ed un addestramento adeguati in rapporto alla
sicurezza, prospettando anche i pericoli derivanti da prevedibili
situazioni anormali di impiego (art.73, 1°comma). L’obbligo di tener
conto del prevedibile uso scorretto delle attrezzature di lavoro è
posto anche a carico dei progettisti, dei fabbricanti e dei fornitori, ai
sensi degli articoli 22 e 23, d.lgs. n.81/2008, (in relazione a quanto
stabilito nell’allegato I, del d.p.r. n.459/1996)248.
Il criterio della “prevedibilità” è peraltro cosa diversa dalla prescrizione di “un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed
innominata diretta a evitare qualsiasi danno – con la conseguenza di
ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta
che il danno si sia verificato – occorrendo invece che l’evento sia
riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento
Per riferimenti di giurisprudenza cfr. P. SOPRANI,, Sicurezza e prevenzione nei
luoghi di lavoro, cit.,, p.391, nota n.464. Tra le ultime, Cass., 21 luglio 2008,
n.18107, in Riv.giur.lav., 2009, II, p.411, con nota di A. FEDERICI.
248
Nell’occuparsi di un infortunio sul lavoro occorso ad una macchina sprovvista delle
prescritte precauzioni, la Cassazione ha avuto modo di affermare che gli obblighi
in materia non possono dirsi soddisfatti allorché i dispositivi di sicurezza non siano
atti a fronteggiare “… anche situazioni anomale di funzionamento del macchinario,
dovute a cause estrinseche a quest’ultimo, che non siano eccezionali ed al di fuori
della comune ragionevole prevedibilità”, Cass. pen. 18 gennaio 2000, in c. Tomarchio, in ISL, 2000, p.326. È da segnalare che in caso di infortunio sul lavoro occorso su una macchina portatrice di vizi agevolmente percepibili, la marcatura “CE”
apposta sulla macchina non esonera da responsabilità, stante la sua natura autocertificatoria, chi la produce o mette in vendita senza il rispetto delle norme antinfortunistiche, né esonera il datore di lavoro acquirente in ragione dell’accertata non
conformità della macchina ai previsti requisiti di sicurezza; cfr., tra le altre, Cass.
pen., 30 settembre 2008, in c. Vigilardi e altro, in ISL, 2008, p.748; Cass. pen., 22
settembre 2009, in c. Inversioni, in ISL, 2009, p.692.
247
99
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
100
imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente
individuati”249.
Peraltro ai fini della responsabilità del datore di lavoro è del tutto
indifferente il consenso del lavoratore alla violazione delle norme di
sicurezza, stante l’indisponibilità del bene protetto.
Secondo parte della dottrina gli obblighi posti in materia potrebbero
contribuire ad allargare le ipotesi di responsabilità penale del lavoratore che abbia determinato, o contribuito a determinare, con la propria condotta colposa un infortunio ad un altro collega di lavoro,
venendo a configurarsi la violazione dell’art.20, d.lgs. n.81/2008 (e
già in precedenza dell’art.5, d.lgs. n.626/1994) quale “criterio di individuazione della “colpa” ex art.43 c.p., ai fini di un eventuale coinvolgimento nei delitti di omicidio o di lesioni personali; più o meno come
accade al datore di lavoro a causa della indiretta rilevanza penale
che è venuto ad assumere l’art.2087”250. In tal caso la violazione
della normativa prevenzionale a carico del lavoratore assumerebbe
pertanto anche uno specifico rilievo ai fini dell’accertamento della
responsabilità in sede penale.
Sul piano della responsabilità civile non pare d’altro lato estendersi
l’area della autonoma ed esclusiva responsabilità del lavoratore oltre
i casi finora riconosciuti del “dolo” e del cosiddetto “rischio elettivo”251
del lavoratore, potendo al massimo essere valorizzata l’ipotesi del
concorso di colpa; in tal caso il comportamento negligente o imprudente del lavoratore, ai sensi dell’art.1227, 1° comma, c.c., potrà
determinare, in proporzione alla sua gravità, una riduzione dell’entiCfr. Cass. n.2432/1999, cit.
Cfr. R. DEL PUNTA, cit., p.186. Sull’obbligo di sicurezza del lavoratore nei confronti dei propri colleghi di lavoro, cfr. M. CORRIAS, cit., pp.188 ss.
251
Per “rischio elettivo” si intende quello “generato da un’attività non avente rapporto
con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso”, cfr., Cass.
n.2432/1999, cit.; Cass., 4 marzo 2005, n.4723 ed altre richiamate da A. TAMPIERI, Dovere di sorveglianza e responsabilità del datore, in DPL, 2009, p.355, nota
n.14. Ai fini della determinazione dell’area di esclusione di responsabilità del datore di lavoro si distingue peraltro l’ipotesi in cui l’evento lesivo si sia verificato a
causa di un comportamento del lavoratore dettato da un’autonoma scelta del tutto
slegata dall’attività lavorativa (c.d. rischio elettivo in senso stretto) da quella in cui
l’evento dannoso si sia verificato a seguito di operazioni esorbitanti dalle normali
procedure di lavoro. In tali casi è comunque ravvisabile un legame tra attività lavorative ed evento dannoso, mentre ciò che risulta assente è il nesso causale tra
quest’ultimo e la responsabilità, quanto meno in vigilando, del datore di lavoro; cfr.
sul punto M. CORRIAS, pp.149-150, anche per riferimenti.
249
250
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
tà del risarcimento dei danni, ma non solleverà dalle proprie responsabilità i soggetti aziendali252. In tal senso è indirizzato un più recente orientamento giurisprudenziale253.
I profili di responsabilità delle condotte dei lavoratori tenute in violazione degli obblighi di legge non potranno dunque far venire meno,
tranne che nelle ipotesi richiamate, il principio, da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, e affermato dalla stessa direttiva quadro n.89/391/Ce, all’art.5, par.3254, della concorrente responsabilità del datore di lavoro255.
Al riguardo si può in particolare richiamare quanto stabilito dall’art.18, 1°comma, lett. f), d.lgs. n.81/2008 (al pari dell’art.4,
5°comma, lett. f), d.lgs. n.626/1994) secondo cui datore di lavoro (e
dirigenti) devono “richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro
disposizione”. La giurisprudenza ha affermato in termini assai stringenti l’obbligo di vigilanza sui lavoratori256.
La valorizzazione del principio dell’affidamento, anche dopo la più
recente normativa, non è infatti di per sé sufficiente ad esonerare
chi, come il datore di lavoro, rimane pur sempre titolare di una posizione di “garanzia” nei confronti dei propri dipendenti, e ha l’obbligo
di tutelarli anche nei confronti dei rischi, prevedibili, dovuti alla loro
stessa imprudenza257.
Sulla portata del concorso di colpa del lavoratore ex art.1227 c.c., cfr., tra gli altri,
M. FRANCO, Diritto alla salute, cit., pp.172 ss.; L. MONTUSCHI, L’incerto cammino della sicurezza del lavoro, cit., pp.506-507.
253
Cfr., tra le altre, Cass. 17 aprile 2004, n.7328, in Riv.it.dir.lav., 2005, II, p.103, con
nota di S. BELLUMAT. La questione assume rilievo anche ai fini dell’azione di
regresso dell’Istituto assicuratore per il recupero dell’indennità pagata all’assicurato; cfr. al riguardo M. CORRIAS, cit., pp.151 ss.
254
Secondo il quale “gli obblighi dei lavoratori nel settore della sicurezza e della salute
durante il lavoro non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro”.
255
In tal senso P. SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, cit., p.390.
256
Cfr., tra le altre, Cass. pen., 30 settembre 2008, in c. Szkoropan; Cass. pen., 11
giugno 2008, in c. Di Dio, in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., pp.117 ss.
257
Cfr., tra le altre, Cass. pen., 7 febbraio 2002, in c. Cozzolino, in ISL, 2002, p.270;
Cass. pen., 28 febbraio 2003, in c. Repetto e altri, in ISL, 2003, p.415. Per ampi
riferimenti di giurisprudenza cfr. P. SOPRANI,Sicurezza e prevenzione nei luoghi di
lavoro, cit., pp.390-391, nota 464.
252
101
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Detto ciò è da richiamare quanto disposto dall’art.18, comma 3.bis,
aggiunto dal decreto correttivo n.106/2009, che se da un lato ribadisce l’obbligo di vigilanza a carico di datore di lavoro (e dirigenti) in
ordine all’adempimento degli obblighi posti a carico di una serie di
soggetti, tra cui i lavoratori, dall’altro prevede “l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati … qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia
riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”. Ciò significa che non potrà ritenersi ad alcun titolo responsabile il
datore di lavoro che sia in grado di dimostrare l’adempimento degli
obblighi posti a suo carico258, ivi compreso l’effettivo esercizio di una
attività di controllo sull’operato dei lavoratori.
102
Informazione e formazione dei lavoratori
La disciplina contenuta nel d.lgs. n.81/2008 prevede dunque la fattiva collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. In tale contesto, per
garantire un più elevato livello di protezione, essenziali appaiono in
particolare l’informazione e la formazione.
Mentre per quanto riguarda l’informazione l’art.36, d.lgs. n.81/2008
non sembra apportare sostanziali novità rispetto a quanto già previsto dall’art.21, d.lgs. n.626/1994, ben più ampia è la portata dell’art.37, relativo alla formazione, se paragonato all’art.22, del d.lgs.
n.626/1994.
Il decreto in esame opera peraltro un opportuno distinguo, all’art.2,
tra formazione, informazione e addestramento (termine non espressamente contemplato nel d.lgs. n.626/1994).
Per formazione si intende il “processo educativo attraverso il quale
trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi
compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi” (art.2, 1°comma, lett. aa);
L’informazione è invece definita come il “complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla
258
Obblighi che possono attenere sia alla sicurezza “oggettiva” di quel particolare settore dell’impresa o di quella specifica posizione di lavoro, e d’altro lato alla formazione ed informazione impartita al lavoratore; cfr. L. PONIZ, Il “principio di affidamento” ed il limite alla colpevolezza del lavoratore, in ISL, 2002, p.653.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
gestione dei rischi in ambiente di lavoro” (art.2, 1°comma, lett. bb);
L’addestramento è infine configurato come il “complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione
individuale, e le procedure di lavoro” (art.2, 1°comma, lett. cc).
Si può dunque ritenere che la formazione sia preminentemente
incentrata sull’area delle competenze, da acquisire tramite un processo di apprendimento consapevole259, l’informazione sull’area
delle conoscenze, mentre l’addestramento attenga ad un profilo più
operativo, di istruzione pratica circa il corretto uso delle attrezzature
e delle procedure di lavoro260.
L’informazione e la formazione sono, del resto, comprese tra le misure
generali di tutela, di cui all’art.15, ed i relativi obblighi posti a carico del
datore di lavoro e dei dirigenti, ai sensi dell’art.18, 1°comma, lett. l)261.
Dell’informazione dei lavoratori si occupa nello specifico l’art.36 del
d.lgs. n. 81/2008.
Il datore di lavoro è tenuto in primo luogo ad assicurare, anche tramite i suoi collaboratori262, a «ciascun lavoratore», compresi quelli a
“Con la formazione … si mira ad ottenere la promozione, lo sviluppo e l’aggiornamento, attraverso un processo di apprendimento consapevole, delle tre dimensioni del “sapere” (conoscenze), “saper fare” (capacità) e “saper essere”(atteggiamenti) per realizzare, produrre e svolgere una competenza professionale”; cfr. in
tal senso T. GIORNALE, Informazione e formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le nuove
regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, cit, p.366.
260
Secondo la giurisprudenza prevalente l’addestramento tecnico-pratico non può
ritenersi sostitutivo di quello di carattere teorico, indispensabile per un più completo quadro informativo - formativo; cfr., tra le altre, Cass. pen., 23 ottobre 2008, in
c. Dal Tio, in ISL, 2009, p.39; Cass. pen., 14 giugno 2006, in c. Lorenzoni e altro,
in R. GUARINIELLO, Il Teso Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., p.211.
261
Obblighi specifici in materia di informazione, formazione e addestramento sono poi
contemplati nei Titoli particolari del decreto.
262
Gli obblighi informativi e formativi, a carico di datore di lavoro e dirigente, possono
essere assolti anche tramite terze persone competenti, cfr. Cass. pen., 20 dicembre 2006, in c. Annesi, in ISL, 2007, p.104. Per la responsabilità del soggetto incarico della formazione (lavoratore dipendente) per un infortunio mortale occorso ad
un apprendista, cfr. Cass. pen., 7 aprile 2009, in c. Liberali, in ISL, 2009, p.298 (cfr.
anche P. DE VITA, La responsabilità del formatore per l’infortunio occorso a lavoratore apprendista, in Dir.rel.ind., 2009, pp.401 ss.). Si ricorda come ai sensi dell’art.33, 1° comma, lett. f) sia il servizio di prevenzione e protezione che provvede
“a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’art.36”, fermo restando che la
responsabilità in caso di violazione degli obblighi in esame rimane in capo al datore di lavoro e del dirigente (art.55, 5°comma, lett. c).
259
103
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
104
domicilio263, una “adeguata” informazione sia di carattere generale
che particolare in relazione all’attività svolta.
La prima concerne i rischi per la salute e la sicurezza connessi alla attività dell’impresa in generale; le procedure inerenti il primo soccorso, la
lotta antincendio e l’evacuazione dei lavoratori; i nominativi dei lavoratori addetti alle emergenze, del responsabile e degli addetti del servizio di
prevenzione e protezione nonché del medico competente (1° comma).
Solo assicurando a ciascun lavoratore una consapevolezza generale del ciclo produttivo gli si potrà infatti chiedere di compiere scelte
che non compromettano la sicurezza sua o di altri264. Inoltre anche il
lavoratore, in un’ottica partecipativa, deve essere a conoscenza
delle diverse figure poste a tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Per quanto riguarda l’informazione particolare questa concerne: i
rischi specifici a cui il lavoratore è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia; i
pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi265; le
misure e le attività di protezione e prevenzione adottate (2°comma).
Di particolare rilievo è la previsione secondo la quale “il contenuto
della informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative conoscenze”. Qualora poi si tratti di lavoratori immigrati occorre una “previa verifica della
comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo” (4°
comma)266. È necessario infatti assicurare la piena efficacia dell’attività informativa, che altrimenti risulterebbe del tutto vana (con la conseguenza che il relativo obbligo potrebbe ritenersi non adempiuto)267.
Nonché “i lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati”; cfr. art.36, 3° comma, che richiama i lavoratori di cui
all’art.3, 9° comma.
264
Informativa che potrà peraltro tornare utile in caso di eventuale cambio di mansioni, fermo restando l’obbligo di informazione sui rischi specifici collegati alle nuove
attribuzioni; cfr. Cass. pen., 8 marzo 2007, in c. Croserio, in ISL, 2007, p.281; Cass.
pen., 20 dicembre 2007, in c. Centamo, in ISL, 2008, p.106.
265
“Sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e
dalle norme di buona tecnica”(art.36, 2°comma,lett. b). La previsione di informazioni desumibili dalle schede dei dati di sicurezza delle sostanze impiegate acquista
particolare rilievo in relazione alla protezione da agenti chimici (cfr. art. 227)
266
Analoga previsione è posta in materia di formazione (art.37, 13°comma).; la portata innovativa di tali disposizioni è in parte sminuita dal fatto di non essere garantite da sanzioni penali in caso di violazione.
267
Cfr. al riguardo A. D’AMORE, Formazione, informazione e addestramento, in ISL,
2008, p.273.
263
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Punto centrale per cogliere appieno la portata dell’obbligo di informazione posto dall’art.36 è il riferimento al criterio di adeguatezza
della informazione richiesta.
«Ciascun lavoratore» deve infatti ricevere una informazione «adeguata».
L’informazione va dunque rapportata al soggetto che ne è destinatario. Il
fatto che si usi il termine «ciascun lavoratore» e non «lavoratori», come
in passato, esclude che tale obbligo possa dirsi adempiuto solo per vie
generali e una volta per tutte, mediante ad esempio la “mera predisposizione di cartelli che facciano divieto di operare sulle macchine in movimento …”268. Più probabile è che occorrano molteplici mezzi di informazione (ad esempio avvisi specifici, distribuzione di opuscoli facilmente
comprensibili dal lavoratore, proiezioni di audiovisivi, riunioni illustrative
per reparto). Ciò che importa è che siano scelti gli strumenti più adatti per
giungere con efficacia a ciascun lavoratore o a specifici gruppi di lavoratori. Non sufficiente ad adempiere l’obbligo in questione è dunque la prassi, ampiamente diffusa, della mera consegna al lavoratore di manuali o
libretti d’uso (previa controfirma) circa i rischi connessi all’attività lavorativa, dal momento che la norma in esame impone al datore di lavoro un
vero e proprio dovere di “risultato”, cioè di verifica e controllo, se l’informazione (e la formazione) impartita al lavoratore sia andata o no a destinazione269. In tal senso è l’indirizzo consolidato della Cassazione che sottolinea l’esigenza di assicurare l’effettività degli obblighi in materia270.
L’informazione deve dunque essere «mirata» ai destinatari. Si pensi
ai settori in cui vi è una forte presenza di lavoratori extracomunitari
o ai giovani neoassunti, magari con contratto di apprendistato. Lo
stesso può dirsi per i lavoratori assunti a termine o per quelli che
svolgano la loro prestazione in solitudine271.
Cfr. Cass. pen., 22 aprile 2004, in c. Policarpo, in ISL, 2004, p.376.
R. DEL PUNTA, cit. p.165.
270
Cfr., tra le altre, Cass. pen., 22 aprile 2004, in c. Policarpo,cit., p.376; Cass. pen.,
11 agosto 2004, in c. Locatelli, in ISL,2004, p.758, e più ampiamente, anche per
riferimenti, R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., pp.210 ss..
271
Così nel caso di infortunio occorso ad un autotrasportatore mentre stava caricando un camion della società alla quale era stato dato in appalto il servizio di trasporto dei rifiuti, la Cassazione, nel confermare la condanna del datore di lavoro, conclude che l’“educazione, o formazione, deve essere tanto più attenta e insistita,
allorché il lavoratore esegua lavori in solitudine … per la esecuzione dei quali non
può ragionevolmente pretendersi che il lavoratore sia costantemente accompagnato dal datore di lavoro o da un suo preposto per imporre il rispetto delle norme
antinfortunistiche”, cfr. Cass. pen. 7 dicembre 2000, in c. Fornaciari, in ISL, 2001,
p.106.; cfr. anche Cass. pen., 26 luglio 2002, in c. Croce, in ISL, 2002, pp.573-574.
268
269
105
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
106
L’adeguatezza dell’informazione, oltre ai soggetti destinatari, va
peraltro commisurata ai rischi esistenti. Solo a seguito di una corretta valutazione dei rischi si potrà infatti assicurare una informazione
adeguata. Ne deriva anche il carattere dinamico dell’informazione e
formazione in relazione all’evoluzione dei rischi (come ben precisa
l’art.37, 6° comma).
Più ampiamente è da dire che “il datore di lavoro o il “direttore della
sicurezza del lavoro” debbono avere la cultura, la forma mentis del
garante di un bene prezioso qual è certamente l’integrità del lavoratore; ed è da questa doverosa cultura che deve scaturire il dovere di
educare il lavoratore a far uso degli strumenti di protezione e il distinto dovere di controllare assiduamente, a costo di essere pedanti che
il lavoratore abbia appreso la lezione e abbia imparato a seguirla”272.
Nella logica del decreto n.81 gli interventi sulla informazione e sulla
formazione dei lavoratori, a prescindere da momenti particolari, come
l’introduzione di nuovi assunti o lo spostamento del lavoratore ad altra
mansione, assumono infatti un carattere specifico e ricorrente, tale da
farli diventare parte integrante dell’organizzazione del lavoro273.
Della formazione dei lavoratori, nel quadro di un’estensione delle
attività formative per tutti i soggetti che a vario titolo intervengono nel
sistema di prevenzione aziendale, si occupa in particolare l’art.37
(1°/6° e 12/14° comma), d.lgs. n.81/2008 (già art.22, d.lgs.
n.626/1994). Si è d’altro lato evidenziato come la partecipazione ai
Così Cass. pen., 3 giugno 1995, in c. Grassi, in DPL, 1995,p.2117, in un caso di
condanna per omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, di un direttore tecnico di un consorzio di bonifica in relazione alla morte,
per caduta nella vasca dei liquami di un impianto di depurazione, di tre operai e
per l’intossicazione di altri tre intervenuti in loro soccorso. Sul punto si rileva che
gli operai erano sempre stati abbandonati a se stessi seguendo la pericolosa
“prassi” di lavorare senza un’attrezzatura specifica e dei rischi derivanti dal lavorare nella vasca erano stati informati tramite la consegna di un manuale che risultava essere stato “solo sfogliato”.
273
Cfr., tra le altre, Cass. pen., 8 marzo 2007, in c. Croserio, cit. Spetta peraltro al
datore di lavoro stabilire regole precise, specie per i preposti, in ordine all’utilizzo
estemporaneo e contingente di personale per mansioni diverse da quelle abitualmente svolte, cfr. Cass. pen., 26 ottobre 2004, in c. Bonanni, in ISL, 2005,p.108;per
un ridimensionamento degli obblighi in questione cfr. invece Cass. pen., 19 gennaio 2005, in c. Storino e altra, in ISL, 2005, p.169, in un caso di infortunio mortale
occorso ad un elettricista dipendente dell’impresa appaltatrice a seguito del ribaltamento del carrello elevatore (con chiavi di accensione attaccate al quadro elettrico), di cui impropriamente si era messo alla guida.
272
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
programmi di formazione e di addestramento, oltre che un diritto,
rappresenti anche un obbligo per lo stesso lavoratore274.
Il datore di lavoro deve assicurare a ciascun lavoratore275, una formazione «sufficiente ed adeguata» in materia di salute e sicurezza,
tenuto conto delle conoscenze linguistiche, anche in tal caso276 sia di
carattere generale277 che di natura particolare, in relazione preminentemente alle mansioni da espletare278, ed altresì in merito ai rischi
specifici desumibili dalle norme dell’intero decreto (art.37, 1° e
3°comma). La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione dovranno essere oggetto di accordo in sede di Conferenza
Stato/Regioni, previa consultazione delle parti sociali279. Al riguardo
si possono riproporre le osservazioni critiche già formulate in relazione al d. m. 16 gennaio 1997, emanato ai sensi dell’art.22, 7°comma,
d.lgs. n.626/1994, che contrariamente a quanto disposto per le altre
figure ivi considerate280, non specificava la durata minima dell’attività
formativa per i lavoratori, né, più in generale, prevedeva alcuna
forma di verifica dell’apprendimento281.
Cfr. art.20, 2° comma, lett. h). In merito all’organizzazione della formazione di cui
all’art.37 deve peraltro essere consultato il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza (Rls), cfr. art.50, 3° comma, lett. d).
275
Compresi i lavoratori a domicilio e quelli che rientrano nel campo di applicazione
dei contratti collettivi dei proprietari di fabbricati (art.3, 9°comma).
276
In modo analogo che per l’informazione.
277
Con particolare riferimento ai “concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione,
organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza (art.37,1°comma, lett. a).
278
“Rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda” (art.37, 1°comma, lett. b).
279
Da emanare entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto in esame (art.37,
2°comma).
280
Il d. m. 16 gennaio 1997 quantificava in 32 ore la durata dei corsi per i Rls (art.2) ed
in 16 ore quella dei corsi per i datori di lavoro in caso di esercizio diretto dei compiti
del servizio di prevenzione (art.3). Tali previsioni sono ora riprese ed integrate sul
piano legislativo. Per i Rls aziendali la durata minima dei corsi è di 32 ore (iniziali), di
cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione
e protezione adottate, con verifica di apprendimento, e 4 ore annue di aggiornamento successivo per le imprese con un numero di lavoratori compreso tra 15 e 50; 8 ore
annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori (cfr. art.37, 11°comma); per
i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali (Rlst), cfr. l’art.48, 7°comma,
infra. Per la formazione del datore di lavoro in caso di esercizio diretto dei compiti del
servizio di prevenzione cfr. l’art.34, d.lgs. n.81/2008, supra.
281
Cfr. A. D’AMORE, cit., p.274.
274
107
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
110
La formazione e, ove previsto282 l’addestramento specifico sul luogo
di lavoro da parte di “persona esperta”283, devono avvenire al
momento della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro, del trasferimento o cambiamento di mansioni, dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi (art.37,4° e 5°comma). La formazione deve inoltre
«essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi
o all’insorgenza di nuovi rischi» (art.37, 6°comma).
Rispetto a questa prima parte dell’art.37, si può innanzitutto osservare come la formazione non riguardi esclusivamente i nuovi assunti, bensì tutti i lavoratori, nel caso in cui vi siano variazioni delle situazioni di lavoro284.
Il parametro della sufficienza e adeguatezza della formazione va rapportato alle mansioni svolte da ciascun lavoratore. Ciò significa che
occorre privilegiare, più che la formazione d’aula, la formazione «sul
campo», ossia sul posto di lavoro, in quanto maggiormente aderente ai
fattori di rischio realmente esistenti. Possono essere utilizzati quali strumenti idonei al riguardo: esercitazioni per l’uso di sistemi e procedure
di sicurezza; la predisposizione e verifica di schede di controllo di macchine e impianti; simulazioni di intervento in caso di emergenza, ecc. La
formazione peraltro non può ridursi a mera informazione, richiedendo
processi comunicativi interattivi ed una verifica della presa di coscienza e del comportamento conseguente a quanto appreso285.
È da ritenere anche sulla base di disposizioni aziendali.
Non necessariamente dunque, anche se assai probabile, altro lavoratore.
284
In senso parzialmente diverso cfr. tuttavia circ. Min. lavoro n.30/1998. Quello in esame
è uno dei punti di maggiore criticità sul piano applicativo. Se la formazione dei nuovi
assunti risulta sostanzialmente attivata (78% delle aziende) assai meno lo è la formazione in caso di cambio di mansione o di variazione della condizione di rischio (circa il
60% dei casi), il che fa concludere che “non si è ancora assimilato il concetto che la
formazione è un intervento che deve accompagnare “in tempo reale” il lavoratore nella
sua vita in azienda”, cfr. Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, Rapporto conclusivo del progetto di monitoraggio e controllo dell’applicazione
del D.Lgs 626/94, cit..Per la informazione-formazione dei lavoratori in caso di mutamento di mansioni, cfr. in particolare Cass. pen., 20 dicembre 2007, in c. Centamo, cit.
285
Cfr. in particolare Cass. pen., 28 gennaio 2008, in c. Franzoni, in R. GUARINIELLO, Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, cit., p.216. di conferma della condanna di
un datore di lavoro “per non aver progettato e attuato una adeguata attività formativa per tutti i lavoratori, contenente gli obiettivi specifici, la definizione di moduli
didattici, gli strumenti per la verifica di apprendimento”.
282
283
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
La formazione non va d’altro lato confusa con l’addestramento, nel
caso ad esempio si renda necessario istruire i lavoratori sull’uso di
particolari attrezzature o procedimenti, mirando essa più ampiamente a favorire un’acquisizione di conoscenze e competenze tali
da determinare un cambiamento consapevole dei propri comportamenti.
Ulteriore e significativa considerazione è poi lo stretto legame tra formazione e valutazione dei rischi. È infatti esplicitamente affermato il
carattere ricorrente della formazione in relazione all’evoluzione dei
rischi (già individuati e valutati) o all’insorgere di nuovi. Sul punto
vale la pena ribadire che ha poco senso impegnarsi nella realizzazione di iniziative formative, pur di adempiere in qualche modo agli
obblighi di legge, senza prima procedere ad un’accurata valutazione
dei rischi esistenti. Infatti è possibile una formazione (così come
un’informazione) “adeguata” dei lavoratori solo se sono stati preventivamente valutati i rischi per la salute e la sicurezza. Accanto a quella dei lavoratori e dei loro rappresentanti, indispensabile appare del
resto la formazione dei quadri aziendali, oltre naturalmente a quella
dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione, dal momento che, senza il coinvolgimento di tali soggetti, la disciplina in questione avrebbe scarse possibilità di essere applicata. In tal senso
sono orientate numerose disposizioni dell’art.37, che estendono gli
obblighi formativi e di aggiornamento ai dirigenti ed ai preposti
(7°comma)286, ai lavoratori incaricati della gestione delle emergenze
(9°comma)287 e, come facoltà, ai lavoratori autonomi ed ai compoIl d.lgs. n.106/2009 specifica al riguardo che la formazione dei dirigenti e dei preposti può essere effettuata “anche presso gli organismi paritetici di cui all’art.51 o
le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro
o dei lavoratori” (art.37, comma 7.bis), valorizzando in tal modo il ruolo della bilateralità e delle parti sociali; cfr. infra. Per i preposti l’obbligo di “frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’art.37” è stabilito dall’art.19,
1°comma, lett. g); la violazione è sanzionata con l’arresto fino ad un mese o con
l’ammenda da 200 a 800 euro, ai sensi dell’art.56, 1°comma, lett. b). Cfr. al riguardo P. DE VITA, Formazione di lavoratori, dirigenti e preposti, in M. TIRABOSCHI L. FANTINI, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo
(d.lgs. n.106/2009), cit, pp.669 ss.
287
Per la formazione degli addetti alla prevenzione incendi, in attesa dell’emanazione
di apposite disposizioni, continua a trovare applicazione quanto stabilito dal d. m.
10 marzo 1998 (cfr. art.46, 4°comma); per la formazione degli addetti al primo soccorso cfr. quanto disposto dal d. m. n.388/2003, e successivi decreti ministeriali di
adeguamento (cfr. art.45, 2°comma).
286
111
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
112
nenti dell’impresa familiare (8°comma)288.
La formazione dei lavoratori (così come quella dei Rls) deve inoltre
avvenire “durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori”(art.37, 12°comma). Ne consegue che
se, come talora accaduto, essa è tenuta, pur parzialmente, oltre il
normale orario di lavoro, anche in applicazione del principio generale di cui all’art.15, 2°comma, d.lgs. n.81289, si dovrà provvedere a
retribuire l’ulteriore impegno richiesto.
Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento dell’attività formativa dovranno essere registrate nel libretto formativo del cittadino,
di cui all’art.2, 1°comma, lett. i).d.lgs. n.276/2003,se concretamente
disponibile290. Ciò ai fini della programmazione dell’attività formativa
futura nonché della attestazione, nei confronti degli organi di vigilanza, dell’assolvimento degli obblighi formativi (art.37, 14°comma).
Esperienze interessanti su percorsi formativi per lavoratori sulla
sicurezza sono state promosse a livello territoriale da parte degli
organismi paritetici ai quali peraltro la legge affida uno specifico
ruolo in materia291. Punti qualificanti di tali iniziative sono tra gli altri:
la definizione di un programma base (di norma di 8 ore) per tutti i
lavoratori; la formazione specifica per i nuovi assunti e per settori a
particolare rischio; l’utilizzo di metodologie formative attive; la definizione dei requisiti professionali dei formatori; la predisposizione di
strumenti per la verifica dell’apprendimento292.
La previsione di specifici diritti di informazione e formazione in materia di salute e sicurezza, volti a far acquisire al lavoratore maggiore
consapevolezza circa il suo operare, non pare possa essere utilizzata quale indizio per affermare un più generale diritto alla formazione
I soggetti di cui all’art.21, 1°comma, potranno avvalersi dei percorsi formativi appositamente definiti tramite accordo adottato in sede di Conferenza Stato/Regioni.
289
Secondo il quale “le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il
lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”.
290
Il libretto formativo del cittadino non è al momento attivo se non in parti limitate del
territorio nazionale, in ragione della mancata attivazione di parte regionale, richiesta dalle disposizioni di riferimento (d.lgs. n.276/2003).
291
Cfr. art. 37, 12°comma ed art.51, comma 3.bis, d.lgs. n.81/2008.
292
Cfr. ad esempio quanto promosso dall’Organismo paritetico territoriale Confindustria/Cgil-Cisl-Uil di Varese e dal Comitato paritetico territoriale per l’industria
(Assindustria/Cgil-Cisl-Uil) di Pesaro Urbino; cfr. Linee guida per l’informazione e
la formazione dei lavoratori in materia di sicurezza sul lavoro, in Ambiente & Sicurezza, 2004, n.7, p.113, con nota di M. L. FELICI.
288
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
professionale inerente ogni contratto di lavoro subordinato; al contrario la necessità di apposita disciplina nella materia esaminata rafforza la tesi dell’insussistenza del principio considerato293.
Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
Sistema di rappresentanza, partecipazione, contrattazione
collettiva
La l. n.123/2007, nell’ottica di un modello partecipato di prevenzione, valorizza il ruolo dei lavoratori e delle loro rappresentanze in
materia. Tra i criteri di delega, di cui all’art. 1, 2°comma, è prevista
la “revisione dei requisiti, delle tutele, delle attribuzioni e delle funzioni dei soggetti del sistema di prevenzione aziendale … con particolare riferimento al rafforzamento del ruolo del rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza territoriale” e l’“introduzione della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo” (lett. g)294.
Il decreto legislativo attuativo n.81/2008, superando le parziali anticipazioni contenute nelle disposizioni immediatamente precettive
della l. n.123/2007295, sviluppa tale indirizzo in una duplice direzione: da un lato attraverso la garanzia di una figura certa di riferimento (aziendale o territoriale/di sito produttivo) per ogni realtà lavorativa, dall’altro rafforzando le attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls). Di rilievo è anche l’implementazione
delle conoscenze e delle competenze attraverso la formazione296,
anche se non si è optato per una più decisa qualificazione delle rappresentanze per la sicurezza, come pure la delega avrebbe consentito297.
Si tratta dunque del rilancio della filosofia partecipativa, propria della
normativa comunitaria, di cui la disciplina italiana costituisce attuazione, la quale considera, tra l’altro “indispensabile che – i lavoratori e/o i loro rappresentanti – siano in grado di contribuire, con una
Cfr. in tal senso P. A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formative, Milano,
2001, p.187; più ampiamente al riguardo M. CORRIAS, cit., pp.85 ss.
294
Oltre che la “rivisitazione e potenziamento delle funzioni degli organismi paritetici…”(lett. h).
295
Cfr. art.3, 1°comma, lett. c), d), e), f).
296
Cfr. art.37, commi 10/12; cfr. al riguardo P. CAMPANELLA, I rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di),
Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, cit, p.398.
297
Il riferimento è in particolare all’uso del termine “requisiti” nel criterio di delega citato.
293
113
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
114
partecipazione equilibrata … all’adozione delle necessarie misure di
protezione”298.
D’altro lato le tre forme di rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza (aziendale/territoriale/di sito produttivo), con caratteristiche
assai diverse tra loro, trovano un comune denominatore nella definizione generale di cui all’art.2, 1°comma, lett. i), che, riprendendo
quanto stabilito dal decreto 626299, individua il rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza nella “persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e
della sicurezza durante il lavoro”. Ne emerge la figura di una rappresentanza specializzata, esponente di quell’interesse collettivo alla
sicurezza che si caratterizza come interesse comune ad una pluralità di soggetti che si trovano ad operare in uno stesso ambiente di
lavoro, con una specificità costitutiva e funzionale che la distingue
sia dalle altre figure del sistema di prevenzione aziendale (la incompatibilità con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione e protezione è ora esplicita)300 sia dalle stesse rappresentanze sindacali, di cui peraltro può far parte301.
La nozione di rappresentanza per la sicurezza va del resto intesa
alla luce del nuovo assetto normativo posto dalla riforma, che si
estende ben oltre il lavoro subordinato302.
Occorre interrogarsi sulle cause del mancato decollo, a così lunga
distanza di tempo dall’emanazione del d.lgs. n.626/1994, dell’approccio partecipativo nella nostra esperienza nazionale. Accanto alle
resistenze culturali di parte del mondo datoriale, pur presenti, con
un’attenzione prevalente agli adempimenti burocratici e formali della
normativa in esame, sul versante delle organizzazioni sindacali dei
lavoratori gli ostacoli allo sviluppo del modello partecipativo sono da
individuare, più che in un’opposizione di stampo ideologico, propria
Cfr. 11°considerando direttiva quadro n.89/391/CEE.
Cfr. art.2,1° comma, lett. f).
300
Cfr. art.50, 7°comma. In tal senso Cass. 15 settembre 2006, n.19965, cit.
301
Ad eccezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, art.48,
8°comma.
302
Come emerge dalla stessa definizione di “lavoratore”, di cui all’art.2, 1°comma,
lett. a) e dalle norme sul campo di applicazione soggettivo, che hanno per beneficiari “tutti i lavoratori, subordinati e autonomi” (art.3, 4°comma). Ciò dovrebbe
avere ripercussioni anche sulla disciplina collettiva relativa all’elettorato attivo e
passivo per il rls.; cfr. P. PASCUCCI, Dopo la legge n.123 del 2007. Prime osservazioni …, cit. p.149; P. CAMPANELLA, cit., p.401.
298
299
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
di posizioni minoritarie, principalmente nella scarsa diffusione di
esperienze/competenze/strumenti per la sua implementazione. Il
problema dunque è di merito, non sul se ma sul come dare seguito
alla scelta partecipativa, sia a livello aziendale che territoriale303.
La riforma riconosce ampliamente il ruolo della regolazione pattizia
in merito alle diverse forme di rappresentanza,a partire dalla scelta
delle modalità costitutive (elezione/designazione)304.
La disciplina concernente il sistema di rappresentanza dei lavoratori
per la sicurezza viene peraltro ad impattare su nodi teorici rilevanti
quali in particolare il carattere legale - necessario oppure privatistico
- volontario di tale forma di rappresentanza ed il rapporto tra rappresentanze specifiche per la sicurezza e rappresentanze sindacali305.
Sulla prima questione il delicato compromesso delineato dal d.lgs.
n.626/1994, si arricchisce di ulteriori elementi, come l’elezione del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza tramite decreto (cosiddetta “election day”), seppur fatte salve diverse determinazioni della
contrattazione collettiva, il che farebbe propendere per una concezione istituzionale di tale rappresentanza. D’altro lato, pur in un
assetto legislativo orientato a mettere in risalto il dato necessario
delle rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza, stante anche la
natura pubblicistica degli interessi sottesi, il carattere privatisticovolontario della rappresentanza in esame può desumersi, come ben
evidenziato da una parte della dottrina306, da una molteplicità di fattori, che trovano conferma nella riforma, quali il rinvio, come fonte
prioritaria, alla contrattazione collettiva per la regolazione di aspetti
significativi della figura del rappresentante dei lavoratori307, nonché
Cfr. al riguardo, A BALDASSARRE, Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza e il rilancio della “filosofia partecipativa”, in M. TIRABOSCHI (a cura di), Il
Teso Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 2008, pp.532-533.
304
Riservate alla disciplina collettiva in via esclusiva per il rls aziendale e il rls di sito
produttivo, cfr. rispettivamente art.47, comma 5 e art.49, comma 3, o prioritaria per
il rls territoriale, prevedendosi in mancanza l’individuazione della stessa tramite
decreto ministeriale, art.48, comma 2.
305
Cfr. al riguardo P. CAMPANELLA, cit., pp.402 ss., anche per riferimenti.
306
Cfr. P. CAMPANELLA, Profili collettivi di tutela della salute e rappresentanza dei
303
lavoratori per la sicurezza: disciplina legislativa, bilancio applicativo, prospettive di
riforma, in Riv.giur.lav., 2007,I, pp.157-158.
307
Il rinvio operato dal legislatore alla contrattazione collettiva concerne: “le modalità
per l’esercizio delle funzioni” del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
elencate nel 1°comma, dell’art. 50, che sono demandate alla “contrattazione collettiva nazionale” (art. 50, 3°comma,già art. 19, 3°comma, d.lgs. n.626/1994); “le
115
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
l’inequivoco legame del mandato rappresentativo alla manifestazione di volontà dei lavoratori interessati308, pur con la rilevante eccezione del rappresentante territoriale309. Si tratta peraltro di un rinvio disomogeneo, in molti casi alla contrattazione collettiva in senso lato, in
altri al livello nazionale310, tanto da rendere auspicabile un intervento chiarificatore delle parti sociali, di riordino e coordinamento rispetto ai contenuti trattati ai diversi livelli negoziali311.
116
modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza”, ivi comprese “le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico”, da definire in sede di “contrattazione collettiva nazionale”, nel rispetto dei contenuti minimi previsti (art. 37, 11°comma); ma soprattutto “il numero, le
modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle
funzioni”, aspetti da determinare “in sede di contrattazione collettiva” (art. 47,
5°comma, già art. 18, 4°comma, d.lgs. n.626/1994), fermo restando il numero minimo dei Rls, fissato dal legislatore in base alle dimensioni aziendali.
308
Stabilendo che in ogni caso il rappresentante sia individuato, mediante elezione o
designazione “dai lavoratori”; cfr. art. 47, 3° e 4°comma; già art. 18, 2° e 3°comma,
d.lgs. n.626/1994. In tal senso è anche la prevalente disciplina contrattuale; le intese applicative prevedono infatti che la scelta del Rls, nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti, anche qualora avvenga per designazione della Rsu
al proprio interno, sia comunque “ratificata” dai lavoratori nella prima assemblea
sindacale; cfr. tra gli altri Accordo interconfederale Confindustria, 22 giugno 1995
(Parte I, punto 1.2); Accordo Aran, 7 maggio 1996 (Parte I, punto V, lett. b); Accordo interconfederale Confapi/Cisl-Uil, del 22 luglio 2009, di modifica ed aggiornamento dell’intesa del 27 ottobre 1995 (Parte I, art.3, lett. a).
309
Nulla garantisce infatti che il rlst sia in ogni caso scelto dai lavoratori interessati,
potendo essere istituito tramite indicazione da parte delle organizzazioni sindacali,
senza necessaria ratifica successiva dei lavoratori. L’art.47, 3°comma, prescrive solo
che egli sia “individuato” per più aziende nell’ambito territoriale o del comparto produttivo, secondo quanto previsto dall’art.48; l’art.48, 2°comma, a sua volta, si riferisce genericamente alle “modalità di elezione o designazione del rappresentante..”
individuate dalla disciplina collettiva nazionale, senza aggiungere “da parte dei lavoratori”. Cfr. in tal senso l’Accordo Confapi/Cisl-Uil, del 22 luglio 2009, Parte I, art.2, in
cui per le aziende o unità produttive fino a 15 dipendenti, i nominativi dei Rlst sono
“indicati” dalle organizzazioni sindacali stipulanti; in caso di designazione è sufficiente che i nominativi dei Rlst siano comunicati alle articolazioni regionali degli organismi paritetici da parte delle organizzazioni sindacali territorialmente competenti.
310
Il primo accordo di categoria attuativo del d.lgs. n.81/2008, nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore edile (industria), del 18 giugno 2008 (art.87),
rinvia per quanto riguarda i “criteri e modalità” di individuazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale agli accordi locali tra le organizzazioni
territoriali aderenti alle parti firmatarie, prevedendosi a livello nazionale una ricognizione delle soluzioni adottate al fine di individuare criteri uniformi.
311
Cfr.. P. PASCUCCI, cit., p.152; P. CAMPANELLA, cit., p.399; A. BALDASSARRE,
cit., pp.536-537.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Sulla seconda questione – rapporto tra rappresentanze per la sicurezza e rappresentanze sindacali – è da sottolineare come le norme
contenute nel decreto confermino, quanto meno per le realtà di certe
dimensioni, l’opzione a favore della tendenziale identificazione delle
rappresentanze per la sicurezza con le rappresentanze sindacali. È
infatti previsto che nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il Rls sia scelto “nell’ambito delle rappresentanze sindacali in
azienda”312. È da osservare tuttavia come rispetto al rappresentante
territoriale (Rlst), pur rinviando la legge alle modalità di elezione o
designazione fissate dalla disciplina collettiva di livello nazionale,
scompaia il riferimento per la sua individuazione, seppur solo come
possibilità, alle “rappresentanze sindacali”, di cui all’articolo
18,2°comma, 3° periodo, d.lgs. n.626/1994, affermandosi peraltro
l’incompatibilità delle funzioni di Rlst “con l’esercizio di altre funzioni
sindacali operative”313.
Sul punto le intese applicative, nonostante alcuni segnali di sfasatura314, hanno ribadito il modello classico di “canale unico” di rappresentanza, tipico del nostro sistema di relazioni industriali, rispetto ad
un sistema di “doppio canale”, caldeggiato invece da buona parte
della dottrina315. La stessa giurisprudenza ha avvalorato tale opzione316. L’attività in materia di salute e sicurezza è del resto strettamente connessa a quella contrattuale, pena il rischio di creare organismi
paralleli di rappresentanza, in possibile competizione tra loro, con la
conseguenza di indebolire le iniziative di tutela.
È stata questa del resto l’esperienza italiana delle rappresentanze
Cfr.art. 47, 4°comma. Cfr. già l’art. 18, 3°comma, d.lgs. n.626/1994.
Cfr. art. 48, comma 8. È da ritenere che l’incompatibilità non scatti qualora si ricoprano incarichi non operativi, specie nella stessa materia considerata (ad esempio
componente di organismo paritetico).
314
Ad esempio il componente aggiuntivo (alle rappresentanze sindacali unitarie) previsto per le aziende che occupano tra i 201 e i 300 dipendenti, al fine di evitare una
completa sovrapposizione tra le due forme di rappresentanza; cfr. accordo Confindustria, 22 giugno 1995 (parte I, punto 1.2); cfr. in particolare A. TAMPIERI, Azione sindacale e contrattazione collettiva nella tutela delle condizioni di lavoro, cit., pp.558 ss.
315
Distinto tra una rappresentanza sindacale con competenza generale e poteri contrattuali e una rappresentanza con competenze specialistiche, espressione della
comunità aziendale; Cfr., anche per riferimenti, G. NATULLO, La tutela dell’ambiente di lavoro, cit.,p.256.
316
Cfr. tra le altre, Pret. Legnano, 22 gennaio 1996, in Foro it., Rep., 1997, voce Sindacati, n.151; Trib. Milano, 20 dicembre 1997, in Foro it., 1999, I, c.3408; Pret. Torino,
13 gennaio 1997, in Riv.it.dir.lav.,1998, II, pp.274 ss., con nota di S. GARIBOLDI.
312
313
117
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
per la sicurezza di cui all’art.9, Stat. lav., del 1970, per lo più assorbite dagli organismi di rappresentanza sindacale. Sull’articolo 9,
Stat. lav., il d.lgs. n.106/2009, nella sua versione definitiva, opportunamente non interviene. Al di là delle differenze esistenti tra le rappresentanze per la sicurezza di cui allo Statuto ed il rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza della più recente legislazione317, la
norma statutaria pare infatti del tutto compatibile318 con l’assetto
posto dalla riforma e pertanto non può ritenersi implicitamente abrogata319.
118
Le forme di rappresentanza dei lavoratori: in particolare il rappresentante territoriale
Il sistema di rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza si articola, come detto, non solo a livello aziendale, ma anche a livello territoriale e di sito produttivo320.
Con previsione fortemente innovativa si stabilisce che qualora non si
proceda alla elezione del rappresentante dei lavoratori in azienda,
che costituisce l’unità di base da privilegiare, le funzioni sono esercitate dal rappresentante territoriale o di sito produttivo (salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale)321.
Il carattere suppletivo del Rlst opera in tutti i casi in cui a livello aziendale non sia stato eletto o designato un rappresentante; non solo
dunque, come già in base all’art.18,2°comma,del d.lgs. n.626/1994,
per le imprese fino a 15 dipendenti, ma anche per quelle oltre tale
soglia. La previsione mira a garantire una figura certa di riferimento
per ogni realtà lavorativa. Non dovrebbero pertanto più sussistere
vuoti nel sistema di rappresentanza322.
Cfr. supra
Cfr. art.304, comma 1, lett. d).
319
Per l’abrogazione implicita è invece la dottrina maggioritaria (che si è espressa sul
d.lgs. n.626/1994); cfr. per riferimenti supra, p. nota....
320
Circa il numero minimo dei rls (art.47, 7°comma), pur risultando la disciplina apparentemente analoga a quella previgente (1 rappresentante nelle aziende ovvero
unità produttive sino a 200 lavoratori; 3 da 201 a 1000; 6 oltre i 1000, salvo migliori previsioni collettive), è da sottolineare come il riferimento sia ora alla più ampia
nozione di “lavoratori” rispetto a quella di “dipendenti”, di cui all’art. 18, 6°comma,
d.lgs. n.626/1994. Per i lavoratori da computare, anche ai fini del numero dei rls,
cfr. quanto stabilito dall’art.4, d.lgs. n.81/2008.
321
Cfr. art.47, 8°comma.
322
Cfr., tra gli altri, P. CAMPANELLA, cit. p.403 ss.
317
318
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Al Rlst è garantito l’accesso ai luoghi di lavoro secondo le modalità
ed i termini di preavviso individuati dalla disciplina collettiva nazionale, avendo in caso di impedimento prioritario riferimento negli organismi paritetici323.
Gli organismi paritetici sono chiamati a svolgere funzioni di anagrafe dei rappresentanti territoriali dovendo comunicare il loro nominativo alle aziende ed ai lavoratori interessati (in mancanza vi provvede
il Fondo di cui all’art.52), nonché agli organi di vigilanza territorialmente competenti ed all’Inail324. Al riguardo del tutto corretto pare il
mantenimento della formulazione utilizzata nel decreto n.81, diversamente dal termine assegnazione, pur proposto in sede di stesura
del d.lgs. n.106/2009, dal momento che i rappresentanti territoriali
sono chiamati a svolgere un ruolo di tutela dei lavoratori e non dipendono né sotto un profilo gerarchico né funzionale dagli organismi
paritetici, che costituiscono solo la sede in cui svolgere parte delle
loro attribuzioni. La figura del rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza territoriale non va pertanto confusa con quella degli operatori tecnici, presenti ad esempio nel modello dell’edilizia presso i
CPT (comitati paritetici territoriali), che sono alle dirette dipendenze
delle sedi bilaterali.
Significative novità riguardano la formazione del rappresentante territoriale, per le cui modalità, durata e contenuti specifici si rinvia alla
contrattazione collettiva “secondo un percorso formativo di almeno
64 ore iniziali, da effettuarsi entro 3 mesi dalla data di elezione o
designazione, e 8 ore di aggiornamento annuale”325. La previsione,
Cfr. art.48, 4° e 5°comma; sul diritto di accesso cfr. infra.
Cfr. art.48, 6°comma e art.51, 8°comma e comma 8.bis.
325
Cfr. art.48, 7°comma. Per i contenuti minimi della formazione del rappresentante
aziendale, di 32 ore, con verifica di apprendimento e obbligo di aggiornamento
periodico cfr. l’art. 37, 11°comma. In tema di formazione dei rls e dei lavoratori interessanti sviluppi si sono registrati ad opera della disciplina attuativa del d.lgs.
n.81/2008. L’Accordo di rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro edilizia (industria), del 18 giugno 2008, prevede la formazione dei lavoratori (8 ore) in
occasione, tra l’altro, del primo ingresso nel settore; l’Accordo interconfederale
Confapi/Cisl-Uil, del 22 luglio 2009, stabilisce una formazione iniziale dei lavoratori di durata minima di 8 ore, di cui almeno 4 prima di essere adibiti alle mansioni e
le successive entro 15 giorni (Parte III, art.13). La durata minima dei corsi per rlst
è di 80 ore (da effettuarsi entro 3 mesi dalla data di istituzione), con obbligo di
aggiornamento annuale di 16 ore. Per i rls aziendali le ore di formazione obbligatoria passano da 32 a 36, con aggiornamento periodico di 8 ore annue, indipendentemente dalle dimensioni delle realtà lavorative (Parte III, art.9).
323
324
119
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
specie se letta in connessione con l’affermata incompatibilità con
l’esercizio delle funzioni di rappresentante sindacale, denota l’attenzione del legislatore per la professionalità di tale figura, stante i più
gravosi compiti ad essa attribuiti326.
Un ruolo decisivo è poi attribuito dal d.lgs. n.106/2009 agli accordi
interconfederali, stipulati tra le organizzazioni sindacali dei datori di
lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, per
l’individuazione di settori ed attività, ulteriori all’edilizia, in cui siano
già operanti sistemi di rappresentanza o di pariteticità coerenti con il
modello delineato dalla riforma, legittimando così l’esonero delle
aziende aderenti dal pagamento al Fondo di cui all’art. 52327.
Più in generale alla disciplina collettiva (nazionale) è affidata la soluzione di numerosi profili di criticità relativi alla figura del Rlst (possibile conflittualità tra sindacati; effettiva capacità rappresentativa; carichi di lavoro, con particolare riguardo al numero ed alle tipologie di
imprese assegnate; accesso ai luoghi di lavoro; raccordo con gli
organismi paritetici)328.
120
Il rappresentante dei lavoratori di sito produttivo
Secondo quanto previsto dai criteri di delega (art.1, 2°comma, lett.
g), ultimo periodo, l. n.123/2007), viene introdotta la figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo329, per
specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più
aziende o cantieri (porti, centri intermodali di trasporto, impianti siderurgici, cantieri con almeno 30.000 uomini-giorno, contesti produttivi
con complesse problematiche legate alla interferenza delle lavorazioni e con un numero di addetti mediamente superiore a 500)330.
L’individuazione di una rappresentanza specifica di sito produttivo,
ma auspicabilmente anche sindacale, volta a tutelare tutti coloro
che, a prescindere dall’azienda di appartenenza e dalla tipologia
contrattuale utilizzata, operano in uno stesso contesto ambientale
appare in linea con quella contrattazione di “sito”, intermedia tra il
livello aziendale e quello territoriale, in via sviluppo in realtà produttive che si caratterizzano per processi di destrutturazione/ristruttura326
327
328
329
330
Cfr. in tal senso A. BALDASSARRE, cit, p.541.
Cfr. nuovo art.48, 3°comma, d.lgs. n.81/2008.
Cfr. P. CAMPANELLA, cit, p.420.
Cfr. art.49.
Cfr. art.49, 1°comma.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
zione, dove è difficile intravedere principi unificanti sul piano delle
regole; sulle tematiche delle esternalizzazioni331.
Il fulcro della previsione, più che nelle specifiche ipotesi indicate, è
peraltro da individuare nel generico riferimento a “contesti produttivi con complesse problematiche legate alla interferenza delle lavorazioni e da un numero complessivo di addetti mediamente operanti nell’area superiore a 500”332. La formulazione rende infatti possibile istituire rappresentanti di sito produttivo anche in contesti diversi
da quello classico del decentramento produttivo, dove ciascuna
impresa è collegata all’altra per il fatto stesso di svolgere una parte
essenziale di un unico ciclo produttivo complesso, essendo sufficiente che l’interazione tra più imprese si esplichi per ragioni meramente logistiche333.
Quella di sito produttivo è una rappresentanza di tipo volontario,
essendo individuata “tra” i Rls delle aziende operanti nel sito334, chiamata a svolgere in particolare funzioni di coordinamento dei Rls presenti, nonché eventualmente funzioni suppletive, analoghe a quelle
del rappresentante territoriale, per tutte le aziende del sito che siano
prive di rappresentanza interna. Alla contrattazione collettiva, senza
specificare il livello335, è rimesso il compito di stabilire le modalità di
individuazione (alternativa tra elezione o designazione), purché tuttavia il rappresentante di sito produttivo sia scelto tra i Rls presenti,
“su loro iniziativa”.
È da ritenere che non sia possibile la contemporanea presenza di
rappresentanti di sito produttivo e territoriali, dal momento che ogniqualvolta l’assenza di rappresentanza riguardi un’azienda di un sito
produttivo già munito di proprio rappresentante, sarà quest’ultimo ad
operare in via suppletiva, stante anche la maggiore aderenza alle
problematiche dell’area rispetto a quanto potrebbe esserlo quello
territoriale336.
Si pone d’altro lato il problema della estensione al Rls di sito produttivo delle prerogative disposte dal legislatore per il rappresentante
Cfr.,in particolare, R. DE LUCA TAMAJO, Diritto del lavoro e decentramento produttivo …,cit.; A. PERULLI, Diritto del lavoro e decentramento produttivo, cit.
332
Cfr. art.49, 1°comma,lett. e).
333
Cfr. P. CAMPANELLA, cit., p.412.
334
Cfr. art.49, 2°comma; non si tratta dunque di una figura aggiuntiva.
335
Cfr. art.49, 3°comma.
336
Cfr. in tal senso P. CAMPANELLA, cit., p.413.
331
121
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
territoriale qualora eserciti funzioni suppletive (diritto di accesso, formazione ulteriore, sostegno da parte del Fondo di cui all’art.52, raccordo con gli organismi paritetici). In modo ancor più pressante che
per il Rlst si configura inoltre la questione del sovraccarico di funzioni, continuando egli ad essere, tra l’altro, alle dipendenze di un’impresa che opera nel sito produttivo; d’altro lato non vale nei suoi confronti la regola dell’incompatibilità con l’esercizio di funzioni sindacali operative.
Tale forma di rappresentanza è stata introdotta da protocolli specifici, previsti ad esempio per le realtà portuali di Napoli, Genova,
Ravenna, Trieste e Venezia e da accordi pilota relativi alla sperimentazione di sistemi di gestione della sicurezza di sito produttivo337. Le
citate esperienze insegnano che la figura del rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza di sito produttivo dovrebbe inserirsi in una
logica di assetto integrato per la sicurezza, dove le stesse funzioni
datoriali di prevenzione e protezione (nonché di vigilanza sul territorio) dovrebbero coordinarsi al loro interno, mediante ad esempio l’individuazione di un’Autorità di riferimento per la sicurezza per l’intero
sito produttivo, responsabile della programmazione e del coordinamento degli interventi338.
122
Le attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
La logica partecipativa caratterizza anche le più ampie prerogative
riconosciute al Rls dall’art. 50, del d.lgs. n.81/2008, sostanzialmente
confermate dal d.lgs. n.106/2009.
Si tratta di una partecipazione che assume per lo più la forma
“debole”, di segno comunitario, della consultazione, attraverso
pareri obbligatori ma non vincolanti per il datore di lavoro, che non
vengono dunque ad intaccare la distinzione dei ruoli e le responsabilità aziendali. D’altro lato il Rls può richiedere l’intervento delle
autorità competenti qualora ritenga che le misure adottate in sede
aziendale non siano sufficienti a garantire la sicurezza e la salute
sul lavoro339.
Le attribuzioni e le tutele elencate nell’art. 50 valgono per il Rls in
generale, e dunque non solo per quello aziendale ma anche territoCfr., tra gli altri, il Protocollo in materia di salute e sicurezza dei lavoratori del gruppo Fincantieri, del 10 luglio 2007.
338
Cfr. più ampiamente A. PERULLI, cit., specie pp.58 ss.
339
Cfr. al riguardo A. BALDASSARRE, cit., p.538.
337
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
riale o di sito produttivo, qualora operi in via suppletiva340. Disposizioni specifiche regolano il diritto di accesso del solo rappresentante
territoriale341.
Alla contrattazione collettiva nazionale è demandata la determinazione delle “modalità per l’esercizio delle funzioni”342, fermo restando
la possibilità per l’autonomia collettiva, di qualsiasi livello, di stabilire
clausole integrative e migliorative rispetto a quanto disposto per
legge.
In merito alle attribuzioni del Rls l’art.50, richiama il contenuto dell’art. 19, d.lgs. n.626/1994, così come modificato dall’art.3,
1°comma, lett. e), l. n.123/2007, ivi compresa la facoltà di richiedere
copia del documento di valutazione dei rischi e di quello di valutazione dei rischi da interferenze delle lavorazioni, in caso di contratto di
appalto o di opera343.
Tra le novità che vengono ad ampliare le prerogative del Rls sono da
segnalare:
la prevista consultazione sulla nomina del medico competente nonché in merito all’organizzazione della formazione per le diverse figure considerate nell’art. 37 (lavoratori, preposti, dirigenti, addetti alle
emergenze, rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza)
(1°comma, lettera d) e non solo, come in precedenza, per i soli
addetti alle emergenze (cfr. art. 19, 1°comma, lett. d), d.lgs.
n.626/1994);
la possibilità di far ricorso alle autorità competenti anche riguardo
alle misure di prevenzione e protezione adottate dai dirigenti, e non
solo dal datore di lavoro, qualora si ritengano inidonee ai fini della
sicurezza (1°comma, lett. o);
il diritto di disporre, oltre che dei mezzi, anche degli “spazi” necessari per l’esercizio delle sue funzioni (anche tramite l’accesso ai dati
relativi agli infortuni sul lavoro contenuti in applicazioni informatiche)344.
Cfr. art.48, 1°comma e art.49, 3°comma.
Cfr. art.48, 4° e 5°comma.
342
Cfr. art.50, 3°comma.
343
Cfr. art.50, 4° e 5°comma. In riferimento al DUVRI non è tuttavia espressamente
disposta, come invece per il DVR, la preventiva consultazione del Rls.
344
Di cui all’art. 18, 1°comma, lett. r). In controtendenza pare invece la previsione
secondo la quale il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza solo “di norma”
deve essere sentito in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti (art.50, 1°comma, lett. i).
340
341
123
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
È da richiamare anche l’art. 26, 5°comma, come modificato dal d.lgs.
n.106/2009, relativo all’obbligo di indicare specificatamente nei contratti di appalto, subappalto e somministrazione, i costi delle misure
adottate per eliminare o ridurre al minimo i rischi da interferenze
delle lavorazioni, con diritto di accesso a tali dati da parte del Rls e
degli organismi locali delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Il Rls è d’altro lato tenuto al rispetto della privacy, di cui al d.lgs.
n.196/2003, e del segreto industriale nonché dei processi lavorativi
in relazione a quanto sia venuto a conoscenza nell’esercizio delle
sue funzioni345.
124
In particolare la consultazione e la consegna del documento di
valutazione dei rischi.
Tra le questioni particolarmente controverse sul piano applicativo
pare utile soffermarsi sulle prerogative del Rls in merito alla valutazione dei rischi, alla luce delle modifiche nel frattempo intervenute.
In merito alla consultazione del Rls in ordine alla valutazione dei
rischi è innanzitutto da precisare che il modello delineato dal decreto n.81, come già nel decreto n.626, prevede il coinvolgimento di tale
figura fin dal momento di avvio della procedura.
Ai sensi infatti dell’art. 29, 2°comma, il datore di lavoro effettua la
valutazione dei rischi ed elabora il relativo documento “previa consultazione” del Rls. Il carattere “preventivo” e “tempestivo” della consultazione in ordine, tra l’altro, alla valutazione dei rischi è ribadito
dall’articolo 50, 1°comma, lettera b). Al riguardo è da notare come
invece la partecipazione del Rls, anche nella forma “debole” della
consultazione, quando vi sia stata, abbia principalmente avuto
riguardo all’atto finale, al documento di valutazione dei rischi, piuttosto che alla sua elaborazione, come richiesto dalla normativa346.
345
346
Cfr. art.50, 6°comma.
Le esperienze negoziali più avanzate mettono in rilievo che la promozione della
sicurezza passa in primo luogo attraverso il potenziamento delle funzioni del rappresentante dei lavoratori, interlocutore credibile e qualificato del responsabile del
servizio di prevenzione, ancor più là dove si disponga di sistemi di gestione integrata e di controllo congiunto della sicurezza. Il nuovo assetto normativo dovrebbe
aiutare in tal senso; si pensi ad esempio all’ampliamento dell’oggetto della riunione periodica, nel corso della quale possono, tra l’altro, essere individuati “codici di
comportamento e buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e di malattie professionali”; cfr. art.35, 3°comma, lett. a).
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Il profilo partecipativo della valutazione dei rischi, mediante, tra l’altro, il contributo fattivo del Rls, è richiamato dal d.lgs. n.106/2009
anche quale alternativa alle usuali procedure (ad esempio la ratifica
da parte di un notaio o l’utilizzo di un sistema di posta certificata) per
conferire al documento di valutazione dei rischi data certa347.
Rilevante novità, introdotta dall’art.3,1°comma,lett. e), della l.
n.123/2007, confermata dal decreto n.81, è l’esplicita affermazione
del diritto del Rls di ricevere, su richiesta, copia del documento di
valutazione dei rischi per l’espletamento della sua funzione348, a cui
si può aggiungere il diritto dei Rls, rispettivamente del datore di lavoro committente e delle imprese appaltatrici, su richiesta, di ricevere
copia del documento unico di valutazione dei rischi da interferenze349. La previsione viene a risolvere la questione assai dibattuta sul
piano applicativo se il documento inerente la valutazione dei rischi
dovesse essere materialmente consegnato o fosse invece solo
accessibile al Rls per la sua consultazione350.
Ci si è altresì domandati se sia possibile per il Rls portare il documento fuori dai locali aziendali, in modo da poter disporre di maggior
tempo per la lettura ed eventualmente farsi assistere da un esperto
esterno. Se da un lato il diritto in esame non è soggetto a limitazioni
(se non quelle del rispetto della privacy e del segreto industriale) dal125
Si stabilisce infatti che il documento redatto a conclusione della valutazione deve
essere munito, anche tramite le procedure applicabili ai supporti informatici, “di
data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del
datore di lavoro nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e del medico competente, ove nominato” (cfr. art.28, 2°comma, alinea, d.lgs.
n.81/2008, come modificato dal d.lgs. n.106/2009). La previsione, che recepisce
una sollecitazione in tal senso contenuta nell’Avviso comune tra le parti sociali,
con esclusione della Cgil, del gennaio 2009, è volta ad evitare inutili appesantimenti burocratici, non venendo d’altro lato ad attenuare le responsabilità del datore di lavoro in ordine alla valutazione dei rischi.
348
Cfr. art.50, 4°comma.
349
Cfr. art.50, 5°comma.
350
La problematica scaturiva dalla formulazione dell’art. 19, 5°comma, del d.lgs.
n.626/1994, che prevedeva il diritto di “accesso” al documento sulla valutazione dei
rischi; si era tuttavia ritenuto che, stante il ruolo partecipativo del Rls, lo stesso
avesse diritto alla materiale consegna di copia dei documenti necessari per svolgere appieno le sue funzioni (in tal senso è la circ. Min. lavoro 16 giugno 2000,
n.40, con le ulteriori precisazioni apportate da circ. 3 ottobre 2000, n.68). Tale indirizzo ha trovato ora conferma sul piano legislativo.
347
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
126
l’altro si tratta pur sempre di un documento aziendale, da custodire
(l’originale) presso l’unità produttiva alla quale la valutazione dei
rischi si riferisce351. La questione si pone con particolare riguardo per
il rappresentante territoriale, riferimento esterno per un determinato
numero di imprese352. Sul punto il d.lgs. n.106/2009 prevede la possibilità, da parte del datore di lavoro e dei dirigenti, di consegnare al
Rls, su sua richiesta, copia del documento di valutazione dei rischi353
“anche su supporto informatico”, richiamando in tal senso l’articolo
53, 5°comma, del decreto n.81354, documento peraltro consultabile
esclusivamente in azienda355. La previsione, che recepisce un’indicazione fornita dal Ministero del lavoro, in relazione ad un quesito
posto da Confcommercio (risposta ad interpello 11 dicembre 2008,
n.52)356 suscita perplessità.
Se finalità della norma è quella di consentire un esame approfondito, da parte del Rls, del documento di maggior rilievo ai fini prevenzionali, la disposizione può ritenersi funzionale solo se, fermo
restando la salvaguardia del segreto industriale, da un lato si garantisce al rappresentante il tempo necessario per la consultazione
(non computabile nei permessi retribuiti, secondo quanto già dispone la disciplina pattizia)357 ed al contempo gli si consente di avvalersi di figure professionali specializzate per assisterlo in tale attività358.
Il d.lgs. n.106/2009 sostanzialmente conferma, ed in taluni casi inasprisce, le sanzioni al riguardo, rispetto a quanto previsto dal decreto n.81359.
Cfr. art.29, 4°comma; cfr., anche per riferimenti, P. CAMPANELLA, cit., p.425.
L’Accordo interconfederale Confapi/Cisl-Uil, del 22 luglio 2009, ribadisce anche per
il Rlst il diritto di ricevere “copia del documento di valutazione dei rischi e del
DUVRI e ogni loro modificazione”(Parte I, art.2).
353
Così come del documento di valutazione dei rischi da interferenze; cfr. art.18,
1°comma, lett. p), d.lgs. n.81/2008, come modificato dal d.lgs. n.106/2009.
354
Secondo il quale “tutta la documentazione rilevante in materia di igiene, salute e
sicurezza sul lavoro e tutela delle condizioni di lavoro può essere tenuta su unico
supporto cartaceo o informatico”.
355
Cfr. art.18, 1°comma, lett. o), d.lgs. n.81/2008, come modificato dal d.lgs.
n.106/2009.
356
Pubblicata, tra l’altro, in ISL, 2009, p.21.
357
Cfr., tra gli altri, Accordo interconfederale Confindustria, 22 giugno 1995, Parte I.
358
In tal senso è l’Accordo interconfederale Confapi/Cisl-Uil, del 22 luglio 2009, in
base al quale il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza può fornire il proprio
contributo sulla valutazione dei rischi “anche attraverso la consulenza di esperti
individuati attraverso l’organismo paritetico …”; cfr. Parte II, art.7.
359
Cfr. l’art.55, d.lgs. n.81/2008, come modificato dal d.lgs. n.106/2009. La mancata
consegna del documento di valutazione dei rischi (art. 18,1°comma, lett. o) è ora
351
352
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Il diritto di accesso
Il diritto del Rls di “accedere ai luoghi in cui si svolgono le lavorazioni” è stabilito in via generale dall’art. 50, 1°comma, lett. a), del d.lgs.
n.81/2008 (già art. 19, 1°comma, lett. a), d.lgs. n.626/1994); una
disciplina specifica è poi dettata per l’accesso ai luoghi di lavoro del
rappresentante territoriale360.
Sul diritto di accesso ai luoghi di lavoro ai fini del controllo delle
misure di sicurezza si può richiamare quanto elaborato da dottrina e
giurisprudenza in riferimento alla prima parte dell’articolo 9, Stat. lav.
Tale diritto, da configurarsi come diritto potestativo, non è subordinato al preventivo assenso del datore di lavoro e, in mancanza di vincoli procedurali stabiliti dalla contrattazione collettiva, incontra i soli
limiti posti dall’ordinamento per impedire forme illegittime di esercizio dello stesso361.
Il “rispetto delle esigenze produttive”, contemplato dalla disciplina
collettiva, non può del resto tradursi in una formula astratta dietro la
quale possa trincerarsi il datore di lavoro per ostacolare l’attività del
Rls, dovendo egli dimostrare l’esistenza di tali esigenze.
La regolamentazione collettiva prevede peraltro la “segnalazione
preventiva” delle visite che si intendono effettuare. Più in generale è
da dire che l’utilizzo dei permessi da parte del Rls deve comunque
essere comunicato alla direzione aziendale con un preavviso che, là
dove non espressamente indicato dalla contrattazione collettiva362, è
da ritenersi stabilito in 24 ore, in analogia a quanto previsto dall’art.
23, ultimo comma, Stat. Lav., per i permessi sindacali retribuiti. La
punita, a carico del datore di lavoro e dei dirigenti, con l’arresto da due a quattro
mesi o con l’ammenda da 750 a 4.000 euro (nel testo originario del decreto 81 con
l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 800 a 3.000 euro); la mancata
consultazione in via generale del Rls (art. 18, 1°comma, lett. s) è punita con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro (nel testo originario del decreto 81 con la sanzione
amministrativa pecuniaria da 1.000 a 3.000 euro), al pari di quella con riguardo specifico alla valutazione dei rischi (art. 29, 2°comma) (nel testo originario del decreto
81 tuttavia si prevedeva in tal caso l’ammenda da 3.000 a 9.000 euro).
360
Cfr. art.48, 4° e 5°comma.
361
Cfr. in particolare Cass., 13 settembre 1982, n.4874.
362
Al riguardo l’Accordo Confapi, del 27 ottobre 1995, precisando la formula generica contenuta nell’Accordo Confindustria, stabilisce che l’utilizzo dei permessi deve
essere comunicato alla direzione aziendale con almeno 48 ore di preavviso, tenendo conto anche delle obiettive esigenze tecnico-produttive-organizzative dell’azienda, salvi i casi di forza maggiore (Parte II, punti 1 e 2), previsione confermata nell’Accordo 22 luglio 2009 (Parte I, art.3).
127
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
128
presenza del datore di lavoro, o di chi per esso, alle operazioni di
controllo, ammessa là dove non si traduca in un impedimento, trova
riscontro nella disciplina contrattuale363.
L’accesso ai luoghi di lavoro del Rlst deve avvenire, ai sensi dell’art.
48, 4°comma, “nel rispetto delle modalità e del termine di preavviso”
individuati dalla disciplina collettiva nazionale, interconfederale o di
categoria. È auspicabile che la regolazione pattizia attuativa del
decreto n.81 non renda particolarmente macchinoso, come è invece
avvenuto in passato, l’esercizio di tale prerogativa364. Peraltro “il termine di preavviso non opera in caso di infortunio grave”, garantendosi in tale ipotesi l’accesso immediato del Rlst ai luoghi di lavoro
solo “previa segnalazione” all’organismo paritetico365, da intendersi
dunque come mera informativa e non come richiesta di autorizzazione all’accesso366. “Ove l’azienda impedisca l’accesso – nel rispetto
delle modalità indicate – al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, questi lo comunica all’organismo paritetico o, in
sua mancanza, all’organo di vigilanza territorialmente competente”,
al fine di rimuovere l’impedimento. Trova dunque conferma il ruolo di
garanzia delle sedi bilaterali circa l’effettivo esercizio delle attribuzioni del Rlst, anche per il fatto di essere, tra l’altro, prima istanza di riferimento in merito a controversie sull’applicazione dei diritti di rappresentanza367.
L’Accordo Confindustria, del 22 giugno 2005 (Parte I, punto 2.1), così come quello Aran, del 7 maggio 1996 (Parte I, punto VII), prevede che le visite si possano
“anche svolgere congiuntamente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione o ad un addetto da questi incaricato”, il che fa ritenere non obbligatoria la
presenza delle figure aziendali.
364
L’Accordo interconfederale per il settore artigiano, definitivamente siglato il 3 settembre 1996, stabilisce che il diritto di accesso ai luoghi di lavoro del rlst sia subordinato alla presenza dell’associazione cui l’impresa è iscritta o alla quale conferisca mandato, previa comunicazione scritta alla componente datoriale dell’organismo paritetico delle aziende interessate ed è sottoposta a particolari vincoli di ordine temporale, che possono dilazionare l’accesso all’impresa fino a 14 giorni dalla
richiesta (Parte II, punti 4.3 e 4.4).
365
Cfr. art.48, 4°comma, ultima parte.
366
Cfr. in tal senso P. CAMPANELLA, cit., p.426.
367
Cfr. art.51, 2°comma. È auspicabile che la regolazione speciale sull’accesso ai luoghi di lavoro dettata in via esclusiva per il rappresentante territoriale sia estesa,
dalla disciplina collettiva, anche al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di
sito produttivo, sia quando svolga funzioni di coordinamento dei diversi rappresentanti presenti sia quando operi in via suppletiva, in assenza di rappresentanza
interna in una o più aziende del sito produttivo; cfr. P. CAMPANELLA, cit., p.426.
363
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Il diritto di accesso ai luoghi di lavoro è garantito sul piano penale
indirettamente tramite il riferimento all’art. 18, 1°comma, lett. n)368.
Oltre ai luoghi di lavoro il Rls, per l’espletamento della sua funzione ha
tra l’altro diritto di accesso ai dati relativi agli infortuni sul lavoro, di cui
all’art. 18, 1°comma, lett. r), contenuti in applicazioni informatiche369,
nonché ai documenti aziendali relativi a specifici agenti di rischio370.
Le ulteriori prerogative
Al Rls è riconosciuto inoltre, come già nell’ambito del d.lgs.
n.626/1994, un potere di iniziativa circa l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione (art. 50, 1° comma, lett.
h), formula che riproduce quasi letteralmente quanto disposto nella
2° parte dell’art. 9, St. lav.; di proposta in merito all’attività di prevenzione (art. 50, 1° comma, lett. m); di partecipazione alla riunione
periodica di cui all’art. 35, che rappresenta la sede per così dire “istituzionale” di partecipazione sul luogo di lavoro (art. 50, 1° comma,
lett. l)371. D’altro lato egli ha anche il dovere di avvertire il responsabile dell’azienda dei rischi individuati nello svolgimento del suo incarico (art.50, 1° comma,lett. n), previsione che acquista un certo rilevo ai fini dell’accertamento di eventuali responsabilità372.
La violazione è punita con la ammenda da 2.000 a 4.000 euro (art.55, 5°comma,
lett. e), come modificato dal d.lgs. n.106/2009.
369
Tale obbligo ha sostituito quello della tenuta del registro infortuni (di cui all’art.4,
5°comma, lett. o), d.lgs. n.6626/1994).
370
Cfr. ad esempio l’art.243, 1°comma, per gli agenti cancerogeni; gli artt.269,
4°comma e 271, 6°comma, per gli agenti biologici. È da segnalare al riguardo
come la giurisprudenza abbia ritenuto costituire comportamento antisindacale, ex
articolo 28, Stat. lav., il rifiuto datoriale alla richiesta di prendere visione, da parte
delle rappresentanze sindacali, del registro infortuni, al fine di constatare l’eventuale nesso di causalità fra lo svolgimento di un elevato numero di ore di lavoro
straordinario ed il verificarsi di incidenti (cfr. Cass., 7 marzo 2001, n.3298).
371
In argomento cfr., tra gli altri, M. CRESPI, La riunione periodica di prevenzione e
protezione dai rischi, in DPL, 1996, pp.2035 ss; R. DUBINI, La riunione periodica
di prevenzione:indicazioni operative, in ISL, 2004, p.342 ss.
372
Si è visto come il ruolo del Rls sia quello di “rappresentare (e tutelare) i lavoratori
per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”
(art.2,1°comma, lett. i), d.lgs. n.81/2008). Le sue funzioni non possono pertanto
essere assimilate o confuse, come è talora avvenuto, con quelle del preposto, chiamato a svolgere un ruolo di sorveglianza circa il rispetto delle norme antinfortunistiche da parte dei lavoratori. Il Rls potrà in sostanza avvertire il lavoratore in merito agli obblighi concernenti la sicurezza ed alle eventuali sanzioni a cui può andare incontro, ma non sarà certo tenuto a richiedere l’osservanza dei comportamenti dovuti né tanto meno potrà essere considerato responsabile riguardo ad essi.
368
129
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Al Rls è infine conferita, come accennato, ai sensi della lett. o), dell’art.50, 1°comma, la facoltà di “fare ricorso alle autorità competenti
qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi
adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per
attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro”. La formulazione è così ampia da poter comprendere,
oltre al ricorso alla Asl e all’Ispettorato del lavoro, anche quello in
sede giudiziaria al fine di una corretta applicazione delle misure di
sicurezza373.
Sul punto è da rilevare la fondamentale diversità tra la tutela sostanziale perseguita dalla disposizione in esame, concernente la concreta
adozione delle misure preventive e protettive, e la tutela strumentale,
volta a rimuovere impedimenti all’esercizio delle attribuzioni del Rls.
Paiono pertanto improprie le commistioni tra i due ambiti di tutela.
Il piano dei rimedi di cui all’art.50, 1°comma, lett. o), è infatti ben distinto da quello inerente le garanzie dei diritti di rappresentanza374.
130
Il d.lgs. n.81/2008, come già il d.lgs. n.626/1994, opportunamente non pone sanzioni penali a carico del Rls. In primo luogo per non scoraggiare l’assunzione di
tale incarico, ma anche sulla base della considerazione che perfino la consultazione, che rappresenta la forma più avanzata di partecipazione prevista, implica,
comunque, che la decisione finale, e quindi la relativa responsabilità, spetti al datore di lavoro. L’interpretazione prospettata è avvalorata dalla giurisprudenza della
Cassazione in materia, che ha escluso che colui che sia stato individuato come
rappresentante per la sicurezza debba rispondere in quanto tale delle misure preventive da adottare (cfr. Cass. pen, 23 maggio 2001, in c. Cinquia, in ISL, 2001,
p.673). Ove dunque il Rls assommi alle proprie funzioni tipiche anche compiti operativi, in forza del principio di effettività, potrà essere chiamato a rispondere anche
sul piano penale; cfr. R. GUARINIELLO, Rassegna della Cassazione penale, nota
a commento di Cass. citata, p.674. Resta comunque al di fuori della responsabilità prevenzionale l’eventuale corresponsabilità, come qualsiasi altro soggetto, per
colpa, in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale. Al riguardo si può
richiamare proprio quanto dispone l’art.50, 1°comma, lett. n), decreto n.81. Ne
consegue che “ove egli contravvenga colposamente a tale ruolo funzionale garante della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, se ne potrà ipotizzare un
profilo di responsabilità (autonoma ovvero concorrente con quella di altri soggetti)
dipendente e riconducibile, sotto il profilo della causalità giuridica, all’evento dannoso verificatosi”; in tal senso P. SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di
lavoro, cit. p.115.
373
Cfr. in tal senso, tra gli altri, L. MONTUSCHI, La sicurezza nei luoghi di lavoro ovvero l’arte del possibile, cit. p.413; A. TAMPIERI, Azione sindacale e contrattazione
collettiva, cit., p.567. Per una diversa interpretazione P. SOPRANI, Sicurezza e
prevenzione nei luoghi di lavoro, cit. p.441.
374
Di diverso avviso invece A. TAMPIERI, Azione sindacale e contrattazione collettiva.,cit. p.570.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
La previsione in esame va peraltro letta in connessione con quanto stabilito dall’art.51, 2°comma, del d.lgs. n.81/2008, che attribuisce agli
organismi paritetici, tra l’altro, la funzione di “prima istanza di riferimento
in merito a controversie sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione, previsti dalle norme vigenti”375. Chiamati
a decidere sull’applicazione dell’art.50, sulle attribuzioni del Rls, così
come specificate negli accordi collettivi intervenuti ai vari livelli sono dunque gli organismi paritetici. Tutto ciò in connessione con lo spirito della
normativa che affida alla contrattazione collettiva ed alla gestione sindacale la definizione di molti aspetti concernenti la partecipazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze ai temi della sicurezza.
Il Rls deve inoltre disporre del tempo necessario allo svolgimento del
suo incarico senza perdita di retribuzione376. Egli d’altro lato “non può
subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria
attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla
legge per le rappresentanze sindacali” (art.50, 2°comma).
Il generico rinvio alla legge contenuto nella norma fa peraltro ritenere, secondo quanto avvalorato dalla giurisprudenza che si è pronunciata sulla questione377, che al Rls si estendano (con il solo limite del
ricorso diretto alla procedura dell’art.28, St. lav, che vale del resto
per gli stessi organismi sindacali aziendali) tutte le tutele previste per
le rappresentanze sindacali e non solo alcune di queste.
Gli organismi paritetici
Definizioni, livelli di intervento e soggetti legittimati
Il coinvolgimento delle parti sociali trova significativa espressione a
livello territoriale negli organismi paritetici, le cui prerogative sono valorizzate in un’ottica promozionale e di supporto tecnico alle imprese. Si
tratta di un’ulteriore sede di confronto esterno all’azienda che si affianca alla consultazione e partecipazione dei Rls sul luogo di lavoro378.
Cfr. infra.
È da ritenere che i permessi retribuiti per svolgere le funzioni di Rls siano equiparabili
a tutti gli effetti alla retribuzione ordinaria; cfr. P. SCIORTINO - F. FONSMORTI, Il “lavoro retribuito” del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,in ISL, 2007, pp.300 ss.
377
Cfr. Pret. Torino, 13 gennaio 1997, cit.
378
Sugli organismi paritetici cfr., tra gli altri, S. SALVATO, Gli organismi paritetici,in M.
IRABOSCHI (a cura di),Il Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro,
Milano, 2008, pp.339 ss.; M. RICCI, Gli organismi paritetici e il fondo di sostegno,
in in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di),Le nuove regole per la
salute e la sicurezza dei lavoratori, cit, pp.434 ss.
375
376
131
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
132
Il d.lgs. n.81/2008 definisce gli organismi paritetici quali “organismi
costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla
legge o dai contratti collettivi di riferimento”379. Tale definizione si ispira a quella di ente bilaterale, contenuta nell’art.2, 1°comma, lett. h),
del d.lgs. n.276/2003, attuativo della cd. “legge Biagi”, qualificati, con
formula unificante delle funzioni, “quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro”, discostandosene tuttavia per il riferimento al livello nazionale ai fini della rappresentatività380.
Gli organismi paritetici rappresentano dunque l’istanza specialistica
sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, del più ampio genus degli
enti bilaterali, con competenza in materia di mercato del lavoro. La
regola della pariteticità, che dovrebbe essere già propria degli enti
bilaterali quali proiezione sul piano gestionale della fonte negoziale
da cui traggono origine, in materia di salute e sicurezza è esplicitata fin dalla denominazione di detti organismi.
Le modalità di costituzione e le funzioni degli organismi paritetici
sono specificate dalla contrattazione collettiva. Sono peraltro fatte
salve le strutture bilaterali o partecipative già previste da accordi
interconfederali, di categoria, nazionali, territoriali o aziendali381. Di
norma è prevista un’articolazione di tali organismi a livello nazionale, regionale e provinciale, ma non anche a livello aziendale, a differenza dell’esperienza di altri Paesi europei.
Cfr. art.2,1° comma, lett.ee).
Agli enti bilaterali, di cui all’art.76, comma 1, lett. a), d.lgs. n.276/2003, unitamente alle Università, era affidata nello schema preliminare di decreto correttivo (poi
d.lgs. n.106/2009) una delicata funzione certificatoria dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza, con presunzione di conformità alle prescrizioni
normative, prospettiva in seguito accantonata.
381
Cfr. art.51, 4°comma. Cfr. Accordo interconfederale Confindustria, 22 giugno 1995;
Accordo interconfederale Confartigianato, 3 settembre 1996, a cui è seguito l’Accordo interconfederale del 17 marzo 2004 e la successiva intesa applicativa del 14
febbraio 2006; l’Accordo quadro Aran, 7 maggio 1996; Accordo interconfederale
Confcommercio, 18 novembre 1996, Accordo interconfederale Confesercenti, 20
novembre 1996; da ultimo l’Accordo interconfederale Confapi/Cisl-Uil, 22 luglio
2009, che rivede ed aggiorna l’intesa del 27 ottobre 1995.
379
380
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Per il lavoro pubblico gli organismi paritetici sono parificati ai soggetti titolari degli istituti della partecipazione, individuati dalla contrattazione collettiva nazionale, ai sensi dell’art. 9, del d.lgs. n.165/2001
(come modificato dal d.lgs. n.150/2009)382.
Dal momento che tra le funzioni degli organismi paritetici rientra
anche quella di essere “prima istanza di riferimento in merito a controversie sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza …”383, in
virtù del collegamento con l’articolo 47, 5°comma384, è da ritenere
che legittimate a costituire o a far parte degli organismi paritetici, per
lo svolgimento dei compiti previsti dal legislatore, siano solo le associazioni sindacali, datoriali e dei prestatori di lavoro, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, firmatarie di accordi
collettivi in materia.
Le funzioni degli organismi paritetici: a) la promozione della
formazione alla sicurezza.
Una prima area di intervento degli organismi paritetici in materia di
salute e sicurezza del lavoro concerne lo “svolgimento” e la “promozione” di attività formative385, formulazione che si connota per un
taglio più operativo rispetto alla funzione di “orientamento e di promozione” di iniziative formative per i lavoratori, desumibile dall’art.20, 1°comma, d.lgs. n.626/1994.
In taluni casi il d.lgs. n.81/2008 include anche gli organismi paritetici
tra i possibili soggetti organizzatori dei percorsi formativi per le diverse figure della sicurezza386.
In materia il d.lgs. n.106/2009 apporta modifiche di un certo rilievo: da
382
Cfr. art.51, 5° comma. Il termine parificazione non è peraltro sinonimo di identificazione, per cui gli organismi paritetici non possono essere individuati come destina-
tari esclusivi delle prerogative indicate.
Cfr. art.51, 2°comma, infra.
384
In base al quale “il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli
strumenti per l’espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di contrattazione
collettiva”.
385
Cfr. art. 51, comma 3.bis, d.lgs. n.81/2008.
386
Ad esempio per la formazione degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione, art.32, 4°comma; per la formazione dei dirigenti e dei preposti,
art.37, comma 7.bis; per la formazione dei coordinatori per la progettazione e dei
coordinatori per l’esecuzione dei lavori nel settore dell’edilizia, art.98, 2°comma;
per la necessaria “collaborazione” degli organismi paritetici per la formazione dei
lavoratori e dei loro rappresentanti, cfr. art.37, 12°comma, infra.
383
133
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
un lato, sviluppando un’indicazione contenuta nell’Avviso comune,
stabilisce che la formazione dei preposti, a cui da ultimo si è aggiunta
quella dei dirigenti, può essere effettuata “anche presso gli organismi
paritetici ... o le scuole edili, ove esistenti”387, fornendo dunque un servizio concreto alle imprese in un’ottica partecipativa, dall’altro prevede
che gli organismi paritetici possano svolgere o promuovere attività di
formazione su salute e sicurezza “anche attraverso l’impiego dei fondi
interprofessionali” e di quelli per la somministrazione di lavoro388. Al
riguardo è da precisare che, in base alla disciplina comunitaria, è vietato l’uso delle risorse dei fondi interprofessionali per la formazione
obbligatoria389. Si conferma inoltre che la formazione dei lavoratori e
quella dei loro rappresentanti deve avvenire “in collaborazione con gli
organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si
svolge l’attività del datore di lavoro..”390. Il necessario coinvolgimento
degli organismi paritetici si giustifica con la finalità di operare un monitoraggio dei percorsi formativi proposti. La precisazione introdotta può
d’altro lato significare che la previsione non opera qualora esistano
organismi paritetici di diversi ed eterogenei settori, tali dunque da non
garantire la funzione ed il supporto richiesto391.
134
Le funzioni degli organismi paritetici: b) la soluzione delle controversie
Ulteriore prerogativa degli organismi paritetici, anch’essa già prevista dall’art.20, 1°comma, secondo periodo, del d.lgs. n.626/1994, è
quella di essere “prima istanza di riferimento in merito a controversie
sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e
formazione, previsti dalle norme vigenti”392. Unica differenza rispetto
al passato è aver fatto salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva che, come detto, rappresenta la principale fonte di regolazione in materia393.
Ovvero “presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori”, nella
convinzione che l’ampliamento del novero dei soggetti formatori favorisca la diffusione delle iniziative, cfr. art.37,comma 7. bis); Relazione di accompagnamento al
d.lgs. n.106/2009,p. 20.
388
Cfr. art.51, comma 3.bis.
389
In tal senso è l’utilizzo della congiunzione “anche”.
390
Cfr. art.37, 12°comma, come modificato dal d.lgs. n.106/2009.
391
Cfr. in tal senso la Relazione di accompagnamento al d.lgs. n.106/2009.
392
Cfr. art.51, 2°comma, secondo periodo.
393
Cfr. M. RICCI, cit., p.437.
387
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
È da notare il legame tra modelli di relazioni industriali di tipo partecipativo, quale appunto quello delineato, e lo sviluppo di procedure
per la soluzione dei conflitti.
L’ambito di intervento degli organismi paritetici riguarda sia le controversie relative alle prerogative del Rls, in ordine alla applicazione dei
“diritti di rappresentanza”, sia quelle concernenti i diritti individuali dei
lavoratori in materia di “informazione e formazione”. La genericità della
previsione si presta a spunti interpretativi di un certo interesse.
In via preliminare va accertata la reale funzione di tali organismi, se
cioè sia loro attribuito un effettivo potere di conciliazione delle controversie, ed il ricorso ad essi sia condizione di procedibilità per la
proposizione di un’azione giudiziaria, o se invece siano chiamati a
svolgere soltanto una funzione consultiva interpretativa, priva di
effetti vincolanti per le parti394. Sul punto, mentre dal dato testuale del
decreto non si ricavano indicazioni certe, dalle intese collettive emerge più chiaramente il ruolo di “composizione” delle controversie395.
Altro aspetto di rilievo concerne il contenuto delle decisioni adottate dall’organismo paritetico e l’efficacia delle stesse per le parti individuali.
Gli organismi paritetici sono chiamati, come detto, a decidere in merito a “controversie sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza”,
previsti dalle norme vigenti. Dunque principalmente circa le attribuzioni del Rls. Ad esempio in ordine agli eventuali impedimenti frapposti
dal datore di lavoro o dalle altre figure aziendali al diritto di accesso ai
luoghi di lavoro396, o alle prerogative del Rls in materia di consultazione, informazione e formazione. È invece dubbia, almeno sulla base del
solo dettato normativo, la possibilità di interventi nel merito delle singole questioni, ad esempio là dove si sia in presenza di opinioni divergenti tra datore di lavoro e Rls durante la stesura del documento sulla
valutazione dei rischi o circa l’adozione di determinate misure (la disciplina collettiva può d’altro lato ben disporre in tal senso).
394
Cfr. al riguardo in particolare G. FERRARO - M.R. LAMBERTI, La sicurezza sul
lavoro nel decreto legislativo attuativo delle direttive CEE, in Riv.giur.lav., 1995, I,
pp.52-53, che optano per la seconda soluzione.
Cfr., tra gli altri, l’accordo Confindustria, del 22 giugno 1995 (Parte II, punto 2.2); da
ultimo l’accordo Confapi/Cisl-Uil, del 22 luglio 2009, secondo il quale gli organismi
paritetici provinciali/o di bacino “sono prima istanza obbligatoria di riferimento in merito a controversie sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e
formazione, di cui all’art.51, 2° comma del D.lgs. n.81/2008..” (art.17, lett. e).
396
Per il ruolo di garanzia del diritto di accesso ai luoghi di lavoro del Rlst, di cui
all’art.48, 4° e 5°comma, d.lgs. n.81/2008, cfr. supra.
395
135
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Rispetto poi all’efficacia delle decisioni non pare che la pronuncia
dell’organismo paritetico possa ritenersi vincolante per le parti qualora siano in gioco diritti individuali; in tal caso infatti la funzione di
composizione della controversia da parte delle organizzazioni sindacali in sede paritetica può essere esercitata solo in presenza di uno
specifico mandato del lavoratore interessato.
136
Le funzioni degli organismi paritetici: c) il supporto tecnicoorganizzativo alle imprese
Le funzioni degli organismi paritetici sono compiutamente valorizzate
mediante l’attribuzione di un ruolo di supporto alle imprese “nell’individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e
migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro”397. La previsione, che riprende alla lettera quanto contenuto nei criteri di delega398,
contempla dunque un sostegno al sistema delle imprese non solo
finalizzato al rispetto dei precetti normativi, ma anche di tipo promozionale. Particolare rilievo potrà ad esempio avere l’indicazione di
norme tecniche da seguire e la elaborazione e diffusione di buone
prassi, rispetto alle quali esiste una competenza propria degli organismi paritetici. A tal fine, purché si disponga di personale con specifiche competenze tecniche in materia, gli organismi paritetici possono
effettuare sopralluoghi negli ambienti di lavoro rientranti nei territori e
nei comparti produttivi di competenza, essendo comunque tenuti a
trasmettere al Comitato regionale di coordinamento delle attività di
prevenzione e vigilanza, di cui all’art.7, una relazione annuale sull’attività svolta399. Pare sul punto definitivamente superato il contrasto, a
suo tempo evidenziato, tra ruolo promozionale e ruolo di supporto
all’attività di vigilanza desumibile dal testo della l. n.123/ 2007400. I
sopralluoghi sono possibili solo con il consenso del datore di lavoro
interessato non disponendo gli organismi paritetici dei poteri tipici
degli organi di vigilanza pubblica401. D’altro lato, pur non espressamente richiamata (come invece nell’art.7, 3°comma, della l. n.123/2007),
non è tuttavia preclusa la facoltà per gli organismi paritetici di richiedeCfr. art.51, 3°comma.
Cfr. art.1, 2°comma, lett. h), l.123/2007.
399
Cfr. art.51, 6° e 7°comma.
400
Cfr. il criterio di delega di cui all’articolo 1, 2°comma, lett. h) in rapporto alle previsioni dell’articolo 7, ora espressamente abrogate (cfr. art.304, 1°comma, lett. c).
401
Cfr. in tal senso S. SALVATO, cit., p.340, nota 4.
397
398
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
re alle autorità ispettive controlli mirati in merito a specifiche situazioni
di rischio. Quella indicata è una prospettiva volta a favorire l’adozione
di misure prevenzionali e di pratiche migliorative, sul modello di quanto previsto dalla disciplina contrattuale per il settore dell’edilizia.
Il d.lgs. n.106/2009 precisa ulteriormente che dello svolgimento di
tale attività e servizi di supporto al sistema delle imprese, su richiesta delle stesse, gli organismi paritetici rilasciano apposita attestazione, tra cui l’“asseverazione” dell’adozione e dell’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza, di cui
all’articolo 30, del decreto, della quale gli organi di vigilanza possono tener conto ai fini della programmazione delle proprie attività402.
Il dotto, quanto desueto, termine utilizzato (“asseverazione”), che pare
differenziarsi da quello di “certificazione” per il minor connotato valutativo di rilievo pubblico, implica in ogni caso la formulazione di un giudizio, fermo e deciso403, che può tra l’altro avere efficacia esimente ai fini
della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, di cui al
d.lgs. n.231/2001. A tal fine si richiede che gli organismi paritetici siano
muniti di strutture con competenze tecniche specifiche.
Equilibrato pare infine il raccordo tra vigilanza pubblica e sistema
della bilateralità, configurandosi l’attestazione rilasciata dagli organismi paritetici di carattere solo indicativo, e non certo vincolante, per
l’esercizio e la pianificazione dell’attività ispettiva, che potrà, se del
caso, indirizzarsi prioritariamente verso settori ed imprese del tutto
prive di forme di controllo sociale404.
Il sostegno ai sistemi di rappresentanza e di pariteticità
A sostegno delle attività degli organismi paritetici, dei Rlst (in misura
non inferiore al 50 per cento delle disponibilità), nonché per il finanziamento della formazione dei datori di lavoro delle piccole e medie
Cfr. art.51, comma 3.bis.
Lo Zingarelli, vocabolario della lingua italiana, qualifica l’asseverare come l’“affermare con certezza ed energia”.
404
Vengono inoltre confermate le funzioni di anagrafe dei Rlst, spettando agli organismi paritetici comunicare i nominativi degli stessi alle aziende ed ai lavoratori interessati nonché agli organi di vigilanza territorialmente competenti (cfr. art.51,
8°comma; cfr. anche art.48, 6°comma). Il d.lgs. n.106/2009 aggiunge l’obbligo di
tale informativa, così come dei nominativi delle imprese che hanno aderito al sistema della bilateralità, anche nei confronti dell’Inail (cfr. art.51, comma 8.bis). Presupposto necessario per la comunicazione è tuttavia la conosciuta presenza dei
Rls in azienda. L’obbligo da parte del datore di lavoro di comunicare i nominativi
402
403
137
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
138
imprese e dei lavoratori autonomi, è prevista l’istituzione di un apposito Fondo presso l’Inail405. Tale Fondo, alimentato da un contributo a
carico delle aziende prive di Rls in misura pari a 2 ore annue per lavoratore406, opera a favore delle realtà in cui la disciplina collettiva non
preveda sistemi di rappresentanza dei lavoratori e di pariteticità
“migliorativi o, almeno, di pari livello”. Sul punto il d.lgs. n.106/2009,
con significativa modifica integrativa, affida ad uno o più accordi interconfederali, stipulati a livello nazionale dalle organizzazioni sindacali
dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, l’individuazione dei settori e delle attività, oltre all’edilizia407, nei
quali “in ragione della presenza di adeguati sistemi di rappresentanza
dei lavoratori in materia di sicurezza o di pariteticità, le aziende o unità
produttive, a condizione che aderiscano a tali sistemi..., non siano
tenute a partecipare al Fondo di cui all’art. 52”408. Si viene dunque a
risolvere un’ambiguità riscontrabile sul piano interpretativo, facendo
salvi quei sistemi di rappresentanza o di bilateralità già operanti per via
contrattuale, ed al contempo si garantisce alle imprese di non essere
tenute a pagare più volte per una medesima finalità. L’indicazione è
stata recepita nell’accordo Confapi/ Cisl-Uil, del 22 luglio 2009, che
prevede l’istituzione di un apposito Fondo Sicurezza Pmi, alimentato
con risorse provenienti dalle articolazioni del Fondo di cui all’articolo
52 e gestito dalle parti sociali in maniera paritetica.
Il decreto 106/2009 inoltre se da un lato abroga alcune fonti di finanziamento dall’altro prevede che in fase di avvio il Fondo sia alimentato con i residui iscritti a bilancio Inail delle risorse previste per le
finalità di cui all’art. 23, 1°comma, lett. b), del d.lgs. n.38/2000, pari a
circa 20 milioni di euro 409.
dei rappresentanti di nuova nomina (in fase di prima applicazione anche di quelli
già eletti o designati) è invece posto solo nei confronti dell’Inail e dell’Ipsema, e per
loro tramite del sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), e non, come opportuno, anche degli organismi paritetici, ove presenti
(cfr. art.18, 1°comm, lett. aa).
405
Cfr. art.52.
406
“Calcolate sulla base della retribuzione media giornaliera per il settore industria e convenzionale per il settore agricoltura determinate annualmente per il calcolo del minimale e massimale delle prestazioni economiche erogate dall’Inail. Il computo dei lavoratori è effettuato in base all’art. 4 e la giornata lavorativa convenzionale è stabilita in 8 ore”;
cfr. art.51, 2°comma, lett. a),d.lgs. n.81/2008, come modificato dal d.lgs. n.106/2009.
407
Settore già strutturato in modo coerente con il modello delineato nel decreto.
408
Cfr. art.48, 3°comma, come integrato dal d.lgs. n.106/2009.
409
Cfr. art.52, comma 3.bis.
LA FORMAZIONE
PER LA SICUREZZA
NELL’ACCORDO
STATO-REGIONI:
UN’OCCASIONE
DA NON SPRECARE
di MARCO LAI
(Centro Studi Cisl/Università di Firenze)
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
142
Introduzione
Di particolare rilievo sono gli accordi sottoscritti in sede di Conferenza Stato-Regioni il 21 dicembre 2011, in vigore dal 26 gennaio scorso (quindici giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.8,
dell’11 gennaio) in materia di formazione per la salute e sicurezza
sul lavoro, che vengono potenzialmente ad interessare circa 22
milioni di soggetti ed oltre 5 milioni di imprese.
Si tratta nello specifico dell’Accordo per la formazione dei lavoratori
e dell’Accordo per lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, previsti rispettivamente dall’art.37, comma 2, e dall’art.34, commi 2 e 3, del d.lgs.
n.81/2008 e s. m. i., che avrebbero dovuto essere emanati entro
dodici mesi dalla sua entrata in vigore (in questa sede ci occuperemo prevalentemente dell’Accordo per la formazione dei lavoratori –
di seguito “Accordo” –).
È auspicabile che soprattutto il mondo delle imprese, insieme a tutti
i soggetti che sono impegnati in tale delicato settore (consulenti
aziendali, medici competenti, parti sociali, istituzioni), sappia cogliere l’occasione del massiccio intervento formativo richiesto per affermare quella “cultura della sicurezza”, spesso evocata nei convegni
ma ancora troppo poco praticata negli ambienti di lavoro, e non scelga la strada più facile dell’adempimento formale o uno dei tanti rivoli consentiti dalla disciplina derogatoria.
L’Accordo, dando attuazione all’art.37, comma 2, d.lgs. n.81/2008 e
s. m. i., disciplina “la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione, nonché – elemento non menzionato nel decreto – dell’aggiornamento” dei lavoratori e delle lavoratrici, quali definiti dall’art.2,
comma 1, lett. a). Si è peraltro colta l’occasione per regolare anche
la formazione di preposti e dirigenti, rispetto ai quali vi è sì uno specifico obbligo formativo e di aggiornamento a carico del datore di
lavoro (ai sensi dell’art.37, comma 7, d.lgs. n.81/2008 e s. m. i.), ma
non un espresso rinvio all’Accordo in esame. Al riguardo si precisa
che il datore di lavoro che abbia posto in essere un percorso formativo di contenuto differente da quello dell’Accordo dovrà dimostrare
che tale percorso ha fornito a dirigenti e/o preposti una formazione
“adeguata e specifica”. La disciplina contenuta nell’Accordo non
potrà acquisire per questo carattere vincolante, rappresentando
comunque una sorta di utile linea guida per la formazione di dirigenti e preposti.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
L’Accordo costituisce anche riferimento per la formazione facoltativa
dei soggetti di cui all’art.21, d.lgs. n.81/2008 e s. m. i., tra i quali i
componenti dell’impresa familiare ed i lavoratori autonomi.
La formazione dei lavoratori deve peraltro svolgersi in raccordo con
il sistema di bilateralità presente sul territorio. Ai sensi infatti dell’art.37, comma 12, del d.lgs. n.81/2008 e s. m. i., la formazione dei
lavoratori (e quella dei loro rappresentanti – Rls –) “deve avvenire in
collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e
nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro”. Il necessario coinvolgimento degli organismi paritetici si giustifica con la finalità di operare un monitoraggio dei percorsi formativi proposti.
Sul punto l’Accordo, quale nota in Premessa (come già la circolare
del Ministero del lavoro n.20, del 29 luglio 2011, che si segnala in
particolare per la necessaria rappresentatività di tali organismi),
associa impropriamente agli organismi paritetici, quali definiti dall’art.2, comma 1, lett. ee), del d.lgs. n.81/2008 e s. m. i., con competenza specifica in materia di salute e sicurezza sul lavoro, gli enti
bilaterali, di cui all’art.2, comma 1, lett. h), d.lgs. n.276/2003, con funzioni più generali di regolazione del mercato del lavoro. Si precisa
peraltro che qualora l’obbligatoria richiesta di collaborazione del
datore di lavoro “riceva riscontro da parte dell’ente bilaterale o dell’organismo paritetico, delle relative indicazioni occorre “tener conto”
nella pianificazione e realizzazione delle attività di formazione anche
ove tale realizzazione non sia affidata agli enti bilaterali o agli organismi paritetici”. Il datore di lavoro potrà invece procedere autonomamente alla pianificazione e realizzazione delle attività di formazione
in mancanza di organismi paritetici o di enti bilaterali oppure qualora la sua richiesta non riceva riscontro entro quindici giorni dall’invio.
Requisiti dei docenti, organizzazione della formazione, metodologia di insegnamento/apprendimento
In attesa della definizione dei criteri di qualificazione della figura del
formatore per la salute e sicurezza sul lavoro da parte della Commissione consultiva permanente presso il Ministero del lavoro, ai sensi
dell’art.6, comma 8, lett. m-bis), del d.lgs. n.81/2008, è fissata in tre
anni l’esperienza minima richiesta, di insegnamento o professionale, per poter svolgere attività di docenza. L’esperienza professionale
può consistere anche nello svolgimento per un triennio dei compiti di
Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, anche con
143
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
144
riferimento al datore di lavoro. Si è optato pertanto più sui requisiti
dei docenti che dei soggetti erogatori dell’attività formativa (come
invece nell’Accordo, siglato sempre il 21 dicembre 2011, per la formazione del datore in caso esercizio diretto dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi). È dubbio che la sola esperienza professionale possa essere sufficiente ai fini dell’efficacia del percorso formativo, dal momento che il docente/formatore dovrebbe essere in
possesso di competenze relative non solo ai contenuti ma anche alle
modalità in cui gli stessi vengono proposti ed acquisiti.
Le metodologie didattiche dovrebbero essere improntate, come
detto, a privilegiare un approccio interattivo, che comporti la centralità del lavoratore nel percorso di apprendimento. L’Accordo apre in
maniera significativa alle modalità di apprendimento e-Learning.
L’utilizzo delle modalità di apprendimento e-Learning, sulla base dei
criteri e delle condizioni di cui all’Allegato I, è consentito:
• per la formazione generale dei lavoratori;
• per la formazione dei dirigenti;
• per i corsi di aggiornamento relativi a tutte le figure previste nell’Accordo (lavoratori, preposti, dirigenti);
• parzialmente per la formazione particolare ed aggiuntiva per i preposti (punti da 1 a 5 del punto 5);
• per progetti formativi sperimentali, eventualmente individuati da
Regioni e Province autonome, nei loro atti di recepimento dell’Accordo, anche in riferimento alla formazione specifica di lavoratori e
preposti (oltre a quella di carattere generale).
Sulla formazione e-Learning, pur di grande potenzialità, pare opportuno muoversi con estrema cautela, specie in un settore così delicato quale è quello della salute e sicurezza del lavoro, per non
ridurre il tutto a solo fattore di business per le società erogatrici. In
assenza infatti di chiare indicazioni al riguardo, l’esperienza di corsi
di formazione “a distanza” nel nostro Paese, anche in tema di salute e sicurezza del lavoro, è stata in molti casi fuorviante, mirando
spesso al mero adempimento normativo. Non sono stati rari i casi
di corsi offerti “a distanza” per addetti al primo soccorso o alla prevenzione incendi!!!
Sul punto l’Allegato I precisa le condizioni in base alle quali si può
ricorrere alle modalità e-Learning. Tra queste merita segnalare: la
garanzia di un esperto (tutor o docente), con esperienza almeno
triennale, a disposizione per la gestione dell’intero percorso formati-
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
vo; la previsione di prove di autovalutazione “in itinere”, dovendo in
ogni caso la verifica finale di apprendimento essere effettuata in presenza; la tracciabilità dei tempi di fruizione (ore di collegamento),
con la possibilità di ripetere parti del percorso formativo secondo
obiettivi didattici prefissati. Le ore dedicate alla formazione (anche
presso il domicilio del partecipante) vanno peraltro considerate
come orario di lavoro effettivo.
La formazione dei lavoratori
La formazione dei lavoratori si articola in due moduli distinti:
a) la formazione di carattere generale, della durata minima di 4 ore,
per tutti i settori di attività, che riprende i contenuti già espressi dall’art.37, comma 1, lett. a), d.lgs. n.81/2008 e s. m. i. (concetti di rischi,
danno, prevenzione ecc…). Tale formazione può essere erogata
anche in modalità e-Learning;
b) la formazione specifica, di durata minima variabile di 4, 8, 12
ore, secondo la macrocategoria di rischio in cui ricade l’azienda
(rispettivamente basso, medio, alto), in base alla classificazione
ATECO dei settori, di cui all’Allegato 2. Si ripropone dunque l’indicazione seguita per la formazione degli Addetti e Responsabili dei
servizi di prevenzione e protezione (Modulo B), di cui all’Accordo
Stato-Regioni del 26 gennaio 2006, classificando le aziende ai fini
della definizione del loro livello di rischio in funzione del settore di
attività. Se tale criterio consente di stabilire con una certa rapidità la
durata minima dei percorsi formativi, alquanto generico è invece
riguardo ai rischi a cui sono realmente esposti i lavoratori, che
potranno essere individuati solo a seguito di una corretta ed esaustiva valutazione dei rischi.
Significativo è il fatto che per la formazione dei lavoratori, diversamente dalla formazione per dirigenti e preposti, non sia disposta
alcuna prova di verifica dell’apprendimento, richiedendosi solo un
attestato di frequenza del 90% delle ore di formazione previste per
l’intero percorso. Tale mancanza può ridurre di molto l’efficacia dell’intervento formativo nonché la portata delle stesse previsioni dell’Accordo.
La formazione dei preposti
Secondo l’Accordo in esame la formazione dei preposti deve comprendere quella per i lavoratori ed essere integrata da una formazio-
145
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
ne particolare della durata minima di 8 ore. La formazione dei preposti, in quanto “aggiuntiva” a quella stabilita per i lavoratori, si articola
dunque in percorsi di durata differenziata a seconda del settore di
appartenenza dell’azienda in cui si viene ad operare: 16 ore (8+8)
per i preposti delle aziende dei settori con classi di rischio basso; 20
ore (8+12) per i preposti delle aziende dei settori con classi di rischio
medio; 24 ore (16+8) per i preposti delle aziende dei settori con classi di rischio alto.
Al termine del percorso formativo, previa frequenza di almeno il 90%
delle ore di formazione, è prevista, così come per i dirigenti, una
prova di verifica obbligatoria da effettuarsi tramite colloquio o test, in
alternativa tra loro, finalizzata ad accertare le conoscenze e le competenze tecnico-professionali acquisite.
Ferme restando le previsioni dell’Accordo relative alla durata ed ai
contenuti dei corsi “le modalità delle attività formative possono essere disciplinate da accordi aziendali, adottati previa consultazione del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
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La formazione dei dirigenti
La formazione dei dirigenti, quali definiti dall’art.2, comma 1, lett.d),
d.lgs. n.81/2008 e s. m. i. “sostituisce” integralmente quella prevista
per i lavoratori ed è strutturata su quattro moduli: Modulo 1. Giuridico - normativo; Modulo 2. Gestione ed organizzazione della sicurezza; Modulo 3. Individuazione e valutazione dei rischi; Modulo 4.
Comunicazione, formazione e consultazione dei lavoratori.
La durata minima della formazione dei dirigenti è fissata in 16 ore, a
prescindere dal settore di attività a cui appartiene l’azienda. Sfugge
la logica sottesa a tale scelta indifferenziata, dal momento che
anche per l’esercizio delle funzioni organizzative e di controllo, proprie dei dirigenti, pare richiedersi una preparazione ed una competenza specifica a seconda dei profili di rischio presenti in azienda.
La formazione dei dirigenti può essere erogata per intero in modalità e-Learning ed al termine del percorso formativo dovrà essere
effettuata una prova di verifica dell’apprendimento (colloquio o test).
“Tenuto conto della peculiarità delle funzioni e della regolamentazione legale vigente la formazione dei dirigenti può essere programmata e deve essere completata nell’arco temporale di 12 mesi…”. La
disposizione è da raccordare con la disciplina transitoria, che sul
punto pare di diversa previsione.
La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
L’aggiornamento
L’Accordo prevede un eguale quantitativo di ore di aggiornamento,
pari ad un minimo di 6 ore nell’arco di un quinquennio, per tutte le
figure considerate (lavoratore, preposto, dirigente), indipendentemente dal livello di rischio dell’azienda. Anche in tal caso non è evidente la logica di tale scelta indifferenziata.
Stante peraltro il carattere “aggiuntivo” della formazione dei preposti
rispetto a quella dei lavoratori è da ritenere che il preposto sia destinatario di un ammontare complessivo di 12 ore di aggiornamento (6
ore come lavoratore e 6 ore in quanto preposto).
Nell’aggiornamento non è compresa la formazione relativa al trasferimento o cambiamento di mansioni e all’introduzione di nuove
attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi, né la formazione in relazione all’evoluzione dei
rischi o all’insorgenza di nuovi rischi.
In merito ai corsi di aggiornamento non è prevista alcuna verifica di
apprendimento, né il rilascio di alcun attestato di frequenza, che in
ogni caso pare indispensabile ai fini, tra l’altro, della prova dell’adempimento dell’obbligo in esame.
La disciplina transitoria, il riconoscimento della formazione pregressa e l’aggiornamento dell’Accordo
La disciplina transitoria è alquanto frammentaria e mancante della
chiarezza che sarebbe invece necessaria. Innanzitutto si afferma che
in sede di prima applicazione i datori di lavoro sono tenuti ad avviare
i dirigenti e i preposti (che siano già nell’esercizio delle loro funzioni)
a corsi di formazione di contenuto coerente con le disposizioni dell’Accordo in modo tale che i medesimi corsi vengano conclusi “entro
e non oltre il termine di 18 mesi dalla pubblicazione” dell’Accordo (11
luglio 2013). Nella sezione dedicata ai dirigenti si precisa invece che
la formazione dei dirigenti “deve essere completata nell’arco temporale di 12 mesi”, senza peraltro indicare il termine a quo.
Diversa ancora è la disciplina transitoria per il personale (tutto) di
nuova assunzione, che deve essere avviato ai rispettivi corsi di formazione anteriormente o, qualora ciò non sia possibile, contestualmente
all’assunzione. In tale ultima ipotesi, ove non risulti possibile completare la formazione prima di adibire il dirigente, il preposto o il lavoratore alle proprie attività, il relativo percorso formativo deve essere completato entro e non oltre sessanta giorni dalla assunzione.
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La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Analisi ed approfondimenti
Quale ulteriore fattispecie derogatoria si prevede in fase di prima
applicazione non siano tenuti a frequentare i corsi di formazione i
lavoratori, preposti e dirigenti che abbiano frequentato entro e non
oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore dell’Accordo (26 gennaio 2013) corsi di formazione “formalmente e documentalmente”
approvati alla data di entrata in vigore dello stesso, che siano rispettosi delle previsioni normative in materia e delle indicazioni previste
nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda durata, contenuto e modalità di svolgimento dei corsi. Sul punto vi è dunque un
ampio, quanto indeterminato, rinvio alla disciplina collettiva. Esteso
è inoltre l’ambito di riconoscimento della formazione pregressa.
Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è istituito un
gruppo tecnico, del quale fanno parte anche le parti sociali, al fine di
valutare la prima applicazione dell’Accordo e di elaborare proposte
migliorative ed eventuali adeguamenti (da realizzare ?) entro diciotto mesi dalla sua entrata in vigore.
Pare opportuno procedere quanto prima a fare chiarezza sui molti
aspetti di dubbia interpretazione dell’Accordo, anche se la scelta
dello strumento da utilizzare non è agevole, stante la pluralità di soggetti che hanno partecipato alla sua elaborazione.
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LA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO. ANALISI ED APPROFONDIMENTI
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