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31 dicembre 2011 1 Grifone ** ISSN 1974-3645 Bimestrale dell’ENTE FAUNA SICILIANA “associazione naturalistica di ricerca e conservazione” - ONLUS ADERENTE ALLA FEDERAZIONE NAZIONALE PRO NATURA 31 dicembre 2011 ANNO XX n. 6 (110) La nuova legge per le aree naturali protette è un passo avanti? di Pietro Alicata ertamente er la crescente complessità delle misure di tutela della biodiversità, ed il loro intreccio con la tutela del paesaggio e con la sempre crescente esigenza di definire processi di sviluppo sostenibile, richiedono un globale ripensamento della normativa in atto. Basta scorrere l’elenco delle diverse tipologie di aree protette riportato nella proposta di legge approvata dal governo regionale “Istituzione, gestione e valorizzazione delle Aree Naturali Protette”: a) parchi regionali; b) riserve naturali regionali; c) monumenti naturali (nuova istituzione); d) geositi (nuova istituzione); e) parchi nazionali, riserve naturali statali ed aree marine protette eventualmente istituiti sul territorio regionale, previa intesa con la Regione; f) Zone Speciali di Conservazione (ZSC), Siti di Importanza Comunitaria (SIC), Zone di Protezione Speciale (ZPS), IBA-Important Bird Area e IPA-Important Plant Areas, individuate ai sensi della vigente normativa; g) zone umide di importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar adottata con DPR 13 marzo 1976 n. 448 e DPR 11 febbraio 1987 n. 184 e zone umide necessarie per il perseguimento degli obiettivi posti dall’articolo 4 punto 2 della Direttiva 2009/147/CE e dall’Accordo internazionale AEWA di cui alla legge 6 febbraio 2006, n. 66. La nuova legge dichiaratamente aspira a costituire una tappa fondamentale nella realizzazione di un efficiente sistema delle aree protette; ma l’esperienza delle pratiche politiche e amministrative della nostra regione e le tentacolari ramificazioni clientelari del potere politico invitano ad un esame attento dei suoi contenuti. In effetti, malgrado essa elenchi problemi reali che vanno affrontati, numerosi dettagli e affermazioni fanno temere che essa sia un ulteriore passo verso la completa assimilazione delle tematiche della conservazione della natura e della biodiversità nell’ampio e insaziabile stomaco della cattiva politica. Tale prospettiva è apprezzabile già dalla lettura (i corsivi sono citazioni del testo della legge) della relazione introduttiva ricca di riferimenti a parole d’ordine ambientaliste divenute, spes- so, vuoti e irritanti luoghi comuni. È un’occasione per riflettere sul profondo equivoco in cui sono cadute le strategie di conservazione della natura: far apparire un buon affare la tutela di un bene essenziale - sia per la conservazione degli equilibri ecologici, sia per il rispetto di profonde esigenze umane che non rientrano nella pervasiva dimensione dell’economia - non è detto che vada a favore della conservazione. Equivoco ben sintetizzato nel concetto di sviluppo sostenibile. La legislazione vigente non era sufficientemente confacente ai non celati obiettivi del nostro governo regionale; infatti, si afferma che essa ha costituito uno strumento importante per assicurare la conservazione del patrimonio Grifone 31 dicembre 2011 naturale siciliano, ma si sono registrati ritardi nel conseguimento di altri due obiettivi essenziali: lo sviluppo economico controllato e la fruizione da parte dei cittadini. La nuova legge ha quindi l’obiettivo di mantenere un elevato livello di tutela dell’ambiente e del paesaggio, e, allo stesso tempo, di far diventare i parchi e le riserve il volano dell’economia dei territori su cui ricadono, facendo sì che le aree protette vengano percepite anche dalle Comunità locali come occasioni di sviluppo piuttosto che come freno all’economia. Sembra un perfetto esempio del veltroniano “ma anche”. È stato facile individuare quale fosse nella vecchia normativa l’ostacolo principale alla realizzazione di questa finalità: il Comitato Tecnico Scientifico (CTS), che esprime pareri vincolanti in merito a progetti e attività che possono avere un impatto sui valori ambientali e paesaggistici del Parco. Questo organismo, nominato con procedure che lo sottraggono a un controllo politico, può esprimersi con irritante indipendenza. La sua eliminazione è il maggiore frutto dell’attuazione del Principio di semplificazione procedimentale e organizzativa. Infatti, con l’eliminazione del CTS si ottiene non solo una riduzione degli organi, ma anche una semplificazione dei procedimenti, dal momento che il nulla osta dell’ente parco non deve essere preceduto dal parere tecnico. Infatti, nulla osta ed autorizzazioni del Parco saranno dati direttamente dal Presidente, al più sentiti gli uffici, senza coinvolgere neanche il Consiglio Direttivo. In cambio le spinte ambientaliste sono cooptate nell’organo di gestione, il Consiglio Direttivo, con una rappresentanza minoritaria (due esperti in materia naturalistica-ambientale scelti tra quelli designati dalle associazioni ambientaliste maggiormente rappresentative a livello regionale e riconosciute ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349). La procedura di nomina garantisce la sufficiente integrazione dei rappresentanti nel sistema di potere. D’altra parte, l’assegnazione della gestione di riserve ad associazioni ambientaliste ha da tempo creato un sostanziale loro imbrigliamento nel sistema di potere politico, comportando la realizzazione di un consistente numero di posti di lavoro e di emolumenti periodicamente posti a verifica politica. Altri principi ispiratori della legge sarebbero il Principio di sussidiarietà orizzontale che consente di coinvolgere in maniera sempre più ampia i privati nella gestione delle aree protette. In particolare si prevede che ai privati possano essere dati in concessione: beni demaniali, beni del patrimonio sociale e culturale (un esempio della decantata privatizzazione dei beni pubblici) e il Principio della progressiva autonomia finanziaria degli enti gestori e dell’autoresponsabilità nella gestione che garantisce agli enti gestori delle aree naturali di svolgere attività di tipo economico direttamente o attraverso privati che pagano un canone, la possibilità di gestire i beni demaniali e patrimoniali rientranti nel proprio territorio e godere dei redditi dagli stessi prodotti; la possibilità di far pagare un biglietto per entrare nelle riserve o in porzioni di parco; secondo la legge: la possibilità di accedere con priorità ai finanziamenti comunitari, diminuiranno progressivamente la dipendenza degli enti gestori dal finanziamento regionale che viene di conseguenza progressivamente ridotto. Si tratta, ovviamente, di problemi reali; ma sarebbe necessario valutare la compatibilità di questo approccio con le finalità di conservazione. In realtà, sono numerosi i temi affrontati dal disegno di legge: - L’inserimento nel sistema delle aree protette dei monumenti naturali e dei geositi. - L’integrazione del piano regionale inserendovi i siti della rete ecologica europea e individuando le aree di riequilibrio ecologico, i corridoi ecologici e i corridoi degli uccelli acquatici. - Il rafforzamento delle misure di salvaguardia nelle more della approvazione o integrazione del piano regionale. - L’uso dei beni demaniali da parte degli enti gestori. - Il rapporto tra i piani di gestione delle riserve e i piani paesaggistici ed urbanistici. - Le procedure relative a nulla osta e autorizzazioni e l’adozione del silenzio-assenso o silenzio-rifiuto. - L’adozione di misure per la trasparenza. - L’acquisizione di beni immobili e terreni nelle aree protette. - Il coinvolgimento dei privati nell’economia della conservazione. Nel complesso la proposta di legge sembra il frutto maturo della collaborazione tra le spinte a costruire una complessa burocrazia della conservazione e l’interesse a favorire gli ipotetici buoni affari dello sviluppo sostenibile. La lettura dell’articolato della legge 2 consente di intravedere la girandola di nomine, riunioni, interazioni, accordi, decisioni, compromessi, nonché di spese, appalti, bandi, ecc. che possono essere l’occasione per tradurre l’impegno nella conservazione e gestione delle aree protette nella realizzazione di rapporti umani fruttuosi soprattutto per il rafforzamento della rete delle clientele politiche. Viene il dubbio che questa ambiziosa elaborazione del sistema delle aree protette consenta, attraverso le complessità della gestione, il rafforzamento della opacità del potere politico. Trascurando le considerazioni sul costo economico di questa complessità, il pensiero va immediatamente alla nostra classe politica e burocratica, ai suoi ricchi stipendi e privilegi, al suo modo di non affrontare la attuale grave crisi economica, restando inaccessibile alle richieste di rispondere al disagio crescente di masse di giovani inoccupati e disoccupati con qualcosa di diverso da una finta partecipazione emozionale. Forse occorre qualcosa di molto più semplice e più profondo per soddisfare l’esigenza, che è parte del nostro sviluppo culturale, di garantire la permanenza delle meraviglie della natura. Ma anche questo aspetto del nostro sviluppo culturale mantiene alcune caratteristiche dell’avidità insaziabile che caratterizza l’era del consumismo esponenziale. Nella logica della fruizione e della valorizzazione delle bellezze naturali, anche il godimento della natura costituisce un aspetto di questa nostra insaziabile voracità; un corrispettivo spirituale del consumo materiale al quale resta saldamente attaccato. Siamo corporei, infatti, e il godimento spirituale esige l’uso di adeguati beni materiali: strade, posti di ristoro, servizi igienici, sentieri, rifugi. Tutto ciò che è necessario per degradare ad affare economico il contatto con la natura, impedendo che ci riporti, attraverso lo stupore e la solitudine, per un momento, alla percezione dei nostri limiti; che ci porti a riflettere sulla nostra arroganza. Siamo ancora lontani dall’ulteriore salto culturale necessario per praticare un reale rispetto della natura. È necessario acquisire la capacità di ritrarsi, di non fare ciò che non è necessario. Occorre includere i rapporti con la natura nell’orizzonte della sobrietà auspicata, in questo tempo di crisi, nei comportamenti tra gli umani. Esisterà mai questo stadio del nostro sviluppo? 31 dicembre 2011 3 VIAGGI IN SICILIA Ricordi e sensazioni Incancellabili ricordi di varie spedizioni a Trapani, Erice e dintorni di Francesco Corbetta S cusatemi, cari amici dell’E.F.S. e lettori di “Grifone”, la confusione che farò sui fatti che vi voglio raccontare, soprattutto per quanto concerne le date e, forse, anche la commistione tra spedizioni diverse, ma i fatti sono stati importanti e i ricordi, assai commoventi ed indelebili. Eravamo, più o meno, alla fine degli anni “80” e in un paio di occasioni Trapani era stata funestata da due rovinose alluvioni, che avevano provocato anche numerose vittime. Il motivo (lo avremmo facilmente acclarato durante il nostro sopralluogo) era abbastanza semplice e le conseguenze prevedibili. Da sempre Erice funge da calamita per le nubi di passaggio e le piogge, talvolta veramente copiose, scendono poi tumultuosamente verso Trapani. Le pendenze (Erice è a quota di circa 750 metri) sono notevoli e la distanza lineare tra Erice e Trapani brevissima. Ne consegue che il tempo di corrivazione è… velocissimo. Se a lungo non era successo nulla e poi, strettamente ravvicinati nel tempo, ben due eventi non solo calamitosi, ma addirittura (e molto dolorosamente) luttuosi, era chiaro che, nel frattempo, era successo qualcosa di nuovo, giacché ad Erice pioveva abbondantemente anche nel passato. Tra Erice e la periferia orientale di Trapani esisteva una sorta di falsopiano, colonizzato da vegetazione erbacea/arbustiva che tratteneva gran parte di quelle acque. Se qualche mandriano portava a pascolare in questo luogo le sue vacche, alle prime avvisaglie di Erice - Il tempio della Dea dell’amore maltempo si spostava in punti più sicuri perché era cosa nota come quel falsopiano venisse allagato in occasione di forti piogge. Però lo stesso era stato frattanto lottizzato e le strade che delimitavano i lotti (anche se non ancora edificati) erano state accuratamente asfaltate e, quindi, impermeabilizzate. Ecco perché l’acqua non veniva più Grifone assorbita e defluiva vorticosamente verso la periferia di Trapani provocando ingenti danni e dolorose perdite di vite umane. In questo contesto, un giorno (e con mia grande sorpresa) ricevetti una telefonata da Vittorio Machella, dalla Segreteria Generale di Italia Nostra, a Roma. In poche parole Machella mi spiegò che il Sindaco di Trapani si era rivolto a Italia Nostra perchè gli venissero segnalati tre nominativi di esperti (un urbanista, un geologo ed un ecologo vegetale) per indagare sul fenomeno e per quanto riguardava l’ecologo vegetale la scelta era caduta sullo scrivente. Anche (se non soprattutto) per riguardo nei confronti degli autorevoli Colleghi siciliani cercai di esimermi, ma non ci fu molto da fare. Forse per essere sicuri che gli esperti non fossero soggetti a condizionamenti locali, a Trapani esigevano che gli esperti fossero tre “continentali”. E così un bel giorno fummo convocati a Trapani e il Sindaco ci illustrò il problema e ci affidò al Comandante dei Vigili Urbani per i vari sopralluoghi. Nel luogo incriminato (la superficie impermeabilizzata della zona lottizzata del pianoro) i nostri accompagnatori ci fecero vedere una casupola. Alla apparenza nulla di speciale, sennonché, ci spiegarono i nostri accompagnatori, la casetta, evidentemente poco dotata in fatto di fondamenta, non era più nella sua posizione originaria. La furia delle acque l’aveva infatti spostata di alcuni metri! E fortuna aveva altresì voluto che un grosso masso avesse bloccato la porta di ingresso ed impedito agli occupanti di uscire. Questo fatto (a parte il comprensibile grosso spavento) aveva rappresentato la loro salvezza! Se fossero usciti sarebbero stati irrimediabilmente travolti dalle acque. Lì vicino c’era anche un traliccio della luce. Alcune persone si erano salvate dalla furia delle acque arrampicandovisi sopra! Era evidente che occorreva realizzare a monte dell’abitato di Trapani un Grifone 31 dicembre 2011 canale di gronda dove convogliare le acque. Tale canale di gronda era stato previsto e, in parte, anche già realizzato. Solo in parte, però, e in una zona dove non esercitava alcuna funzione utile per Trapani. I miei colleghi ed io preparammo una accurata relazione e la mia parte prevedeva interventi antincendio e di rinfoltimento della degradata vegetazione esistente. Durante i vari sopralluoghi eravamo sempre accompagnati dall’efficientissimo Comandante dei VV.UU., ma, a pranzo e a cena, eravamo accompagnati anche dal Sindaco in persona e il trattamento, nei vari ristoranti, fu eccezionale. v veramente Dopo alcune di queste “sedute” i m colleghi ed io ci sentimmo in dovemiei r di cercare di esentare il Sindaco da re dovere di rappresentanza, ma q questo f tutto inutile e, la risposta perentoria, fu n ricordo ancora i contenuti “l’onore ne c loro hanno fatto a me e all’Ammiche n nistrazione nell’accettare il nostro invito 4 è tale che io non posso e non voglio rinunciare al piacere (e ora dovere) di stare con loro”. L’ultimo giorno avevo la cuccetta prenotata sul diretto Palermo-Milano delle 15 circa e pertanto reputavo poco prudente consumare il pasto di mezzogiorno prima di partire per Palermo, ma il Sindaco insistette e (la carne è debole) accettai. Poi affidato alle cure di un vigile urbano partimmo per Palermo. Il traffico era infernale e la strada assai disagevole; pochi minuti prima della partenza del treno eravamo ancora alla periferia di Palermo. Il bravo vigile, preoccupato, mi propose: “metto la sirena?” Naturalmente non volli e quando, malgrado l’abilità del vigile, giungemmo alla stazione, i parenti che avevano accompagnato i partenti (e anche i porta bagagli) cominciavano a tornare nella galleria di testa. Aiutato dal vigile afferrai i miei bagagli, ma non avevo solo loro, avevo anche due grosse sporte ripiene l’una di fogli di erbario con le piante che avevo raccolto e l’altra più prosaicamente di profumate arance e di un enorme “bastardone”, il cavolfiore di colore violaceo che non trascuravo mai di acquistare. L’affanno per il peso dei bagagli e per la corsa cresceva. Ad un tratto, per nostra fortuna incontrammo un portabagagli e gli affidammo i colli più pesanti e gli sibilammo il numero della carrozza e, così, alleggeriti del peso, continuammo più facilmente la nostra corsa. Arrivammo appena in tempo e, appena salito in carrozza (e recuperati i bagagli), si udì il classico triplice fischio e il treno cominciò ad avviarsi lentamente. Di treni ne ho preso a centinaia, ma quella partenza fu certamente la più risicata. Le saline di Trapani Grifone O Organo Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana “Associazione naturalistica di ricerca e conservazione” “A N. 3/93 reg. stampa - Tribunale di Siracusa Hanno collaborato a questo numero - Pietro ALICATA, Presidente Ente Fauna Siciliana. - Salvatore ARCIDIACONO, Segretario Sezione di Catania, E. F. S. - Francesco CORBETTA, già Ordinario di Botanica, Università dell’Aquila, direttore della rivista “Natura e Montagna”. - Alessandro MARLETTA, Curatore della Casa delle Farfalle, Univer- Direttore responsabile Corrado Bianca Responsabile di redazione Giorgio Sabella sità di Catania. Comitato di redazione Fabio Amenta, Marco Mastriani, Paolo Pantano, Alfredo Petralia, Paolino Uccello. - Alfredo PETRALIA, Consigliere Regionale, E.F.S. Redazione e Amministrazione Via Sergio Sallicano, 74 - Noto (SR) - Ettore PETRALIA, Dottorando di Ricerca in Scienze Entomologiche Tel. 338 4888822. e Difesa degli Agrosistemi - Università di Catania. Versamenti sul c/c postale n. 11587961 intestati a: Ente Fauna Siciliana - Noto Maurizio SIRACUSA, Dipartimento di Biologia Animale, Università Sito: www.entefaunasiciliana.it - E-mail: [email protected] di Catania. Realizzazione e stampa: - Emanuele UCCELLO, Direttore della Biblioteca Naturalistica “Bruno Due Elle - Siracusa - [email protected] - Tel. 339 7708276 Ragonese”. 5 31 dicembre 2011 Tunisia: aree protette e democrazia ambientale di Alfredo Petralia I l “Code Forestiér”, promulgato nel 1966 e riscritto nel 1988, ha costituito in Tunisia la base giuridica in materia di conservazione dell’ambiente naturale e per la creazione di aree protette affidate alla Direction Générale des Forêts del Ministero dell’Agricoltura, con il compito di “Créer et ameénager des parcs nationaux et des reserves naturelles dans le but scientifique, educatif, recreatif et touristique”. Relativamente ai parchi, questi provvedimenti fondanti, insieme ad altri che sono seguiti, hanno portato alla costituzione di un articolata rete di Parchi Nazionali rappresentativi di altrettanti sistemi ecologici: Zembra e Zembretta (391 ha) arcipelago nel golfo di Tunisi, esempio di parco insulare; Ichkeul (12.600 ha), grande zona umida nel nord, non lontano da Biserta, definito “la mecca del birdwatching”; Chambi (6.723 ha) area caratterizzata da estese foreste di pino d’Aleppo, nella parte centro occidentale del paese, vicino a Kasserine; Bou Hedma (16.488 ha), nell’Atlante tunisino, parco contraddistinto da una relitta savana ad acacia e riconosciuto come Riserva della Biosfera dall’Unesco; Boukornine (1.939 ha), poco a sud di Tunisi, dominato dalla tuja berbera (Tetraclinis articulata) e dove è presente il raro ciclamino di Persia (Cyclamen persicum); El Feija (2.632 ha) con le sue grandi foreste di quercia di media e alta montagna in Krumiria, nel nord ovest del paese vicino alla frontiera algerina; Sidi Toui (6.315 ha) esempio tipico dell’ambiente della steppa sahariana, vicino al confine libico; Jebil (150.000 ha), 70 km a sud di Douz, rappresenta il tipico Sahara sabbioso con il suo estesissimo paesaggio dunale; Dghoumes (8.000 ha) ambiente sahariano situato sul bordo settentrionale del grande lago salato Chott el Jerid, ad est di Tozeur, sede di estese reintroduzioni della tipica Acacia raddiana; Jebel Zaghouan (1.920 ha), 50 km a sud di Tunisi, con i suoi maestosi rilievi e suoi straordinari panorami sui territori circostanti; Djebel Orbata (5.746 ha), ad est di Gafsa, parco creato per la conservazione di aree dell’ecosistema montano della catena dell’Atlante tunisino. Ai parchi nazionali si sommano numerose riserve naturali tra le quali quelle di La Galite (isola a largo della costa nord), Jebel Chitana (falesia oligo-miocenica nel territorio di Sejnane), Grotte d’El Hauaria (cavità nell’estremo nord della penisola di Cap Bon), Jebel Khroufa (sulla costa nord vicino Tabarka, area di protezione del pony di Mogods, razza che corrisponde probabilmente ai cavalli di Numidia di epoca romana, Jardin Botanique (riserva situata nel centro urbano di Tunisi), Île Chîkly (isolotto al centro del lago Nord di Tunisi sul quale sorge un forte di origine spagnola), Dar Fatma (torbiera, nel nord ovest vicino a Aïn Draham), Aïn Zana (riserva forestale, non lontana da Aïn Draham, nella quale è presente la ormai rara decidua Quercus afares), Jebel Serj (nella dorsale Grifone tunisina nel territorio di Bargou, dove si protegge il rarissimo acero minore, Acer monspessulanum) Sabkhat El Kelbia (la più importante zona umida dopo l’Ichkeul, situata tra Sousse e Kairouan), Île Kneiss (isole al largo di Sfax importanti per l’avifauna), Aïn Chrichira (nel territorio di Kairouan, significativa per le formazioni geologiche risalenti al Terziario), Touati (dominata dal pino d’Aleppo e dal ginepro fenicio, 70 km a sud ovest di Kairouan), Tella (istituita anche per l’importanza delle rovine romane presenti, nell’area di Kasserine), Khechem El Kelb (area di protezione della gazzella di montagna Gazella cuvieri, sita a nord di Fernana), Jebel Bouramli (per la tutela di un sito caratterizzato da vegetazione a Rhus tripartita e Genista cinerea). Nel 2007 sono state avviate le procedure per la creazione di nove nuovi parchi nazionali e di altre 11 riserve naturali. Un impegno notevole per la protezione di ecosistemi naturali e siti rappresentativi presenti sul territorio nazionale. Inoltre tutti i parchi sono stati dotati di ecomuseo per l’informazione e la formazione dei visitatori, di vivai per l’allevamento delle specie rappresentative in funzione del reimpianto cui si sommano programmi di protezione, reintroduzione o ripopolamento di specie sia vegetali (p.e. Acacia raddiana, Tetraclinis articulata, Periploca laevigata, Retama retam, Atriplex mollis, ecc.) che animali (Orix damma, Ammotragus lervia, Addax nasomaculatus, Cervus elaphus barbarus, Gazella dama mhorr, Gazella cuvieri, Gazella leptoceros, Hyaena hyaena, Canis aureus, ecc.). Grifone 31 dicembre 2011 Insomma uno sforzo non indifferente, importante nel suo complesso per la conservazione del patrimonio naturale, ma potenzialmente capace in ultima analisi di tradursi in opportunità di sviluppo: lavoro per i gestori e per gli addetti alle diverse operazioni manuali o di controllo; campo di azione per la ricerca scientifica pura e applicata; strumento di educazione ambientale e crescita culturale; attività economiche indotte dagli interventi correlati alla gestione; proventi diretti o indiretti indotti dal flusso di visitatori, ecc. In particolare le reintroduzioni di diverse specie di animali di media taglia (per esempio antilopi, gazzelle, struzzi), insieme alla protezione di altre specie (come la iena striata o lo sciacallo) nei parchi istituiti negli ambienti aridi o di savana, hanno mirato anche all’ambizioso obiettivo di offrire agli ecoturisti, soprattutto europei, la possibilità di osservare già alle latitudini mediterranee, e a costi molto più contenuti, esemplificazioni di ambienti e faune che generalmente si vanno ad osservare nell’Africa meridionale. In realtà, nonostante l’esistenza di un ragguardevole sistema di aree protette, il suo ruolo come effettivo motore di sviluppo appare tuttavia piuttosto limitato e per lo più confinato alle aree protette più famose, ad esempio il Parco Ichkeul. Soprattutto per quanto riguarda i visitatori esteri l’appeal verso gli ambienti naturali sembra oscurato da un maggiore interesse per località o siti quali il Museo del Bardo o la Medina di Tunisi, le rovine di Cartagine, Side Bou Said, le città di Sousse, El Jem e Kairouan che insieme captavano l’87% dei 2.5 milioni di turisti stranieri che visitavano la Tunisia prima della rivoluzione dei gelsomini (dati dell’Agence Nationale d’Exploitation du Patrimoine): solo il 13% rivolgeva l’attenzione al resto del territorio, soprattutto nelle aree interne, con proporzioni ancor meno significative di visitatori delle aree protette. Probabilmente a ciò può aver contribuito il fatto che per lo più mancano adeguate infrastrutture ricettive nelle vicinanze delle aree protette; quelle si concentrano soprattutto in alcune aree (per esempio Hammamet, l’Isola di Djerba, Tozeur), ove prioritariamente si è puntato sul turismo di massa (quello balneare in primo luogo), e dalle quali si è irradiato l’escursionismo mordi e fuggi (a bordo di veloci auto fuoristrada) verso le regioni interne, certamente più caratteristiche, ma escluse in tal modo dalle presenze residenziali dei turisti, quelle che in teoria possono essere redditizie per le popolazioni locali in modo significativo. Il concentrarsi, invece, del turismo stanziale in aree ristrette, e sotto il controllo di una ristretta cerchia di impresari, ha impedito una diffusione sul territorio dei benefici del turismo stesso. Parimenti il turismo interno nelle aree protette non è ancora decollato in misura massiccia e consistente anche per la non diretta accessibilità ai parchi soggetta ad autorizzazione. È probabile che tutto ciò abbia generato una sorta di diffidenza, di incomprensione ed infine di ostilità verso le aree protette, in speciale modo negli strati sociali meno istruiti, o in quelle categorie che, pur essendone territorialmente coinvolte, non hanno visto derivare benefici economici concreti e consistenti dalla esistenza dei parchi a fronte peraltro delle limitazioni imposte a molte attività tradizionali dalle esigenze di tutela. Forse è questa una chiave di lettura per comprendere i motivi di quanto avvenuto durante la rivoluzione: devastazioni in diversi ecomusei realizzati nei parchi, ruberie di attrezzature, uccisione di molti esemplari delle specie reintrodotte nei parchi stessi ed in alcuni casi veri e propri stermini. Si è trattato di eventi drammatici che hanno indotto gli ambientalisti tunisini a mobilitarsi contro l’attacco ai parchi con una lettera aperta al Ministre de l’Agriculture et de l’Environnement nella quale tra l’altro si scrive: «La Tunisie s’est dotée d’un système de Parcs Nationaux qui est aujourd’hui reconnu au niveau international comme une réussite. Ces Parcs Nationaux apportent une contribution internationale unique à la conservation du patrimoine naturel tant pour les espèces menacées qui s’y trouvent que pour les écosystèmes qui y sont protégés. Ils sont d’ailleurs un héritage commun et un patrimoine inestimable du Peuple Tunisien et des générations futures, ainsi qu’un atout économique indéniable pour le tourisme et la valorisation des ressources naturelles. Ce réseau de Parcs Nationaux a demandé au cours des dernières décennies de gros investissements de la Tunisie, ainsi que de nombreux partenaires, dont la communauté internationale. Le personnel de la DGF et des CRDA, qui assure au quotidien la gestion de ces Aires Protégées, est motivé et dévoué, et a bénéficié de formations et d’échanges dans le cadre de projets d’appui internationaux. Il serait donc dramatique que tous ces efforts, fruit de dizaines d’années de travail, soient réduits à néant aujourd’hui par des actes inconsidérés de colère ou de pillage. Nous souhaitons attirer votre attention sur 6 ces menaces qui touchent directement à l’intégrité des Parcs Nationaux tunisiens et comptons donc sur votre soutien et votre intervention énergique et rapide pour éviter ce drame.» Oggi l’ambientalismo tunisino guarda avanti ed attualmente è impegnato attivamente affinché la nuova società che inizia a riorganizzarsi dopo la rivoluzione assuma piena coscienza e responsabilità sulla questione ambientale rivendicando per essa una giusta collocazione nel quadro politico che si sta delineando nel paese maghrebino. Gli ecologisti tunisini hanno inviato alla Assemblea Nazionale Costituente una mozione pubblica per reclamare l’integrazione del tema ambiente nella costituzione e per invocare basi costituzionali per i diritti ambientali e per lo sviluppo sostenibile. Secondo il collettivo indipendente di ambientalisti, attivisti ed esperti di sviluppo sostenibile riunitisi in un recente convegno tenutosi a Tunisi nella cornice del Parco Urbano di Nahli, la nuova Costituzione tunisina deve garantire il diritto a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile e la sua protezione efficace. Deve altresì garantire il diritto dei cittadini di accedere alle informazioni ambientali e di partecipare alle decisioni politiche che possono avere impatti significativi sull’ambiente in un quadro di equità sociale, sviluppo economico e tutela ambientale. Inoltre il gruppo organizzato “Eco-Costituzione” ha rilevato che almeno l’80% dei partiti politici (attualmente molto numerosi) è per il principio del radicamento costituzionale dei diritti ambientali. Ampio e articolato nei convegni è anche il dibattito sulle priorità ambientali da affrontare e sono stati focalizzati almeno sei grandi temi riconducibili alla questione ambientale in Tunisia, ma che è analoga in molti paesi industrializzati: la gestione sostenibile delle risorse (acqua, suolo, foreste), la gestione dell’inquinamento e la lotta contro l’inquinamento, la salvaguardia delle coste, la conservazione e la valorizzazione dei paesaggi, la gestione dell’energia, il controllo dei cambiamenti climatici. Dunque nella élite ambientalista tunisina è matura e chiara una richiesta di democrazia ambientale che passi principalmente attraverso la sensibilizzazione e la riflessione pubblica: cioè la strada maestra per porre le basi per garantire che il patrimonio di aree protette del paese diventi realmente patrimonio collettivo sentito come tale da tutti. Il che è il primo passo per una sua realistica tutela. 31 dicembre 2011 7 La Biodiversità e l’Ambiente nelle Tesi di Laurea di Ettore Petralia e Maurizio Siracusa A seguito dei processi di sviluppo ed urbanizzazione sempre crescenti si assiste ormai ad una drastica riduzione dello stato di naturalità dell’ambiente e del paesaggio nel suo complesso, con una notevole rarefazio- ne e frammentazione di habitat idonei alla sopravvivenza delle specie animali e vegetali a cui fa seguito l’impoverimento della biodiversità sia su scala locale che, ovviamente, su scala globale. Già da decenni, per tentare di arginare e contenere l’incontrollata antropizzazione, le politiche nazionali e internazionali si stanno adoperando per dotarsi di strumenti legislativi e di indirizzo mirati ad una oculata e sostenibile gestione dei territori e delle loro risorse basata sulla necessità di monitorare opportunamente status e dinamica delle popolazioni animali e Grifone vegetali che insistono in una determinata area. Le due tesi di laurea proposte di seguito sottolineano proprio l’importanza e la necessità di conoscere tali componenti biologiche ai fini di una corretta gestione e conservazione del territorio, sia per aree naturali protette, sia per aree non tutelate da vincoli ambientali. In tale contesto è dunque fondamentale una pianificazione standardizzata e scientificamente riconosciuta relativamente alle metodologie da adottare per rendere efficaci ed efficienti i monitoraggi su fauna e flora. Titolo: Studio della biodiversità vegetale del comprensorio di Monterosso Almo (RG) e proposta di un nuovo sito SIC. Autore: Giovanni AMATO Relatore: Prof. Pietro Minissale Correlatore: Dott. Tullio Serges Ateneo: Università degli Studi di Catania, Corso di laurea magistrale in Biodiversità e qualità dell’ambiente (A.A. 2010-11) Recapito dell’autore: [email protected] Titolo della Tesi: Monitoraggio avifaunistico di un impianto eolico in esercizio. Autore: Vincenzo TORRISI Relatore: Prof. Giorgio Sabella Correlatore: Dott. Ettore Petralia Ateneo: Università degli Studi di Catania, Corso di Laurea magistrale in Biodiversità e qualità dell’ambiente (A.A. 2010-11) Recapito dell’autore: [email protected] Sintesi: La conoscenza della vegetazione iblea è stata arricchita negli anni da numerosi contributi, mancano tuttavia studi specifici sulla vegetazione dell’area di Monterosso Almo (RG). È stata pertanto effettuata un’indagine fitosociologia per conoscerne la flora e la vegetazione, anche al fine di realizzare una carta della vegetazione dell’area. L’analisi della vegetazione è stata effettuata sulla base di oltre 70 rilievi fitosociologici. L’elenco floristico comprende 376 specie. Tra queste particolarmente significative risultano essere Paeonia mascula russoi, di cui è stata individuata una nuova stazione di crescita sugli Iblei, ed Ophrys archimedea, endemica di Sicilia. L’analisi della vegetazione ha permesso di riconoscere comunità molto diverse tra loro: tra queste il bosco di leccio riconducibile al Rhamno alaterni-Quercetum ilicis subass. pistacietosum terebinthi occupa un posto di rilievo in quanto si tratta della prima segnalazione di tale fitocenosi nell’area iblea. Importanti sono anche le formazioni residuali a querce caducifoglie del Mespilo-Quercetum virgilianae e le formazioni boschive riparie appartenenti al Platano-Salicetum pedicellatae, o costituenti aggruppamenti a Populus nigra. Le praterie steppiche sono riconducibili all’Helichryso hyblaei-Ampelodesmetum mauritanici, associazione endemica degli Iblei. Presenti anche impianti artificiali a conifere, realizzati nel corso degli ultimi 30-35 anni da parte dell’Azienda Regionale Foreste Demaniali. Il valore dell’area è evidenziato dalla proposta di realizzare un nuovo Sito di Importanza Comunitaria (SIC), da inserire nella Rete Natura 2000, che possa garantire la conservazione delle emergenze naturalistiche rilevate. I risultati conseguiti contribuiscono a fornire elementi di conoscenza utili ai fini della conservazione e della gestione del territorio, sia per la salvaguardia della flora e della vegetazione, che per gli interventi di conversione dei vecchi impianti forestali. Sintesi: L’attuale sviluppo economico è basato su una sempre più pressante domanda di materie prime ed energia, con pesanti ripercussioni sull’ambiente. Questo ha portato ad un incremento del ricorso a forme alternative di produzione energetica, come ad esempio la posa di impianti per produzione da fonti eoliche (i cosiddetti “parchi eolici”) a cui sono legati impatti sugli habitat e sulle popolazioni animali. Obiettivo del lavoro di tesi è stato quello di verificare l’impatto sull’avifauna, sia stanziale che migratoria, di impianti eolici in esercizio localizzati nell’area dei comuni di Santa Ninfa e Gibellina (Trapani). Il monitoraggio è stato svolto tra agosto ed ottobre 2010. Con controlli settimanali alla base di ciascuna torre eolica si è verificata l’eventuale presenza di uccelli feriti (a seguito di impatto con le pale rotanti) o di eventuali carcasse. A tale scopo sono stati percorsi dei transetti standard, come da protocolli specifici, individuati nei pressi della base di ogni torre eolica. Parallelamente si è proceduto ad un controllo a vista, con l’ausilio di binocoli, dell’avifauna presente nei dintorni. Sono state rilevate 4 specie di rapaci che volavano o stazionavano nei pressi delle torri eoliche, per un totale di 24 esemplari. Le 4 specie individuate sono: il grillaio (Falco naumanni), il capovaccaio (Neophron percnopterus), il gheppio (Falco tinnunculus) e la poiana (Buteo buteo). Le osservazioni a terra non hanno portato al rinvenimento di alcuna carcassa ai piedi ed intorno alle torri eoliche controllate. Ciò non esclude in modo certo che si possano verificare impatti dell’avifauna con l’impianto, ma fa ritenere che essi, qualora presenti, siano di modesta entità. In conclusione è facile dedurre quanto siano importanti sia un incremento di ricerche e osservazioni, sia opportune direttive e linee guida regionali e nazionali che regolamentino il monitoraggio avifaunistico prima e dopo la costruzione degli impianti eolici, così da avere dati quanto più completi in merito al reale impatto che essi hanno sulle popolazioni di uccelli presenti nelle aree dove sono collocate queste strutture industriali. Grifone 31 dicembre 2011 Dal “Giornale di Bordo” dell’Associazione vizio Guide Naturalistiche nella R.N.O. “Pantalica, Valle dell’Anapo e Torrente Cava Grande”. 4 novembre 2011 Riunione di lavoro, presso il Centro di Educazione Ambientale del CUTGANA di S. Gregorio (CT), tra il Prof. Yamoun Messaoud (Presidente dell’Associazione “Memoire de la Terre”), il Prof. Angelo Messina (Cutgana), il Prof. Alfredo Petralia e Corrado Bianca (Ente Fauna Siciliana), per definire il progetto sul “Ksar di Beni Ghedir”. Partecipa al progetto anche l’Università di Bologna. 11 novembre 2011 Sopralluogo a Cava Prainito (Rosolini), del Segretario Regionale Corrado Bianca, del Delegato della Sezione di Rosolini Antonino Zocco e della Responsabile dei “Giovani Grifoni” Antonina Oddo. Il sopralluogo è servito a fare il punto della situazione dell’area in previsione di un affidamento dell’importante area naturalistica all’Ente Fauna Siciliana. 21 novembre 2011 Incontro di lavoro, presso l’Ufficio Provinciale Azienda Foreste Demaniali di Siracusa, tra il Dott. Filadelfo Brogna (Dirigente U.O.B.2), il Segretario Regionale Corrado Bianca, ed il Vice Paolino Uccello. L’incontro per pianificare il ser- 22 novembre 2011 Riunione presso il Comune di Noto con il Sindaco Corrado Bonfanti, per discutere del Premio “M. La Greca”, dell’A.M.P. di Vendicari e della Sede legale dell’E.F.S.. Per l’Ente Fauna Siciliana erano presenti il Segretario Regionale Corrado Bianca, il Vice Segretario Paolino Uccello e il Responsabile del “Premio M. La Greca” Alfredo Petralia. 23 novembre 2011 La Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Siracusa, convoca una riunione sul “Piano paesaggistico della provincia di Siracusa”. Per l’E.F.S. partecipa il Vice Segretario Regionale Paolino Uccello. 25 novembre 2011 Si chiude a Floridia il Seminario sull’Etnobotanica, svolto presso i locali del Museo Etnografico “Nunzio Bruno”. Il Seminario è stato tenuto da Paolino Uccello e Alfredo Uccello con l’organizzazione di Fabio Amenta. Alla chiusura è intervenuto il Segretario Regionale Corrado Bianca che ha consegnato gli attestati di partecipazione. 29 novembre 2011 Riunione a Palazzo Ducezio tra il Sindaco di Noto Corrado Bonfanti, il Presidente del Consorzio A.M.P. Ven- 8 dicari Paolino Uccello e il Direttore del Consorzio A.M.P. Vendicari Giuseppe Daidone. L’incontro, voluto dall’Ente Fauna Siciliana, si prefigge l’obiettivo di far ripartire l’iter istitutivo dell’A.M.P. Vendicari di Noto. 1 dicembre 2011 Riunione presso il Comune di Noto, convocata dal Dott. Giuseppe Genovesi (Consulente del Sindaco di Noto), sul tema “Fiume Asinaro”. All’incontro hanno partecipato il Sindaco di Noto Corrado Bonfanti, il Presidente del WWF di Noto Giacomo Privitera, il Presidente di Legambiente (Circolo di Noto) Sebastiano Tiberio, il Segretario Regionale dell’E.F.S. Corrado Bianca ed il Vice Paolino Uccello. 7 dicembre 2011 Effettuato un sopralluogo, da Corrado Bianca (E.F.S.) e Giacomo Privitera (WWF), al fiume Asinaro nel tratto compreso fra il Durbo e la stazione F.S. di Noto. Redatta relazione e documentazione fotografica del sopralluogo. 16 dicembre 2011 Si riunisce, presso la sede legale, la Giunta Regionale dell’Ente Fauna Siciliana, fra i vari punti all’O.d.G. la dedica e il logo anno 2012. 19 dicembre 2011 Riunione a Noto, convocata dal Comandante del Corpo Guardie Ecologiche, delle Guardie Ecologiche dell’Ente Fauna Siciliana. XLVII ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI DELL’ENTE FAUNA SICILIANA Domenica 15 gennaio 2012 alle ore 9.00, presso il Centro Visitatori della R.N.O. “Oasi Faunistica di Vendicari”, si svolgerà la XLVII Assemblea Generale dei Soci dell’Ente Fauna Siciliana, convocata in via ordinaria dal Segretario Regionale (Assemblea di fine anno, art. 8 dello Statuto), con il seguente ordine del giorno: • ore 9.00 Relazione del Segretario Regionale; • ore 9.30 Relazioni dei Segretari di Sezione e dei Responsabili di Settore; • ore 10.30 Approvazione conto consuntivo 2011; • ore 10.45 Programmazione di massima per il 2012; • ore 11.00 Dibattito. Questa convocazione ha valore formale di convocazione dei Soci. Il Segretario Regionale CORRADO BIANCA 9 Attività delle Sezioni a cura di Emanuele Uccello Domenica 13 novembre 2011 Escursione media difficoltà I Monti Climiti Guida: Giuliano Concetto; Partenza: 8,30 da piazza Melbourne – Floridia; Durata: mezza giornata (8,30 - 12,30); Equipaggiamento: da trekking (consigliati scarponcini, binocolo, mantellina da pioggia); Colazione: a base di ricotta e latticini (facoltativa) Info e prenotazioni: 338/9595568. Il Monte Climiti è una catena collinare della Sicilia orientale posta a nord ovest di Siracusa, con un’altezza massima che sull’altopiano è di 410 m s.l.m. Rappresenta l’ultimo lembo della catena dei Monti Iblei, che degradano verso la Piana di Siracusa e si affacciano ad est sul mar Ionio e ad ovest sulla valle dell’Anapo. Gli Iblei e il monte Climiti, “avanpaese della zona africana”, sono emerse a partire dal Pliocene medio per le deformazioni dovute alla tettonica che caratterizza l’area. Il nome “Clìmiti” deriva dal greco “klímax”, (scala), poiché i fianchi dell’altopiano sono costituiti da gradoni di roccia affiorante, solcati radialmente da cave naturali che tagliano la roccia dalla base fino all’altopiano sommitale, dove sono state realizzate dall’uomo due scale intagliate nella roccia (una ad est e l’altra a nord) che consentivano di raggiungere l’altipiano. Sulle dorsali del monte si sono formate nei secoli delle vere e proprie “cave” con leccete ricche di fauna e flora. Molte le falde sospese presso Castelluccio, pozzo dei Climiti e presso Melilli, che hanno permesso l’insediamento umano fin dalla più antica età del bronzo. Alla “facias castellucciana” sono attribuibili diversi complessi di tombe a grotticella artificiale che occupano le pareti delle cave che solcano il tavolato. Le numerose grotte carsiche sono risultate importantissime per la paleontologia, poiché al loro interno sono stati rinvenuti fossili (invertebrati marini, lamellibranchi, gasteropodi ed echinodermi di varie specie) e resti ossei della fauna siciliana esistente ai tempi delle glaciazioni (elefanti nani, ghiri giganti, rettili terrestri e marini). L’altopiano del Monte Climiti è stato abitato fin dalla preistoria e sono molte le necropoli che testimoniano la presenza dell’uomo in questa parte della Sicilia. Il vasto territorio racchiude necropoli dell’età di Castelluccio (XVII – XV secolo a.C.), su cui gli archeologi hanno puntato i loro studi. Presso Castelluccio vi sono i resti di una Necropoli rupestre risalente all’Età del Bronzo. A poca distanza da essa vi sono i resti di un’insediamento abitativo sempre di tipo rupestre, risalente all’Età del Bronzo. Domenica 27 novembre 2011 Escursione lieve difficoltà Solarino – C.da Baragna – Isola Mola Guide: Giuliano Concetto; Gozzo Francesco; Partenza: 8,30 da piazza Melbourne – Floridia; Durata: mezza giornata (8,30 - 12,30); Equipaggiamento: da trekking (consigliati scarponcini, binocolo; mantellina da pioggia); Colazione: a sorpresa (facoltativa) Info e prenotazioni: 338/ 9595568. Contrada Baragna, al confine dei territori di Solarino e Sortino, è situata vicino il fiume Anapo ed è stata un’importante via di ritiro delle popolazioni Sicane e Sicule per raggiungere la roccaforte di Pantalica. La zona Molino, Isola Mola è una piccola altura calcarea alla base del Monte 31 dicembre 2011 Climiti nei pressi del fiume Anapo, che presenta i resti di diverse sepolture scavate nella roccia. Lungo le pendici esposte a nord, un gruppo di poco meno di venti sepolture riferibili alla civiltà castellucciana dell’antica età del bronzo, indicano la presenza di un modesto insediamento preistorico. Tale insediamento fu avvantaggiato sia dalla presenza delle pianure alluvionali circostanti, sia dall’abbondanza d’acqua offerta dal fiume Anapo. Le tombe presentano tutte le caratterische di tale cultura, sebbene solo poche di esse possiedano l’anticella. Fra le sepolture con prospetto allargato solo una ha carattere monumentale in quanto sul lato sinistro dell’apertura sono visibili due lesene molto rovinate. Alcune tombe alla base del cozzo sembrano essere state interessante da un taglio di epoca greca per la presenza di una piccola cava. L’ispezione della superficie ha rivelato la presenza di frammenti ceramici e di strumenti basaltici, sui terreni arati a nord, lungo una stretta fascia, mentre nulla è visibile sulla cima del cozzo, ad eccezione di un piccolo rudere vecchio di un centinaio d’anni. Il passaggio, sottocosta, dell’acquedotto Galermi, nel suo viaggio verso Siracusa, ha permesso di rendere fertili e coltivabile le terre ad esso circostanti. A testimonianza del duro lavoro degli schiavi cartaginesi resta una grotta detta “degli schiavi”, usata per fare riposare quei poveri disgraziati. Lì vicino si trova una sorgente d’acqua, una fontana conosciuta come “A funtana i Pasquali”, situata nei terreni di proprietà di don Ciccio, che sarà prodigo di racconti relativi al sito. Domenica 18 dicembre 2011 Escursione lieve difficoltà Sortino – Contrada Lardia Guide: Giuliano Concetto; Trigila Melchiorre; Partenza: 8,30 da piazza Melbourne – Floridia; Durata: mezza giornata (8,30 - 12,30); Equipaggiamento: da trekking (consigliati scarponcini, binocolo; mantellina da pioggia); Colazione: a sospresa (facoltativa) Grifone Info e prenotazioni: 338/9595568. Contrada Lardia, situata a nord ovest di Sortino, comprende una breve pianura delimitata da due alti dossi collinari di forma allungata, fra i quali, fino a pochi decenni addietro, scorreva un piccolo corso d’acqua, oggi captato, che irrigava la vallata. Ai due lati della valle, che si apre a ventaglio, verso oriente, sono dislocati una serie di ipogei, grottoni ed arcosoli, che denunciano la presenza di un centro rupestre. Si tratta dell’importante necropoli Paleocristiana rupestre conosciuta come Lardia, risalente al V secolo d.C., considerata tra le più importanti nel territorio sortinese, dopo quella di Pantalica. Questo sito, agli inizi degli anni sessanta, fu soggetto alle attente ricognizioni di Giuseppe Agnello, che si era reso conto dell’importanza del tessuto archeologico di età paleocristiana, dato dalle poche tracce superficiali, confermate dai successivi scavi approfonditi, che portarono alla scoperta di quattro gruppi di necropoli, corrispondenti ad altrettanti insediamenti. Di essi, la necropoli di Lardia costituiva quello più cospicuo e articolato, comprendente arcosoli isolati, ipogei a pianta geometrica e tombe a fossa sub-divo, in ordinata disposizione, che inducevano ad ipotizzare l’esistenza di un popoloso centro abitato. Una caverna è caratterizzata da un’apertura trapezoidale irregolare, con all’interno due tombe a baldacchino e numerose nicchie di forma arcuata, dove sono state rinvenute delle steli funerarie. Una tomba presenta una stretta apertura rettangolare, situata dentro un corridoio scavato nella roccia, dove sono stati ritrovati i resti di alcune lucerne d’epoca romana. La terza grotta, la più vasta della necropoli, contiene ben 31 loculi sepolcrali; qui sono stati rinvenuti lanterne, fibbie e gioielli e pochissimi frammenti di ossa (resti umani). Una visita alla vicina sorgente d’acqua potabile, conosciuta come sorgente Lardia, dalle limpide acque ristoratrici, ritenute nell’antichità miracolose, completerà l’escursione. Grifone 31 dicembre 2011 10 CONVEGNO A DJERBA SULLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE L’Ente Fauna Siciliana prosegue l’azione di collegamento con la realtà ambientalista tunisina con il convegno illustrato in questa pagina: in partenariato con diverse entità è previsto per il prossimo aprile un incontro internazionale sulla sostenibilità ambientale nella cornice dell’isola di Djerba, la mitica isola omerica dei lotofagi. Si tratta di un appuntamento significativo per lo sviluppo di rapporti sempre più stretti con l’area del maghreb come è ormai tradizione nell’itinerario di azione della nostra associazione. Il convegno si articolerà nelle seguenti sessioni: Protected areas network, Marine environment, Ecology and conservation, Culture and sustainable development. Il 31 marzo è la scadenza per la presentazione dei contributi che verranno esposti in forma orale nelle diverse sessioni. Per ulteriori informazioni telefonare al 3332073296. (n.d.r.) 31 dicembre 2011 11 Etnobotanica. 27 di Salvatore Arcidiacono Una siciliana di adozione I conquistatori spagnoli quando giunsero nel paese che poi verrà chiamato Messico videro una maestosa pianta, dalle foglie succulente e armate da aguzze spine, dalla quale gli Atzechi ricavavano un succo inebriante che consideravano “latte divino”. Il suo ciclo biologico è alquanto strano; si accresce per una quindicina d’anni, emette un ricco scapo fiorale, alto quasi due metri, e poi muore. A questa insolita pianta gli invasori diedero il nome di “arbor de meravillas” che, successivamente Linneo classificò come Agave americana, derivando il nome generico dal greco, agavos, che ha il significato di ammirevole. Ben presto l’Agave giunse in Europa, come pianta ornamentale. In Italia fu introdotta a metà del secolo XVI, dove si acclimatò facilmente; specialmente nel meridione. In Sicilia si è decisamente naturalizzata, tanto che è stata adottata come pianta paesisticamente rappresentativa, al pari del Ficodindia, che è anch’essa specie nativa del Nuovo Mondo. Nell’isola è chiamata Zammara o Zabbara e, fino ad una sessantina di anni fa, è stata considerata pianta artigianale per eccellenza. Di essa sono state manipolate particolarmente le foglie, poiché nella loro polpa sono immerse resistentissime fibre con cui è stato possibile ottenere varie forme di lacci, ai quali è stato dato lo stesso nome della pianta; cioè zammara. La zammara, come tale, è stata impiegata in vari settori lavorativi. Tale manufatto, fino ad un recente passato, è stato ottenuto sia con una procedura sbrigativa e grezza, sia con un processo elaborato e complesso. In ambedue i casi le foglie più esterne della pianta si troncavano alla base (sono prive di picciolo), si liberavano dalle aguzze spine marginali e dalla robusta spina apicale, indi si indirizzavano verso Agave due procedure alternative. Nella prima di esse ciascuna foglia veniva affettata longitudinalmente in nastri larghi circa 2 centimetri che si facevano seccare al sole e poi si torcevano su loro stessi. Si ottenevano in tal modo stringhe, che erano utili per affastellare la legna, assemblare i covoni di frumento, allacciare ai tutori i tralci delle viti, abborracciare i manipoli di lino, eccetera. Nella seconda, cioè in quella elaborata, si avevano i seguenti passaggi. Innanzitutto la foglia veniva battuta (mazziata) con un randello per rompere il tegumento coriaceo e liberare la fibra dalla polpa, seguiva la sfilacciatura (rascatura) che andava fatta su una tavola rettangolare posta a terra per uno dei lati corti e per l’altro lato collocato a scanno sulle gambe dell’artigiano, il quale usava un attrezzo in ferro (cuteddu senza tagghiu) per mettere a nudo le fibre. Infine si praticava la pettinatura per districare le fibre aggrovigliate. Grifone Queste, raccolte in fasci, si ponevano in commercio. La zammara in fili era allora acquistata dagli artigiani intrecciatori che ne ricavavano corde e cordicelle. Le corde erano assai ricercate poiché risultavano migliori di quelle fatte con fibre di Canapa; le cordicelle venivano usate particolarmente nell’artigianato dei mobili per realizzare il tamburo delle sedie, ma anche in agricoltura per allacciare oggetti vari. Oggi, con l’avvento delle fibre sintetiche, la zammara è scomparsa dal commercio. La pianta dell’Agave, al di fuori della manifattura dei legacci, ha trovato altri impieghi, particolarmente in campo agricolo. Le sue foglie succulente, despinate e tagliate in pezzi, sono state utilizzate come foraggio per le vacche e le capre durante la stagione avversa. Fitti filari della pianta sono serviti per formare siepi divisorie sulle colture orticole, in quanto la irta spinosità del vegetale scoraggia la intrusione degli animali pascolanti. Il voluminoso e ramificato apparato radicale viene impiegato per trattenere il terreno nei pendii e nelle scarpate, presenti ai bordi delle strade camionabili. Anche nella medicina popolare l’Agave trova qualche impiego. Le foglie pestate sotto forma di cataplasma vengono applicate sui foruncoli in quanto favorirebbero la loro maturazione. Ed anche il succo, estratto dalle foglie, avrebbe una azione antiscorbutica in quanto contiene uno zucchero (agavosio). Infine una credenza: l’aculeo apicale della foglia, raccolto un venerdì di marzo, prima che spunti il sole, se posto a contatto con un dente dolorante, lo sanerebbe. Covoni 2011 febbraio 2011 Grifone 2831 dicembre L’allevamento delle Caligo sp., le cosiddette “farfalle civetta” I di Alessandro Marletta l genere Caligo, appartenente alla vasta famiglia dei Nymphalidae, comprende una ventina di specie diffuse nelle foreste tropicali ed equatoriali dell’America centrale e meridionale. Una delle caratteristiche principali di questi lepidotteri è quella di possedere sulla pagina inferiore delle ali una particolare colorazione che ricorda la testa di un rapace notturno. Su ciascuna ala posteriore è infatti presente una grande macchia ocellata (detta “falso occhio”) che spicca su una colorazione di fondo bruna con screziature nere, simile al piumaggio di questi uccelli. Per tale motivo queste specie sono comunemente note come “farfalle civetta” o “farfalle testa di gufo” (“Owl butterflies” in inglese). Il probabile vantaggio di questa colorazione è far sì che i potenziali predatori scambino queste farfalle per dei rapaci notturni, evitando così di predarle. Le Caligo sono molto allevate in cattività ed è facile osservarle nella maggior parte delle “case delle farfalle”. Le specie più diffuse negli allevamenti sono C. memnon (fig. 1), C. eurilochus, C. atreus e C. iloneus. Gli adulti amano volare in zone ombrose, posandosi frequentemente sui tronchi degli alberi, o sul fogliame secco. Di solito sono attivi nel tardo pomeriggio, prima del tramonto, o durante le giornate nuvolose e sono attratti dalla frutta fermentata, dalla quale aspirano avidamente i liquidi con la robusta spiritromba. In cattività queste farfalle sono abbastanza longeve e vivo- Fig. 2 – Bruco di Caligo memnon, penultimo stadio. no in genere fino a 3 mesi. Le uova, sferiche e di colore bianco, vengono deposte a piccoli gruppi sulle foglie dei banani o di altre Musaceae (Heliconia spp., Strelitzia spp., ecc.). Il periodo di incubazione dura circa 7-10 giorni e qualche giorno prima della schiusa cambiano colore diventando più scure. Fig. 1 - Adulto di Caligo memnon. I bruchi appena nati sono di colore giallo con delle striature longitudinali scure e presentano un voluminoso capo bruno ed un paio di appendici all’estremità dell’addome. Essi sono gregari e si radunano sulla pagina inferiore della foglia, lungo l’asse centrale, disponendosi parallelamente ad esso. Hanno abitudini notturne ed in cattività possono essere Fig. 3 – Bruco di Caligo memnon, ultimo stadio. 12 alimentati facilmente anche con foglie di Canna indica, una pianta ornamentale molto diffusa nei giardini e nei parchi. Durante i primi stadi i bruchi sono verdi con alcune chiazze brune sul dorso (fig. 2), invece all’ultimo stadio diventano interamente bruni con striature longitudinali scure (fig. 3). Posteriormente il capo è adornato da una serie di cornetti ad apice arrotondato, mentre sul dorso dell’addome presentano una fila di corti filamenti carnosi, simili a spine. Nell’aspetto e nel comportamento, questi bruchi ricordano delle grosse limacce, rendendosi così sgradevoli alla vista della maggior parte dei predatori. Alla temperatura di 25°C lo stadio larvale ha una durata di circa 30 giorni, mentre se le temperature sono più basse i tempi si allungano considerevolmente. L’allevamento non richiede particolari accorgimenti, i bruchi vanno tenuti in contenitori sufficientemente ventilati, con un tasso di umidità del 50-70% e le foglie devono essere sempre fresche. Considerato che i bruchi all’ultimo stadio possono raggiungere una lunghezza di 12 cm e data la loro voracità, occorre disporre di una notevole quantità di foglie. Completato lo sviluppo, essi smettono di alimentarsi e cercano un luogo adatto per l’impupamento. La crisalide (fig. 4) è sospesa su un bottone di seta, tessuto preventivamente dal bruco, e somiglia perfettamente ad una foglia secca accartocciata. Gli adulti sfarfallano dopo circa 2030 giorni, a seconda della temperatura e, se hanno la possibilità di volare all’interno di una serra, si accoppiano facilmente dopo alcuni giorni, dando così origine ad una nuova generazione. Nota: Tutti gli esemplari illustrati nelle foto sono stati allevati presso la “Casa delle farfalle” dell’Università di Catania. Fig. 4 –Crisalide di Caligo memnon.