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31 dicembre 2011
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Grifone
** ISSN 1974-3645
Bimestrale dell’ENTE FAUNA SICILIANA
“associazione naturalistica di ricerca e conservazione” - ONLUS
ADERENTE ALLA FEDERAZIONE NAZIONALE PRO NATURA
31 dicembre 2011
ANNO XX n. 6 (110)
La nuova legge per le aree naturali
protette è un passo avanti?
di Pietro Alicata
ertamente
er
la crescente complessità delle misure di tutela della
biodiversità, ed il loro intreccio con la
tutela del paesaggio e con la sempre
crescente esigenza di definire processi
di sviluppo sostenibile, richiedono un
globale ripensamento della normativa
in atto. Basta scorrere l’elenco delle diverse tipologie di aree protette riportato
nella proposta di legge approvata dal
governo regionale “Istituzione, gestione e valorizzazione delle Aree Naturali
Protette”:
a) parchi regionali;
b) riserve naturali regionali;
c) monumenti naturali (nuova istituzione);
d) geositi (nuova istituzione);
e) parchi nazionali, riserve naturali statali ed aree marine protette eventualmente istituiti sul territorio regionale,
previa intesa con la Regione;
f) Zone Speciali di Conservazione
(ZSC), Siti di Importanza Comunitaria (SIC), Zone di Protezione
Speciale (ZPS), IBA-Important Bird
Area e IPA-Important Plant Areas,
individuate ai sensi della vigente
normativa;
g) zone umide di importanza internazionale ai sensi della Convenzione di
Ramsar adottata con DPR 13 marzo
1976 n. 448 e DPR 11 febbraio 1987
n. 184 e zone umide necessarie per
il perseguimento degli obiettivi posti
dall’articolo 4 punto 2 della Direttiva
2009/147/CE e dall’Accordo internazionale AEWA di cui alla legge 6
febbraio 2006, n. 66.
La nuova legge dichiaratamente
aspira a costituire una tappa fondamentale nella realizzazione di un efficiente sistema delle aree protette; ma
l’esperienza delle pratiche politiche e
amministrative della nostra regione e le
tentacolari ramificazioni clientelari del
potere politico invitano ad un esame
attento dei suoi contenuti.
In effetti, malgrado essa elenchi
problemi reali che vanno affrontati,
numerosi dettagli e affermazioni fanno
temere che essa sia un ulteriore passo
verso la completa assimilazione delle
tematiche della conservazione della
natura e della biodiversità nell’ampio
e insaziabile stomaco della cattiva
politica.
Tale prospettiva è apprezzabile già
dalla lettura (i corsivi sono citazioni
del testo della legge) della relazione
introduttiva ricca di riferimenti a parole
d’ordine ambientaliste divenute, spes-
so, vuoti e irritanti luoghi comuni. È
un’occasione per riflettere sul profondo
equivoco in cui sono cadute le strategie
di conservazione della natura: far apparire un buon affare la tutela di un bene
essenziale - sia per la conservazione
degli equilibri ecologici, sia per il rispetto
di profonde esigenze umane che non
rientrano nella pervasiva dimensione
dell’economia - non è detto che vada a
favore della conservazione. Equivoco
ben sintetizzato nel concetto di sviluppo
sostenibile.
La legislazione vigente non era sufficientemente confacente ai non celati
obiettivi del nostro governo regionale;
infatti, si afferma che essa ha costituito
uno strumento importante per assicurare la conservazione del patrimonio
Grifone 31 dicembre 2011
naturale siciliano, ma si sono registrati
ritardi nel conseguimento di altri due
obiettivi essenziali: lo sviluppo economico controllato e la fruizione da parte
dei cittadini.
La nuova legge ha quindi l’obiettivo
di mantenere un elevato livello di tutela
dell’ambiente e del paesaggio, e, allo
stesso tempo, di far diventare i parchi
e le riserve il volano dell’economia dei
territori su cui ricadono, facendo sì
che le aree protette vengano percepite
anche dalle Comunità locali come occasioni di sviluppo piuttosto che come
freno all’economia. Sembra un perfetto
esempio del veltroniano “ma anche”.
È stato facile individuare quale fosse nella vecchia normativa l’ostacolo
principale alla realizzazione di questa
finalità: il Comitato Tecnico Scientifico
(CTS), che esprime pareri vincolanti in
merito a progetti e attività che possono
avere un impatto sui valori ambientali e
paesaggistici del Parco. Questo organismo, nominato con procedure che lo
sottraggono a un controllo politico, può
esprimersi con irritante indipendenza.
La sua eliminazione è il maggiore
frutto dell’attuazione del Principio di
semplificazione procedimentale e organizzativa. Infatti, con l’eliminazione del
CTS si ottiene non solo una riduzione
degli organi, ma anche una semplificazione dei procedimenti, dal momento
che il nulla osta dell’ente parco non
deve essere preceduto dal parere tecnico. Infatti, nulla osta ed autorizzazioni
del Parco saranno dati direttamente
dal Presidente, al più sentiti gli uffici,
senza coinvolgere neanche il Consiglio
Direttivo.
In cambio le spinte ambientaliste
sono cooptate nell’organo di gestione, il
Consiglio Direttivo, con una rappresentanza minoritaria (due esperti in materia
naturalistica-ambientale scelti tra quelli
designati dalle associazioni ambientaliste maggiormente rappresentative a
livello regionale e riconosciute ai sensi
della legge 8 luglio 1986, n. 349). La
procedura di nomina garantisce la sufficiente integrazione dei rappresentanti
nel sistema di potere.
D’altra parte, l’assegnazione della
gestione di riserve ad associazioni
ambientaliste ha da tempo creato un
sostanziale loro imbrigliamento nel sistema di potere politico, comportando la
realizzazione di un consistente numero
di posti di lavoro e di emolumenti periodicamente posti a verifica politica.
Altri principi ispiratori della legge
sarebbero il Principio di sussidiarietà
orizzontale che consente di coinvolgere
in maniera sempre più ampia i privati
nella gestione delle aree protette. In
particolare si prevede che ai privati
possano essere dati in concessione:
beni demaniali, beni del patrimonio
sociale e culturale (un esempio della
decantata privatizzazione dei beni
pubblici) e il Principio della progressiva
autonomia finanziaria degli enti gestori
e dell’autoresponsabilità nella gestione
che garantisce agli enti gestori delle
aree naturali di svolgere attività di tipo
economico direttamente o attraverso
privati che pagano un canone, la possibilità di gestire i beni demaniali e patrimoniali rientranti nel proprio territorio
e godere dei redditi dagli stessi prodotti;
la possibilità di far pagare un biglietto
per entrare nelle riserve o in porzioni di
parco; secondo la legge: la possibilità
di accedere con priorità ai finanziamenti
comunitari, diminuiranno progressivamente la dipendenza degli enti gestori
dal finanziamento regionale che viene
di conseguenza progressivamente ridotto. Si tratta, ovviamente, di problemi
reali; ma sarebbe necessario valutare
la compatibilità di questo approccio con
le finalità di conservazione.
In realtà, sono numerosi i temi affrontati dal disegno di legge:
- L’inserimento nel sistema delle aree
protette dei monumenti naturali e dei
geositi.
- L’integrazione del piano regionale
inserendovi i siti della rete ecologica
europea e individuando le aree di riequilibrio ecologico, i corridoi ecologici
e i corridoi degli uccelli acquatici.
- Il rafforzamento delle misure di
salvaguardia nelle more della approvazione o integrazione del piano
regionale.
- L’uso dei beni demaniali da parte
degli enti gestori.
- Il rapporto tra i piani di gestione delle
riserve e i piani paesaggistici ed urbanistici.
- Le procedure relative a nulla osta
e autorizzazioni e l’adozione del
silenzio-assenso o silenzio-rifiuto.
- L’adozione di misure per la trasparenza.
- L’acquisizione di beni immobili e terreni nelle aree protette.
- Il coinvolgimento dei privati nell’economia della conservazione.
Nel complesso la proposta di legge
sembra il frutto maturo della collaborazione tra le spinte a costruire una complessa burocrazia della conservazione
e l’interesse a favorire gli ipotetici buoni
affari dello sviluppo sostenibile.
La lettura dell’articolato della legge
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consente di intravedere la girandola di
nomine, riunioni, interazioni, accordi,
decisioni, compromessi, nonché di
spese, appalti, bandi, ecc. che possono
essere l’occasione per tradurre l’impegno nella conservazione e gestione
delle aree protette nella realizzazione
di rapporti umani fruttuosi soprattutto
per il rafforzamento della rete delle
clientele politiche.
Viene il dubbio che questa ambiziosa elaborazione del sistema delle aree
protette consenta, attraverso le complessità della gestione, il rafforzamento
della opacità del potere politico.
Trascurando le considerazioni sul
costo economico di questa complessità, il pensiero va immediatamente alla
nostra classe politica e burocratica,
ai suoi ricchi stipendi e privilegi, al
suo modo di non affrontare la attuale
grave crisi economica, restando inaccessibile alle richieste di rispondere al
disagio crescente di masse di giovani
inoccupati e disoccupati con qualcosa
di diverso da una finta partecipazione
emozionale.
Forse occorre qualcosa di molto più
semplice e più profondo per soddisfare
l’esigenza, che è parte del nostro sviluppo culturale, di garantire la permanenza delle meraviglie della natura.
Ma anche questo aspetto del nostro
sviluppo culturale mantiene alcune
caratteristiche dell’avidità insaziabile
che caratterizza l’era del consumismo esponenziale. Nella logica della
fruizione e della valorizzazione delle
bellezze naturali, anche il godimento
della natura costituisce un aspetto di
questa nostra insaziabile voracità; un
corrispettivo spirituale del consumo
materiale al quale resta saldamente
attaccato. Siamo corporei, infatti, e
il godimento spirituale esige l’uso di
adeguati beni materiali: strade, posti
di ristoro, servizi igienici, sentieri, rifugi.
Tutto ciò che è necessario per degradare ad affare economico il contatto
con la natura, impedendo che ci riporti,
attraverso lo stupore e la solitudine, per
un momento, alla percezione dei nostri
limiti; che ci porti a riflettere sulla nostra
arroganza.
Siamo ancora lontani dall’ulteriore
salto culturale necessario per praticare
un reale rispetto della natura. È necessario acquisire la capacità di ritrarsi, di
non fare ciò che non è necessario. Occorre includere i rapporti con la natura
nell’orizzonte della sobrietà auspicata,
in questo tempo di crisi, nei comportamenti tra gli umani. Esisterà mai questo
stadio del nostro sviluppo?
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VIAGGI IN SICILIA
Ricordi e sensazioni
Incancellabili ricordi
di varie spedizioni a
Trapani, Erice e dintorni
di Francesco Corbetta
S
cusatemi, cari amici dell’E.F.S.
e lettori di “Grifone”, la confusione che
farò sui fatti che vi voglio raccontare,
soprattutto per quanto concerne le
date e, forse, anche la commistione tra
spedizioni diverse, ma i fatti sono stati
importanti e i ricordi, assai commoventi
ed indelebili.
Eravamo, più o meno,
alla fine degli anni “80” e
in un paio di occasioni
Trapani era stata funestata da due rovinose
alluvioni, che avevano
provocato anche numerose vittime.
Il motivo (lo avremmo facilmente acclarato
durante il nostro sopralluogo) era abbastanza
semplice e le conseguenze prevedibili.
Da sempre Erice funge da calamita per le nubi
di passaggio e le piogge, talvolta veramente
copiose, scendono poi
tumultuosamente verso
Trapani. Le pendenze
(Erice è a quota di circa
750 metri) sono notevoli
e la distanza lineare tra
Erice e Trapani brevissima. Ne consegue che
il tempo di corrivazione
è… velocissimo.
Se a lungo non era successo nulla e
poi, strettamente ravvicinati nel tempo,
ben due eventi non solo calamitosi, ma
addirittura (e molto dolorosamente) luttuosi, era chiaro che, nel frattempo, era
successo qualcosa di nuovo, giacché
ad Erice pioveva abbondantemente
anche nel passato.
Tra Erice e la periferia orientale di
Trapani esisteva una sorta di falsopiano, colonizzato da vegetazione erbacea/arbustiva che tratteneva gran parte
di quelle acque. Se qualche mandriano
portava a pascolare in questo luogo le
sue vacche, alle prime avvisaglie di
Erice - Il tempio della Dea dell’amore
maltempo si spostava in punti più sicuri
perché era cosa nota come quel falsopiano venisse allagato in occasione di
forti piogge. Però lo stesso era stato
frattanto lottizzato e le strade che delimitavano i lotti (anche se non ancora
edificati) erano state accuratamente
asfaltate e, quindi, impermeabilizzate.
Ecco perché l’acqua non veniva più
Grifone
assorbita e defluiva vorticosamente
verso la periferia di Trapani provocando
ingenti danni e dolorose perdite di vite
umane.
In questo contesto, un giorno (e con
mia grande sorpresa) ricevetti una telefonata da Vittorio Machella, dalla Segreteria Generale di Italia Nostra, a Roma.
In poche parole Machella mi spiegò che
il Sindaco di Trapani si era rivolto a Italia
Nostra perchè gli venissero segnalati tre
nominativi di esperti (un urbanista, un
geologo ed un ecologo vegetale) per
indagare sul fenomeno e per quanto
riguardava l’ecologo vegetale la scelta
era caduta sullo scrivente. Anche (se
non soprattutto) per riguardo nei confronti degli autorevoli Colleghi siciliani
cercai di esimermi, ma non ci fu molto
da fare. Forse per essere sicuri che gli
esperti non fossero soggetti a condizionamenti locali, a Trapani esigevano che
gli esperti fossero tre “continentali”.
E così un bel giorno fummo convocati a Trapani e il Sindaco ci illustrò il
problema e ci affidò al Comandante dei Vigili Urbani
per i vari sopralluoghi.
Nel luogo incriminato (la superficie impermeabilizzata della zona
lottizzata del pianoro) i
nostri accompagnatori ci
fecero vedere una casupola. Alla apparenza nulla
di speciale, sennonché,
ci spiegarono i nostri accompagnatori, la casetta,
evidentemente poco dotata in fatto di fondamenta, non era più nella sua
posizione originaria. La
furia delle acque l’aveva
infatti spostata di alcuni
metri! E fortuna aveva altresì voluto che un grosso
masso avesse bloccato
la porta di ingresso ed
impedito agli occupanti
di uscire. Questo fatto
(a parte il comprensibile
grosso spavento) aveva
rappresentato la loro salvezza! Se fossero usciti
sarebbero stati irrimediabilmente travolti
dalle acque.
Lì vicino c’era anche un traliccio della luce. Alcune persone si erano salvate
dalla furia delle acque arrampicandovisi
sopra!
Era evidente che occorreva realizzare a monte dell’abitato di Trapani un
Grifone 31 dicembre 2011
canale di gronda dove convogliare le
acque. Tale canale di gronda era stato
previsto e, in parte, anche già realizzato.
Solo in parte, però, e in una zona dove
non esercitava alcuna funzione utile
per Trapani.
I miei colleghi ed io preparammo
una accurata relazione e la mia parte
prevedeva interventi antincendio e di
rinfoltimento della degradata vegetazione esistente.
Durante i vari sopralluoghi eravamo
sempre accompagnati dall’efficientissimo Comandante dei VV.UU., ma, a
pranzo e a cena, eravamo accompagnati anche dal Sindaco in persona
e il trattamento, nei vari ristoranti, fu
eccezionale.
v
veramente
Dopo alcune di queste “sedute” i
m colleghi ed io ci sentimmo in dovemiei
r di cercare di esentare il Sindaco da
re
dovere di rappresentanza, ma
q
questo
f tutto inutile e, la risposta perentoria,
fu
n ricordo ancora i contenuti “l’onore
ne
c loro hanno fatto a me e all’Ammiche
n
nistrazione
nell’accettare il nostro invito
4
è tale che io non posso e non voglio
rinunciare al piacere (e ora dovere) di
stare con loro”.
L’ultimo giorno avevo la cuccetta
prenotata sul diretto Palermo-Milano
delle 15 circa e pertanto reputavo poco
prudente consumare il pasto di mezzogiorno prima di partire per Palermo,
ma il Sindaco insistette e (la carne è
debole) accettai.
Poi affidato alle cure di un vigile urbano partimmo per Palermo. Il traffico
era infernale e la strada assai disagevole; pochi minuti prima della partenza
del treno eravamo ancora alla periferia
di Palermo.
Il bravo vigile, preoccupato, mi propose: “metto la sirena?” Naturalmente
non volli e quando, malgrado l’abilità
del vigile, giungemmo alla stazione, i
parenti che
avevano
accompagnato i
partenti
(e anche
i porta bagagli) cominciavano a tornare
nella galleria di testa. Aiutato dal vigile
afferrai i miei bagagli, ma non avevo
solo loro, avevo anche due grosse sporte ripiene l’una di fogli di erbario con le
piante che avevo raccolto e l’altra più
prosaicamente di profumate arance e di
un enorme “bastardone”, il cavolfiore di
colore violaceo che non trascuravo mai
di acquistare.
L’affanno per il peso dei bagagli e
per la corsa cresceva.
Ad un tratto, per nostra fortuna
incontrammo un portabagagli e gli
affidammo i colli più pesanti e gli sibilammo il numero della carrozza e, così,
alleggeriti del peso, continuammo più
facilmente la nostra corsa.
Arrivammo appena in tempo e,
appena salito in carrozza (e recuperati i bagagli), si udì il classico triplice
fischio e il treno cominciò ad avviarsi
lentamente.
Di treni ne ho preso a centinaia,
ma quella partenza fu certamente la
più risicata.
Le saline di Trapani
Grifone
O
Organo
Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana
“Associazione naturalistica di ricerca e conservazione”
“A
N. 3/93 reg. stampa - Tribunale di Siracusa
Hanno collaborato a questo numero
- Pietro ALICATA, Presidente Ente Fauna Siciliana.
- Salvatore ARCIDIACONO, Segretario Sezione di Catania, E. F. S.
- Francesco CORBETTA, già Ordinario di Botanica, Università
dell’Aquila, direttore della rivista “Natura e Montagna”.
- Alessandro MARLETTA, Curatore della Casa delle Farfalle, Univer-
Direttore responsabile Corrado Bianca
Responsabile di redazione Giorgio Sabella
sità di Catania.
Comitato di redazione Fabio Amenta, Marco Mastriani, Paolo Pantano,
Alfredo Petralia, Paolino Uccello.
- Alfredo PETRALIA, Consigliere Regionale, E.F.S.
Redazione e Amministrazione Via Sergio Sallicano, 74 - Noto (SR)
- Ettore PETRALIA, Dottorando di Ricerca in Scienze Entomologiche
Tel. 338 4888822.
e Difesa degli Agrosistemi - Università di Catania.
Versamenti sul c/c postale n. 11587961 intestati a: Ente Fauna Siciliana - Noto
Maurizio
SIRACUSA, Dipartimento di Biologia Animale, Università
Sito: www.entefaunasiciliana.it - E-mail: [email protected]
di Catania.
Realizzazione e stampa:
- Emanuele UCCELLO, Direttore della Biblioteca Naturalistica “Bruno
Due Elle - Siracusa - [email protected] - Tel. 339 7708276
Ragonese”.
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31 dicembre 2011
Tunisia: aree protette e
democrazia ambientale
di Alfredo Petralia
I
l “Code Forestiér”, promulgato
nel 1966 e riscritto nel 1988, ha costituito in Tunisia la base giuridica in materia
di conservazione dell’ambiente naturale
e per la creazione di aree protette affidate alla Direction Générale des Forêts del
Ministero dell’Agricoltura, con il compito
di “Créer et ameénager des parcs nationaux et des reserves naturelles dans
le but scientifique, educatif, recreatif et
touristique”.
Relativamente ai parchi, questi
provvedimenti fondanti, insieme ad altri
che sono seguiti, hanno portato alla costituzione di un articolata rete di Parchi
Nazionali rappresentativi di altrettanti
sistemi ecologici: Zembra e Zembretta
(391 ha) arcipelago nel golfo di Tunisi,
esempio di parco insulare; Ichkeul
(12.600 ha), grande zona umida nel
nord, non lontano da Biserta, definito
“la mecca del birdwatching”; Chambi
(6.723 ha) area caratterizzata da estese foreste di pino d’Aleppo, nella parte
centro occidentale del paese, vicino a
Kasserine; Bou Hedma (16.488 ha),
nell’Atlante tunisino, parco contraddistinto da una relitta savana ad acacia e
riconosciuto come Riserva della Biosfera
dall’Unesco; Boukornine (1.939 ha),
poco a sud di Tunisi, dominato dalla tuja
berbera (Tetraclinis articulata) e dove
è presente il raro ciclamino di Persia
(Cyclamen persicum); El Feija (2.632
ha) con le sue grandi foreste di quercia
di media e alta montagna in Krumiria, nel
nord ovest del paese vicino alla frontiera
algerina; Sidi Toui (6.315 ha) esempio
tipico dell’ambiente della steppa sahariana, vicino al confine libico; Jebil (150.000
ha), 70 km a sud di Douz, rappresenta il
tipico Sahara sabbioso con il suo estesissimo paesaggio dunale; Dghoumes
(8.000 ha) ambiente sahariano situato
sul bordo settentrionale del grande lago
salato Chott el Jerid, ad est di Tozeur,
sede di estese reintroduzioni della tipica Acacia raddiana; Jebel Zaghouan
(1.920 ha), 50 km a sud di Tunisi, con
i suoi maestosi rilievi e suoi straordinari
panorami sui territori circostanti; Djebel
Orbata (5.746 ha), ad est di Gafsa, parco creato per la conservazione di aree
dell’ecosistema montano della catena
dell’Atlante tunisino.
Ai parchi nazionali si sommano
numerose riserve naturali tra le quali
quelle di La Galite (isola a largo della
costa nord), Jebel Chitana (falesia
oligo-miocenica nel territorio di Sejnane), Grotte d’El Hauaria (cavità
nell’estremo nord della penisola di Cap
Bon), Jebel Khroufa (sulla costa nord
vicino Tabarka, area di protezione del
pony di Mogods, razza che corrisponde probabilmente ai cavalli di Numidia
di epoca romana, Jardin Botanique
(riserva situata nel centro urbano di
Tunisi), Île Chîkly (isolotto al centro del
lago Nord di Tunisi sul quale sorge un
forte di origine spagnola), Dar Fatma
(torbiera, nel nord ovest vicino a Aïn
Draham), Aïn Zana (riserva forestale,
non lontana da Aïn Draham, nella quale
è presente la ormai rara decidua Quercus afares), Jebel Serj (nella dorsale
Grifone
tunisina nel territorio di Bargou, dove
si protegge il rarissimo acero minore,
Acer monspessulanum) Sabkhat El
Kelbia (la più importante zona umida
dopo l’Ichkeul, situata tra Sousse e
Kairouan), Île Kneiss (isole al largo
di Sfax importanti per l’avifauna), Aïn
Chrichira (nel territorio di Kairouan, significativa per le formazioni geologiche
risalenti al Terziario), Touati (dominata
dal pino d’Aleppo e dal ginepro fenicio,
70 km a sud ovest di Kairouan), Tella
(istituita anche per l’importanza delle
rovine romane presenti, nell’area di
Kasserine), Khechem El Kelb (area di
protezione della gazzella di montagna
Gazella cuvieri, sita a nord di Fernana),
Jebel Bouramli (per la tutela di un sito
caratterizzato da vegetazione a Rhus
tripartita e Genista cinerea).
Nel 2007 sono state avviate le procedure per la creazione di nove nuovi
parchi nazionali e di altre 11 riserve
naturali. Un impegno notevole per la
protezione di ecosistemi naturali e siti
rappresentativi presenti sul territorio
nazionale. Inoltre tutti i parchi sono stati
dotati di ecomuseo per l’informazione
e la formazione dei visitatori, di vivai
per l’allevamento delle specie rappresentative in funzione del reimpianto cui
si sommano programmi di protezione,
reintroduzione o ripopolamento di specie sia vegetali (p.e. Acacia raddiana,
Tetraclinis articulata, Periploca laevigata, Retama retam, Atriplex mollis, ecc.)
che animali (Orix damma, Ammotragus
lervia, Addax nasomaculatus, Cervus
elaphus barbarus, Gazella dama mhorr,
Gazella cuvieri, Gazella leptoceros,
Hyaena hyaena, Canis aureus, ecc.).
Grifone 31 dicembre 2011
Insomma uno sforzo non indifferente, importante nel suo complesso
per la conservazione del patrimonio
naturale, ma potenzialmente capace in
ultima analisi di tradursi in opportunità
di sviluppo: lavoro per i gestori e per gli
addetti alle diverse operazioni manuali
o di controllo; campo di azione per la
ricerca scientifica pura e applicata;
strumento di educazione ambientale e
crescita culturale; attività economiche
indotte dagli interventi correlati alla gestione; proventi diretti o indiretti indotti
dal flusso di visitatori, ecc. In particolare
le reintroduzioni di diverse specie di
animali di media taglia (per esempio
antilopi, gazzelle, struzzi), insieme alla
protezione di altre specie (come la iena
striata o lo sciacallo) nei parchi istituiti
negli ambienti aridi o di savana, hanno
mirato anche all’ambizioso obiettivo di
offrire agli ecoturisti, soprattutto europei,
la possibilità di osservare già alle latitudini mediterranee, e a costi molto più
contenuti, esemplificazioni di ambienti
e faune che generalmente si vanno ad
osservare nell’Africa meridionale.
In realtà, nonostante l’esistenza di un
ragguardevole sistema di aree protette,
il suo ruolo come effettivo motore di sviluppo appare tuttavia piuttosto limitato
e per lo più confinato alle aree protette
più famose, ad esempio il Parco Ichkeul.
Soprattutto per quanto riguarda i visitatori esteri l’appeal verso gli ambienti
naturali sembra oscurato da un maggiore interesse per località o siti quali il
Museo del Bardo o la Medina di Tunisi,
le rovine di Cartagine, Side Bou Said,
le città di Sousse, El Jem e Kairouan
che insieme captavano l’87% dei 2.5
milioni di turisti stranieri che visitavano
la Tunisia prima della rivoluzione dei
gelsomini (dati dell’Agence Nationale
d’Exploitation du Patrimoine): solo il
13% rivolgeva l’attenzione al resto del
territorio, soprattutto nelle aree interne,
con proporzioni ancor meno significative
di visitatori delle aree protette.
Probabilmente a ciò può aver contribuito il fatto che per lo più mancano
adeguate infrastrutture ricettive nelle vicinanze delle aree protette; quelle si concentrano soprattutto in alcune aree (per
esempio Hammamet, l’Isola di Djerba,
Tozeur), ove prioritariamente si è puntato
sul turismo di massa (quello balneare in
primo luogo), e dalle quali si è irradiato
l’escursionismo mordi e fuggi (a bordo di
veloci auto fuoristrada) verso le regioni
interne, certamente più caratteristiche,
ma escluse in tal modo dalle presenze
residenziali dei turisti, quelle che in teoria
possono essere redditizie per le popolazioni locali in modo significativo.
Il concentrarsi, invece, del turismo
stanziale in aree ristrette, e sotto il
controllo di una ristretta cerchia di
impresari, ha impedito una diffusione
sul territorio dei benefici del turismo
stesso. Parimenti il turismo interno nelle
aree protette non è ancora decollato in
misura massiccia e consistente anche
per la non diretta accessibilità ai parchi
soggetta ad autorizzazione.
È probabile che tutto ciò abbia generato una sorta di diffidenza, di incomprensione ed infine di ostilità verso le aree
protette, in speciale modo negli strati
sociali meno istruiti, o in quelle categorie
che, pur essendone territorialmente coinvolte, non hanno visto derivare benefici
economici concreti e consistenti dalla
esistenza dei parchi a fronte peraltro
delle limitazioni imposte a molte attività
tradizionali dalle esigenze di tutela.
Forse è questa una chiave di lettura per comprendere i motivi di quanto
avvenuto durante la rivoluzione: devastazioni in diversi ecomusei realizzati
nei parchi, ruberie di attrezzature, uccisione di molti esemplari delle specie
reintrodotte nei parchi stessi ed in alcuni
casi veri e propri stermini.
Si è trattato di eventi drammatici che
hanno indotto gli ambientalisti tunisini
a mobilitarsi contro l’attacco ai parchi
con una lettera aperta al Ministre de
l’Agriculture et de l’Environnement
nella quale tra l’altro si scrive:
«La Tunisie s’est dotée d’un système de Parcs Nationaux qui est
aujourd’hui reconnu au niveau international comme une réussite. Ces Parcs
Nationaux apportent une contribution
internationale unique à la conservation du patrimoine naturel tant pour les
espèces menacées qui s’y trouvent
que pour les écosystèmes qui y sont
protégés. Ils sont d’ailleurs un héritage
commun et un patrimoine inestimable
du Peuple Tunisien et des générations
futures, ainsi qu’un atout économique
indéniable pour le tourisme et la valorisation des ressources naturelles. Ce
réseau de Parcs Nationaux a demandé
au cours des dernières décennies de
gros investissements de la Tunisie,
ainsi que de nombreux partenaires,
dont la communauté internationale. Le
personnel de la DGF et des CRDA, qui
assure au quotidien la gestion de ces
Aires Protégées, est motivé et dévoué,
et a bénéficié de formations et d’échanges dans le cadre de projets d’appui internationaux. Il serait donc dramatique
que tous ces efforts, fruit de dizaines
d’années de travail, soient réduits à
néant aujourd’hui par des actes inconsidérés de colère ou de pillage. Nous
souhaitons attirer votre attention sur
6
ces menaces qui touchent directement à l’intégrité des Parcs Nationaux
tunisiens et comptons donc sur votre
soutien et votre intervention énergique
et rapide pour éviter ce drame.»
Oggi l’ambientalismo tunisino guarda avanti ed attualmente è impegnato
attivamente affinché la nuova società
che inizia a riorganizzarsi dopo la rivoluzione assuma piena coscienza e
responsabilità sulla questione ambientale rivendicando per essa una giusta
collocazione nel quadro politico che si
sta delineando nel paese maghrebino.
Gli ecologisti tunisini hanno inviato
alla Assemblea Nazionale Costituente
una mozione pubblica per reclamare
l’integrazione del tema ambiente nella
costituzione e per invocare basi costituzionali per i diritti ambientali e per lo
sviluppo sostenibile.
Secondo il collettivo indipendente di
ambientalisti, attivisti ed esperti di sviluppo sostenibile riunitisi in un recente
convegno tenutosi a Tunisi nella cornice del Parco Urbano di Nahli, la nuova
Costituzione tunisina deve garantire il
diritto a un ambiente sano, equilibrato
e sostenibile e la sua protezione efficace. Deve altresì garantire il diritto dei
cittadini di accedere alle informazioni
ambientali e di partecipare alle decisioni politiche che possono avere impatti
significativi sull’ambiente in un quadro
di equità sociale, sviluppo economico
e tutela ambientale. Inoltre il gruppo
organizzato “Eco-Costituzione” ha rilevato che almeno l’80% dei partiti politici
(attualmente molto numerosi) è per il
principio del radicamento costituzionale
dei diritti ambientali.
Ampio e articolato nei convegni è
anche il dibattito sulle priorità ambientali da affrontare e sono stati focalizzati
almeno sei grandi temi riconducibili
alla questione ambientale in Tunisia,
ma che è analoga in molti paesi industrializzati: la gestione sostenibile
delle risorse (acqua, suolo, foreste),
la gestione dell’inquinamento e la lotta
contro l’inquinamento, la salvaguardia
delle coste, la conservazione e la valorizzazione dei paesaggi, la gestione
dell’energia, il controllo dei cambiamenti climatici.
Dunque nella élite ambientalista
tunisina è matura e chiara una richiesta
di democrazia ambientale che passi
principalmente attraverso la sensibilizzazione e la riflessione pubblica: cioè
la strada maestra per porre le basi
per garantire che il patrimonio di aree
protette del paese diventi realmente
patrimonio collettivo sentito come tale
da tutti. Il che è il primo passo per una
sua realistica tutela.
31 dicembre 2011
7
La Biodiversità e
l’Ambiente nelle
Tesi di Laurea
di Ettore Petralia e
Maurizio Siracusa
A
seguito dei processi di sviluppo ed urbanizzazione sempre
crescenti si assiste ormai ad una drastica riduzione dello stato di naturalità
dell’ambiente e del paesaggio nel suo
complesso, con una notevole rarefazio-
ne e frammentazione di habitat idonei
alla sopravvivenza delle specie animali
e vegetali a cui fa seguito l’impoverimento della
biodiversità sia su scala
locale che, ovviamente,
su scala globale. Già da
decenni, per tentare di
arginare e contenere l’incontrollata antropizzazione, le politiche nazionali
e internazionali si stanno
adoperando per dotarsi
di strumenti legislativi e
di indirizzo mirati ad una
oculata e sostenibile gestione dei territori e delle
loro risorse basata sulla necessità di
monitorare opportunamente status e
dinamica delle popolazioni animali e
Grifone
vegetali che insistono in una determinata area. Le due tesi di laurea proposte
di seguito sottolineano
proprio l’importanza e la
necessità di conoscere
tali componenti biologiche ai fini di una corretta
gestione e conservazione del territorio, sia per
aree naturali protette,
sia per aree non tutelate
da vincoli ambientali. In
tale contesto è dunque
fondamentale una pianificazione standardizzata
e scientificamente riconosciuta relativamente alle
metodologie da adottare per rendere
efficaci ed efficienti i monitoraggi su
fauna e flora.
Titolo: Studio della biodiversità vegetale del comprensorio
di Monterosso Almo (RG) e proposta di un nuovo sito SIC.
Autore: Giovanni AMATO
Relatore: Prof. Pietro Minissale
Correlatore: Dott. Tullio Serges
Ateneo: Università degli Studi di Catania, Corso di laurea magistrale in Biodiversità e qualità dell’ambiente (A.A. 2010-11)
Recapito dell’autore: [email protected]
Titolo della Tesi: Monitoraggio avifaunistico di un impianto
eolico in esercizio.
Autore: Vincenzo TORRISI
Relatore: Prof. Giorgio Sabella
Correlatore: Dott. Ettore Petralia
Ateneo: Università degli Studi di Catania, Corso di Laurea magistrale in Biodiversità e qualità dell’ambiente (A.A. 2010-11)
Recapito dell’autore: [email protected]
Sintesi: La conoscenza della vegetazione iblea è stata arricchita negli anni da numerosi contributi, mancano tuttavia
studi specifici sulla vegetazione dell’area di Monterosso
Almo (RG). È stata pertanto effettuata un’indagine fitosociologia per conoscerne la flora e la vegetazione, anche
al fine di realizzare una carta della vegetazione dell’area.
L’analisi della vegetazione è stata effettuata sulla base di
oltre 70 rilievi fitosociologici. L’elenco floristico comprende
376 specie. Tra queste particolarmente significative risultano essere Paeonia mascula russoi, di cui è stata individuata una nuova stazione di crescita sugli Iblei, ed Ophrys
archimedea, endemica di Sicilia. L’analisi della vegetazione
ha permesso di riconoscere comunità molto diverse tra
loro: tra queste il bosco di leccio riconducibile al Rhamno
alaterni-Quercetum ilicis subass. pistacietosum terebinthi
occupa un posto di rilievo in quanto si tratta della prima
segnalazione di tale fitocenosi nell’area iblea. Importanti
sono anche le formazioni residuali a querce caducifoglie
del Mespilo-Quercetum virgilianae e le formazioni boschive
riparie appartenenti al Platano-Salicetum pedicellatae, o
costituenti aggruppamenti a Populus nigra. Le praterie
steppiche sono riconducibili all’Helichryso hyblaei-Ampelodesmetum mauritanici, associazione endemica degli Iblei.
Presenti anche impianti artificiali a conifere, realizzati nel
corso degli ultimi 30-35 anni da parte dell’Azienda Regionale Foreste Demaniali. Il valore dell’area è evidenziato
dalla proposta di realizzare un nuovo Sito di Importanza
Comunitaria (SIC), da inserire nella Rete Natura 2000, che
possa garantire la conservazione delle emergenze naturalistiche rilevate. I risultati conseguiti contribuiscono a fornire
elementi di conoscenza utili ai fini della conservazione e
della gestione del territorio, sia per la salvaguardia della
flora e della vegetazione, che per gli interventi di conversione dei vecchi impianti forestali.
Sintesi: L’attuale sviluppo economico è basato su una sempre più pressante domanda di materie prime ed energia, con
pesanti ripercussioni sull’ambiente. Questo ha portato ad un
incremento del ricorso a forme alternative di produzione energetica, come ad esempio la posa di impianti per produzione
da fonti eoliche (i cosiddetti “parchi eolici”) a cui sono legati
impatti sugli habitat e sulle popolazioni animali. Obiettivo del
lavoro di tesi è stato quello di verificare l’impatto sull’avifauna,
sia stanziale che migratoria, di impianti eolici in esercizio localizzati nell’area dei comuni di Santa Ninfa e Gibellina (Trapani). Il monitoraggio è stato svolto tra agosto ed ottobre 2010.
Con controlli settimanali alla base di ciascuna torre eolica si
è verificata l’eventuale presenza di uccelli feriti (a seguito di
impatto con le pale rotanti) o di eventuali carcasse. A tale scopo
sono stati percorsi dei transetti standard, come da protocolli
specifici, individuati nei pressi della base di ogni torre eolica.
Parallelamente si è proceduto ad un controllo a vista, con
l’ausilio di binocoli, dell’avifauna presente nei dintorni. Sono
state rilevate 4 specie di rapaci che volavano o stazionavano
nei pressi delle torri eoliche, per un totale di 24 esemplari. Le 4
specie individuate sono: il grillaio (Falco naumanni), il capovaccaio (Neophron percnopterus), il gheppio (Falco tinnunculus)
e la poiana (Buteo buteo). Le osservazioni a terra non hanno
portato al rinvenimento di alcuna carcassa ai piedi ed intorno
alle torri eoliche controllate. Ciò non esclude in modo certo che
si possano verificare impatti dell’avifauna con l’impianto, ma
fa ritenere che essi, qualora presenti, siano di modesta entità.
In conclusione è facile dedurre quanto siano importanti sia un
incremento di ricerche e osservazioni, sia opportune direttive
e linee guida regionali e nazionali che regolamentino il monitoraggio avifaunistico prima e dopo la costruzione degli impianti
eolici, così da avere dati quanto più completi in merito al reale
impatto che essi hanno sulle popolazioni di uccelli presenti nelle
aree dove sono collocate queste strutture industriali.
Grifone 31 dicembre 2011
Dal “Giornale
di Bordo”
dell’Associazione
vizio Guide Naturalistiche nella R.N.O.
“Pantalica, Valle dell’Anapo e Torrente
Cava Grande”.
4 novembre 2011
Riunione di lavoro, presso il Centro di
Educazione Ambientale del CUTGANA
di S. Gregorio (CT), tra il Prof. Yamoun
Messaoud (Presidente dell’Associazione “Memoire de la Terre”), il Prof. Angelo Messina (Cutgana), il Prof. Alfredo
Petralia e Corrado Bianca (Ente Fauna
Siciliana), per definire il progetto sul
“Ksar di Beni Ghedir”. Partecipa al progetto anche l’Università di Bologna.
11 novembre 2011
Sopralluogo a Cava Prainito (Rosolini),
del Segretario Regionale Corrado Bianca, del Delegato della Sezione di Rosolini Antonino Zocco e della Responsabile dei “Giovani Grifoni” Antonina Oddo.
Il sopralluogo è servito a fare il punto
della situazione dell’area in previsione
di un affidamento dell’importante area
naturalistica all’Ente Fauna Siciliana.
21 novembre 2011
Incontro di lavoro, presso l’Ufficio Provinciale Azienda Foreste Demaniali di
Siracusa, tra il Dott. Filadelfo Brogna
(Dirigente U.O.B.2), il Segretario Regionale Corrado Bianca, ed il Vice Paolino
Uccello. L’incontro per pianificare il ser-
22 novembre 2011
Riunione presso il Comune di Noto
con il Sindaco Corrado Bonfanti, per
discutere del Premio “M. La Greca”,
dell’A.M.P. di Vendicari e della Sede
legale dell’E.F.S.. Per l’Ente Fauna
Siciliana erano presenti il Segretario
Regionale Corrado Bianca, il Vice Segretario Paolino Uccello e il Responsabile del “Premio M. La Greca” Alfredo
Petralia.
23 novembre 2011
La Soprintendenza ai Beni Culturali e
Ambientali di Siracusa, convoca una
riunione sul “Piano paesaggistico della
provincia di Siracusa”. Per l’E.F.S.
partecipa il Vice Segretario Regionale
Paolino Uccello.
25 novembre 2011
Si chiude a Floridia il Seminario sull’Etnobotanica, svolto presso i locali del
Museo Etnografico “Nunzio Bruno”. Il
Seminario è stato tenuto da Paolino
Uccello e Alfredo Uccello con l’organizzazione di Fabio Amenta. Alla chiusura
è intervenuto il Segretario Regionale
Corrado Bianca che ha consegnato gli
attestati di partecipazione.
29 novembre 2011
Riunione a Palazzo Ducezio tra il
Sindaco di Noto Corrado Bonfanti, il
Presidente del Consorzio A.M.P. Ven-
8
dicari Paolino Uccello e il Direttore del
Consorzio A.M.P. Vendicari Giuseppe
Daidone. L’incontro, voluto dall’Ente
Fauna Siciliana, si prefigge l’obiettivo
di far ripartire l’iter istitutivo dell’A.M.P.
Vendicari di Noto.
1 dicembre 2011
Riunione presso il Comune di Noto,
convocata dal Dott. Giuseppe Genovesi
(Consulente del Sindaco di Noto), sul
tema “Fiume Asinaro”.
All’incontro hanno partecipato il Sindaco
di Noto Corrado Bonfanti, il Presidente
del WWF di Noto Giacomo Privitera, il
Presidente di Legambiente (Circolo di
Noto) Sebastiano Tiberio, il Segretario
Regionale dell’E.F.S. Corrado Bianca
ed il Vice Paolino Uccello.
7 dicembre 2011
Effettuato un sopralluogo, da Corrado
Bianca (E.F.S.) e Giacomo Privitera
(WWF), al fiume Asinaro nel tratto compreso fra il Durbo e la stazione F.S. di
Noto. Redatta relazione e documentazione fotografica del sopralluogo.
16 dicembre 2011
Si riunisce, presso la sede legale, la
Giunta Regionale dell’Ente Fauna Siciliana, fra i vari punti all’O.d.G. la dedica
e il logo anno 2012.
19 dicembre 2011
Riunione a Noto, convocata dal Comandante del Corpo Guardie Ecologiche,
delle Guardie Ecologiche dell’Ente
Fauna Siciliana.
XLVII ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI
DELL’ENTE FAUNA SICILIANA
Domenica 15 gennaio 2012 alle ore 9.00, presso il Centro Visitatori della R.N.O. “Oasi Faunistica di
Vendicari”, si svolgerà la XLVII Assemblea Generale dei Soci dell’Ente Fauna Siciliana, convocata
in via ordinaria dal Segretario Regionale (Assemblea di fine anno, art. 8 dello Statuto), con il
seguente ordine del giorno:
• ore 9.00 Relazione del Segretario Regionale;
• ore 9.30 Relazioni dei Segretari di Sezione e dei Responsabili di Settore;
• ore 10.30 Approvazione conto consuntivo 2011;
• ore 10.45 Programmazione di massima per il 2012;
• ore 11.00 Dibattito.
Questa convocazione ha valore formale di convocazione dei Soci.
Il Segretario Regionale
CORRADO BIANCA
9
Attività delle
Sezioni
a cura di
Emanuele Uccello
Domenica 13 novembre 2011
Escursione media difficoltà
I Monti Climiti
Guida: Giuliano Concetto;
Partenza: 8,30 da piazza Melbourne – Floridia;
Durata: mezza giornata (8,30 - 12,30);
Equipaggiamento: da trekking (consigliati scarponcini, binocolo, mantellina da pioggia);
Colazione: a base di ricotta e latticini (facoltativa)
Info e prenotazioni: 338/9595568.
Il Monte Climiti è una catena collinare della
Sicilia orientale posta a nord ovest di Siracusa,
con un’altezza massima che sull’altopiano è di
410 m s.l.m. Rappresenta l’ultimo lembo della
catena dei Monti Iblei, che degradano verso la
Piana di Siracusa e si affacciano ad est sul mar
Ionio e ad ovest sulla valle dell’Anapo. Gli Iblei e
il monte Climiti, “avanpaese della zona africana”,
sono emerse a partire dal Pliocene medio per le
deformazioni dovute alla tettonica che caratterizza l’area. Il nome “Clìmiti” deriva dal greco “klímax”, (scala), poiché i fianchi dell’altopiano sono
costituiti da gradoni di roccia affiorante, solcati
radialmente da cave naturali che tagliano la roccia dalla base fino all’altopiano sommitale, dove
sono state realizzate dall’uomo due scale intagliate
nella roccia (una ad est e l’altra a nord) che consentivano di raggiungere l’altipiano. Sulle dorsali
del monte si sono formate nei secoli delle vere e
proprie “cave” con leccete ricche di fauna e flora.
Molte le falde sospese presso Castelluccio, pozzo
dei Climiti e presso Melilli, che hanno permesso
l’insediamento umano fin dalla più antica età del
bronzo. Alla “facias castellucciana” sono attribuibili
diversi complessi di tombe a grotticella artificiale
che occupano le pareti delle cave che solcano il
tavolato. Le numerose grotte carsiche sono risultate importantissime per la paleontologia, poiché al
loro interno sono stati rinvenuti fossili (invertebrati
marini, lamellibranchi, gasteropodi ed echinodermi
di varie specie) e resti ossei della fauna siciliana
esistente ai tempi delle glaciazioni (elefanti nani,
ghiri giganti, rettili terrestri e marini). L’altopiano
del Monte Climiti è stato abitato fin dalla preistoria
e sono molte le necropoli che testimoniano la presenza dell’uomo in questa parte della Sicilia. Il vasto
territorio racchiude necropoli dell’età di Castelluccio
(XVII – XV secolo a.C.), su cui gli archeologi hanno
puntato i loro studi. Presso Castelluccio vi sono i
resti di una Necropoli rupestre risalente all’Età del
Bronzo. A poca distanza da essa vi sono i resti di
un’insediamento abitativo sempre di tipo rupestre,
risalente all’Età del Bronzo.
Domenica 27 novembre 2011
Escursione lieve difficoltà
Solarino – C.da Baragna – Isola Mola
Guide: Giuliano Concetto; Gozzo Francesco;
Partenza: 8,30 da piazza Melbourne – Floridia;
Durata: mezza giornata (8,30 - 12,30);
Equipaggiamento: da trekking (consigliati scarponcini, binocolo; mantellina da pioggia);
Colazione: a sorpresa (facoltativa)
Info e prenotazioni: 338/ 9595568.
Contrada Baragna, al confine dei territori di Solarino e Sortino, è situata vicino il fiume Anapo ed è
stata un’importante via di ritiro delle popolazioni
Sicane e Sicule per raggiungere la roccaforte
di Pantalica. La zona Molino, Isola Mola è una
piccola altura calcarea alla base del Monte
31 dicembre 2011
Climiti nei pressi del fiume Anapo, che presenta
i resti di diverse sepolture scavate nella roccia.
Lungo le pendici esposte a nord, un gruppo di
poco meno di venti sepolture riferibili alla civiltà
castellucciana dell’antica età del bronzo, indicano
la presenza di un modesto insediamento preistorico. Tale insediamento fu avvantaggiato sia dalla
presenza delle pianure alluvionali circostanti, sia
dall’abbondanza d’acqua offerta dal fiume Anapo.
Le tombe presentano tutte le caratterische di tale
cultura, sebbene solo poche di esse possiedano
l’anticella. Fra le sepolture con prospetto allargato
solo una ha carattere monumentale in quanto sul
lato sinistro dell’apertura sono visibili due lesene
molto rovinate. Alcune tombe alla base del cozzo
sembrano essere state interessante da un taglio
di epoca greca per la presenza di una piccola
cava. L’ispezione della superficie ha rivelato la
presenza di frammenti ceramici e di strumenti
basaltici, sui terreni arati a nord, lungo una stretta
fascia, mentre nulla è visibile sulla cima del cozzo,
ad eccezione di un piccolo rudere vecchio di un
centinaio d’anni.
Il passaggio, sottocosta, dell’acquedotto Galermi,
nel suo viaggio verso Siracusa, ha permesso di
rendere fertili e coltivabile le terre ad esso circostanti. A testimonianza del duro lavoro degli schiavi cartaginesi resta una grotta detta “degli schiavi”,
usata per fare riposare quei poveri disgraziati.
Lì vicino si trova una sorgente d’acqua, una
fontana conosciuta come “A funtana i Pasquali”,
situata nei terreni di proprietà di don Ciccio, che
sarà prodigo di racconti relativi al sito.
Domenica 18 dicembre 2011
Escursione lieve difficoltà
Sortino – Contrada Lardia
Guide: Giuliano Concetto; Trigila Melchiorre;
Partenza: 8,30 da piazza Melbourne – Floridia;
Durata: mezza giornata (8,30 - 12,30);
Equipaggiamento: da trekking (consigliati scarponcini, binocolo; mantellina da pioggia);
Colazione: a sospresa (facoltativa)
Grifone
Info e prenotazioni: 338/9595568.
Contrada Lardia, situata a nord ovest di Sortino,
comprende una breve pianura delimitata da due
alti dossi collinari di forma allungata, fra i quali,
fino a pochi decenni addietro, scorreva un piccolo
corso d’acqua, oggi captato, che irrigava la vallata.
Ai due lati della valle, che si apre a ventaglio, verso
oriente, sono dislocati una serie di ipogei, grottoni
ed arcosoli, che denunciano la presenza di un
centro rupestre. Si tratta dell’importante necropoli
Paleocristiana rupestre conosciuta come Lardia,
risalente al V secolo d.C., considerata tra le più
importanti nel territorio sortinese, dopo quella di
Pantalica.
Questo sito, agli inizi degli anni sessanta, fu soggetto alle attente ricognizioni di Giuseppe Agnello,
che si era reso conto dell’importanza del tessuto
archeologico di età paleocristiana, dato dalle poche tracce superficiali, confermate dai successivi
scavi approfonditi, che portarono alla scoperta
di quattro gruppi di necropoli, corrispondenti ad
altrettanti insediamenti. Di essi, la necropoli di
Lardia costituiva quello più cospicuo e articolato,
comprendente arcosoli isolati, ipogei a pianta
geometrica e tombe a fossa sub-divo, in ordinata
disposizione, che inducevano ad ipotizzare l’esistenza di un popoloso centro abitato.
Una caverna è caratterizzata da un’apertura trapezoidale irregolare, con all’interno due tombe a
baldacchino e numerose nicchie di forma arcuata,
dove sono state rinvenute delle steli funerarie.
Una tomba presenta una stretta apertura rettangolare, situata dentro un corridoio scavato nella
roccia, dove sono stati ritrovati i resti di alcune
lucerne d’epoca romana.
La terza grotta, la più vasta della necropoli, contiene ben 31 loculi sepolcrali; qui sono stati rinvenuti
lanterne, fibbie e gioielli e pochissimi frammenti
di ossa (resti umani).
Una visita alla vicina sorgente d’acqua potabile,
conosciuta come sorgente Lardia, dalle limpide
acque ristoratrici, ritenute nell’antichità miracolose, completerà l’escursione.
Grifone 31 dicembre 2011
10
CONVEGNO A DJERBA SULLA
SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE
L’Ente Fauna Siciliana prosegue l’azione di collegamento con la realtà ambientalista tunisina con il convegno
illustrato in questa pagina: in partenariato con diverse entità
è previsto per il prossimo aprile un incontro internazionale
sulla sostenibilità ambientale nella cornice dell’isola di
Djerba, la mitica isola omerica dei lotofagi. Si tratta di un appuntamento significativo per lo sviluppo di rapporti sempre
più stretti con l’area del maghreb come è ormai tradizione
nell’itinerario di azione della nostra associazione.
Il convegno si articolerà nelle seguenti sessioni: Protected areas network, Marine environment, Ecology and
conservation, Culture and sustainable development.
Il 31 marzo è la scadenza per la presentazione dei
contributi che verranno esposti in forma orale nelle diverse sessioni. Per ulteriori informazioni telefonare al
3332073296. (n.d.r.)
31 dicembre 2011
11
Etnobotanica. 27
di Salvatore Arcidiacono
Una siciliana
di adozione
I
conquistatori spagnoli quando
giunsero nel paese che poi verrà chiamato Messico videro una maestosa
pianta, dalle foglie succulente e armate
da aguzze spine, dalla quale gli Atzechi
ricavavano un succo inebriante che
consideravano “latte divino”. Il suo ciclo
biologico è alquanto strano; si accresce
per una quindicina d’anni, emette un
ricco scapo fiorale, alto quasi due metri,
e poi muore. A questa insolita pianta
gli invasori diedero il nome di “arbor de
meravillas” che, successivamente Linneo classificò come Agave americana,
derivando il nome generico dal greco,
agavos, che ha il significato di ammirevole.
Ben presto l’Agave giunse in Europa,
come pianta ornamentale. In Italia fu
introdotta a metà del secolo XVI, dove
si acclimatò facilmente; specialmente
nel meridione. In Sicilia si è decisamente naturalizzata, tanto che è stata
adottata come pianta paesisticamente
rappresentativa, al pari del Ficodindia,
che è anch’essa specie nativa del Nuovo Mondo.
Nell’isola è chiamata Zammara o
Zabbara e, fino ad una sessantina di
anni fa, è stata considerata pianta artigianale per eccellenza.
Di essa sono state manipolate particolarmente le foglie, poiché nella loro
polpa sono immerse resistentissime
fibre con cui è stato possibile ottenere
varie forme di lacci, ai quali è stato dato
lo stesso nome della pianta; cioè zammara. La zammara, come tale, è stata
impiegata in vari settori lavorativi.
Tale manufatto, fino ad un recente
passato, è stato ottenuto sia con una
procedura sbrigativa e grezza, sia con
un processo elaborato e complesso. In
ambedue i casi le foglie più esterne della
pianta si troncavano alla base (sono
prive di picciolo), si liberavano dalle
aguzze spine marginali e dalla robusta
spina apicale, indi si indirizzavano verso
Agave
due procedure alternative.
Nella prima di esse ciascuna foglia
veniva affettata longitudinalmente in
nastri larghi circa 2 centimetri che si
facevano seccare al sole e poi si torcevano su loro stessi. Si ottenevano
in tal modo stringhe, che erano utili
per affastellare la legna, assemblare i
covoni di frumento, allacciare ai tutori i
tralci delle viti, abborracciare i manipoli
di lino, eccetera.
Nella seconda, cioè in quella elaborata, si avevano i seguenti passaggi.
Innanzitutto la foglia veniva battuta
(mazziata) con un randello per rompere
il tegumento coriaceo e liberare la fibra
dalla polpa, seguiva la sfilacciatura
(rascatura) che andava fatta su una
tavola rettangolare posta a terra per uno
dei lati corti e per l’altro lato collocato
a scanno sulle gambe dell’artigiano, il
quale usava un attrezzo in ferro (cuteddu senza tagghiu) per mettere a nudo le
fibre. Infine si praticava la pettinatura
per districare le fibre aggrovigliate.
Grifone
Queste, raccolte in fasci, si ponevano in
commercio. La zammara in fili era allora
acquistata dagli artigiani intrecciatori
che ne ricavavano corde e cordicelle.
Le corde erano assai ricercate poiché
risultavano migliori di quelle fatte con
fibre di Canapa; le cordicelle venivano
usate particolarmente nell’artigianato
dei mobili per realizzare il tamburo delle
sedie, ma anche in agricoltura per allacciare oggetti vari. Oggi, con l’avvento
delle fibre sintetiche, la zammara è
scomparsa dal commercio.
La pianta dell’Agave, al di fuori della
manifattura dei legacci, ha trovato altri
impieghi, particolarmente in campo
agricolo.
Le sue foglie succulente, despinate
e tagliate in pezzi, sono state utilizzate
come foraggio per le vacche e le capre
durante la stagione avversa. Fitti filari
della pianta sono serviti per formare
siepi divisorie sulle colture orticole, in
quanto la irta spinosità del vegetale
scoraggia la intrusione degli animali
pascolanti. Il voluminoso e ramificato
apparato radicale viene impiegato per
trattenere il terreno nei pendii e nelle
scarpate, presenti ai bordi delle strade
camionabili.
Anche nella medicina popolare
l’Agave trova qualche impiego. Le foglie
pestate sotto forma di cataplasma vengono applicate sui foruncoli in quanto
favorirebbero la loro maturazione. Ed
anche il succo, estratto dalle foglie,
avrebbe una azione antiscorbutica in
quanto contiene uno zucchero (agavosio).
Infine una credenza: l’aculeo apicale della foglia, raccolto un venerdì di
marzo, prima che spunti il sole, se posto a contatto con un dente dolorante,
lo sanerebbe.
Covoni
2011
febbraio 2011
Grifone 2831 dicembre
L’allevamento delle Caligo sp.,
le cosiddette “farfalle civetta”
I
di Alessandro Marletta
l genere Caligo, appartenente alla
vasta famiglia dei Nymphalidae, comprende una ventina di specie diffuse nelle foreste tropicali ed equatoriali dell’America
centrale e meridionale.
Una delle caratteristiche principali di
questi lepidotteri è quella di possedere
sulla pagina inferiore delle ali una particolare colorazione che ricorda
la testa di un rapace notturno. Su
ciascuna ala posteriore è infatti presente una grande macchia ocellata
(detta “falso occhio”) che spicca su
una colorazione di fondo bruna con
screziature nere, simile al piumaggio di questi uccelli. Per tale motivo
queste specie sono comunemente
note come “farfalle civetta” o “farfalle
testa di gufo” (“Owl butterflies” in
inglese). Il probabile vantaggio di
questa colorazione è far sì che i
potenziali predatori scambino queste farfalle per dei rapaci notturni,
evitando così di predarle.
Le Caligo sono molto allevate
in cattività ed è facile osservarle
nella maggior parte delle “case delle
farfalle”. Le specie più diffuse negli
allevamenti sono C. memnon (fig. 1),
C. eurilochus, C. atreus e C. iloneus.
Gli adulti amano volare in zone ombrose,
posandosi frequentemente sui tronchi
degli alberi, o sul fogliame secco. Di solito
sono attivi nel tardo pomeriggio, prima del
tramonto, o durante le giornate nuvolose e
sono attratti dalla frutta fermentata, dalla
quale aspirano avidamente i liquidi con
la robusta spiritromba. In cattività queste
farfalle sono abbastanza longeve e vivo-
Fig. 2 – Bruco di Caligo memnon, penultimo stadio.
no in genere fino a 3 mesi.
Le uova, sferiche e di colore bianco,
vengono deposte a piccoli gruppi sulle
foglie dei banani o di altre Musaceae
(Heliconia spp., Strelitzia spp., ecc.). Il periodo di incubazione dura circa 7-10 giorni
e qualche giorno prima della schiusa cambiano colore diventando più scure.
Fig. 1 - Adulto di Caligo memnon.
I bruchi appena nati sono di colore
giallo con delle striature longitudinali
scure e presentano un voluminoso capo
bruno ed un paio di appendici all’estremità dell’addome. Essi sono gregari e
si radunano sulla pagina inferiore della
foglia, lungo l’asse centrale, disponendosi
parallelamente ad esso. Hanno abitudini
notturne ed in cattività possono essere
Fig. 3 – Bruco di Caligo memnon, ultimo stadio.
12
alimentati facilmente anche con foglie di
Canna indica, una pianta ornamentale
molto diffusa nei giardini e nei parchi.
Durante i primi stadi i bruchi sono verdi
con alcune chiazze brune sul dorso (fig.
2), invece all’ultimo stadio diventano interamente bruni con striature longitudinali
scure (fig. 3). Posteriormente il capo è
adornato da una serie di cornetti ad apice
arrotondato, mentre sul dorso dell’addome presentano una fila di corti filamenti
carnosi, simili a spine. Nell’aspetto e nel
comportamento, questi bruchi ricordano
delle grosse limacce, rendendosi così
sgradevoli alla vista della maggior parte
dei predatori. Alla temperatura di 25°C lo
stadio larvale ha una durata di circa 30
giorni, mentre se le temperature sono più
basse i tempi si allungano considerevolmente.
L’allevamento non richiede particolari accorgimenti, i bruchi vanno
tenuti in contenitori sufficientemente
ventilati, con un tasso di umidità del
50-70% e le foglie devono essere
sempre fresche. Considerato che
i bruchi all’ultimo stadio possono
raggiungere una lunghezza di 12
cm e data la loro voracità, occorre
disporre di una notevole quantità di
foglie. Completato lo sviluppo, essi
smettono di alimentarsi e cercano
un luogo adatto per l’impupamento.
La crisalide (fig. 4) è sospesa su
un bottone di seta, tessuto preventivamente dal bruco, e somiglia
perfettamente ad una foglia secca
accartocciata.
Gli adulti sfarfallano dopo circa 2030 giorni, a seconda della temperatura
e, se hanno la possibilità di volare all’interno di una serra, si accoppiano facilmente
dopo alcuni giorni, dando così origine ad
una nuova generazione.
Nota: Tutti gli esemplari illustrati nelle
foto sono stati allevati presso la “Casa delle
farfalle” dell’Università di Catania.
Fig. 4 –Crisalide di Caligo memnon.