La cultura dei parchi

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La cultura dei parchi
LA CULTURA DEI PARCHI
Riflessioni sui Parchi e sul Parco del Golfo della Quassa
di Vittorio Vezzetti
Nell’immaginario collettivo un Parco è un luogo ove la natura è protetta: bisogna però specificare
innanzitutto che esistono diverse tipologie di parco e che i livelli di protezione possono mutare
notevolmente da un tipo all’altro e persino all’interno del Parco medesimo (concetto di graduazione
della tutela).
In secondo luogo dobbiamo far presente che si è affermata recentemente una nuova tipologia di
Parco, meno vincolante, che affianca ai valori naturalistici quelli storici, architettonici , culturali
(come il mantenimento delle attività tradizionali) ed educativi.
Si tratta di Parchi dove è permessa la caccia, dove non esiste la inedificabilità assoluta, dove si
possono svolgere attività di raccolta senza limitazioni supplettive.
Certo, per i puristi si tratta di parchi che hanno perso parte dell’idea originaria con con cui nel 1872
il governo degli Stati Uniti proclamò il primo Parco Nazionale del mondo (Yellowstone): la difesa
di qualche lembo di natura selvaggia per i posteri poiché in essa si riconosceva un valore preciso e
collettivo di memoria storica e di benessere morale e psicologico. Cioè la difesa della Natura come
difesa dell’Uomo, della sua Identità e della sua Umanità.
E, probabilmente, John Muir, il profeta della wilderness, che a cavallo del 1900 scorrazzava nei
luoghi selvaggi dell’America e amava riflettere su di un masso nel remoto King’s Canyon (e per
spazzare via ogni dubbio vi dico che chi scrive vi si è recato alcuni anni fa in doveroso
pellegrinaggio) ne sarebbe alquanto perplesso.
“Lieto d’essere servo dei servi in questa sacra natura selvaggia”, scriveva Muir, scozzese di natali
ma americano di adozione.
E ancora "Ho fatto del mio meglio per mostrare la bellezza, la grandiosità, l’utilità complessiva dei
nostri parchi e delle nostre riserve che proteggono le foreste e le montagne, con lo scopo di incitare
la gente a venirle a godere, facendole entrare nel loro cuore, in modo da poter garantire, alla lunga,
la loro conservazione ed il loro uso corretto".
L’obiezione dei puristi è fondata. Ma.. d’altro canto l’Italia non è … gli Stati Uniti: la densità
demografica è elevata e pochissimi sono ormai gli spazi “selvaggi”. Da ciò ne consegue che spesso
i vincoli dei parchi sono andati a ostacolare interessi privati o attività umane, in una coesistenza
spesso problematica.
Un conto è fare un Parco nella Valle della Morte, un conto in Brianza…(e questo non vuol dire che
in Brianza non ci sia qualcosa meritevole di tutela, magari solo uno stagno con un anfibio raro).
Per entrare nel dettaglio esistono in Italia solo 5 Riserve Naturali Integrali, che poi sono quelle
riserve ove è interdetta ogni attività umana, incluso l’accesso non prenotato. Anche perché è
difficile trovare in Italia estensioni di natura selvaggia in cui vincoli così pesanti non vadano a
interferire con attività antropiche (una tra quelle che ho visitato, per esempio, con la guida di Danilo
Mainardi è l’isola di Montecristo, a 80 km dalla costa).
Il tutto, amplificato ad arte da portatori di interessi privati in contrasto con l’istituzione del Parco, ha
poi in passato ingiustamente portato ad una cattiva fama dei parchi : fino a qualche caso di
ribellione delle popolazioni locali quando una istituzione centrale avanzava solo l’idea di creare un
Parco.
Oggi, però, queste situazioni sono superate perché si è visto che, con una corretta gestione, il Parco,
oltre a tutelare un interesse della collettività, può arrecare grossi vantaggi non solo ambientali ma
anche economici alle popolazioni residenti: basti pensare ai milioni di turisti che si recano ogni
anno nel Parco Nazionale d’Abruzzo mentre i paesi esterni al Parco muoiono di spopolamento.
Basti pensare ai finanziamenti per attività di ricerca, di vigilanza, di ripristino idro geologico e della
sentieristica che arrivano ai Comuni che accettano di costituirsi a Parco.
Certo, dobbiamo chiarire che lo sviluppo turistico (in senso ecologico) è un importante effetto
collaterale dell’istituzione di un Parco.
Non è però il fine determinante.
Troppo spesso si fa confusione tra turismo e tutela ambientale. Un esempio: mi capitò tempo
addietro in una riunione sentire un Amministratore che diceva che il proprio Comune era per il
turismo e per l’ambiente e che avrebbe visto di buon occhio l’istituzione di un Parco: prova doveva
esserne il fatto che la sua Amministrazione si stava sì impegnando per la costruzione di un nuovo
porto turistico…ma, attenzione, velico!
La cosa importante, credetemi, è abbandonare ogni atteggiamento dogmatico e pre-costituito e
promuovere una chiara e capillare informazione delle popolazioni coinvolte: difficilmente, con
queste premesse, verrà meno il consenso della maggioranza delle persone.
Oltretutto, come accennavamo dianzi, si è affermata negli ultimi anni la categoria dei Parchi Locali
di Interesse Sovracomunale (PLIS), una forma vincolante morbida che consente tutte le attività
agrosilvopastorali, venatorie e piscatorie e che pone dei limiti di natura essenzialmente urbanistica
(finalizzati al mantenimento delle aree agricole e boschive e alla conservazione degli aspetti
paesaggistici): in tal modo anche il “non-costruito” assume una sua riconosciuta importanza, una
sua dignità. Un suo preciso valore culturale. E si passa da un valore soggettivo (“per me è bello”) ad
uno oggettivo ( “è un Parco”).
E per l’Italia è già un grosso passo in avanti.
Certo, il rischio è che questi vincoli urbanistici, di genesi comunale e neanche irreversibili, siano
troppo deboli per garantire la trasmissione alle future generazioni di quel patrimonio ambientale e
culturale che si vuole proteggere. Però è anche vero il contrario: che spesso, per volere proteggere
tutto e bene… non si riesce a tutelare niente perché i vincoli cozzano con troppi interessi che
riescono a far naufragare il Parco.
Un esempio: l’idea di un parco del Basso Verbano è antica di oltre 10 anni perché nessuno può
negare che nell’area compresa tra Laveno e Sesto Calende esistano valenze ambientali, geologiche,
paesaggistiche, storiche e culturali di notevole caratura.
Di fatto, però, a parte una certa nebulosità sulla tipologia di Parco da istituire, chi ha seguito la
vicenda ha visto per anni Amministrazioni titubanti per paura di scontentare categorie che temevano
di essere penalizzate, altre istituzioni con idee diverse sulle modalità dei vincoli da applicare, altre
ancora non interessate alla tematica e.. il risultato è stato uno stallo che rischiava di diventare eterno
mentre il cemento avanzava a coprire ogni anno fette consistenti del nostro territorio,
compromettendo il nostro ambiente e la nostra qualità di vita.
L’ambiente e la qualità di vita dei nostri figli: gli adulti di domani.
Pertanto, pur ammettendo che un Parco dei Comuni del Basso Verbano sarebbe una bellissima
realtà, invito a considerare che l’ottimo si è dimostrato spesso nemico del buono… per cui ritengo
che l’iniziativa assunta in autonomia dai Comuni di Ranco e Ispra col Parco del Golfo della Quassa
debba essere vista sotto la luce concreta del FARE ECOLOGIA che è sempre meglio del
PARLARE DI ECOLOGIA.
L’auspicio è che le Amministrazioni vicine, preso atto che fare un Parco è non solo possibile ma
persino vantaggioso, chiedano nei prossimi anni di associarsi. Ne scaturirebbe un effetto domino di
cui lo scrivente sarebbe il primo a rallegrarsi: significherebbe che l’aver preferito la politica dei
piccoli passi (che comunque stanno già portando alla costituzione del Parco) si sarà dimostrata
strategia pagante.
Inoltre, se lo studio del territorio dovesse evidenziare particolarità locali degne di maggior tutela, si
potrebbe sempre chiedere di vincolare la sub-area in modo più stringente in modo indipendente dal
PLIS e senza agire sulle altre sub-aree.
L’analisi tecnica che abbiamo espletato ha già individuato le possibili vie di espansione del Parco
del Golfo della Quassa. Per consentire ciò la perimetrazione del Parco dovrà arrivare ai confini
comunali in tutte le situazioni in cui ciò sia tecnicamente possibile (anche se è ammessa nei PLIS la
discontinuità territoriale: Parchi a macchia di leopardo).
Dipenderà poi esclusivamente dalle diverse Amministrazioni comunali confinanti l’attuazione degli
ampliamenti da noi ipotizzati: il nostro auspicio è che esse, preso atto dei vantaggi ecologici, della
visibilità mediatica e quindi turistica, della disponibilità di finanziamenti, chiedano in futuro di
accorparsi ai due Comuni-pilota.
Una esperienza del genere si è già verificata in provincia di Varese: attualmente i Comuni facenti
parte del PLIS del Rile-Tenore-Olona sono oltre 30 ma i pionieri furono solo 7: il successo della
iniziativa ha condottosempre nuovi Comuni , anno dopo anno, a richiedere l’adesione.
Nel nostro caso specifico le possibili vie di espansione sono:
VERSO SUD la parte angerese del Monte San Quirico (è paradossale che solo la parte ranchese sia
inclusa nel PLIS e che il confine del Parco tagli in due i boschi del massiccio), la zona
monumentale della Rocca Borromeo (sulle cui pareti nidifica il falco pellegrino), l’area della
Bruschera (in cui, prospiciente l’isolino Partegora, è situata la nota palude protetta considerata
Sito di Importanza Comunitaria).
VERSO NORD i canneti delle Sabbie d’oro, poco distanti dalla palude isprese del Lavorascio, già
inclusa nel PLIS, lo Stagnone del Laghetasc e, in quel di Besozzo, la Palude della Bozza.
VERSO EST le aree circostanti la Cascina Paludi di Angera, le aree agricole e boschive di Barzola
e Capronno e, più a sud, le aree tainesi del Monte la Croce e del Boscoforte fino ai confini del Parco
del Ticino in quel di Lentate.
Verrebbe così assicurata la conservazione di un vasto corridoio verde che, dalle colline di Lentate e
Mercallo, porta direttamente al Lago Maggiore preservando le ultime aree poco antropizzate del
Basso Verbano.
Il Parco Locale di Interesse Sovracomunale non deve necessariamente riguardare da un punto di
vista territoriale più comuni ma deve garantire la tutela di un interesse che vada aldilà del territorio
comunale (ciò che è sovracomunale è l’interesse non l’estensione). E, per fare un esempio, il
Comune di Ranco che possiede il Monumento Naturale Regionale del Sasso Cavallaccio, non
avrebbe nessuna difficoltà a farsi riconoscere la qualifica di PLIS (coi finanziamenti previsti) anche
da solo, senza la strategica alleanza col Comune amico di Ispra.
In realtà il fatto di allearci con gli amici ispresi dà, come vedremo, una grossa valenza in più alle
molte che già avrebbe un parco esclusivamente ranchese, e consentirà di offrire al turista un
prodotto più qualificato e vario.
Una casa per stare a lungo in piedi deve avere solide fondamenta. Così un Parco deve avere un
solido retroterra fatto di studio e di conoscenza. Regola aurea: non si può proteggere
efficacemente ciò che non si conosce.
Per queste ragioni la nostra Amministrazione, appena eletta, ha promosso una serie di rilievi e
censimenti botanici, geologici, faunistici e culturali del territorio. Solo attraverso la piena
consapevolezza della propria realtà e della propria identità culturale è possibile proteggere
localmente e in modo efficace, senza imposizioni dall’esterno, la propria terra.
Il nostro primo approccio sistematico, assolutamente parziale e perfettibile, ha evidenziato dal lato
zoologico la presenza della Lampreda padana (nel torrente Acquanegra) e della rana di Lataste
(attorno e dentro al CCR e, probabilmente, nei prati lungo il rio Quassèra) ; numerose, poi, le
specie di uccelli rari tra cui 15 appartenenti alla lista speciale dell’annesso 1 della direttiva CEE
79/409.
Dal punto di vista botanico si segnala la presenza della ninfea gialla, della castagna d’acqua del
Verbano e di una particolare forma vegetazionale, quella delle laurifille, sul Monte di Ispra relitto
dell’Era Terziaria. Ben rappresentati i boschi sia planiziali che di collina.
Numerosi e in espansione sono ovviamente i canneti. In tutto il territorio sono numerosi gli alberi
monumentali tra cui quelli di Villa Quassa (esemplari eccezionali di osmanto e faggio pendulo su
tutti) e il platano di Napoleone sul lungolago di Ispra.
Dal punto di vista geologico i massi erratici (sul versante nord del Monte di Ispra – uno dei pochi
tratti di costa selvaggia del lago- e nella parte ranchese della Quassa) sono tipici e numerosi.
Tra l’altro si segnala che i due promontori rocciosi che delimitano il Golfo non hanno niente in
comune tra loro, originando il massiccio di Ispra circa 200 milioni di anni orsono ed essendo
costituito di Dolomia mentre il monte san Quirico, anticamente un vulcano, ha 400 milioni di anni
ed è costituito di Porfidi.
Interessante, in quel di Ispra, la fonte solforosa della Quassa. In tutta l’area del golfo è presente il
metano (che, nelle paludi di Angera, fu scoperto da Alessandro Volta).
Dal punto di vista storico i prati tra Quassa e Ispra sono stati teatro nel 1276 dell’epica battaglia tra
visconti e Torrioni. A San Martino residuano a pochi metri dal confine del parco i ruderi della
antica chiesa citata da Goffredo di Bussero nel 1250.
Celebre è poi , nel comune di Ispra,la settecentesca villa Quassa abitata anche da Cadorna con
esemplari botanici monumentali.
A Monzeglio, poco a sud di Ispra, vi è un antico oratorio dedicato a Santa Maria con pregiatissimi
affreschi cinquecenteschi
Superfluo poi parlare delle celebri fornaci, esempio genuino di archeologia industriale.
Sul monte di Ispra si trovano i ruderi del Castello di san Cristoforo e della Chiesa di san Crescenzio.
Mi sembra che i presupposti di una felice avventura ci siano tutti.
RANCO 18-11-2005-