conv. stelline - Biblioteche oggi
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conv. stelline - Biblioteche oggi
Osservatorio internazionale a cura di Carlo Revelli Il bibliotecario, oggi Alcuni anni or sono il dos- Biblioteche oggi – novembre 2010 biente sociale che intende servire: un’istituzione che consideri l’intera popolazione con le sue svariate necessità culturali o informative. Di qui i compiti del bibliotecario, al quale è richiesto di saper organizzare e gestire un servizio adeguato. È questa una condizione costante, da quando è riconosciuto il diritto per tutti e fino a quando si ammetterà come necessario un luogo in grado di soddisfare quel diritto. Entro questa necessità profonda si riconosce il mutare delle situazioni dovute alle trasformazioni culturali, sociali, tecniche destinate a modificare anche sensibilmente i compiti e le modalità del servizio e di conseguenza i requisiti professionali del bibliotecario. La lenta modificazione della società e l’applicazione di un diritto di uguaglianza sovente proclamato ma realizzato non senza difficoltà si riflette sulla La convenienza di seguire i cambiamenti per adeguare il profilo professionale del bibliotecario è dimostrata dalla sorte dell’opera Le métier du bibliothécaire, pubblicata dal Cercle de la librairie e promossa dall’Association des bibliothécaires de France, che nell’anno 2010 è giunta alla dodicesima edizione, completamente riveduta. Il suo curatore, Yves Alix, intervistato da Laurence Santanto- nios (“Livres hebdo”, 809, 19.2.2010, p. 26-27), riconosce come nei sette anni intercorsi dall’edizione precedente il mestiere sia cambiato. Egli considera l’accoglienza del pubblico più importante dei libri, ma ammette quanto sia difficile integrare in un’unità le molteplici attività del bibliotecario, molte delle quali tendono alla specializzazione. L’angoscia di chi teme la fine delle biblioteche si supera facendole funzionare bene oggi. Non è ormai immaginabile una biblioteca che non sia presente in internet, ma “pensare che il digitale, nella missione di accompagnare l’accesso al sapere, sia il carburante dell’attività significa porsi in anticipo rispetto al movimento generale”. Da parte francese è da ricordare anche l’intervento torinese (marzo 2007) di Anne Miller, del Centre national du livre, che accanto alla necessità di affrontare i cambiamenti aveva posto in evidenza il problema ampiamente diffuso di sostituire il personale anziano (il 43 per cento entro Foto Bruno Marchetti sier del “Bulletin des bibliothèques de France” dedicato alla professione di bibliotecario si apriva con un intervento di Anne Kupiec che si poneva la domanda sulla definizione della professione (Qu’est-ce qu’un(e) bibliothécaire?, 2003, 1, p. 5-9). Una domanda riformulata più volte, era la risposta, perché legata al mutare della definizione, dell’organizzazione, del pubblico della biblioteca, mentre con il variare delle funzioni variava anche, con la definizione, il percorso della formazione professionale. Nel Settecento la professionalità era confermata dall’abbondanza dei cataloghi a stampa, ci ricorda Emmanuelle Chapron (Bibliothèques italiennes au XVIII siècle, “Revue de la Bibliothèque nationale de France”, 2006, p. 86-90): il mestiere di bibliotecario si era laicizzato più lentamente di altri lavori intellettuali, tanto che i tre quarti dei bibliotecari erano ecclesiastici. Insomma, definire la professione non può che presupporre una definizione della biblioteca. Un cambiamento fisiologico inevitabilmente costante nell’una come nell’altra, pena l’invecchiamento di una professionalità o di un’istituzione quando risultino insufficienti a rispondere ad esigenze nuove, professionalità ed istituzione che pure presentano entrambe il permanere di un’esigenza profonda, che possiamo riconoscere nelle cinque brevissime leggi formulate da Ranganathan, leggi che individuano i presupposti sui quali si fonda un servizio bibliotecario che non ponga limiti o vincoli all’am- composizione sociale e sull’attività dei bibliotecari, per i quali il sesso, la razza e la provenienza non costituiscono più differenze significative, contrariamente a quanto avveniva un tempo. Darren Sweeper e Steven A. Smith (Assessing the impact of gender and race on earnings in the library science labor market, “College and research libraries”, March 2010, p. 171183) ammettono che “in un campo che è sproporzionatamente bianco e femminile, gli uomini e i membri dei gruppi minoritari non si trovano davanti a discriminazioni significative”. Biblioteca civica “Antonio Delfini”, Modena 57 57-61osserv REVELLI.qxd 17-11-2010 9:03 Pagina 58 Osservatorio internazionale il 2010): “le biblioteche accoglieranno sempre più una pluralità di usi, che necessitano di una pluralità di risposte”, con la conseguenza di rinnovare i criteri della formazione professionale: “i nuovi bibliotecari dovranno avere competenze in materia giuridico-amministrativa, sull’uso delle nuove tecnologie, gestionali, nella mediazione e creazione di comunità di scambio, per l’accompagnamento…”. L’intervento è stato pubblicato in “Biblioteche oggi” (Il ruolo del Centro nazionale del libro in Francia, Apr. 2008, p. 7-10). La previsione di cambiamenti notevoli in una società in rapida evoluzione si era sentita da tempo; già nel 2003 dai bibliotecari svizzeri era giunto l’avvertimento di JeanPhilippe Accart (Les défis de demain pour la profession, “Arbido”, 2003, 4, p. 15-16). D’altronde già intorno al 1970 si era avvertito che “l’educazione professionale tendeva a un’area più estesa di occupazioni”, come con riferimento particolare alla Danimarca ricorda Laura Stouvig (How to observe the librarian, “Library history”, Dec. 2008, p. 299-305). Ken Haycock e Brooke E. Sheldon hanno raccolto diciotto interventi sulla professione del bibliotecario nella pubblicazione The portable MLIS: insights from the experts (Westport, Conn., Libraries Unlimited, 2008), recensita da Jane Duffy in “College and research libraries” (March 2009, p. 196-198). L’associazione americana per le biblioteche universitarie e di ricerca ha pubblicato uno standard al fine di fissare e valutare le qualità richieste ai docenti di scuole per bibliotecari: aspetti amministrativi, conoscenza dei curricula e delle materie, capacità direttive, didattiche e di pianificazione degli studi (Stan- 58 dards for proficiencies for instruction librarians and coordinators. Approved by the ACRL board, June 24, 2007, “College and research libraries news”, Oct. 2007, p. 570-575). Anche da parte scandinava si ha conferma che le nuove competenze del bibliotecario si svolgono in più direzioni (ma di per sé questa non è una novità: la questione sta nello sviluppo preso dalle varie diramazioni e nella modificazione dei loro rapporti). Il primo numero 2008 di “Scandinavian public library journal” è dedicato alle nuove competenze del bibliotecario; tra i numerosi interventi ne notiamo due di Seppo Verho per la Finlandia, Library skills of the future (p. 7) e New library professions (p. 8-10), che evidenziano l’allargarsi degli interessi attraverso l’azione verso gruppi mirati, come gli anziani e i disabili: “Le nuove competenze portano gradualmente a nuovi servizi e a nuovi metodi di lavoro e si inseriscono nell’organizzazione. La cooperazione costituisce un capitale prezioso”. Cresce l’importanza delle informazioni a distanza, “la biblioteca che nessuno visita”, un’utenza invisibile. Curiosa nella sua praticità l’osservazione che se si lavora in linea non è necessario che l’ufficio abbia un bell’aspetto. Il rilievo più evidente assunto oggi nei riguardi della professione è certamente quello tecnologico, che presenta nei casi estremi il rischio di trascurare in profondità le ragioni per cui il bibliotecario esiste. Certamente la presenza del computer e di internet hanno segnato un punto di passaggio, una scelta di importanza essenziale; John N. Berry III ammette il senso di frustrazione da parte di chi ha incominciato a lavorare prima dell’avvento di Google (The Google divide, “Library journal”, Oct. 15, 2006, p. 10). Janie M. Mathews e Harold Pardue (The presence of IT skills sets in librarian position announcements, “College and research libraries”, May 2009, p. 250257) osservano come l’allargamento essenziale alla tecnologia dell’informazione ponga incertezze sull’identità della professione: “I bibliotecari si trovano davanti alla domanda su quali requisiti siano necessari per servire gli utenti”, se le tecniche tradizionali per organizzare e per rendere disponibili le informazioni siano ancora valide, e infine in quale misura essi debbano acquisire le capacità proprie per una professione. Brian Sinclair chiama “bibliotecario ibrido” il bibliotecario universitario, ma il termine sembra estensibile alle altre categorie professionali: alle cognizioni tradizionali si aggiungono la tecnologia dell’informazione e la capacità di insegnarla agli studenti (The blended librarian in the learning commons. New skills for the blended library, “College and research libraries news”, Oct. 2009, p. 509-507, 516). Un problema non nuovo è quello del rapporto tra la professione di bibliotecario e l’assunzione di una responsabilità direttiva. Secondo Jenny Rowley e Sue Roberts (The reluctant leader? Leadership and the information profession, “Library and information update”, July/Aug. 2008, p. 52-54) i bibliotecari professionali non sono i più indicati ad essere leader, anche se occorre distinguere tra management e leadership. Occorre saper sviluppare le qualità individuali e i rapporti con il servizio in tutto il per- sonale. L’Ispettorato francese delle biblioteche ha pubblicato un ampio rapporto sul profilo dei direttori delle biblioteche di ogni tipo, che sono risultati in leggera prevalenza donne (52 per cento), di classe agiata, con studi superiori classici, con tendenza moderata alla mobilità e scarsa formazione per le funzioni direttive (Laurence Santantonios, Directeurs, qui êtes-vous?, “Livres hebdo”, 800, 4.12.2009, p. 48). Anche il bibliotecario che assuma responsabilità amministrative, come sindaco o assessore, lascia perplesso Will Manley nella sua rubrica che chiude ogni numero di “American libraries” (Move over, Marian, June/July 2007, p. 152): “Come si può condurre una grande città con un retroterra da impiegato?”. Merita una lettura l’articolo di David-Jonathan Benrubi Enquête sur les consommations culturelles des bibliothécaires: effets du renouvellement générationnel (“Bulletin des bibliothèques de France”, 2009, 4, p. 6-16), che riguarda un’inchiesta sul tempo dedicato dai bibliotecari alle attività culturali (letture, televisione, cinema, Internet), che presenta sovente un forte consumo culturale con scarsa presenza della televisione, ridotta alla metà o meno dell’uso da parte della generalità dei francesi. Sono stati sacrificati dall’inchiesta la musica, la radio e i giornali, per la necessità di limitare il numero delle domande. È risultato un forte interesse per i classici e per la narrativa in tutte le età, a conferma che il ricambio generazionale non presenta forti differenze; tuttavia si nota un interesse assai maggiore per la politica e per la sociologia da parte degli ultracinquantenni (per la politica Biblioteche oggi – novembre 2010 57-61osserv REVELLI.qxd 13-11-2010 15:10 Pagina 59 Osservatorio internazionale si va dal dieci per cento di chi ha meno di venticinque anni al diciannove per chi ne ha meno di cinquanta). Si è registrato un minore interesse per la cultura scientifica, ma occorre dire che la maggior parte dei bibliotecari proviene da studi umanistici. Sulla partecipazione ai congressi da parte dei bibliotecari Robert D. Vega e Ruth S. Connell (Librarians’ attitudes toward conferences: a study, “College and research libraries”, Nov. 2007, p. 503-515) riferiscono che dai risultati di un’inchiesta le ragioni più frequenti per la presenza di un bibliotecario a un congresso riguardano i contatti umani più del contenuto della manifestazione: “Al mio ritorno ho sempre più entusiasmo ed energia per il lavoro”. Quanto poi all’aggiornamento professionale attraverso la letteratura specialistica, esso non sembra usuale neppure tra i bibliotecari americani, lascia comprendere Susan J. Beck (Reflections of a reference librarian, “Reference and user services quarterly”, Summer 2010, p. 305-309), il che costituisce una assai moderata soddisfazione per chi considerasse questo fenomeno come difetto locale. L’autrice inoltre esorta i colleghi a frequentare i congressi e a partecipare alle altre attività, anche a spese proprie, per estendere e per condividere le esperienze. Un’inchiesta dettagliata sull’aggiornamento attraverso la lettura professionale è auspicata per i francesi da Maurice Didelot e Murielle Claudon (Et si les bibliothécaires lisaient tout ce qu’elles/ils écrivent?, “Bulletin des bibliothèques de France”, 2009, 4, p. 35-49), che considerano l’interessante panorama della produzione francese, con un’offerta ricca e alquanto sparpagliata tra peBiblioteche oggi – novembre 2010 riodici (presentati in particolare a p. 46-47), monografie e rete, con un’apparente sovrabbondanza di offerta alla cui produzione partecipa una minoranza dei bibliotecari. Anche le critiche e i dibattiti sono scarsi. La partecipazione alla vita associativa ha anch’essa molta importanza. John N. Berry III lamenta una forte diminuzione della partecipazione: in particolare è difficile trovare persone disponibili per le cariche elettive e per un lavoro attivo all’interno dell’associazione (Democracy in ALA, “Library journal”, Dec. 2006, p. 10). L’American Library Association comunque conta 66.000 iscritti, 2.000 impiegati e un bilancio di 50 milioni di dollari. Come curiosità, ricordiamo che secondo il nuovo statuto l’associazione francese ha cambiato il proprio nome da Association des bibliothécaires français in Association des bibliothécaires de France (dall’editoriale di Gilles Eboli, direttore di “Bibliothèque(s), oct. 2005): cambiamento ben comprensibile che elimina il fumo nazionalistico del nome precedente. Marian Koren (Associations professionnelles et coopération européenne, “Bulletin des bibliothèques de France”, 2008, 1, p. 25-33) considera l’importanza delle associazioni di bibliotecari per attenuare le enormi disparità tra le biblioteche (“l’Europa delle biblioteche è ancora nel limbo”) mediante la cooperazione e il coordinamento a livello internazionale, anche con programmi che sensibilizzino l’azione delle biblioteche: utilissimi gli scambi professionali internazionali. Essenziali su questi punti sono i compiti dell’IFLA. L’autrice ritiene che non ci sia più ragione di distinguere le biblioteche universitarie da quelle pubbli- Zazie dans le métro A Le Havre, dove è nato Raymond Queneau, l’autore di Zazie dans le métro, si sono festeggiati i cinquant’anni del libro. Il programma ampio e diversificato, che si è svolto dal 15 settembre 2009 al 9 gennaio 2010, comprendeva laboratori, proiezioni di film, conferenze e la presentazione di nuove illustrazioni, oltre all’esposizione dei manoscritti e dei documenti conservati nella biblioteca comunale. È disponibile il blog: <www.ville-leha vre.fr/zazie blog> (“Bibliothèque(s)”, Oct. 2009, p. 7). The best small library in America La Bill and Melinda Gates Foundation offre ogni anno un premio di 15.000 dollari per la migliore piccola biblioteca americana (in cittadine con meno di 25.000 abitanti). Alla biblioteca vincitrice sono offerti un invito e l’ospitalità per due persone al successivo congresso della Public Library Association (“Library journal”, feb. 2009). Per il 2010 ha vinto la Glen Carbon Centennial Library, la cui immagine campeggia sulla copertina di “Library journal” del febbraio 2010. E se si consulta il sito della biblioteca si rimarrà impressionati dall’attività di quella biblioteca, la cui comunità non conta che 12.000 abitanti. Undici milioni Con la traduzione inglese del ciceroniano Cato maior, pubblicata da Benjamin Franklin a Filadelfia nel 1744, la Biblioteca universitaria dell’Illinois ha raggiunto gli undici milioni di volumi; l’acquisto della preziosa edizione è dovuto al dono di due alunni dell’università. Per festeggiare l’avvenimento era presente lo stesso Franklin (per lo meno, come personaggio in costume). (“College and research libraries news”, nov. 2009, p. 562). Un confronto Nel 1998 i cittadini di Seattle approvarono un piano di 196,4 milioni di dollari per una biblioteca centrale nuova, quattro nuove succursali e diciannove ristrutturazioni; agli stanziamenti si aggiunsero poi fondi pubblici e privati per altri cento milioni. Il programma è stato completato (la biblioteca centrale è stata aperta nel 2004) entro il tempo previsto e il 13 settembre 2008 l’evento è stato celebrato. I prestiti risultano aumentati del 94 per cento, le frequenze del 158, le presenze alle attività del 153 (“Library journal”, Oct. 1, 2008, p. 18). Non tutti i mali… La Grande Peste di Londra (1665), che uccise da 75.000 a 100.000 persone, fu occasione di un’epidemia di materiale a stampa a diffusione vasta quanto immediata, ben più di altre occasioni precedenti. Il contemporaneo William Austin considerò l’importanza della stampa in un poema epico pubblicato a Londra nel 1666 (Kathleen Miller, Writing the plague: William Austin’s Epiloimia Epe, or, The Anatomy of the Pestilence and the crisis of early modern representation, “Library and information history”, March 2010, p. 3-17). 59 57-61osserv REVELLI.qxd 17-11-2010 8:29 Pagina 60 Osservatorio internazionale che, in quanto tutti accedono ai servizi in linea “e non si capirebbe il condizionamento di questo accesso da parte delle distinzioni gerarchiche tradizionali o concettuali tra bibliotecari”. Un’opinione condivisa da molti ma non accettata da tutti. A proposito dell’interesse dei bibliotecari per il proprio lavoro, la direttrice di “Library and information update”, Elspeth Hyams, ha intervistato Biddy Fisher, presidente del CILIP, l’associazione inglese che riunisce con i bibliotecari i professionisti nel campo dell’informazione. Per Fisher l’interesse per la propria professione è una “cosa meravigliosa”: una professione tutt’altro che rosea e non priva di dubbi, ma egli ci crede. Occorre procedere con tranquillità ed efficienza, senza cercare le luci della ribal- 60 ta – una raccomandazione quest’ultima ripetuta da molti (né si dimentichi Ranganathan: Le cinque leggi della biblioteconomia, Firenze, Le lettere, 2010, p. 66). Ci dev’essere più dialogo con il pubblico, impegnando in questo la prossima generazione, “educando i lettori a riconoscere che non ricevono sempre tutte le informazioni di cui hanno bisogno, o quella giusta o la migliore” (Professionalism: the pride and the passion, Jan./Feb. 2010, p. 34-36). Giorgio Busetto ha ricordato la figura di Giorgio Emanuele Ferrari, direttore della Biblioteca nazionale Marciana, un bibliotecario profondamente erudito che privilegiava l’interesse per il servizio e per il pubblico rispetto ai regolamenti e agli stessi documenti (Giorgio Emanuele Ferrari maestro. Ricordo a dieci an- ni dalla morte, “Bibliofilìa”, 2009, 2, p. 179-184). Sally Earney e Ana Martins (Job rotation at Cardiff University library service: a pilot study, “Journal of library and information science”, Dec. 2009, p. 213-226) raccomanda la rotazione del personale, positiva sia per la motivazione professionale che per l’apprendimento. Vorrei aggiungere che questa raccomandazione, considerata necessaria da molti, non è sempre bene accolta dagli interessati; il favore con cui viene accettata può essere significativo dell’interesse professionale, per la possibilità di ampliare la propria esperienza. Ed in questa attività ognuno avrà l’esperienza essenziale del rapporto con il pubblico. “A volte dimentichiamo che il nostro lavoro più importante è servire la gente”, ha scritto un letto- re del “Library journal” alla rivista (Nov. 15, 2009, p. 10). Il romanziere irlandese Colum McCann nel corso di un’intervista concessa a “Livres hebdo” ricorda i suoi frequenti rapporti con le biblioteche e con i bibliotecari: “Ci sono due eroi dei quali la letteratura contemporanea non tesse mai le lodi: i traduttori e i bibliotecari. Per quanto riguarda questi ultimi, li considero come i guardiani del tempio… Adoro quando gli occhi del bibliotecario si illuminano di fronte alla ricerca di opere su un argomento oscuro” (697, 6.7.2007, p. 70-72). Un riconoscimento che ha faticato a farsi strada: già alla fine dell’Ottocento Guido Biagi lo ammetteva “nel sottolineare il danno derivante dalla costante negazione che il bibliotecariato sia una professione, e che come qua- Biblioteche oggi – novembre 2010 57-61osserv REVELLI.qxd 17-11-2010 8:33 Pagina 61 Osservatorio internazionale lunque professione richieda una preparazione particolare” (Giuseppina Monaco, Le riviste delle biblioteche. Contributi (1867-1923) (II), “Nuovi Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari”, 2007, p. 131-139). Ed ancora di recente Philippe Hoch notava come “la mancanza evidente di riconoscimento, in termini di carriera e di promozione, costituisca un freno a questo tipo di investimento”, cioè alla pubblicazione (Les bibliothèques éditrices, in Les bibliothèques dans la chaîne du livre, sous la direction d’Emmanuèle Payen, Paris, Cercle de la librairie, 2004, p. 209-232). Un confronto analogo ci può riportare all’idea corrente “di insegnante come impiegato dello stato”, non accettato “come professionista della cultura”: è un’ammissione di Tullio De Mauro in un’intervista a “LiBeR” (Insegnanti, professionisti della cultura, apr./giu. 2008, p. 52). In un’intervista rilasciata a “Livres hebdo” François Larbre nell’abbandonare la direzione della Biblioteca municipale di Marsiglia in seguito a divergenze amministrative e sindacali, avverte il contrasto tra “chi considera che i bibliotecari hanno terminato il proprio lavoro quando hanno formato delle raccolte e sistemate le scaffalature, e altri che ritengono che solo allora incominci il lavoro”. Le attese del pubblico entrano in conflitto con le Biblioteche oggi – novembre 2010 posizioni politiche e sindacali – e ritroviamo un riferimento, peraltro non nuovo, all’ambiguità di assegnare un conservatore (statale) a capo di una biblioteca municipale (“Livres hebdo”, 698, 24.8.2007, p. 96-97). Su questo tema è intervenuta poco più tardi nello stesso periodico Laurence Santantonios, che ricorda come i conservateurs fin dal 1931 siano a disposizione delle biblioteche municipali più importanti (classées) e che siano messi in discussione da tempo, anche per il trattamento molto diversificato (Les conservateurs d’État revus à la baisse, “Livres hebdo”, 724, 7.3.2008, p. 79). Sembra far eco alle osservazioni sconsolate di Larbre un editoriale di Susanne Riedel (Was ist unsere Arbeit wert?, “BuB”, 2010, 1, p. 4), che avverte come a detta dei politici le biblioteche siano istituzioni irrinunciabili, ma che nella pratica le cose vadano in modo assai diverso. E oggi “la nostra nobile professione” può contare su quanto riesce a salvare, quando lo stesso nome di biblioteca è messo in discussione, riconosce Will Manley (Balancing the books, “American libraries”, May 2009, p. 64), quando una scuola di biblioteconomia diventa “dipartimento di studi sull’informazione” e una biblioteca diventa “centro di informazioni”: “Perché, in nome del cielo, dovremmo abban- donare un nome [brand] che ci serve così bene da secoli? … Abbiamo paura di essere considerati fuori moda in un mondo che cambia rapidamente?”. Nel congresso 2007 dell’American Library Association è stato approvato uno standard per la posizione dei bibliotecari universitari, che ne considera le responsabilità professionali, ma anche i diritti all’interno dell’amministrazione (Standards for faculty status for college and university librarians, “College and research libraries news”, Sept. 2007, p. 50). In compenso si è arrivati alla biblioteca senza bibliotecario. Accanto a un esempio realizzato a Singapore (Aline Girard-Billon, Les robots de Singapour, “Livres hebdo”, 585, 24.1.2005, p. 60-62), notiamo il caso della Svezia, dove una discussione a questo proposito, iniziata alla Biblioteca civica di Lund, si è estesa all’intero paese (Armi Bernstein, Eine Bibliothek funktionniert auch ohne BibliothekarInnen!, “BuB”, 2009, 4, p. 220-221). Il sistema di Lund (76.000 abitanti, 40.500 lettori attivi, 600.000 media) consiste in una biblioteca centrale, undici decentrate e un bibliobus con quaranta punti di fermata. Ma “gli umani lavorano meglio”, come ci ricorda il solito John N. Berry III in un editoriale (Humans do a better job, “Library journal”, Apr. 1, 2006, p. 10), per via del rapporto diretto con il pubblico e per la facoltà di selezionare il materiale e di scegliere tra le risposte. Il servizio autonomo tuttavia è sempre più diffuso (“Self-service is essential for the future”), dai grandi magazzini al rifornimento di benzina ai servizi bancari, ci ricorda Beth Dempsey (Do-it-yourself libraries, “Library journal”, July 2010, p. 24-28), e le biblioteche non potevano non essere coinvolte. Né, tra i “professionisti dell’informazione”, sono da ignorare i documentalisti, ci ricorda Sophie Ranjard (Professionnels de l’information-documentation, qui êtes-vous?, “Documentaliste – Science de l’information”, 2006, 1, p. 14-26) in compagnia di altri interventi sullo stesso tema. Dalle oltre tremila risposte ad un’ampia inchiesta (periodica) è risultato che il 42 per cento dei professionisti dell’informazione ha meno di 35 anni, l’81 per cento ha un diploma specialistico, il 94 per cento ha un posto di lavoro ed i bibliotecari sono solo il 13 per cento. Lo stipendio medio è inferiore a 30.000 euro. La distinzione tipologica si riflette anche sulla professione, se Brian Kenney in un editoriale dello “School library journal” (The great divide, May 2010, p. 9) sostiene che i ricercatori universitari dovrebbero collaborare con i bibliotecari delle biblioteche pubbliche per migliorarne i programmi e le attività. 61