Stampa uscita - La scuola possibile

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Stampa uscita - La scuola possibile
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Editoriali
Area tematica
Rosci Manuela
Autore
L'anno che verrà?
Titolo
1
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L'intervista
Rosci Manuela
Un 'Nobel' per la rivincita di tutti noi della scuola
1
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Orizzonte scuola
Ruggiero Patrizia
RAV e Certificazione di competenze
1
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Formazione
Rosci Manuela
La formazione dei docenti per promuovere la costruzione delle competenze
1
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Inclusione Scolastica
D'Agosta Luciana
Psicoterapia con le persone sorde. Metodo e casi clinici
1
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Intercultura
Bono Liliana
Educazione alla non paura, alla non diffidenza, alla non ostilità
1
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Inclusione Scolastica
Elisei Enrico
Laboratorio metamusicale sull'apprendimento
1
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Intercultura
Miduri Maria Chiara
Accordare il mondo
1
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Inclusione Scolastica
Pellegrino Marco
I "SEGNI" NEL CASSETTO (il bi-sogno è un sogno doppio)
1
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Orizzonte scuola
Riccardi Barbara
Ho incontrato il Ministro dell'Istruzione Giannini
1
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L'intervista
Riccardi Barbara
Il faccia a faccia con la Dott.ssa Daniela Lucangeli
1
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Orizzonte scuola
Presutti Serenella
A proposito di Valutazione
2
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Orizzonte scuola
Melchiorre Simonetta
Il ruolo del pensiero nel benessere emotivo
2
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Orizzonte scuola
Pellizzaro Francesca
Identita' di genere e Teoria del Gender
2
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Orizzonte scuola
Laporta Antonia
Il contatto vuoto e l'eclissi della relazione
2
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Didattica Laboratoriale
Ansuini Cristina
Momenti di narrazione
3
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Didattica Laboratoriale
Ventre Angela
Apprendere dal fare
3
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Qui inizia l'area delle pagine Area delle Pagine:
Pagina n°1 - Area tematica
Area degli articoli della pagina Articolo tratto dal numero n.58 dicembre 2015 de http://www.inviato-speciale.it
L'anno che verrà?
Altri traguardi da condividere e successi da concretizzare
Editoriali - di Rosci Manuela
La conclusione di un anno (solare) è spesso fonte di riflessione sul "cosa si è fatto" e su cosa "non si è fatto", sul cosa ci auguriamo "di poter fare", quali possibilità ci offrirà
l'anno che verrà.
...
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
porterà una trasformazione
e tutti quanti stiamo già aspettando
sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,
ogni Cristo scenderà dalla croce
anche gli uccelli faranno ritorno.
...
L'anno che sta arrivando tra un anno passerà
io mi sto preparando è questa la novità
(Lucio Dalla)
Sebbene ogni anno "passerà", ognuno sarà ricordato per qualcosa di particolare, e il nuovo sarà accolto con nuova speranza.
Il 2015 per noi sarà l'anno dei TRAGUARDI, il 2016 l'anno dei SUCCESSI.
Parto dal più eclatante, dal più mediatico e (possiamo dirlo)inaspettato dei traguardi: la candidatura della 'nostra possibile' Barbara Riccardi tra i cinquanta finalisti al
Global Teacher Prize della Fondazione Varkey Gems, presentato come 'il Nobel per gli insegnanti' . I finalisti sono stati scelti tra più di 8 mila candidati che, di fatto,
testimoniano la salute della scuola, la produttività, la creatività e l'imprenditorialità docente (necessaria, visto che si tratta di una delle competenze che dobbiamo sviluppare
nei nostri alunni!). Nell'intervista che Barbara ha rilasciato per tutti noi possibili, traspare il simbolo che oggi lei rappresenta: l'essere docente di qualità, capace di interpretare
la propria professione al di là della staticità di cui la scuola viene accusata, al di là dell'aula, a testimonianza che la chiusura attribuita alla scuola è una generalizzata visione
che non corrisponde alla realtà. Non voglio negare quote di ridotta visione progettuale da parte di alcuni docenti, ma la vivacità che anima molte classi (se non tutta la scuola
intera) spesso è negata, quasi scomoda dimostrazione di efficacia ed efficienza educativa e formativa. La candidatura di una docente 'possibile' - Barbara Riccardi- significa
che aumenteranno le probabilità che più docenti si dichiareranno capaci di fare una scuola 'buona' ogni giorno. Grazie a Barbara per la sua tenacia nel guardare oltre le
difficoltà e credere al di là dei parziali insuccessi (leggete l'intervista): il traguardo è stato raggiunto, per il successo -marzo 2016 la proclamazione del vincitore/vincitrice- ...
dobbiamo attrezzarci!
Comunque dobbiamo festeggiare con tutti i docenti che, come noi, credono che insegnare bene sia 'possibile'. Proveremo ad organizzarci perché le testimonianze di
coloro che dimostrano di essere, come Barbara, 'docenti possibili' sono tanti, sparsi in tutte le scuole del Regno, a volte incompresi, a volte invidiati, imitati da coloro che non
temono il confronto.
Sulle nostre pagine, tante testimonianze sono state lasciate da quel lontano dicembre 2007, quando siamo andati in linea per la prima volta. Non me ne voglia nessuno se
dimenticherò i tanti che hanno reso ognuno di noi più consapevole del nostro lavoro, arricchiti del contributo di quanto raccontato, con linguaggio semplice, come un dono
che parte dal cuore, senza indugio, senza paura di essere 'copiati'. Sono gli stessi che ancora oggi si gettano nelle nuove sfide che la scuola pone perché "La sfida è
cercare di coglierne il valore trasformativo - innovativo senza correre il rischio di appesantire e immobilizzare, capirne la direzione e nello stesso tempo indirizzare in una via
utile e percorribile, mantenere lucidità, nella corsa burocratica, per dare significato e valore a quello che facciamo. Incidere poco alla volta ma in profondità per evitare di
confezionare un bel pacco senza cambiare la sostanza" (Patrizia Ruggiero, in questo numero con "Rav e certificazione di competenze"). E chi ritiene che "dovremmo
invece interrogarci su cosa riteniamo davvero importante per le Scuole italiane, per la crescita e lo sviluppo dei nostri alunni, per la crescita professionale dei nostri Docenti e
di tutti noi che ci viviamo e lavoriamo tutti i giorni. Non credo però che questi importanti processi di crescita possano essere affrontati tutti insieme e come d'incanto essere
risolti nel migliore dei modi " (Serenella Presutti, "A proposito di valutazione").
Fondamentale è sempre l'apporto di chi crede che "non è ciò che ci accade, le avversità e le difficoltà, a determinare la risposta emotiva, quanto i pensieri che noi agiamo di
fronte all'evento, come ce lo raccontiamo. E' possibile, educando il pensiero, insegnare come superare le emozioni dannose e vivere emozioni positive. (..) Un insegnante
può lavorare sul pensiero, sulla capacità narrativa, sul racconto di sé e della realtà per favorire lo sviluppo armonico dei suoi alunni. (Simonetta Melchiorre, "Il ruolo del
pensiero nel benessere emotivo"). La capacità di crescere e migliorarsi è dare sempre più valore a ciò che fai perché "Alla base della Scuola dell'autonomia, delle
competenze, dell'apprendimento cooperativo e della didattica inclusiva c'è la "Pedagogia della Speranza" (...) Paulo Freire, uno dei pedagogisti contemporanei più
importanti, influenza ancora con il suo pensiero le pratiche educative odierne e fa riflettere su concetti-guida che dovrebbero illuminare il cammino di educatori ed educandi:
la necessità di un protagonismo civile di tutti, la lotta per la tutela dei diritti umani e il valore dell'educazione come strumento di "liberazione". (..) (uno) strumento può divenire
parte essenziale in un processo educativo che mira a liberare l'alunno. A quest'ultimo non si può togliere la SPERANZA di RIUSCIRE, ossia di raggiungere un risultato con
autonomia e di ottenere un successo indipendentemente da tutto e da tutti". (Marco Pellegrino, "I 'SEGNI' NEl CASSETTO. Il sogno è un bi-sogno doppio.").
A Cristina Ansuini il merito, come sempre, di accendere i riflettori su momenti intensi di vita scolastica perché "Sarà un modo per riprendersi degli spazi e dei tempi di
qualità, che miglioreranno non solo la modalità di ascolto, la comunicazione e la relazionalità, ma faciliteranno trasversalmente tutti gli apprendimenti, rendendo familiare la
capacità di riflettere e di concentrarsi. ("Momenti di narrazione")
Un grazie anche alle 'assenti' (su questo numero)che condividono il nostro pensiero sempre: Antonia Melchiore e Marianna Traversetti.
E poi i nuovi contributi , di chi crede come noi, in un mondo possibile, accordato: " La chitarra è una metafora della comunicazione umana, dell'incontro. Anche le persone si
accordano una a una e per intendersi devono trovarsi su una stessa frequenza pur avendo idee diverse, come le corde. (..) L'intercultura è come un gruppo musicale
informale nel quale ciascuno deve fare la sua parte, con il suo strumento, per unirsi ad un unico ritmo da seguire, condiviso, ma mantenendo la peculiarità dello strumento
che suona e del suo specifico e riconoscibile contributo all'ensamble." (Maria Chiara Miduri, "Accordare il mondo"). Chi propone strategie per superare le difficoltà di
apprendere: "Innanzitutto l'importanza dell'emozione positiva nell'apprendimento, dell'utilizzo di chiavi atte ad accendere la passione dello studente per innescare un
cortocircuito positivo capace di migliorare il suo approccio allo studio. Questa è una di quella cose che la musica ha il potere di fare" (Enrico Elisei, "Laboratorio
metamusicale sull'apprendimento"). E poi i contributi di Francesca Pellizzaro e Angela Ventre (da leggere, su questo numero).
Prendo a prestito quello che l'amica Luciana D'Agosta scrive a proposito del libro "Psicoterapia con le persone sorde" che presenta : "Dalla consapevolezza della
limitatezza del modo di pensare e di comunicare degli "esperti della sordità", nasce il desiderio di essere davvero utile.. Conseguenza inevitabile... è stata la ricerca di
strumenti comunicativi idonei, aldilà di ideologie e pregiudizi. Una ricerca umana oltre che professionale..." Sento che lo sforzo che abbiamo fatto in questi anni - insieme a
Maurizio Scarabotti- è stato quello della ricerca, umana e professionale, di essere 'utili' al mondo della scuola: di strumenti comunicativi idonei a raggiungere le persone
che come noi, credono nella Scuola; di strumenti che possano aiutare e sostenere la professione docente; di proposte di formazione adeguate ai bisogni veri delle persone
di scuola.
Per questo festeggiamo i 10 anni di Sysform, Promozione di sistemi formativi con il riconoscimento ottenuto come Ente di formazione accreditato (traguardo
2015) e la collaborazione con la casa editrice Giunti Scuola, leader nel supporto culturale alle scuole da gennaio (successo 2016).
E come afferma Liliana Bono: "Come non lavorare alla Pace, in questi tempi difficili e complicati? .. Credo che la scuola possa essere un veicolo di civiltà, una piccola guida
verso un mondo di collaborazione e di serenità. Io credo che debba esserlo, specie adesso "(su questo numero, "Educazione alla non paura, alla non diffidenza, alla non
ostilità").
Un augurio di Pace per tutti
Manuela Rosci
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Un 'Nobel' per la rivincita di tutti noi della scuola
Il Global Teacher Prize
L'intervista - di Rosci Manuela
Non abbiamo avuto alcun dubbio su chi intervistare questo mese: la docente che ha conquistato
il posto tra i cinquanta finalisti al Global Teacher Prize della Fondazione Varkey Gems. Una
donna che si è trovata all'improvviso con una esplosiva notorietà, richiesta e intervistata dai
maggiori media. Ebbene, non possiamo tacere una particolare soddisfazione, un senso di mal
celata euforia per questa candidatura arrivata 'in casa nostra', tra noi 'possibili'. Infatti la
candidata unica finalista italiana è Barbara Riccardi, proprio lei, solita a trovare le interviste più
interessanti per la nostra rivista.
Oggi invece tocca a lei rispondere alle domande del Direttore responsabile della sua rivista.
Come ti è venuto in mente di candidarti, non ci avevi detto nulla! Volevi stupire tutti noi
della Redazione e tutti i lettori preparandoci questa bella sorpresa natalizia?
L'iniziativa avviata dai ragazzi dell'Istituto "Galilei - Costa" capitanati dal Prof. Daniele Manni
aveva già catturato la mia attenzione lo scorso anno. Il Prof. Manni è proprio il Manni che alla I
Edizione del Global Teacher Prize si è qualificato, insieme all'altra italiana Daniela Boscolo tra i
50 finalisti. Dopo aver sentito e letto le loro interviste e presa consapevolezza di poter mettere a
disposizione di altri docenti le mie esperienze nel corso della mia carriera personale e
professionale, e avendo chiare le mie capacità creative, il mio primo step è stato quello di
raccontare la mia storia di chi sono e come faccio scuola iscrivendomi al loro sito "Master Prof".
Penso che proprio da "qui" sia partita la mia candidatura e per questo non finirò mai di
ringraziare e molto di più. E' stata l'occasione per "incontrare" sulla piattaforma del Prof. Manni altri docenti che, come lui e come noi de "La Scuola Possibile", sono fucine di
didattica innovativa, ugualmente affrontano la nostra professione con spirito autoimprenditoriale creativo. "Master Prof" è un luogo web dove poter valorizzare la professione
docente, sia dell'essere che del fare, un'opportunità da cogliere al volo per riprendendoci la giusta nostra posizione nel mondo, come persone che praticano un lavoro tra i
più belli ed importanti, dall'alto valore sociale ed umano, in quanto tutto quello che riusciamo a "passare" di qualità, andrà ad incidere sulla formazione di quelli che saranno
gli adulti di domani, sui quali poter contare per migliorare il nostro sistema di vita attuale, nel rispetto della diversità, dell'inclusione e nella valorizzazione delle differenze ad
ogni livello.
Sono certa condividerai che questa tua improvvisa notorietà (non perché tu già non lo fossi, ma non così, vero?) offre una occasione in più per confermare la
tipologia del docente chiamato oggi a fare scuola, quel docente 'possibile' che cerchiamo ormai da anni di raccontare con la nostra rivista. Provi a
descriverti/descrivere cosa fai o dovrebbe fare il docente oggi in classe? Come potrebbe affrontare meglio il suo lavoro?
E' sempre molto imbarazzante parlare di me, non mi piace comparire, anche perché dietro ogni successo, ogni azione, c'è un lavoro di team, di sinergie e di condivisione
che, anche in questo caso, è stato possibile realizzare con i miei colleghi. Il mio passepartout è insegnare giocando, pensando a me da bambina e da alunna, e come evitare
di annoiare me e loro, per questo invento modi e modalità per approcciare la didattica in modo creativo, ricercando "formule magiche" che siano accattivanti per attrarre la
loro attenzione verso l'apprendimento, un lavoro di ricerca e sperimentazione continua. Porto le cose che mi appassionano dentro scuola, il vissuto reale a disposizione dei
ragazzi che possono brevettarsi e brevettare a loro volta forme adeguate al loro modo di apprendere. Tutti noi docenti possibili - quelli che pensano "Si può fare"- dovremmo
mantenere sempre alto il fuoco vivo della voglia di imparare, la forza di proseguire il cammino di aggiornamento personale e professionale per stare al passo con i tempi e
non rimanere arretrati rispetto ai ragazzi che oggi poi sono multitasking e sono molto più smart nell'apprendere attraverso linguaggi più multimediali e tecnologici, con
linguaggi riconosciuti da sempre universali ed inclusivi. Ritengo comunque LA FORMAZIONE LA CHIAVE PER LA CRESCITA a tutti i livelli, il sistema per rimanere giovani
didatticamente parlando.
E' possibile che questa improvvisa salita alla ribalta possa costarti qualche saluto in meno da parte di colleghi o amici che potrebbero pensare 'che cosa ha lei
più di me?' Certamente questo non ti sarà capitato, ma cosa ti sentiresti di dire in proposito?
Da molto tempo, e sempre più prepotentemente, nutro l'interesse ed il desiderio di poter creare un movimento culturale fatto di tutte quelle persone che in ogni campo e ad
ogni livello, sono speciali perché animatrici e rianimatrici del virus della possibilità nel quotidiano nostro fare ed essere. La mia palese capacità di tessere relazioni e creare
giochi di reti di scambio mi ha permesso di osare, di provare a vedere cosa accade se con tutta me stessa investivo per realizzare questa audace manovra di
compattamento e unione, per poter essere in tanti -perché sappiamo bene che siamo in tanti- e iniziare così a dare voce alle cose belle che si fanno nelle nostre scuole, per
rispondere alle lagne e lagnanze in modo chiaro e deciso. La mia nomination è la risposta che le cose possono accadere, ci credo da sempre, come credo nell'arte
dell'incontro, che nulla avviene per caso e credo che la forza del pensiero positivo possa davvero produrre il materializzarsi di ciò che è stato pensato con desiderio, un
desiderio prorompente. Come quando vuoi trovare parcheggio, lo pensi così forte che poi avviene, a me capitata proprio così. E' un allenamento costante quello di vedere il
bicchiere sempre mezzo pieno, perché è più semplice cadere nella botola della lagnanza, dove è difficile trovare soluzioni, dove è tutto complicato da attuare, ma giorno
dopo giorno la forza e la costanza diventano alleate dell'essere positivo e propositivo, e poi viene tutto naturale, divenendo uno stato di vita. Un po' è successo con questo
concorso, tutti voi della redazione conoscete bene la mia intenzione di far emergere non le mie, non le vostre, ma le nostre competenze e diffonderle agli altri attraverso
corsi di formazione mirati per CREARE UN FRANCHISING NEL MONDO DI SCUOLE POSSIBILI. Come in tutte le cose, ci sono le belle e le cattive situazioni che ne
derivano, la mia risposta al pensiero "Perché proprio a te?" che viene a chi si ferma solo all'apparenza è: non ho nulla di più o di meno rispetto agli altri docenti, forse solo la
voglia di far emergere e di valorizzare quel che faccio e in cui credo per stile e modalità, e andare oltre le quattro pareti dalla mia aula, aprire le finestre e far entrare aria
nuova e pura, osando nel puntare lo sguardo su nuove ed ammiccanti opportunità. Vorrei che con me e attraverso questa mia candidatura uscissero dall'oscurità tutte le
persone che come me sollecitano e realizzano proposte di crescita fantastiche e 'bilaterali', per piccoli e grandi parallelamente. E aggiungo: ma voi avete provato a
candidarvi? Ecco, dal mio successo si può trarne la forza giusta e il giusto esempio per spronare a provare e tentare per il prossimo anno; di questo ne sono sicura, molti
seguiranno questa onda perché sono testimone del fatto che può accadere a tutti, perché sono una persona comune come tante altre, una che si può incontrare
tranquillamente al bar la mattina o che fa la spesa sotto casa. Importante è credere che può accadere e prendere consapevolezza di quanto si vale e quanto vale il nostro
sistema di fare scuola e palesarlo al mondo. Al mancato saluto di alcuni tra colleghi e conoscenti, penso che forse sarà il tempo a mettere rimedio, che aiuterà sia me che gli
altri a metabolizzare meglio. L'idea che questa non è solo la mia vittoria, ma rappresenta l'occasione, fornita dal Global Teacher Prize, di una vittoria unitaria, di tutti noi del
mondo della scuola e non solo, di tutti noi italiani che finalmente siamo orgogliosi del valore della nostra Nazione che si adopera nel fare formazione di qualità a tutti i livelli,
che si occupa di educare con passione e nel modo migliore, il migliore e perfettibile di cui vantarsi: andiamo avanti, la storia insegna!!
Tu sei l'emblema dell'insegnante che non lavora solo in classe ma intesse rapporti con il territorio e con l'esterno, anche con l'estero. Anche nel lavoro di
Redazione della rivista e nella nostra Associazione Sysform il tuo apporto vulcanico ha permesso di intraprendere iniziative molto interessanti. Perché non parli
del tuo essere insegnante a tutto tondo?
Gioco, tecnologia e ricerca, esempio il "TGScuola", strumento che aiuta i ragazzi a sperimentarsi e sperimentare le proprie capacità e poi essere in grado di metterle a frutto
di tutto il gruppo classe, per uno studio orientato ad una crescita a tutto campo. Si impara divertendosi. Questo è il primo indicatore: se i bambini vengono a scuola felici,
allora il successo didattico/formativo è possibile. Il TGScuola è composto da tutti, dal microfonista, dal regista, dal giornalista, dall'inviato speciale, ognuno nel rispetto del
proprio ruolo e di cosa gli piace fare per contribuire al successo di gruppo inclusivo del "programma"!! I risultati li vedo oggi:i miei ragazzi dello scorso ciclo hanno ottimi
risultati nella scuola media per prontezza e dimestichezza in tutte le materie, abili nello studiare con disinvoltura attraverso anche l'utilizzo dei mezzi informatici, audaci, con
in mano la capacità di valutare/valutarsi e intraprendere autonomamente percorsi diversi a seconda delle situazioni. Altro valore aggiunto, la capacità di infondere in loro una
capacità di pensieri aperti, logici e creativi, stimolando all'ironia che per me rappresenta una delle forme di intelligenza tra le più evolute per rapidità di soluzione nel
riconoscere le sfumature logiche di frasi e contenuti per dare risposte.
Renderli autonomi, consapevoli e critici nei confronti di sistemi e letture e sicuri di loro nell'affrontare il nuovo nelle situazioni in divenire, come può essere appunto un
progetto in gemellaggio con un altro paese, dove il confronto è costruttivo, nel passaggio delle Buone Pratiche per percorsi di crescita che sostengono i ragazzi nel
sapersela cavare in ogni situazione. Questo è quello che reputo una didattica arricchente, positiva e reattiva, fatta di continua ricerca e sperimentazione nell'adottare sistemi
di apprendimento efficaci, per essere efficienti nel raggiungere ognuno i propri obiettivi di vita. Investire nella cultura e nella formazione, è investire nel futuro in una forma più
ampia per uno sviluppo sociale e del capitale umano, per realizzare comunità europee sempre più allargate ed inclusive dove ognuno può dare il proprio contributo.
Per ultimo, anche se tutti ti hanno già fatto questa domanda, non puoi negarci le tue vere intenzioni 'imprenditoriali': se dovessi vincere, cosa farai, come
investirai il tuo tesoro?
Sorprendere la mia mamma portandola in vacanza, è tanto merito suo se sono così; eliminare gli incubi di pagamenti e scadenza; la priorità di appagamento puro è quello di
creare degli ambienti no esclusivi ma inclusivi, dei luoghi e delle Scuole Possibili di incontro culturale dove poter mettere in campo abilità e competenze a tutti i livelli nel
mondo attraverso il motto "Si può fare".
Organizzare dei corsi di formazione ad hoc per ogni situazione ed interventi mirati a realizzare se stessi nel proprio habitat educativo. Dove poter lavorare attraverso la
progettualità per far crescere ed accrescere spiriti creativi e solari.
La mia vittoria per una giusta visione di me, di noi docenti, della nostra scuola e della nostra Italia battagliera, che non si arrende ma con forza e determinazione produce
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risultati, i migliori, anche se ora messi in ombra da tutte le brutture di cui si parla quotidianamente, solo di queste.
Il Global Teacher Prize è proprio questo, la rivincita della "Grande Bellezza" dell'Italia.
Volere è potere, mi diceva sempre la mia maestra.
Con NOI possibili nel mondo, il mondo sarebbe sicuramente migliore!!
Grazie a Barbara per essere riuscita ad accendere i riflettori sulla scuola 'buona', fatta con passione e professionalità da milioni di docenti che, quasi sempre nell'anonimato,
accompagnano gruppi di alunni in un percorso di formazione che segna, lascia traccia in ogni persona. Tutti noi cerchiamo di 'segnare' in maniera positiva e propositiva
perché crediamo in questo modo di fare scuola, quella che noi definiamo 'l'unica possibile'di Manuela Rosci e Barbara Riccardi
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RAV e Certificazione di competenze
Rivalutare la valutazione
Orizzonte scuola - di Ruggiero Patrizia
È un periodo frenetico, come ci ripetiamo noi di scuola che ci possiamo capire, pieno di novità e di adempimenti.
Last but not the least il RAV, che si concretizza con il piano di miglioramento della scuola e la scheda per la
certificazione delle competenze, che gli insegnanti devono saper preparare per i propri alunni, alla fine del percorso
della primaria e della secondaria di primo grado.
Le nuove indicazioni, che sembravano sepolte nei libricini lasciati negli scatoloni, dopo aver covato a lungo nella
cenere, ora stanno esplodendo nel loro splendore, come un'araba fenice.
Comunque, come al solito quando ci sono novità, ci sono dentro!!!
La sfida è cercare di coglierne il valore trasformativo - innovativo senza correre il rischio di appesantire e
immobilizzare, capirne la direzione e nello stesso tempo indirizzare in una via utile e percorribile, mantenere
lucidità, nella corsa burocratica, per dare significato e valore a quello che facciamo.
Incidere poco alla volta ma in profondità per evitare di confezionare un bel pacco senza cambiare la sostanza.
Nei gruppi che si stanno incontrando, formalmente e informalmente, e anche da scontri che si verificano lungo il
percorso, nascono le idee ed emerge un pò di chiarezza.
Quello che stiamo cercando di fare, siamo in parecchi nella nostra scuola e nei gruppi di lavoro che frequento, è
prenderci l'occasione di un' autoriflessione.
Non solo sulla SCUOLA come istituzione ma soprattutto su NOI STESSI che lavoriamo insieme ogni giorno, gomito
a gomito, ma con pochissimo tempo per parlarci e confrontarci.
Molto fruttuosi anche incontri importanti, con gente che di scuola ne ha macinata tanta, come l'ispettore Cerini, a
San Cleto, per il progetto in rete sulla "costruzione di strumenti per la valutazione delle competenze".
Ci sono persone che ti fanno crescere anche in un solo incontro!
Due i piani di valutazione che si intersecano quindi in questa fase.
Quella che la scuola fa di se stessa, con il RAV, e quella che gli insegnanti fanno dei propri alunni nella
certificazione delle competenze.
Due sistemi molto complessi da inserire in livelli di comparazione.
Due "soggetti" difficili da misurare in quanto PERSONE fisiche e sociali.
L'inquadramento prevede range molto ampi, considera una pluralità di item, che tentano di abbracciare la persona
a tutto tondo, considerandola nei suoi molteplici aspetti.
-"bellissimi" tutti questi termini inglesi che donano un'aria un pò sofisticata e onirica!In entrambe le situazioni il fine dovrebbe essere quello di individuare una MAPPA che orienti il soggetto stesso a
proseguire il suo cammino: il piano di miglioramento per la scuola e il consiglio orientativo per l'alunno.
In entrambe si cerca di coniugare e di mettere in relazione aspetti quantitativi e qualitativi.
Il RAV con la sua connotazione di "narrazione, argomentazione è capacità di collegare idee, fatti, evidenze" della
scuola.
La scheda di certificazione delle competenze tende a tracciare il profilo di un alunno tenendo le discipline e i risultati
raggiunti in uno sfondo, per far risaltare attitudini individuali.
Cosa può emergere da queste articolate e difficili operazioni?
Intanto si enucleano e si allontanano sempre più tra loro i concetti di misurazione e valutazione: separarle ci aiuta a non confonderle e impropriamente sovrapporle,
laddove la prima prende in considerazione uno o più aspetti circoscritti e la seconda un ambito globale-olistico. Il grande sforzo di coniugare "numeri" con "rubriche",
modalità così diverse tra loro, apre ampi spazi di rispettiva parzialità.
Ancora più perde senso la pretesa di una oggettività della valutazione, tanto ricercata fino ad ora dagli insegnanti, e a volte posta a baluardo di posizioni immutabili: il
concetto stesso di oggettività si disperde nella complessità del sistema persona cominciando a prendere i connotati di una meta irraggiungibile e vana. Inutile.
È auspicabile che si faccia largo la chiarezza, anche nella scuola o a partire da essa, che ogni dato, anche quello più standardizzato e accertato nella sua purezza, ha senso
solo se relativizzato.
Per essere compreso e fruibile, ogni numero deve essere accompagnato da termini di comparazione evidenti e significativi. Anche un insieme di dati può dare origini ad
azioni solo se letto insieme ad una storia, se contestualizzato in una situzione.
È una delle contestazioni che faccio quando si paragonano la scuola italiana e le nostre classi a quelle di altre nazioni europee, dove non c'è l'inclusione. È come mettere su
uno stesso piano un mare e un lago!
Si impone con forza una prospettiva valutativa tutta da creare, che ricorre sia nell'ambito della valutazione della scuola che nell'ambito della certificazione delle competenze:
l'autovalutazione.
Una pratica originale e occasionale che può diventare il perno portante di tutto il sistema.
Una parola sempre più presente che deve certo riempirsi di esperienza e significato.
Essa ha come attore principale il docente, sia nella sua funzione di esperto, al punto di promuoverla nei suoi alunni, sia come valutatore della propria efficacia e
orientamento delle proprie azioni.
"La valutazione è una mossa riflessiva", come ci ha detto l'ispettore Cerini riportando l'affermazione di Egle Becchi.
di Patrizia Ruggiero
Docente di sostegno, IC Belforte del Chienti - Roma
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La formazione dei docenti per promuovere la costruzione delle competenze
Breve excursus storico della normativa italiana ed europea in fatto di competenze
Formazione - di Rosci Manuela
L'iperproduzione di offerta formativa che raggiunge dirigenti e docenti è tesa, attualmente, ad offrire soluzioni che
dovrebbero rispondere alle esigenze specifiche declinate nei piani di miglioramento delle scuole. Non perché nel passato
sia stato diverso, tuttavia lamentano l'affaticamento nel gestire non solo la normale complessità del sistema scolastico, ma
anche l'aggravio dato dalla necessità di offrire trasparenza alle operazioni avviate, di formulare una progettualità che
guardi al futuro e di scegliere su cosa investire i pochi soldi che arrivano alle istituzioni scolastiche di tutta Italia,
prevalentemente erogati su progetti tematici, possibilmente in rete di scuole.
Alcune urgenze sembrano tuttavia essere trasversali, non più rinviabili.
Tra queste saper gestire'la didattica per competenze' . Il tema delle competenze non è proprio nuovo nell'ambito della
ricerca pedagogica e, soprattutto, da tempo è stato recepito nei documenti di politica e pianificazione europea in ambito di
istruzione e formazione.
Nel 2001 il Consiglio dell'Istruzione, nella Relazione al Consiglio Europeo "Gli obiettivi futuri e concreti del sistema di istruzione e di formazione" mette in risalto come
"l'istruzione e la formazione rappresentano i mezzi strutturali attraverso i quali la società può aiutare i propri cittadini ad avere un accesso equo alla prosperità, a modalità
decisionali democratiche e allo sviluppo socioculturale personale, e considera l'accesso all'aggiornamento delle competenze per tutto l'arco della vita un elemento
chiave nella lotta contro l'esclusione sociale e nella promozione delle pari opportunità nel senso più ampio del termine" (1)
Appare sempre più evidente che le trasformazioni socio-economiche richiedono alle persone una capacità di cambiamento, forse senza precedenti. Viene così sollecitata
l'acquisizione di competenze trasversali, che diventano fondamentali per avvicinarsi al mondo del lavoro e per sostenere la carriera lavorativa per tutto l'arco della vita: "la
creatività, la flessibilità, l'adattabilità, la capacità di imparare ad apprendere e a risolvere problemi" (Commissione Europea. 1997).
Certamente, dal 2006 le competenze chiave di cittadinanza per l'apprendimento permanente (Comunicazione nella madrelingua, Comunicazione in lingue straniere,
Competenza matematica e competenza di base in campo scientifico e tecnologico, Competenza digitale, Imparare a imparare, Competenze sociali e civiche, Senso di
iniziativa e imprenditorialità, Consapevolezza ed espressione culturale) stabilite dal Parlamento e dal Consiglio dell'Unione Europea (con la Raccomandazione del 18
dicembre 2006) assumono una valenza fondamentale perché hanno rappresentato il riferimento con cui i singoli Paesi europei avrebbero potuto confrontare i propri percorsi
e successi nell'ambito dell'istruzione e formazione. Il concetto avrebbe dovuto orientare i singoli attori (Paesi, Ministeri, Scuole, Docenti) ad una maggiore chiarezza sul
mandato istituzionale affidato e sintetizzabile in: finalizzazione funzionale degli apprendimenti, centralità del soggetto in apprendimento, utilizzando preferibilmente una
didattica laboratoriale ed esperienziale riferimento al proprio contesto di vita.
Le Indicazioni per il curricolo per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione del 2007 rappresentano "la via italiana all'Europa e all'acquisizione delle competenze
indicate a Lisbona. Nell'"e-ducere", nel tirar fuori ciò che si è e nella relazione con gli altri, si impara ad apprendere. Obiettivo della scuola è quello di far nascere "il tarlo"
della curiosità, lo stupore della conoscenza, la voglia di declinare il sapere con la fantasia, la creatività, l'ingegno, la pluralità delle applicazioni delle proprie capacità, abilità e
competenze. (..) Non c'è nessuna sindrome di burn out nell'insegnante che non sia figlia del difficile incrocio fra ciò che dovremmo saper essere e saper fare e la
straordinaria complessità che richiede l'educare istruendo proprio quella persona lì che, nella propria unicità, dà la misura della complessità dell'intrapresa e dell'ineludibilità
del limite del nostro operare. Questa è la sfida. È questo il rischio educativo che gli insegnanti assumono nell'esercizio della propria professionalità". (Premessa, Indicazioni
per il curricolo, 2007)
Per altri cinque anni, tuttavia, il lavoro sollecitato dalle 'prime' Indicazioni per il curricolo è rimasto molto spesso nel cassetto: si sapeva (non sempre) ma si rinviava. Quel
'rischio educativo' è sembrato disorientante, troppo 'moderno' rispetto all'impostazione tradizionale di trasmissione delle conoscenze allora ancora esercitata. Arriviamo
così al 2012, con la pubblicazione delle Indicazioni nazionali per il curricolo per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione, un po' revisionate, in cui leggiamo: 'Il
curricolo di istituto è espressione della libertà d'insegnamento e dell'autonomia scolastica e, al tempo stesso, esplicita le scelte della comunità scolastica e l'identità
dell'istituto. La costruzione del curricolo è il processo attraverso il quale si sviluppano e organizzano la ricerca e l'innovazione educativa.' (Dalle Indicazioni nazionali, 2012,
p. 12)
Il rischio educativo viene così declinato in azioni precise che le comunità scolastiche (non la somma dei singoli docenti di una scuola ma l'espressione culturale di quel
gruppo specifico di persone che lavora insieme su quel territorio, con quella determinata popolazione scolastica) devono realizzare per dare vita al nuovo assetto della
scuola italiana.
Si sa, i cambiamenti sono lenti, le obiezioni e le resistenze molto più forti e immediate.
L'idea che ci potesse essere un profilo d'uscita dello studente al termine del primo ciclo di studi anche questa volta è stata trascurata, come se non appartenesse a nessuno,
semmai ai docenti dell'ultimo anno: 'Ogni scuola predispone il curricolo all'interno del Piano dell'offerta formativa con riferimento al profilo dello studente al termine del primo
ciclo di istruzione, ai traguardi per lo sviluppo delle competenze, agli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina' (Ibidem, p. 12).
E invece è proprio lì che si manifesta l'opportunità di un grande cambiamento della scuola, che avrebbe richiesto (e richiede tuttora) un atteggiamento diverso dei
professionisti della scuola: tutti a lavorare per lo stesso progetto -una grande opera d'arte-, concorrere a far sì che tutti gli studenti escano competenti (anche se sono
previsti e tollerati livelli finali differenti). Una sfida senza precedenti.
Prima lo scopo della scuola era quello di offrire una quantità di conoscenze e chi più ne tratteneva, più valeva: la valutazione aveva il compito esclusivo di sottolineare la
'quantità' di sapere posseduto. Con l'attuazione delle Indicazioni nazionali per il curricolo per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione la storia cambia e così
pure la regia a scuola e in classe: 'A partire dal curricolo di istituto, i docenti individuano le esperienze di apprendimento più efficaci, le scelte didattiche più significative, le
strategie più idonee, con attenzione all'integrazione fra le discipline e alla loro possibile aggregazione in aree, così come indicato dal Regolamento dell'autonomia scolastica,
che affida questo compito alle istituzioni scolastiche.' (Ibidem, p. 12).
E' necessario dunque ripensare il modo di insegnare affinché l'alunno diventi realmente capace "di mobilitare al di fuori della scuola, in contesti socio-economici e lavorativi
non noti a priori, conoscenze, abilità e competenze acquisite. Costruire una competenza in ambito scolastico (..) significa promuovere e favorire quell'uso autonomo e
consapevole delle conoscenze che si esprime nella particolare capacità di discriminare, tra le conoscenze che si hanno a disposizione, quelle che si prestano meglio a
nuove soluzioni"(A.M. Ciraci, p. 141). La costruzione delle competenze investe tutta la persona nella relazione con il suo ambiente di vita e dunque è sempre
condivisibile la definizione di competenza come "la capacità di far fronte a un compito, o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie
risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo" (Pellerey, 2004)
Non significa certo perdere i contenuti da insegnare ma organizzare diversamente il progetto didattico, la pianificazione delle azioni, il punto di partenza e quello d'arrivo. E'
necessario organizzare la didattica in maniera flessibile, frutto di sinergie tra docenti "per non rischiare la frammentazione del sapere. Questa esigenza sollecita
piuttosto una programmazione didattica che impieghi sì i contenuti e i saperi disciplinari, ma in modo osmotico, compenetrante e più funzionale ad affrontare situazioni e
problemi concreti, a mobilitare risorse cognitive e metacognitive, (..) (affinchè) i contenuti delle discipline siano il tramite di un'"azione di ristrutturazione continua" da parte
degli allievi! (2)
Si sa, i cambiamenti sono lenti, ed è necessario accompagnare i docenti a trovare la padronanza, e una nuova sicurezza, in questa nuova direzione.
La formazione dei docenti, quindi, deve essere a sostegno di un cambiamento di atteggiamento che solo 'un fare accompagnato' può garantire.
di Manuela Rosci
Direttore responsabile della rivista www.lascuolapossibile
Docente, psicopedagogista, psicologa
(1) A. M. Ciraci, "Didattica, valutazione e certificazione delle competenze nel sistema formativo: elementi chiave per l'inclusione e l'equità sociale", p. 136, in L. Chiappetta
Cajola (a cura di) "Didattica inclusiva valutazione e orientamento", Anicia,Roma, 2015
(2) M. Traversetti, "Progettare per competenze a scuola: alcune riflessioni e proposte" ,p.216, in L. Chiappetta Cajola (a cura di) "Didattica inclusiva valutazione e
orientamento", Anicia,Roma, 2015
M.Pellerey, "Le competenze individuali e il portfolio". Etas, Milano, 2004
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Psicoterapia con le persone sorde. Metodo e casi clinici
Un nuovo entusiasmante libro della dott.ssa Ersilia Bosco
Inclusione Scolastica - di D'Agosta Luciana
Il 15 dicembre è stato presentato anche al Policlinico Umberto I il libro Psicoterapia con le persone sorde. Metodo e casi clinici,
Ed. Carocci 2015, di cui è autrice la dottoressa Ersilia Bosco, professionista molto conosciuta e apprezzata nel campo della
sordità, per la sua competenza e sensibilità.
La dottoressa Bosco, psicologo clinico e psicoterapeuta, è stata fino a giugno di quest'anno il Coordinatore del Centro Impianti
Cocleari della Sapienza Università di Roma, nato nel 1993 grazie all'intuito e alla determinazione del Prof. Roberto Filipo,
otochirurgo, audiologo e otorino di chiara fama e Direttore del UOC Organi di Senso fino al 2013, anno n cui è andato in
pensione.
In questo interessantissimo libro, primo e unico sulla psicoterapia con le persone sorde, la dottoressa Bosco riporta i risultati
dell'esperienza trentennale svolta proprio all'interno del Centri Impianti del Policlinico Umberto I che, col suo entusiasmo e con la
sua professionalità, ha contribuito a creare e far crescere, fino a diventare uno dei centri più apprezzati d'Europa e
all'avanguardia sul territorio nazionale.
Grazie alla sua grande competenza sulla disabilità sensoriale e alle sue doti umane e relazionali, ha fatto si che un gruppo di
individui si trasformasse, nel tempo e col tempo, in un'equipe multidisciplinare altamente specializzata e molto motivata, i cui
componenti cooperavano tutti verso lo stesso obiettivo: occuparsi della persona sorda e del suo benessere, dalla diagnosi
alla scelta protesica e riabilitativa, dalla scuola al tempo libero al lavoro.
Oggi, il Centro Impianti della Sapienza Università di Roma è un luogo nel quale vengono date risposte competenti e qualificate
ad adulti, adolescenti e bambini sordi, da una nuova generazioni di otochirurghi, audiologi, otorino, psicologi e logopedisti che,
essendosi formati nello stesso crogiuolo, hanno ereditato la stessa passione e professionalità. Come il precedente Comprendere
la sordità, una guida per scuole e famiglie, Ed Carocci 2013, anche questo libro è stato molto atteso da tutte quelle persone che,
a vario titolo, l'hanno conosciuta o hanno collaborato e lavorato con lei: colleghi, insegnanti curricolari e di sostegno, logopedisti,
genitori, allievi di vari corsi di laurea, di specializzazione e master....e, esattamente come il precedente, non delude, anzi
entusiasma.
Voglio con le parole dell'autrice tratteggiare brevemente non tanto il contenuto, evidenziato con chiarezza già nel titolo, quanto
l'intenzione, lo spirito che ha dato origine e caratterizzato la relazione dell'autrice con le persone sorde: "...nel rapporto con le famiglie, i bambini, le donne e gli uomini sordi
di diverse età, sono venuta a contatto con il bisogno e il desiderio d trovare un interlocutore alle personali problematiche che non potevano essere soddisfatte da una seppur
adeguata e personalizzata protesizzazione. Troppo spesso le loro storie, gli interrogativi sulla vita e sul mondo, i nodi di disagio psicologico, non erano nemmeno intravisti e
tantomeno ascoltati, condivisi e compresi. Mi stupiva e amareggiava l'atteggiamento distaccato degli "esperti della sordità", che sembravano considerare i sordi come
creature imperfette, degne di essere curate e riabilitate più che conosciute e apprezzate nel proprio modo di essere, esperti dallo sguardo limitato, che facevano
coincidere storia della sordità con l'intero universo della persona sorda e inadeguatezza del linguaggio con limitatezza di pensiero e povertà interiore."( pag.8)
Dalla consapevolezza della limitatezza del modo di pensare e di comunicare degli "esperti della sordità", nasce il desiderio di essere davvero utile, come dice qualche riga
dopo. Conseguenza inevitabile, per essere davvero utile a una persona sorda, è stata la ricerca di strumenti comunicativi idonei, aldilà di ideologie e pregiudizi. Una
ricerca umana oltre che professionale, che l'ha portata a scrivere un libro in cui vengono presentati non solo strumenti e finalità ma un modo di procedere che, aldilà di uno
specifico orientamento psicoterapeutico, metta al centro la qualità della relazione.
Il terzo capitolo del libro è interamente dedicato al "modo di procedere", un approccio che ha la "finalità primaria di favorire la costruzione del benessere personale, inteso
come "meglio stare" nel mondo e "meglio conoscere" sé stessi e gli altri, ponendo al centro la relazione attraverso la condivisione degli strumenti comunicativi..." (pag.71)
Una pubblicazione questa, di grande interesse non solo per psicologi e psicoterapeuti, ai quali è destinato, ma utile e facilmente utilizzabile anche da chi non conosce
l'argomento o da chi, pur conoscendolo, desidera approfondire e sistematizzare conoscenze variamente acquisite, per trasformarle da cumulo di conoscenze in una
successione ordinata di conoscenze e riflessioni, per riprendere la metafora utilizzata dall'autrice.
Mi piace concludere affermando che questo libro, di piacevole e scorrevole lettura nonostante tratti un argomento così complesso "...per chiarezza espositiva e per il voluto
utilizzo di un linguaggio non specialistico, è pienamente fruibile da coloro che apprezzano la differenza come fonte di ricchezza e la condivisione come possibilità di felicità",
come leggiamo in seconda di copertina.
Buona lettura!
di Luciana D'Agosta
logopedista, Roma
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Educazione alla non paura, alla non diffidenza, alla non ostilità
La scuola veicolo di civiltà
Intercultura - di Bono Liliana
Come non lavorare alla Pace, in questi tempi difficili e complicati? Come non parlare di intercultura, di inclusione? Come non viverla?
Vicinissima alla mia scuola c'è la Moschea Taiba, nella classe accanto alla mia c'è la figlia dell'Imam, una
bambina deliziosa con una deliziosa famiglia.
Così, con Laura (collega) e con il Dirigente, Mercoledì sera della scorsa settimana siamo andati alla serata
aperta a tutti, serata dedicata a tutti, dopo la riunione del pomeriggio.
C'erano tantissimi ospiti, tantissime persone.
Il Dirigente e noi maestre abbiamo anche parlato un pochino del ruolo che la scuola può rivestire in questo
periodo.
Era bellissimo essere insieme a tanti diversi credo, tante nazionalità e culture (ho notato con piacere che
c'erano moltissimi Italiani, anche), senza antagonismi, senza barriere, con intorno alcune bimbe che di solito
vedo sedute nei banchi. Mi sono sentita a casa.
Casa è dove vuoi stare.
Non ricordo esattamente le mie parole, ma ho parlato dell'importanza che la scuola può avere adesso, anche
maggiore che non in precedenza, io penso.
Educazione alla Cittadinanza, possiamo anche chiamarla così.
Oppure educazione all'apertura, al dialogo, all'innocenza, all'amore.
Educazione alla non paura, alla non diffidenza, alla non ostilità.
All'umanità, che ci sia o non ci sia il crocifisso appeso in classe (quante chiacchiere sento su questo
argomento, come se fosse questo l'essenziale!).
A dire il vero, non è che il compito dell'insegnante, per quanto grande, sia senza aiuto, in questo.
L'aiuto più grande ci viene dai bambini: loro non le hanno mica, le nostre paure ed i nostri preconcetti idioti
(scusatemi il termine).
Non fargliene venire potrebbe già essere sufficiente.
Ma se è necessaria una parola di più, io credo che la scuola possa essere uno dei fattori di amalgamazione tra
le persone che la popolano (insegnanti compresi), credo che la scuola possa essere un veicolo di civiltà,
una piccola guida verso un mondo di collaborazione e di serenità.
Io credo che debba esserlo, specie adesso.
Si avvicina intanto il periodo natalizio.
Allora, noi in interclasse ce la stiamo mettendo tutta per organizzare un grande momento di condivisione e di festa, stiamo lavorando senza sosta con i bambini. Dovranno
esserci giochi e canti, dovrà esserci gioia e cibo, magari il tè caldo per tutti, e abbracci gratis, come dicono spesso i miei alunni.
E tutto il "nostro" corridoio sarà decorato come le tre classi in cui passiamo le giornate, e ci saranno musiche di vari paesi, e sorrisi sui nostri volti.
Chiederemo al Dirigente se possiamo trattenerci oltre l'orario, e se qualcuno nel quartiere volesse venire a fare un saluto, ebbene venga e che sia il benvenuto!
Intanto, molti auguri da me e da tutti i miei alunni, a tutti ma tutti tutti!
di Liliana Bono
Docente scuola primaria "G. Parini", Torino
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Laboratorio metamusicale sull'apprendimento
Applicazione con un singolo studente.Cronaca di un'esperienza
Inclusione Scolastica - di Elisei Enrico
Informazione non è conoscenza,
conoscenza non è saggezza,
saggezza non è verità [...]
La musica è il meglio
Frank Zappa
Racconterò in quest'articolo dell'utilizzo con uno studente del programma di apprendimento metamusicale.
L'apprendimento metamusicale, già sperimentato in un laboratorio con un gruppo classe (vedi l'articolo sul numero di novembre 2015), è finalizzato ad avviare una
riflessione metacognitiva sull'apprendimento e sul metodo di studio partendo dall'esperienza musicale, sfruttando la praticità epidermica ed uditiva della musica, la sua
potenza evocativa. Attraverso l'utilizzo della musica lo studente (ed in particolare modo gli studenti in difficoltà) sperimenta un differente modo di studiare e di riflettere sulla
propria attività.
Quest'articolo servirà altresì ad avviare, spero, una riflessione comune sulle potenzialità di questa metodologia nella sua applicazione con singoli studenti.
Ho utilizzato il programma di apprendimento metamusicale in qualità di tutor dell'apprendimento con Mario, nome fittizio di un vero studente di 16 anni, che sta ripetendo il
secondo anno del liceo scientifico. Mario è uno studente con una diagnosi di dislessia e di discalculia. Suona la batteria ed è, come quasi tutti i giovani, molto
appassionato di musica.
Sembra lo studente ideale per sperimentare il programma di apprendimento metamusicale.
COME SI E' SVOLTO IL PROGRAMMA
Con Mario è stato svolto un programma di dieci incontri, ciascuno della durata di due ore ad eccezione del primo incontro conoscitivo di una sola ora.
Obiettivo del lavoro era la ricerca di metodologie di studio personali per lo studente e la promozione in lui di un atteggiamento metacognitivo rispetto la sua attività.
Ogni incontro era così strutturato: una prima parte, della durata di 45 minuti, di classico affiancamento nei compiti, facendo attenzione a porre in luce i nodi, le cose difficili da
ricordare o da risolvere che venivano poi messe al centro della seconda parte, della durata di 45 minuti anch'essa. Nella terza ed ultima parte della seduta, della durata di 30
minuti, si tentava un raccordo delle cose studiate con concreti esempi musicali.
COSA E' SUCCESSO IN PARTICOLARE
L'assunto principale di ogni incontro è quindi stato quello di partire dal concreto, dalle cose studiate, da queste accendere la riflessione metacognitiva ed infine fare con
questa qualcosa di interessante, coinvolgente ed appassionante.
Ad esempio, una volta emersa l'esigenza di utilizzare organizzatori anticipati (1) per meglio controllare ed indirizzare lo studio delle materie orali, si sono confrontati
alcuni inizi di brani musicali in cui l'incipit faceva già presagire quel che sarebbe venuto dopo. Io ho proposto esempi musicali che avevano a che fare con gli organizzatori
anticipati: le ouverture in genere o l'incisione di "Night in Tunisia" di Charlie Parker del 1942.
Ascoltare, fare esperienza delle metodologie, aiuta a interiorizzarle molto di più di come accadrebbe se queste fossero spiegate come semplici concetti.
Con mia grande soddisfazione lo studente ha subito fatto sua questa modalità ed ha proposto come parallelo musicale il brano "Money" dei Pink Floyd, in cui i rumori di
monete iniziali già ci fanno presagire il tema della canzone, poi entra il basso a dettare ritmi e modo di procedere, infine entrano in scena rispettivamente la chitarra, la voce
ed il sax quando l'argomento è ormai al suo climax, è stato compreso dallo studente. Nella coda della canzone dei Pink Floyd torna il giro di basso iniziale: lo studente
controlla, dopo aver studiato, se tutto è chiaro.
La musica è stata poi utilizzata per esemplificare i vari stili cognitivi, collegando ad ognuno di essi un esempio musicale.
Allo studente è stato somministrato un estratto del test QMS-MT (2) (Questionario metacognitivo sul metodo di studio) per individuare i suoi stili cognitivi. La correzione
fatta insieme allo studente ha messo in luce gli stili cognitivi da lui utilizzati e le sue particolari esigenze.
Quindi mettendo insieme la sua sistematicità con la sua analiticità, la riflessività e lo spiccato utilizzo del canale visuale abbiamo tentato di individuare insieme, sempre
partendo dalla sua concreta esperienza di studente, cosa potesse realmente aiutarlo.
Lo studente ha proposto l'idea che per lui servissero degli "scaffali" in cui mettere ordinatamente le informazioni in scatole ben caratterizzate da forme e colori.
Lo strumento da lui studiato, la batteria, in questo caso ci ha aiutato parecchio. Essa tiene il ritmo e detta i tempi, inoltre le singole battute sullo spartito sono in gergo
chiamate "cassetti".
L'ascolto-confronto con vari esempi musicali anche in questo caso ha favorito l'approfondimento delle metodologie possibili. La parte ritmica delle musiche utilizzate creava
sia una temporalità in cui svolgere lo studio (un tic-tac da metronomo) che delle vere e proprie "scatole" in cui inserire le informazioni.
Ad esempio nella memorizzazione del lessico inglese, compito particolarmente gravoso per lo studente, una volta individuato che tendeva a ricordare le iniziali delle parole
(ma non le parole stesse) abbiamo lavorato sulla collocazione delle parole in contenitori connotati da forme, colori e da una loro musicalità.
Quindi quel gruppo di parole veniva spontaneo inserirlo in una scatola quadrata, blu e risuonante di "Boulevard of broken dream" (brano dei Green Day del 2005), mentre
per quell'altro gruppo di parole è stata scelta una scatola dalla forma astratta tondeggiante, di colore giallo e con tutt'altro tipo di musica e così via.
Mario, come molti altri studenti, tende a ricordare bene le iniziali dei termini da dover imparare ma non sempre le parole intere proprio perché questo compito è
troppo pesante. Allora, sfruttando la sua tendenza a ricordare le iniziali, si può lavorare creando associazioni su associazioni per facilitare la ritenzione dell'informazione (3).
La memorizzazione è stata favorita dal lavoro cooperativo tra i vari sensi. La musica insieme al
visivo ed alla categorizzazione delle parole in gruppi ha aiutato il ricordo delle parole straniere,
anche perché questo lavoro ha attivato la riflessione metacognitiva dello studente e la sua capacità
di controllare la propria attività di studio.
Proprio lavorando sulla memorizzazione sinestetica è stata tentata, in vista di un'interrogazione,
l'associazione delle formule chimiche di alcune molecole associando alla formula scritta la sua
immagine (in cui ogni atomo ed ogni legame sono connotati da precisi colori) e dalla traduzione della
formula alla batteria ove ad ogni atomo era associato un elemento della batteria (rullante, tom,
piatto...) ed i cui legami sono tradotti in durate musicali: i legami semplici sono impersonati da
minime (?) mentre i legami covalenti, anche per il loro aspetto, da delle crome (?).
Ogni molecola era così letta, vista, suonata ed infine ricordata.
CONCLUSIONI
L'applicazione del programma di apprendimento metamusicale con un singolo studente ha dato
buoni risultati ed ha portato in luce nodi essenziali.
Innanzitutto l'importanza dell'emozione positiva nell'apprendimento, dell'utilizzo di chiavi atte ad
accendere la passione dello studente per innescare un cortocircuito positivo capace di
migliorare il suo approccio allo studio. Questa è una di quella cose che la musica ha il potere di
fare.
Riflettere sulla propria attività di studio cambia se è fatto utilizzando una modalità che sa essere sia piacevole che capace di risuonare a lungo nella mente, di permanere
come ritenzione sonora ed essere ricordata insieme al concetto ad essa associato.
Inoltre lavorare sulle cose non ricordate, su errori e difficoltà, innesca una situazione metacognitiva in cui l'errore mette in evidenza quali sono le metodologie adottate che
non hanno funzionato. In un caso simile torna utile allo studente confrontare questo suo modo di operare con degli esempi musicali come, ad esempio, nella forma-sonata
(4) in cui il tema viene esposto e ripetuto (per ricordarlo), poi scompare e viene infine recuperato dopo un lungo processo che ha apportato alcuni cambiamenti (come
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quando lui cambia metodo di studio per ricordare quel che non riusciva a ricordare).
Ma soprattutto il lavoro con il programma di apprendimento metamusicale ha evidenziato come la cooperazione tra vari sensi possa aiutare la memorizzazione ed in questo
caso la musica riveste un ruolo predominante perché fa da brodo di coltura dove far crescere associazioni ed idee.
Anche in questo caso, come nel laboratorio fatto con i gruppi classe, si è osservato come la musica possa aiutare gli studenti a riflettere sul loro processo di apprendimento
ed a modificare il proprio metodo.
di Enrico Elisei
Tutor dell'apprendimento e assistente alla comunicazione
Note
(1) Ovvero organizzare il proprio studio facendo attenzione a definire, prima di iniziare a studiare, quale argomento verrà affrontato e riattivando tutte le conoscenze
pregresse su quell'argomento. In questo modo l'apprendimento sarà maggiormente finalizzato e consapevole.
(2) C. Cornoldi, R. De Beni e Gruppo MT, Imparare a studiare 2, Erickson, Trento 2001
(3) Per una bibliografia su questo sterminato argomento si veda: Cesare Cornoldi, Memoria e metacognizione, Erickson, Trento 1993
(4) Per quest'argomento, dalla sconfinata bibliografia, si rimanda a: Massimo Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino (ultima ed.) 2014 e Giovanni Bietti, Ascoltare la
musica classica. La sinfonia in Mozart, Haydn, Beethoven, Edizioni Estemporanee, Roma 2012.
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Accordare il mondo
Norme, linguaggi e saperi condivisi dietro la piazza
Intercultura - di Miduri Maria Chiara
Ogni venerdì la stessa SOL-FA. Alle 16.30 puntualissimi, dopo i compiti, ci smistiamo nelle aule dei
laboratori e iniziamo a creare, stonare, improvvisare, imparare, litigare, mitigare, mediare, stare,
essere.
C'è chi costruisce strutture lignee nel seminterrato, c'è chi va a giocare a calcetto sfidando le
intemperie, c'è chi si dà alla bigiotteria ecologica e poi ci siamo noi: noi suoniamo. Ci proviamo. Si
vanno a prendere chitarre e ukulele, si sfoderano con gesto liberatorio e si inizia ad armeggiare con
le chiavette per accordarne le corde. Una a una.
La chitarra è una metafora della comunicazione umana, dell'incontro. Anche le persone si
accordano una a una e per intendersi devono trovarsi su una stessa frequenza pur avendo idee
diverse, come le corde.
Quasi ogni settimana, dall'inizio delle attività, i ragazzi che fanno parte del mio Laboaratorio non
sono quasi mai gli stessi, tranne uno zoccolo duro che dall'alto dei suoi 12/13 anni è ormai
'veterano', decorato per meriti sul campo. Il gruppo si assesta quasi sempre dopo Natale, ma siamo allegramente abituati a lasciare la porta aperta, perché chiunque possa
buttare un occhio e stabilire una connessione. A me piace lasciare la porta aperta, sempre. Soprattutto chi è arrivato da poco a Torino e non parla l'Italiano, o lo mastica
troppo poco secondo gli standard comunicativi richiesti, è molto attratto dal Laboratorio musicale ma teme di non comprenderne le consegne, perché abituato in classe a
non poter seguire per via delle difficoltà linguistiche; teme un voto, teme un'interrogazione, teme la verifica, teme di non essere all'altezza, di non essere adatto 'anche lì'.
Ma anche le nostre chitarre, rimediate da donazioni, prestiti, cessioni o entusiastici regali non sono perfette: alle meglio suoniamo con cinque corde su sei, perché la foga le
ha menomate più volte; non reggono l'accordatura perché innaffiate per errore con lo Svitol in un momento di disattenzione, sono ognuna fatta a modo suo e ognuna con
una propria voce da far unire alle altre per suonare insieme.
Ai ragazzi una volta ho spiegato che noi siamo uguali a una chitarra o un ukulele. Anche noi abbiamo voci uniche, a volte mancanti (come una corda) ma che in potenza
esistono, e ognuna con una funzione specifica. Basterà assemblarci nel momento giusto, quando arriverà il tempo, quando saremo pronti e il miracolo accadrà.
Puoi suonare lo stesso senza una corda, consapevole che quella corda esiste e includendola mentalmente nel'insieme anche se non la senti. Quando la monterai, quando si
farà sentire sarà come se avesse sempre fatto parte dell'insieme.
Quando non si parla la stessa lingua e non ce n'è nemmeno una veicolare, si sta in silenzio, non ci si fa sentire ma si esiste e si è parte del sistema. Nel frattempo ci
imitiamo: a buffi gesti o con stentati enunciati in interlingua corrotta. La risata collettiva nasconde un messaggio: per imitare bisogna stare attenti all'Altro, osservarlo, avere
voglia e interesse ad approssimarlo per assomigliargli un po'; per imitarsi bisognare fare uno sforzo di riconoscimento.
Non è questione di essere "adeguati a", "adatti a", di "bastare a": è questione di essere "abbastanza per"!
Per fare i grandi, i brillanti e i primi della classe -se si parla di materie- c'è sempre qualcuno che inizia a declamare i suoi voti a scuola, in questo caso tira fuori dal cilindro il
pentagramma, e comincia a pontificarsi e sminuire, di conseguenza, chi è meno dotato (o crede di esserlo) o capace. Di sicuro, sminuisce chi non ha accesso linguistico per
causa di forza maggiore.
Ecco qual è la vera nota stonata nell'ensamble: non è essere diversi ma fare i diversi.
Disgregare anziché unire. Come ho scritto in qualche articolo fa, io intendo la Lingua come un risorsa e non un requisito. Per questa e altre mille ragioni, nel Laboratorio ho
deciso di insegnare la chitarra e l'ukulele secondo un metodo diverso, quello anglosassone. Ho disorientato e fatto arrabbiare molto i ragazzi all'inizio, qualcuno sulle prime
se n'è pure andato sbattendo la porta, salvo tornare con un entusiastico e ruminante "Be', allora che si fa?" al gusto fragola. Agganciato. L'obiettivo per me era uno solo:
accedere a un linguaggio nuovo per tutti, condiviso, che mettesse alla pari ognuno di loro -esperti, novizi e neoarrivati non parlanti- senza pregresse stellette sul
petto, senza gare sciocche, senza ansie da prestazione.
Lettere al posto delle note, pallini, diagrammi, e mani subito piazzate sullo strumento, molto movimento e (s)drammatizzazione, soprattutto dell'errore.
Ecco quindi un linguaggio che anche chi non si sentiva ancora forte in Italiano poteva comprendere e 'parlare' e 'interpretare' per comunicare con gli altri. Un linguaggio che
fosse sapere in mano a tutti e dunque trasmissibile.
Così, anche l'ultimo arrivato, dopo i primi tentennamenti, ha potuto comunicare attivamente e addirittura essere d'aiuto per l'altro accanto a lui, e viceversa.
Cosa significa stare insieme in una stanza? Cosa significa avere un obiettivo condiviso? Cosa vuol
dire condividere e cosa si condivide per definirsi gruppo?
In una stanza nasce de facto una società: a scuola come nell'extrascuola.
Fatte le dovute proporzioni, per stare in piedi e funzionare, anche la microsocietà ha bisogno dei
concetti di norma sociale, di equilibrio, stasi e conflitto (inevitabile e determinante), di un linguaggio
condiviso e di un sapere, in parte trasmesso e in parte costruito insieme, che si fa cultura condivisa.
L'intercultura è come un gruppo musicale informale nel quale ciascuno deve fare la sua parte
, con il suo strumento, per unirsi ad un unico ritmo da seguire, condiviso, ma mantenendo la
peculiarità dello strumento che suona e del suo specifico e riconoscibile contributo all'ensamble.
Che la si definisca "l'arrivo dell'età" secondo la definizione dell'antropologa Margaret Mead o più
efficacemente "l'abbandono dell'isola della stupidera", seguendo l'acuta immagine presentata nel
recente film Inside Out, la preadolescenza interculturale è un crocevia di conquiste e perdite
tanto universali (il cammino evolutivo dell'Uomo) quanto relative (alla propria cultura di origine o di
contesto).
Il nostro mondo parallelo del venerdì, il Laboratorio, non è solo un appuntamento sul calendario ma
ha assunto la forma, nel tempo, di un luogo di riferimento per un piccolo gruppo, e a volte di
decompressione per chi gravita intorno agli altri laboratori: c'è chi apre la porta all'improvviso, pizzica
una corda o (ultimamente) tamburella qualcosa con le dita unendosi al festoso caos e poi se ne va.
Riminiscenze di un'anarchia ordinata che spesso funziona meglio di qualsiasi schema precostruito e sempre uguale a se stesso. Una libertà che crea dipendenza. Quando
dico 'anarchia' non intendo che il nostro gruppo sia acefalo, tutt'altro. Intendo che sebbene esista il ruolo di coordinamento, parteggio per una visione e un
apprendimento condiviso che coinvolga i ragazzi tanto ad intrecciare saperi quanto età. I più grandi non sono solo quelli 'nati prima' (definizione opinabile quando si
crea un ambiente democratico di condivisione), ma quelli con un'esperienza maturata prima, magari perché hanno frequentato gli anni precedenti. Insegnano a quelli più
piccoli, collaborano attivamente anche alla costruzione del programma della giornata e quindi all'indirizzo generale del Laboratorio. Coordino solo per richiamare all'ordine se
il caos non produce e per ridare un ritmo da seguire, da dietro le quinte.
Nel laboratorio tutti fanno qualcosa, per definizione, siamo tutti protagonisti e anche chi apparentemente -o secondo canoni educativi tradizionali- non fa niente in realtà fa
molto. Penso a quei ragazzi e quelle ragazze che in tre anni ormai si sono avvicinati o avvicendati al Laboratorio o vi hanno messo piede solo per poter essere parte di
qualcosa; presenti e accettati nelle loro debolezze e peculiarità; ragazzi che chiusa la porta imbracciavano una chitarra senza saperla suonare e strimpellando a vuoto
sempre e solo un MI o un RE raccontavano la loro giornata, per condividere un bisogno di sfogo o per provocare: ad esempio condividendo con sguardo di sfida l'ennesima
sospensione scolastica o narrando il memoriale del nuovo Fight Club di cui si sono resi protagonisti, in attesa di reazioni o reprimende.
Inutile: al Laboratorio non si raccolgono sfide ma bisogni; non scontri ma incontri.
Al Laboratorio si dà e prende quel che ha da dare. Nessun obbligo, ma necessità; perché è la
necessità che crea motivazione e volontà, non l'imposizione. Ogni anno produciamo una canzone,
che scriviamo su base musicale nota che abbiamo studiato tutto l'anno. Malgrado i conflitti, le risate,
la complessità del lavorare con gruppi misti in contesti di rischio ci siamo chiesti a volte cosa ci
faccia essere gruppo, cosa ci faccia sentire uniti a dispetto delle diversità e proprio grazie a queste
ultime. La risposta è arrivata all'improvviso un pomeriggio, quando una delle ragazze ha imbracciato
una chitarra su una scalinata e ha accennato insieme agli altri un pezzo scritto due anni fa. E
l'essere gruppo, l'essere uniti nell'esperienza di vita condivisa di un venerdì pomeriggio nasce da
una domanda che invita: "Te la ricordi?". Carrellata di sguardi, sorriso e plettrata. Tre, due, UNO...
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di Maria Chiara Miduri
Antropologa culturale linguista e operatrice socio-educativa ASAI e Camminare Insieme, Torino
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I "SEGNI" NEL CASSETTO (il bi-sogno è un sogno doppio)
Strumenti e risorse per l'autonomia
Inclusione Scolastica - di Pellegrino Marco
Quanto è importante serbare un "segno" nel cassetto!
Alla base della Scuola dell'autonomia, delle competenze, dell'apprendimento cooperativo e della didattica
inclusiva c'è la "Pedagogia della Speranza" (Edizioni Gruppo Abele, 2014). Paulo Freire, uno dei
pedagogisti contemporanei più importanti, influenza ancora con il suo pensiero le pratiche educative
odierne e fa riflettere su concetti-guida che dovrebbero illuminare il cammino di educatori ed educandi: la
necessità di un protagonismo civile di tutti, la lotta per la tutela dei diritti umani e il valore dell'educazione
come strumento di "liberazione".
Declinando il pensiero freiriano e calandolo su un piano più espressamente scolastico e microcontestuale, è possibile leggere tra le righe messaggi utili, da applicare nelle realtà di tutti i giorni e che
sono presenti, tra l'altro, in tutti i documenti e le fonti normative circolanti da qualche anno:
* ogni alunno è protagonista della sua vita e può avere un ruolo nella società attuale;
* ogni alunno ha diritto ad imparare e a vivere la scuola nel rispetto delle sue caratteristiche personali, del
suo vissuto e del suo modo di apprendere;
* l'educazione impartita può diventare strumento di liberazione per ognuno.
Vorrei partire da quest'ultimo assunto leggendolo però da un'altra angolatura: lo strumento può divenire
parte essenziale in un processo educativo che mira a liberare l'alunno. A quest'ultimo non si può togliere
la SPERANZA di RIUSCIRE, ossia di raggiungere un risultato con autonomia e di ottenere un successo
indipendentemente da tutto e da tutti.
La legge 170/2010 e la DM del 2012 sui Bisogni Educativi Speciali prevedono la possibilità per l'alunno di
avvalersi di strumenti compensativi e di misure dispensative, laddove se ne rilevasse la necessità, e
l'autonomia per gli insegnanti, a fronte di valutazioni intrascolastiche e di carattere pedagogico-didattico, di
organizzare e programmare una didattica inclusiva che rispetti i tempi di acquisizione e di sviluppo delle abilità di ciascuno. Anche le Indicazioni Nazionali per il curricolo del
Novembre 2012 affermano che:
"Ogni scuola deve pensare al proprio progetto educativo non per individui astratti ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che
vanno alla ricerca di orizzonti di significato. Alla Scuola l'arduo compito di raccogliere con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di praticare
l'uguaglianza nel riconoscimento delle differenze".
All'interno dei Piani Didattici Personalizzati è prevista una sezione dedicata agli strumenti compensativi e alle misure dispensative; tali strumenti e misure devono risultare
funzionali e realmente utili all'alunno proprio in virtù del fatto che si ha davanti un individuo con un'esigenza concreta e impellente, da considerare nello specifico momento in
cui emerge, e non un modello o un caso astratto di difficoltà, incasellata all'interno di una classificazione decontestualizzata. Prima di approdare agli strumenti sopra
espressi è importante riconoscere come prioritaria l'adozione di strategie didattiche di tipo abilitativo che mirano a rendere l'alunno il più autonomo possibile (Ianes,
Cramerotti, 2013).
In seconda istanza entrano in gioco gli svariati mezzi compensativi che dovrebbero ormai rappresentare la regola e non più l'eccezione, l'ordinarietà e non l'occasionalità,
i ribattezzati "segni nel cassetto", che ogni alunno o meglio ogni gruppo di alunni, in cui si considerano anche quelli che in teoria non necessiterebbero di tali mezzi,
potrebbe utilizzare come possibilità di riuscita o come semplice alternativa, affinché nessuno possa sentirsi speciale, nel senso negativo del termine.
La tavola pitagorica non toglie nulla a chi è in grado di farne a meno, consente a chi ne ha bisogno di raggiungere l'obiettivo richiesto e permette a tutti di acquisire, con la
pluralità di strumenti, la varietà di stili di apprendimento e di pensiero.
Ormai è abbastanza facile riconoscere i mezzi compensativi, meno facile è farli applicare con adeguatezza, pertinenza e tempestività; infatti alle misure si accompagnano le
competenze compensative, consistenti nella capacità di utilizzare gli strumenti con padronanza, al fine di raggiungere lo scopo didattico prefissato.
Quali potrebbero essere questi "segni nel cassetto", pronti ad essere tirati fuori al momento opportuno?
Pensiamo all'abecedario, alla tavola dei numeri, al formulario, al glossario, alle tabelle delle regole grammaticali, alle mappe o agli schemi sintetici, ai dizionari, per passare a
quelli più tecnologicamente avanzati come il pc per la video-scrittura o la sintesi vocale, alla calcolatrice, agli audiolibri, ai registratori e ai software didattici. Non tutti servono
a tutti, non per sempre e per ogni situazione di apprendimento; bisogna valutarne la funzionalità, la convenienza e l'adeguatezza rispetto all'obiettivo di apprendimento o
all'attività da svolgere. È importante che gli alunni abbiano la SICUREZZA di possedere validi supporti nel loro cassetto personale o di gruppo, vivendoli come POSSIBILITÀ
e non come SEGNO della difficoltà o MARCATORE della CARENZA.
Pensiamo a come una semplice misura compensativa possa generare una spirale virtuosa che parte dall'obiettivo disciplinare, passa per l'acquisizione di abilità e sfocia
nella competenza che non riguarda solo l'ambito cognitivo ma anche quello metacognitivo, comprensivo degli aspetti legati all'autostima, al locus of control e alla
motivazione a continuare ad apprendere (De Beni, Moè, 2000).
Tra le strategie compensative è da annoverare la forma di aiuto e di sostegno positivo per eccellenza:
la RISORSA dei COMPAGNI.
In tanti momenti della vita scolastica, i compagni di banco, quelli appena dietro o quelli che fanno parte del
gruppo di lavoro rappresentano il mezzo più sano per imparare, che attraversa il canale delle relazioni e
consente di sviluppare le capacità empatiche, la prosocialità, il senso di solidarietà e dell'aiuto reciproco.
Analizzando una scena scolastica tipica, ci si accorge di quanto in un semplice "segno" o gesto, spesso
reputato scorretto, inappropriato, poco lecito e dunque passibile di rimprovero, si possano riconoscere
elementi positivi, persino divergenti nella loro semplicità:
i COMPAGNI SUGGERISCONO dal banco il risultato di un'operazione.
Cosa ha dimostrato di saper fare l'alunno alla lavagna?
-Accogliere l'aiuto
-Osservare i compagni pur avendo davanti a sé la figura imponente dell'insegnante
-Riconoscere la quantità espressa con le mani dai compagni
-Disegnare alla lavagna la quantità rappresentata
Cosa hanno dimostrato di saper fare i compagni dal loro posto?
-Offrire un aiuto
-Porre attenzione alla lavagna
-Leggere l'operazione scritta
-Risolvere l'operazione
Cosa sta a dimostrare una situazione del genere?
Il ruolo dei compagni nel processo di apprendimento è fondamentale, così come lo è quello dell'insegnante che deve saper riconoscere e valorizzare tutte le situazioni,
anche quelle più bizzarre, a volte "facendo finta" di non vedere o di non capire, perché ognuna di esse è fonte e allo stesso tempo prova di apprendimento.
Regaliamo ad ogni alunno un "segno nel cassetto", perché dietro a quel segno spesso si cela un sogno e il bi-sogno non è altro che un SOGNO DOPPIO.
di Marco Pellegrino
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Insegnante di sostegno, I.C. "Maria Montessori" di Roma
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Ho incontrato il Ministro dell'Istruzione Giannini
La conseguenza di essere tra i cinquanta finalisti al Global Teacher Prize
Orizzonte scuola - di Riccardi Barbara
Il Ministro Giannini vuole conoscermi personalmente. Martedì 23 dicembre ore 19,30 ho sentito e vissuto
nettamente il passaggio "da fuori a dentro" il palazzo del Ministero della Pubblica Istruzione, nel momento di
salire la rampa di scale per arrivare davanti la portineria, è stato come lasciare una dimensione ed entrare in
un'altra totalmente diversa.
La dimensione MIUR è un qualcosa di surreale, da telefilm alla Kirk Douglas, nella sua sfera enorme, bianca e
trasparente in cui rotolavo in balia non sapevo bene di cosa. La transumanza di me da fuori a dentro è stata
rimarcata dalla colonna sonora accattivante di un musicante di passaggio e dal suo sax che passo passo mi ha
seguito, marcando ogni momento saliente dell'incontro in modo empatico.
Il MIUR così mastodontico nella sua fattezza, con scalinate e colonnati che ogni personaggio che accede qui
assume la fattezza di un lillipuziano, dove ogni ambiente e ogni arredo è proporzionale alla dimensione
dell'edificio, come l'albero di Natale e i suoi addobbi che maestosi sovrastano la vista e come Alice nel Paese
delle meraviglie, mi sono sentita inglobata in una scenografia fantastica. A catturarmi ancora le note del sax che
melodiche echeggiavano nel silenzio della sera per il poco scorrere delle auto, e incuriosita ho sbirciato da una
delle finestre, spostando la tendina, l'affaccio dal secondo piano si è aperto direttamente sulla scalinata di
ingresso, luogo di ritrovi di protesta, di pensatoi di richieste acclamate, di malesseri a dimostrazione di voler
trovare una linea di incontro e di ascolto. Comunque, pur cambiando la prospettiva da dentro a fuori e da fuori a
dentro, il luogo richiama ugualmente tanta fatica.
Mentre il mio imbarazzo era all'estremo per l'orario e la prevedibile stanchezza da parte di colei che stavo per
incontrare, invece il personale di segreteria e i suoi addetti stampa si dimostravano pimpanti, gioviali dai sorrisi
accoglienti nel condurmi verso la sua sala di ricevimento.
Appena aperta la porta, confine tra la sala regia e la sala di aspetto, mi viene incontro una figura alta e solenne
che all'inizio stento a riconoscere le sue sembianze per la gran luce proveniente da lampadari luminosissimi che
fanno da aureola alla persona che mi si stava ponendo davanti. Primo ad arrivare al mio sguardo il suo sorriso, poi la sua mano dalla stretta energica che mi fa riprendere
dallo stato di stordimento, riportandomi in contatto con la realtà, si era lei il Ministro tanto nominato dal popolo scolastico.
Di primo acchito avrei voluto chiederle: "Ministro qual è il suo segreto nel non far trapelare nessun segno di stanchezza a quest'ora, anche dopo una giornata di lavoro
serrato?"
L'accoglienza leggera mi ha dato la possibilità di rilassare i miei pensieri che fino a quel momento erano focalizzati su cosa dire e su come essere. Persona attenta e in
ascolto dell'interlocutore, di solito la maggior parte delle volte le persone di alto rango sono prese ad interessarsi a quanto esponi solo i primi 10 minuti, poi l'allontanarsi
verso altri pensieri viene facile, soprattutto da parte di chi è lontano, non appartiene al mondo scuola.
Lei invece era lì per conoscere me, ascoltare la mia storia e trarne insieme il migliore risultato su come operare per dare voce alla mia esperienza e passar parola
alle altre persone. Intenso e gratificante lo scambio che ha aperto e accompagnato un dialogo costruttivo per delineare anche un percorso di incontri in altre città, soprattutto
disagiate, per diffondere le buone pratiche dal motto (della Scuola Possibile): "Si può fare". La Scuola Possibile nel mondo, per fare luce sulle cose belle e di qualità
che vengono realizzate dai docenti in ogni scuola, facendo rete, unendoci a tutti i livelli per fare emergere finalmente dall'oscurità il lavoro certosino fatto con passione da
tutti gli attori principali dell'azione educativa, 'si può fare?' La formazione (quella buona) crediamo sia la via per "sostenere" persone capaci ed abili, autonome, critiche ed
ironiche, perché la scuola è un luogo fondamentale per costruire una nuova visione del mondo, in cui ogni persona possa diventare un caposaldo per lo sviluppo futuro di
una società integrata e solida.
Certo è che dopo tre anni di estenuante ricerca nell'ottenere un'intervista ad uno dei Ministri MIUR, ero lì: tenacia? Ostinazione? Piglio? Fortuna? Forse il mix di tutte queste
chiavi di accesso porta ad ottenere ciò che si cerca, in poche parole, una grande soddisfazione soprattutto perché parlo della Scuola che pratico e in cui credo.
Come per tutte le novità, come per tutti i cambiamenti nulla è perfetto, tutto è perfettibile, quello che rimarrà un mistero: "Come mai ogni volta che c'è un cambio di rotta si
parte sempre da zero, non si potrebbe per una volta iniziare da tre, dalle cose buone e giuste che nella scuola funzionano, senza toccarle e rivedere invece tutto da capo?".
Per ora posso solo ringraziare per avere ottenuto la sua massima disponibilità all'ascolto.
Nel prossimo numero leggeremo l'intervista che farò al Ministro, per cercare di capire quanto veramente gli aspetti progettuali della Scuola possono essere valorizzati,
sfatare dubbi e perplessità e scoprire le ultime novità "nel bene e nel male": un cambio di rotta verso una "Scuola Possibile" su tutto il territorio, sarà realizzabile?
Noi docenti 'possibili' ci siamo e, in questo momento, la visibilità che mi dà l'essere tra i cinquanta finalisti al Global Teacher Prize mi rende 'testimonial' di questa
...possibilità!
di Barbara Riccardi
Il Ministro incontra la nostra Barbara.
Esempio di una scuola diversa, buona e possibile.
(Articolo tratto da il Messaggero online del 23 dicembre)
Il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini ha incontrato la romana Barbara Riccardi, unica finalista italiana fra i 50 docenti candidati al Global Teacher Prize, il "premio
Nobel" degli insegnanti.
È stato lo stesso ministro a darne conto sul proprio profilo Facebook: "Di Barbara mi ha colpito l'entusiasmo che mette nel raccontare la quotidianità del suo lavoro con gli
alunni dell'Istituto "Frignani" di Roma. Una scuola di Spinaceto, nella periferia sud-ovest della Capitale, dove il progetto di gemellaggio fra i suoi alunni di primaria e quelli di
un istituto di Parigi sta cambiando la mentalità dei bambini, ma anche delle loro famiglie".
La Giannini, che ha anche pubblicato delle foto dell'incontro al ministero, ha colto l'occasione per scrivere anche della questione delle periferie: "Credo che il 2016 debba
essere un anno in cui dare grande attenzione alle periferie. Il Governo lo ha fatto stanziando nella legge di Stabilità risorse per la riqualificazione. Che passa anche dal tema
della conoscenza. Per questo sosterremo la candidatura di Barbara, come esempio di una scuola diversa, buona e possibile. Visiterò presto l'Istituto di Barbara, per
conoscere da vicino i suoi progetti. La sua storia può servirci per accendere ancora di più il faro sul valore dei nostri insegnanti e sull'importanza che la loro voglia quotidiana
di educare e innovare riveste nella vita dei nostri ragazzi. Serve uno sforzo di tutti per cambiare passo".
dalla Redazione
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Il faccia a faccia con la Dott.ssa Daniela Lucangeli
Il meccanismo emozionale, la spinta propulsiva a fare meglio
L'intervista - di Riccardi Barbara
Il percorso professionale della Dott.ssa Daniela Lucangeli inizia con la Laurea in Filosofa. La vincita di un dottorato
della Comunità Europea presso la Facoltà di Scienze Cognitive dello Sviluppo è stata la prima esperienza che le ha
cambiato la vita indirizzandola verso "il fare" ricerca per lo studio di bambini con disturbi pervasivi dello sviluppo
conseguendo il titolo di ordinario in Psicologia dello Sviluppo presso l'Università degli studi di Padova.
1) Qual è la cosa che ha influenzato la sua esperienza lavorativa?
Durante il mio intervento ho raccontato di Tom e del principio del moltiplicatore che mi dice: "Se tu insegni raggiungi più
bambini possibili". Il principio del moltiplicatore è stato il motivo che ha attivato la mia ricerca. Quindi io che sarei una
ricercatrice vera e che sarei portata a studiare, una volta che il fenomeno l'ho capito, una volta che ho risolto la mia
curiosità, il mio bisogno, e ho raggiunto il mio amore di sapere, una volta che ho studiato per capire, questo diventa il
motore del mio studio. Perché mi metto ad insegnare e parlare agli altri? Perché altrimenti non arrivo ai bambini, capirlo
mi è servito arrivare "al humanitas" per diventare risorsa e avvalermene e farlo diventare un servizio per cui insegnare
significa seminare, è far crescere questo che è più che un seme, come dice Bauman: "Diventate coltivatori di anime",
volete un futuro? Invece di coltivare le piante, coltivate i prossimi coltivatori.
2) Come la scuola può occuparsi dei bambini con difficoltà per migliorare il loro apprendimento e in che modo
può creare ambienti adeguati di crescita? Uno degli obiettivi cardine dell'apprendimento credo sia l'ambiente e
quindi i docenti si dovrebbero focalizzare sul conoscere come si apprende e come si può apprendere, quindi non
occuparsi prevalentemente solo della difficoltà, perché potenziare l'apprendere significa già eliminare le difficoltà.
Quando invece queste sono molto più strutturate (quelle a base neurologica e biologica), allora l'insegnante ha bisogno
di imparare percorsi che siano più di sistema, fatti insieme anche agli specialisti che se ne occupano. Quello che però a
me preoccupa è che non so se davvero la scuola in questo momento sappia come si garantisce il migliore degli apprendimenti, intendendo con apprendimento l'intelligenza
ricca di emozioni, in cui ciascuno dà il meglio dei propri doni nella trasformazione della conoscenza, del sapere e dell'essere e lo trasforma in apprendimento passivo a
breve termine, retrattivo e prestazionale.
3) Ci può spiegare di cosa si tratta e come funziona il meccanismo emozionale?
E' un meccanismo straordinario in cui il cervello, attraverso meccanismi complessi di reazione biochimica attiva la reazione dell'organismo, quindi il battito cardiaco cambia,
la sudorazione cambia e la capacità di reagire dell'organismo intero dovrebbe migliorare. Quando supera una certa soglia, l'emozione determina un blocco, come se avesse
consumato tutta la spinta propulsiva e l'ottimo si può ottenere appunto grazie a questo principio di autoregolamentazione, in cui l'emozione mantiene questa spinta
propulsiva senza andare oltre la soglia, altrimenti questa diventa paura, angoscia, panico, passione smodata.
4) Dalla sua ricerca emerge che è possibile migliorare le potenzialità biologiche e sviluppare la plasticità cerebrale attraverso attività scolastiche, modalità
didattico-educative sulle quali puntare?
Si può comprendere facendo l'esempio di un muscolo, se noi facciamo gli esercizi giusti, il muscolo si potenzia. Se noi capiamo questo sui muscoli, possiamo capirlo sul
meccanismo plastico per eccellenza che è la vita cerebrale, che si può esprimere come la gemmazione continua di relazionali informazionali tra cellule. Il fatto di fare in
modo che attraverso gli stimoli che si trasmettono, non soltanto di conoscenza ma anche di relazioni, diventano portatori di informazioni che entrano dentro il meccanismo, lo
pervadono e determinano la gemmazione cellulare. Quindi tutto quello che noi diamo di informazione modifica, quello che in termini tecnici si dice connettoma, l'insieme
delle connessioni. Quanto è importante che gli insegnanti siano competenti in questo? E' l'infinito.
"Seguire" ogni volta gli interventi della Dott.sa Luncageli è come un corroborante per noi che facciamo scuola, una sferzata di buono ottimismo sul nostro fare ed essere
docenti. Il suo vedere e portare innovazione nelle metodologie di come sviluppare, ampliare e potenziare le componenti e le competenze dei nostri ragazzi, tutelando la
plasticità naturale della mente di ognuno in un modo del tutto innovativo. Nella sua ricerca le potenzialità si acquisiscono naturalmente, in quanto non siamo solo
componente fenotipo ma esperienza, apprendimento e ambiente sono il bagaglio delle nostre competenze. Le cognizioni crescono, si migliorano e si potenziano se c'è un
contesto in cui la mente viene costantemente esposta a continue sollecitazioni per non togliere il nutrimento alla plasticità, fonte necessaria per evolvere il sapere
apprendere cognitivo.
Grazie per l'incontro e per la magnifica opportunità di crescita personale e professionale per tutti noi.
di Barbara Riccardi
docente I.C. Via Frignani, Spinaceto - Roma, Counselor della Gestalt Psicosociale e Giornalista pubblicista
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Pagina n°2 - Area tematica Orizzonte scuola
Area degli articoli della pagina Articolo tratto dal numero n.58 dicembre 2015 de http://www.inviato-speciale.it
A proposito di Valutazione
dal RAV al PDM: perché è necessario mettere al centro dei processi educativi e didattici le azioni valutative
Orizzonte scuola - di Presutti Serenella
La L.107/ 2015, la "Buona Scuola", ha certamente riportato al centro dell'attenzione di tutti gli addetti ai lavori, e non solo, la Valutazione.
Le azioni valutative sono state identificate come prioritarie e necessarie, soprattutto quelle rivolte all'interno delle scuole, ai Dirigenti e al personale Docente, all'Offerta
formativa e agli esiti degli alunni e tutto il Sistema Scuola sembra essere investito all'improvviso da queste "urgenze", con scadenze serrate e ravvicinate tra loro di estrema
importanza per la vita stessa delle scuole, di chi ci lavora e di chi ne è il destinatario ultimo e utente, i nostri Alunni.
La recente Riforma ha riportato in auge un tema/problema della Scuola italiana, ne sottolinea senz'altro la centralità per i processi di istruzione e formativi, ma di sicuro non
"inventa" o reinventa il ruolo della autovalutazione/valutazione come se fosse una nuova scoperta.
Non mi soffermerò ancora sul ritardo storico, tutto nostrano, sulla messa a punto di un Sistema nazionale di Valutazione, fin troppo evidente ormai, ma credo dovremmo
invece interrogarci su cosa riteniamo davvero importante per le Scuole italiane, per la crescita e lo sviluppo dei nostri
alunni, per la crescita professionale dei nostri Docenti e di tutti noi che ci viviamo e lavoriamo tutti i giorni. Non credo però che
questi importanti processi di crescita possano essere affrontati tutti insieme e come d'incanto essere risolti nel migliore dei
modi.
La "maratona" serratissima iniziata quest'estate con il RAV, e che dovrebbe risolversi nel PTOF (Piano Triennale dell'Offerta
Formativa) a gennaio prossimo, non favorisce una crescita sana ed equilibrata delle scuole, ma credo purtroppo aiuterà molto
di più l'emersione di profonde disparità...
Credo anche che se vogliamo davvero centrare la valorizzazione delle differenze, nell'ottica dei percorsi di miglioramento, si
dovrebbe poter affrontare con minore affanno tutti i passaggi, con una scansione più sostenibile dei tempi di messa in atto e
di "conquista" della maturità dei diversi contesti nei comportamenti valutativi.
Ma non potremmo sottrarci dal confronto serio su questo ambito, sia nella dimensione nazionale che sovranazionale.
Le resistenze dei diversi attori, soprattutto quelle espresse dai docenti stessi nei confronti della Riforma, che siano legittime o
meno, in ogni caso da sole non servono ad affrontare e a risolvere il "gap" rilevato tra percorsi ed obiettivi raggiunti; abbiamo
estremamente bisogno di ridisegnare i tracciati dell' insegnamento e apprendimento per riprendere il senso di quello che facciamo nelle nostre scuole per i nostri
studenti.
Per poter valutare è necessario sapere cosa si vuole valutare; i più accredidati modelli di "evaluation theory" applicati nelle scienze sociali non prescindono da questo
punto, per cui è ineludibile il riferimento ad un quadro teorico sul quale tracciare il proprio percorso di autovalutazione/valutazione.
Primo punto: IL QUADRO DI RIFERIMENTO TEORICO E METODOLOGICO
Il nostro quadro di riferimento è rappresentato certamente dal documento(il primo apparso nel 2012) delle Nuove indicazioni per il curricolo, costruito sulla didattica delle
competenze piuttosto che sulle sole conoscenze disciplinari.
Abbiamo quindi bisogno di rivisitare tutte le nostre scelte didattiche sotto l'ottica del raggiungimento delle competenze chiave. I curricula contenuti nei POF delle scuole
debbono necessariamente partire dalle conoscenze per contestualizzarle nella realtà della classe, per essere in grado di riversare un sapere agito nelle diverse circostanze.
Secondo punto: LA "FORMAE MENTIS" PER LA COMPETENZA
Cosa mi rimane quando avrò dimenticato quello che ho studiato?
Come posso autovalutare e valutare chi è competente su cosa?
Per testare, provare e documentare i percorsi di competenza, devo sapere esattamente dove arrivare prima di partire. Il quadro di riferimento ci aiuta a disegnare la strada
per poter riconoscere il processo e i "punti di snodo", dove diventa possibile misurare se ciò che è in mio possesso possa essere valutato sufficiente o di più, rispetto al
necessario ed ineludibile!
Terzo punto: PREPARARE LA "PROVA STANDARD"
Organizzare un "sistema validato" di valutazione interno alle scuole (prove standard per gli alunni, batterie di indicatori e di obiettivi condivisi), può rendere possibile
disegnare la misura della soglia tra conoscenza e crescita; imparare a predisporre l'insegnamento tra l'area confort e l'area prossimale dello sviluppo delle possibilità di
apprendimento, può favorire il salto in avanti, autovalutando la propria capacità personale e collettiva di avanzamento..."Le funzioni prima si formano nel collettivo, nella
forma di relazioni tra bambini e così diventano funzioni mentali per l'individuo" (Vygotskij, 1934)... per appropriarsi di una competenza, oltre che della conoscenza.
Un sistema scolastico per affrontare un percorso che porti dalla conoscenza alla competenza, dall'analisi del contesto al miglioramento, dovrebbe porsi tra la definizione di
cosa sia lo "standard" e individuare la propria zona confort raggiunta, misurabile, per disegnare la possibilità prossimale di crescita; il percorso metodologico è lo stesso per
gli alunni.
In questa ottica diventa maggiormente comprensibile il passaggio dal RAV, metodologicamente "prescrittivo", con l'obiettivo di documentare per poter leggere il "dato",
l'oggettivazione di un contesto, al PIANO DI MIGLIORAMENTO, posizionato in un'area di possibile raggiungimento...prossimale allo sviluppo appunto.
Le azioni descritte sono azioni complesse, e come tali colgono le complessità individuali e collettive, tessute sul reticolo delle relazioni significative e coerenti con il contesto
di appartenenza; un'azione di Sistema che ha bisogno di tempo e dei tempi, soprattutto dei tempi della formazione, lenti e costanti per poter misurare il tipo di accelerazione
possibile.
Cominciamo a disegnare questi percorsi nelle nostre comunità professionali e di apprendimento se vogliamo crescere.
di Serenella Presutti
Dirigente scolastica, psicopedagogista e counsellor
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Il ruolo del pensiero nel benessere emotivo
Il modello ABC dell'Educazione Razionale Emotiva di Mario Di Pietro
Orizzonte scuola - di Melchiorre Simonetta
"Esiste una connessione diretta tra il modo in cui i bambini provano sentimenti e quello in cui si comportano;
quando i bambini "sentono" nel modo giusto, si comportano nel modo giusto;
come possiamo aiutarli a sentire nel modo giusto? Accettando le loro emozioni."
Adele Faber & Elaine Mazlish, "Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino", Oscar Mondadori
Questo passaggio tratto da un libro consigliatomi da un mio carissimo amico, nasconde molte verità, apparentemente semplici da cogliere, estremamente difficili da mettere
in atto nella pratica quotidiana, indispensabili se vogliamo imparare ad entrare veramente in relazione con i nostri alunni.
Questa affermazione e ciò che sottende, è ancora più meritevole di attenzione perché non riguarda solo i nostri bambini o gli alunni incontrati a scuola, ma tutti noi, riguarda
il nostro modo di essere al mondo, di affrontare ciò che ci accade mentre viviamo, riguarda il nostro modo di entrare in relazione con il nostro prossimo, dal capoufficio, all'
amico del cuore, dall'elettricista che entra nella nostra casa per una riparazione, alla persona che abbiamo deciso di amare.
Anni fa, in occasione della stesura della mia tesi, "incontrai" la Terapia Razionale Emotiva, introdotta
in Italia dallo psicologo e psicoterapeuta Mario Di Pietro ed estesa anche alla pratica educativa
come Educazione Razionale Emotiva, con il modello ABC.
Mi colpì il suo approccio,dava risposte di senso alle mie domande sull'alfabetizzazione emotiva e
sulla qualità della relazione, così decisi di farle mie, di lavorarci su.
Come al solito sono partita da me per sperimentare l'efficacia di questo percorso e cominciai a
operare sui miei pensieri, allora però misi solo un piccolo seme, il grande lavoro credo di averlo
affrontato in questo ultimo anno e mezzo, grazie all'incontro con un'altra persona speciale, per me
un maestro, che ha saputo aiutarmi a colmare il puzzle iniziato, con i tasselli mancanti. Un lavoro
che continua ancora oggi, un compito che impegnerà credo tutta la mia vita, professionale e privata.
Quest'anno ho avuto il piacere di incontrare il dott. Di Pietro come relatore in un workshop
organizzato in occasione dell'ultimo convegno della casa editrice Erickson a Rimini. Appena ho
saputo della sua presenza mi sono affrettata ad iscrivermi, a distanza di anni avrei avuto il piacere di
assistere ad una sua lezione, di ascoltare le sue riflessioni, proprio ora che mi sentivo pronta a
mettere insieme tutti i pezzi, ora che stavo seriamente lavorando sul pensiero come fattore in grado di influenzare la qualità e la quantità dell'emozione provata.
In breve cercherò di sintetizzare, in alcuni passaggi, il pensiero che sottende l'Educazione Razionale Emotiva.
1. Primo grande assunto:Le reazioni emotive ai diversi eventi sono influenzate dal modo in cui l'individuo rappresenta nella propria mente questi eventi, dal modo in cui
pensa ad essi.
2. Molti dei nostri contenuti mentali sono un'elaborazione delle varie esperienze pregresse.
3. L'esperienza soggettiva però non è sufficiente per creare contenuti mentali funzionali. Il cane non è un lupo, so che sicuramente non mi sbranerà, ma io, ad esempio,
vivevo la vicinanza di un cane con la stessa angoscia e sensazione di pericolo che se mi fossi trovata a combattere per la mia stessa vita. Per fortuna questo panico,
lavorando sulle mie percezioni reali e immaginarie, si è quasi completamente dissolto, adesso riesco a trovarmi nella stessa stanza con un cane senza sentirmi in pericolo di
morte.
4. Allo stesso modo, possiamo coltivare convinzioni irrazionali su noi stessi o sul mondo e per questo sabotare la nostra vita e la realizzazione dei nostri obiettivi.
5. Tali convinzioni irrazionali, che si formano attraverso esperienze sensoriali (parole, messaggi non verbali trasmesse dai nostri genitori prima, dagli insegnanti, dagli amici
poi),nel corso degli anni si consolidano, divenendo inconsapevolmente abituali senza che vengano mai messe in discussione, diventano appunto le nostre convinzioni
("sono incapace di...", "non riesco a...", "questa cosa proprio non mi riuscirà mai"..."questo avvenimento non riuscirei a sopportarlo").
6. Queste convinzioni si presentano sotto forma di dialogo interiore, i pensieri, o sotto forma di dialogo sociale.
La terapia razionale emotiva con il modello ABC dice
qualcosa di molto semplice ma imprescindibile per chi
come noi lavora nel campo della relazione prima di ogni
altra cosa.
Secondo tale approccio non è ciò che ci accade, le
avversità e le difficoltà, a determinare la risposta emotiva,
quanto i pensieri che noi agiamo di fronte all'evento, come
ce lo raccontiamo.
E' possibile, educando il pensiero, insegnare come
superare le emozioni dannose e vivere emozioni
positive.
Ciò non significa non essere spontanei, non provare
emozioni o limitare la propria sfera emotiva, ma piuttosto
pensare gli avvenimenti e le relazioni in modo costruttivo,
utile, benefico.
Un insegnante può lavorare sul pensiero, sulla capacità
narrativa, sul racconto di sé e della realtà per favorire lo
sviluppo armonico dei suoi alunni.
Le domande che dobbiamo porci, di fronte ad una
reazione emotiva, per comprendere se è funzionale
oppure no sono le seguenti:
- Come mi fa sentire ciò che sto provando? (Dimensione qualitativa)
- Cosa comunico agli altri quando provo questa emozione? (Aspetto sociale, dimensione qualitativa)
- Quanto sono attivato dal punto di vista fisiologico? (Dimensione quantitativa)
- Come mi comporto? Le mie reazioni sono controproducenti oppure portano ad un risultato positivo? (Dimensione qualitativa)
Secondo l'E.R.E. almeno tre criteri su quattro indicano se l'emozione che si sta provando è disfunzionale oppure no.
Il film di animazione Inside Out, ha ricevuto moltissimi commenti positivi, è piaciuto ai piccoli e ha catturato l'attenzione dei grandi. Personalmente ho trovato molto utile che
si superasse la visione per la quale alcune emozioni, come la rabbia e la tristezza, andrebbero rimosse. Certo, l'essere umano costruisce la propria esistenza cercando di
raggiungere l'equilibrio, il benessere, la gioia ma, a volte, per raggiungere tutto questo, capita di passare attraverso un evento doloroso che, se ben utilizzato, può diventare
un potente acceleratore di cambiamenti; questo è un messaggio del film che condivido. Una lettura presente nel film che però non funziona, è l'idea che l'essere umano sia
guidato ciecamente dalle sue emozioni, che esista un centro di controllo che decida come dobbiamo vivere la nostra vita, quali emozioni provare, in quali circostanze e con
quali intensità.
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Avrei trovato più interessante e anche più corretto che il film veicolasse il messaggio che l'uomo può dialogare con se stesso e con la realtà che lo circonda, che può
decidere di non essere in balia dell'attivazione immediata, della risposta automatica, inserendo dei processi di pensiero tra lo scorrere della vita e le emozioni che altrimenti
si impadronirebbero di lui. Cominciare fin da piccoli a lavorare sui nostri dialoghi interiori diventa indispensabile per divenire consapevoli di noi stessi, di ciò che accade in noi
mentre sentiamo una determinata emozione, per abituarci ad identificare i pensieri che sottendono il nostro sentire.
Mettere insieme questi due sguardi: l'ascolto e
l'accettazione di qualunque emozione, senza giudizio,
colpevolizzazione o biasimo e la cura nel cercare di
riconoscere e rimuovere i pensieri nocivi, disastrosi o
vittimistici, per sanare quel sentire che non corrisponde
alla realtà ma è lettura catastrofica e virale, è un compito
che l'insegnante può e deve assumersi nei confronti dei
suoi alunni, partendo sempre da se stesso, dalla sua vita,
dal suo sguardo, dai suoi pensieri.
Attenzione, ascolto e fiducia sono le parole d'ordine di
questo processo.
di Simonetta Melchiorre
Insegnante di scuola primaria e art counselor, I.C. Maria
Montessori, Roma
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Identita' di genere e Teoria del Gender
Essere rispettati nel nostro essere 'unici'
Orizzonte scuola - di Pellizzaro Francesca
Tornata dal convegno Erickson, dove avevo sentito interventi e commenti polemici sull'argomento dell'identità di genere, la mia amica e collega Lucia mi invita ad un evento
serale, organizzato dalla parrocchia di San Frumenzio (Prati Fiscali, a Roma), in cui si parlerà della polemica nata intorno alla cosiddetta "Teoria del gender", relativamente
al comma 16 della legge 107 sulla "Buona scuola", di cui riporto uno stralcio: "Fra queste azioni messe a sistema rientra a pieno titolo l'educazione alle pari opportunità e la
prevenzione del bullismo (nelle varie sfaccettature che esso può assumere, sia reale sia virtuale), oltre che della violenza contro le donne." Personalmente penso dovrebbe
essere un'azione logica e sana, che non abbisogna di leggi, o no? Inoltre tutto ciò si rifà all'art.3 della Costituzione...
Però cerco sul web, per capirne di più: "Con il nome di teoria del gender viene definita, da una
precisa corrente del pensiero cattolico, una teoria secondo cui non esistono differenze biologiche
tra i sessi (a parte quelle puramente fisiche) e che quindi proclama l'eguaglianza assoluta tra
maschi e femmine. Questi attivisti cattolici affermano che alcuni organismi internazionali e
potenti lobby di potere LGBTI promuovono questa ideologia attraverso, fra le altre cose, la
sostituzione del termine "sesso" con il termine "genere", l'estensione alle coppie dello stesso
sesso del diritto al matrimonio, all'adozione, e alle tecniche di riproduzione assistita."
Mi fermo qui, perché le pubblicazioni sono numerosissime, interessanti e.....interpretabili in modi
contrastanti!
Vado alla riunione incuriosita e decisamente confusa.
Per essere un evento organizzato da religiosi è molto sui generis: il sacerdote referente presenta
i relatori, il prof. Gigante, insegnante in un liceo e il dott. Nebbiosi, dell' Istituto di
Specializzazione in Psicologia del sé e Psicoanalisi relazionale (ISIPSE), che subito
tranquillizzano i presenti riguardo alla legge, che non deve preoccupare, ma che è stata mal
interpretata, se non addirittura strumentalizzata.
Il dottore spiega che una persona si "costruisce" sin dall'infanzia e che è importante come si
sente in quanto maschio o femmina; che ognuno ha bisogno di essere accettato e amato e che
nella crescita mente e corpo si fondono: ogni individuo diventa mente di un corpo sessuato.
Tanto più si ama e si rispetta il proprio corpo e quello altrui, tanto meno se ne ha paura, se invece non ci rispettiamo è difficile rispettare il diverso da noi.
Così sono i bulli, che non hanno un senso "buono" del proprio esserci e manipolano gli altri per rabbia.
E per parlare della distinzione di genere, secondo il dott. Nebbiosi è un'illusione che per far crescere una persona "sana" esistano norme o ricette prestabilite, ciò che si è
deriva anche da quanto siamo stati rispettati nel nostro essere "unici" e in mezzo a tante differenze, l'amore è una costante, il sentirsi amati è fondamentale per una
crescita serena.
Nell'incontro si è poi puntualizzato che, più che di Teoria del gender (grossolana traduzione dall'inglese), si dovrebbe parlare di studi di genere, iniziati negli anni 80 a New
York.
Studiare il "genere" significa, ad esempio, occuparsi di come sia cambiato nel corso della storia il ruolo della donna nelle società oppure del perché uomini e donne si
comportino diversamente. Una volta "studiato" il genere, lo scienziato proporrà la sua teoria. Lo storico sosterrà un'ipotesi della condizione della donna nella Roma antica, lo
psicologo invece una sulla differenza o sulla somiglianza tra i due sessi per quanto riguarda, per esempio, l'abilità nelle materie scientifiche. E' in questo senso che le
discipline scientifiche parlano di "teorizzare il genere".
La stessa identità sessuale non è definibile in tutti i suoi elementi costitutivi, si tratta più di un "coacervo soft", che in ogni individuo si esplica in modo diverso; non è quindi
solo la biologia ad essere determinante. Personalmente non mi sembra quindi che ci sia nessun tentativo di destabilizzare o distruggere la famiglia (che, scusate la battuta,
spesso si distrugge da sé!), ma semplicemente un invito ad accogliere le persone che si sentono intrappolate in una visione rigida e unidirezionale di essere umano o di
famiglia, per non costringerle ad adattarsi ad una dimensione non loro (il dott. Nebbiosi ha concluso dicendo che la PAURA è più forte del CORAGGIO e, da insegnante, mi
sono spesso trovata di fronte ad adolescenti confusi, spaventati e soli di fronte a giudizi e pregiudizi, tanto da far prendere loro decisioni sbagliate, a volte irreparabili).
E da madre mi faccio una domanda, che rivolgo a tutti i genitori: preferirei crescere un figlio infelicemente omologato o una persona coraggiosamente diversa e serena?
di Francesca Pellizzaro
docente di sostegno IC Belforte del Chienti -Roma
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Il contatto vuoto e l'eclissi della relazione
La prevenzione delle dipendenze patologiche
Orizzonte scuola - di Laporta Antonia
L'azione di prevenzione, nell'area delle dipendenze, è finalizzata non tanto ad evitare il disagio ma a promuovere il benessere, all'interno di un orientamento di pensiero che
considera la salute non più come assenza di malattie, ma come uno stato complessivo di benessere della persona.
Per la Gestalt Psicosociale, infatti, la crescita della persona, in rapporto ad un ambiente difficile, è determinata non dall'annullamento delle difficoltà o dei disagi, ma dalla
capacità di scoprire una soluzione e il superamento di tali problematicità. Considerando che la fascia di età colpita oggi dal rischio di contrarre dipendenza è quella fra
i 12 -17 anni, le strategie di prevenzione richiedono approcci diversificati che coinvolgano tutti coloro che possano e vogliano contribuire attivamente a migliorare la qualità
della vita presente nel proprio contesto socio-ambientale.
In un intervento di prevenzione (primaria, indicata, selettiva e universale), dunque, possono essere coinvolti i ragazzi, gli insegnanti, i genitori, gli operatori socio-sanitari, gli
enti pubblici e privati.
In linea con i principi della metodologia della Gestalt Psicosociale, un progetto di prevenzione efficace, che tenga conto più dei fattori protettivi che di rischio, dovrebbe
articolarsi nei seguenti punti:
- metodo attivo che coinvolga direttamente i partecipanti e promuova relazioni efficaci
- orientato al trasferimento di competenze ad altri operatori
- avere una durata adeguata a creare e sostenere degli apprendimenti di nuove conoscenze
- essere uno strumento di contatto"di rete" fra i diversi soggetti coinvolti: famiglia, scuola, territorio
Lo psicoterapeuta può attivare molte risorse all'interno dei diversi contesti in cui è possibile promuovere interventi di prevenzione, ponendosi nel ruolo di moltiplicatore di
meccanismi positivi di confronto e scambio fra le diverse realtà presenti.
di Antonia Laporta
Docente scuola primaria Largo Oriani, Roma, Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt psicosociale e Formatrice
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Pagina n°3 - Area tematica Didattica Laboratoriale
Area degli articoli della pagina Articolo tratto dal numero n.58 dicembre 2015 de http://www.inviato-speciale.it
Momenti di narrazione
Come recuperare l'abitudine all'ascolto di storie
Didattica Laboratoriale - di Ansuini Cristina
"Il mondo possibile della narrativa
è l'unico universo in cui noi
possiamo essere assolutamente sicuri di qualcosa,
e che ci fornisce una idea molto forte di Verità."
Umberto Eco
La società dell'immagine e dell'informazione istantanea ha tolto un po' il gusto della narrazione: i bambini sono sempre meno
abituati all'ascolto ed anche alla comprensione delle storie.
Seguire il filo di un racconto non è così scontato come lo era un tempo; questo lo possiamo verificare nei ritmi frenetici che
spesso hanno film e video, anche per i più piccoli.
Non è questione da poco, visto che la mancanza di familiarità con la narrazione limita la creatività dei bambini e favorisce la
standardizzazione.
L'età cruciale su cui investire in creatività è proprio quella della scuola primaria, tra i 6 e i 10 anni, quando i bambini, una
volta apprese le strumentalità di base, formano il loro pensiero ed i loro modo di rapportarsi alla realtà.
"Sia che si tratti dei sentimenti, delle conoscenze, dei pensieri, dei giudizi, delle convinzioni e dei ragionamenti dei bambini,
l'inizio di questa "infanzia di mezzo" promette una nuova maturità e un nuovo desiderio di apprendere riconosciuto in ogni
cultura. In tutto il mondo, è circa a sette anni che i bambini acquistano una crescente consapevolezza della più ampia società
che esiste attorno alla famiglia: vogliono quindi acquisirne le conoscenze e le abilità, hanno bisogno di imparare la storia,
cercano di comprenderne gli interessi e le aspirazioni. E poiché i bambini sono, prima di tutto, animali sociali, apprendono
tutto ciò in un contesto di sistemi di valori sociali e fanno proprio il comportamento agli appartenenti al loro gruppo sociale."
Penelope Leach, Children first
Vale dunque la pena di ritagliare dei tempi - e degli spazi - per organizzare dei momenti dedicati specificatamente alla
narrazione, creando dei circoli delle storie, scegliendo diverse tipologie di racconto, calibrandole sulle occasioni, sui cicli stagionali, leggendo un libro a puntate o
semplicemente un brano che ci ha colpito.
COME ORGANIZZARE I MOMENTI DI NARRAZIONE?
È importante che ci sia una certa ritualità, degli elementi che facciano riconoscere il momento e l'attività in sé.
Seguire una cadenza fissa aiuta a creare l'atmosfera giusta e ad ottenere risultati migliori:
1. Creare uno spazio ed un tempo ben definiti: la narrazione ed il teatro creativo- la drammatizzazione che ne può venir
fuori - hanno la caratteristica di "allontanare" la realtà e di permettere così ai bambini di uscire per un attimo da se stessi e di
diventare persone nuove in un ambiente nuovo. Per preparare al meglio questa attività, si può pensare ad una "formula" di
ingresso - una frase concordata, una piccola filastrocca... - che renda ancora più netto il distacco dalle cose quotidiane. Può
andare bene "Ohibò!" come "Salacadula" come "Tanto va la gatta al lardo..." L'importante è che sia condivisa.
2. Disporsi in cerchio, in modo che sia facile lo scambio oculare e l'ascolto, la modulazione della voce, le espressioni
facciali...
3. Raccontare o leggere una o più storie, un brano di un libro familiare, una "puntata" del libro dell'anno...
4. Fare un rapido giro per sentire le varie impressioni sul racconto e magari improvvisare un gioco dei mimi per sottolineare
le caratteristiche dei personaggi. L'aspetto della drammatizzazione è molto importante e può essere curato in base alle
competenze di ognuno: dal teatrino delle ombre al kamishibai giapponese (teatrino di immagini), dalle marionette a dita ai
cambi di voce e di espressione.
5. Chiudere sempre l'esperienza con un disegno: il suo linguaggio è immediato e fermerà i momenti importanti. In questa
fase è bene tornare ad una sistemazione dell'aula più tradizionale: si esce dal cerchio della storia e si inizia un altro tipo di
attività.
6. Con i bambini più grandi si può procedere alla scrittura di piccole storie ispirate a quelle ascoltate. Alla fine di un tempo
prestabilito, chi vorrà potrà condividere la sua storia con il gruppo.
COME FARE SE NON C'E' TEMPO?
Attività come questa sono molto impegnative, occupano circa due ore e, pur dando grandi risultati nell'ambito dell'armonia del gruppo e della comunicazione, non è certo
pensabile svolgerle spesso, meno che mai quotidianamente.
Per riportare però i bambini ad un clima di ascolto e di riflessione positivo, che si sta perdendo nella frenesia dei messaggi di cui siamo costantemente destinatari e mittenti,
è bene creare un'abitudine quotidiana alla narrazione, legata alla lettura condivisa; un'abitudine che potrà essere arricchita e migliorata via via che i bambini prenderanno
confidenza con queste modalità.
Parallelamente si possono creare dei laboratori di narrazione, a cadenza mensile, in cui l'attività verrà sviluppata e in cui tutte le
fasi del percorso possano essere realizzate.
Sarà un modo per riprendersi degli spazi e dei tempi di qualità, che miglioreranno non solo la modalità di ascolto, la comunicazione
e la relazionalità, ma faciliteranno trasversalmente tutti gli apprendimenti, rendendo familiare la capacità di riflettere e di
concentrarsi.
di Cristina Ansuini
Dottore in Psicologia, Docente presso la scuola "2 ottobre 1870", I.C. Piazza Borgoncini Duca, Roma
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Apprendere dal fare
L' apprendimento significativo a partire dalle esperienze dirette
Didattica Laboratoriale - di Ventre Angela
Non poco tempo fa qualcuno aveva coniato lo slogan "learning by doing" - apprendere partendo dal fare e quel qualcuno era il famoso pedagosista Dewey.
Un motto su cui oggi la scuola italiana, in preda a un turbine di cambiamenti, dovrebbe riflettere e
interrogarsi.
Da qualche anno ormai nelle nostre aule, per favorire l'apprendimento, vengono utilizzati gli strumenti e le
metodologie didattiche più disparate, sicuramente efficaci...ma non per tutti: lezione frontale, per gruppi di
apprendimento, con LIM, tablet, pc, e-book, ecc.
I docenti si ritrovano a dover gestire modi e stili di vita e di apprendimento diversi, con le eventuali
difficoltà che ne conseguono, e dovrebbero "consapevolmente" adattare la didattica agli alunni e ciò non è
sempre facile.
Utilizzare le esperienze concrete, le attività pratiche ed operative, quelle già presenti nel bagaglio
personale dell'alunno, potrebbe rappresentare una delle alternative ad una forma di insegnamento ancora
troppo statica, concentrata prevalentemente sull'acquisizione di conoscenze a volte poco spendibili nella
attuale società, meno ancora in quella futura.
L'apprendere partendo dal fare consentirebbe all'alunno una maggiore consapevolezza di se stesso, delle
proprie capacità e dei propri limiti -che è sempre un bene in fatto di educazione- e svilupperebbe anche le
tanto agognate soft skills (conoscenze, abilità, competenze dolci...) che effettivamente, durante una
lezione frontale, è ben difficile che emergano (Federazione Italiana Survival).
L'apprendere partendo dal fare presuppone una didattica basata sull'osservazione e
sull'interazione; le nozioni si presentano in maniera sperimentale e l'apprendimento non è più deduttivo ma induttivo: dal fare al sapere, prima l'esperienza e poi la
conoscenza.
A testimonianza di come l'apprendere facendo possa essere efficace, voglio descrivere brevemente l'esperienza fatta dai miei alunni, ragazzi di prima media, nel laboratorio
diScienze Sperimentali di Foligno. Usufruendo di ampi e attrezzati laboratori di fisica, chimica, biologia, microbiologia e astronomia, i ragazzi hanno utilizzato in modo
sperimentale le informazioni raccolte dal contatto diretto con la Natura e operato direttamente, sotto l'occhio vigile dei docenti di laboratorio e degli
insegnanti/accompagnatori, solo dopo aver effettuato le osservazioni e aver formulato ipotesi.
Attraverso una partecipazione attiva, sentita e consapevole, i ragazzi hanno utilizzato il risultato degli apprendimenti in ambienti reali, sperimentando ciò che hanno provato
direttamente (attualizzazione dell'esperienza), ciò che hanno vissuto (integrazione qui ed ora della pluralità dei contesti) e che potranno vivere in futuro (previsione e
virtualità).
L'apprendere partendo dal fare respinge il ruolo passivo, dipendente e sostanzialmente ricettivo dell'allievo , sostituito con la partecipazione vissuta in cui è coinvolta
tutta la sua personalità.
L'alunno impara immerso nelle situazioni, opera su di esse e quando è possibile impara ad intervenire apportando modifiche.
Nell'apprendimento del fare l'alunno è coinvolto anche emotivamente.
Quindi è importante rinnovare il modo di fare lezione, adattandolo agli studenti e alle loro modalità di apprendimento: consentiamo loro di crescere, formarsi e spendere al
meglio le conoscenze e le abilità, affinché diventino autonomi e competenti.
di Angela Ventre
Insegnante di sostegno I.C. "Alfieri - Lante della Rovere" di Roma
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