la via appia antica

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la via appia antica
ENTE REGIONALE PARCO DEI MONTI AURUNCI
Viale Glorioso, snc 04020 Campodimele (LT)
Tel. 0771 598114/30 - Tel./Fax 0771 598166
sito web: www.parchilazio.it e-mail: [email protected] [email protected]
REGIONE LAZIO
LA VIA APPIA ANTICA
NEL PARCO NATURALE DEI MONTI AURUNCI
a cura del Prof. Lorenzo Quilici
L’intervento è finanziato dalla Regione Lazio in accordo
con il Ministero dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio,
di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze (APQ7 II°)
Responsabile Unico del Procedimento:
Ermenio Corina
A cura del Parco Naturale dei Monti Aurunci
Commissario Straordinario:
Mauro Antonelli
Direttore:
Giorgio Biddittu
Settore Amministrativo Promozione Sviluppo
Dirigente:
Corrado Boccia
Settore Tecnico-Tutela
Dirigente:
Giuseppe Marzano
Testi:
Lorenzo Quilici
Foto:
Lorenzo Quilici
Giorgio Biddittu
Michele Venditti
Progetto grafico:
Stampa:
Tipografia Anxur
Un nuovo risultato da aggiungere a quelli conseguiti in pochi anni dal Parco Naturale dei Monti Aurunci: la realizzazione di una guida per l’interpretazione del tracciato dell’Appia Antica e di una serie di pannelli divulgativi
allestiti lungo il percorso che si snoda per più di tre chilometri all’interno dell’area protetta. Grazie all’accresciuto
impegno dell’Assessorato all’Ambiente e Cooperazione tra i Popoli per la tutela e la valorizzazione delle aree protette del Lazio, il recupero di un tratto del tracciato dell’Appia Antica che si snoda nel Parco Naturale dei Monti
Aurunci si traduce oggi in azioni concrete che arricchiscono l’area protetta di nuovi elementi d’interesse per i visitatori del Parco, per il mondo della scuola, per gli studiosi, rafforzando in tutti coloro che in questi anni si sono
battuti per l’istituzione delle aree protette la consapevolezza di percorrere una strada giusta, per consentire a tutti
di conoscere e vivere in aree dove i valori ambientali sono ancora al centro dell’attenzione, per un futuro dove le
relazioni tra uomo e ambiente possano svilupparsi in armonia, secondo i principi della sostenibilità.
Filiberto Zaratti
Assessore all’Ambiente e Cooperazione tra i Popoli
Se le pietre dell’Appia Antica potessero parlare… racconterebbero a partire dal 312 a.C. della scelta accurata del
tracciato, delle fatiche per il taglio delle rocce, per i terrazzamenti e i ponti realizzati nelle valli più impervie, per
la sistemazione del lastricato, per la realizzazione di templi ed enormi cisterne. Racconterebbero di legioni romane
in marcia, di mercanti diretti in Oriente, di battaglie e di agguati di briganti, di viaggi straordinari e di eventi
quotidiani, di personaggi comuni e di miti della storia, fino alle soglie dei nostri giorni. Una strada che nei secoli
ha attraversato e determinato il destino di popolazioni vicine o lontanissime da Roma.
Più di duemila anni di storia che ancora oggi riservano agli studiosi sorprese continue, come quella lungo il tratto dell’antica strada tra Itri e Fondi, dove sono stati individuati dal Prof. Lorenzo Quilici i resti di un grandioso
tempio dedicato ad Apollo. Un tratto di strada lungo più di tre chilometri, all’interno del Parco Naturale dei Monti
Aurunci, che la Regione Lazio, Assessorato all’Ambiente e Cooperazione tra i Popoli, in collaborazione con l’Ente di
gestione dell’area protetta, sta recuperando e restituendo alla fruizione dei visitatori; un tratto di Appia Antica di
particolare suggestione dove oggi le pietre finalmente “parlano” a tutti, con l’ausilio di questa guida e dei pannelli
allestiti lungo il percorso, e raccontano gli elementi più significativi che caratterizzano il tracciato della “regina
viarum” che attraversa questa area. Una strada straordinaria, che nel mondo non ha uguali e che qui, nel Parco,
lungo una stretta valle circondata da rocce di calcare e piante della macchia mediterranea, riesce a stupire e ad
aggiungere nuovi elementi di conoscenza alla storia dell’evoluzione dell’uomo.
Mauro Antonelli
Giorgio Biddittu
Direttore
Commissario Straordinario
INDICE
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Visione d’insieme della
Via Appia Antica nel Parco
Naturale dei Monti Aurunci
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Il Fortino S.Andrea
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Il Tempio di Apollo
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Piazzola di sosta
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La Via al Miliario Borbonico
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Il Ponte Rinascimentale
e l’Epitaffio
La Via Appia
La Via di Appio Claudio
La Via Appia
nella gola S.Andrea
La strada Borbonica
La strada Romana
LA VIA APPIA ANTICA
REGINA VIARUM
[... poi ho visto i sepolcri diruti lungo la via Appia: quella gente lavorava per l’Eternità; e teneva conto
di tutto, ma non poteva prevedere la stupidità dei devastatori, alla quale tutto ha dovuto cedere.]
Dal diario di viaggio, Italienische Reise, di W. Goethe lungo la via Appia nel 1786
La piana di Fondi [non può non sorridere a chiunque la percorra], coronata dalla sua [vasta e superba regione di monti
e di valli...]
Dal diario di viaggio, Italienische Reise, di W. Goethe lungo la via Appia nel 1786
Da Fondi [... seguendo l’Appia, da entrambe le parti fiancheggiata di mirto verdeggiante e di lauro,
si sale dolcemente ai colli feraci di vino e d’olio ove sta il Castello d’Itri.]
Dall’ Itinerarium Italiae totius, Colonia 1602
a cura del Prof. Lorenzo Quilici
Università degli Studi di Bologna
Facoltà di Lettere e Filosofia
Dip. di Archeologia
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VISIONE D’INSIEME DELLA VIA APPIA ANTICA NEL PARCO NATURALE DEI MONTI AURUNCI
VISIONE D’INSIEME DELLA VIA APPIA ANTICA
NEL PARCO NATURALE DEI MONTI AURUNCI
SITI STORICO
ARCHEOLOGICI
1 35° miliario borbonico.
2 Grande terrazzamento della Forcella, stazione di
sosta antica alla sommità del valico.
3 Casino di guardia borbonico.
4 Ponte borbonico, eretto da Ferdinando IV nel
1768 in relazione all’ammodernamento della
strada.
5 Calcara novecentesca.
6 La strada nell’imbrecciata borbonica del 1768,
sostenuta sul lato a valle da una colossale muraglia in opera quadrata di II-I secolo a.C.
7 Tratto lastricato dell’età di Caracalla (216 a.C.),
con muro di sostegno della via in opera quadrata
del II secolo a.C.
8 Piazzola lastricata di età borbonica, per lo spo-
gliamento delle acque piovane e il loro decorso
nel chiavicotto sul lato vallivo.
9 Tratto lastricato dell’età di Caracalla, con muro
di sostegno della via in opera quadrata del II-I
secolo a.C.
10 Fortino di S.Andrea, eretto in età napoleonica
sui colossali avanzi di un tempio di Apollo.
Il tempio, già esistente nel IV secolo a.C., fu
potentemente ristrutturato tra il II e il I secolo
a.C.
11 Stazione di sosta antica, con piazza ricavata nel
I secolo a.C. in cui è presente una cisterna in
opera incerta potenziata da strutture di accoglienza in opera reticolata.
12 Strada lastricata dell’età di Caracalla (216 a.C.)
e miliario borbonico.
13 Strada lastricata dovuta a un restauro di Filippo
II re di Spagna nel 1568.
14 Ponticello di età napoleonica.
15 Grandioso ponte di Filippo II re di Spagna, eret-
to nel 1568. L’arco, distrutto durante l’ultima
guerra, è stato ricostruito nel 2004.
16 Epitaffio di Filippo II re di Spagna, eretto nel
1568 da Parafàn de Ribera, duca di Alcalà e viceré di Napoli.
17 Cisterna romana pertinente a una stazione di sosta della strada, ai piedi del valico.
18 Strada selciata borbonica, con resti del terrazzamento in opera poligonale di età romana.
VISIONE D’INSIEME DELLA VIA APPIA ANTICA NEL PARCO NATURALE DEI MONTI AURUNCI
LEGENDA
Strada lastricata romana (216 d.C.)
Strada lastricata rinascimentale (1568)
Strada selciata borbonica (1768)
Monumenti sul percorso
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LA VIA APPIA
Lazio, la Campania, il Sannio, la Puglia: le regioni,
cioè, che allora costituivano la parte più ricca e
civile della Penisola. La strada, in tal modo, non
solo divenne la più importante arteria per il Mezzogiorno ma, attraverso Brindisi, divenuta la testa di
ponte per i traffici d’oltremare, fu anche il tramite
principale di ogni legame che venne a unire l’Italia
alla Grecia, al vicino Oriente e all’Africa.
LA VIA APPIA
La costruzione della via ha rappresentato nell’antichità un evento di straordinaria portata, non
solo dal punto di vista dell’ingegneria, ma per le
implicazioni storiche intese alla sua realizzazione,
che coinvolsero per più di un millennio le civiltà
bagnate da oltre la metà del Mediterraneo.
La via fu creata nel primo tratto, fino a Capua, dal
censore Appio Claudio nel 312 a.C., nel pieno della
Seconda Guerra Sannitica e dell’espansione romana in Campania; venne prolungata in seguito, per
Benevento, Venosa, Taranto e Brindisi, man mano
che le armi romane avanzavano nelle regioni meridionali, e fu conclusa prima del 191 a.C.
La via venne pertanto a percorrere tutta l’Italia,
allacciando il Tirreno all’Adriatico e attraversava il
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LA VIA DI APPIO CLAUDIO
LA VIA DI APPIO CLAUDIO
Quando Appio Claudio realizzò il primo tratto della
via, fino a Capua, si era nel pieno della Seconda
Guerra Sannitica e Roma mirava ad espandersi in
Campania, per esercitare la sua tutela su quella
città e su Napoli, sulle quali premevano gli interessi delle popolazioni italiche dell’Appennino.
Capua (oggi S.Maria Capua Vetere) era allora, per
importanza e grandezza, la terza città d’Italia,
dopo Roma e Taranto, e costituiva il più importante nodo per le comunicazioni per il Meridione,
allacciando, oltre alla Campania, all’Irpinia e alla
Puglia da una parte e la Lucania e il Bruzio (come
veniva chiamata la Calabria) dall’altra.
Appio Claudio intendeva far raggiungere quanto
più rapidamente possibile Capua, mèta delle ope-
razioni militari, fornendo un’alternativa al percorso
che la via Latina (cioè, all’incirca l’attuale via Casilina) apriva lungo le valli del Sacco e del Liri e
che rappresentava da secoli l’unica via naturale per
i collegamenti centro-italici del versante tirreno.
La via Latina, come tutte le strade a quel tempo,
era ancora formata non da un tracciato unitario,
ma dall’allacciamento spontaneo che si era sviluppato tra centro e centro contiguo, così da risultare
alla fine, sull’intera distanza, un percorso lungo e
tortuoso.
Il versante marittimo era stato invece, fino ad allora, quasi impraticabile, essendo sbarrato dalle
paludi Pontine, dai Monti Lepini, Musoni ed Aurunci, dalle paludi e dalle foci di grandi fiumi, quali il Garigliano e il Volturno. La via Appia, come
venne realizzata attraverso questi territori, costi-
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LA VIA DI APPIO CLAUDIO
tuì subito un modello del tutto nuovo nel quadro
delle comunicazioni, proprio perché fu progettata
con il carattere di una strada di grande comunicazione, attraverso un ambito geografico non solo
tanto arduo dal punto di
vista ambientale, ma che
a quel tempo si mostrava
soprannazionale. La strada ha rappresentato una
straordinaria conquista di
tecnica e di ingegneria,
con l’affermazione di un
disegno razionale anche a
costo di estremi sacrifici,
al di sopra delle avversità
prevaricanti, che tuttavia
non hanno disarmato dal
volerne realizzare la costruzione. Possiamo paragonarla, concettualmente,
alle moderne autostrade:
non si curava, infatti, di
allacciare le pur importanti città che incontrava sul
percorso, alle quali si collegava mediante bretelle
di raccordo, ma puntava diretta quanto più possibile al traguardo finale: Capua appunto, vista come
ultima mèta su di una lunga distanza. Il tracciato
fu condotto per questo su linee a perfetto rettifilo, traguardando i passi e i valichi obbligati dalla
conformazione geografica dei territori attraversati:
non preoccupandosi delle
difficoltà tecniche frapposte alla sua realizzazione
pur di rendere rapido il percorso. È esemplare di ciò
il primo tratto, tra Roma e
Terracina, tra le cui città il
collegamento fu condotto
con un unico straordinario
rettifilo di ben 90 km, con
i quali la via superava la
Campagna Romana, tutti i
Colli Albani, l’immensa distesa pontina (non curandosi ad esempio di allacciare Velletri, alla quale porta
invece la via moderna).
Così possiamo apprezzare i
bei rettifili che la via moderna, ricalcando l’antica,
conduce ancora nella piana di Fondi, alla base delle
montagne per aggirarne i laghi costieri. Altrettanto esemplare è il superamento del passo di Itri, che
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LA VIA DI APPIO CLAUDIO
costituiva un valico estremamente arduo, soprattutto per gli strapiombi rappresentati dal percorso
lungo la Valle di S.Andrea.
La Via Appia conduce infatti, tra Fondi e Formia,
un percorso spettacolare, dovendo oltretutto attraversare, al valico di Itri, le avversità dei Monti Aurunci. La via, solo in parte perpetuata dalla
strada moderna, conserva stupefacenti testimonianze della sua storia antica, con templi, ville,
mausolei, ponti, tagli rupestri, grandiosi viadotti
in opera poligonale, magnifici tratti di selciato
poligonale, miliari, fontane, stazioni di servizio,
ville sontuose.
Il percorso da Fondi si inerpica lungo la valle di
S.Andrea entrando nel territorio di Itri e lungo di
essa il tracciato attuale è stato creato alla fine
dell’Ottocento, deviando da quello antico: la via
oggi sale sul lato sinistro della valle, la via romana sul lato destro.
Quest’ultimo percorso è stato recuperato ai nostri
giorni a costituire il Parco Archeologico della Via
Appia Antica: vi si accede prendendo a destra la
carrareccia che si stacca dall’Appia attuale al km
125,8 (e che percorre già l’antica) e seguendola
per circa 700 m per raggiungere l’inizio della zona
archeologica e l’area di parcheggio; oppure staccandosi dall’Appia attuale a destra del km 129,6,
dove è presente un altro parcheggio. Tra i due parcheggi, seguendo la strada antica, vi sono 2 km.
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LA VIA APPIA NELLA GOLA S.ANDREA
LA VIA APPIA
NELLA GOLA S.ANDREA
Lungo la valle la Via Appia presenta un tracciato
particolarmente monumentale, dovendo superare
condizioni di terreno assai ardue: il fatto poi che
essa non sia stata ripercorsa dalla via attuale, ne
ha permesso il recupero e la valorizzazione in tutta
la sua evidenza spettacolare.
Sul percorso si segue la strada romana, incisa sul
fianco montano tagliando la rupe sul lato a monte
fino ad altezza di 4-6 m e terrazzando il lato a valle
con potenti muraglie in opera quadrata o poligonale, che si seguono per centinaia di metri, alte
fino a 12-14 m. La via è pavimentata in poligoni
di basalto vulcanico, larga in origine 4,2 m e fornita di marciapiedi in battuto sui lati. A metà del
percorso il paesaggio è dominato da un santuario
dedicato ad Apollo, che si sviluppa su colossali terrazzamenti di ultima età repubblicana e sul quale
si è impostato un fortino, il Fortino di S.Andrea, di
età napoleonica.
Lungo il percorso della strada si documentano tratti con i quali la via è stata mantenuta in efficienza
nei secoli medievali e moderni, con restauri e veri
rifacimenti, così che l’itinerario si presenta come
una straordinaria storia della tecnica stradale nel
LA VIA APPIA NELLA GOLA S.ANDREA
tempo, dall’epoca del suo costruttore, Appio Claudio alla fine del IV secolo a.C., fino alla fine del
XIX secolo.
Gli interventi di rifacimento più importanti sono
stati quelli alla fine del Cinquecento, dovuti al
duca di Alcalà, viceré di Napoli per conto di Filippo II di Spagna, e quelli di poco oltre la metà
del Settecento, dovuti a Ferdinando IV di Borbone.
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LA VIA APPIA NELLA GOLA S.ANDREA
L’intervento cinquecentesco si conserva soprattutto nel tratto più a valle del percorso di visita, con
il ponte rinascimentale e l’epitaffio che celebrava
l’opera, e la sede stradale si presenta in acciottolato guarnito di spina spartitraffico centrale, di
basoli antichi ricollocati; il rifacimento settecentesco si segue soprattutto nel tratto più a monte
del percorso, ma anche dopo, con la sede stradale
ben imbrecciata, piazzole di spogliamento dell’acqua piovana sul percorso, larghe cunette laterali
e il parapetto che accompagna ancor oggi tutto
il tracciato.
LA STRADA BORBONICA
LA STRADA BORBONICA
La via si presenta all’incirca come è stata ristrutturata nel 1767-68 da Ferdinando IV di Borbone: il
re di Napoli aveva rinnovato tutta la via Appia nell’ambito del suo regno, fino a Capua, e poi la strada
per Napoli, per accogliere la sposa, Maria Carolina
d’Asburgo, alla quale si era già unito in matrimonio
per procura e alla quale venne incontro a Fondi,
all’ingresso del Regno, nel 1768.
La via fu allora completamente ristrutturata, seppellendo i resti della via romana, allargandola da
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LA STRADA BORBONICA
4,2 a 4.6-4,8 m, con un piancito di breccia contenuto da un doppio allineamento di basoli romani capovolti: la breccia era fondata su una potente base
di grosso pietrame imbrigliato, curando le cunette di
drenaggio laterali, chiaviche e chiavicotti, nonché
fognoli nel sottosuolo, rinnovando i parapetti (sono
quelli che si conservano su quasi tutto il percorso) e
i ponti (come quello a monte, all’imbocco del parco).
Dove nel sottosuolo la via romana si conservava, fu
incisa da traverse ribaltandone i basoli, in modo da
formare briglie che impedissero lo slittamento del for-
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LA STRADA BORBONICA
te, anche del 10-12 %, per impedire il dilavamento
della breccia superficiale durante gli acquazzoni, su
posizioni di convenienza vennero costruite anche
delle piazzole in opera quadrata, riutilizzando i selci romani, che con un gioco di controtendenza convogliavano l’acqua piovana su chiavicotti laterali.
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LA STRADA ROMANA
LA STRADA ROMANA
La via antica si presenta lastricata in massi di
basalto vulcanico, larga in origine 4,2 m, oggi
ridotta per le distruzioni che le sono state praticate sul percorso. Da un miliario conservato nel
paese di Monte S.Biagio, sappiamo che questo
lastricato fu posto dall’imperatore Caracalla nel
216 d.C., che rinnovò in tal maniera, da Terracina
a Formia, un lastricato più antico in calcare, ormai usurato: viam ante hac lapidem albo inutiliter
stratam et corruptam, silice novo, quo firmior commeantibus esset, per milia passum XXI sua pecunia
fecit (la strada, già lastricata di pietra bianca,
LA STRADA ROMANA
ma ormai rovinata e impraticabile,
l’imperatore a sue spese rinnovò di
selce nuova per 21 miglia, perché
il selciato fosse ben più stabile per
coloro che vi transitano).
La sede lastricata serviva al transito carraio e la sua larghezza era
sufficiente all’incrocio dei carri;
presenta anche marciapiedi laterali in battuto, larghi in genere
1,1 e 2,2 m per parte, così che
la larghezza complessiva della via
appare di 8-9 m. È parso di poter
riconoscere la fase originaria della
via, quella tracciata da Appio Claudio nel 312 a.C., particolarmente
nel tratto più a valle, contenuta in
rozza opera poligonale e imbrecciata per un’ampiezza di 9-9,7 m.
Per costruire la via sul fianco della gola, questa fu incisa sul lato a
monte con tagli rupestri alti fino a
6 m e terrazzata comunemente sul
lato a valle dagli stessi blocchi che
derivavano dal taglio. I terrazzamenti nei punti più impervi si presentano ancora per centinaia di metri,
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LA STRADA ROMANA
alti fino a 9-12 m: sono in opera poligonale a
secco, di fattura assai rozza (quelli risalenti forse
proprio all’intervento di Appio Claudio), o in opera poligonale guarnita di potenti speroni esterni
(risalenti forse al II secolo a.C.), o in opera quadrata o poligonale più o meno raffinata, a volte
rafforzata da gettate di calcestruzzo alle spalle
(inizio I secolo a.C. - metà del II secolo d.C.),
che documentano gli interventi che già nei lunghi
secoli dell’evo antico hanno mantenuto in efficienza la via.
Sul percorso si sono riconosciute piazzole di sosta, attrezzate per la sosta e il ricovero dei viandanti e dei mezzi. 19
IL FORTINO DI S.ANDREA
IL FORTINO S.ANDREA
Il valico, oggi facente parte del Lazio meridionale,
nei secoli passati apparteneva al Regno di Napoli, in
quanto il confine con lo Stato della Chiesa si poneva
poco a sud di Terracina: il passo veniva a rappresentare strategicamente, di fatto, il vero ingresso a
quel Reame. I Monti Aurunci, infatti, e le sue gole
costituivano uno sbarramento impervio, che poteva
facilmente essere chiuso da interventi di fortificazione, esistenti per altro fin dal Medioevo e che riconosciamo ancora in opere architettoniche di grande
scenografica, come il Forte di S.Andrea che domina
la gola, costruito al di sopra dei terrazzamenti di un
tempio dedicato ad Apollo.
Il forte e la sua posizione sono famosi anche per i
ricordi letterari, i fatti storici e le leggende che li
riguardano: le rovine del tempio di Apollo sul quale
sorge, così imponenti, sarebbero state una fortezza
costruita dai Romani per sbarrare il passo ad Annibale; Gregorio Magno vi racconta fatti paurosi di diavoli, per cacciare i quali sul tempio venne costruita
una cappella dedicata a S.Andrea Apostolo, cha ha
lasciato il nome alla valle e al forte. Si ricordano sul
luogo grandi battaglie per il controllo del regno di
Napoli a partire dal Cinquecento, con eserciti napoletani e pontifici, spagnoli, francesi, tedeschi, au-
striaci. Il passo fu controllato non di rado anche da
celebri briganti, dotati di imponenti corpi di truppe
proprie, come quelle del terribile bandito Sciarpa,
che aveva sbarrato la via Appia ma che, saputo della presenza di Torquato Tasso timoroso a Formia,
lo avrebbe ricevuto nel 1592 con ogni cortesia; al
tempo della rivolta napoletana di Masaniello, nel
1647 brigandesche figure come i D’Arezzo di Itri e
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IL FORTINO DI S.ANDREA
Papone, un altro celebre bandito, assoldati da Enrico di Lorena, il duca di Guisa, bloccarono il passo
per impedire la restaurazione spagnola; nel 1734 gli
Austriaci, padroni del Napoletano, fortificarono ancora la posizione per impedire il rientro delle truppe
spagnole guidate da Carlo di Borbone.
Poi Frà Diavolo di Itri, un ennesimo celebre bandito divenuto successivamente ufficiale dell’esercito
borbonico, nel 1798 vi difese eroicamente l’acces-
so al Regno contro i Francesi;
e Gioacchino Murat, divenuto
re di Napoli, costruì il forte di
S.Andrea come oggi lo vediamo, per sbarrare nel 1814 il
valico agli Austriaci. L’ultima
battaglia condotta dal Forte
di S.Andrea fu quella contro
l’esercito piemontese nel 1860,
in appoggio a Gaeta, ove Francesco II di Borbone si era trincerato.
La costruzione del forte comportò lo spianamento dei resti
antichi che sorgevano sui terrazzamenti romani, che furono
mantenuti per impostare i cannoni a dominio della valle. Un
fossato artificiale difendeva su questo lato i bastioni, entro i quali la via era portata con un ponticello entro una tenaglia controllato da muri avanzati,
guarniti di feritoie per il tiro di fucileria ravvicinato.
Si conservano bene, sopra i terrazzamenti romani, le
piazzole per il posizionamento dei pezzi di artiglieri,
protetti da muri attraverso i quali si aprono le bocche di tiro a ventaglio. Il bastione sulla sinistra entrando presenta anche un muro che chiude il campo
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IL FORTINO DI S.ANDREA
alle spalle, con feritoie per il tiro di fucileria.
A un livello più alto di tutte queste strutture è un
recinto trapezoidale, che accoglieva gli apprestamenti in legno delle caserme e, più in alto di tutti,
una casetta era quella che accoglieva il comando.
La fortificazione ha origini medievali e si lega al mito
del bandito Frà Diavolo. La costruzione, così come
oggi lo vediamo, è di età napoleonica e la si deve al
breve regno napoletano di Gioacchino Murat, tra il
1806 e il 1814, davanti alla minaccia austriaca.
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IL TEMPIO DI APOLLO
IL TEMPIO DI APOLLO
Circa a metà della salita la Via Appia antica era
dominata da un grandioso santuario dedicato ad
Apollo. Consta di tredici spettacolari terrazzamenti in opera poligonale e in calcestruzzo con
paramento in opera incerta, tra di loro concatenati e che fanno fronte sui due lati della strada
per circa 70 m e si allungano a lato della valle
per oltre 200. All’interno dei dieci terrazzi più
imponenti si articolano ventisette concamerazioni voltate, delle quali 20, o 26, a uso di cisterna,
per una capacità d’acqua di almeno 2.251, forse
2.757 mc d’acqua.
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IL TEMPIO DI APOLLO
Tali strutture si datano dal IV
secolo a.C., ma appartengono
soprattutto alla fine del II e
all’inizio del I secolo a.C. Al
di sopra dovevano trovar posto, con il tempio vero e proprio, altri annessi sacri, altari
statue, cappelle, il boschetto
di alloro sacro al dio, portici,
fontane, alberghi, giardini e
ricoveri per i malati, essendo
Apollo il dio della medicina.
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IL TEMPIO DI APOLLO
con quattro colonne sulla fronte, dovuto probabilmente a una ricostruzione di Caracalla.
Alla fine del VI secolo
d.C. l’edificio, ritenuto dimora di demoni,
accolse al suo interno
una cappella dedicata a
S.Andrea Apostolo, poi
per tempo scomparsa
ma che ha lasciato il
nome alla località e alla
valle.
Tutte queste strutture superiori sono state
spianate per la costruzione del forte, il tempio
compreso, che si conservava quasi intatto e che
conosciamo da riproduzioni fatte da un vedutista romano, C.Labruzzi,
nel 1789.
Il tempio era in laterizio
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PIAZZOLA DI SOSTA
PIAZZOLA DI SOSTA
Sul percorso della Via Appia si sono riconosciute piazzole, attrezzate per la sosta e il ricovero
dei viandanti e dei mezzi. La meglio conservata si trova poco a valle del fortino di S.Andrea,
ricavata da un intaglio di cava rettangolare sul
lato a monte della strada, mentre il lato a valle
si allargava sostenuto da una potente muraglia in
blocchi parallelepipedi ricavati dalla cava stessa
e rafforzati all’interno da gettata in calcestruzzo.
La piazzola è lunga circa 50 m e larga 50-52. La
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PIAZZOLA DI SOSTA
parte centrale del terrazzamento, caduta per le
alluvioni del fosso, fu ricostruita con un muro cementizio più arretrato all’inizio dell’Ottocento. A
lato della piazza, a ridosso della roccia, è presente
una cisterna con muri cementizi, restaurata poi
in opera reticolata quando le fu anche addossato
un ambiente coperto di accoglienza, oggi quasi
scomparso.
La piazzola doveva servire anche a creare una
pausa nel traffico in caso di sovraffollamento del
santuario di Apollo posto poco al di sopra, con la
via bloccata da cerimonie di culto.
Altre piazzole di sosta si trovavano a circa 200 m
a valle del Ponte dell’Epitaffio, in località Mole
Perito, dove resta una cisterna in calcestruzzo ed
esisteva una gran piazza a uso di caravanserraglio;
un’altra a 600 m a monte del Parco, in località La
Forcella, dove la piazza è data in parte dal piano
superiore di una vasta cisterna in calcestruzzo,
che terrazza con fronte a speroni il pendio.
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LA VIA AL MILIARIO BORBONICO
LA VIA AL MILIARIO BORBONICO
La via si distingue sul percorso per la presenza di
un miliario borbonico, il 36 computato da Capua.
La via in questo tratto è contenuta da una doppia
rozza muraglia di opera poligonale a secco, nella
quale è parso di poter riconoscere la fase originaria
della via, quella tracciata da Appio Claudio nel 312
a.C., in origine solo imbrecciata per un’ampiezza
di 9-9,7 m; la via fu poi lastricata, forse in età
augustea, in massi poligonali calcarei non molto
grandi, sostituiti nel 216 d.C. da un potente piancito, quello che oggi si vede normalmente, realizzato con massi di basalto vulcanico, che un milia-
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LA VIA AL MILIARIO BORBONICO
rio conservato a Monte S.Biagio informa rinnovato
dall’imperatore Caracalla. A monte del miliario si
possono riconoscere tracce dei bordi di contenimento del lastricato (le crepidini), con selci messi
a coltello e che davano alla via selciata la larghezza di 4,2 m (14 piedi romani).
I bordi di selci posti a coltello, che normalmente
si vedono, non sono dovuti alla via antica, ma alla
via rifatta da Ferdinando IV di Borbone nel 176768, che aveva allargato la via romana a 4,6-4,8 m,
seppellendo il lastricato originale e sostituendolo
con un nuovo piano imbrecciato.
Subito a valle del miliario vi è un breve tratto di
strada di massi antichi ricollocati (come si vede
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LA VIA AL MILIARIO BORBONICO
dalla non perfetta giunzione dei poligoni sui lati),
dovuti probabilmente a un restauro condotto da
Carlo di Borbone nel 1738. Subito a valle, prima del
ponticello che supera il piccolo fosso sullo sfondo,
è ben conservato un tratto dell’impegnativo intervento di ripavimentazione, condotto nel 1568 da
Parafàn de Ribera, duca di Alcalà, viceré di Napo-
li per conto di Filippo II di Spagna, al quale si
deve anche il ponte e l’epitaffio siti più a valle: la
struttura è un acciottolato, guarnita da una spina
centrale di basoli.
Il ponticello accennato sullo sfondo di questo tratto si data invece con la costruzione del forte, all’inizio dell’Ottocento.
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IL PONTE RINASCIMENTALE E L’EPITAFFIO
IL PONTE RINASCIMENTALE
E L’EPITAFFIO
La Via Appia superava il fosso della valle di S.Andrea
con un ponte, che fu rifatto nel 1568 da Parafàn de
Ribera, duca di Alcalà, viceré di Napoli per conto di
Filippo II di Spagna. Assai importante fu l’impegno
di questo governatore nelle ristrutturazioni delle
strade del Regno napoletano e proprio lungo la via
Appia si conservano diversi monumenti commemorativi di tali lavori, detti Epitaffi: agli ingressi di
Formia, presso questo nostro ponte, davanti alla
stazione ferroviaria e alla Torre dell’Epitaffio presso
Monte S.Biagio: quest’ultimo particolarmente monumentale, in quanto segnava l’accesso al regno
dal versante dello Stato pontificio.
Il ponte rinascimentale fu minato e distrutto nella
grande campata centrale nel corso dell’ultima guerra
ed è stato ricostruito, per quanto possibile identico alla forma originale, nel 2005. La costruzione, in
opera cementizia, presenta blocchi parallelepipedi
nelle testate sui due lati del fosso e in conci sono
anche le ghiere dell’arco. La sua monumentalità dà
l’idea del potenziamento avuto dalla strada a quel
tempo, della cui epoca si conserva bene anche un
bel tratto acciottolato circa 300 m più a monte di
dove siamo. Il ponte presenta una campata di poco
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IL PONTE RINASCIMENTALE E L’EPITAFFIO
più di 9 m di luce ed è largo 12,5 m.
Sui muri di parapetto del ponte sono stati collocate le guide lapidee del ponte romano, trovate
durante i restauri del ponte rinascimentale.
Poco prima del ponte sono i resti dell’Epitaffio, po-
sto dal duca di Alcalà per ricordare la costruzione
del ponte. Il piccolo monumento era ornato di eleganti cornici calcaree e presentava una grande iscrizione nel campo. La costruzione, per quanto fosse
già in rovina alla fine del Settecento, si conservava
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IL PONTE RINASCIMENTALE E L’EPITAFFIO
ancora abbastanza bene fino
a vent’anni fa, ma successivamente è stata saccheggiata e
spogliata sistematicamente
nelle parti lapidee da ladri, per
cui la ricomposizione che ne è
stata fatta nel 2004 permette
di darne solo un’idea. La targa riportava: PHIL(ippe) II
CATH[OL(ico) REGNANTE]/ PER
AF[AN ALC]ALA[E DUCE PRO
REGE/ PONTEM VETUSTAT[E
COLLAPSUM IN AMPLIOREM
FORMAM RESTAURAVIT]/ UNDE
NOMEN TAN[…/ / MARMOREIS
LAPIDIS OPER[IBUS…/ ALCALAE NOMEN PER[…/AD MDL
XVIII (1568).
Del ponte e dell’Epitaffio resta
un bell’acquerello del vedutista
romano C.Labruzzi, del 1789,
che mostra anche una suggestiva immagine della valle a
quel tempo, con le rovine del
tempio di Apollo sullo sfondo
(il fortino di S.Andrea non era
stato ancora costruito).