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anno XVI n.5 26 maggio 2016 Periodico della Scuola di Giornalismo dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli diretto da Marco Demarco Edizione speciale Tutti gli articoli di questo numero sono dedicati alla periferia oggi al centro della cronaca nera Viaggio nella lunga notte di Caivano Collegamenti difficili, giovani isolati. La preside coraggio: «Salviamo la scuola» L’EDITORIALE Una realtà fuori dai radar dello Stato Marco Demarco A Caivano, dove la resistenza civile è comunque una realtà, manca perfino un bus per andare in città. È come se su una nave alla deriva non ci fossero le scialuppe di salvataggio. Molte case popolari sono occupate abusivamente da decenni, così da non avere più né un patrimonio edilizio pubblico né uno privato. Il degrado urbano è ovunque, basta guardarsi intorno. A scuola i banchi vuoti sono in costante aumento: nell’ormai famoso Parco Verde, sono addirittura sei su dieci i banchi che in media restano vuoti; e ogni anno sono sempre di meno i ragazzi che si iscrivono al liceo. E poi ci sono gli orchi, i veleni, la droga. Viene da pensare: e cosa sarebbe allora successo senza i “resistenti”, senza l’iniziativa di chi professori, volontari e militanti di base- non ha mai abbandonato il campo? D’altro canto, come non vedere che a Caivano sta calando una notte senza fine? Dopo il terremoto del 1980, nella rete che teneva insieme Napoli e il suo hinterland si sono prodotti i primi squarci: i piani predisposti per riequilibrare centro e periferia furono sconvolti per fronteggiare le conseguenze del sisma. Poi è venuta la crisi dei rifiuti, e tra il 2000 e il 2008, gli anni peggiori, la città ha inondato di immondizia le sue periferie, incurante di ciò che un tale avvelenamento avrebbe provocato. Infine, ci sono state le guerre di camorra e la conseguente apertura di nuove piazze di spaccio. È a questo punto che il cerchio infernale delle tre emergenze si è chiuso. Il cerchio del degrado urbano, dell’ambiente avvelenato, della criminalità crescente. Il risultato è stato un assedio che avrebbe sfiancato la più fortificata delle città, e Caivano certamente non lo era. Questo numero speciale di Inchiostro nasce dall’esigenza di raccontare e capire una realtà che rischia di sparire dai radar dello Stato. Il racconto di un pomeriggio alla scoperta di quello che è diventato il posto più brutto del mondo. Il viaggio parte dal centro della città con i ragazzi del Forum dei giovani. Raccontano il tentativo di scrivere una pagina diversa per il loro paese consapevoli dei mali che oggi lo attanagliano. Primo fra tutti il Parco Verde. La città nella città dove le regole sono riscritte in nome di una mentalità che si tramanda di generazione in generazione. Eppure ci sono persone come Bruno Mazza che remano in senso contrario. Offrono ai bambini del parco un orizzonte diverso, navigando a vista tra le secche e gli scogli della piazza di spaccio più grande d’Europa. Filomena Avino, Antonio Esposito, Antonio Lamorte, Maurizia Marcoaldi, Carolina Mautone, Emilia Missione a pag. 4 L’intervista Il personaggio Il sindaco Simone Monopoli lancia un appello alle alte cariche dello stato: «Il loro intervento è fondamentale – dichiara – per risolvere le molteplici emergenze del nostro comune». Dalla periferia di Napoli al successo internazionale, la voce dei The Kolors racconta a Inchiostro la sua adolescenza a Cardito. Le prime esperienze nei locali della zona e la voglia di partire. Il primo cittadino chiama i rinforzi Stash: «Cardito? Dovevo scappare» Lamorte a pag. 4 Esposito e Missione a pag. 11 I rifiuti tossici della Terra dei fuochi, la camorra e la pedofilia Il comune delle tre emergenze Marina Malvestuto Fortuna Loffredo. In alto Parco Verde È in piena terra dei fuochi, è la piazza di spaccio più grande d’Italia e d’Europa, ma da due anni l’ombra della pedofilia ha coperto tutte le altre emergenze. Caivano è un concentrato di degra- do e di disagio sociale, che si estende per 27 chilometri quadrati tra Napoli e Caserta, dove per anni sono state sotterrate tonnellate di rifiuti tossici. Qui si registra il più alto numero di morti per tumori, soprattutto tra i bambini. Ma ad ucciderli non è solo questo. Chicca, la chiamavano tutti così a Parco Verde, il suo vero nome era Fortuna Loffredo, aveva sei anni. La sua breve vita è stata spezzata nel 2014, da una caduta dall’ultimo piano del palazzo in cui viveva. continua a pag. 9 GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 2 Il Reportage Tra palazzi fatiscenti, piazze di spaccio e negozi spogli, viaggio alla scoperta del rione di Caivano dimenticato dalle Istituzioni I n direzione Villa Literno il primo cartello di uscita dall’asse mediano indica Caivano. Benvenuti in quello che è diventato il posto più brutto del mondo. In centro, nella piazza del paese, aspetta Antonio, un membro del Forum dei Giovani di Caivano. L’appuntamento è sotto quello che lui chiama Castello ma che per un occhio distratto si confonde facilmente con gli edifici intorno. A pochi passi c’è la sede del Forum. Una volta dentro, la stanza si riempie velocemente di persone. Tommaso, Giuseppe, Gennaro, Davide arrivano uno alla volta e si presentano. Parlano con entusiasmo di quello che fanno per la loro terra. «Le difficoltà in una realtà come questa sono tante. Ma qualche battaglia l’abbiamo anche vinta», dice soddisfatto Antonio. Nelle parole c’è la voglia di raccontare la Caivano che non si trova sui giornali. «Non siete mai stati al Parco Verde, volete vederlo?» domandano i ragazzi. Si offrono come guida. Solo dieci minuti più tardi l’arrivo al «rione degli orrori». Inizia così il pomeriggio nel Parco. Da 9 anni libero dopo 11 passati in carcere, Bruno Mazza si presenta con i pantaloni sporchi di vernice e un giubbotto rosso con la scritta “Associazione un’Infanzia da vivere”. Pochi istanti dopo arriva Giovanni, presidente dell’associazione. Insieme condividono la speranza di salvare i bambini del Parco Verde da un destino già segnato. «Vogliamo andare?» chiede Giovanni. E come turisti comincia il tour nel parco, guidati da due ciceroni d’eccezione. Un cenno con la testa o un movimento della mano di Bruno rassicura tutti: non portano problemi. «Ecco, quello a destra è il palazzo di Fortuna – racconta Giovanni – c’è un muro, non fa parte del nostro parco». La guida abita lì da sempre e quelli di quel lotto dice di non averli mai incontrati. «Se noi del parco l’avessimo saputo – confida Caputo non sarebbe mai uscito vivo da lì dentro». Con le mani ai taccuini e le orecchie alle guide, camminando per il parco non è chiaro se è più il visitatore a osservare il rione o viceversa. La curiosità confusa e l’interesse anomalo di chi si guarda attorno, cercando di cogliere quanti più particolari tra le palazzine degradate, non possono che essere di un estraneo. Prepotente e ripetitivo, si fa sentire il rombo Ecco Parco Verde Racconto del quartiere abbandonato da tutti Lotto IACP, il palazzo di Fortuna Loffredo e Antonio Giglio In alto il campetto di Parco Verde catalitico dei “T-max” che controllano il territorio. Il mezzo oggetto del desiderio di molti adolescenti è lo stesso montato dalle vedette mai ferme di chi, a Caivano nella piazza di spaccio più grande d’Europa, continua indisturbato il suo traffico. Nonostante i bambini che giocano poco più in là o le troupe televisive da settimane nel parco. La sensazione è quella di trovarsi in una città dentro la città, con le sue regole e i suoi valori. Superfluo interrogarsi sulla presenza delle istituzioni, magramente rappresentate da alcune pattuglie di agenti in borghese. I soliti, quelli conosciuti da tutti. Una pescheria e un alimentari spogli e sgarrupati sono il massimo dell’offerta commerciale da questa parte del rione. Poco più avanti uno striscione sulla recinzione della chiesa di Don Patriciello dà appuntamento per le 21.30 alla Cristoteca, un locale della parrocchia dove i ragazzi possono ballare senza andare in discoteca. L’ennesimo invito di un presidio che lotta quotidianamente per la legalità. E lo fa proprio di fronte a quei pusher che anche in pieno giorno, assicurano continuità alla filiera della droga. Non si fermano nemmeno davanti agli sguardi degli stranieri. Uno di loro rimette in tasca un malloppo di banconote. Mille, duemila, tremila euro. Sempre di fronte alla chiesa, guardando il bar Carolina, non si può non notare il gigantesco murales che colora la facciata del palazzo. Sono i volti di tre ragazzi: Gennaro, Luigi e Vincenzo, morti in un incidente stradale qualche mese fa sull’A1. Stavano tornando da una serata a Napoli, erano sul sedile posteriore di una Fiat 500, quando il conducente ha perso il controllo facendo ribaltare la macchina più volte. «Erano dei bravi ragazzi, si guadagnavano da vivere onestamente» sottolinea Giovanni. Appena svoltato l’angolo cattura l’attenzione la mano protesa di un Padre Pio che di traffici ne deve aver benedetti tanti, da queste parti. Pochi metri, automobili GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 3 Italo Calvino Anziché dirti di Berenice, città ingiusta, […] dovrei parlarti della Berenice nascosta, la città dei giusti (da Le città invisibili) smantellate, erba accatastata e si arriva direttamente al cuore del Parco Verde: la villa comunale, ex ritrovo di spacciatori e tossicodipendenti. Sia Giovanni che Bruno non vedono l’ora di raccontare come intendeno riqualificare l’area. Qui dovranno essere realizzate delle aiuole e dei laboratori all’aperto: un modo come un altro per non lasciare i ragazzi allo sbando per strada, per organizzargli il pomeriggio perché «è la noia il primo fattore che ti porta a scegliere la strada sbagliata» spiega Bruno. Un progetto arriva anche da Milano: tre professoresse dell’Accademia delle Belle Arti di Brera hanno rinunciato alle vacanze estive per lavorare a un grande mosaico all’interno della villa. Nobili progetti. Ma per ora l’incuria sembra crescere a mano a mano che si avanza lungo i viali. A dispetto del nome, non c’è molto di verde in quel parco tranne le erbacce che spuntano dalla strada spaccando le cunette e i marciapiedi. Un’anziana signora aspetta l’autobus sotto una pensilina, qui non ne passano molti. L’unica speranza è che vada in porto il progetto “Caivano Shuttle” del Forum dei giovani. «Ma questi chi sono? Che vogliono?» biascica a fatica la donna. Ancora un cenno di rassicurazione di Bruno. Quasi arrivati all’altra estremità del parco, gli accompagnatori vogliono mostrare un’ultima cosa: i campetti di calcio della fondazione Cannavaro Ferrara. Si sentono già le urla dei bambini che giocano. Superato l’ultimo palazzo, si attraversa la strada e ci si trova di fronte le reti che circondando i campi. I ragazzini, una ventina dei Uno dei bambini dell’Associazione Un’infanzia da vivere In alto a destra la villa comunale del Parco Verde circa 90 ai quali Bruno e Giovanni offrono un’alternativa, non gridano più. Ci sono degli stranieri. Hanno dai 9 agli 11 anni ma basta guardarli e ascoltarli parlare qualche minuto per capire che si portano sulle spalle molti più anni di quelli che hanno. Per un sesto senso innato, comune tra chi cresce in questo posto, hanno imparato a distinguere gli estranei con poche occhiate. Quegli stessi estranei, una volta rotto il ghiaccio, possono diventare un’attrazione, un’insolita novità in un pomeriggio uguale a tanti altri. Tutti si avvicinano tranne uno, il più timido. «Non lo dovrei dire ma per lui tengo un debole» dice sottovoce Giovanni. Il piccolo diffida ancora. Ha il numero 24, quello di Lorenzo Insigne, disegnato nel taglio di capelli. Ha un sogno: diventare calciatore. A differenza dei maschi, le bambine a calcio non vogliono giocarci. O meglio, lo fa solo “la cinesa” e per gli altri lei è inevitabilmente un “masculone”. Ma, se tutto va bene, tra qualche settimana qualcuno verrà per le lezioni di pallavolo. «Ma che ci facit cu sti libbr mman?» L’italiano devono averlo pur sentito da qualche parte ma è qualcosa di troppo lontano dal loro mondo. Se qualcuno lo usa per parlare con loro fa subito autogol, perché da estraneo può diventare ostile. Quando sei ospite devi rispettare usi e costumi del paese ospitante. Viene da pensare che il destino abbia un’ironia tutta sua quando, guardando la maglietta di una di loro, leggi la scritta They Change Rules. «Lo sai che significa?» chiede lo straniero «Nun ‘o sacc, dimmel tu» risponde con aria di sfida la bambina «Loro cambiano le regole» «Allora ma lev a cuoll, che so sti cos. E regol nun s’cagnan». Le regole non si cambiano. Dall’alto dei suoi 9 anni non sa, non può sapere, cosa significa quello che ha appena finito di dire. Ma deve averlo sentito così tante volte che non fa nessuna fatica a ripeterlo. Per lei e per gli altri è già mentalità, quella che li sta condannando ad avere come orizzonte il muro di recinzione del Parco. E forse basta questo per fare di una scritta qualsiasi, su una maglietta qualsiasi, una profezia ipocrita e bugiarda. Servizio a cura di: Filomena Avino, Antonio Esposito, Antonio Lamorte, Maurizia Marcoaldi, Carolina Mautone, Emilia Missione Dalla Terra dei Fuochi alla pedofilia, le lotte di don Maurizio Patriciello «No allo sciacallaggio, la stampa aiuti Caivano» Il parroco che invita la gente del posto a non scappare via L’intervista Emanuele La Veglia «Fanno bene a venire le telecamere e i riflettori? Sì, se il problema lo si affronta con onestà, intelligenza, competenza e desiderio di aiutare le persone. No, se chi viene come uno sciacallo si getta sulla preda per strapparne la carne viva». Don Maurizio Patriciello è il parroco della chiesa di San Paolo Apostolo, situata nel cuore del Parco Verde di Caivano. Ma non solo. È anche editorialista per “Avvenire” e proprio sulle pagine del quotidiano cattolico ha scatenato di recente la denuncia alla strumentalizzazione della vicenda legata alla morte della piccola Fortuna. L’errore più contestato ai giornalisti è quello di legare troppo la problematica dei pedofili al quartiere di Parco Verde: «Il nesso di causalità tra povertà e pedofilia – ha scritto Patriciello - non esiste. Il solo pensarlo è un abominio. Un vero regalo a tutti i pedofili ricchi». Ordinatosi a trentaquattro anni, don Maurizio ha avuto dunque una vocazione adulta, nata dopo anni di allontanamento dalla Chiesa. Quello a Caivano è il primo e unico incarico pastorale avuto finora, ma non ha mai mollato. Il suo impegno sociale ha riscosso Don Patriciello “ Istituzioni Vogliamo invitare chi ci governa a gettare uno sguardo sulle periferie a rischio? “ Chiesa La parrocchia è stato l’unico ponte tra il quartiere degradato e i paesi circostanti “ Andare via? È quello che vuole la camorra. Mandare via gli onesti e sostituirli con gli affiliati grande attenzione in seguito all’esplosione del caso della “Terra dei fuochi”, la vasta area tra Napoli e Caserta, di cui fa parte anche Caivano, che ha la più alta percentuale di tumori d’Italia a causa della presenza di rifiuti tossici. Da qualche anno è iniziata la sua battaglia per denunciare lo scandalo dell’interramento degli scarti industriali e per sensibilizzare sull’argomento agendo in prima persona. Poi i recenti casi di pedofilia nel «palazzo che confina con il Parco Verde», che il sacerdote ha spesso definito come «un quartiere dove lo Stato è un illustre sconosciuto». La sua parrocchia, sorretta dalla diocesi di Aversa in cui è inglobata, si trova dunque a fare le veci delle istituzioni. Ormai sempre più abitanti del quartiere manifestano al sacerdote la volontà di andare a vivere altrove. Don Maurizio risponde che così «si fa un regalo alla camorra», la quale non vede l’ora di «mandare via gli onesti e sostituirli con i suoi affiliati, per fare del quartiere un ghetto, con il proprio sindaco e la propria amministrazione». Immancabile poi il perenne invito al governo e agli enti locali di «gettare uno sguardo sulle periferie a rischio», ma troppo spesso la sua è solo “voce di uno che grida nel deserto”... GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 4 L’intervista Dopo un lungo silenzio, gli SOS di Monopoli alle alte cariche per risolvere subito le emergenze dichiarazioni «Eccomi, ci sono anch’io: il sindaco» Il Pontefice Papa Francesco «La pedofilia è una tragedia, non dobbiamo tollerare gli abusi sui minori, dobbiamo difendere i bambini e punire severamente» Eletto nel 2015, chiede fondi per Scuole Aperte Antonio Lamorte P Il Presidente Sergio Mattarella «Sui crimini della pedofilia inchiesta ampia,rapida e severa. Troppo spesso i minori sono vittime di abusi. Lo sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti, il turismo sessuale, la pornografia, l’adescamento, anche on line, costituiscono degenerazioni della nostra società. Si tratta di piaghe da eradicare con fermezza perché contrarie al senso di umanità, che richiede al più forte di rispettare e proteggere chi non può difendersi” Il presidente del consiglio Matteo Renzi «I pedofili? Quando li prendiamo è bene che non escano più. Parlando di queste cose abbiamo tutti un nodo alla gola, da padri pensiamo che qui c’è qualcosa che va oltre, c’è la follia inaccettabile dell’uomo» Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini «Il Parco Verde è un contesto sociale complesso e ha bisogno di scuola in modo chiaro e forte, forse più di altre zone del paese. Ma qui ho visto tanta passione e tanta umanità» La legge 219 del 1981 non ha cambiato volto alle periferie Filomena Avino P arco Verde di Caivano, il parco più tristemente noto degli ultimi anni, è il quartiere dei «napoletani esiliati». La sua storia, però, comincia prima del terremoto dell’Irpinia. Nell’aprile dell’80, quando viene approvato il Piano edilizio di recupero delle periferie napoletane, con l’individuazione delle zone più degradate da ri- er i sostenitori è il sindaco dell’“operazione verità”, per gli oppositori un militante di estrema destra. «Ho aderito per anni all’MSI e conservo alcuni cimeli. Non rinnego il passato, ma non mi sogno di farlo rivivere – ribatte – l’unica mia priorità è Caivano». Simone Monopoli, medico chirurgo, è il primo cittadino del comune su tutte le pagine di cronaca nera. Il 58% conquistato dalla sua coalizione di destra gli consegna nel giugno 2015 la guida del paese. Ma il tempo è tiranno con la sua amministrazione e, nemmeno un anno dopo, scoppia il bubbone che preme sulla già emergenziale situazione di Caivano. Ad aprile, oltre al caso di Fortuna, si scopre una voragine nei conti pubblici di 9 milioni e mezzo di euro. Il primo cittadino la battezza “operazione verità” e punta il dito sulle precedenti amministrazioni, colpevoli di aver «nascosto il debito con stratagemmi contabili». Il comune lavora ora ad un piano di rientro per evitare il dissesto finanziario. Se entro il 7 giugno la manovra non viene approvata, si torna alle urne. Sembra grottesco, ma dietro il collasso economico ci sarebbe ancora il Parco Verde: «Per tre anni almeno le passate amministrazioni hanno messo in entrata 30 milioni di euro dall’alienazione immobiliare – spiega il sindaco – ma non era stato venduto nemmeno un Il primo cittadino Simone Monopoli, 53 anni, nel suo ufficio comunale metro quadrato e non erano stati riscossi i canoni». A conferma di come quella zona sia abbandonata a se stessa. «Io la chiamo la “Riserva Indiana” – argomenta - dov’è stata impedita l’integrazione e permesso al disagio di proliferare». Una condizione sociale che può accrescere certe depravazioni: «Sicuramente la pedofilia è trasversale alle classi sociali – premette – ma io credo che il pedofilo non nasca tale, e se lo diventa è per situazioni che possono avvicinare a delle perversioni, come la droga o la prostituzione». Ci tiene però a precisare che è stato sbagliato «dipingere il Parco Verde come il Parco degli Orchi, perché in quelle palazzine vive soprattutto gente onesta». Ma l’illustre assente nel dibattito sui media nazionali è stato proprio il sindaco Monopoli, mai apparso se non per qualche diretta fugace. «Nessuno mi ha interpellato – dice lui – perciò ho scritto a Mattarella, a Renzi e al ministro dell’istruzione Giannini». E dopo un mese di tam-tam, parte la corrispondenza (ripresa solo da qualche giornale locale) che chiede un incontro per parlare di tutela dei minori, ambiente, legalità Il caso «Il Parco Verde è una “Riserva Indiana” dove l’integrazione ha fallito» La provvisoria sede del municipio in via De Gasperi e scuola. «Il Parco Verde, il CDR, l’ecoballe, la terra dei fuochi, l’unico campo rom autorizzato nella provincia di Napoli, i debiti e una disoccupazione allarmante: sono 27 chilometri quadrati di emergenze quelli di Caivano - denuncia – ma arriva un punto oltre il quale non si può avanzare senza l’appoggio politico ed economico dello stato». Non basta quindi l’ottimo lavoro dei servizi sociali e il volontariato di un propositivo associazionismo. Mancano i fondi per progetti a lungo termine e per aprire le scuole di pomeriggio e d’estate. La strategia di Monopoli vuole portare l’attenzione sul comune a un livello nazionale. Ma (almeno per ora) Matteo non risponde. La storia del quartiere-simbolo del degrado dell’hinterland napoletano tra spaccio e illegalità Quel «ghetto-mostro» nato dal terremoto qulificare. Un Piano modificato dal devastante «terremoto freddo» che fa 2914 morti e 9000 feriti, rade al suolo interi comuni e lascia quasi 300 mila abitanti senza tetto. Così, nel maggio dell’81, l’ex Piano si trasforma in legge 219, con la quale si approva il Pser (Programma straordinario di edilizia residenziale) e si stanziano 8000 Parco Verde, Caivano miliardi di lire per la ricostruzione delle zone. La legge dà il via libera alla costruzione degli odierni «ghetti-mostro», luoghi di deterioramento insanabile e terreni pernnemente fertili per la malavita. Tra questi, il Parco Verde. Un mondo nel mondo: circa 6000 abitanti, 250 mila mq sui quali sorgono enormi palazzi verdi a schiera (da qui il nome del Parco), divisi da stradoni, piazzali ed enormi corridoi di aiuole mancanti di manutenzione. Un microcosmo in cui vivono i migliori «chef» di droga, eretto a mercato di spaccio più grande d’Europa. Un parco di omertosi «forzati» e di bambini mancati, futuri malavitosi. Una città nella città i cui residenti sono «invisibili»: un numero imprecisato di abusivi. Un ghetto i cui abitanti non hanno quasi mai pagato il fitto, formando un “buco nero” nelle casse comunali. Il progetto dell’80 prevedeva costruzioni e ricostruzioni di impianti di urbanizzazione primaria e secondaria. Però, del disegno iniziale non ne resta nulla. Quello che avrebbe dovuto essere un quartiere da cui ripartire è, oggi, solo un parco in cui convivono degrado, camorra ed illegalità. GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 5 Ecologia Così la contestazione dal basso ha imposto all’ordine del giorno il tema delle terre avvelenate La rivolta che ha spento i fuochi I cittadini per primi hanno denunciato i roghi tossici Alessandra Caligiuri «In Campania abbiamo avuto il coraggio, siamo riusciti a far arrivare finalmente ai cittadini la verità. La Campania ha creato un modello di denuncia». Lo afferma Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia, oncologo che studia il legame tra aumento dei tumori e sversamenti illegali di rifiuti. Cinquantasette comuni tra le provincie di Napoli e Caserta, che dal rapporto di Legambiente sulle Ecomafie del 2003, sono detti La Terra dei Fuochi. Un territorio in cui si bruciano rifiuti nelle campagne e, come riporta l’ultimo studio diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità, c’è una maggiore incidenza di leucemie in età pediatrica, attribuibili all’inquinamento. Quando parla di «Modello Campano», Giordano si riferisce ai cittadini che hanno segnalato i roghi tossici e annotato i numerosi decessi per tumore. È questa la particolarità: le associazioni di cittadini hanno fatto rete, fino a che di Terra dei Fuochi non si è parlato in tutta Italia. «I comitati sono nati giorno per giorno, discarica per discarica, ogni paese ha avuto la sua criticità a cui gli altri si sono aggregati», spiega Lucio Righetti di Cittadini Campani per un Piano Alternativo ai Rifiuti. Sono stati i comitati ad informare la popolazione: «Abbiamo fatto 64 marce in provincia di Napoli e Caserta e Il nuovo caso di malaffare dichiarazioni Presidente della Camera Laura Boldrini «Hanno impressionato l’Italia intera le notizie di morte, di violenza, di squallore, di miseria morale che arrivano da Caivano. Piccole vite abusate e poi gettate via come rifiuti, mentre chi resta è sottoposto a pressioni e ricatti» Il Governatore Vincenzo De Luca «Orrore è la parola giusta. Ci vuole l’intervento dello Stato nei confronti di queste vere e proprie bestie. Ma poi di fronte all’omertà complice dobbiamo fare una rivoluzione civile contro il degrado umano. Servono interventi a 360 gradi» Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris Nella foto in alto la manifestazione del 16 Novembre 2013, nella foto in basso un rogo tossico sono stati momenti di consapevolezza. Poi ci sono stati convegni nei paesi con esperti», aggiunge Righetti. La denuncia dal basso della Terra dei Fuochi ha unito esperienze diverse, come racconta l’attivista Raniero Madonna: «C’erano i comitati anti discarica, chi si batteva contro i roghi tossici, il coordinamento Fuochi, nato intorno a Padre Maurizio Patriciello, la Rete dei cittadini Campani che si occupava dello smaltimento dei rifiuti. Poi si sono aggiunti i No Triv irpini, Legambiente e le associazioni Anticamorra». Dall’insieme di queste esperienze é nata la piattaforma Fiume in Piena, che spiega Raniero Madonna: «In 10 punti prova a guardare in maniera comples- sa e sistematica i problemi connessi all’ambiente e alla salute, ma si affronta anche il problema della gestione dei rifiuti e si chiedono le bonifiche». Il 16 novembre 2013 il Fiume in Piena manifesta a Napoli con la parola d’ordine STOP BIOCIDIO. Biocidio in origine vuol dire “strage di animali”, ma in questo caso si riferisce al danno provocato dall’inquinamento sulla salute umana. Un danno tale da “Il biocidio se non aggredito con la forza di un fiume in piena ci travolgerà” indebolire il patrimonio genetico ed esporre al rischio di contrarre tumori. Tuttavia, nonostante le denunce e gli studi epidemiologici, il ministero della Salute non ha mai ammesso espressamente l’esistenza di un nesso di causalità tra contaminazione dei territori e malattie. Qualcosa sembra cambiare quando nel Dicembre 2013 arriva il decreto ‘’Terra dei Fuochi’’, che a Febbraio 2014 diventa legge. Ma nel 2015, Legambiente denuncia con il dossier “Terra dei Fuochi: A che punto siamo?”, la mancata attuazione del piano di bonifica. Secondo l’associazione, manca una strategia per mitigare il rischio sanitario e non c’è chiarezza sullo stato di contaminazione dei territori. «Come prima cosa voglio dire che Caivano non è Napoli. Io sono il sindaco di Napoli, non di Caivano. Prendiamo come esempio Scampia, dove fino ad oggi è stato fatto molto, spero che il sindaco di Caivano, riesca a fare quello che abbiamo fatto a Scampia, portare i cittadini nelle piazze» Scrittore Corrado Augias «La foto di Fortuna e di sua madre racchiudeva lo strazio di ogni infanzia interrotta per fretta, ingenuo desiderio di rivalsa, speranza, sogno. Mentre l’orco, subito fuori della porta, aspettava il suo momento. Nessun adulto a Caivano ha mai denunciato l’orco, solo altri bambini» La giunta comunale invierà i bilanci incriminati alla Procura della Repubblica e all’Anticorruzione Giuseppe Di Martino Caivano alla ricerca del Castello perduto «La questione del Castello è il simbolo del fallimento politico e amministrativo delle passate stagioni». Angelo Marzano, architetto e membro del consiglio comunale di Caivano sintetizza amareggiato la disputa sulla ristrutturazione incompleta di quella che fu la vecchia sede del Comune. Nel marzo 2016, infatti, il consiglio co- munale, sostenuto dal sindaco Simone Monopoli, ha accolto la proposta del gruppo “Noi insieme” di Marzano, inviando il fascicolo relativo ai mancati lavori di ristrutturazione del Castello alla Procura della Repubblica, alla Corte dei Conti e all’Autorità anticorruzione. «Il nostro compito è quello di tentare di capire come risol- 2009-2012 La Consorzio Restauri del Sud aveva garantito la conclusione dei lavori in tre anni Il Castello di Caivano vere la tematica per restituire alla città un’importante opera» dichiara il primo cittadino caivanese. Ma veniamo ai fatti; dal 2009 l’ex sede del Comune, un tempo roccaforte della dominazione angioina, è un cantiere aperto con teloni e ponteggi eretti a nuovi simboli della città. L’Impresa Consorzio Restauri del Sud, vincitrice della gara d’appalto, aveva assicurato di riconsegnare il Castello alla città nel 2012. Invece dal 2014 i lavori di restauro sono stati persino interrotti. Quindi attualmente la ristrutturazione non è stata completata mentre i soldi stanziati risultano tutti spesi. «Abbiamo rilevato palesi incongruenze tra i lavori eseguiti e quelli contabilizzati ed era stato perciò assegnato all’impresa il termine perentorio di trenta giorni» spiegano i funzionari del Comune in un protocollo inviato agli organi competenti. Superato il termine la nuova amministrazione guidata da Monopoli ha deciso di intervenire per restituire alla comunità l’emblema dell’architettura angioina che nonostante i bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale è ancora lì, maestoso, a regnare sulla città. GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 6 Da Rione Traiano a Taverna del Ferro, luoghi di emarginazione sociale dove regna la criminalità organizzata Quante Caivano? Ecco tutte le periferie a rischio M Erminia Voccia amme bambine, nonne a 30 anni, stupri ripetuti di minori, spesso ad opera degli stessi genitori. A 12 anni si va già in motorino a fare la sentinella per proteggere i pusher. E poi, spari a cielo aperto, spaccio di stupefacenti, vite spezzate a soli 20 anni. E ancora, abusivismo edilizio, furto di corrente elettrica e appartamenti sottratti agli assegnatari legali, che sono usati dalla camorra per gestire gli affari sporchi. È il quadro cupo delle periferie napoletane, dove la luce del sole non riesce ad attraversare i grovigli di vicoli o i blocchi di cemento armato. Non c’è solo Parco Verde a Caivano, dunque. Per Daniela Lepore, urbanista e docente dell’Università Federico II, sarebbero almeno 6 o 7 le aree del napoletano dove regna il degrado e la dura legge del più forte, cioè il camorrista. Eccole: Rione Traiano, il quartiere 167 di Scampia, Rione Don Guanella, il Lotto Zero a Ponticelli, Taverna del Ferro a San Giovanni a Teduccio, detto anche il Bronx, Pazzigno. E a questi c’è da aggiungere Rione Salicelle ad Afragola. Arrivarvi non è semplice. Rione Salicelle non si trova neanche sulle mappe e le strade non hanno nessun nome. Un quartiere intero di Afragola inglobato in un’unica dicitura, tutto è semplicemente “Via Salicelle”. Eppure lì ci abitano almeno 8.000 persone. I figli si fanno presto, in genere a 15 anni, e ogni donna ne ha in media 3 o 4, ma in un caso si è toccato il record di 17. Anche qui come a Caivano, storie di bambini e bambine violate. “Non dovete violentare i bambini, l’incesto è un reato gravissimo!”, aveva ammonito il parroco, subito “avvertito” una scarica di proiettili nel cortile della canonica. Sono 3.000 i giovani sotto i 30 anni, tutta “forza lavoro” impiegata nelle fila della criminalità. Furti, rapine, borseggi, da fare tra le province di Caserta, Avellino o Benevento. A Salicelle funzio- Almeno 6 o 7 le aree degradate del napoletano. Sono le periferie interne ed esterne della città In basso: Un murales raffigura le “Vele” di Scampia, nel quartiere 167, a nord di Napoli na tutto al contrario, i residenti si ribellano allo Stato e difendono il boss, una specie di dio terreno. Per due volte la gente del quartiere ha aggredito la polizia. La prima, quando le forze dell’ordine hanno provato ad arrestare uno spacciatore. La seconda, più grave, quando una quindicina di poliziotti ha tentato di arrestare il boss Raffaele Barbato. La camorra si trincera in un isolato ben determinato e da lì muove le redini del quartiere, assicurando guadagni ad una schiera di pusher, sentinelle e corrieri della droga, e partite di crack da destinare alle piazze di Scampia. Una regola però esiste: qui non si spara, non si fa rumore, non c’è nessuna lotta tra clan. Li chiamano “cannibali” i bambini di Taverna del Ferro, nome ufficiale delle case popolari di san Giovanni a Teduccio, anche detto il Bronx. Un complesso residenziale costruito nel 1993 per dare compimento al Piano per le Periferie di Napoli, varato come misura di emergenza per gli sfollati del terremoto del 1980. Sono feroci come cannibali i bambini del Bronx, raccontano le voci della strada. A soli 10 iniziano una dieta che serve a farli rimanere magri e leggeri come dei sacchetti di plastica, così da poter essere passati, con il loro carico di droga, da un balcone all’altro quando arriva la polizia. A 12 anni sono già ben pagati per stare sul motorino a vedere chi entra e chi esce. Un quartiere fatto di ponti che nelle intenzioni doveva essere autosufficiente e ben collegato con il resto della città, è finito per diventare un caso di studio per gli urbanisti. G124, un progetto possibile per la città Giovani architetti, dalle banlieues napoletane un SOS all’archistar Renzo Piano L’architetto Roberta Pastore «Cerchiamo piccole scintille tra le periferie italiane». Roberta Pastore, architetto salernitano che ha collaborato con il prestigioso gruppo di lavoro guidato da Renzo Piano, non esclude che le aeree urbane della cintura parteno- pea possano entrare nei futuri programmi dell’archistar. E’ proprio di rigenerazione urbana infatti che si occupa G124 (G come Palazzo Giustiniani di Roma, 1 per il piano dove è lo studio, 24 il numero della stanza), il laboratorio voluto da Renzo Piano che scommette sui giovani professionisti e sulle periferie. Obiettivo di questo progetto: occuparsi del recupero di aree dimenticate coinvolgendo i residenti, gli enti locali e, possibilmente, anche le istituzioni. Torino, Roma, Catania, Milano e a breve anche Venezia, queste le città dove G124 per ora è intervenuto. E Napoli? Per Pastore, «la periferia di Napoli non è stata ancora scelta perché si è preferito dare priorità a realtà meno considerate». GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 7 Il caso di Rione Salicelle ad Afragola: infanzia violata e camorra. Pusher, sentinelle e corrieri della droga al servizi dei boss Proprio quei ponti che avrebbero dovuto unire, sono stati sequestrati per ordine prefettizio perché diventati punti di vedetta dei camorristi e piazze di spaccio di stupefacenti. «Per capire quanto sia degradato un quartiere - afferma l’architetto Lepore - è necessario risalire all’epoca della sua costruzione. Se consideriamo questo dato - aggiunge- Rione Traiano è uno dei posti peggiori per l’abusivismo e la criminalità». I quartieri popolari degli anni Cinquanta hanno l’aspetto di case popolari, ma sono meno “scassati” perché almeno fino agli anni Ottanta vigeva la legge che dopo vent’anni si poteva riscattare l’immobile, diventandone proprietario. Abrogata la legge, si è diventati inquilini a vita ed è finito l’interesse a mantenere il decoro, motivo che ha determinato il degrado di oggi. Rione Traiano è degli anni Settanta e adesso è in mano agli abusivi, che occupano gli scantinati non loro, rubando anche la corrente agli assegnatari legali delle case popolari. Non solo, tutto il commercio della droga, che prima era a Scampia, si è spostato qui, come conseguenza della lotta alla criminalità organizzata diretta dal commissario Michele Spina. L’“era della periferia” irrazionale e scriteriata a Ponticelli è iniziata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma a complicare di più le cose è stata l’espansione edilizia legata ai piani di attuazione della Legge 219/81. Sono nati così rioni popolari stracolmi di persone, ora luoghi prediletti dalla mala. “Il più posto più disgraziato- afferma Lepore- è il Lotto Zero, che da solo conta 5.000 persone”. “Per i vecchi abitanti di Ponticelli la “fetenzia” è arrivata da Napoli” spiega ancora la dottoressa Lepore. Prima c’erano solo gli ex operai, gente perbene, non criminali. Poi sono arrivati gli abusivi, poi è arrivata la camorra. Anche qui sono i clan a decidere a chi assegnare le Le favelas di Rio “ Antonio Acierno L’edilizia popolare ha dato spazio e forza alla camorra “ Daniela Lepore Per capire il degrado di un quartiere è necessario risalire all’epoca della sua costruzione case, che in teoria sarebbero un bene pubblico. Anche a Pozzigno, a San Giovanni, il clan Reale ha gestito l’assegnazione dell’edilizia pubblica, blindando balconi e ballatoi per garantire la gestione dei propri affari. Scampia è un discorso a parte, un universo popolato da 100.000 persone dove si trova di tutto, dal disoccupato tossicodipendente senza prospettive alle famiglie più “normali”. Non ci sono solo le Vele o le palazzine azzurre delle “Case dei puffi”, a Scampia la disperazione totale vive accanto alla borghesia e al ceto medio. Muri, cancelletti e fioriere servono a dividere il bene dal male, la speranza dal baratro. A Napoli, spiega uno studio del professor Antonio Acierno dell’università Federico II, non sono i quartieri più benestanti a dividersi dal resto, alzando barricate, ma le stesse “città del malessere” a fortificarsi e a rinchiudersi nel proprio “autismo criminale”. Recinzioni e teleca- Maurizia Marcoaldi «Ricordo che nessuno dei miei compagni di classe voleva fare i compiti da me. I genitori non volevano. Ero sempre io a dover andare a casa loro». A parlare è Anna Trieste, giornalista e scoppiettante blogger napoletana: dall’amore per lo sport su Il Napolista, all’ironico video blog #MAMT, alla rubrica Da Triste in Giù, fino a il Mattino. Prima di essere una giornalista, Anna Trieste è però una ragazza di trent’anni che è nata e vive a Barra, ex area industriale della periferia est della città di Napoli. La raggiungiamo al telefono mentre è in viaggio, ma la conversazione deve essere subito rimandata a qualche minuto più tardi. E non per un contrattempo o impegno improvviso, ma per una questione molto seria: la circumvesuviana. Per Anna la circumvesuviana è un problema perchè riassume tutte le criticità del trasporto pubblico napoletano: ritardi, sovraffollamento, scioperi, carrozze non di ultima generazione e ovviamente anche assenza di copertura di rete, che è la ragione per cui perdiamo la nostra interlocutrice. Nonostante ciò, è un servizio fondamentale per chiunque abbia la necessità di spostarsi anche perché come dice Anna «Da Barra per raggiungere Napoli o prendi la circumvesuviana o L’intervista La giornalista e blogger napoletana racconta la periferia Vivere a Barra, problemi e soluzioni di Anna Trieste «Le Istituzioni mancano, anche se a Napoli è difficile essere ovunque e fare bene» Anna Trieste In alto periferia di Barra un autobus. Di autobus ce ne è solo uno e ti lascio immaginare quanto sia affollato e poco puntuale». Per la giornalista sono tre i mali che, ieri e oggi, affliggono le periferie napoletane e in particolar modo la realtà di Barra: mancanza di sicurezza, problemi legati ai mezzi di trasporto, carenze nell’organizzazione scolastica. Paradossalmente crescere a Barra, per la blogger, è stato molto più semplice piuttosto che viverci da adulta. La circumvesuviana è sempre stato “un must” anche quando aveva tredici anni, ma se da adolescente prendere i mezzi pubblici, anche se inefficienti, ti dà comunque un senso di indipendenza e libertà, a trent’anni ne assapori più consapevolmente tutto l’isolamento che comporta. Oggi Barra, per Anna, è molto più isolata: « È diventata un quartiere ghetto. I ragazzi sono costretti a rimanere nel quartiere, ma per loro non c’è mere a circuito chiuso assicurano l’isolamento e proteggono i traffici. Gli interventi di edilizia popolare a partire dagli anni Sessanta, a detta ancora di Acierno, avrebbero dato spazio alla camorra di nascere e rafforzarsi. Quella promiscuità sociale, caratteristica del centro storico, dove c’era solo il “guappo” di quartiere, si è contrapposta all’omogeneità degli slums. Nei regni del disagio i vecchi poveri hanno incontrato le popolazioni dei paesi limitrofi, generando una società uniforme, dove poi ha prevalso la criminalità organizzata. Liberare questi spazi di emarginazione dal narcotraffico è stato però possibile a Santa Marta, quartiere di Rio de Janeiro “pacificato” dalle forze governative. In quella favelas una vasta operazione della polizia ha portato via le armi e la violenza. La povertà non è stata cancellata dalle pennellate di vernice colorata, ma il traffico di stupefacenti è sparito. niente. Nessun luogo di aggregazione. Soltanto qualche associazione privata si occupa di togliere i ragazzi dalla strada, come Save the Childreen che sta risistemando i campetti da calcio. Le associazioni tentano di riqualificare le periferie, ma rimane il rischio di creare delle cattedrali nel deserto non raggiungibili con i mezzi pubblici. A svolgere, anche in passato, un ruolo di guida e di supporto è la parrocchia. Le istituzioni mancano, anche se in generale a Napoli è difficile essere ovunque e fare bene». Pur non essendo una fautrice della militarizzazione della città, la blogger crede che una maggiore presenza delle forze dell’ordine potrebbe in qualche modo essere un deterrente ma «da sola non basta, serve anche costruire dell’alternative. Le scuole dovrebbero rimanere aperte anche il pomeriggio e avere più insegnanti perché solo con la cultura si possono offrire alternative ai ragazzi». Anna su questo ha le idee chiare anche perché racconta che la maggiorparte delle famiglie di Barra «fa tanti sacrifici solo per far studiare i propri figli». Perché se vivere in periferia ti porta in un certo modo ad essere identificata con quella realtà, allo stesso tempo ti caratterizza di «un orgoglio di resistenza e di una volontà di riscattarsi con la cultura». GIOVEDÌ 26 MAGGIO L’evento | pagina 8 #Venerdìopaesemì: il festival contro il coprifuoco P artirà il 10 giugno la nuova edizione di #Venerdìopaesemì, la manifestazione più attesa dai giovani caivanesi. «A Caivano ci sono circa novemila ragazzi, ma dove sono?» si sono chiesti i giovani del Forum. Per contrastare il copri- fuoco serale, è nato così tre anni fa un festival diventato appuntamento di punta dell’estate. Ogni venerdì per l’intera stagione estiva, mostre e concerti animeranno Via De Gasperi, la strada che fino a 20 anni fa era il centro della mo- vida cittadina. «È un modo per ridare linfa alle attività commerciali del territorio e attirare anche persone dei paesi limitrofi» spiegano alcuni componenti del Forum. Location dei concerti è una vecchia fabbrica abbandonata che è stata ristrutturata. Quest’anno la musica parte in anticipo: il 3 giugno si svolgerà il Caivano Music Contest, una gara tra cantanti emergenti che porterà i primi due classificati sul palco di #Venerdìopaesemì. Attesissimi ospiti musicali di questa edizione sono Tony Tammaro e Valerio Jovine. C. M. Il nostro sogno? Carolina Mautone «Il mondo cambia con il tuo esempio, non con la tua opinione». Colpisce la frase di Paulo Coelho in primo piano sull’ “agenda bianca” del Forum dei giovani di Caivano. È il manifesto che riassume le attività portate a termine e, soprattutto, quelle che i ragazzi vogliono realizzare: tanti progetti che vedono impegnati in prima persona i giovani dai 16 ai 29 anni. C’è un progetto a cui i membri dell’associazione tengono particolarmente: è il Caivano Shuttle, una navetta che porti gli studenti da Caivano alla stazione di Frattamaggiore. «Caivano è isolata. I pullman non passano, la stazione ferroviaria non c’è. Siamo fuori dal mondo.» raccontano l’ex presidente del Forum Antonio Esposito, il vicepresidente Tommaso De Luca e un altro membro, Gennaro Balsamo. Si pensa di attivare l’autobus per venire incontro a tutti gli studenti che devono spostarsi a Napoli o nei paesi limitrofi; l’idea è importante ma ancora mancano i fondi. Il Forum dei giovani, nato nel 2006 come costola di un partito operante sul territo- Uno shuttle verso il mondo per superare isolamento e noia Parlano i ragazzi del Forum dei giovani: sono venti e hanno tante idee La navetta Il bus per Frattamaggiore È un progetto che permetterà agli studenti di spostarsi più facilmente Ricreare il verde Guerriglia Gardening Già in sei occasioni il Forum si è impegnato a piantare fiori e alberi in città rio, attualmente è un’associazione che raggruppa 20 persone provenienti da diversi contesti sociali e politici, oltre ai rappresentanti di scuole, extracomunitari e associazioni del territorio caivanese. Come organizzazione comunale, il forum è finanziato da fondi pubblici. «Ma le casse del Comune sono sempre a secco. È capitato anche che ci siamo autotassati» dice Antonio. Anche per #venerdìopaesemì, l’evento più importante di cui i giovani del Forum sono organizzatori (ne parliamo nel box in alto) possono fare affidamento solo sugli sponsor. In una città tristemente famosa per essere fulcro della terra dei fuochi e che è tornata alla ribalta della cronaca per i casi di pedofilia nel Parco Verde, il loro intento è quello di creare «momenti di città ideale». Lo scorso 8 maggio, all’interno dell’iniziativa “Let’s clean up Europe!” sostenuta dalla Commissione europea, più di venti volontari hanno ripulito la Villa del Parco Verde. Dotati di di pale e buona volontà, ragazzi e bambini hanno rimosso rifiuti, erbacce e siringhe da una villa comunale che per troppo tempo è stata ritrovo di spacciatori e tossicodipendenti. Due anni fa, nell’ambito del protocollo d’intesa del “Patto terra dei fuochi”, vestiti con tute da ghostbusters, i membri del Forum hanno recuperato pneumatici abbandonati che, se bruciati, sarebbero stati dannosi per la salute. «Caivano è circondata da campagne, un tempo era famosa per la coltivazione della canapa. Poi l’industrializzazione ha rovinato il verde. Purtroppo c’è di tutto, da scarichi industriali ad amianto» spiega Antonio. I giovani: «È difficile trovare fondi e sponsor» Nella foto in alto, alcuni componenti del Forum dei ragazzi di Caivano raccolgono pneumatici Persino l’area retrostante la sede dell’associazione, al centro della cittadina, era inquinata dai rifiuti che le attività commerciali abbandonavano. «Dopo aver asfaltato e valorizzato la zona mettendo delle panchine - continua Antonio - siamo stati costretti ad installare delle telecamere». Il verde che caratterizzava ieri Caivano, oggi i ragazzi cercano di ricrearlo attraverso operazioni che chiamano di “guerriglia gardening”: piantano fiori e alberi in zone abbandonate per riqualificarle. Tra i programmi a cui i giovani caivanesi intendono partecipare c’è anche quello dell’Erasmus+, un progetto che li porterà a fare volontariato nei paesi dell’ Europa dell’Est. Perché di Caivano non ce n’è una sola e l’impegno di questi ragazzi sembra non avere confini. GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 9 Istruzione L’impegno contro la dispersione di Eugenia Carfora, reggente dell’Istituto “P. Giovanni - Viviani” Allarme: vuoti sei banchi su dieci Al Parco Verde cresce il trend di assenze (segue dalla prima) Marina Malvestuto S Paola Corona «La scuola, con tutte le sue forze, deve stimolare il pensiero dei ragazzi, prepararli a riflettere altrimenti si vuole la loro morte. Sogno una scuola senza classi e basata sui reali interessi degli alunni». È questa l’idea formativa e l’impegno quotidiano di Eugenia Carfora, attuale reggente dell’Istituto Comprensivo “Papa Giovanni - Raffaele Viviani” e preside del Liceo “Morano” di Caivano. «Qui c’è bisogno della scuola dell’ascolto, della pazienza, delle regole, senza nessun accomodamento. Se non fai questa scelta – spiega Carfora – puoi diventare la migliore preside del mondo, ma i ragazzi non cambieranno mai». Nei suoi istituti di frontiera, come la sede centrale “Parco Verde”, scuola secondaria di primo grado, Eugenia Carfora è una delle figure chiave nella lotta contro la dispersione scolastica. «Io non mi sento preside – afferma - ma una donna al servizio dei ragazzi con il compito di farli innamorare della cultura che li renderà liberi». A Parco Verde dove, in base ai dati raccolti dall’Istituto Comprensivo lo scorso anno, 58 bambini su 100 non entrano in classe, la preside li va a chiamare direttamente a casa, porta dopo porta. Per questo il cartellone che, all’ingresso del plesso, recita “Benvenuti” non è un semplice simbolo di accoglienza, ma suona come un invito ai ra- Eugenia Carfora, reggente dell’Istituto Comprensivo “P. Giovanni - R. Viviani” e preside del liceo “Morano” di Caivano gazzi a lasciarsi “adottare” e seguire, nel loro percorso di vita, dalla scuola. Il motivo è semplice: vederli in classe ogni giorno è già una piccola vittoria. La dispersione scolastica, ci tiene a precisare la preside Carfora, cambia in ogni scuola di Caivano, ma il disagio è più forte al Parco Verde. «Il tasso di abbandono – chiarisce – diventa una progressiva perdita di attenzione alla didattica, legata a diverse variabili: situazione familiare, efficacia di un servizio comunale, vissuto infantile. I bambini sono come spugne: assorbono i dolori». Di quelle assenze, pesanti come macigni, resta traccia nelle pagelle scolastiche, nei vecchi disegni appesi alle pareti, nelle parole della preside che ricorda le storie dei suoi piccoli alunni. Tra loro c’è un ragazzo mandato in comunità che ora frequenta regolarmente e una ragazza, diventata madre, che non ha più con- seguito la licenza media inferiore, così come il padre del suo bambino. «Quando l’ho incontrata sembrava felice– racconta della sua ex alunna la preside - ma chi se ne prende cura affinché i figli non ripetano gli stessi errori dei genitori? Questo è un cerchio chiuso, dove tutto so, tutto vedo, ma nulla so e niente vedo». Così contrastare la dispersione scolastica significa agire sul doppio fronte dei ragazzi e dei loro genitori. Le assenze non sono l’unica variabile da considerare nella dispersione scolastica. «Bisogna tener conto anche del livello di profitto. Qui a Parco Verde – racconta la preside - il sette in Maturità Su 40 ragazzi promossi, solo 2 o 3 si iscrivono al liceo pagella è un fatto più unico che raro. I miei ragazzi ottengono la licenza con voti che non superano la sufficienza». Nonostante le difficoltà e la soppressione del suo Istituto Comprensivo prevista per il prossimo anno scolastico da una delibera regionale, Carfora non rinuncia a incoraggiare quegli alunni che chiama uno ad uno per nome. Alcuni hanno deciso di proseguire gli studi, salvo poi abbandonare. «Gli stimoli contrari – spiega la preside – sono molto forti. Su 40 ragazzi che escono dalla mia scuola arrivano al liceo solo due o tre». Sono giovani dalle storie diverse, ma simili per complessità e sofferenza. La loro adolescenza, tra i palazzi alti di Parco Verde e mille contraddizioni, brucia in fretta il percorso di una vita. A volte, senza neppure passare tra i banchi di scuola. La prof. Angela Leone, ora in pensione, ricorda la sua esperienza nell’Istituto “P. Giovanni” «Dopo tanti anni, qui poco è cambiato» Caivano e Parco Verde: divisi dentro e fuori la classe Paola Corona «La mia scuola tendeva a bocciare gli alunni più problematici per evitare che non fossero seguiti presso gli istituti superiori. Ricordo di un ragazzo che ha conseguito la licenza media dopo sei anni». A quasi dieci anni di distanza, Angela Leone, ex Emergenze quel verde che non c’è docente nella scuola secondaria di primo grado “Papa Giovanni” prima che fosse accorpata all’Istituto “R. Viviani”, ricorda gli anni trascorsi a Caivano. «Il senso dell’arroganza, della violenza già da così piccoli è ciò che mi ha colpito di più. A 10 anni avevano già nell’anima l’imperativo: essere forti e diventare dei capi». Dal 2001 al 2007, Leone ha insegnato L’EX DOCENTE Dal 2001 al 2007 ha insegnato materie umanistiche L’Istituto “Raffaele Viviani” materie umanistiche e, con un pizzico di amarezza, constata che la situazione scolastica non sembra essere molto diversa da come l’ha lasciata. «C’erano sezioni pilota dei figli della borghesia di Caivano, dove insegnavo, e altre più disagiate dei ragazzi del Parco Verde, luogo molto simile a un bronx nostrano», racconta. Questa divisione sociale esprimeva tolleranza e distacco tra i ragazzi. Leone non nasconde le difficoltà: «Impossibile fare lezione. Ricordo che mi documentavo molto sul calcio, perché era l’unico modo per poter instaurare un contatto con loro». Fonte di turbamento per la professoressa è stata la reazione a un suo richiamo verso un alunno sorpreso a borseggiare: «Pensate che farò la vostra stessa fine? Certamente no: io vivo poco, guadagno tanto, ma alla grande». arebbe stato Raimondo Caputo, il padre dell’amichetta con la quale giocava, a scaraventarla dall’ottavo piano. La storia di Chicca si intreccia con quella molto simile, di Antonio Giglio, un altro bambino precipitato dallo stesso stabile un anno prima. Dietro la loro morte ci sarebbe una rete di pedofili che agisce indisturbata nel quartiere, secondo gli inquirenti. A Parco Verde dove sono morti Chicca e Antonio, i seimila abitanti si proteggono da tutto e da tutti, non parlano con nessuno e comportamenti come gli abusi sui minori sono mascherati come se fossero normali. Ma la testimone della triste vicenda di Fortuna ha parlato, dando uno schiaffo agli adulti. Erano proprio i grandi a suggerire di stare in silenzio ai bambini che hanno disintegrato il muro di omertà. I piccoli si sono schierati contro i grandi, contro chi avrebbe dovuto proteggerli e non farli crescere in un sistema fatto di manipolazione e menzogna. In questo quartiere i bambini giocano a calcio nei campetti, tra il via vai dei tossici che acquistano droga e le siringhe usate, buttate per strada senza preoccuparsi di chi c’è attorno. A Parco Verde la presenza della camorra è molto forte. In questa zona è stata messa in piedi una delle più grandi piazze di spaccio di Napoli, dopo che a Scampia è diventato più difficile gestire i traffici illeciti da parte della malavita campana, per via dell’aumento dei controlli delle forze dell’ordine. Grandi e piccoli, senza distinzione, sono le vittime innocenti di una terra, dove si perde la vita per sbaglio e dove vivere è più difficile che morire. Le vicende di Caivano mettono in luce una realtà molto complicata che lascia aperti molti interrogativi ma uno più di tutti: quanti altri luoghi ci sono ancora come questo e nessuno ne parla? GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 10 Essere giovani a Caivano I miei amici si raccontano al bar «In tanti fuggono. Qui c’è una selezione naturale, ma al negativo» Anna Capasso E ravamo quattro amici al bar… Proprio come nella canzone di Gino Paoli. Questo è il racconto di una serata con i miei amici di Caivano. Ci siamo incontrati in un bar della vicina Frattamaggiore, la mia città, e intorno ad un tavolino, davanti ad un caffè, li ho invitati a raccontarmi le loro storie. Giovanni, Antonio e Valerio: li conosco da molto tempo, hanno tutti 27 anni e pur essendo di Caivano, nessuno di loro ha mai vissuto al Parco Verde. «I media offrono una visione generale della città assolutamente sbagliata e distorta», dice Antonio. È lui ad introdurre l’argomento più caldo, quello delle due città. Antonio è ingegnere edile e a breve conseguirà anche la specialistica e polemizza con i media nazionali: «Il Parco Verde non è parte integrante di Caivano». Anche Valerio, laureando in medicina e chirurgia, prende immediatamente le distanze: «Quel quartiere deve essere considerato come un universo a parte, c’è una realtà a sé stante, in cui regna una mentalità collettiva patologica». Giovanni, invece, è di parere contrario. È avvocato praticante da due anni, non teme d’indentificarsi con il “quartiere degli orrori”: «Caivano è soprattutto quello–spiega–distinguerla dal Parco Verde serve solo a crearci degli alibi». Quella sera al bar, abbiamo affrontato vari argomenti, il primo ad emergere è stata la questione dell’o- mertà, «amica delle zone malfamate», la definisce Giovanni. «A Napoli la vita è condensata dal motto fatti i fatti tuoi che campi 100 anni», prosegue. Anche Valerio concorda: «Tra di loro si crea una simbiosi, diventano una specie di branco, con una profonda avversione verso le forze dell’ordine e una mentalità arretrata, completamente svincolata da quelle che sono le regole sociali». Di fronte a me è seduto Antonio che, dinanzi alla rassegnazione di Giovanni per la criminalità che impera, obietta: «Niente è immutabile. Basterebbe un controllo a tappeto per demolire quella realtà. Bisognerebbe schedare tutti quelli che sbagliano, tenerli sotto controllo e pattugliare la zona dall’interno». Non ci sarebbe solo una mentalità retrograda ad ostacolare la rinascita del quartiere napoletano, ma anche problemi di sicurezza. Fino a poco tempo «Manca la volontà dello Stato di affrontare e risolvere il problema. Basterebbe un controllo a tappeto» fa Scampia era considerata l’emblema delle periferie difficili, ora è Caivano ad assurgere a questo ruolo. La colpa, secondo i miei amici, è dello Stato. «Un’istituzione comunale, per com’è prevista dalla legge italiana, non ha le possibilità per incidere su questi posti. Lo Stato–spiega Antonio-è dotato di 300 corpi armati diversi e nonostante sia a conoscenza della tragicità in cui versa il Parco Verde, non fa nulla. Manca la volontà di controllare e risolvere il problema». Valerio, invece, non colpevolizza le autorità perché «devono confrontarsi con una realtà complessa. La maggior parte dei cittadini non collabora, anzi, sembra preferire quelle condizioni. È difficile intervenire perché se è vero che bisogna fare delle buone leggi, è altrettanto necessaria la volontà di rispettarle». L’unico spiraglio di luce è don Maurizio Patriciello. «È riuscito a portare il Parco Verde all’attenzione dei media nazionali» dice Valerio. «È l’unica istituzione presente all’interno del quartiere», ribadisce Giovanni. «Ma la Chiesa da sola non può vigilare su tutto», nota Antonio. E poi c’è la questione dell’urbanistica. «La struttura del quartiere accentua ulteriormente il suo isolamento perché–obietta Valerio-lo chiudi in un posto relativamente ridotto e lontano dal resto della città». Di parere diverso, invece, Antonio. Da buon ingegnere, spiega: «In tutte le grandi città, i quartieri residenziali si trovano in periferia proprio per Piazza C.Battisti nel centro di Caivano scelte urbanistiche, ma anche economiche e politiche. Per cui, non credo che la posizione agevoli la criminalità». Altra piaga del Parco Verde è il sovraffollamento. Giovanni racconta di quando, dopo il terremoto del 1980, si costruì il complesso: «In quel periodo c’erano le elezioni politiche, quale migliore occasione per costruire appartamenti e raccogliere voti?». Ad 1 km dal centro, il Parco è raggiungibile solo con un proprio mezzo perché gli autobus sono un miraggio. Ma non sempre è stato così. Valerio ricorda quando il padre, nel 2005, è stato assessore alla mobilità a Caivano, durante l’amministrazione del sindaco Domenico Semplice. «Il progetto più importante che mio padre realizzò fu una navetta gratuita a servizio della popolazione che collegava i punti nevralgici del Paese. Dalle scuole alle vie principali, fino al Parco Verde e al cimitero, la navetta era sempre piena», spiega Valerio. Ma il servizio durò solo 2 anni. «Nel Parco Verde – conclude Antonio – dilaga una selezione naturale in negativo: i buoni vanno via e i cattivi restano e aumentano, portando avanti le abitudini dei genitori». Sono qui con tre amici al bar che hanno voglia di cambiare la propria città. L’opinione del sociologo «Prendete Cogne e mettetela al Sud» Christian Ruggiero spiega come l’immaginario mafioso abbia dato una piega particolare al caso di Fortuna Fausto Egidio Piu C aivano è un regno di omertà. Il professore Christian Ruggiero, ricercatore in Sociologia dei processi culturali all’Università Sapienza di Roma, ci aiuta a capire l’idea che l’Italia si è fatta di questo comune dell’hinterland di Napoli, ormai tristemente famoso per la vicenda di Fortuna Loffredo, la bambina di sei anni gettata da un terrazzo nel giugno 2014. Professore, se la vicenda di Caivano fosse accaduta in un piccolo centro del nord Italia, e non nella periferia napoletana, avrebbe avuto la stessa cassa di risonanza? «Probabilmente sì, ma con Il professore Christian Ruggiero diverse parole-chiave per descrivere la vicenda. Il destino di Caivano non è poi così diverso da quello di Cogne, Novi Ligure o Brembate. Ma la Val d’Aosta, il Piemonte o la Lombardia sono scenari in cui fa meno effetto, forse, la parola “omertà”, così legata all’immaginario mafioso e camorrista». Quanto certe trasmissioni televisive stanno contribuendo a trasformare Caivano in un inferno? «Certamente l’attenzione al “palazzo dell’orrore” e il racconto della rete di piccole e grandi connivenze che hanno ostacolato e stanno ostacolando la ricerca della verità non fa un buon servi- zio alla città: non sembrano esserci connessioni dirette tra il luogo dei delitti e la sua collocazione geografica, ma intanto ad andare sui titoli dei giornali, nei videowall, insieme a queste storie di abusi e silenzi, è Caivano». Qual è la Caivano raccontata dai media, quotidiani e televisioni in particolare, in queste settimane? «Un regno di omertà. È questa la parola che campeggia in tutti i titoli, che è sulla bocca di tutti i commentatori. Un simbolo di tutti i contesti in cui i bambini sono a rischio, per mancanza di strutture adeguate per far trascorrere loro in sicurezza il tempo della scuola e del doposcuola. Ma soprattutto per mancanza di quel senso di comunità che dovrebbe rendere ogni madre vigile rispetto alla possibilità che si perpetuino violenze contro i minori». Cogne, Avetrana, il delitto di Loris Stival e, ultimo, il caso di Caivano. Ennesimo sciacallaggio mediatico o diritto di cronaca? «Difficile, in questo come in tutti gli altri casi, dare un giudizio. Non parlarne, o cercare di allontanare l’attenzione da questi fatti, porterebbe, specie in questo caso, a muovere al sistema dei media l’accusa opposta di volontà di partecipare a quel clima di omertà che ora stigmatizzano. Certo, faremmo volentieri a meno di vedere e rivedere la stanzetta che la madre di Fortuna ha tenuto in ordine come se la bambina dovesse tornare domani, o il vestitino giallo che indossava il giorno della morte». GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 11 Gomorra nei viali del Parco Verde La marcia dei 108 Contro i boss della droga in un ciak Antonio Buonansegna U La favola di Stash «Torno volentieri a Cardito, ma lì non sarei mai emerso» A. Esposito E. Missione «La svolta per la mia carriera ci fu quando il mio mentore al liceo, Lino Vairetti, disse che in provincia non sarei mai migliorato. E aveva ragione». A parlare è Antonio “Stash” Fiordispino, cresciuto al confine con Caivano, in una periferia complicata come Cardito. Il suo è un caso esemplare di come, con un po’ di fortuna e tanto talento, ci si possa liberare dai lacci stretti di un paesino con tanti problemi. «Quando a 16 anni hai già subito 3 rapine con la pistola puntata in fronte – spiega – hai la conferma che quella in cui vivi è davvero una zona difficile». Oggi Stash di anni ne ha 27 ed è il frontman dei The Kolors, il gruppo musicale che, vincitore di Amici 14, è riuscito in pochissimo tempo a scollarsi via l’etichetta di “prodotto talent”. Da Cardito alla copertina di Rolling Stone, conquistata dopo il successo del loro primo album “Out”, quattro volte disco di platino, il passo non è breve. «Buona parte del merito del mio successo va al mio papà che mi ha fatto respirare la vera musica fin da bambino» racconta Stash. Umberto Fiordispino, infatti, è un musicista e negli anni ’80 nella sua sala prove a Napoli sono passati tanti volti noti della musica, primo fra tutti Pino Daniele. «Devo ringraziare mio padre perché non mi ha mai voluto dare lezioni e non ha mai contaminato il mio stile musicale» riprende Stash. E aggiunge: «Quando gli ho chiesto di insegnarmi Shine on you crazy diamond dei Pink Floyd, mi ha risposto che così come lui aveva imparato con la puntina del giradischi, io avrei dovuto fare con la musicassetta: andare avanti e indietro fino a consumare il nastro». In fatto di musica i suoi gusti sono sempre stati chiari, con l’America e Londra nella testa e nelle orecchie. Ma intorno a lui non c’era il CBGB di Manhattan o il Marquee Club della capitale inglese, i locali dove hanno iniziato le stelle del rock mondiale. C’era solo Cardito e la difficoltà di far apprezzare una musica così diversa da quella in voga in quel periodo. «Negli anni del liceo ci inventavamo delle Jam session nella vineria del paese. Ma i nostri coetanei – sottolinea l’artista – preferivano i cantanti neomelodici. Un altro segnale che quello non era il posto adatto a noi». Di lì, dopo la maturità, la scelta di investire tutto e trasferirsi insieme al suo gruppo a Milano per frequentare l’Accademia delle Belle Arti di Brera e soprattutto per entrare in contatto con un panorama musicale più vasto. I primi live a Le Scimmie, storico locale milanese, poi Stoccolma, Londra e Berlino. Ma a consacrare definitivamente i The Kolors ci pensa Amici. Il resto è storia nota di una carriera in costante ascesa. «A Cardito torno spesso e resto puntualmente stupito dell’affetto delle persone» dice Stash. Lo scorso luglio un riconoscimento speciale è arrivato anche dal comune: «Ricevere le chiavi della città è stato incredibile, c’erano tantissime persone – confida – ciò che più amo del posto in cui sono nato è il calore umano». Master di Giornalismo dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli Presidente Lucio d’ Alessandro Direttore Marco Demarco Responsabile inchieste biennali per la collana “Cronaca e Storia” Paolo Mieli Responsabile formazione radio-tv Pierluigi Camilli Direttore delle testate Marco Demarco Coordinamento redazionale Francesca De Lucia Carla Mannelli Alessandra Origo Coordinamento tecnico audiovisivi Rosario Cuomo Giuliano Caprara na fiaccolata per allontanare gli spacciatori dal quartiere. Gli abitanti del Parco Verde si riversano lungo i viali issando cartelli contro la droga. La polizia scorta i manifestanti che esprimono il loro malcontento. Sono silenziosi ma sembra che urlino. Non lontano la criminalità continua a consumare i propri traffici. Accade nel terzo episodio della seconda stagione di Gomorra. Centootto i figuranti davanti la macchina da presa, scelti tra gli abitanti di quella Caivano finita da mesi sulle prime pagine dei giornali per la vicenda di Fortuna Loffredo. La serie mette in scena la vita quotidiana dei clan camorristici adottando la stessa teoria del “pedinamento della realtà” che lo scrittore Cesare Zavattini formulò per il cinema neorealista. Certamente non edulcorata nel contenuto,Gomorra anche questa volta rinuncia ad ogni orpello per consegnare allo spettatore la dura realtà della criminalità napoletana: labile o addirittura invisibile il confine tra la verità e la finzione. “E’ stata l’emozione più grande della mia vita poter vedere quaranta famiglie ribellarsi a problemi che vivono quotidianamente”, racconta Bruno Mazza dell’Associazione Un’ infanzia da vivere del Parco Verde di Caivano. “Avrebbero dovuto girare molte più scene all’ ìnterno del Parco Verde. Il commisario prefettizio però faticò a rilasciare i permessi necessari per le riprese ma - continua- quella sola giornata ha consentito al comune di Caivano di guadagnare 18.000 euro.” Sorprendente, ha spiegato Bruno, il significato quasi catartico delle scene girate: “Qui ogni viale ha una propria piazza di spaccio. Anche se all’interno di un mondo fatto di celluloide, abbiamo potuto far sentire la nostra voce.” Quelle poche sequenze potrebbero aver restituito una timida speranza agli abitanti del Parco Verde: sul piccolo schermo quello che ancora non riescono a scorgere dalle finestre delle proprie abitazioni. Combattere contro un problema a cui si è ormai assuefatti in un posto dove la clessidra dell’esistenza viene capovolta e poi ancora capovolta, condannando coloro che sono intrappolati all’interno a rivivere in eterno la stessa sorte. Forse per gli autori non si è trattata di una mera scelta cinematografica. Sarebbero stati gli stessi cittadini di Caivano ad aver suggerito di girare quella scena, qualcuno racconta. Cacciare la camorra, malgrado sia per fiction: una via di fuga da quell’ “eterno ritorno” nietzschiano che tiene imprigionati gli abitanti del Parco Verde. Le riprese di Gomorra Triste constatare che le speranze di Bruno siano destinate a scontrarsi anche contro un muro fatto di pixels. Nell’episodio di Gomorra è lo stesso boss della droga a suggerire al sacerdote del quartiere di organizzare una manifestazione. Una strategia messa in atto per salvaguardare interessi legati al clan, che riduce gli abitanti del Parco Verde al ruolo di pedine legate ai fili di un burattinaio oscuro chiamato camorra. Segreteria didattica Nancy Polverino Grafica Ananda Ferrentino In redazione Filomena Avino, Antonio Buonansegna Alessandra Caligiuri, Anna Capasso Alessandro Cappelli, Paola Corona Giuseppe Di Martino, Antonio Esposito Antonio Lamorte, Emanuele La Veglia Marina Malvestuto, Maurizia Marcoaldi Carolina Mautone, Emilia Missione Fausto Egidio Piu, Davide Uccella Erminia Voccia Stampa Centro Stampa di Ateneo Registrazione Tribunale di Napoli n. 5210 del 2/5/2001 Editore Università degli Studi Suor Orsola Benincasa 081 2522236 GIOVEDÌ 26 MAGGIO | pagina 12 Fondazione FCF Il progetto Finanziato da 200 famiglie del Parco Un campo verde autogestito contro il degrado Alessandro Cappelli Davide Uccella T rascorrere l’infanzia e l’adolescenza in una realtà di frontiera come il Parco Verde è spesso sinonimo di evasione scolastica, microcriminalità e familiarità, con scene che ritraggono scontri a fuoco e tossicodipendenza. In un teatro così complesso è nata “Un’infanzia da vivere”, che si pone l’obiettivo di allontanare i ragazzi dalla strada e dargli la speranza di un futuro migliore facendo dello sport il suo motore. Merito di Bruno Mazza, lui che nel Parco Verde è cresciuto e conosce perfettamente l’aspetto criminale di quella zona. «Noi vogliamo dare ai giovani l’opportunità di avere un futuro felice, lontano dalla malavita» afferma il 28enne che grazie all’aiuto delle famiglie locali ha fornito un campetto e l’attrezzatura necessaria per far giocare i bambini. Ma se lo sport è il motore dell’associazione, la scuola deve necessariamente essere il combustibile che permette al motore di attivarsi, diventando elemento fondamentale del programma: andare al campo anche durante il fine settimana per i ragazzi è un premio che si può conquistare solo seguendo le lezioni durante la settimana. «Perché noi sette – chiarisce il responsabile dell’associazione facendo riferimento al gruppo di persone che durante la settimana segue i piccoli sul campo – non siamo solo istruttori di calcio, il nostro obiettivo non è formare futuri calciatori. Sarebbe troppo difficile. Noi siamo istruttori a 360 gradi». La bontà del progetto ha convinto molte ONLUS a partecipare con un finanziamento. È il caso della Fondazione Cannavaro – Ferrara, sì il nome è quello dei due calciatori napoletani di fama mondiale, che ha donato inizialmente 15.000 euro per migliorare il campo con erba sintetica di nuova generazione e creare un vero e proprio centro sportivo con tanto di spogliatoi, bagni e uffici a norma. Finanziamenti di questo genere si intrecciano con lo sforzo di tutta la comunità del Parco Verde che partecipa alle spese quotidiane del centro con piccole donazioni volontarie. La strada percorsa da “Un’infanzia da vivere” sembra essere quella giusta. Considerati gli obiettivi, i risultati sono evidenti. Nel 2014 si è registrato il successo più grande: azzerare la dispersione scolastica. Merito anche della SSC Napoli. Quell’anno c’era l’accordo per andare a vedere gli allenamenti della squadra a Castelvolturno e i bambini dell’associazione ne erano entusiasti. «Ricordo lo stupore dei genitori che mi chiamavano per cercare spiegazioni: non riuscivano a credere che i loro figli desiderassero fortemente andare a scuola anche la domenica pur di vedere gli allenamenti del Napoli. È assurdo», ricorda il responsabile dell’associazione. Per i ragazzini il richiamo dei loro eroi in Nasce nel maggio 2005 dalla volontà dei campioni partenopei, i fratelli Fabio e Paolo Cannavaro e Ciro Ferrara. La sua missione è quella di contribuire alla soluzione delle criticità del contesto sociale della città di Napoli e delle sue aree provinciali, contrastando le diverse forme di disagio minorile e giovanile. All’attivo 35 progetti interdisciplinari. Un’infanzia da vivere maglia azzurra era troppo forte. A scuola si andava volentieri. Più difficile comprendere perché quest’accordo non sia stato rinnovato nei due anni successivi. «Non capisco perché il Napoli non abbia proseguito su quella strada» dice sorpreso Vincenzo Ferrara, fratello del calciatore Ciro e presidente della Fondazione Cannavaro - Ferrara. «Visti i risultati l’imBruno Mazza «Noi come istruttori siamo innanzitutto allenatori nella vita» Vincenzo Ferrara «Lo sport è una grande opportunità in un contesto così difficile» pegno era doveroso», prosegue nel suo appello alla società di Aurelio de Laurentiis. Appello cui fa eco quello di Mazza: «Il Napoli avrebbe dovuto dare un segnale di speranza ai ragazzi. Azzerare l’evasione scolastica a costo zero è il miglior risultato possibile, ma la collaborazione non è stata rinnovata». Oggi “Un’infanzia da vivere” è coinvolta in una miriade di progetti sportivi e non, che spaziano dall’iscrizione a tornei giovanili alla creazione di due poli sportivi che possano accogliere un gran numero di ragazzi e ragazze delle periferie. Perché allo sport è riconosciuto un grande potere di riscatto sociale:questo lo rende fondamentale, anche al Parco Verde. Soprattutto al Parco Verde. Nasce nel 2008 per aiutare 450 ragazzi a rischio microcriminalità del Parco Verde: oggi ne accoglie più di 150. Nel 2011 la collaborazione con la FCF che permette la costruzione del campetto in erba sintetica. Importante il supporto economico volontario di 200 famiglie locali che versano da 1 a 200€ al mese.