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anno XVI n.5
26 maggio 2016
Periodico della Scuola di Giornalismo dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli diretto da Marco Demarco
Edizione speciale Tutti gli articoli di questo numero sono dedicati alla periferia oggi al centro della cronaca nera
Viaggio nella lunga notte di Caivano
Collegamenti difficili, giovani isolati. La preside coraggio: «Salviamo la scuola»
L’EDITORIALE
Una realtà
fuori dai radar
dello Stato
Marco Demarco
A Caivano, dove la resistenza
civile è comunque una realtà,
manca perfino un bus per andare in città. È come se su una nave
alla deriva non ci fossero le scialuppe di salvataggio. Molte case
popolari sono occupate abusivamente da decenni, così da non
avere più né un patrimonio edilizio pubblico né uno privato. Il
degrado urbano è ovunque, basta guardarsi intorno. A scuola i
banchi vuoti sono in costante aumento: nell’ormai famoso Parco
Verde, sono addirittura sei su dieci i banchi che in media restano
vuoti; e ogni anno sono sempre
di meno i ragazzi che si iscrivono
al liceo. E poi ci sono gli orchi, i
veleni, la droga.
Viene da pensare: e cosa sarebbe allora successo senza i “resistenti”, senza l’iniziativa di chi professori, volontari e militanti di
base- non ha mai abbandonato il
campo? D’altro canto, come non
vedere che a Caivano sta calando una notte senza fine? Dopo il
terremoto del 1980, nella rete che
teneva insieme Napoli e il suo
hinterland si sono prodotti i primi squarci: i piani predisposti per
riequilibrare centro e periferia furono sconvolti per fronteggiare le
conseguenze del sisma. Poi è venuta la crisi dei rifiuti, e tra il 2000
e il 2008, gli anni peggiori, la città ha inondato di immondizia le
sue periferie, incurante di ciò che
un tale avvelenamento avrebbe
provocato. Infine, ci sono state
le guerre di camorra e la conseguente apertura di nuove piazze di spaccio. È a questo punto
che il cerchio infernale delle tre
emergenze si è chiuso. Il cerchio
del degrado urbano, dell’ambiente avvelenato, della criminalità
crescente. Il risultato è stato un
assedio che avrebbe sfiancato la
più fortificata delle città, e Caivano certamente non lo era. Questo
numero speciale di Inchiostro
nasce dall’esigenza di raccontare
e capire una realtà che rischia di
sparire dai radar dello Stato.
Il racconto di un pomeriggio alla scoperta di quello
che è diventato il posto più brutto del mondo. Il viaggio
parte dal centro della città con i ragazzi del Forum dei
giovani. Raccontano il tentativo di scrivere una pagina
diversa per il loro paese consapevoli dei mali che oggi
lo attanagliano. Primo fra tutti il Parco Verde. La città
nella città dove le regole sono riscritte in nome di una
mentalità che si tramanda di generazione in generazione. Eppure ci sono persone come Bruno Mazza che remano in senso contrario. Offrono ai bambini del parco
un orizzonte diverso, navigando a vista tra le secche e gli
scogli della piazza di spaccio più grande d’Europa.
Filomena Avino, Antonio Esposito,
Antonio Lamorte, Maurizia Marcoaldi,
Carolina Mautone, Emilia Missione a pag. 4
L’intervista
Il personaggio
Il sindaco Simone Monopoli
lancia un appello alle alte
cariche dello stato:
«Il loro intervento è fondamentale – dichiara – per
risolvere le molteplici emergenze del nostro comune».
Dalla periferia di Napoli al
successo internazionale, la
voce dei The Kolors racconta a Inchiostro la sua adolescenza a Cardito. Le prime
esperienze nei locali della
zona e la voglia di partire.
Il primo cittadino
chiama i rinforzi
Stash: «Cardito?
Dovevo scappare»
Lamorte a pag. 4
Esposito e Missione a pag. 11
I rifiuti tossici della Terra dei fuochi, la camorra e la pedofilia
Il comune delle tre emergenze
Marina Malvestuto
Fortuna Loffredo. In alto Parco Verde
È in piena terra dei fuochi,
è la piazza di spaccio più
grande d’Italia e d’Europa,
ma da due anni l’ombra della pedofilia ha coperto tutte
le altre emergenze. Caivano
è un concentrato di degra-
do e di disagio sociale, che
si estende per 27 chilometri
quadrati tra Napoli e Caserta, dove per anni sono state
sotterrate tonnellate di rifiuti tossici. Qui si registra
il più alto numero di morti
per tumori, soprattutto tra
i bambini. Ma ad ucciderli
non è solo questo. Chicca, la
chiamavano tutti così a Parco Verde, il suo vero nome
era Fortuna Loffredo, aveva
sei anni. La sua breve vita è
stata spezzata nel 2014, da
una caduta dall’ultimo piano del palazzo in cui viveva.
continua a pag. 9
GIOVEDÌ 26 MAGGIO
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Il Reportage Tra palazzi fatiscenti, piazze di spaccio e negozi spogli,
viaggio alla scoperta del rione di Caivano dimenticato dalle Istituzioni
I
n direzione Villa Literno
il primo cartello di uscita
dall’asse mediano indica Caivano. Benvenuti in
quello che è diventato il posto
più brutto del mondo.
In centro, nella piazza del paese, aspetta Antonio, un membro del Forum dei Giovani di
Caivano. L’appuntamento è
sotto quello che lui chiama Castello ma che per un occhio distratto si confonde facilmente
con gli edifici intorno. A pochi
passi c’è la sede del Forum. Una
volta dentro, la stanza si riempie velocemente di persone.
Tommaso, Giuseppe, Gennaro,
Davide arrivano uno alla volta
e si presentano. Parlano con
entusiasmo di quello che fanno
per la loro terra. «Le difficoltà
in una realtà come questa sono
tante. Ma qualche battaglia
l’abbiamo anche vinta», dice
soddisfatto Antonio. Nelle parole c’è la voglia di raccontare
la Caivano che non si trova sui
giornali. «Non siete mai stati al
Parco Verde, volete vederlo?»
domandano i ragazzi.
Si offrono come guida. Solo
dieci minuti più tardi l’arrivo al
«rione degli orrori».
Inizia così il pomeriggio nel
Parco.
Da 9 anni libero dopo 11 passati in carcere, Bruno Mazza si
presenta con i pantaloni sporchi di vernice e un giubbotto
rosso con la scritta “Associazione un’Infanzia da vivere”. Pochi
istanti dopo arriva Giovanni,
presidente dell’associazione.
Insieme condividono la speranza di salvare i bambini del
Parco Verde da un destino già
segnato.
«Vogliamo andare?» chiede
Giovanni. E come turisti comincia il tour nel parco, guidati
da due ciceroni d’eccezione.
Un cenno con la testa o un
movimento della mano di Bruno rassicura tutti: non portano
problemi.
«Ecco, quello a destra è il
palazzo di Fortuna – racconta
Giovanni – c’è un muro, non fa
parte del nostro parco». La guida abita lì da sempre e quelli
di quel lotto dice di non averli
mai incontrati. «Se noi del parco l’avessimo saputo – confida Caputo non sarebbe mai uscito
vivo da lì dentro».
Con le mani ai taccuini e le
orecchie alle guide, camminando per il parco non è chiaro
se è più il visitatore a osservare
il rione o viceversa. La curiosità
confusa e l’interesse anomalo
di chi si guarda attorno, cercando di cogliere quanti più
particolari tra le palazzine degradate, non possono che essere di un estraneo. Prepotente e
ripetitivo, si fa sentire il rombo
Ecco Parco Verde
Racconto del quartiere
abbandonato da tutti
Lotto IACP, il palazzo
di Fortuna Loffredo
e Antonio Giglio
In alto il campetto
di Parco Verde
catalitico dei “T-max” che controllano il territorio. Il mezzo
oggetto del desiderio di molti
adolescenti è lo stesso montato
dalle vedette mai ferme di chi, a
Caivano nella piazza di spaccio
più grande d’Europa, continua
indisturbato il suo traffico. Nonostante i bambini che giocano
poco più in là o le troupe televisive da settimane nel parco.
La sensazione è quella di trovarsi in una città dentro la città,
con le sue regole e i suoi valori. Superfluo interrogarsi sulla
presenza delle istituzioni, magramente rappresentate da alcune pattuglie di agenti in borghese. I soliti, quelli conosciuti
da tutti.
Una pescheria e un alimentari spogli e sgarrupati sono il
massimo dell’offerta commerciale da questa parte del rione.
Poco più avanti uno striscione
sulla recinzione della chiesa
di Don Patriciello dà appuntamento per le 21.30 alla Cristoteca, un locale della parrocchia
dove i ragazzi possono ballare
senza andare in discoteca. L’ennesimo invito di un presidio
che lotta quotidianamente per
la legalità.
E lo fa proprio di fronte a
quei pusher che anche in pieno giorno, assicurano continuità alla filiera della droga. Non
si fermano nemmeno davanti agli sguardi degli stranieri.
Uno di loro rimette in tasca un
malloppo di banconote. Mille,
duemila, tremila euro.
Sempre di fronte alla chiesa,
guardando il bar Carolina, non
si può non notare il gigantesco murales che colora la facciata del palazzo. Sono i volti
di tre ragazzi: Gennaro, Luigi
e Vincenzo, morti in un incidente stradale qualche mese
fa sull’A1. Stavano tornando
da una serata a Napoli, erano sul sedile posteriore di una
Fiat 500, quando il conducente
ha perso il controllo facendo
ribaltare la macchina più volte. «Erano dei bravi ragazzi, si
guadagnavano da vivere onestamente» sottolinea Giovanni.
Appena svoltato l’angolo cattura l’attenzione la mano protesa di un Padre Pio che di traffici
ne deve aver benedetti tanti, da
queste parti.
Pochi metri, automobili
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Italo Calvino Anziché dirti di Berenice, città ingiusta, […] dovrei parlarti
della Berenice nascosta, la città dei giusti (da Le città invisibili)
smantellate, erba accatastata e
si arriva direttamente al cuore
del Parco Verde: la villa comunale, ex ritrovo di spacciatori e
tossicodipendenti. Sia Giovanni che Bruno non vedono l’ora
di raccontare come intendeno
riqualificare l’area. Qui dovranno essere realizzate delle aiuole e dei laboratori all’aperto: un
modo come un altro per non
lasciare i ragazzi allo sbando
per strada, per organizzargli il
pomeriggio perché «è la noia
il primo fattore che ti porta a
scegliere la strada sbagliata»
spiega Bruno. Un progetto arriva anche da Milano: tre professoresse dell’Accademia delle
Belle Arti di Brera hanno rinunciato alle vacanze estive per
lavorare a un grande mosaico
all’interno della villa.
Nobili progetti. Ma per ora
l’incuria sembra crescere a
mano a mano che si avanza lungo i viali. A dispetto del
nome, non c’è molto di verde
in quel parco tranne le erbacce che spuntano dalla strada
spaccando le cunette e i marciapiedi.
Un’anziana signora aspetta
l’autobus sotto una pensilina, qui non ne passano molti.
L’unica speranza è che vada
in porto il progetto “Caivano
Shuttle” del Forum dei giovani. «Ma questi chi sono? Che
vogliono?» biascica a fatica la
donna. Ancora un cenno di rassicurazione di Bruno.
Quasi arrivati all’altra estremità del parco, gli accompagnatori vogliono mostrare
un’ultima cosa: i campetti di
calcio della fondazione Cannavaro Ferrara. Si sentono già le
urla dei bambini che giocano.
Superato l’ultimo palazzo, si attraversa la strada e ci si trova di
fronte le reti che circondando i
campi.
I ragazzini, una ventina dei
Uno dei bambini
dell’Associazione
Un’infanzia da vivere
In alto a destra la villa
comunale del Parco Verde
circa 90 ai quali Bruno e Giovanni offrono un’alternativa,
non gridano più. Ci sono degli
stranieri.
Hanno dai 9 agli 11 anni ma
basta guardarli e ascoltarli parlare qualche minuto per capire
che si portano sulle spalle molti
più anni di quelli che hanno.
Per un sesto senso innato, comune tra chi cresce in questo
posto, hanno imparato a distinguere gli estranei con poche occhiate. Quegli stessi estranei,
una volta rotto il ghiaccio, possono diventare un’attrazione,
un’insolita novità in un pomeriggio uguale a tanti altri. Tutti
si avvicinano tranne uno, il più
timido. «Non lo dovrei dire ma
per lui tengo un debole» dice
sottovoce Giovanni. Il piccolo
diffida ancora. Ha il numero 24,
quello di Lorenzo Insigne, disegnato nel taglio di capelli. Ha
un sogno: diventare calciatore.
A differenza dei maschi, le
bambine a calcio non vogliono
giocarci. O meglio, lo fa solo “la
cinesa” e per gli altri lei è inevitabilmente un “masculone”.
Ma, se tutto va bene, tra qualche settimana qualcuno verrà
per le lezioni di pallavolo.
«Ma che ci facit cu sti libbr mman?» L’italiano devono
averlo pur sentito da qualche
parte ma è qualcosa di troppo lontano dal loro mondo. Se
qualcuno lo usa per parlare
con loro fa subito autogol, perché da estraneo può diventare
ostile. Quando sei ospite devi
rispettare usi e costumi del paese ospitante.
Viene da pensare che il destino abbia un’ironia tutta sua
quando, guardando la maglietta di una di loro, leggi la scritta
They Change Rules.
«Lo sai che significa?» chiede
lo straniero
«Nun ‘o sacc, dimmel tu»
risponde con aria di sfida la
bambina
«Loro cambiano le regole»
«Allora ma lev a cuoll, che so
sti cos. E regol nun s’cagnan».
Le regole non si cambiano.
Dall’alto dei suoi 9 anni non sa,
non può sapere, cosa significa quello che ha appena finito
di dire. Ma deve averlo sentito
così tante volte che non fa nessuna fatica a ripeterlo. Per lei
e per gli altri è già mentalità,
quella che li sta condannando ad avere come orizzonte il
muro di recinzione del Parco.
E forse basta questo per fare
di una scritta qualsiasi, su una
maglietta qualsiasi, una profezia ipocrita e bugiarda.
Servizio a cura di:
Filomena Avino, Antonio Esposito,
Antonio Lamorte, Maurizia
Marcoaldi, Carolina Mautone,
Emilia Missione
Dalla Terra dei Fuochi alla pedofilia, le lotte di don Maurizio Patriciello
«No allo sciacallaggio,
la stampa aiuti Caivano»
Il parroco che invita la gente del posto a non scappare via
L’intervista
Emanuele La Veglia
«Fanno bene a venire le telecamere e i riflettori? Sì, se il problema lo si affronta con onestà,
intelligenza, competenza e
desiderio di aiutare le persone. No, se chi viene come uno
sciacallo si getta sulla preda
per strapparne la carne viva».
Don Maurizio Patriciello è il
parroco della chiesa di San Paolo Apostolo, situata nel cuore
del Parco Verde di Caivano. Ma
non solo. È anche editorialista
per “Avvenire” e proprio sulle
pagine del quotidiano cattolico ha scatenato di recente la
denuncia alla strumentalizzazione della vicenda legata alla
morte della piccola Fortuna.
L’errore più contestato ai giornalisti è quello di legare troppo
la problematica dei pedofili al
quartiere di Parco Verde: «Il
nesso di causalità tra povertà e
pedofilia – ha scritto Patriciello - non esiste. Il solo pensarlo
è un abominio. Un vero regalo
a tutti i pedofili ricchi». Ordinatosi a trentaquattro anni,
don Maurizio ha avuto dunque
una vocazione adulta, nata
dopo anni di allontanamento
dalla Chiesa. Quello a Caivano è il primo e unico incarico
pastorale avuto finora, ma
non ha mai mollato. Il suo
impegno sociale ha riscosso
Don Patriciello
“
Istituzioni
Vogliamo invitare chi
ci governa a gettare
uno sguardo sulle
periferie a rischio?
“
Chiesa
La parrocchia è stato
l’unico ponte tra il
quartiere degradato e
i paesi circostanti
“
Andare via?
È quello che vuole la
camorra. Mandare via
gli onesti e sostituirli
con gli affiliati
grande attenzione in seguito
all’esplosione del caso della
“Terra dei fuochi”, la vasta area
tra Napoli e Caserta, di cui fa
parte anche Caivano, che ha la
più alta percentuale di tumori
d’Italia a causa della presenza
di rifiuti tossici. Da qualche
anno è iniziata la sua battaglia
per denunciare lo scandalo
dell’interramento degli scarti
industriali e per sensibilizzare
sull’argomento agendo in prima persona. Poi i recenti casi
di pedofilia nel «palazzo che
confina con il Parco Verde»,
che il sacerdote ha spesso definito come «un quartiere dove
lo Stato è un illustre sconosciuto». La sua parrocchia, sorretta
dalla diocesi di Aversa in cui
è inglobata, si trova dunque
a fare le veci delle istituzioni.
Ormai sempre più abitanti
del quartiere manifestano al
sacerdote la volontà di andare
a vivere altrove.
Don Maurizio risponde che
così «si fa un regalo alla camorra», la quale non vede
l’ora di «mandare via gli onesti
e sostituirli con i suoi affiliati, per fare del quartiere un
ghetto, con il proprio sindaco
e la propria amministrazione».
Immancabile poi il perenne invito al governo e agli enti locali
di «gettare uno sguardo sulle
periferie a rischio», ma troppo
spesso la sua è solo “voce di
uno che grida nel deserto”...
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L’intervista Dopo un lungo silenzio, gli SOS di Monopoli alle alte cariche per risolvere subito le emergenze
dichiarazioni
«Eccomi, ci sono anch’io: il sindaco»
Il Pontefice
Papa Francesco
«La pedofilia è una
tragedia, non dobbiamo tollerare gli abusi
sui minori, dobbiamo
difendere i bambini e
punire severamente»
Eletto nel 2015,
chiede fondi per
Scuole Aperte
Antonio Lamorte
P
Il Presidente
Sergio Mattarella
«Sui crimini della
pedofilia inchiesta
ampia,rapida e severa.
Troppo spesso i minori sono vittime di
abusi. Lo sfruttamento
sessuale di bambini e
adolescenti, il turismo
sessuale, la pornografia,
l’adescamento, anche
on line, costituiscono
degenerazioni della
nostra società. Si tratta
di piaghe da eradicare
con fermezza perché
contrarie al senso di
umanità, che richiede al
più forte di rispettare e
proteggere chi non può
difendersi”
Il presidente del consiglio
Matteo Renzi
«I pedofili? Quando
li prendiamo è bene
che non escano più.
Parlando di queste
cose abbiamo tutti un
nodo alla gola, da padri
pensiamo che qui c’è
qualcosa che va oltre,
c’è la follia inaccettabile
dell’uomo»
Il ministro dell’Istruzione
Stefania Giannini
«Il Parco Verde è un
contesto sociale complesso e ha bisogno di
scuola in modo chiaro
e forte, forse più di altre
zone del paese. Ma qui
ho visto tanta passione
e tanta umanità»
La legge 219 del 1981
non ha cambiato
volto alle periferie
Filomena Avino
P
arco Verde di
Caivano, il parco
più tristemente noto
degli ultimi anni, è
il quartiere dei «napoletani
esiliati».
La sua storia, però,
comincia prima del
terremoto
dell’Irpinia.
Nell’aprile
dell’80, quando viene approvato il Piano
edilizio di recupero
delle periferie napoletane, con l’individuazione delle zone
più degradate da ri-
er i sostenitori è il sindaco dell’“operazione
verità”, per gli oppositori
un militante di estrema destra. «Ho aderito per anni
all’MSI e conservo alcuni cimeli. Non rinnego il
passato, ma non mi sogno
di farlo rivivere – ribatte –
l’unica mia priorità è Caivano». Simone Monopoli,
medico chirurgo, è il primo
cittadino del comune su
tutte le pagine di cronaca
nera. Il 58% conquistato
dalla sua coalizione di destra gli consegna nel giugno 2015 la guida del paese.
Ma il tempo è tiranno con
la sua amministrazione e,
nemmeno un anno dopo,
scoppia il bubbone che
preme sulla già emergenziale situazione di Caivano.
Ad aprile, oltre al caso di
Fortuna, si scopre una voragine nei conti pubblici di
9 milioni e mezzo di euro. Il
primo cittadino la battezza
“operazione verità” e punta il dito sulle precedenti
amministrazioni, colpevoli
di aver «nascosto il debito
con stratagemmi contabili». Il comune lavora ora ad
un piano di rientro per evitare il dissesto finanziario.
Se entro il 7 giugno la manovra non viene approvata,
si torna alle urne.
Sembra grottesco, ma dietro il collasso economico
ci sarebbe ancora il Parco
Verde: «Per tre anni almeno
le passate amministrazioni
hanno messo in entrata 30
milioni di euro dall’alienazione immobiliare – spiega
il sindaco – ma non era stato venduto nemmeno un
Il primo cittadino Simone Monopoli, 53 anni, nel suo ufficio comunale
metro quadrato e non erano stati riscossi i canoni».
A conferma di come quella
zona sia abbandonata a se
stessa. «Io la chiamo la “Riserva Indiana” – argomenta
- dov’è stata impedita l’integrazione e permesso al
disagio di proliferare». Una
condizione sociale che può
accrescere certe depravazioni: «Sicuramente la
pedofilia è trasversale alle
classi sociali – premette –
ma io credo che il pedofilo
non nasca tale, e se lo diventa è per situazioni che
possono avvicinare a delle
perversioni, come la droga
o la prostituzione». Ci tiene
però a precisare che è stato
sbagliato «dipingere il Parco Verde come il Parco degli Orchi, perché in quelle
palazzine vive soprattutto
gente onesta».
Ma l’illustre assente nel dibattito sui media nazionali
è stato proprio il sindaco
Monopoli, mai apparso se
non per qualche diretta fugace. «Nessuno mi ha interpellato – dice lui – perciò ho
scritto a Mattarella, a Renzi
e al ministro dell’istruzione
Giannini». E dopo un mese
di tam-tam, parte la corrispondenza (ripresa solo
da qualche giornale locale) che chiede un incontro
per parlare di tutela dei
minori, ambiente, legalità
Il caso
«Il Parco Verde
è una “Riserva
Indiana” dove
l’integrazione
ha fallito»
La provvisoria sede del municipio in via De Gasperi
e scuola. «Il Parco Verde, il
CDR, l’ecoballe, la terra dei
fuochi, l’unico campo rom
autorizzato nella provincia
di Napoli, i debiti e una disoccupazione allarmante:
sono 27 chilometri quadrati di emergenze quelli
di Caivano - denuncia –
ma arriva un punto oltre il
quale non si può avanzare
senza l’appoggio politico
ed economico dello stato».
Non basta quindi l’ottimo
lavoro dei servizi sociali e il
volontariato di un propositivo associazionismo. Mancano i fondi per progetti a
lungo termine e per aprire
le scuole di pomeriggio e
d’estate. La strategia di Monopoli vuole portare l’attenzione sul comune a un
livello nazionale. Ma (almeno per ora) Matteo non
risponde.
La storia del quartiere-simbolo del degrado dell’hinterland napoletano tra spaccio e illegalità
Quel «ghetto-mostro» nato dal terremoto
qulificare. Un Piano
modificato dal devastante «terremoto
freddo» che fa 2914
morti e 9000 feriti,
rade al suolo interi
comuni e lascia quasi 300 mila abitanti senza tetto. Così,
nel maggio dell’81,
l’ex Piano si trasforma in legge 219, con
la quale si approva
il Pser (Programma
straordinario di edilizia
residenziale)
e si stanziano 8000
Parco Verde, Caivano
miliardi di lire per la
ricostruzione delle
zone. La legge dà il
via libera alla costruzione degli odierni «ghetti-mostro»,
luoghi di deterioramento insanabile e
terreni pernnemente
fertili per la malavita.
Tra questi, il Parco
Verde. Un mondo nel
mondo: circa 6000
abitanti, 250 mila
mq sui quali sorgono
enormi palazzi verdi a schiera (da qui
il nome del Parco),
divisi da stradoni,
piazzali ed enormi
corridoi di aiuole
mancanti di manutenzione. Un microcosmo in cui vivono
i migliori «chef» di
droga, eretto a mercato di spaccio più
grande d’Europa. Un
parco di omertosi
«forzati» e di bambini
mancati, futuri malavitosi. Una città nella
città i cui residenti
sono «invisibili»: un
numero imprecisato
di abusivi. Un ghetto i cui abitanti non
hanno quasi mai pagato il fitto, formando un “buco nero”
nelle casse comunali. Il progetto dell’80
prevedeva costruzioni e ricostruzioni di
impianti di urbanizzazione primaria e
secondaria. Però, del
disegno iniziale non
ne resta nulla. Quello
che avrebbe dovuto
essere un quartiere da cui ripartire è,
oggi, solo un parco
in cui convivono degrado, camorra ed illegalità.
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Ecologia Così la contestazione dal basso ha imposto all’ordine del giorno il tema delle terre avvelenate
La rivolta che ha spento i fuochi
I cittadini per primi
hanno denunciato
i roghi tossici
Alessandra Caligiuri
«In Campania abbiamo
avuto il coraggio, siamo
riusciti a far arrivare finalmente ai cittadini la verità.
La Campania ha creato un
modello di denuncia».
Lo afferma Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia,
oncologo che studia il legame tra aumento dei tumori e sversamenti illegali
di rifiuti. Cinquantasette
comuni tra le provincie di
Napoli e Caserta, che dal
rapporto di Legambiente
sulle Ecomafie del 2003,
sono detti La Terra dei Fuochi. Un territorio in cui si
bruciano rifiuti nelle campagne e, come riporta l’ultimo studio diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità,
c’è una maggiore incidenza
di leucemie in età pediatrica, attribuibili all’inquinamento.
Quando parla di «Modello Campano», Giordano
si riferisce ai cittadini che
hanno segnalato i roghi
tossici e annotato i numerosi decessi per tumore. È
questa la particolarità: le
associazioni di cittadini
hanno fatto rete, fino a che
di Terra dei Fuochi non si è
parlato in tutta Italia. «I comitati sono nati giorno per
giorno, discarica per discarica, ogni paese ha avuto
la sua criticità a cui gli altri
si sono aggregati», spiega
Lucio Righetti di Cittadini Campani per un Piano
Alternativo ai Rifiuti. Sono
stati i comitati ad informare la popolazione: «Abbiamo fatto 64 marce in provincia di Napoli e Caserta e
Il nuovo caso
di malaffare
dichiarazioni
Presidente della Camera
Laura Boldrini
«Hanno impressionato
l’Italia intera le notizie
di morte, di violenza,
di squallore, di miseria
morale che arrivano da
Caivano. Piccole vite
abusate e poi gettate
via come rifiuti, mentre
chi resta è sottoposto a
pressioni e ricatti»
Il Governatore
Vincenzo De Luca
«Orrore è la parola giusta. Ci vuole l’intervento
dello Stato nei confronti
di queste vere e proprie
bestie. Ma poi di fronte
all’omertà complice
dobbiamo fare una
rivoluzione civile contro
il degrado umano. Servono interventi a 360
gradi»
Il sindaco di Napoli
Luigi de Magistris
Nella foto in alto la manifestazione del 16 Novembre 2013, nella foto in basso un rogo tossico
sono stati momenti di consapevolezza. Poi ci sono
stati convegni nei paesi con
esperti», aggiunge Righetti. La denuncia dal basso
della Terra dei Fuochi ha
unito esperienze diverse,
come racconta l’attivista
Raniero Madonna: «C’erano i comitati anti discarica,
chi si batteva contro i roghi
tossici, il coordinamento
Fuochi, nato intorno a Padre Maurizio Patriciello,
la Rete dei cittadini Campani che si occupava dello
smaltimento dei rifiuti. Poi
si sono aggiunti i No Triv
irpini, Legambiente e le associazioni Anticamorra».
Dall’insieme di queste
esperienze é nata la piattaforma Fiume in Piena, che
spiega Raniero Madonna:
«In 10 punti prova a guardare in maniera comples-
sa e sistematica i problemi
connessi all’ambiente e alla
salute, ma si affronta anche
il problema della gestione
dei rifiuti e si chiedono le
bonifiche».
Il 16 novembre 2013 il
Fiume in Piena manifesta
a Napoli con la parola d’ordine STOP BIOCIDIO. Biocidio in origine vuol dire
“strage di animali”, ma in
questo caso si riferisce al
danno provocato dall’inquinamento sulla salute
umana. Un danno tale da
“Il biocidio se
non aggredito
con la forza
di un fiume
in piena
ci travolgerà”
indebolire il patrimonio
genetico ed esporre al rischio di contrarre tumori.
Tuttavia, nonostante le denunce e gli studi epidemiologici, il ministero della Salute non ha mai ammesso
espressamente l’esistenza
di un nesso di causalità tra
contaminazione dei territori e malattie. Qualcosa
sembra cambiare quando
nel Dicembre 2013 arriva il
decreto ‘’Terra dei Fuochi’’,
che a Febbraio 2014 diventa legge. Ma nel 2015, Legambiente denuncia con il
dossier “Terra dei Fuochi: A
che punto siamo?”, la mancata attuazione del piano
di bonifica. Secondo l’associazione, manca una strategia per mitigare il rischio
sanitario e non c’è chiarezza sullo stato di contaminazione dei territori.
«Come prima cosa
voglio dire che Caivano
non è Napoli. Io sono il
sindaco di Napoli, non
di Caivano. Prendiamo
come esempio Scampia, dove fino ad oggi è
stato fatto molto, spero
che il sindaco di Caivano, riesca a fare quello
che abbiamo fatto a
Scampia, portare i cittadini nelle piazze»
Scrittore
Corrado Augias
«La foto di Fortuna e
di sua madre racchiudeva lo strazio di ogni
infanzia interrotta per
fretta, ingenuo desiderio di rivalsa, speranza,
sogno. Mentre l’orco,
subito fuori della porta,
aspettava il suo momento. Nessun adulto a
Caivano ha mai denunciato l’orco, solo altri
bambini»
La giunta comunale invierà i bilanci incriminati alla Procura della Repubblica e all’Anticorruzione
Giuseppe Di Martino
Caivano alla ricerca del Castello perduto
«La questione del
Castello è il simbolo
del fallimento politico e amministrativo
delle passate stagioni». Angelo Marzano,
architetto e membro del consiglio comunale di Caivano
sintetizza amareggiato la disputa sulla
ristrutturazione
incompleta di quella che fu la vecchia
sede del Comune.
Nel marzo 2016, infatti, il consiglio co-
munale, sostenuto
dal sindaco Simone
Monopoli, ha accolto
la proposta del gruppo “Noi insieme” di
Marzano, inviando
il fascicolo relativo
ai mancati lavori di
ristrutturazione del
Castello alla Procura della Repubblica,
alla Corte dei Conti
e all’Autorità anticorruzione.
«Il nostro compito è
quello di tentare di
capire come risol-
2009-2012
La Consorzio
Restauri del
Sud aveva
garantito la
conclusione
dei lavori in
tre anni
Il Castello di Caivano
vere la tematica per
restituire alla città
un’importante opera» dichiara il primo
cittadino caivanese.
Ma veniamo ai fatti;
dal 2009 l’ex sede del
Comune, un tempo
roccaforte della dominazione angioina,
è un cantiere aperto
con teloni e ponteggi
eretti a nuovi simboli
della città.
L’Impresa Consorzio Restauri del Sud,
vincitrice della gara
d’appalto, aveva assicurato di riconsegnare il Castello alla
città nel 2012. Invece
dal 2014 i lavori di
restauro sono stati persino interrotti.
Quindi attualmente
la
ristrutturazione
non è stata completata mentre i soldi
stanziati
risultano
tutti spesi. «Abbiamo rilevato palesi
incongruenze tra i lavori eseguiti e quelli
contabilizzati ed era
stato perciò assegnato all’impresa il
termine perentorio
di trenta giorni» spiegano i funzionari del
Comune in un protocollo inviato agli
organi competenti.
Superato il termine
la nuova amministrazione guidata da
Monopoli ha deciso
di intervenire per restituire alla comunità
l’emblema dell’architettura angioina che
nonostante i bombardamenti
subiti
durante la seconda
guerra mondiale è
ancora lì, maestoso,
a regnare sulla città.
GIOVEDÌ 26 MAGGIO
| pagina 6
Da Rione Traiano a Taverna del Ferro, luoghi
di emarginazione sociale dove regna la criminalità organizzata
Quante Caivano?
Ecco tutte le periferie a rischio
M
Erminia Voccia
amme bambine,
nonne a 30 anni,
stupri ripetuti di
minori, spesso
ad opera degli stessi genitori. A
12 anni si va già in motorino a
fare la sentinella per proteggere i pusher. E poi, spari a cielo
aperto, spaccio di stupefacenti,
vite spezzate a soli 20 anni. E
ancora, abusivismo edilizio,
furto di corrente elettrica e
appartamenti sottratti agli
assegnatari legali, che sono
usati dalla camorra per gestire
gli affari sporchi. È il quadro
cupo delle periferie napoletane, dove la luce del sole non
riesce ad attraversare i grovigli
di vicoli o i blocchi di cemento armato. Non c’è solo Parco
Verde a Caivano, dunque. Per
Daniela Lepore, urbanista e
docente dell’Università Federico II, sarebbero almeno 6 o
7 le aree del napoletano dove
regna il degrado e la dura legge
del più forte, cioè il camorrista.
Eccole: Rione Traiano, il quartiere 167 di Scampia, Rione
Don Guanella, il Lotto Zero a
Ponticelli, Taverna del Ferro a
San Giovanni a Teduccio, detto
anche il Bronx, Pazzigno. E a
questi c’è da aggiungere Rione
Salicelle ad Afragola.
Arrivarvi non è semplice. Rione Salicelle non si trova neanche sulle mappe e le strade
non hanno nessun nome. Un
quartiere intero di Afragola
inglobato in un’unica dicitura,
tutto è semplicemente “Via
Salicelle”. Eppure lì ci abitano
almeno 8.000 persone. I figli
si fanno presto, in genere a 15
anni, e ogni donna ne ha in
media 3 o 4, ma in un caso si è
toccato il record di 17. Anche
qui come a Caivano, storie
di bambini e bambine violate. “Non dovete violentare i
bambini, l’incesto è un reato
gravissimo!”, aveva ammonito il
parroco, subito “avvertito” una
scarica di proiettili nel cortile
della canonica. Sono 3.000 i
giovani sotto i 30 anni, tutta
“forza lavoro” impiegata nelle
fila della criminalità. Furti,
rapine, borseggi, da fare tra le
province di Caserta, Avellino o
Benevento. A Salicelle funzio-
Almeno 6 o 7 le aree
degradate del
napoletano. Sono le
periferie interne ed
esterne della città
In basso:
Un murales raffigura
le “Vele” di Scampia,
nel quartiere 167,
a nord di Napoli
na tutto al contrario, i residenti
si ribellano allo Stato e difendono il boss, una specie di dio
terreno. Per due volte la gente
del quartiere ha aggredito la
polizia. La prima, quando le
forze dell’ordine hanno provato ad arrestare uno spacciatore. La seconda, più grave,
quando una quindicina di
poliziotti ha tentato di arrestare il boss Raffaele Barbato.
La camorra si trincera in un
isolato ben determinato e da lì
muove le redini del quartiere,
assicurando guadagni ad una
schiera di pusher, sentinelle e
corrieri della droga, e partite di
crack da destinare alle piazze
di Scampia. Una regola però
esiste: qui non si spara, non si
fa rumore, non c’è nessuna lotta tra clan. Li chiamano “cannibali” i bambini di Taverna
del Ferro, nome ufficiale delle
case popolari di san Giovanni a
Teduccio, anche detto il Bronx.
Un complesso residenziale costruito nel 1993 per dare compimento al Piano per le Periferie di Napoli, varato come
misura di emergenza per gli
sfollati del terremoto del 1980.
Sono feroci come cannibali i
bambini del Bronx, raccontano
le voci della strada. A soli 10
iniziano una dieta che serve a
farli rimanere magri e leggeri
come dei sacchetti di plastica,
così da poter essere passati,
con il loro carico di droga, da
un balcone all’altro quando
arriva la polizia. A 12 anni sono
già ben pagati per stare sul
motorino a vedere chi entra
e chi esce. Un quartiere fatto
di ponti che nelle intenzioni
doveva essere autosufficiente e
ben collegato con il resto della
città, è finito per diventare un
caso di studio per gli urbanisti.
G124, un progetto possibile per la città
Giovani architetti, dalle banlieues napoletane un SOS all’archistar Renzo Piano
L’architetto Roberta Pastore
«Cerchiamo piccole
scintille tra le periferie italiane». Roberta
Pastore, architetto
salernitano che ha
collaborato con il
prestigioso gruppo di
lavoro guidato da Renzo Piano, non esclude
che le aeree urbane
della cintura parteno-
pea possano entrare
nei futuri programmi
dell’archistar.
E’ proprio di rigenerazione urbana infatti
che si occupa G124
(G come Palazzo Giustiniani di Roma, 1 per
il piano dove è lo studio, 24 il numero della
stanza), il laboratorio
voluto da Renzo Piano
che scommette sui
giovani professionisti e
sulle periferie. Obiettivo di questo progetto:
occuparsi del recupero
di aree dimenticate
coinvolgendo i residenti, gli enti locali e,
possibilmente, anche
le istituzioni. Torino,
Roma, Catania, Milano e a breve anche
Venezia, queste le città
dove G124 per ora è
intervenuto. E Napoli?
Per Pastore, «la periferia di Napoli non
è stata ancora scelta
perché si è preferito
dare priorità a realtà
meno considerate».
GIOVEDÌ 26 MAGGIO
| pagina 7
Il caso di Rione Salicelle ad Afragola: infanzia violata e camorra.
Pusher, sentinelle e corrieri della droga al servizi dei boss
Proprio quei ponti che avrebbero dovuto unire, sono stati
sequestrati per ordine prefettizio perché diventati punti di
vedetta dei camorristi e piazze
di spaccio di stupefacenti.
«Per capire quanto sia degradato un quartiere - afferma
l’architetto Lepore - è necessario risalire all’epoca della sua
costruzione. Se consideriamo
questo dato - aggiunge- Rione
Traiano è uno dei posti peggiori per l’abusivismo e la criminalità». I quartieri popolari
degli anni Cinquanta hanno
l’aspetto di case popolari, ma
sono meno “scassati” perché
almeno fino agli anni Ottanta vigeva la legge che dopo
vent’anni si poteva riscattare
l’immobile, diventandone
proprietario. Abrogata la legge,
si è diventati inquilini a vita
ed è finito l’interesse a mantenere il decoro, motivo che ha
determinato il degrado di oggi.
Rione Traiano è degli anni
Settanta e adesso è in mano
agli abusivi, che occupano gli
scantinati non loro, rubando
anche la corrente agli assegnatari legali delle case popolari.
Non solo, tutto il commercio
della droga, che prima era a
Scampia, si è spostato qui,
come conseguenza della lotta
alla criminalità organizzata diretta dal commissario Michele
Spina. L’“era della periferia”
irrazionale e scriteriata a Ponticelli è iniziata subito dopo
la Seconda Guerra Mondiale,
ma a complicare di più le cose
è stata l’espansione edilizia
legata ai piani di attuazione
della Legge 219/81. Sono nati
così rioni popolari stracolmi di
persone, ora luoghi prediletti
dalla mala. “Il più posto più
disgraziato- afferma Lepore- è
il Lotto Zero, che da solo conta
5.000 persone”. “Per i vecchi
abitanti di Ponticelli la “fetenzia” è arrivata da Napoli”
spiega ancora la dottoressa
Lepore. Prima c’erano solo gli
ex operai, gente perbene, non
criminali. Poi sono arrivati
gli abusivi, poi è arrivata la
camorra. Anche qui sono i clan
a decidere a chi assegnare le
Le favelas di Rio
“
Antonio Acierno
L’edilizia popolare
ha dato spazio
e forza alla camorra
“
Daniela Lepore
Per capire il degrado
di un quartiere
è necessario risalire
all’epoca della sua
costruzione
case, che in teoria sarebbero
un bene pubblico. Anche a
Pozzigno, a San Giovanni, il
clan Reale ha gestito l’assegnazione dell’edilizia pubblica,
blindando balconi e ballatoi
per garantire la gestione dei
propri affari.
Scampia è un discorso a parte,
un universo popolato da
100.000 persone dove si trova
di tutto, dal disoccupato tossicodipendente senza prospettive alle famiglie più “normali”.
Non ci sono solo le Vele o le
palazzine azzurre delle “Case
dei puffi”, a Scampia la disperazione totale vive accanto
alla borghesia e al ceto medio.
Muri, cancelletti e fioriere
servono a dividere il bene dal
male, la speranza dal baratro.
A Napoli, spiega uno studio
del professor Antonio Acierno
dell’università Federico II, non
sono i quartieri più benestanti
a dividersi dal resto, alzando
barricate, ma le stesse “città del
malessere” a fortificarsi e a rinchiudersi nel proprio “autismo
criminale”. Recinzioni e teleca-
Maurizia Marcoaldi
«Ricordo che nessuno dei miei
compagni di classe voleva
fare i compiti da me. I genitori
non volevano. Ero sempre io
a dover andare a casa loro». A
parlare è Anna Trieste, giornalista e scoppiettante blogger
napoletana: dall’amore per lo
sport su Il Napolista, all’ironico video blog #MAMT, alla
rubrica Da Triste in Giù, fino a
il Mattino. Prima di essere una
giornalista, Anna Trieste è però
una ragazza di trent’anni che
è nata e vive a Barra, ex area
industriale della periferia est
della città di Napoli.
La raggiungiamo al telefono
mentre è in viaggio, ma la conversazione deve essere subito
rimandata a qualche minuto
più tardi. E non per un contrattempo o impegno improvviso,
ma per una questione molto
seria: la circumvesuviana.
Per Anna la circumvesuviana è
un problema perchè riassume
tutte le criticità del trasporto
pubblico napoletano: ritardi,
sovraffollamento, scioperi,
carrozze non di ultima generazione e ovviamente anche assenza di copertura di rete, che
è la ragione per cui perdiamo
la nostra interlocutrice. Nonostante ciò, è un servizio fondamentale per chiunque abbia
la necessità di spostarsi anche
perché come dice Anna «Da
Barra per raggiungere Napoli
o prendi la circumvesuviana o
L’intervista La giornalista e blogger napoletana racconta la periferia
Vivere a Barra, problemi
e soluzioni di Anna Trieste
«Le Istituzioni mancano, anche se a Napoli è difficile essere ovunque e fare bene»
Anna Trieste
In alto periferia di Barra
un autobus. Di autobus ce ne è
solo uno e ti lascio immaginare quanto sia affollato e poco
puntuale».
Per la giornalista sono tre i
mali che, ieri e oggi, affliggono le periferie napoletane e
in particolar modo la realtà di
Barra: mancanza di sicurezza,
problemi legati ai mezzi di
trasporto, carenze nell’organizzazione scolastica. Paradossalmente crescere a Barra, per
la blogger, è stato molto più
semplice piuttosto che viverci
da adulta. La circumvesuviana
è sempre stato “un must” anche quando aveva tredici anni,
ma se da adolescente prendere i mezzi pubblici, anche se
inefficienti, ti dà comunque
un senso di indipendenza e
libertà, a trent’anni ne assapori
più consapevolmente tutto
l’isolamento che comporta.
Oggi Barra, per Anna, è molto più isolata: « È diventata
un quartiere ghetto. I ragazzi
sono costretti a rimanere nel
quartiere, ma per loro non c’è
mere a circuito chiuso assicurano l’isolamento e proteggono i traffici. Gli interventi di
edilizia popolare a partire dagli
anni Sessanta, a detta ancora
di Acierno, avrebbero dato
spazio alla camorra di nascere
e rafforzarsi. Quella promiscuità sociale, caratteristica
del centro storico, dove c’era
solo il “guappo” di quartiere,
si è contrapposta all’omogeneità degli slums. Nei regni del
disagio i vecchi poveri hanno
incontrato le popolazioni dei
paesi limitrofi, generando una
società uniforme, dove poi ha
prevalso la criminalità organizzata. Liberare questi spazi
di emarginazione dal narcotraffico è stato però possibile a
Santa Marta, quartiere di Rio
de Janeiro “pacificato” dalle
forze governative. In quella
favelas una vasta operazione
della polizia ha portato via le
armi e la violenza. La povertà
non è stata cancellata dalle
pennellate di vernice colorata,
ma il traffico di stupefacenti è
sparito.
niente. Nessun luogo di aggregazione. Soltanto qualche associazione privata si occupa di
togliere i ragazzi dalla strada,
come Save the Childreen che
sta risistemando i campetti da
calcio. Le associazioni tentano
di riqualificare le periferie, ma
rimane il rischio di creare delle
cattedrali nel deserto non raggiungibili con i mezzi pubblici.
A svolgere, anche in passato,
un ruolo di guida e di supporto
è la parrocchia. Le istituzioni
mancano, anche se in generale
a Napoli è difficile essere ovunque e fare bene».
Pur non essendo una fautrice
della militarizzazione della
città, la blogger crede che una
maggiore presenza delle forze
dell’ordine potrebbe in qualche modo essere un deterrente
ma «da sola non basta, serve
anche costruire dell’alternative. Le scuole dovrebbero
rimanere aperte anche il pomeriggio e avere più insegnanti perché solo con la cultura si
possono offrire alternative ai
ragazzi».
Anna su questo ha le idee chiare anche perché racconta che
la maggiorparte delle famiglie
di Barra «fa tanti sacrifici solo
per far studiare i propri figli».
Perché se vivere in periferia
ti porta in un certo modo ad
essere identificata con quella realtà, allo stesso tempo ti
caratterizza di «un orgoglio di
resistenza e di una volontà di
riscattarsi con la cultura».
GIOVEDÌ 26 MAGGIO
L’evento
| pagina 8
#Venerdìopaesemì: il festival contro il coprifuoco
P
artirà il 10 giugno la nuova edizione di #Venerdìopaesemì, la
manifestazione più attesa dai giovani caivanesi. «A Caivano ci sono
circa novemila ragazzi, ma dove
sono?» si sono chiesti i giovani del
Forum. Per contrastare il copri-
fuoco serale, è nato così tre anni
fa un festival diventato appuntamento di punta dell’estate. Ogni
venerdì per l’intera stagione estiva, mostre e concerti animeranno
Via De Gasperi, la strada che fino
a 20 anni fa era il centro della mo-
vida cittadina. «È un modo per ridare linfa alle attività commerciali
del territorio e attirare anche persone dei paesi limitrofi» spiegano
alcuni componenti del Forum.
Location dei concerti è una vecchia fabbrica abbandonata che
è stata ristrutturata. Quest’anno
la musica parte in anticipo: il 3
giugno si svolgerà il Caivano Music Contest, una gara tra cantanti emergenti che porterà i primi
due classificati sul palco di #Venerdìopaesemì. Attesissimi ospiti
musicali di questa edizione sono
Tony Tammaro e Valerio Jovine.
C. M.
Il nostro sogno?
Carolina Mautone
«Il mondo cambia con il
tuo esempio, non con la tua
opinione». Colpisce la frase
di Paulo Coelho in primo
piano sull’ “agenda bianca”
del Forum dei giovani di
Caivano.
È il manifesto che riassume le attività portate a termine e, soprattutto, quelle
che i ragazzi vogliono realizzare: tanti progetti che
vedono impegnati in prima
persona i giovani dai 16 ai
29 anni.
C’è un progetto a cui i
membri dell’associazione
tengono particolarmente: è
il Caivano Shuttle, una navetta che porti gli studenti
da Caivano alla stazione di
Frattamaggiore. «Caivano è
isolata. I pullman non passano, la stazione ferroviaria non c’è. Siamo fuori dal
mondo.» raccontano l’ex
presidente del Forum Antonio Esposito, il vicepresidente Tommaso De Luca e
un altro membro, Gennaro
Balsamo. Si pensa di attivare l’autobus per venire
incontro a tutti gli studenti
che devono spostarsi a Napoli o nei paesi limitrofi;
l’idea è importante ma ancora mancano i fondi.
Il Forum dei giovani, nato
nel 2006 come costola di un
partito operante sul territo-
Uno shuttle verso il mondo
per superare isolamento e noia
Parlano i ragazzi del Forum dei giovani: sono venti e hanno tante idee
La navetta
Il bus per Frattamaggiore
È un progetto che
permetterà agli studenti
di spostarsi più facilmente
Ricreare il verde
Guerriglia Gardening
Già in sei occasioni il
Forum si è impegnato a
piantare fiori e alberi in città
rio, attualmente è un’associazione che raggruppa 20
persone provenienti da diversi contesti sociali e politici, oltre ai rappresentanti
di scuole, extracomunitari
e associazioni del territorio
caivanese. Come organizzazione comunale, il forum
è finanziato da fondi pubblici. «Ma le casse del Comune sono sempre a secco. È capitato anche che ci
siamo autotassati» dice Antonio. Anche per #venerdìopaesemì, l’evento più
importante di cui i giovani
del Forum sono organizzatori (ne parliamo nel box in
alto) possono fare affidamento solo sugli sponsor.
In una città tristemente
famosa per essere fulcro
della terra dei fuochi e che
è tornata alla ribalta della
cronaca per i casi di pedofilia nel Parco Verde, il loro
intento è quello di creare
«momenti di città ideale».
Lo scorso 8 maggio,
all’interno dell’iniziativa
“Let’s clean up Europe!”
sostenuta dalla Commissione europea, più di venti
volontari hanno ripulito la
Villa del Parco Verde. Dotati di di pale e buona volontà, ragazzi e bambini hanno
rimosso rifiuti, erbacce e
siringhe da una villa comunale che per troppo tempo
è stata ritrovo di spacciatori
e tossicodipendenti.
Due anni fa, nell’ambito
del protocollo d’intesa del
“Patto terra dei fuochi”, vestiti con tute da ghostbusters, i membri del Forum
hanno recuperato pneumatici abbandonati che,
se bruciati, sarebbero stati
dannosi per la salute. «Caivano è circondata da campagne, un tempo era famosa per la coltivazione della
canapa. Poi l’industrializzazione ha rovinato il verde. Purtroppo c’è di tutto,
da scarichi industriali ad
amianto» spiega Antonio.
I giovani:
«È difficile
trovare fondi
e sponsor»
Nella foto in alto,
alcuni componenti
del Forum dei ragazzi
di Caivano raccolgono
pneumatici
Persino l’area retrostante
la sede dell’associazione, al
centro della cittadina, era
inquinata dai rifiuti che le
attività commerciali abbandonavano. «Dopo aver
asfaltato e valorizzato la
zona mettendo delle panchine - continua Antonio
- siamo stati costretti ad installare delle telecamere».
Il verde che caratterizzava ieri Caivano, oggi i ragazzi cercano di ricrearlo
attraverso operazioni che
chiamano di “guerriglia
gardening”: piantano fiori
e alberi in zone abbandonate per riqualificarle.
Tra i programmi a cui i
giovani caivanesi intendono partecipare c’è anche
quello dell’Erasmus+, un
progetto che li porterà a
fare volontariato nei paesi
dell’ Europa dell’Est. Perché di Caivano non ce n’è
una sola e l’impegno di
questi ragazzi sembra non
avere confini.
GIOVEDÌ 26 MAGGIO
| pagina 9
Istruzione L’impegno contro la dispersione di Eugenia Carfora, reggente dell’Istituto “P. Giovanni - Viviani”
Allarme: vuoti sei banchi su dieci
Al Parco Verde
cresce il trend
di assenze
(segue dalla prima)
Marina Malvestuto
S
Paola Corona
«La scuola, con tutte le
sue forze, deve stimolare il
pensiero dei ragazzi, prepararli a riflettere altrimenti si vuole la loro morte. Sogno una scuola senza classi
e basata sui reali interessi
degli alunni». È questa l’idea formativa e l’impegno quotidiano di Eugenia
Carfora, attuale reggente
dell’Istituto Comprensivo
“Papa Giovanni - Raffaele
Viviani” e preside del Liceo
“Morano” di Caivano.
«Qui c’è bisogno della
scuola dell’ascolto, della
pazienza, delle regole, senza nessun accomodamento. Se non fai questa scelta
– spiega Carfora – puoi diventare la migliore preside
del mondo, ma i ragazzi
non cambieranno mai».
Nei suoi istituti di frontiera,
come la sede centrale “Parco Verde”, scuola secondaria di primo grado, Eugenia
Carfora è una delle figure
chiave nella lotta contro la
dispersione scolastica. «Io
non mi sento preside – afferma - ma una donna al
servizio dei ragazzi con il
compito di farli innamorare della cultura che li renderà liberi».
A Parco Verde dove, in base
ai dati raccolti dall’Istituto Comprensivo lo scorso
anno, 58 bambini su 100
non entrano in classe, la
preside li va a chiamare
direttamente a casa, porta
dopo porta. Per questo il
cartellone che, all’ingresso del plesso, recita “Benvenuti” non è un semplice
simbolo di accoglienza, ma
suona come un invito ai ra-
Eugenia Carfora, reggente dell’Istituto Comprensivo “P. Giovanni - R. Viviani” e preside del liceo “Morano” di Caivano
gazzi a lasciarsi “adottare”
e seguire, nel loro percorso
di vita, dalla scuola. Il motivo è semplice: vederli in
classe ogni giorno è già una
piccola vittoria.
La dispersione scolastica,
ci tiene a precisare la preside Carfora, cambia in ogni
scuola di Caivano, ma il
disagio è più forte al Parco
Verde. «Il tasso di abbandono – chiarisce – diventa
una progressiva perdita di
attenzione alla didattica,
legata a diverse variabili:
situazione familiare, efficacia di un servizio comunale, vissuto infantile.
I bambini sono come spugne: assorbono i dolori».
Di quelle assenze, pesanti
come macigni, resta traccia
nelle pagelle scolastiche,
nei vecchi disegni appesi alle pareti, nelle parole
della preside che ricorda le
storie dei suoi piccoli alunni. Tra loro c’è un ragazzo
mandato in comunità che
ora frequenta regolarmente e una ragazza, diventata
madre, che non ha più con-
seguito la licenza media inferiore, così come il padre
del suo bambino. «Quando
l’ho incontrata sembrava
felice– racconta della sua ex
alunna la preside - ma chi
se ne prende cura affinché
i figli non ripetano gli stessi
errori dei genitori? Questo
è un cerchio chiuso, dove
tutto so, tutto vedo, ma nulla so e niente vedo». Così
contrastare la dispersione
scolastica significa agire sul
doppio fronte dei ragazzi e
dei loro genitori.
Le assenze non sono l’unica variabile da considerare
nella dispersione scolastica. «Bisogna tener conto
anche del livello di profitto.
Qui a Parco Verde – racconta la preside - il sette in
Maturità
Su 40 ragazzi
promossi,
solo 2 o 3
si iscrivono
al liceo
pagella è un fatto più unico
che raro. I miei ragazzi ottengono la licenza con voti
che non superano la sufficienza».
Nonostante le difficoltà
e la soppressione del suo
Istituto Comprensivo prevista per il prossimo anno
scolastico da una delibera
regionale, Carfora non rinuncia a incoraggiare quegli alunni che chiama uno
ad uno per nome. Alcuni
hanno deciso di proseguire
gli studi, salvo poi abbandonare. «Gli stimoli contrari – spiega la preside – sono
molto forti. Su 40 ragazzi
che escono dalla mia scuola arrivano al liceo solo due
o tre».
Sono giovani dalle storie diverse, ma simili per
complessità e sofferenza.
La loro adolescenza, tra i
palazzi alti di Parco Verde e mille contraddizioni,
brucia in fretta il percorso
di una vita. A volte, senza
neppure passare tra i banchi di scuola.
La prof. Angela Leone, ora in pensione, ricorda la sua esperienza nell’Istituto “P. Giovanni”
«Dopo tanti anni, qui poco è cambiato»
Caivano e Parco
Verde: divisi dentro
e fuori la classe
Paola Corona
«La mia scuola tendeva a bocciare gli
alunni più problematici per evitare
che non fossero seguiti presso gli istituti
superiori.
Ricordo
di un ragazzo che
ha conseguito la licenza media dopo
sei anni». A quasi
dieci anni di distanza, Angela Leone, ex
Emergenze
quel verde
che non c’è
docente nella scuola
secondaria di primo
grado “Papa Giovanni” prima che fosse
accorpata all’Istituto
“R. Viviani”, ricorda
gli anni trascorsi a
Caivano. «Il senso
dell’arroganza, della
violenza già da così
piccoli è ciò che mi
ha colpito di più. A
10 anni avevano già
nell’anima l’imperativo: essere forti e
diventare dei capi».
Dal 2001 al 2007,
Leone ha insegnato
L’EX
DOCENTE
Dal 2001
al 2007 ha
insegnato
materie
umanistiche
L’Istituto “Raffaele Viviani”
materie umanistiche
e, con un pizzico di
amarezza, constata
che la situazione scolastica non sembra
essere molto diversa
da come l’ha lasciata. «C’erano sezioni
pilota dei figli della
borghesia di Caivano, dove insegnavo,
e altre più disagiate
dei ragazzi del Parco
Verde, luogo molto simile a un bronx
nostrano», racconta. Questa divisione
sociale
esprimeva
tolleranza e distacco
tra i ragazzi. Leone
non nasconde le difficoltà: «Impossibile
fare lezione. Ricordo
che mi documentavo molto sul calcio,
perché era l’unico
modo per poter instaurare un contatto
con loro». Fonte di
turbamento per la
professoressa è stata
la reazione a un suo
richiamo verso un
alunno sorpreso a
borseggiare: «Pensate che farò la vostra
stessa fine? Certamente no: io vivo
poco, guadagno tanto, ma alla grande».
arebbe stato Raimondo Caputo, il
padre
dell’amichetta
con la quale giocava, a
scaraventarla dall’ottavo
piano. La storia di Chicca si intreccia con quella
molto simile, di Antonio
Giglio, un altro bambino
precipitato dallo stesso
stabile un anno prima.
Dietro la loro morte ci
sarebbe una rete di pedofili che agisce indisturbata nel quartiere,
secondo gli inquirenti. A
Parco Verde dove sono
morti Chicca e Antonio,
i seimila abitanti si proteggono da tutto e da
tutti, non parlano con
nessuno e comportamenti come gli abusi sui
minori sono mascherati
come se fossero normali. Ma la testimone della
triste vicenda di Fortuna ha parlato, dando
uno schiaffo agli adulti.
Erano proprio i grandi
a suggerire di stare in
silenzio ai bambini che
hanno disintegrato il
muro di omertà. I piccoli
si sono schierati contro i
grandi, contro chi avrebbe dovuto proteggerli e
non farli crescere in un
sistema fatto di manipolazione e menzogna. In
questo quartiere i bambini giocano a calcio nei
campetti, tra il via vai
dei tossici che acquistano droga e le siringhe
usate, buttate per strada
senza preoccuparsi di
chi c’è attorno. A Parco
Verde la presenza della
camorra è molto forte.
In questa zona è stata
messa in piedi una delle più grandi piazze di
spaccio di Napoli, dopo
che a Scampia è diventato più difficile gestire
i traffici illeciti da parte
della malavita campana, per via dell’aumento
dei controlli delle forze dell’ordine. Grandi
e piccoli, senza distinzione, sono le vittime
innocenti di una terra,
dove si perde la vita per
sbaglio e dove vivere è
più difficile che morire.
Le vicende di Caivano
mettono in luce una realtà molto complicata
che lascia aperti molti interrogativi ma uno
più di tutti: quanti altri
luoghi ci sono ancora
come questo e nessuno
ne parla?
GIOVEDÌ 26 MAGGIO
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Essere giovani a Caivano
I miei amici si raccontano al bar
«In tanti fuggono. Qui c’è una selezione naturale, ma al negativo»
Anna Capasso
E
ravamo quattro amici al
bar… Proprio come nella
canzone di Gino Paoli. Questo è il
racconto di una serata con i miei
amici di Caivano. Ci siamo incontrati in un bar della vicina Frattamaggiore, la mia città, e intorno
ad un tavolino, davanti ad un caffè, li ho invitati a raccontarmi le
loro storie.
Giovanni, Antonio e Valerio: li
conosco da molto tempo, hanno tutti 27 anni e pur essendo di
Caivano, nessuno di loro ha mai
vissuto al Parco Verde. «I media
offrono una visione generale della città assolutamente sbagliata e
distorta», dice Antonio. È lui ad
introdurre l’argomento più caldo,
quello delle due città. Antonio è
ingegnere edile e a breve conseguirà anche la specialistica e polemizza con i media nazionali:
«Il Parco Verde non è parte integrante di Caivano». Anche Valerio, laureando in medicina e chirurgia, prende immediatamente
le distanze: «Quel quartiere deve
essere considerato come un universo a parte, c’è una realtà a sé
stante, in cui regna una mentalità
collettiva patologica». Giovanni,
invece, è di parere contrario. È
avvocato praticante da due anni,
non teme d’indentificarsi con il
“quartiere degli orrori”: «Caivano
è soprattutto quello–spiega–distinguerla dal Parco Verde serve
solo a crearci degli alibi». Quella
sera al bar, abbiamo affrontato
vari argomenti, il primo ad emergere è stata la questione dell’o-
mertà, «amica delle zone malfamate», la definisce Giovanni. «A
Napoli la vita è condensata dal
motto fatti i fatti tuoi che campi
100 anni», prosegue. Anche Valerio concorda: «Tra di loro si crea
una simbiosi, diventano una specie di branco, con una profonda
avversione verso le forze dell’ordine e una mentalità arretrata,
completamente svincolata da
quelle che sono le regole sociali».
Di fronte a me è seduto Antonio
che, dinanzi alla rassegnazione
di Giovanni per la criminalità che
impera, obietta: «Niente è immutabile. Basterebbe un controllo a
tappeto per demolire quella realtà. Bisognerebbe schedare tutti
quelli che sbagliano, tenerli sotto controllo e pattugliare la zona
dall’interno». Non ci sarebbe solo
una mentalità retrograda ad ostacolare la rinascita del quartiere
napoletano, ma anche problemi
di sicurezza. Fino a poco tempo
«Manca
la volontà
dello Stato
di affrontare
e risolvere
il problema.
Basterebbe
un controllo
a tappeto»
fa Scampia era considerata l’emblema delle periferie difficili, ora
è Caivano ad assurgere a questo
ruolo. La colpa, secondo i miei
amici, è dello Stato. «Un’istituzione comunale, per com’è prevista dalla legge italiana, non ha le
possibilità per incidere su questi
posti. Lo Stato–spiega Antonio-è
dotato di 300 corpi armati diversi e nonostante sia a conoscenza
della tragicità in cui versa il Parco Verde, non fa nulla. Manca la
volontà di controllare e risolvere
il problema». Valerio, invece, non
colpevolizza le autorità perché
«devono confrontarsi con una realtà complessa. La maggior parte
dei cittadini non collabora, anzi,
sembra preferire quelle condizioni. È difficile intervenire perché se
è vero che bisogna fare delle buone leggi, è altrettanto necessaria
la volontà di rispettarle». L’unico
spiraglio di luce è don Maurizio
Patriciello. «È riuscito a portare
il Parco Verde all’attenzione dei
media nazionali» dice Valerio. «È
l’unica istituzione presente all’interno del quartiere», ribadisce
Giovanni. «Ma la Chiesa da sola
non può vigilare su tutto», nota
Antonio. E poi c’è la questione
dell’urbanistica. «La struttura del
quartiere accentua ulteriormente
il suo isolamento perché–obietta
Valerio-lo chiudi in un posto relativamente ridotto e lontano dal
resto della città». Di parere diverso, invece, Antonio. Da buon ingegnere, spiega: «In tutte le grandi città, i quartieri residenziali si
trovano in periferia proprio per
Piazza C.Battisti nel centro di Caivano
scelte urbanistiche, ma anche
economiche e politiche. Per cui,
non credo che la posizione agevoli la criminalità». Altra piaga del
Parco Verde è il sovraffollamento.
Giovanni racconta di quando,
dopo il terremoto del 1980, si costruì il complesso: «In quel periodo c’erano le elezioni politiche,
quale migliore occasione per costruire appartamenti e raccogliere voti?». Ad 1 km dal centro, il
Parco è raggiungibile solo con un
proprio mezzo perché gli autobus
sono un miraggio. Ma non sempre è stato così. Valerio ricorda
quando il padre, nel 2005, è stato
assessore alla mobilità a Caivano,
durante l’amministrazione del
sindaco Domenico Semplice. «Il
progetto più importante che mio
padre realizzò fu una navetta gratuita a servizio della popolazione
che collegava i punti nevralgici
del Paese. Dalle scuole alle vie
principali, fino al Parco Verde e
al cimitero, la navetta era sempre
piena», spiega Valerio. Ma il servizio durò solo 2 anni. «Nel Parco
Verde – conclude Antonio – dilaga una selezione naturale in negativo: i buoni vanno via e i cattivi
restano e aumentano, portando
avanti le abitudini dei genitori».
Sono qui con tre amici al bar che
hanno voglia di cambiare la propria città.
L’opinione del sociologo
«Prendete Cogne e mettetela al Sud»
Christian Ruggiero spiega come l’immaginario mafioso abbia dato una piega particolare al caso di Fortuna
Fausto Egidio Piu
C
aivano è un regno di
omertà. Il professore Christian Ruggiero, ricercatore in Sociologia dei
processi culturali all’Università Sapienza di Roma,
ci aiuta a capire l’idea che
l’Italia si è fatta di questo
comune dell’hinterland di
Napoli, ormai tristemente famoso per la vicenda di
Fortuna Loffredo, la bambina di sei anni gettata da un
terrazzo nel giugno 2014.
Professore, se la vicenda
di Caivano fosse accaduta in
un piccolo centro del nord
Italia, e non nella periferia
napoletana, avrebbe avuto
la stessa cassa di risonanza?
«Probabilmente sì, ma con
Il professore Christian Ruggiero
diverse parole-chiave per
descrivere la vicenda. Il destino di Caivano non è poi
così diverso da quello di Cogne, Novi Ligure o Brembate. Ma la Val d’Aosta, il Piemonte o la Lombardia sono
scenari in cui fa meno effetto, forse, la parola “omertà”,
così legata all’immaginario mafioso e camorrista».
Quanto certe trasmissioni televisive stanno contribuendo a trasformare
Caivano in un inferno?
«Certamente l’attenzione
al “palazzo dell’orrore” e il
racconto della rete di piccole e grandi connivenze che
hanno ostacolato e stanno
ostacolando la ricerca della
verità non fa un buon servi-
zio alla città: non sembrano
esserci connessioni dirette
tra il luogo dei delitti e la sua
collocazione geografica, ma
intanto ad andare sui titoli
dei giornali, nei videowall,
insieme a queste storie di
abusi e silenzi, è Caivano».
Qual è la Caivano raccontata dai media, quotidiani
e televisioni in particolare, in queste settimane?
«Un regno di omertà. È questa la parola che campeggia
in tutti i titoli, che è sulla bocca di tutti i commentatori. Un
simbolo di tutti i contesti in
cui i bambini sono a rischio,
per mancanza di strutture
adeguate per far trascorrere
loro in sicurezza il tempo della scuola e del doposcuola.
Ma soprattutto per mancanza di quel senso di comunità
che dovrebbe rendere ogni
madre vigile rispetto alla
possibilità che si perpetuino violenze contro i minori».
Cogne, Avetrana, il delitto di Loris Stival e, ultimo,
il caso di Caivano. Ennesimo sciacallaggio mediatico o diritto di cronaca?
«Difficile, in questo come
in tutti gli altri casi, dare un
giudizio. Non parlarne, o
cercare di allontanare l’attenzione da questi fatti, porterebbe, specie in questo
caso, a muovere al sistema
dei media l’accusa opposta di
volontà di partecipare a quel
clima di omertà che ora stigmatizzano. Certo, faremmo
volentieri a meno di vedere
e rivedere la stanzetta che la
madre di Fortuna ha tenuto
in ordine come se la bambina dovesse tornare domani,
o il vestitino giallo che indossava il giorno della morte».
GIOVEDÌ 26 MAGGIO
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Gomorra nei viali del Parco Verde
La marcia dei 108
Contro i boss della droga in un ciak
Antonio Buonansegna
U
La favola di Stash
«Torno volentieri a Cardito, ma lì non sarei mai emerso»
A. Esposito E. Missione
«La svolta per la mia carriera ci fu quando il mio mentore al liceo, Lino Vairetti, disse
che in provincia non sarei mai
migliorato. E aveva ragione». A
parlare è Antonio “Stash” Fiordispino, cresciuto al confine
con Caivano, in una periferia
complicata come Cardito.
Il suo è un caso esemplare di
come, con un po’ di fortuna e
tanto talento, ci si possa liberare dai lacci stretti di un paesino
con tanti problemi. «Quando a
16 anni hai già subito 3 rapine
con la pistola puntata in fronte
– spiega – hai la conferma che
quella in cui vivi è davvero una
zona difficile».
Oggi Stash di anni ne ha 27
ed è il frontman dei The Kolors,
il gruppo musicale che, vincitore di Amici 14, è riuscito in
pochissimo tempo a scollarsi
via l’etichetta di “prodotto talent”. Da Cardito alla copertina
di Rolling Stone, conquistata
dopo il successo del loro primo album “Out”, quattro volte
disco di platino, il passo non è
breve. «Buona parte del merito del mio successo va al mio
papà che mi ha fatto respirare
la vera musica fin da bambino»
racconta Stash. Umberto Fiordispino, infatti, è un musicista
e negli anni ’80 nella sua sala
prove a Napoli sono passati
tanti volti noti della musica,
primo fra tutti Pino Daniele.
«Devo ringraziare mio padre
perché non mi ha mai voluto
dare lezioni e non ha mai contaminato il mio stile musicale»
riprende Stash. E aggiunge:
«Quando gli ho chiesto di insegnarmi Shine on you crazy
diamond dei Pink Floyd, mi
ha risposto che così come lui
aveva imparato con la puntina del giradischi, io avrei dovuto fare con la musicassetta:
andare avanti e indietro fino
a consumare il nastro». In fatto di musica i suoi gusti sono
sempre stati chiari, con l’America e Londra nella testa e nelle
orecchie. Ma intorno a lui non
c’era il CBGB di Manhattan o
il Marquee Club della capitale inglese, i locali dove hanno iniziato le stelle del rock
mondiale. C’era solo Cardito
e la difficoltà di far apprezzare una musica così diversa da
quella in voga in quel periodo.
«Negli anni del liceo ci inventavamo delle Jam session nella
vineria del paese. Ma i nostri
coetanei – sottolinea l’artista
– preferivano i cantanti neomelodici. Un altro segnale che
quello non era il posto adatto
a noi». Di lì, dopo la maturità, la scelta di investire tutto e
trasferirsi insieme al suo gruppo a Milano per frequentare
l’Accademia delle Belle Arti di
Brera e soprattutto per entrare
in contatto con un panorama
musicale più vasto. I primi live
a Le Scimmie, storico locale
milanese, poi Stoccolma, Londra e Berlino. Ma a consacrare
definitivamente i The Kolors ci
pensa Amici. Il resto è storia
nota di una carriera in costante
ascesa. «A Cardito torno spesso e resto puntualmente stupito dell’affetto delle persone»
dice Stash. Lo scorso luglio un
riconoscimento speciale è arrivato anche dal comune: «Ricevere le chiavi della città è stato
incredibile, c’erano tantissime
persone – confida – ciò che più
amo del posto in cui sono nato
è il calore umano».
Master di Giornalismo dell’Università
Suor Orsola Benincasa di Napoli
Presidente
Lucio d’ Alessandro
Direttore
Marco Demarco
Responsabile inchieste biennali
per la collana “Cronaca e Storia”
Paolo Mieli ​
Responsabile formazione radio-tv
Pierluigi Camilli
Direttore delle testate
Marco Demarco
Coordinamento redazionale
Francesca De Lucia
Carla Mannelli
Alessandra Origo
Coordinamento tecnico audiovisivi
Rosario Cuomo
Giuliano Caprara
na fiaccolata per allontanare gli spacciatori dal quartiere. Gli
abitanti del Parco Verde
si riversano lungo i viali issando cartelli contro
la droga. La polizia scorta
i manifestanti che esprimono il loro malcontento.
Sono silenziosi ma sembra
che urlino. Non lontano
la criminalità continua a
consumare i propri traffici.
Accade nel terzo episodio
della seconda stagione di
Gomorra. Centootto i figuranti davanti la macchina da presa, scelti tra gli
abitanti di quella Caivano
finita da mesi sulle prime
pagine dei giornali per la
vicenda di Fortuna Loffredo. La serie mette in scena
la vita quotidiana dei clan
camorristici adottando la
stessa teoria del “pedinamento della realtà” che lo
scrittore Cesare Zavattini
formulò per il cinema neorealista. Certamente non
edulcorata nel contenuto,Gomorra anche questa volta rinuncia ad ogni orpello
per consegnare allo spettatore la dura realtà della
criminalità napoletana: labile o addirittura invisibile
il confine tra la verità e la
finzione. “E’ stata l’emozione più grande della mia
vita poter vedere quaranta
famiglie ribellarsi a problemi che vivono quotidianamente”, racconta Bruno
Mazza
dell’Associazione
Un’ infanzia da vivere del
Parco Verde di Caivano.
“Avrebbero dovuto girare
molte più scene all’ ìnterno
del Parco Verde. Il commisario prefettizio però faticò a rilasciare i permessi
necessari per le riprese
ma - continua- quella sola
giornata ha consentito
al comune di Caivano di
guadagnare 18.000 euro.”
Sorprendente, ha spiegato
Bruno, il significato quasi
catartico delle scene girate: “Qui ogni viale ha una
propria piazza di spaccio.
Anche se all’interno di un
mondo fatto di celluloide,
abbiamo potuto far sentire
la nostra voce.” Quelle poche sequenze potrebbero
aver restituito una timida
speranza agli abitanti del
Parco Verde: sul piccolo
schermo quello che ancora non riescono a scorgere
dalle finestre delle proprie
abitazioni.
Combattere
contro un problema a cui si
è ormai assuefatti in un posto dove la clessidra dell’esistenza viene capovolta e
poi ancora capovolta, condannando coloro che sono
intrappolati all’interno a
rivivere in eterno la stessa
sorte. Forse per gli autori non si è trattata di una
mera scelta cinematografica. Sarebbero stati gli stessi
cittadini di Caivano ad aver
suggerito di girare quella
scena, qualcuno racconta.
Cacciare la camorra, malgrado sia per fiction: una
via di fuga da quell’ “eterno
ritorno” nietzschiano che
tiene imprigionati gli abitanti del Parco Verde.
Le riprese di Gomorra
Triste constatare che le
speranze di Bruno siano
destinate a scontrarsi anche contro un muro fatto
di pixels. Nell’episodio di
Gomorra è lo stesso boss
della droga a suggerire al
sacerdote del quartiere di
organizzare una manifestazione.
Una strategia messa in atto
per salvaguardare interessi legati al clan, che riduce
gli abitanti del Parco Verde
al ruolo di pedine legate ai
fili di un burattinaio oscuro
chiamato camorra.
Segreteria didattica
Nancy Polverino
Grafica
Ananda Ferrentino
In redazione
Filomena Avino, Antonio Buonansegna
Alessandra Caligiuri, Anna Capasso
Alessandro Cappelli, Paola Corona
Giuseppe Di Martino, Antonio Esposito
Antonio Lamorte, Emanuele La Veglia
Marina Malvestuto, Maurizia Marcoaldi
Carolina Mautone, Emilia Missione
Fausto Egidio Piu, Davide Uccella
Erminia Voccia
Stampa
Centro Stampa di Ateneo
Registrazione
Tribunale di Napoli n. 5210 del 2/5/2001
Editore
Università degli Studi
Suor Orsola Benincasa
081 2522236
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Fondazione FCF
Il progetto Finanziato da 200 famiglie del Parco
Un campo verde
autogestito
contro il degrado
Alessandro Cappelli
Davide Uccella
T
rascorrere l’infanzia e l’adolescenza in una realtà di
frontiera come il Parco Verde
è spesso sinonimo di evasione
scolastica, microcriminalità e
familiarità, con scene che ritraggono scontri a fuoco e tossicodipendenza. In un teatro così
complesso è nata “Un’infanzia
da vivere”, che si pone l’obiettivo di allontanare i ragazzi dalla strada e dargli la speranza
di un futuro migliore facendo
dello sport il suo motore. Merito di Bruno Mazza, lui che nel
Parco Verde è cresciuto e conosce perfettamente l’aspetto
criminale di quella zona. «Noi
vogliamo dare ai giovani l’opportunità di avere un futuro
felice, lontano dalla malavita»
afferma il 28enne che grazie
all’aiuto delle famiglie locali ha
fornito un campetto e l’attrezzatura necessaria per far giocare i
bambini. Ma se lo sport è il motore dell’associazione, la scuola
deve necessariamente essere il
combustibile che permette al
motore di attivarsi, diventando elemento fondamentale del
programma: andare al campo
anche durante il fine settimana
per i ragazzi è un premio che si
può conquistare solo seguendo
le lezioni durante la settimana.
«Perché noi sette – chiarisce il
responsabile dell’associazione
facendo riferimento al gruppo
di persone che durante la settimana segue i piccoli sul campo
– non siamo solo istruttori di
calcio, il nostro obiettivo non
è formare futuri calciatori. Sarebbe troppo difficile. Noi siamo istruttori a 360 gradi». La
bontà del progetto ha convinto molte ONLUS a partecipare
con un finanziamento. È il caso
della Fondazione Cannavaro –
Ferrara, sì il nome è quello dei
due calciatori napoletani di
fama mondiale, che ha donato
inizialmente 15.000 euro per
migliorare il campo con erba
sintetica di nuova generazione
e creare un vero e proprio centro sportivo con tanto di spogliatoi, bagni e uffici a norma.
Finanziamenti di questo genere si intrecciano con lo sforzo
di tutta la comunità del Parco
Verde che partecipa alle spese
quotidiane del centro con piccole donazioni volontarie. La
strada percorsa da “Un’infanzia da vivere” sembra essere
quella giusta. Considerati gli
obiettivi, i risultati sono evidenti. Nel 2014 si è registrato il
successo più grande: azzerare
la dispersione scolastica. Merito anche della SSC Napoli.
Quell’anno c’era l’accordo per
andare a vedere gli allenamenti
della squadra a Castelvolturno
e i bambini dell’associazione
ne erano entusiasti. «Ricordo
lo stupore dei genitori che mi
chiamavano per cercare spiegazioni: non riuscivano a credere che i loro figli desiderassero fortemente andare a scuola
anche la domenica pur di vedere gli allenamenti del Napoli. È
assurdo», ricorda il responsabile dell’associazione. Per i ragazzini il richiamo dei loro eroi in
Nasce nel maggio
2005 dalla volontà dei
campioni partenopei,
i fratelli Fabio e Paolo
Cannavaro e Ciro Ferrara.
La sua missione è
quella di contribuire
alla soluzione delle
criticità del contesto sociale della città
di Napoli e delle sue
aree provinciali, contrastando le diverse
forme di disagio minorile e giovanile.
All’attivo 35 progetti
interdisciplinari.
Un’infanzia da vivere
maglia azzurra era troppo forte.
A scuola si andava volentieri.
Più difficile comprendere perché quest’accordo non sia stato rinnovato nei due anni successivi. «Non capisco perché
il Napoli non abbia proseguito
su quella strada» dice sorpreso Vincenzo Ferrara, fratello
del calciatore Ciro e presidente
della Fondazione Cannavaro
- Ferrara. «Visti i risultati l’imBruno Mazza
«Noi come istruttori
siamo innanzitutto allenatori nella vita»
Vincenzo Ferrara
«Lo sport è una
grande opportunità
in un contesto così
difficile»
pegno era doveroso», prosegue
nel suo appello alla società di
Aurelio de Laurentiis. Appello
cui fa eco quello di Mazza: «Il
Napoli avrebbe dovuto dare un
segnale di speranza ai ragazzi.
Azzerare l’evasione scolastica a
costo zero è il miglior risultato
possibile, ma la collaborazione non è stata rinnovata». Oggi
“Un’infanzia da vivere” è coinvolta in una miriade di progetti sportivi e non, che spaziano
dall’iscrizione a tornei giovanili
alla creazione di due poli sportivi che possano accogliere un
gran numero di ragazzi e ragazze delle periferie. Perché allo
sport è riconosciuto un grande
potere di riscatto sociale:questo lo rende fondamentale, anche al Parco Verde. Soprattutto
al Parco Verde.
Nasce nel 2008 per
aiutare 450 ragazzi
a rischio microcriminalità del Parco
Verde: oggi ne accoglie più di 150.
Nel 2011 la collaborazione con la FCF
che permette la costruzione del campetto in erba sintetica.
Importante il supporto economico volontario di 200 famiglie
locali che versano
da 1 a 200€ al mese.