Il Forum per la Ricerca Biomedica ha presentato a Roma, presso l

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Il Forum per la Ricerca Biomedica ha presentato a Roma, presso l
Guarire è possibile
Presentata la ricerca del Forum per la Ricerca Biomedica sulle patologie oncologiche
Il Forum per la Ricerca Biomedica, in collaborazione con il Censis, ha presentato a Roma, presso
l’Auditorium del Ministero della Salute uno studio di approfondimento sulle patologie oncologiche,
analizzando nello specifico come sono percepite dagli italiani e vissute dai malati. La ricerca è
intitolata: Guarire è possibile, la rappresentazione sociale delle patologie tumorali e i problemi dei
malati.
L’indagine si è basata su un campione di 1.000 cittadini italiani e su quattro focus group condotti
sui malati di tumore e realizzati in occasione della Giornata Nazionale del malato di cancro.
Dai dati emerge che le patologie tumorali sono percepite dal 75% degli italiani come nemici che si
possono combattere con successo grazie ad un una pluralità di strumenti che vanno dalla
prevenzione a terapie sempre più efficaci. Tuttavia la maggioranza degli intervistati, circa il 68%,
pensa che una volta sconfitte, siano necessari controlli della propria salute anche dopo molti anni.
Inoltre persiste una radicata e profonda paura nei confronti della malattia che per i cittadini genera il
massimo di timore.
Quando una persona si trova di fronte a una diagnosi di cancro, in prima battuta, è la paura e uno
smarrimento sostanziale ad emergere, al quale però fa seguito la voglia di reagire e la decisione,
soggettiva, di essere parte attiva del processo di cura.
I problemi più gravi sono rappresentati: dall’individuazione dell’oncologo da contattare e della
struttura alla quale rivolgersi. Per il 39,4% degli intervistati il problema riguarda le capacità
professionali degli operatori con cui sono venuti in contatto, anche negli aspetti psicologici e
relazionali per il 33,1%, la qualità dei servizi nei luoghi di ricovero e negli ospedali, segnalata dal
32,1% del campione, la rapidità nell’accesso ad alcuni esami diagnostici per il 30,1% e infine la
disponibilità e l’attenzione del medico generale dopo il ritorno a casa per il 20,2%.
Nell’oncologia, inoltre, si riflette un divario territoriale, da nord al centro sud, nell’accesso alla
tutela della salute che, appare ormai consolidato e consente di sottolineare come la questione
meridionale, superata in molti altri ambiti della vita nazionale, continua a riemergere in modo
sostanziale nel rapporto tra cittadini e Servizio sanitario.
Alle patologi tumorali sono associati anche complessi problemi bioetici. Nell’indagine si è voluto
cogliere il punto di vista degli italiani su chi dovrebbe e quando, eventualmente, interrompere una
terapia che prolunga la vita della persona. Il 57% del campione crede che il malato o un suo
familiare più prossimo abbiano il diritto di scegliere quando interrompere la terapia, a fronte di un
43% che, invece, ritiene sia necessario continuare le cure sino a che c’è la possibilità di mantenere il
malato in vita.
Troppo spesso poi, soprattutto nei grandi ospedali, si registra una moltiplicazione delle figure di
riferimento che rende difficile il costituirsi di un rapporto di fiducia tra medico e paziente.
Per migliorare la qualità dell’oncologia italiana è quindi necessario dare ai pazienti più informazioni
possibili, seguire il malato nelle varie fasi del ciclo di cura, compresa la fase post terapeutica, e
offrire più attenzione alla dimensione psicologica e relazionale del paziente e dei suoi familiari.
E’ compito dei medici informare sempre sulla malattia e sulle reali opportunità di cura ma con la
dovuta delicatezza, non prescindendo dagli effetti emotivi e psicologici di quanto si comunica.
Durante i focus group sono emerse valutazioni alquanto critiche sulla qualità delle informazioni
rilasciate dai medici, soprattutto per quelle riguardanti la patologia e sulla poca concordanza di
pareri, in alcuni casi, tra i vari specialisti. Il verificarsi di pareri discordanti può avere un effetto
devastante sulla psicologia del malato, recando sentimenti di confusione e frustrazione.
A tal proposito sono emblematiche alcune dichiarazioni rilasciate dai pazienti: Una volta è successa
una cosa tremenda, sapevo che non dovevo fare la terapia ormonale, perché mi avevano detto sin
dall’inizio che non era necessario. Durante una visita mi è capitato un altro oncologo e
quell’oncologo mi ha guardato e mi ha detto, ma come lei non fa la terapia ormonale!?, mi è preso
un colpo, ho iniziato a piangere e ho pensato adesso la devo fare o non fare!?. In queste
circostanze si instaura un profondo e reale senso di smarrimento. Una esperienza altamente
devastante come dichiarano altri pazienti: Ogni volta che vieni qua a fare la chemioterapia trovi un
medico diverso e devi raccontare di nuovo tutto quanto, per me questa è una cosa devastante. Devi
sempre chiedere tutte le cose, ogni volta raccontare di nuovo tutto perché non trovi mai lo stesso
medico.
Per quanto riguarda invece la possibilità di ricevere cure alternative, pochi malati hanno esplicitato
il desiderio di maggiori informazioni in proposito, collegandolo soprattutto alla questione del loro
scarso coinvolgimento nella scelta delle terapie. Ma è il servizio di assistenza domiciliare il vero
nodo critico, non solo a causa di un deficit informativo ma proprio per la sua inadeguata presenza
sul territorio.
Chi viene colpito dal cancro necessita quasi sempre, dopo il ricovero e i cicli di chemioterapia, di
cure domiciliari, di una qualche forma di ausilio ed assistenza, ed è per questo che i malati citano
questo aspetto come fonte di problematicità fondamentale.
A volte quando un paziente viene dimesso vive l’episodio come un abbandono. Le parole dei malati
rendono perfettamente esplicita l’apprensione legata a questo momento: La mancanza di
informazioni rispetto al paziente, questa è la cosa che più mi è mancata. In particolare, c’è una
disinformazione e un distacco dalla struttura, una volta che si rientra a casa. Quando finisco la
chemio, ad esempio, e torno a casa, non ho più un contatto, nessuna certezza, non so più dove
aggrapparmi. Avrei voluto un’informazione sulla reperibilità dei medici. Pensavo che potevo venire
qui e trovare l’oncologo o l’ematologo, lo psicologo, invece ho dovuto fare tutto da solo.
E’ fondamentale la presenza di un servizio territoriale capace di rispondere alle varie necessità; un
servizio però, che non si limiti alla sola funzione infermieristica, ma che assicuri interventi anche
specialistici. I malati oncologici fanno esplicita richiesta di un’assistenza domiciliare.
Non solo, spesso le persone, dopo l’insorgere della malattia, hanno dovuto anche accettare
incrinature nei rapporti familiari, crisi nelle dinamiche interne del proprio ambiente domestico,
nonché in alcuni casi assistere allo sgretolamento della propria famiglia.
Tanti gli episodi riportati dai pazienti in proposito: figli adolescenti che trasformano la paura di
perdere i genitori in rabbia e aggressività, chiusura totale delle famiglie di origine verso le persone
ammalate o abbandoni dei partner.
Da qui la rinnovata richiesta dei pazienti oncologici di un supporto psicologico anche per i propri
familiari.
In conclusione, le patologie tumorali hanno lungamente rappresentato il paradigma della patologia
inguaribile evocando, nei fatti, la morte. I tumori erano considerati come malattie contro le quali
nulla si poteva fare, al massimo si poteva rinviare l’esito finale.
Questa rappresentazione ha incominciato a cambiare negli ultimi anni sotto la spinta dei progressi
medico scientifici e l’esperienza diretta o indiretta di persone affette da neoplasie che sono guarite.
Le rappresentazioni sociali hanno però una notevole rigidità ed occorre di solito molto tempo. Ecco
perché il tumore come malattia da cui si può guarire, o come malattia sostanzialmente uguale alle
altre, sono idee che si sono ritagliate faticosamente uno spazio nell’immaginario collettivo.