L`Educazione nelle Tecniche Coreutiche e il Cambiamento

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L`Educazione nelle Tecniche Coreutiche e il Cambiamento
Capitolo III
L’Educazione nelle Tecniche Coreutiche e il Cambiamento
Neurofisiologico del Corpo del Performer
1. La Forza dell’Abitudine
[…] Gli animali giovani e i giovani esseri umani hanno a loro disposizione una gamma di possibilità di
sforzo molto più varia rispetto a quelli più anziani. Un cagnolino o un gattino e, per alcuni aspetti, anche
un bambino, hanno una maggiore mobilità rispetto a un cane o un gatto o un uomo adulti. Le
caratteristiche di sforzo tipiche di un individuo e di una specie non sono completamente sviluppate in un
esemplare giovane. Sebbene la gamma completa delle tendenze tipiche di sforzo venga ereditata, la
selezione restrittiva continua dopo la nascita e si sviluppa ulteriormente. […]1
La storia personale e l’ambiente in cui si sviluppano e si definiscono le abilità fisiche - durante
il periodo di selezione della prima giovinezza nell’animale e fino all’adolescenza nell’essere umano
– diventano poi chiaramente visibili, nelle sfumature delle caratteristiche e delle qualità di sforzo,
definite nell’individuo adulto. Queste qualità sono maggiormente diversificate nell’uomo che negli
animali. Un animale addomesticato svilupperà qualità e sfumature di configurazione dello sforzo
diverse, rispetto a quelle di un animale selvatico della stessa specie. Di conseguenza un animale
addomesticato collocato in un ambiente naturale e selvaggio non è in grado di sopravvivere
all’ambiente, e risulta impossibile addomesticare un animale adulto selvaggio. Al contrario l’essere
umano anche se non educato ad eseguire una particolare qualità del movimento, efficace per la
condizione data, è in grado di apprenderlo in condizioni di necessità.
[…] Durante la crescita gli esseri umani si confrontano con una lotta per la sopravvivenza diversa da
quella animale. Di conseguenza, lo sviluppo delle loro abitudini di sforzo assume un’altra forma. La
capacità innata di un individuo di resistere alle influenze ritardanti gioca un ruolo importante nel risultato
finale. […].2
La differenza tra l’animale e l’essere umano sta nel fatto che nell’uomo possono svilupparsi
complicate reti di qualità di sforzo mutevoli, le quali consistono nel modo in cui viene rilasciata
l’energia nervosa. Un essere umano adulto può imparare a sciare, anche se non ha mai sciato nella
propria vita. Questo perché: «[…] L’uomo ha la capacità di comprendere la natura delle qualità di
sforzo e di riconoscere i ritmi e le strutture delle loro sequenze; ha la possibilità e il vantaggio di
esercitarsi consciamente, e ciò gli permette di cambiare o di arricchire le sue abitudini di sforzo,
anche quando le condizioni esterne sono sfavorevoli […]».3
L’essere umano è una creatura abitudinaria ed è libero proprio perché è in grado di elevarsi al
di sopra delle abitudini.
Ciò che contraddistingue il principiante dall’esperto è la fluidità dell’esecuzione di un’abilità
data, perché essa comporta un certo tipo di coinvolgimento soggettivo. Di conseguenza, per fa sì
che tale abilità risulti essere fluida, è necessario che l’azione non sia riflessiva.
1 Rudolf Laban, L’arte del movimento, E. Casini Ropa e S. Salvagno (a cura di), Edizioni Ephemeria, Macerata
1999, Introduzione.
2 Ibidem.
3 Ibidem.
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Quando inizialmente acquisiamo una nuova abilità, facciamo attenzione alla meccanica di ciò
che stiamo facendo. Questa meccanica si sviluppa a partire dalla posizione fisica: dallo schema
corporeo che è richiesto per l’esecuzione tecnica del movimento.
[…] Gli psicologi hanno dimostrato sperimentalmente che, come regola, l’esecuzione di un compito
da parte di un principiante migliora se questo presta attenzione alla meccanica del compito. La prestazione
migliora quando si fa attenzione a se stessi e a quello che si sta facendo. […]4
Per l’atleta esperto vale esattamente il principio contrario. Se l’esperto focalizza l’attenzione
sulla meccanica la sua esecuzione peggiora perché la concentrazione sulla meccanica impedisce la
realizzazione del flusso e ciò, di fatto, compromette l’esecuzione del compito stesso. La
competenza fa sì che l’esperto possa rivolgere la propria attenzione altrove: egli è così in grado di
visualizzare l’azione dinamica ed eseguirla arricchendola di contributi psico-somatici che ne
migliorano la qualità espressiva.
Si dice che la mente di un esperto sia fredda e concentrata, in realtà sarebbe più corretto dire
che la mente di un esperto è libera: non c’è compito, non c’è concentrazione, il corpo-mente è
fluid spectrum. «[…] Questo perché il “saper fare” richiede, anche in ambiti intellettuali, che sia
messa da parte la distanza tipica della riflessione. […]»5. “Saper fare” è una capacità cognitiva ma
essa non è conforme al modello intellettualistico di tipo riflessivo. Si tratta di integrare la
riflessione con l’esecuzione, di agire nella percezione, di pensare-nel-movimento. L’esperto non è solo
colui che conosce le regole e le applica alla perfezione in maniera automatica: è colui che
nell’esecuzione non si pone per niente il problema delle regole, ed è in grado di realizzare
l’eccezione.
[…] La sfida che un’artista si trova ad affrontare consiste nel produrre qualcosa di nuovo che sia
riconoscibile; per essere riconoscibile deve essere già, per un verso, almeno in parte, vecchio. Di fatto
questo è il dilemma con il quale ci confrontiamo in ogni aspetto della vita. […]6
Dilemma e paradosso allo stesso tempo. Il teatro come forma d’arte vivente è possibile solo
se il performer raggiunge un alto grado di controllo del corpo, e l’unico modo per acquisire il
“saper fare” è ripete fino alla sfinimento il “come fare”: per arrivare al momento in cui la tecnica
svanisce; per arrivare a quella consapevolezza per la quale non vi è più il problema di sapere
qualcosa e non vi è il quesito sul comprendere come sapere qualcosa, vi è solo la pratica: il sapere
come fare l’eccezione. Il paradosso sta nel fatto che il segreto dell’arte teatrale è l’improvvisazione.
Ogni performance è diversa da tutte le altre, perché non vi è ripetizione tecnica.
L’improvvisazione avviene perché il performer segue più o meno consciamente regole condivise.
Il performer è in grado di produrre qualcosa di sorprendente mantenendosi all’interno di uno
schema chiaro, convenzionale e prevedibile.
La domanda a questo punto è: se la body knowledge è frutto della preparazione, dell’abitudine
acquista dallo studio e incorporato praticamente attraverso l’allenamento psico-fisico, come si
realizza l’eccezione? Come può l’istinto animale organico liberarsi da questo sistema così forte e
contribuire alla realizzazione della comunicazione?
4 Alva Noë, Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Raffaello Cortina Editore, Milano
2010, p. 104.
5 Ivi, p.115.
6 Ivi, p. 128.
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«Per avere l’audacia di andare là dove nessun uomo [o donna] è mai stato prima, occorre
raggiungere i confini del mondo conosciuto»7. Solo la padronanza dell’abilità che costituisce il
fondamento organico può liberare l’animale dalla gabbia razionale.
2. Il Subscore-Estetico: dall’Épaulement all’Embodiment
Chiudete gli occhi, aprite le gambe in posizione parallela affinché i piedi, la giuntura delle
caviglie, le ginocchia, le anche e le spalle siano perfettamente in linea parallela. Le dita dei piedi
sono aperte e spalmate sul pavimento, i muscoli plantari spingono gli archi verso l’alto creando
una tensione energetica che raggiunge i muscoli adduttori delle gambe che si contraggono per
tenere la verticalità di una linea non anatomicamente data apriori. Posteriormente contraete i
glutei e i muscoli dorsali per posizionare il bacino e la spina dorsale: mentre il grande gluteo apre
le anche, il gemello inferiore spinge verso il basso per liberare il coccige dalla tensione muscolare
e il gemello superiore spinge verso l’alto per sostenere il bacino; i muscoli lombari spingono il
corpo verso l’alto per sollecitare l’articolazione della spina dorsale, e i muscoli dorsali del trapezio
aprono le spalle e le scapole e spingono verso il basso. Anteriormente contraete gli addominali in
modo che quelli bassi spingano l’ombelico verso l’alto in direzione del diaframma e quelli alti
spingano l’ultima parte della stacca sternale, lo xifoide, verso il basso in direzione del bacino
portandovi inevitabilmente a chiudere le coste. Il torace e le spalle però si mantengono aperti
grazie alla forza antagonista esercitata posteriormente dai muscoli del trapezio e dai dorsali
laterali. Questi chiasmi energetici prodotti da tensioni muscolari antagoniste portano il vostro
corpo a stabilizzarsi in un punto centrale: state costruendo il vostro baricentro, il punto energetico
centrale del vostro corpo. Intanto le vostre braccia sono rilassate e al tempo stesso sostenute:
parallelamente e leggermente distaccate a lato del vostro corpo, sono i rivelatori della forza di
gravità che vi scorre attraverso fino a fuoriuscire dalle dita e ricadere sul pavimento. E infine il
collo sostiene la testa: la testa è come se fosse sospesa, staccata dalle ossa cervicali e giunta al
corpo solo per mezzo della pelle, la sensazione è di qualcuno che vi tira verso l’alto in maniera
perfettamente verticale, così il mento è leggermente flesso in avanti per fare da contrappeso al
peso posteriore del cranio e permettere la mobilitazione della giunzione cervicale. Prendete un
respiro, inalate gonfiando la pancia ed espirate ricontraendo gli addominali: ripetete la
respirazione fino a regolare il funzionamento del diaframma e il tempo-ritmo del vostro cuore.
Attraverso una leggera oscillazione del peso in avanti e in dietro, verso destra e sinistra stimolate i
sette archi energetici del vostro corpo – quelli plantari, quelli delle ginocchia, quello del bacino,
quello del diaframma, quello del palato, quello cervicale e quello della calotta cranica – e osservate
che si realizza: la linea energetica che attraversa il vostro corpo. Ora aprite gli occhi, individuate il
punto focale del vostro sguardo, comparate le sensazioni ad occhi chiusi e aperti, espandete il
vostro focus oltre il corpo a tutta la stanza e a ciò o a chi vi circonda e… siete in balance…
Il danzatore contemporaneo entra in sala, e inizia così il suo riscaldamento: esplorando il suo
corpo, sentendo il respiro, accordando il suo strumento, entrando in contatto con se stesso.
Quello che ho appena descritto è, più o meno, l’inizio di un training di tecnica di danza
contemporanea. Dico più o meno, perché ogni maestro codifica il training in relazione alla
propria poetica del corpo e alla metodologia che ritiene sia più efficace nel sollecitare precisi
meccanismi psico-somatici che, una volta acquisiti, il danzatore poi adotterà nell’esecuzione delle
7
Ivi, p. 129.
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sequenze di movimento coreografate, le quali in questo modo saranno colorate di una precisa
cifra stilistica.
E dico più o meno perché nella pratica è molto più complesso di così.
Quando ci s’inizia ad una tecnica di movimento extra-quotidiana inizialmente è molto difficile
capire il funzionamento biomeccanico del corpo, ma con anni di esperienza e di pratica si arriva a
realizzare la posizione in brevissimo tempo, in pochi minuti se non anche in pochi secondi.
Il corpo è utilizzato in maniera totalmente differente nella vita quotidiana e nella condizione
data dalla performance. Nel contesto quotidiano i movimenti dell’essere umano sono
condizionati dal background antropologico e socio-culturale della persona, e generalmente un
individuo agisce avendo come principio il conseguimento del minimo impiego energetico per una
massima resa. Nella condizione data dalla performance è necessaria al danzatore una tecnica
differente che sia volta a ripulire il corpo dagli automatismi del quotidiano e si basi al contrario
sul principio del massimo impiego di energia per il minimo risultato.
Va tenuto presente che il corpo è un’unica unità che interagisce con l’ambiente in maniera
totale e complessa.
La capacità del danzatore sta nel mantenere il decoro in una condizione di stress fisico
estremo, dovuto al fatto che il corpo è soggetto a torsioni molto complesse durante eventi
fisicamente antagonisti.
In relazione a questo punto non vi è molta differenza tra il danzatore classico, quello
moderno e quello contemporaneo. I principi biofisici sui quali si realizza il balance sono gli stessi,
ciò che cambia è la configurazione del corpo perché questa viene articolata in relazione ad una
precisa metodologia di movimento che risponde a dinamiche estetiche differenti.
Prendiamo ad esempio la posizione di balance che ho descritto pocanzi in relazione al
danzatore contemporaneo e la posizione d’épaulement 8 emblematica del balletto classico. Il
principio di realizzazione dell’épaulement si basa sulla legge dinamica rispetto alla quale deve essere
esercitata una continua resistenza alla forza di gravità, quindi rispetto questa poetica il corpo
tende sempre verso l’alto: il danzatore si oppone alla forza di gravità, vi lotta contro, per elevarsi.
La posizione di balance che ho descritto, invece, riconosce nel peso del corpo il principio basilare
del movimento: il danzatore incorpora lo spazio e sfrutta la forza di gravità come componente
dinamica del movimento privilegiando così il contatto con la terra. Si noterà che la costruzione
delle posizioni è totalmente opposta perché si edificano a partire da posizioni differenti dei piedi
(nell’épaulement sono aperti, nel balance sono paralleli). Ma entrambe come la danza classica
indiana, dettano come regola quella di guardare oltre il corpo mentre allo stesso tempo guardano
dentro se stesso, per sentire la verticalità della posizione data da una linea immaginaria che,
partendo dal punto centrale dell’ombra d’appoggio dei piedi sul pavimento, attraversa gli archi
energetici interni al corpo. Entrambe sono posizioni estetiche, non ordinarie e non naturali che
hanno la stessa finalità, non fanno altro che orientare il corpo: orientare nel senso di predisporre
il corpo a relazionarsi in un preciso modo allo spazio.
8
Cfr. Fig. 5 in Iconografia.
67
2.1
L’Épaulement
Épaulement 9 significa “torsione delle spalle” (tradotto letteralmente “spallamento”). Questo
termine venne introdotto nel vocabolario della danza classica tra il VIII e il XIX secolo. È un
termine moderno che andò a denotare l’evoluzione dell’effacé. Per molto tempo questi due termini
venivano utilizzati come sinonimi, in quanto l’épaulement era considerata la posizione aperta del
corpo, ossia l’effacé, complicata dall’arretramento di una delle spalle a seconda se la posizione
veniva presa in relazione alla diagonale spaziale destra o sinistra. Successivamente l’épaulement
andò ad indicare un movimento che mettendo in relazione le spalle con la testa, le spalle con le
anche, e così in relazione anche con le ginocchia e i piedi, definiva la rotazione di tutto il corpo
che raggiungeva il suo coronamento in una posizione obliqua che transitava in mezzo l’inizio e la
fine delle configurazione di altri movimenti. L’épaulement non va considerato come una posa fissa,
ma come il risultato di un movimento interno a spirale che mette armonicamente in dialogo le
varie parti del corpo con lo spazio e la forza di gravità che governa questo spazio. Tale
transizione è volta a rompere la staticità delle posizioni frontali en face.
Così come esistono diverse tecniche di danza moderna e contemporanea, esistono molte
tecniche classiche e neo-classiche. La tecnica classica accademica per eccellenza è quella che fu
inaugurata dalla russa Agrippina Vaganova. Secondo la tecnica classica Vaganova l’épaulement
costituisce la posizione obliqua del corpo nello spazio. Il danzatore viene educato immaginando
di trovarsi nel preciso centro di un quadrato numerato da uno a otto, dove per uno s’intende l’en
face - ossia lo spazio di fronte il danzatore (per il ballerino classico è la postazione del pubblico) e da due a otto le posizioni che dal fronte si spostano verso destra di quarantacinque gradi10. Gli
épaulement configurano spazialmente la posizione del ballerino in relazione al fatto che le sue spalle
siano rivolte verso le diagonali - ai punti due e otto per gli épaulement en avant, quattro e sei per
quelli en arrière. Con i termini croisé (incrociato), effacé (aperto) ed ecarté (aperto al massimo) si
definisce invece la modalità dell’épaulement, ossia il modo in cui devono essere integrate braccia e
gambe al movimento.
Questo sistema geometrico di configurazione spaziale del piano d’azione dà la possibilità di
visualizzare punti di immagine nello spazio molto precisi e ciò porta il ballerino ad acquisire
riflessi di interazione con lo spazio molto rapidi. Il balletto classico definisce uno sviluppo
spaziale molto preciso, che è molto semplice da riprodurre, perché ha un tipo di figurazione del
corpo essenziale. Per quanto il sistema risulti essere estremamente meccanico, in realtà il fine è
decisamente l’opposto: mettere il danzatore nella condizione di realizzare l’elasticità del
movimento espressivo. La geometria spaziale fa acquisire al corpo un tipo di coordinamento
residuale, ciò dà al ballerino il tempo di tradurre il meccanismo di torsione in una superficie
biofisica elastica, ed esprimere pantomimicamente il carattere, o meglio, la qualità che è chiamato
ad interpretare. Nel caso in cui l’esercizio sia semplicemente tecnico, è comunque richiesto che il
movimento venga arricchito dalla componente espressiva che, di fatto, è direttamente
proporzionale alla dinamica richiesta dal movimento che si sta eseguendo. Per esempio: l’adagio
richiede che il movimento sia lento e sostenuto, e il danzatore acquisirà un tipo di atteggiamento
espressivo aulico; il grande allegro, di solito si compone di grandi sbalzi, quindi il danzatore è
portato ad assumere un atteggiamento di carattere energetico; poi vi è il petit allegro, che coinvolge
9
Cfr. Fig. 4 in Iconografia.
Cfr. Fig. 6 in Iconografia.
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piccoli movimenti rapidi fatti soprattutto da gambe e piedi, e ciò conduce il danzatore invece ad
avere un espressività frizzante, allegra, e scherzosa.
2.2
La Cinesfera
Con la rivoluzione teatrale del Novecento, in seguito alle pratiche di sperimentazione protese
a sviluppare una drammaturgia fondata sul corpo umano come mezzo di espressione essenziale
sulla scena, si delineò una rivalutazione dello spazio teatrale che arrivò ad assumere l’accezione di
ambiente, e in quanto ambiente semanticamente era considerato vitale.
Lo spazio con la nascita della danza moderna non è più contenitore, ma diviene corpo
generato dal sé mobile.
Nell’opera Choreutics il pioniere della danza moderna Rudolf von Laban chiarisce così:
[…] É probabile che la danza e l’architettura siano le due arti primarie dell’uomo dalle quali tutte le
arti derivano […]11
[…] Il movimento è, per così dire, architettura vivente, vivente in quanto soggetta sia al cambiamento
delle posizioni che al cambiamento di coesione. L’architettura è creata da movimenti umani e costituita da
tracciati delineanti forme nello spazio che potremmo chiamare “forme-traccia”. […]12
Le tesi sullo spazio di Laban furono perfettamente in accordo con ciò che avvenne anche in
campo musicale, in particolare, con la nascita dell’intuizione dodecafonica di Arnold Schönberg, e
successivamente con la nascita della musica elettronica di Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono.
Schönberg arrivò all’intuizione della dodecafonia partendo da una concezione dello spazio che
non fosse più lineare, e quindi bidimensionale, ma tridimensionale: dove fosse il contenuto
relativo, ossia la serie dodecafonica, a dare forma di volta in volta al contenente assoluto, ovvero
allo spazio musicale, e non il contrario. Nell’elaborare la teoria di uno spazio musicale nei termini
della dodecafonia, Schönberg, nell’articolo Composizione con dodici note (1923), rievoca l’omologia di
uno spazio assolutamente unitario. Lo spazio non è più dato a priori ma generato dalla variabilità
degli svolgimenti multi-dimensionali della serie dodecafonica, così come lo spazio coreografico è
dato dalla relazione armonica dei tempo-ritmi del performer con lo spazio teatrale stesso che
costituisce la vera e propria dimensione compositiva.
Il pensiero di Laban sconvolse le coordinate spaziali in cui l’artista andava a collocarsi, perché
l’artista stesso, con le sue qualità soggettive, era colui che determinava la dimensione performativa
spazializzando il tempo.
Laban cominciò dimostrando come era possibile destrutturare il vocabolario tradizionale della
danza: quelli che erano arabesque, attitudes, port-de-bras diventavano semplici aggregazioni di forme
nello spazio, e più precisamente, un’aggregazione di ritmi dinamici che il performer ha il potere di
modificare. Individuò come fondamenti del movimento lo spazio, il tempo, il peso che
traducendosi in energia e flusso, andavano a costituire i fattori che permettevano l’emissione
dell’energia necessaria allo sviluppo del dinamismo corporeo. La teoria labaniana prendeva, così,
11 Rudolf von Laban, Choreutics, Lisa Ullmann (a cura di), cit. in P. Baudoin e H. Gilpin, Proliferazione e Perfetto
Disordine: William Forsythe e L’Architettura della Dissolvenza, in M. Guatterini (a cura di), Monografia William Forsythe.
Reggio Emilia Festival Danza, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia 1989, vol. II, p. 7.
12 Cit. in P. Baudoin e H. Gilpin, Proliferazione e Perfetto Disordine: William Forsythe e L’Architettura della Dissolvenza,
in M. Guatterini (a cura di), Monografia William Forsythe. Reggio Emilia Festival Danza, Fondazione I Teatri di Reggio
Emilia 1989, vol. II, p. 10.
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il nome dalla riunione delle sue tre inscindibili componenti primarie del movimento: Kraft-RaumZeit, cioè Energia-Spazio-Tempo.
Laban affermava che esistono quattro linee d’energia, queste linee sono di due specie, reali e
virtuali: le linee reali sono quelle tracciate dal corpo; quelle virtuali sono quelle che si dipanano
nello spazio dagli arti, che fuoriescono dai punti focali, ovvero, linee di energia che vengono
eseguite, create e condivise in senso virtuale. Due forme di energia inscindibili in quanto, le linee
reali costituiscono il movimento, e le linee virtuali permettono che l’esecuzione strutturi lo spazio
percettivo delineando una traccia energetica invisibile ma percepibile sensorialmente allo
spettatore.
Lo spazio per Laban non era un elemento di contorno, ma un’entità drammaturgicamente
attiva, e intimamente legata alle altre determinanti del movimento espressivo. Affermò: «[…] è
talmente errata l’idea convenzionale dello spazio come fenomeno che può essere separato dal
tempo e dall’energia e dall’espressione […]»13. Infatti, tra le materie insegnate presso il suo istituto
verso la fine degli anni venti figuravano: la coreutica, cioè la teoria dello spazio e, più precisamente,
dell’armonia dello spazio; e l’eucinetica, la teoria dell’espressione.
Laban distingueva tre tipi di spazio: lo spazio in generale, infinito; la cinesfera14, cioè, lo spazio
che è intorno al corpo e alla sua portata; e la dinamosfera, cioè, lo spazio in cui hanno luogo le
nostre azioni dinamiche. Secondo la teoria labaniana muoversi oltre la cinesfera, dove persiste il
resto dello spazio, comporta trasportare la cinesfera in un nuovo posto, in quanto la cinesfera 15
rimane in stretta relazione col corpo e come costante sempre viaggia con esso.
Laban affermò che «[…] nell’arte della danza è normale sviluppare la coscienza e la
sensazione di una caratteristica postura corporea […]»16. Sottolineava, così, la possibilità di poter
distinguere tre tipologie di danzatori, in base all’uso specifico che facevano dello spazio. Questi
erano: il danzatore-alto in cui l’evidente tendenza ad elevarsi, per superare la forza di gravità,
conferiva ai suoi movimenti un’estrema leggerezza, non solo quando protendeva verso l’alto
(come nel caso dei balzi), ma anche quando il suo corpo era a contatto con il pavimento; il
danzatore-basso, opposto a quello alto, s’identificava per la postura curva e per la predilezione nel
battere forte i piedi ritmicamente sul pavimento, come conseguenza alla volontà di tendere verso
il basso; il danzatore-medio, denominato così per la sua capacità nel girare - qualità che si sviluppa
nel mezzo dell’asse orizzontale dello spazio cinesferico – il quale non era influenzato da una
particolare struttura corporea, ma da fattori costituzionali che lo portavano ad acquisire una
dinamica come combinazione di velocità, equilibrio, abbandono e chiarezza formale.
Per Laban il mondo di forme e ritmi, concretizzato in quella complessa e meravigliosa arte
del movimento da lui definita coreosofia, non era altro che lo specchio del nostro mondo interiore:
un mondo in cui l’associazione tra quelle forme e quei ritmi diviene libera e dove la danza è fatta
da una moltitudine di varietà esecutiva. Laban invogliava qualsiasi persona ad ascoltarsi per
scoprire l’origine profonda del movimento. Non sorprende, allora, il fatto che considerasse terzo
aspetto fondamentale per esperire il movimento, il tempo: il tempo-ritmo soggettivo. Ritmi di
tensione e distensione, ritmi di vibrazione e di eccitazione, ritmi di slancio e di scansione
Cit. in Marco De Marinis, In cerca dell’Attore. Un bilancio del Novecento teatrale, Bulzoni Editore, Roma 2000, p. 41.
Cfr. Fig. 7 in Iconografia.
15 Cfr. Fig. 8 in Iconografia.
16 Rudolf Laban, L’arte del movimento, E. Casini Ropa e S. Salvagno (a cura di), Ed. Ephemeria, Macerata 1999, p.
13
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repulsiva. Tutti provengono dal nostro corpo e dalla nostra vita, basti pensare al battito cardiaco,
alla respirazione con il suo movimento di espansione e contrazione della cassa toracica.
Questa è la base da cui è necessario partire per scoprire i ritmi dinamici che producono la
forma: la base dell’eucinetica. Laban iniziava gli esercizi eucinetici partendo dai colori17 fondamentali
del movimento, particolarmente evidenti rispetto ad altri perché costituiti da coppie di contrari:
lieve e forte; lento e rapido; trattenere il flusso del movimento e lasciarlo scorrere; un punto
focale nello spazio e la sua diffusione. Questi colori del movimento stimolavano l’esplorazione di
combinazioni sempre diverse di esecuzioni ritmiche e dinamiche. «[…] Gli elementi del
movimento, quando sono organizzati in sequenze, costituiscono dei ritmi […]»18, così, si posso
distinguere: spazio-ritmi, tempo-ritmi, e peso-ritmi. Gli spazio-ritmi nascono dalla combinazione delle
direzioni da cui si creano forme e configurazioni spaziali. I tempo-ritmi si sviluppano a partire dalla
relazione del danzatore con l’esecuzione del movimento. I peso-ritmi sono invece «[…]
combinazioni di parti accentate e non accentate di una sequenza […]»19, in quest’accezione Laban
si riferisce a parti accentate non intese nell’accezione di “misure” (ossia, alla durata del temporitmo) ma al modo in cui erano organizzate le opere in versi, strofe e poemi degli antichi Greci.
«[…] I Greci consideravano il ritmo come il principio attivo della vitalità […]»20 e associavano il
ritmo alla vitalità maschile, mentre la melodia a quella femminile.
[…] Ritenere che pensare in movimento implichi semplicemente il far giravolte nelle idee è un errore
tanto grande quanto ritenere che l’arte del movimento sulla scena si limiti soltanto al balletto. Il
movimento è un mezzo di espressione artistica altrettanto essenziale nell’arte drammatica e nell’opera
lirica e, allo stesso tempo, anche un mezzo di soddisfazione e di conforto in situazioni di lavoro, dato che il
movimento, quando è scientificamente determinato, costituisce un denominatore comune dell’arte e
dell’industria. […]21
2.3 Il Metodo Forsythe
«[…] Per imparare qualcosa sul tempo e sullo spazio, oltre che sulla collocazione dell’uomo
nel grafico spazio-temporale, bisognerebbe leggere tutto quello che Balanchine ha detto nelle sue
interviste. Da quando sono diventato coreografo non ho fatto nient’altro. […]»22.
Alva Noë, Action in Perception, Cambridge, Massachusetts, The MIT Press 2004, pp. 123-161.
Il filosofo Alva Noë, in relazione all’approccio enattivo alla percezione, ha proposto nel IV capitolo, Colors
Enacted, del libro Action in Perception, una teoria sui colori per spiegare alcune caratteristiche dell’esperienza percettiva.
In questo capitolo spiega che il modo in cui l’essere umano percepisce il colore, e l’esperienza che deriva da questa
percezione è soggettiva: due soggetti possono osservare un cubo rosso, entrambi affermeranno che il cubo è rosso,
ma nessuno dei due soggetti saprà mai cosa significhi “rosso” per l’altro, e come l’altro percepisca il rosso. La teoria
dei colori formulata da Noë suggerisce che l’esperienza che facciamo dei colori è totalmente soggettiva. Ciò
permette, a mio avviso, di afferrare un nodo cruciale della teoria di Laban, secondo la quale: uno studente, per
scoprire i ritmi dinamici che producono la forma del movimento nello spazio, si deve riferire, o meglio, deve
esplorarne i colori. Se il soggetto è il sempre variabile accordo dei molti tempi del corpo, l’unico modo per esplorare le
qualità e le potenzialità di questi tempi, dandogli in questo modo forma organica, è per mezzo di una componente
astratta della soggettività legata tanto al sé quanto il tempo che la compone: ossia, il colore. Per Laban in questo
modo lo studente astraendosi dal significato del movimento era in grado di liberare la componente espressiva: il
danzatore riusciva a pensare-in-movimento, ad agire nella percezione.
18 R. Laban, L’arte del movimento, E. Casini Ropa e S. Salvagno (a cura di), Ed. Ephemeria, Macerata 1999, pp.
122-125.
19 Ibidem.
20 Ibidem.
21 Ivi, Introduzione.
22 William Forsythe, cit. in Concetta Lo Iacono, Il cristallo e l’Hybris. Forsythe da Love Songs ad Artifact, in Mariella
Guatterini (a cura di), Forsythe, ieri, oggi, domani, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia 2005, p. 33.
17
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Queste le parole di William Forsythe che nel suo percorso di coreografo e, più generalmente,
di uomo di teatro è sempre andato alla ricerca di una tecnica del corpo in grado di generare una
“nuova danza”, una danza senza tempo, in cui la tradizionale danza accademica – che lui ereditò
dalla passione per George Balanchine - fosse esplorata sulla base delle teorie della danza libera
concepite da Rudolf von Laban. Forsythe afferma che:
[...]occorre mantenere del balletto alcune qualità estetiche, il supporto muscolare e formale e il
riferimento culturale, ma contaminarle con la decentralizzazione del movimento. Partendo da un arabesque
si può arrivare ad un attitude, passando però attraverso momenti non cristallizzati della sedimentazione
storica delle combinazioni di passi e sequenze; abbiamo ereditato dal passato dei meravigliosi cristalli
sepolti dalle incrostazioni dell’uso sociale che ne è stato fatto; sta a noi, togliendo le incrostazioni, farne
dei gioielli, reagire interiormente alla rifrazione della loro bellezza con nuovi rapporti morfici e geometrici.
[…]23
In questo modo Forsythe ha sviluppato un metodo di movimento che si rivela come sintesi
dialettica tra due espressioni della stessa forma d’arte.
Forsythe parte dalla suddivisione spaziale di Laban, in relazione al corpo, e la porta
all’estremo. Connota un’intera schiera di cinesfere infinitamente in tutto il corpo, ognuna
possibile di compressione o espansione. Nello smantellare e sospendere il modello di Laban,
individua un’infinità di emergenti suddivisioni assiali che ruotano, in quanto centro, attorno ad
ogni punto o linea, sia del corpo sia dello spazio, in quanto possono diventare il centro
cinesferico di un particolare movimento. L’impulso dinamico, l’effort, può essere generato a partire
da un qualsiasi punto dentro o fuori la cinesfera, e la cinesfera è permeata da un’infinità di punti
d’origine che possono apparire simultaneamente in molteplici punti del corpo.
Così:
[…] la rottura del cristallo infrange condizioni forti come la simmetria, l’ordine, la coesione. E’ un
evento improvviso e netto, a volte catastrofico. […] Praticare la rottura permette di frequentare le derivate
delle accelerazioni elevate, delle commutazioni di stato, dei salti di livello. L’elemento torna ad essere
opaco e trasparente, fossile e organico, immobile e mutevole, fragile e inattaccabile. Dichiara la sua
individualità e la nostalgia dell’indistinto e dell’inizio, la sua unità e la sua complessità. Configura l’istante e
il flusso e una nuova drammaturgia della materia. […].24
Per Forsythe:
[…] la danza di per sé non sopravvive al tempo. Da un punto di vista storico, della danza non restano
che alcune idee generali. Non si tratta, tuttavia, di documenti concreti, bensì di qualcosa che si trasmette
da un danzatore all’altro come una sorta d’impronta genetica. In questo modo arriviamo all’essere umano
come documento storico […].25
Infatti nei lavori di Forsythe, la tensione a doppio taglio del “dis-equilibrio” (off-balance) è uno
stato che emerge dalle infinite operazioni che smantellano le configurazioni del corpo
storicamente istituite. Ecco perché nelle sue coreografie la tradizione del movimento sembra sia
Ivi, p. 36.
24 Ivi, p. 41.
25 William Forsythe, Forsythe parla di se stesso, in Mariella Guatterini (a cura di), Programma di sala Avanguardia e
frontiera. Serata Forsythe Balletto della Scala. Ballett Frankfurt, Edizioni del Teatro alla Scala, Milano 1998, pp. 8-9.
23
72
scossa continuamente da correnti elettriche ed erotiche dando al dinamismo un carattere allo
stesso tempo intenso e violento: il corpo, sciolto e un po’ cascante nei movimenti sempre elastici,
è sottoposto a vertiginosi off-balances.
Forsythe ha sviluppato la sua tecnica di composizione su concetti spaziali quali la rotazione,
l’estrusione, l’inscrizione, e la refrazione. Circa questi dice:
[…] Il mio metodo base, sviluppato lungo un periodo di 15 anni, è per trovare la via per usare quello
che i miei danzatori già conoscono. Da allora io lavoro soprattutto con ballerini, analizzo quello che loro
sanno riguardo lo spazio e il loro corpo dalla loro preparazione intensiva nella danza. Ho realizzato che in
sostanza ai ballerini s’insegna a confrontare le righe e le forme nello spazio.
Così ho iniziato a immaginare linee nello spazio che potrebbero essere curve, o sballottate, o
diversamente distorte. Muovendo da un punto a una linea a un piano a un volume, è stato possibile
visualizzare una geometria dello spazio composta da punti che sono ampiamente interconnessi. Come
questi punti sono tutti contenuti senza il corpo del danzatore, non c’erano realmente transizioni
necessarie, solo una serie di foldings e unfoldings che producevano un infinito numero di movimenti e
posizioni. Da questo, siamo partiti per catalogare ciò che il corpo può fare. E per molti nuovi pezzi che
abbiamo coreografato, abbiamo dovuto sviluppare una nuova serie di procedure26.
Alcune di queste procedure hanno lavorato con qualcosa che è sempre nel balletto. Se tu analizzi le
posizioni base del balletto dove le mani sono sopra la testa, capisci che ci sono due curve coinvolte, una a
destra e l’altra a sinistra. Puoi creare innumerevoli trasformazioni da quella semplice posizione, che è un
dato del balletto, e può agire come un fotogramma chiave. Puoi estenderlo fuori nello spazio, o lasciarlo
muovere attraverso il corpo come una naturale continuazione delle curve. Puoi anche far percepire ai
danzatori la relazione tra ogni punto sulla curva e ogni altra parte dei loro corpi. Questo è ciò che si riduce
dalle performance è il danzatore che illustra la presenza di questi immaginati rapporti del movimento. E
nel processo di scopre una nuova strada del movimento. […]27
Ciò a cui mira il metodo Forsythe è portare il danzatore effettivamente a dimenticare come ci
si muove. Il performer, così, invece di soffermarsi a pensare circa il risultato finale del movimento
può iniziare a pensare circa la rappresentazione del movimento internamente, ciò che rivela il
corpo attraverso il suo “rigore”.
Ciò che in questo metodo di movimento differisce dal balletto è che il performer forsythiano
si concentra sull’inizio del movimento piuttosto che sulla fine. Il danzatore utilizza la body
knowledge, che ha acquisito dall’educazione nella tecnica classica, per mantenere un tipo di
coordinamento residuale. I riflessi del balletto classico danno la possibilità al performer di
acquisire una superficie, uno schema corporeo elastico che ribalza sull’altro. L’elasticità deriva
prettamente dalle torsioni dell’épaulement: dal comprendere organicamente i rapporti delle parti del
corpo e come queste relazioni reagiscono nel movimento.
Dice Forsythe:
[…] La maggior parte di quello che facciamo nella nostra compagnia è basato su uno stato di chiusura.
Noi insegnano al nostro corpo come chiudersi e riaprirsi nuovamente, a varie velocità e muovendoci
attraverso parti del corpo differenti. Così noi creiamo ciò che chiamo many-timed body piegandolo e
riavvolgendolo verso e contro se stesso.
Un aspetto del balletto classico è la costante chiusura e serratura delle sole gambe, che i danzatori
riportano sempre ad una delle posizioni descritte. La nostra differisce in quanto la chiusura non è solo
nelle ginocchia ma anche nei fianchi, così che influenza anche il busto. Questo significa che invece di
Cfr. Fig. 9 in Iconografia.
William Forsythe, Dance Geometry (Forsythe), Paul Kaiser (Intervista a cura di), 1998,
http://openendedgroup.com/writings/danceGeometry.html, Letizia Gioia Monda (traduzione e adattamento a cura
di).
26
27
73
rimanere in un angolo di 90° rispetto al pavimento, il busto inizia a piegarsi verso il basso e diviene
parallelo a questo. […]28
Il metodo di movimento forsythiano è «una pratica di epistemologia cognitiva, una forma di
archeologia del sapere»29, per mezzo della quale il danzatore è in grado di orientare la propria
posizione nello spazio molto rapidamente. In questo modo il danzatore è in grado di lasciare il
suo equilibrio in una frase di movimento, poi ricordare ogni cosa dal punto di quella dislocazione.
Il corpo del danzatore vive nella sfera spazio-temporale della sua stessa memoria.
Dice Forsythe:
[…] il pensiero viscerale è qualche cosa che si acquisisce dopo un periodo di tempo lungo. Anche
così, il primo atto di Eidos richiede un enciclopedia di comandi di un enorme campo cinetico. I danzatori
devono poter ricoprire ogni parte della pièce istantaneamente, poiché c’è sempre un’“irregolarità” fisica.
Quando la forza di gravità li getta in un’altra configurazione, per esempio, loro devono poter analizzare
loro stessi e il loro attuale stato in relazione all’intera pièce. In questo senso, sono sempre in uno “stato di
possessione” che sia Apollineo o Dionisiaco.
Questo è molto differente rispetto ad un danzatore più tradizionale, che semplicemente si muove
attraverso una sequenza che conosce bene in anticipo.
Al contrario, credo che veramente una grande danzatrice, come Gelsey Kirkland, è ugualmente
“posseduta” dall’atto per definire quello che loro stanno vivendo. Quando lei è in scena, lei è
completamente nel momento. […]30
2.4
L’Embodiment
Racconta la performer e coreografa Nicole Peisl rispetto il processo middle line wash nel suo
metodo di movimento bio-dynamic cranio-sacral work31:
[…] Io lavoro con la polarità tra gli Ossi Sfenoidi e il Sacro32. Il sacro è la parte finale della spina dorsale e
gli ossi sfenoidi sono nel cranio all’altezza dei tuoi occhi di base. […] Io credo che l’immagine che io ho
lavorando è quella del mare, è solo un flusso. E poi in un certo senso afferra la mia coscienza. È molto
anatomico per il modo in cui mi orienta. Io credo che il termine wash funzioni bene per me perché è molto
naturale. Non è come “afferra la luce e pulisci il tuo corpo da qualcosa”. È solo che tu lavi certe strutture
del tuo corpo, e facendo questo… è come surfare. È come quando tu inizi a conoscere il tuo corpo e
l’ambiente attraverso il tatto, toccando la superfice delle cose. E sembra che io possa fare questo con il
mio proprio corpo. Io immagino con il mio pensiero, con la mia coscienza. Vado e lavo l’area: iniziando
nel cervello, e vado a sinistra e a destra, e poi al centro del cervello, e dietro al cervelletto e al tronco
encefalico – di solito prendo un po’ d’informazioni dal tronco encefalico, che è la parte più antica del
nostro corpo ma ancora in evoluzione, e come tu sai è il luogo dove risiede in nostro istinto… solo per
essere consapevole di questo, perché lavorando con in corpo nella danza e nella coreografia è molto
importante, credo che il sé istintivo sia molto presente […] Così da lì dopo essere stata nel tronco
encefalico, vado giù dentro la spina dorsale e da lì più in profondità nelle gambe e fuori nel suolo, e da lì è
the place that belongs to you. E intendo dire che la mia sensazione è davvero spirituale, molto esoterica. In
qualche modo la connessione con la terra conduce davvero ad un place that belongs to you, questo si connette
con me e mi dà un gran senso di presenza. […] Il wash è davvero qualcosa che fa luce nell’ombra. Se tu
tocchi la superfice di qualcosa – per esempio immagina di toccare la mia faccia, e io semplicemente so così
Ibidem.
William Forsythe, cit. in Concetta Lo Iacono, Il cristallo e l’Hybris. Forsythe da Love Songs ad Artifact, in Mariella
Guatterini (a cura di), Forsythe, ieri, oggi, domani, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia 2005, p. 34.
30 William Forsythe, Dance Geometry (Forsythe), Paul Kaiser (Intervista a cura di), 1998, Letizia Gioia Monda
(traduzione e adattamento a cura di), http://openendedgroup.com/writings/danceGeometry.html .
31 Cfr. Bio-Dynamic Cranio-Sacral Work nel Glossario.
32 Cfr. Fig.12 in Iconografia.
28
29
74
che questo è qui, quest’altra cosa è qui, questo è là etc. – è come quando tu tocchi qualcuno, e questo
toccare mi conduce ad una coerenza o il balance torna all’interno del sistema del mio corpo. […]33
Il processo middle line wash, come quello del conscious breath o del pendulation, servono ad
integrare il pensiero con il grande sapere del corpo che il danzatore acquisisce nello stato di
balance. Questo stato si rivela in un grande schema fisico che articola la polarità 34 tra mente e
corpo. Attraverso il processo il danzatore incorpora lo spazio arrivando a quel punto di transito
in cui esso gli appartiene.
Lo “score estetico” orienta il corpo, nel senso che predispone il corpo a relazionarsi in un
preciso modo allo spazio. A questo punto, come dice Forsythe: «[…] Completamente una nuova
serie di meccanica si acquisisce poi, poiché il corpo ha archiviato un nuovo stato di balance.
[…]»35.
Quello del danzatore è un lavoro comparabile a quello del fotografo. Ogni fotografo ha una
sua poetica di cattura dello spazio, in relazione a questa poetica mette a fuoco in un certo modo
l’obiettivo prima di scattare la foto. Allo stesso modo il danzatore, in relazione allo “score estetico”
dettato dalla poetica di movimento che decide di adottare, costruisce il balance e nel balance mette a
fuoco se stesso in relazione allo spazio: il performer incorpora lo spazio e lo struttura in relazione
all’estetica dettata dal principio dinamico di riferimento.
Ma è possibile che si realizzi realmente questa condizione di incorporazione dello spazio?
Qual è il fine di tale evento psico-fisico? A che serve questo stato di coscienza?
3. Il Cambiamento Neurofisiologico del Performer
La performance coreografica del danzatore professionista è uno dei compiti più complessi
che un essere umano possa compiere.
Se è vero, infatti, che molti compiti motori richiedono altrettanta abilità fine-motoria, la
performance coreografica unisce in sé caratteristiche trasversali a tutti i sistemi della fisiologia
umana: pianificazione e controllo motorio, controllo del feedback uditivo proprio e degli altri
esecutori, visione e controllo del movimento e dello spazio del movimento, attenzione, memoria,
emozione e, ovviamente, anche e soprattutto, respirazione e controllo neurovegetativo.
Su questo substrato, si fonda una buona performance coreografica: osservazione, percezione,
ripetizione, apprendimento del codice e lettura/decodifica. In questo schema non possono
mancare la motivazione e l’emozione, fra loro intimamente legate.
Il corpo del performer fornisce un modello eccellente di attività pratica a lungo termine, e
quindi un luogo perfetto per indagare la plasticità sia strutturale che funzionale del cervello
umano.
Per analizzare la performance motoria credo sia opportuno partire dall’apprendimento delle
abilità motorie necessarie per arrivare al raggiungimento di una buona performance.
Sappiamo che esistono periodi critici per lo sviluppo delle funzioni cerebrali, e in particolare il
training fisico iniziato in età precoce costituisce un buon esempio di come la plasticità neuronale
possa forgiare il cervello.
Cfr. Intervista in Appendice, p. 282.
Cfr. Polarity in Glossario.
35
William Forsythe, Dance Geometry (Forsythe), Paul Kaiser (Intervista a cura di), 1998,
http://openendedgroup.com/writings/danceGeometry.html, Letizia Gioia Monda (traduzione e adattamento a cura
di).
33
34
75
Quello che Eckart Altenmüller definisce training mentale, ovvero la semplice osservazione - o
perfino l’immaginazione dell’attività coreutica - produce l’attivazione delle aree celebrali deputate
alla performance stessa, ossia: la corteccia motorie primaria, la corteccia supplementare motoria, e
il cervelletto.
Sappiamo che eseguire una sequenza di movimento non è solo un’attività motoria, e la
sincronizzazione non avviene solo in funzione di un compito di precisione, altrimenti la pratica
coreutica non sarebbe distinta da altre pratiche di allenamento motorio intensivo come lo sport in
generale. L’elemento conduttore rimane l’armonia, con le sue caratteristiche fondamentali di
tempo, ritmo e spazio. Il correlato fisico del pitch del tono complesso, ossia il tempo-ritmo,
corrisponde alla più bassa frequenza di risonanza, ovvero la frequenza fondamentale dello strumento
utilizzato (il corpo): cioè il battito cardiaco.
Il tempo rappresenta il confine acustico dell’inviluppo temporale dei suoni. Nella musica il
tempo scaturisce dalle stesse informazioni che contribuiscono all’informazione sul ritmo. Nel
linguaggio si riferisce all’apertura e alla chiusura degli articolatori, caratteristiche spettro-temporali
(formanti). A differenza delle varie sensazioni che generalmente colpiscono il nostro sistema
nervoso, che sono legate ad una specifica modalità sensoriale, la percezione del tempo-ritmo è di
fatto amodale e si basa sul modo in cui l’informazione, proveniente dal sensorio, viene integrata
correttamente per guidare il comportamento.
Tuttavia, secondo molti autori - fra cui Jessica Grahn e Davin McAuley - ci sarebbe una
specializzazione uditiva, soprattutto per la percezione degli elementi periodici, che si dimostra
presente e dominante anche quando confrontata con ritmi e periodicità presentate visivamente.
L’apprendimento del codice di movimento, da un punto di vista neurofisiologico presenta
molti spunti interessanti. Nella lettura di una sequenza di movimento bisogna decodificare due
tipi d’informazioni: da una parte la posizione spaziale del corpo determina in che modo eseguire il
passo (informazione spaziale); dall’altra, le caratteristiche del movimento determinano per quanto
tempo quel tipo d’azione dovrà essere eseguita (informazione ritmica). La prima attiva la
pianificazione motoria per l’organizzare dell’esecuzione, mentre la seconda attiva la pianificazione
temporale dell’azione. Entrambe, automaticamente e analogicamente, costringono a fare una serie
di calcoli in relazione alla sequenza di movimento: per controllare quello che viene prima e quello
che viene dopo e interpretare correttamente il senso del singolo passo, della battuta del
movimento, ed arrivare, così, alla precisa esecuzione della frase tempo-ritmica interna al pezzo.
Naturalmente l’efficienza dell’intero processo è correlata all’esperienza di chi esegue e alla
complessità strutturale della sequenza di movimento.
Il meccanismo di lettura del codice di movimento che viene eseguito nei danzatori
professionisti diviene incredibilmente automatico, ovvero, richiede un intervento sempre minore
del sistema attentivo superiore. Quindi tutte le risorse possono essere dedicate alla componente
più elevata della performance.
Secondo alcune ricerche il sistema di analisi spaziale e ritmica, nella lettura del movimento,
sarebbero dissociate e quindi coinvolgerebbero aree corticali diverse: il sistema visivo dorsale
nella prima, e quello ventrale nella seconda (vedremo poi nel capitolo successivo come questi due
sistemi nei pesci, si pensa, possano determinare il movimento sincronico dei banchi).
Vedremo ora in che modo la performance coreografica coinvolga l’attività celebrale ed i sensi
ad essa connessi, e come sia il risultato di un altissimo livello di specializzazione da parte del
performer.
76
4. L’Handicap: L’Off-balance
Nella prefazione ho affermato che il corpo del performer può essere visto come un corpo
soggetto ad un handicap raro, questo perché così come la lunga inattività dovuta ad un trauma
comporta l’acquisizione di nuovi schemi motori, equilibri e coordinazioni di compenso, allo
stesso modo l’educazione in una tecnica coreutica, spinge il neo-danzatore ad incorporare una
nuova conoscenza senso motoria del proprio corpo.
Incorporare una tecnica di movimento extra-quotidiana comporta l’acquisizione di un
handicap perché porta ad alterare la coscienza di sé. La tecnica è volta a potenziare per poter
gestire alla perfezione le quattro componenti dell’atto motorio: efficienza, efficacia, motivazione
ed emozione.
L’attenzione, lo sguardo, l’ampliamento delle facoltà sensoriali del corpo diventano, così,
fattori determinanti della capacità intenzionale e decisionale del danzatore.
La coscienza del performer è alterata in quanto i sensi che regolano la percezione sono
amplificati.
Ciò che viene alterato è l’equilibrio, o meglio la tecnica conduce alla ricodificazione
dell’equilibrio corporeo basato su principi che regolano il mantenimento della posizione di
partenza.
L’ equilibrio o meglio il balance è la condizione psico-fisica più difficile da produrre, questo
perché ci sono diversi modi di stare “fermo” e solo uno di essere in moto. È vero che i moti sono
molteplici - istantanei, balistici, prolungati, lenti, staccati, uniformi, oscillanti – ma tutti
condividono la medesima caratteristica, ossia: un organo o un oggetto occupa due posizioni nello
spazio in tempi successivi. Riguardo la condizione di balance questa sembra essere una quando
invece lo stato di essere in balance è molteplice. Il dormiente, il paralitico vigile, la preda in
pericolo, lo psicotico sono tutti individui in stato di balance e sono tutti diversi tra loro. Ma il
ballerino che, dopo un entrechat ritorna alla quinta posizione è in uno stato di balance uguale a
quello che dalla quinta posizione sta per eseguire un entrechat. Questo è ciò che ci permette di
analizzare questa condizione e acquisire informazioni sulla natura umana.
Quando parliamo del corpo del performer non ci riferiamo ad un corpo umano ordinario ma
ad un sistema biomeccanico straordinario unico nel suo genere.
La condizione di stress fisico estremo, dovuta all’acquisizione della posizione extra-ordinaria
data dalla tecnica, porta il danzatore a rielaborare mentalmente la rappresentazione topografica
dell’intera superficie corporea.
Nel cervello dell’essere umano esistono diverse mappe della superficie corporea, ma per
comodità assumeremo che ve ne siano solo due: la mappa motoria, M1, del giro precentrale (o
prerolandico); e la mappa sensoriale, S1, nel giro postcentrale (o postrolandico). Queste due
mappe sono rappresentazioni topografiche fedeli dell’intera superficie corporea, come se vi fosse
un omino rappresentato nel tessuto corticale del cervello. Questo omino immaginario è chiamato
homunculus somato-sensoriale di Penfield36.
Il training che svolge il performer è una riprogrammazione neuromotoria, cioè una tecnica
rieducativa che si basa sulla stimolazione del sistema neuro-motorio nella sua totalità.
L’allenamento è finalizzato a indurre la muscolatura a reagire utilizzando il pieno funzionamento
di tutte le aree di informazione, affinché ci sia una corrispondente ed appropriata risposta
36
Cfr. Fig.11 in Iconografia.
77
motoria alla nuova situazione posturale. Il miglioramento dell’equilibrio passa attraverso
esercitazioni mirate al mantenimento della posizione voluta, unito ad una elevata capacità di
correzione degli sbilanciamenti. Per questo va tenuto presente che nella pratica molto importante
è la progressione delle esercitazioni proposte, in modo da passare all’esercizio di difficoltà
superiore solo quando quello precedente è stato assimilato correttamente.
Un aspetto di grande interesse teorico è lo studio del ritmo come esperienza soggettiva. I
risultati di queste indagini suggeriscono che la musica - e più in generale la dimensione culturale
che caratterizza l’ambiente in cui è immerso l’essere umano - rappresenta un fattore potente di
organizzazione cerebrale. Le strutture cerebrali si modificano, dal punto di vista anatomico e
funzionale, in relazione alla competenza ritmica individuale, intesa in senso ampio - ascolto,
performance, composizione - e nelle sue varie componenti - sensoriali, motorie, mnesiche,
cognitive, emotive. L’esercizio musicale-ritmico plasma la materia cerebrale. Da questo punto di
vista il training del performer è l’esempio più interessante per la comprensione della plasticità
cerebrale, meccanismo grazie al quale il sistema nervoso è sempre pronto a riorganizzarsi in
risposta agli stimoli che riceve dall’ambiente.
In qualche modo per rispondere alla domanda “chi sono?” all’essere umano occorre anche
rispondere alla domanda “dove sono?”. Dai riflessi estero-propriocettivi emergono le
rappresentazioni mentali (engrammi) che permettono lo sviluppo della complessa stabilità
motoria. Le azioni e i movimenti sono strumenti nel processo di rappresentazione mentale sin
dalla fase embrionale. L’embrione, infatti, prima di tutto è un organismo motorio. Nella fase
embrionale, nella fase fetale e nella fase prima dell’infanzia, l’azione precede la sensazione: in
questa fase noi siamo fatti di movimenti riflessi e poi abbiamo la percezione a livello celebrale.
Spesso il corpo e la sua funzione motoria sono considerate parti impiegate nell’attività cognitiva,
quando invece queste parti sono all’apice dell’attività cognitiva. La propriocezione è così la
consapevolezza di sé: perdere il controllo sul proprio corpo, conseguentemente, significa perdere il
controllo sul proprio pensiero. Essere e agire sono inseparabili: «Muscoli, tendini, capsule,
legamenti sono organi di senso e organi di movimento coinvolti nella recezione di un ambiente
simulato prima di portare avanti il movimento di reazione… il senso non può essere disassociato
dal movimento»37.
Normalmente la quantità di fibre sensitive nervose presenti in un nervo supera quelle
motorie, e questo dato indica l’importanza che l’organismo riserva al sistema feedback. Ricerche
sulla corteccia motoria hanno provato che questa è organizzata non in relazione alle aree fisiche
topografiche ma in relazione a specifici complessi movimenti del corpo diretti nello spazio verso
un obiettivo definito. Conseguentemente un movimento performato – come nella pratica
coreografica, in cui, come è stato già specificato, il performer è creatore della dimensione spaziotemporale in cui avviene l’azione - immaginando/visualizzando il prendere, lo spingere via o il
disegnare un oggetto o lo spazio stesso, coinvolge molti più sistemi nervosi, a confronto dello
stesso gesto meccanicamente eseguito, che va a stimolare e sviluppare in questo modo solo la
propriocezione di una specifica area fisica.
Nel costruire la mente, natura e cultura, innato ed acquisito, non costituiscono processi
contrapposti ma agiscono in modo complementare. Comprendere i fondamenti biologici della
37
Raffaele Paparella Treccia, L’uomo e il suo moto, Verduci Editore, Roma 1988.
78
danza e della coreografia può corrispondere a comprendere anche aspetti fondamentali della
natura umana.
Grazie alla plasticità del cervello umano, il danzatore potenzia l’abilità propriocettiva
connessa all’informazione somato-sensitiva generale che gli permette di mantenere il perfetto
equilibrio e di compiere straordinari virtuosismi dinamici. È importante tenere presente che a
differenza delle pratiche sportive, nelle tecniche di movimento coreografiche i principi fisici che
regolano il mantenimento dell’equilibrio extra-ordinario sono correlati con principi estetici
spaziali e temporali che regolano a loro volta il dinamismo del movimento in questo stato di
alterazione fisica. Per questo il danzatore sviluppa in maniera eccezionale il senso propriocettivo
responsabile dell’informazione somato-sensoriale.
Il corpo del danzatore così è oltre il balance: è off-balance.
5. L’Output: La Propriocezione del Performer
Nonostante spesso ci si limiti a citarne solo cinque, gli organi di senso più importanti nel
corpo umano sono nove: tatto, vista, olfatto, gusto, udito, termopercezione, dolore,
propriocezione e apparato vestibolare o dell’equilibrio. Quello che più di tutti interessa il
danzatore nella fase di formazione tecnica è la propriocezione.
La sensibilità propriocettiva è un meccanismo molto sofisticato, che ha lo scopo di fornire al
Sistema Nervoso Centrale38 informazioni della massima precisione, in tempo reale, a proposito
di:


Parametri del movimento biomeccanico (velocità, forza, direzione, accelerazione);
Parametri fisiologici sullo stato e sui cambiamenti biologici che si verificano
nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni: di conseguenza sul movimento
effettuato.
Il controllo e l’esecuzione del progetto motorio avvengono sia nella fase di trasmissione nella quale il progetto motorio elaborato nell’encefalo viene trasmesso ai motoneuroni - sia nella
fase di esecuzione - in cui i motoneuroni attivano l’apparato locomotore che esegue fedelmente
gli ordini ricevuti.
A questo livello la propriocezione è importantissima, sia per un meccanismo di controllo
sulla corretta esecuzione del movimento, sia per un meccanismo di eventuale correzione nel caso
in cui imprevedibili fenomeni esterni vengano a turbare i progetti motori strategicamente
programmati. Si può dire che la propriocezione è controllata da circuiti a feedback negativo: l’azione
eseguita da un sistema viene confrontata con l’azione programmata, e qualsiasi differenza
(errore) viene segnalata al sistema in modo che questo attivi le opportune correzioni.
La sensibilità propriocettiva, e in particolar modo i propriocettori, sono anche alla base dei
riflessi midollari: reazioni di difesa deputate a mantenere l’integrità del corpo a fronte di
situazioni potenzialmente dannose. In questo loro compito, i recettori attivano alcuni circuiti,
esclusivamente midollari, in grado di provocare movimenti reattivi di difesa dell’organismo.
Al di là di questi numerosi compiti, il sistema propriocettivo, nel suo insieme, fornisce
38
Cfr. Fig. 11 in Iconografia.
79
informazioni anche alle strutture nervose in grado di elaborare i processi di consapevolezza e
coscienza. Esso manda cioè informazioni anche alla corteccia cerebrale.
La percezione propriocettiva cosciente, che noi tutti possediamo, è una costruzione
elaborata dalla corteccia cerebrale sulla base delle informazioni provenienti dai recettori
propriocettivi periferici.
In questo sistema l’integrazione complessa delle afferenze periferiche, provenienti dai
differenti canali percettivi, viene unita alle informazioni provenienti dalla memoria e
dall’esperienza. La memoria porta un bagaglio informativo sulle esperienze passate, mentre
l’esperienza è lo strumento attraverso il quale ciascuno di noi colora le sensazioni provenienti dal
mondo esterno, facendole proprie attraverso l’attribuzione di valori personali.
La sintesi dei tre tipi di informazioni sopra riportate dà luogo a ciò che comunemente viene
definito immagine corporea, cioè: la consapevolezza dell’esistenza, della posizione e del movimento
del nostro corpo. A prescindere dai comuni canali sensoriali (vista, udito, tatto), ogni soggetto
forma questa consapevolezza attraverso le informazioni propriocettive.
La propriocezione è il senso che consente all’uomo di percepire se stesso in relazione allo
spazio: noi percepiamo noi stessi, perché percepiamo la nostra presenza in relazione a
qualcos’altro.
La propriocezione è la capacità del sistema nervoso centrale di percepire la posizione fisica
del corpo, le sue parti, le contrazioni muscolari, i movimenti di varie parti nello spazio (kinesthetic)
anche senza l’uso della vista. Questo tipo di informazione somatosensitiva si manifesta
internamente all’organismo attraverso la stimolazione di specifici recettori sensoriali (estero
recettori, propriocettori, enterorecettori e recettori vestibolari) e in questo modo assume
un’importanza fondamentale nel complesso sistema di equilibro e movimento. Dai recettori
periferici - inclusi gli estero-recettori reticolari degli occhi - dipende la conoscenza su ciò che è la
nostra “conformazione” e la nostra posizione nello spazio.
Il termine propriocezione fu introdotto agli inizi del Novecento da Charles Scott Sharrington
per descrivere la funzione di particolari strutture, i propriocettori, e gli ingressi sensoriali che si
originano nel corso di movimenti guidati centralmente.
I propriocettori sono terminazioni nervose la cui funzione principale è fornire informazioni
di retroazione sui movimenti propri dell’organismo, in altre parole: di segnalare, istante per
istante, quali sono i movimenti che l’organismo stesso sta compiendo.
I propriocettori hanno una funzione importante nel controllo della contrazione dei muscoli
scheletrici e attraverso quest’ultima è esplicata la maggior parte delle funzioni fisiche del corpo.
La propriocezione, dunque, è un senso fondamentale nel complesso meccanismo di controllo
del movimento.
L’equilibrio mantenuto in ortostatismo, per esempio, è un tipico ed importante esempio di
come tutti i meccanismi propriocettivi sono coinvolti nel mantenimento della posizione.
L’equilibrio, infatti, si mantiene con lo spostamento ripetuto dei segmenti corporei originato
da continue azioni involontarie e coordinate di contrazione e rilassamento della muscolatura, in
modo da correggere continuamente la posizione del baricentro, affinché la proiezione di
quest’ultimo non esca dall’ombra d’appoggio sul piano.
Possiamo definire “postura” ciascuna delle posizioni assunte dal corpo, contraddistinta da
particolari rapporti tra i diversi segmenti somatici. Il concetto di postura, quindi, non si riferisce
ad una condizione statica, rigida e prevalentemente strutturale. Si identifica, invece, con il
concetto più generale di equilibrio, inteso come ottimizzazione del rapporto tra soggetto ed
80
ambiente circostante, cioè: quella condizione in cui il soggetto stesso assume una postura od una
serie di posture ideali rispetto alla situazione ambientale, in quel determinato momento e per i
programmi motori previsti. Una funzione così importante non può essere affidata ad un
solo organo o apparato, ma richiede un intero sistema, esso è il Sistema-Tonico-Posturale (S.T.P.),
cioè un insieme di strutture comunicanti e di processi cui è affidato il compito di:




Lottare contro la gravità;
Opporsi alle forze esterne;
Situarci nello spazio-tempo strutturato che ci circonda;
Permettere l’equilibrio nel movimento, guidarlo e rinforzarlo.
Per realizzare questo exploit neuro-fisiologico, l’organismo utilizza diversi recettori posturali
con funzione estero e propriocettiva, capaci di informare il Sistema Nervoso Centrale del loro stato e
di indurre una risposta posturale specifica per quel determinato momento, modificando lo stato
delle catene cinematiche muscolari, di conseguenza gli equilibri osteo-articolari.
Per imparare a capire come agiscono i meccanismi propriocettivi, è necessario ascoltare quello
che è trasmesso, sensorialmente, dal piede, che è la regione del nostro corpo in grado di fornire il
maggior numero di informazioni propriocettive.
E’ importante ricordare che il termine equilibrio non implica una condizione di stasi del moto
fisico, al contrario è uno stato di grande tensione e dinamismo interno.
Prendiamo ad esempio il tiratore scelto, che ha come caratteristica fisica fondamentale la
capacità di stabilizzare la sua arma nello spazio. Il tiratore focalizza l’attenzione sulla posizione
esatta del bersaglio e, benché molta parte della muscolatura del suo corpo continui a contrarsi,
l’arma rimane praticamente immobile. Il tiratore proietta il dinamismo energetico del suo
equilibrio nella tensione a doppio taglio dell’arma: il tiratore è fuori dal suo corpo dentro la
freccia.
Questo è ciò che succede anche in un corpo performativo, il dinamismo interno al corpo
energetico nel suo complesso viene proiettato al di fuori dei corpi all’interno di un sistema in cui
le tensioni sono multiple, e la somma delle tensioni nel complesso compone il contrappunto
energetico che poi è la performance.
6. L’Input: La Percezione del Performer
Con la propriocezione l’altro senso che viene particolarmente potenziato durante il training è
la vista: il focus.
Nel primo capitolo è stato chiarito che il processo della visione dipende dalle abilità fisiche
dell’individuo. Per spiegare come questo sia possibile, è stato messo l’accento sulla rara sindrome
della visione cieca.
La sindrome della visione cieca che fu scoperta dallo psicologo inglese Lawrence Weiskrantz
nel 1986, parve così bizzarra che fu respinta da alcuni neurologi. Ciò è dovuto al fatto che tale
sindrome pare violare il senso comune rispetto il quale risulta assurdo che una persona possa
indicare precisamente con un dito qualcosa che non vede.
81
In realtà, come mi ha spiegato durante un meeting il neuroscienziato Wolf Singer (Direttore
del Max Plank Institute for Brain Research a Francoforte sul Meno), tutti soffriamo in un certo
senso di visione cieca.
Supponiamo di stare guidando una macchina e di essere intrattenuti al tempo stesso in una
conversazione con una persona seduta al nostro fianco. La nostra attenzione è coinvolta in due
azioni importanti allo stesso tempo, ma abbiamo coscienza solo di una di queste: conversare
animatamente con la persona affianco a noi.
Mentre guidiamo la macchina evitiamo i pedoni, osserviamo la strada e le altre macchine
intorno a noi, calcoliamo il tempo di arrivo al semaforo e la velocità che dobbiamo mantenere in
relazione agli altri veicoli coinvolti in strada. Insomma guidando eseguiamo tutta una serie di
calcoli molto complessi. Ma realmente non siamo consci di nessuno di essi. Ne diventeremmo
consci solo in caso accadesse qualcosa di strano o di pericoloso per la nostra incolumità.
Caso vuole che non esista la condizione inversa ossia che prestiamo attenzione conscia alla
guida e al traffico, e insieme conduciamo un’elaborata conversazione inconscia con un amico.
Non vi è una dimostrazione scientifica del perché, ma empiricamente potremmo affermare
che per i processi mentali necessari all’elaborazione del linguaggio e l’attuazione della
comunicazione occorre la coscienza presente, mentre per eseguire i calcoli complessi necessari a
guidare la coscienza presente non è richiesta. Questo, però, dal momento in cui abbiamo
incorporato la tecnica di guida.
Ora analizziamo una tipica situazione che deve affrontare un danzatore.
Il danzatore A ha il compito di: eseguire una diagonale attraverso una frase di movimento
coreografato prestabilito, all’interno della quale deve compiere una serie di pirouette. Il suo
movimento deve essere qualitativamente efficiente ed efficace per effettuare il virtuosismo. Allo
stesso tempo per rimanere in equilibrio durante il movimento rotatorio del corpo dovrà
focalizzare la sua attenzione di fronte a sé, in un punto centrale leggermente al di sopra del piano
visivo, nell’angolo della diagonale che sta affrontando. Il suo movimento deve essere motivato da
un’intenzione organica perché venga percepito chiaramente dagli altri danzatori in scena e il
messaggio arrivi simbolicamente al pubblico.
Nella situazione appena descritta vi è poi il danzatore B che ha il compito di eseguire un’altra
complessa frase di movimento coreografato prestabilito (diversa da quella del danzatore A) ma
deve attraversare il palcoscenico nella diagonale speculare al danzatore A.
I danzatori A e B dovranno incontrarsi nello stesso momento, eseguendo sincronicamente
l’unico movimento che hanno in comune nelle loro rispettive sequenze, al centro dello spazio
scenico. In quel momento in quel preciso punto del palco, l’occhio di bue illuminerà l’azione di A
e B che poi proseguiranno nelle rispettive diagonali e termineranno le rispettive sequenze di
movimento allo stesso tempo.
Inoltre, per realizzare l’idea artistica ed elaborare la comunicazione della performance, i
danzatori dovranno eseguire una serie di calcoli molto complessi per realizzare un linguaggio di
movimento che - tenendo in considerazione le luci, la musica, il resto dello spazio scenico, gli
elementi tecnologici etc. - si tradurrà in comunicazione attraverso la relazione con il pubblico.
La coscienza percettiva del danzatore sarà coinvolta in tutto questo ma non nell’esecuzione
ritmica e dinamica della frase di movimento coreografato. Il performer ne diventerebbe conscio
solo in caso accadesse qualcosa di strano come quello che potrebbe essere un errore di
esecuzione.
82
Ora prendiamo ad esempio la pièce Both Sitting Duet di Jonathan Burrows e Matteo Fargion.
In questa performance i performers sono seduti uno affianco all’altro con i rispettivi scores per
terra davanti a loro. Una pièce molto complessa in cui entrambi, per quanto siano seduti tutto il
tempo, sono coinvolti in non-ordinari movimenti di braccia di massima precisione sincronica.
Durante le attuazioni per loro è molto importante il contributo del pubblico, quindi, di fatto,
la loro attenzione è rivolta a percepire la reazione degli spettatori, e in relazione a questa
empaticamente capiscono quando è il caso di cambiare il dinamismo drammatico dell’azione. Inoltre
la loro attenzione è focalizzata sugli scores in cui leggono, come strumentisti, l’azione e la
temporalità di ogni singolo movimento.
In una conversazione con Matteo Fargion rispetto questa pièce gli chiesi quale percezione
avesse di Jonathan Burrows durante l’attuazione per poter eseguire movimenti così perfettamente
sincronici. Lui mi rispose che ovviamente la sua attenzione era sempre rivolta a Burrows durante
l’attuazione ma che, di fatto, non poneva attenzione sull’esecuzione del movimento e sulla
sincronia del movimento, perché era un qualcosa di automatico, incorporato nel corso delle ore
ed ore di training. La sua attenzione era posta in maniera diretta a Burrows o al movimento in sé
solo se avvertiva che c’era un’aritmia o un errore di esecuzione.
Così il training permette al performer di sviluppare la capacità percettiva spaziale al punto da
poter eseguire un movimento in visione cieca. Al tempo stesso la continua stimolazione della via
arcaica del sistema visivo, che attraversa il collicolo e media la visione cieca, proiettando
l’immagine ai lobi parietali – preposti a creare una rappresentazione simbolica della struttura
spaziale del mondo esterno – permette al danzatore di governare con un alto grado di esattezza la
“navigazione spaziale”, la capacità di individuare la posizione degli oggetti nello spazio, evitare
ostacoli, interagire sincronicamente con altre persone coinvolte in scena. Questa continua
stimolazione sensoriale, potremmo suppore, abbia portato, inoltre, ad una forte attività
dell’emisfero destro: rivelatore di anomalie.
Il training è necessario dunque a far sì che il corpo del performer acquisisca un alto grado di
consapevolezza dato dalla stimolazione di determinate aree del cervello che permettono, così, di
sviluppare quelle abilità che consentono al danzatore di procedere nel processo creativo.
L’intenso training consente al danzatore di creare i suoi scores ed essere così libero di impiegare il
proprio cervello in altre attività inerenti l’elaborazione artistica del linguaggio coreografico.
7. Il Subscore-Organico: L’Esperienza Somatica
Ad ogni danzatore, oltre ad una solita preparazione tecnica - che serve di base a potenziare lo
stato di equilibrio e l’elasticità muscolare - occorre uno studio indefesso e analitico del corpo
umano per acquisire scioltezza plastica ed immediatezza d’espressione.
Malattie, limitazioni fisiche, e l’esposizione a non familiari pratiche fisiche o spirituali hanno
portato numerosi uomini e donne, separatamente ma in uno stesso periodo storico, a scoprire la
potenzialità di ascoltare profondamente il corpo. La sofferenza e il diverso punto di vista che
sorge da una condizione psico-fisica extra-ordinaria, combinati con l’amore per il movimento e la
curiosità circa le potenzialità del corpo, hanno condotto alla formazione indipendente di vari
sistemi di investigazioni sul corpo in Europa, negli Stati Uniti e in Australia. Il risultato positivo di
queste investigazioni è stato quello di dare credito ad un processo di conoscenza che vuole
trovare risposte a necessità fisiche legate al desiderio di comunicare attraverso la consapevolezza
interna al corpo stesso.
83
I pionieri della pratica somatica hanno scoperto che coinvolgendoci in un attento dialogo con
il nostro proprio sé corporeo, come esseri umani, possiamo imparare nuovamente a divenire liberi, a
muoverci più facilmente, a fare della nostra vita un lavoro più efficiente, e ad “agire” con
maggiore vitalità ed espressione.
Storicamente il XX secolo è stato influenzato dall’esistenzialismo e dalla fenomenologia. Le
teorie di Dewey, Merleau-Ponty e Whitehead hanno condotto ad un graduale spostamento del
punto di vista metodologico circa la ricerca somato-sensoriale.
La richiesta della pratica somatica fu incoraggiata da questo crescente esistenzialismo e dalla
fenomenologia, così come anche dalle pratiche coreutiche e dall’espressionismo. Queste crescenti
correnti di pensiero interessavano diversi domini del sapere. Andavano: dalle teorie in ambito
psicologico di Freud, Jung e Reich; agli studi artistici-culturali di Delsartes, Laban e Dalcroze;
nell’ambito pedagogico sorsero le nuove teorie di Heinrich Jacoby e John Dewey; e nell’ambito
della ricerca medica quelle di Edmond Jacobson. Emersero così nuovi approcci alla cura e
all’educazione del corpo. Ma solo cinquanta anni dopo questo fenomeno acquisì il nome,
identificandosi come singolo ambito del sapere, di educazione somatica.
Thomas Hanna (1985) - supportato da Don Hanlon Johnson (2004) e Seymour Kleinman
(2004) - vide comuni caratteristiche nei “metodi” di Gerda e FM Alexander, Feldenkrais, Gindler,
Laban, Mensendieck, Middendorf, Mézières, Rolf, Todd, e Trager. Ognuno di questi uomini, con
le proprie nuove formate ‘discipline’, offrì un metodo per imparare a respirare, a sentire, ad
ascoltare il corpo, spesso iniziando dal rilassamento cosciente sul pavimento o stesi su un tavolo. Da
questo ridotto stato di gravità, ogni persona era guidata a porre attenzione alle sensazioni fisiche
che emergevano dall’interno. Successivamente i soggetti erano esortati a muoversi lentamente e
gentilmente in modo da ottenere una profonda consapevolezza del sé mobile. Studenti erano
guidati a trovare sollievo, supporto, e piacere mentre si muovevano. Tutto ciò mentre prestavano
attenzione ai segnali propriocettivi. I partecipanti erano anche invitati a sperimentare le crescenti
risposte somatiche così come le ricevevano dagli educatori o dai terapisti attraverso il tatto e/o
input verbali (considerati come fresh stimuli).
La migrazione delle persone e delle idee dall’oriente all’occidente contribuirono ad arricchire
lo sviluppo della pratica somatica. Questa fu infatti influenzata, anche, da filosofi e maestri di
pratiche corpo-mente, di arti marziali orientali e di yoga. Per esempio, Joseph Pilates influenzato
dalla pratica indiana dello yoga sviluppò un sistema di esercizi – Contrology – ponendo attenzione
alla coordinazione del respiro. George Gurdijeff, in linea con le correnti filosofiche orientali,
sviluppò il proprio metodo di movimento teso ad accrescere maggiormente lo sviluppo della
spiritualità del corpo.
La nascita della danza moderna fu una vera e propria rivoluzione nel campo coreutico. Le
pratiche somatiche e il movimento della danza moderna furono strettamente interconnesse.
Entrambi i movimenti nacquero nello stesso momento storico e probabilmente per le stesse
ragioni. I due campi d’indagine infatti condividono diverse personalità, e i pionieri della danza
moderna sono coloro a cui si attribuisce il merito di aver contribuito alla nascita e allo sviluppo
dell’ambito somatico. Francois Delsarte (1811–1871), Emile Jacques-Dalcroze (1865–1950),
Rudolf Laban (1879–1958), Isadora Duncan (1878–1927), e Mary Wigman (1886–1973). Questi
artisti hanno aiutato a stabilire le basi per l’emergente movimento somatico come una forza vitale
nel nostro attuale mondo. Come danzatori questi uomini hanno rotto i ruoli, come persone
hanno rintrodotto modelli non-Cartesiani.
84
I primi anni del 1900 furono un tempo ricco di artistiche svolte. I pionieri dell’educazione
somatica, prestando cura e attenzione alle sensazioni del corpo, generarono un differente
tentativo corporale applicabile in molte situazioni. La sollecitazione all’uso della consapevolezza
somatica, nel lavoro sul movimento, veniva applicata anche all’arte della recitazione, alle arti
marziali, all’educazione fisica, e in fisioterapia.
È questa storia di diversità, che ruota intorno numerose corporeità, creatività e professioni
scientifiche, che tutt’oggi produce la continuità della natura interdisciplinare dell’educazione
somatica. Ciò che è degno di nota è che questi progenitori del movimento somatic sono stati
spesso artisti/performers anche qualificati come scienziati. Molti hanno sofferto di malattie o
limitazioni, e altri hanno fatto esperienza del cambiamento del mondo nel XX secolo.
The International Somatic Movement Education and Therapy Association (ISMETA), ha lavorato al
fine di definire le caratteristiche comuni alle diverse discipline del movimento somatic. I membri di
tale associazione hanno provveduto a definire le peculiarità e il campo di indagine che coinvolge i
professionisti del movimento somatico e uno “scopo della pratica”.
Lo scopo originale della pratica per gli educatori e i terapisti del movimento somatic è definito
così:
[…] Il campo professionale dell’educazione e della terapia del movimento somatico abbraccia
l’educazione olistica e la medicina complementare e alternativa. Il campo contiene distinte discipline
ognuna di queste con la propria educazione e/o enfasi, principi, metodi e tecniche terapeutiche. Le
pratiche di educazione e terapia del movimento somatico includono la valutazione posturale e il
movimento, la comunicazione e la guida attraverso il tatto e le parole, l’esperienza anatomica e di
immaginazione, e la formazione di nuove scelte di movimento – riferendosi anche a disegni di
movimento, rieducazione al movimento o ri-schematizzazione del movimento. […]39
La proposta del somatic movement education and therapy è accrescere i processi umani di psicofisica
consapevolezza e funzionamento attraverso l’apprendimento del movimento. Le pratiche
provvedono le condizioni di insegnamento per:
• Focus sul corpo sia come un oggettivo processo fisico sia come un soggettivo processo di
coscienza vivente.
• Affinare: percezione, cinestetica, propriocezione, e sensibilità interocettiva che supporta
omeostasi e la regolazione di sé.
• Riconoscere gli schemi abituali di percezione, postura e movimenti di interazione con
l’ambiente stesso.
• Migliorare il coordinamento del movimento che supporta l’integrazione strutturale,
funzionale ed espressiva.
• Esperire un incorporazione del senso di vitalità ed estendere le capacità per vivere.
(ISMETA 2003)
Marthe Eddy, A brief history of somatic practices and dance: Historical development of the field of somatic education and its
relationship to dance, Journal of Dance and Somatic Practices, Vol.1, N. 1, 2009, p. 5. Letizia Gioia Monda (traduzione e
adattamento a cura di).
39
85
8. Il Focus e il Dis-Focus
Il concetto di focusing – mettere a fuoco - fu introdotto negli anni settanta dallo psicoterapeuta
Eugene T. Gendline per indicare in psicoterapia la capacità dei pazienti di prestare attenzione a
sensazioni e desideri prima che questi venissero espressi a parole. Ascoltando le registrazioni di
migliaia di ore di colloqui di psicoterapia, Gendline notò che alcuni pazienti avevano una
predisposizione naturale ad ascoltarsi (natural-focuser) e ciò permetteva loro di cambiare, di trovare
nuove soluzioni ai loro problemi. Notò che questo avveniva perché questi pazienti non si
limitavano al racconto della loro storia ma erano in grado di esporla arricchendola delle loro
sensazioni fisiche vissute in quel momento (felt-sense). Queste sensazioni davano luogo ad un
cambiamento corporeo - body-shift - che portava ad un ulteriore felt-sense.
Gendline si rese conto che tale approccio alla terapia, che in alcuni pazienti era naturale,
poteva essere insegnata ad altri pazienti. Quindi lo sistematizzò e lo formalizzò in un sistema che
si sviluppa a partire dalla creazione di uno spazio. Questo spazio va creato partendo dal silenzio:
focalizzando l’attenzione su se stessi, ascoltandosi partendo dai piedi, salendo per le gambe, i
glutei, la schiena, le spalle, il collo, la nuca, gli occhi, il naso fino a percepire l’aria che si respira.
Questo metodo di concentrazione consente di interiorizzare l’attenzione, di portarla all’interno
del corpo, nelle zone del petto e dello stomaco. In questo modo siamo in grado di sentire cosa
succede internamente. Con qualunque sensazione si incontra è possibile fare due cose: spostarla
fuori ponendola in un luogo ritenuto da noi adatto, ad esempio al nostro fianco; oppure porre
una domanda e vedere cosa succede lasciando che la risposta provenga lentamente dalla
percezione del corpo senza analizzarla. Così facendo liberiamo, o meglio creiamo uno spazio tra
noi e quello che sentiamo.
Ciò è esattamente il modo in cui si sviluppa il processo creativo nella coreografia
contemporanea. Il focus è uno stato di percezione del corpo-mente.
La The Forsythe Company attua il processo creativo ponendo l’attenzione sulla
comprensione del corpo e sulla sua relazione con lo sguardo come uno stato del pensiero. Nel
corso del tempo ha sviluppato quello che chiamano dis-focus40, una sorta di modo di vedere che
non è una diminuzione della visione, ma piuttosto, al contrario, un ampliamento della stessa. Lo
sguardo viene utilizzato come una sorta di bussola.
[…] Questo tipo di sguardo costituisce la base dell’épaulement della danza classica: nella modalità di
movimento del balletto vi sono una serie di complessi rapporti tra occhi, testa, spalle, fianchi, braccia,
mani e piedi. Il corpo, in épaulement, si sviluppa in una serie di forme curvilinee - o linee dirette o volumi in relazione agli angoli. La forza diretta verso l’esterno. Lo sguardo lineare dell’épaulement emerge come il
risultato di rifrazioni interiori del corpo direzionale. L’angolo dello sguardo riflette gli angoli in cui si
orienta l’organo stesso. Mettendo a fuoco, in maniera decisa, in una direzione, questo sguardo accende
tutte le altre direzioni che esistono in relazione ad esso: si esteriorizzano le geometrie che i ballerini
intuiscono attraverso la loro esperienza acquisita nell’avere un corpo scenico, si estende questa geometria
oltre il corpo nella stanza, e si espande e si delinea lo spazio e le relazioni tra i ballerini, il palcoscenico e il
pubblico. […] Nello stato di dis-focus [utilizzato dalla The Forsythe Company] i principi della relazione, il
complesso circuito del corpo, le rifrazioni interne che sono l’insegnamento riflesso dell’épaulement, vengono
invertiti o contorti, in modo che i rapporti, o meglio, la qualità del rapporto rimane, ma la forma che
prende il corpo è alterata, è un organismo inverso che scorre all’indietro rispetto allo sguardo. […]41
Dana Caspersen, Decreation: Fragmentation and Continuity – Saggio Inedito, Letizia Gioia Monda (Traduzione e
adattamento a cura di), p. 5.
41 Ibidem.
40
86
Questo aiuta a sostenere quanto la forma esterna del corpo rifletta ed alteri la percezione
interna del corpo stesso. L’input – assimilato per mezzo della percezione spaziale visiva, a sua
volta alterata dalla posizione extra-quotidiana del corpo in balance - reagisce in maniera
direttamente proporzionale nell’output che si risolve nel complesso processo sensomotorio
propriocettivo.
Così la The Forsythe Company, stimolando la propriocezione e i riflessi acquisiti dall’épaulement,
ha cominciato a creare una condizione che ha rafforzato il proprio senso potenziale cinetico di
spazio. I danzatori hanno sviluppato una capacità propriocettiva molto acuta, che consente ad
entrambi i sensi, il pensiero e lo sguardo, di immaginare e far agire i corpi con un alto grado di
esattezza.
[…] Prendendo informazioni dall’interno della cinesfera - lo spazio che il movimento del corpo occupa
– si rivelano sensazioni nel corpo che dall’esterno non posso essere percepite. Ad esempio, non è possibile
vedere la propria scapola, ma è possibile sentire lo spazio in cui è, e in che rapporto è rispetto al resto del
corpo. […] Questa capacità di immaginare più versioni del sé, un proliferare di immagini, una proiettiva
equazione che si muove fuori da dove il corpo è, e dal punto in cui il corpo può essere, crea una situazione
dove lo spazio sembra essere abitato da una complessa, fluida matrice di potenziale movimento e forma,
di cui il corpo è parte. […]42
Questa abilità di essere in più stati nello stesso tempo è una delle tante qualità che è spesso
presente nel lavoro di William Forsythe, e che ha sviluppato nel corso degli anni. «La sfida per il
danzatore sta nel saper reagire a più input con precisione e fluidità: sta nel percepire ciò che
qualcosa è, nel saper guardare i componenti al suo interno - i dettagli delle sue parti - e quindi
nell’indagare ciò che lo rende intero e ciò, l’altro, che potrebbe anche diventare»43. I performers
agiscono comprendendo che la libertà non è l’assenza di pressioni esterne ma una capacità
interna di rimanere fluidi ed impegnati in circostanze date. Non è possibile sapere ciò che un
pezzo è in anticipo, o se i frammenti che si incontrano lungo il percorso sono connessi tra loro ad
altri, o nello stesso pezzo. Quindi, i danzatori sono abituati a cavalcare di più le onde energetiche,
a volte apparentemente contrastanti, per sapere dove potrebbero andare.
Emblema del metodo forsythiano per raggiungere questo dis-equilibrio, questo multi-streaming
che permette di far risuonare il movimento sulla scena, è Decreation, pièce in cui il corpo fluisce
all’indietro fuori dal punto del desiderio entrando in uno stato complesso di reazione
frammentata.
In Decreation, rappresentata per la prima volta nel 2003, si fa spazio all’esplorazione degli stati
emozionali e fisici: questa performance intende esprimere quel “resto” che viene tagliato fuori
dalla realtà. Quindici danzatori lavorano sul loro peso, sulla loro energia rilasciata, cioè, sulla decreazione di un corpo in movimento. Il desiderio di William Forsythe e della sua compagnia in
questa coreografia è stato quello di mettere in scena l’anima: un’unica mente, un unico spirito
però diviso e incapace di comprendere le parti di cui è composto.
[…] La maggior parte del movimento in Decreation avviene in uno stato che è un ulteriore sviluppo del
dis-focus, e così un ulteriore sviluppo dell’épaulement. È l’interconnessione di più patterns in movimento
attraverso gli organismi che creano l’obliquo, lo sguardo contorto di Decreation - che è, appunto, lo sguardo
42
43
Ivi, pp. 6-7.
Ivi, p. 7.
87
della decreazione - il quale determina il complesso delle tipologie di movimento nello spazio performativo
che diviene il corpo della pièce […]44
Il modo in cui la compagnia ha proceduto nel processo creativo è stato quello di cercare di
frammentare e collegare loro stessi, come individui e come gruppo.
Affinché il pezzo potesse parlare, ogni istanza di comunicazione necessitava di prendere
posto in uno stato di mediazione o di traduzione. Un metodo di movimento che è stato generato
da ciò che la compagnia definisce shearing: «[…] uno stato in cui entra il corpo non per
avvicinamento fisico o vocale, ma avviene sempre in maniera diretta […]»45.
Catene complesse di eventi nel corpo, come l’épaulement, o come il physicalities, che sono state
usate in Decreation, possono essere vissute dai performers sia come elementi di disgiunzione o
come un fluido, un insieme vivace.
[…] Il corpo energetico di un tutto può essere presente sia in uno stato di agio che quando è
coordinato in una fase caratterizzata dalla frammentazione. Vivere la frammentazione è un altro modo di
vivere la connessione. Il modo in cui pensiamo a una cosa determina se siamo in grado di comprenderla
nel suo complesso. […]46
Lo sguardo in Decreation è sia il risultato che l’origine della dinamica: angoli di rifrazione della
direzione all’interno del corpo. Così la disgiunzione/frammentazione del sé, nel gruppo, e nella
pièce non viene mai risolta, ma si detiene.
9. Lo Score: Un Algoritmo per Investigare la Body Knowledge
Cercando di spiegare il più chiaramente possibile la conoscenza pratica del corpo attraverso
una terminologia teorica è possibile affermare che: il danzatore per poter realizzare il flusso ha
bisogno di essere in balance. Per far sì che il movimento fluisca spontaneamente il performer ha
bisogno di integrare mente e corpo. In questo stato di balance il danzatore si pone l’obiettivo di
strutturare lo spazio-tempo dell’azione. Il performer crea la sua soggettiva dimensione
spazializzando il tempo. In questo stato di alterazione percettiva il danzatore sarà così capace di
far sì che i movimenti spontaneamente fluiscano.
Nello stato di balance il performer amplifica “attivamente” il suo universo: organizza se stesso
in modo da produrre un continuo movimento ascensionale delle azioni e delle reazioni tra la sfera
fisica e quella psichica. L’improvvisazione diviene autentica quando il performer è in grado di
armonizzare percezione e propriocezione, input e output, consentendo all’esperienza somatica di
informarlo sugli impulsi che scaturiscono da questo stato di connessione.
Nicole Peisl dice:
[…] È uno scambio di proposizioni dal corpo o dalla mente e poi, guardando cosa è lì, tu interagisci in
maniera contrappuntistica tra mente e corpo. […] È la proposizione che conduce se stessa per un nuovo
impulso o per una nuova decisione. […] Io ancoro questa proposizione al mio corpo, e come posso
ricevere ciò? Come posso sentire il mio proprio sensibile nel mio corpo? Come posso risuonare nel mio
corpo? Come può il mio corpo rispondere a ciò che io sono nell’azione, o quando sto danzando con me
stessa? È un’informazione trasportata. […]47
Ivi, p.8.
Ivi, p.9
46 Ivi, p.11
47 Cfr. Intervista in Appendice, pp. 280-286.
44
45
88
Possiamo allora assumere che: l’azione del performer diviene cosciente e volontaria attraverso
la precisione “artificiale” di una struttura che identificheremo come Score.
Questo Score è diviso a sua volta in due subscore. Il corpo del performer lavora con questi due
sistemi che analogicamente operano insieme.
Possiamo chiamare il primo sistema subscore-estetico. Il subscore-estetico è un sistema relativo a
principi di organizzazione del corpo-mente nel tempo e nello spazio. Per esempio, il subscoreestetico può essere una tecnica biomeccanica: agisce costruendo e decostruendo il corpo, e decreando e ri-dirigendo l’azione fisica. Questo sistema aiuta ad incrementare la percezione e la
propriocezione del corpo-mente nel tempo-spazio.
Possiamo chiamare il secondo sistema subscore-organico. Questo subscore orchestra l’esperienza
somatica: cioè, le sensazioni, le emozioni, il feeling, la motivazione nell’azione. Lavora agendo
sulla relazione tra pensiero e azione: impulsi di movimento provenienti dall’interno – come
intuizioni e/o istintive re-azioni - e impulsi di movimento provenienti dall’interno – tendenze di
movimento e memorie in re-azione.
Insieme questi due sistemi di organizzazione del corpo strutturano ciò che possiamo
chiamare lo score. Lo score è il metodo di movimento coreografato, permette the dancing mind and the
thinking body48. Allenando il corpo-mente attraverso lo score il performer può aumentare, in modo
da poter gestire alla perfezione, le quattro componenti dell’atto motorio: efficienza, efficacia,
motivazione ed emozione.
Lo score mette il danzatore in “armonia”, o meglio consente la negoziazione tra il subscoreestetico e il subscore-organico. In questo modo organizza l’armonica relazione tra i diversi strumenti
del corpo accordando il many-timed body.
Il many-timed body accordato per mezzo dello score è la conoscenza che il performer ha
acquisito durante la propria esperienza pratica del corpo. Ogni livello di esperienza del corpo ha
un suo tempo ritmo. Questi livelli insieme creano la coscienza di sé. La coscienza di sé è il
contrappunto ritmico che si ha dalla relazione dei diversi many-timed body experiences.
Lo score mette in armonica relazione questi tempi-ritmi che risulteranno nel balance come
contrappunto coreografico, o meglio nella middle line dello score. Il balance è la struttura dello score nel
tra: cioè, la dinamica relazione tra il subscore-estetico e il subscore-organico. Il flusso energetico del
performer scorre attraverso questo canale.
Lo score mette il danzatore nella condizione di essere in contatto, o meglio in armonia con la
necessità di essere presente. Poi, il balance è la struttura presente del corpo-mente. Quando il
danzatore è davvero in balance sta costruendo simultaneamente il contrappunto, e grazie a questo
armonico contrappunto il flusso può scorrere e l’improvvisazione può rivelarsi autentica.
L’embodiment, l’incorporazione dello spazio è frutto di un processo psico-fisico che si realizza
per mezzo della biodinamica relazione dei many-timed body experiences.
Racconta Nicole Peisl:
[…] Molto del mio lavoro è nella percezione, e nel modo in cui uso gli occhi: come tu incontri lo
spazio intorno a te e come questo cambia a dire il vero, perché a me interessa lo stato. Io posso già stare e
stando un po’ il mio stato cambia. E tu hai un certo focus… Merleau-Ponty dice qualcosa come palpando lo
spazio con i tuoi occhi [ «Vision is a palpation with the look»49 ]. Così io vorrei dire che l’idea è che i tuoi
occhi sono un po’ come le tue mani, un’estensione di te: o anche uno strumento di palpazione. E io penso
48
49
Bebe Miller, Two, http://scores.motionbank.org/two/#/set/sets.
M. Merleau-Ponty, The Visible and The Invisible, Northwestern University Press, Illinois, 1968, p. 134.
89
che questo davvero cambi il modo come il tuo corpo è… Presente… Così crei una forte connessione dal
corpo, a dire il vero, dalla middle line e dall’orientamento intorno la middle line: che è lo spazio in parte per
riposare, in parte dove puoi anche tornare […] E poi dagli occhi io vado nei 360° of self-awareness50. […]
Voglio dire magari l’energia parte e io lavoro con questo… 360° è davvero quando tu apri la tua
percezione con tutto il tuo corpo. Così tu davvero non hai solo lo spazio di fronte a te e quello dietro di
te, ma tu hai l’all-surrounding che diviene il tuo strumento sensitivo […] questo mi permette di pormi
domande in certi termini muscolari. Mi permette di divenire molto veloce e molto rapida con un
piccolissimo sforzo, un piccolissimo coinvolgimento muscolare. E questo stato crea anche una molto forte
fluidità nel mio feeling fisico, e nelle mie sensazioni circa il corpo. Il mio corpo è fluido e coerente. […]51
Il danzatore arriva in quel punto di transito in cui spezza i legami tra spazio-tempo. Spazio e
tempo si fondono all’unisono ed il corpo del performer diviene il medium nel quale scorre il flusso
di energia.
Come è stato chiarito lo score accorda il sistema percettivo del corpo. Il danzatore inizia
visualizzando lo spazio, lo score lo aiuta ad entrare nel focusing, e da lì la dicotomia corpo-mente,
razionale-istintivo svanisce: l’intero corpo è uno.
«[…] Quando tu sei davvero in balance e le altre cose sono integrate: il tuo istinto può lavorare
in un certo modo con te, perché è in connessione con il cervello, in connessione con la tua
ragione e il tuo pensiero. Tu pendoli tra il tuo istinto e la tua ragione […]»52.
Ponendo in dialogo corpo istintuale e mente razionale, la coscienza del performer si apre alle
infinite non-possibilità del tempo-spazio. La connessione tra mente e corpo diviene
estremamente chiara nell’azione: le decisioni divengono istintive. Corpo e mente sono in dialogo
armonico: sono in sincronia nella middle line. La middle line in questo senso può essere intesa come
uno stato di connessione. Si realizza in the middle of the process53. In questo stato l’articolazione del
corpo diviene fluida, veloce, ed estremamente chiara. La percezione di sé è fluid spectrum. Nel flusso
il danzatore non ha bisogno più di essere concentrato, non c’è controllo ma solo pratica.
Il focus del danzatore deve essere dunque visto come il mood in cui entra il corpo grazie allo
score. In questo mood si realizza la middle line per mezzo della quale scorre il flusso. In questo stato
ciò che è autentico diviene reale perché qualsiasi cosa accade ha un senso illimitato. I danzatori
acquisiscono la consapevolezza dell’istinto, e incorporando il campo d’azione diventano il medium
attraverso il quale l’energia scambia in-form-azioni con l’ambiente circostante e con i corpi coinvolti
nell’evento.
Viene chiarito dunque il concetto di score: un’idea che va applicata a tutte le componenti attive
del lavoro coreo-grafico.
Lo score deve essere visto come l’algoritmo ricorsivo del corpo-mente nella sua transizione
interna. Si esprime in termini di se stesso, ovvero quando l’esecuzione dello score, la sua
strutturazione relativa ad un insieme di dati, comporta la semplificazione dell’insieme di dati e
l’applicazione dello stesso score agli insiemi di dati semplificati. Il danzatore richiama se stesso, i
suoi molti tempi del corpo, e questo genera una serie di processi che si strutturano in una
condizione particolare che è il balance. La ricorsine dello score viene effettuata per mezzo delle
funzioni che il corpo è chiamato ad eseguire in relazione all’ambiente circostante, inteso non solo
come spazio effettivo, ma anche come spazio generato dal sé mobile (dal danzatore coinvolto
Cfr. Fig. 3 in Iconografia.
Cfr. Intervista in Appendice p. 282.
52 Ibidem.
53 Cfr. Middle Line nel Glossario.
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nell’algoritmo), spazio collettivo di altri soggetti coinvolti nell’azione, e spazio organico collettivo
generato da tutti i soggetti coinvolti nell’evento.
La performance di fatto diviene un ciclo iter-attivo. Un sistema organizzato, una struttura di
controllo, in cui l’algoritmo dello score è eseguito per mezzo del corpo a loop. All’interno di questo
loop si verifica l’eccezione, la danza si esprime spontaneamente: la coreografia diviene geometria
dell’esperienza.
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