Untitled - Maledetta informatica

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Untitled - Maledetta informatica
Prefazione
Questa è la raccolta dei pezzi scritti sul blog di Maledetta informatica nel corso del 2015
a partire dalla sua apertura in autunno. Il blog si trova facilmente su Google. Parla di computer, di web, di social media, ma soprattutto parla di come questi nuovi mezzi stiano cambiando il modo nel quale noi umani viviamo, percepiamo e ci relazioniamo.
In alcuni casi ho cercato di trasmettere qualche conoscenza in più o di chiarire qualche
concetto ostico, come ad esempio account, driver o piattaforme. Tanto per capirci, ho cercato di affrontare alcuni argomenti che gli informatici danno per scontato e trattano con
parole difficili, come se provassero un sottile compiacimento nel non farsi capire. Altre volte
ho osservato comportamenti insoliti e mi sono divertita a cercare sul web qualcosa di diverso, ad esempio i vecchi siti oppure come essere felici.
Spero che queste note vi siano utili e qualche volta vi facciano sorridere. Il mio intento è
di parlare di informatica come di un fatto della vita che non possiamo più ignorare: a volte
difficile, a volte meravigliosa, qualche volta assurda. Tanto vale farsene una ragione, cercare
di comprendere qualcosa di più e non prenderla troppo sul serio.
Buona lettura e arrivederci sul blog nel 2016.
Sommario
Prefazione1
Il Driver non e' un autista
3
Con chi scambio la voce?
4
torte e computer
8
non bastava il cugino?
9
Reale o virtuale
10
tuffi dalla piattaforma
10
account e supermercati
13
do you like veramente?
17
Libri Di Carta e di bit
21
Dove vai se la mappa non ce l'hai 23
il senso di google per la vita
25
amarcord27
FARe bei sogni? con netflix si puo'
29
Il Driver non e' un autista
Durante i favolosi anni
Settanta anche chi non
conosceva l’inglese scoprì d’un tratto il significato della parola “driver” attraverso le forti
ed indimenticabili scene
interpretate da Robert
De Niro e Jodie Foster in
“Taxi Driver” di Scorsese. In tempi molto più recenti abbiamo imparato
che tassista è una persona che guida un regolare
taxi con regolare licenza
regolarmente rilasciata incassando contanti
dalle persone traspor-
tate, mentre “driver” è
qualcuno che ogni tanto
dà un reale passaggio a
qualcun altro incontrato in un luogo virtuale
che si chiama Uber in
cambio di denaro virtualmente
scambiato
su un’altra piattaforma
virtuale che si chiama
Paypal.
Quando però il nostro
computer si lamenta per
la mancanza o irregolarità di qualche “driver”,
generalmente la nostra
confusione diventa totale. Generalmente questo
succede quando cambiamo una stampante
o aggiorniamo il sistema operativo,
con il risultato che non
riusciamo più
a stampare
proprio quel
foglio che ci
serviva cinque minuti
fa.
Ebbene che cos’è questo “driver”? Nient’altro che un programma
software in grado di far
funzionare una periferica di un computer, ossia un aggeggio fisico,
chiamato propriamente dispositivo hardware,
che svolge uno specifico
compito utile per noi,
ad esempio stampare o
memorizzare dati o far
suonare musica. Dove si
trova questo programma? Viene fornito da chi
ha costruito il dispositivo e deve essere compatibile con il sistema operativo del computer al
quale la periferica viene
collegata. Ricordate che
un tempo ogni stampante veniva fornita con
apposito dischetto? Beh,
oggi è tutto più semplice
perché il “driver” è precaricato, oppure si trova
facilmente sul web negli
appositi siti dei costruttori.
P.S. I dispositivi fisici a
volte vengono chiamati
anche “device” (si pronuncia “devàis”). È una
parolaccia, ma impararla potrebbe aiutare in
qualche circostanza.
3
Con chi scambio la voce?
“Pronto!
Con
chi chiacchiero?”.
Macchine parlanti
e capaci di comprenderci
sono
sempre stati un sogno dell’umanità e
sono state più volte rappresentate nei romanzi ispirati al futuro,
eppure oggi non è raro
imbattersi per la strada
in una signora trafelata che discute animatamente con un’altra voce
femminile proveniente
dal suo smartphone, arrivando addirittura, nei
casi più gravi, a definirla
la sua migliore amica.
Ebbene sì, scambiare
la voce con un computer oggi è alla portata di
tutti, anche se molti ancora non sfruttano ap-
pieno queste possibilità.
La conversazione rilassata tra umani con tutto il corredo sensoriale
che ne deriva, incluso il
bicchiere di whisky, può
essere esperienza estremamente più soddisfacente, tuttavia sorprende quanto si sia spinta
in avanti la ricerca negli
ultimi quarant’anni per
far sì che anche il dialogo con una macchina
diventi sempre più personalizzato ed agganciato alla relazione in corso.
Procediamo con ordine ad esaminare i contesti in cui i computer svolgono funzioni
umane come parlare ed
ascoltare, arrivando addirittura a sostenere una
vera e propria conversazione. Text-to-speech
“Dal testo scritto al discorso parlato” significa
che un computer può
leggere una serie di parole scritte in una speci-
fica lingua e ripeterle a
voce attraverso il suo altoparlante. Provare per
credere? Se state
leggendo queste
note su un dispositivo mobile come
un tablet o uno
smartphone, selezionate questo capitolo dall’inizio e
nel menù scegliete
“leggi”. Assicuratevi che
il volume non sia a zero
e mettetevi in ascolto:
sarete stupiti dall’intonazione della voce, dalle pause al momento
giusto e da un risultato
molto meno metallico
di quanto forse vi aspettavate. Sono passati quasi quarant’anni dai primi esperimenti condotti dagli
studiosi per insegnare a
parlare agli allora monumentali calcolatori.
Pensate che a quei tempi
4
l’Italia era all’avanguardia in questo tipo di ricerca e nei laboratori
CSELT di Torino riuscirono a far cantare “Fra
Martino campanaro”
ad un computer, esperimento di cui si conserva
ancora una registrazione in vinile. Consultando l’archivio storico di
Telecom Italia all’indirizzo http://archiviostorico.telecomitalia.com/
italia-al-telefono-olt r e /19 78 - p e r m e t t e te-che-mi-presenti-sono - calcolatore - cselt
potrete ascoltare la voce
del calcolatore nel 1978.
Confrontatela con quella delle signorine del
vostro navigatore ed apprezzate la differenza.
A che cosa può servire
un computer capace di
leggere? Tanto per cominciare, pensate a tutto
il mondo degli annunci nelle stazioni e mezzi
pubblici, alle istruzioni
che arrivano da un navigatore satellitare, oggetto ormai comune sulle nostre automobili ed
onnipresente sui nostri
smartphone, per non
parlare poi dell’immenso mondo delle applicazioni mediche. Pensate
poi di avere un indebolimento anche solo temporaneo della vista,
magari un romanzo da
finire, magari delle comunicazioni delle quali
prendere atto: certo un
computer non potrà mai
sostituirsi a Roberto Benigni che recita la Divina Commedia, ma, se
c’è bisogno di conoscere
all’istante il contenuto
della mail del capo, può
bastare eccome. Pensate poi a molte applicazioni in campo produt-
tivo, dove, ad esempio,
le istruzioni per l’uso
di un macchinario possono essere recitate da
un computer in precisi
punti della lavorazione,
oppure semplicemente
a tutte le volte in cui ci
troviamo ad ascoltare le
direttive di una macchina senza volto, la stazione Telepass o l’emettitrice di biglietti per il bus,
ad esempio.
Speech-to-text “Dal parlato allo scritto” indica la possibilità di dettare parole ad
un computer per poi
ritrovarle scritte in maniera modificabile con
un qualsiasi editore di
testo. Questa funzione è ormai disponibile
su molti comuni smartphone: quando state
per scrivere un messag-
gio, oppure una nota o
un promemoria, sulla
tastiera compare l’icona di un microfono e, se
la premete, si accenderà
il microfono pronto ad
ascoltarvi e trascrivere.
Potete anche aggiungere
virgole, punti e vari segni di punteggiatura per
rendere lo scritto esattamente come volete.
Ricordate le vignette
popolari un tempo in
cui il grande boss sedeva
nel suo ufficio megagalattico con la segretaria
seduta sulle ginocchia e
le dettava il contenuto
delle proprie lettere? Ebbene oggi il tutto si risolve molto più facilmente, anche se con meno
brivido e trasgressione.
Scherzi a parte, dettare
ad una macchina può essere utile in tutti i casi in
cui non è possibile scrivere, ad esempio perché
5
si sta camminando: mai
incontrata una signora trafelata che dice al
suo smartphone: “Sarò
a casa tra dieci minuti,
puoi buttare la pasta”? Com’è la qualità del
testo ottenuto dalla dettatura? Generalmente
buona, ma spesso può
essere corrotta se ci
sono rumori di fondo,
può riportare vocaboli sbagliati se incespicate nel discorso e farà
sicuramente pasticci se
utilizzate nomignoli o
soprannomi. Infatti, la
stesura del testo si basa
su un vocabolario molto ricco, che comprende
tutti i nomi propri di uso
comune, ma ancora non
conosce il vezzeggiativo
che date al vostro cane o
fidanzato.
Se utilizzate normalmente più lingue ed avete installato altrettan-
te tastiere, dovrete fare
bene attenzione di parlare nella stessa lingua
della tastiera altrimenti
i risultati possono essere comici. Tanto per
fare un tentativo, provate a pronunciare: “Sarò
a casa tra dieci minuti”
mentre la tastiera è impostata sull’inglese. Noi
abbiamo ottenuto: “Several guys at the beach
movie”, che potrebbe essere destabilizzante per
chi vi attende.
Assistente vocale
La famosa segretaria
seduta sulle ginocchia
era in grado non solo
di trascrivere i messaggi del capo, ma anche
di soddisfare molte sue
richieste (non pensate
male!) come: “Signorina, mi chiami subito
il direttore dello stabi-
limento” oppure: “Per
favore, mi segni un appuntamento con il dottor Rossi domattina non
prima delle 10 e lo chiami per invitarlo” oppure ancora: “Mi raccomando, venerdì non mi
prenda impegni dopo le
13 perché vado a giocare
a golf”.
Oggi le segretarie sono
state sostituite da assistenti di direzione con
professionalità ben più
sofisticate oppure da
figure dette pomposamente Office Manager,
che devono occuparsi
di mandare avanti interi
uffici, però sono arrivate alla portata di tutti le
assistenti vocali, pronte
ad aiutarci quando non
abbiamo la possibilità o
la voglia di pigiare i tasti per organizzare la
nostra vita. Siri, Google
Now e Cortana sono le
assistenti più famose.
Siri in norvegese significa “bellissima donna
che ti porta alla vittoria”, mentre Cortana è
il nome di un’eroina dei
videogiochi, a conferma del fatto che non è
cambiato l’immaginario maschile sulle donne che si prendono cura
della loro vita.
Che cosa fanno queste assistenti? Chiamano al telefono, segnano
appuntamenti, fanno
ricerche sul web, trovano ristoranti nelle vicinanze, guardano le
previsioni meteo, possono perfino imparare
le nostre relazioni familiari così non dobbiamo
nemmeno pronunciare
il nome quando chiediamo di chiamarci nostra
sorella. La cosa sorprendente è che possiamo
rivolgerci a loro come
6
fossero persone perché
comprendono il nostro
linguaggio naturale e ci
rispondono pure. Provate ad arrabbiarvi dicendo frasi poco cortesi
e vedrete che cosa succede. Addirittura, se dite
più volte la stessa frase,
ad esempio: “Sono molto arrabbiata con te”,
ogni volta otterrete risposte diverse, a dimostrazione del fatto che
il ragionamento che sta
dietro le risposte è molto più complesso di una
semplice tabella.
C'E' altro?
Oltre a tutti gli usi della voce appena visti, c’è
la possibilità di registrare la propria voce e di inviarla come messaggio a
qualcun altro. Questo è
tecnicamente più semplice
dell’interazione
vocale, tuttavia ha implicazioni sui nostri comportamenti. Pensate, ad
esempio, ad un amico
o familiare lontano che
può farci sentire la sua
voce raccontandoci le
sue esperienze anche se
il fuso orario renderebbe
molto difficile la comunicazione. Oppure pensate di far sentire il tono
della vostra voce per far
trepidare di desiderio
la persona amata o tremare di paura un figlio
che ha combinato una
marachella. Lasciando
agli psicologi la discussione sulle conseguenze
nei comportamenti, ci
limitiamo a constatare
che non si riesce più a
star soli come una volta, sempre inseguiti non
solo da messaggi ma da
vere e proprie presenze
a volte piacevoli, a volte
fin troppo invasive.
Un’ultima considerazione: usare la voce anziché la tastiera per dare
comandi ad un computer può essere estremamente comodo quando
si è in mobilità (pensate
di dover fissare un appuntamento mentre siete alla guida dell’automobile), ma la voce può
venire ascoltata da molte
orecchie, quindi, prima
di sfogarvi raccontando
a Siri tutti gli affari vostri convinti che vi capirà (o almeno vi starà
a sentire) ricordate che
potreste essere in mezzo
agli altri, dove la discrezione non è mai troppa.
7
torte e computer
Ho sempre pensato
che il dipartimento IT
di un’azienda non fosse poi molto diverso
dal mandare avanti una
casa preparando sempre
buoni cibi pronti al momento dei pasti e spendendo il giusto. Infatti, nel libro “Maledetta
informatica” scrivevo a
proposito di Chief Information Officer:
“E se la CIO fosse femmina...
Sarebbe Nonna Pape-
ra: non una primadonna come Minnie, né una
civetta come Paperina,
né tantomeno una maliarda come Brigitta o
una fattucchiera come
Amelia. Sarebbe piuttosto una persona solida che tiene le fila della
famiglia intorno a torte
preparate a puntino e
servite con allegria. Che
fatica mettere tutto insieme per essere pronti
all’ora di pranzo, ma che
gioia vedere tutti raccol-
ti intorno alla tavola apparecchiata!”
Questa mia idea non è
del tutto nuova, anzi ho
trovato che Grace Hopper, ammiraglio della
Marina Militare americana e una delle madri
fondatrici della moderna
informatica, era ancora
più radicale ed affermava: “Le donne finiscono
per essere delle brave
programmatrici per una
ragione in particolare:
sono abituate a portare a
termine le cose, mentre
gli uomini non lo fanno
molto spesso”
Qualche giorno fa su
Amazon ho scoperto,
tra le novità più interessanti nella categoria
Libri - Consultazione e
Informazione, che “Maledetta
informatica”
compariva in ottava posizione, proprio accanto
al Manuale di Nonna
Papera. Sarà un segno del destino?
8
non bastava il cugino?
Noi informatici spesso ce la prendiamo con i
dilettanti allo sbaraglio,
esemplificati dal cugino
“tanto bravo con il computer” che si improvvisa
in installazioni, configurazioni e soprattutto
consigli ad ignari parenti ed amici, tuttavia lo
sbigottimento ci è preso
quando abbiamo sentito
candidamente dichiara-
re: “Gli acquisti online
me li ha messi la callista!”.
Non comprendiamo il
significato dell’espressione “mettere gli acquisti online”: sarà stato
sottoscritto un account
con Paypal oppure inserito un numero di carta di credito in qualche
sito di ecommerce? Non
osiamo immaginare il
fare i dilettanti e propeggio.
Abbiamo grande con- porremo ai clienti il sersiderazione dei callisti, vizio di pedicure.
li invochiamo quando
abbiamo male ai piedi e
li ringraziamo quando
usciamo con le piante
vellutate dopo una seduta, ma rivolgiamo loro
una preghiera sentita:
per favore astenetevi dai
computer, altrimenti ci
metteremo anche noi a
9
Reale o virtuale
Le belle ragazze diafane e senza rughe qualche
volta esistono davvero,
ma per lo più abitano
realtà virtuali ritoccate
con Photoshop. Le belle ragazze un po’ meno
magre e un po’ meno lisce si agitano nel mondo
reale e scrivono libri sui
computer.
Al giorno d’oggi non è
sempre così facile distinguere tra sogno e realtà
e questi confini diventano sempre più sottili. Il
software consente di creare i cosiddetti mock-up
per rappresentare scene
che sembrano reali po-
polate da oggetti che ancora non esistono.
Un esempio è la fotografia di sinistra, immagine virtuale creata
a partire dal progetto
della copertina molto
tempo prima che il libro
esistesse davvero.
L’immagine a destra,
invece, è stata scattata
dal vero, senza ritocchi,
e il libro è l’edizione cartacea fresca di stampa:
la fotografia di qualcosa
di reale, dunque, anche
se meno affascinante di
quella virtuale con la
bella ragazza.
tuffi dalla piattaforma
La parola “piattaforma” viene spesso citata,
leggendo o parlando di
computer, a proposito
di qualcosa di non ben
definito ed utilizzato
per costruire qualcos’altro. Tipicamente si sente
dire: “Questo sito è realizzato su piattaforma
Pippo”, oppure si apprende che il sistema di
un’azienda è tutto basato su piattaforma Pluto,
o ancora che si può usare un programma con la
piattaforma Paperino.
Piattaforme per
tutti i gusti
Che cos’è questa piattaforma? Un impianto
per l’estrazione di petrolio nei mari del Nord?
Un struttura da cui lanciarsi in tuffi acrobatici? Evidentemente no.
In informatica il termine “piattaforma” indica
un insieme di hardware
e software che servono
come base per realizzare altri programmi.
In questo modo, utilizzando parti già pronte e
disponibili sulla piattaforma, i programmato10
ri chiamati a realizzare
nuove funzioni arrivano più facilmente al risultato. Naturalmente
la maggior efficienza
nello sviluppo di nuovi
programmi va a scapito
di una minor libertà di
manovra, in quanto le
funzioni presenti sulla
piattaforma vanno prese così come sono, senza
grandi possibilità di intervento.
Piattaforma per
scegliere abiti
Vi abbiamo confuso
ancora di più le idee?
Facciamo un esempio
di vita non informatica.
Immaginate di dovervi procurare abiti nuovi
per una grande occasione, un matrimonio importante, ad esempio.
Potreste recarvi dalla
sarta e farvi confeziona-
re su misura ogni pezzo,
così sarete veramente
unica e farete restare di
sale tutte le vostre amiche. Si comportano così
le star e le donne dell’alta
nobiltà, che si rivolgono
direttamente agli stilisti più famosi lanciando
addirittura nuove mode.
C’è chi può.
Se, invece, appartenete
a classi sociali normali,
probabilmente andrete
a visitare una o più catene di abbigliamento
alla ricerca degli abiti
di vostro gusto e probabilmente acquisterete il
tutto nello stesso punto
vendita perché lì troverete anche gli accessori
coordinati e la sartina
pronta ad eseguire orli o
piccole modifiche affinché ogni pezzo vi calzi
a pennello. Ebbene, se
vi comportate così, state proprio utilizzando
una piattaforma: scegliete nello stesso negozio pezzi diversi nella
vostra taglia e di colore adatto all’occasione,
li componete secondo i
vostri gusti e necessità,
fate minimi adattamenti se proprio necessario,
aggiungete qualcosa di
vostro (la spilla ereditata dalla nonna, ad esempio) e ne uscite con il
vostro personalissimo
stile. Infatti l’amica che
si serve nella stessa catena di abbigliamento sarà
vestita in modo completamente diverso da voi:
la piattaforma dispone
di tanti pezzi differenti e
così permette a ciascuno
di ottenere risultati personalizzati.
Naturalmente
avere
Armani ai vostri piedi
per soddisfare ogni minimo capriccio dev’essere un’altra soddisfa-
zione, ma la grande
distribuzione consente
a molte più signore (e
signori) di uscire vestite decorosamente e di
togliersi qualche sfizio
in più per essere sempre
moda: potere delle piattaforme!
Piattaforme informatiche
Tornando ad argomenti seri, le piattaforme
consentono anche a chi
non ha budget elevati
di dotarsi di sistemi informativi moderni o siti
web piacevoli e funzionali. Pensate che la maggior parte dei siti per la
vendita online si basa
su poche piattaforme
standard. Esistono piattaforme completamente gratuite, piattaforme
professionali vendute a
caro prezzo oppure piat11
taforme gratuite che
possono essere arricchite da accessori a pagamento. Quest’ultimo
è un caso molto comune nel mondo web, dove
il livello di ingresso è
gratis per permettere a
molti di accedere, poi
chi vuole può acquistare
funzioni aggiuntive.
Concedeteci un’ultima
nota linguistica: a volte
le piattaforme si chiamano anche “ambienti”,
termine che in informatica è utilizzato nell’ambito della programmazione o nei sistemi
operativi (avete mai sentito parlare di “ambiente
Windows” o “ambiente
Linux”?). Il termine, che
non ha nulla a che fare
con il clima o l’inquinamento, viene usato anche per piattaforme in
senso generico. D’altra
parte nei negozi di ab-
bigliamento si vendono
a volte anche profumi,
vero?
Come vedete, si può ragionare un po’ di informatica anche scegliendo
i golfini.
12
account e supermercati
Si può dire che un account è come la tessera
del supermercato? Ad
essere seri e rigorosi probabilmente no, tuttavia
qui faremo esattamente
questo.
tamente più autorevoli
della nostra, abbiamo
raccolto in giro per la
rete alcune definizioni
di account, poi abbiamo cercato di decifrarle
provando ad immedesimarci nei poveri tapiL ' a c c o u n t : c h e ni bombardati dalle ricosa se ne dice in chieste di “accedere con
l’account”, pur facendo
giro?
nella vita mestieri che
Consultando fonti cer- hanno poco a che fare
con l’informatica.
La stessa Wikipedia
fornisce questa definizione: “Un account,
in informatica, indica
quell’insieme di funzionalità, strumenti e
contenuti attribuiti ad
un nome utente in determinati contesti operativi, spesso in siti web o per
usufruire di determinati servizi su Internet”.
Leggendo
questo abbiamo immaginato la
faccia sgomenta della signora
con gli occhi sbarrati
davanti al
monitor che
le
chiede
di accedere
con il suo account, oppure quella di chi fruga disperatamente nella
borsa alla ricerca di quel
dannato foglietto con
annotate tutte le password. Se, per aiutarla,
le recitassimo la definizione di Wikipedia, meriteremmo uno sberleffo.
Alla fine abbiamo deciso di imboccare la
13
innumerevoli tessere
convenzionate, perfistrada più incerta e sci- nostre abitudini di spedi supermercati, prono di ottenere sconti
sa, dati importanti per
volosa dell’analogia.
fumerie, musei, cinesull’ingresso al cineorganizzare le prossime
ma, librerie e negozi
ma o sulla benzina.
La tessera o car- campagne di marketing
di ogni tipo.
o addirittura proporci 3. Possiamo farci ricota fedelta'
noscere al Carrefour 5. Che succede se perofferte personalizzate.
diamo la tessera? Di
con la tessera della
Che cosa ci chiede la Vediamo un po’ come
solito nulla di grave,
Coop? No. In ogni
cassiera del supermerca- funziona questa tessera.
ma un po’ di fastidio
catena di distributo ogni volta che ci presì: dovremo tornare
zione occorre avere
sentiamo alla cassa e vo- 1. Per avere la tessera
al banco informala tessera giusta. Se
del supermercato, la
gliamo usufruire delle
zioni per richiedere
poi vogliamo entrare
prima volta dobbiaofferte riservate ai soci
un duplicato, dimoin un supermercato
mo recarci al banco
o della raccolta punti?
strare di nuovo la
come semplici visiinformazioni, comLa tessera di riconoscinostra identità ed attatori, normalmente
pilare un modulo
mento, anche detta cartendere un pochino.
possiamo farlo ririspondendo ad una
ta fedeltà per usare un
nunciando a qualche
serie di domande, allinguaggio meno buroprivilegio riservato
cune obbligatorie ed
cratico e più amico del
ai soci.
altre no, e probabilcliente. Questa carta,
L'account e' una
mente fornire un al- 4. Quante tessere ocstrisciata su un appositessera
corrono? Dipende,
tro nostro documento lettore, ci identifica
ma basta dare un’oc- Internet non è molto
to di identità.
attraverso i dati persochiata a qualunque diverso dal sistema della
nali precedentemente 2. La tessera permetportafoglio per ve- grande distribuzione e
te di accedere a tutti
registrati e ci permette
derlo rigonfio di tes- gli account funzionano
i punti vendita della
così di ottenere sconti e
sere di ogni tipo. Ad- esattamente come le tescatena di distribuvantaggi. In cambio il
dirittura si vendono sere. Vediamo.
zione, anche in città
supermercato può mespeciali portatessera Ogni volta che vogliadiverse, a volte anche
morizzare tutti i nostri
per raccapezzarsi tra mo entrare in un monin negozi di altre reti
acquisti e conoscere le
14
do di servizi per avere
dei vantaggi, ad esempio
leggere la posta elettronica, ritrovare le nostre
fotografie,
acquistare
un libro o usufruire di
un programma distribuito in rete, ci viene
chiesto di accedere con
il nostro account. Invece di strisciare una carta
di plastica, inseriremo
il nostro nome utente
(o “username”) e una
password, parola chiave nota solo a noi, poi
il gioco è fatto. In cambio, chi fornisce i servizi, esattamente come il
supermercato, può tenere traccia dei nostri
movimenti per poi proporci offerte profilate
sulle nostre abitudini.
1. La prima volta che
intendiamo usufruire di un servizio, la
posta ad esempio,
utilizzata per ogni
puter, ma anche con
dobbiamo presentarservizio. Conviene
tablet, smartphone o
ci e richiedere la creanche fare un esercon qualunque altro
azione di un account.
cizio di memoria dei
computer connesso
Ci sarà richiesto di
marchi utilizzati sul
ad Internet. Google,
riempire un modulo
web, perché spesso
Apple,
Microsoft,
online con i nostri
rimandano a marFacebook,
Yahoo,
dati personali, alcuni
chi maggiori, quindi
Dropbox, Amazon
obbligatori altri no.
richiedono la stessa
e tanti altri possono
Probabilmente dotessera di ingresso,
dunque essere visti
vremo fornire almeossia lo stesso accome catene di suno un altro nostro
count. Ad esempio,
permercati dove non
identificativo (un dia Google fanno capo
si comprano (solo)
verso account di ponomi come Gmail,
merci fisiche, ma si
sta o un numero di
Google Drive, Goaccede a servizi di
cellulare) dove verrà
ogle Play, Blogger,
vario genere, come
inviato un codice in
eccetera. A Microposta, documenti,
modo da provare la
soft si riferiscono
informazioni, condinostra identità. FatWindows,
Office,
visione con gli amici.
to questo primo pasOneDrive, Hotmail,
saggio più o meno 3. Si può entrare nel
Outlook. Apple commondo Google con
laborioso, siamo enprende iCloud.
l’account Microsoft
trati del club dei foro in quello Apple con 4. Quanti account sertunati possessori di
vono? Dipende da
l’account Facebook?
un account.
quanti e quali servizi
Evidentemente no. È
2. Con il nostro account
vogliamo utilizzare.
bene dunque ricorpotremo
usufruiCertamente ne abdare le credenziali,
re dei servizi offerti
biamo tutti molti e il
cioè la coppia “userdal gestore non solo
rischio di confusione
name e password”
con il nostro com15
è sempre presente.
Bisognerebbe anche
parlare di come si
scelgono le password
e di come si conservano, ma questo sarà
oggetto di un’altra
nota.
5. Che succede se perdiamo la password?
Beh, dovremo attivare il servizio di
recupero, che di solito compare nella
schermata iniziale
in cui facciamo il login. Normalmente
una riga più piccola
a margine della finestra di registrazione
chiede: “Hai dimenticato la password?”
Oppure: “Non riesci
ad accedere con il tuo
account?”. Cliccando
si passa ad una procedura guidata che,
dopo alcuni passi per
verificare la nostra
identità, ci permette di reimpostare la
password e ripartire
con lo stesso account.
In conclusione, provate
a pensare a tutte le volte in cui avete creato un
nuovo account e contate
quante tessere avete accumulato. Magari riuscirete a conservarle con
cura escogitando qualche trucco personale che
conoscete solo voi.
16
do you like veramente?
Il bottone “Like” con
il pollice alzato è stato
inventato da Facebook
nel 2009 dopo un lungo
processo di discussione
interna e numerose bocciature da parte del fondatore Mark Zuckenberg. È stato lanciato
per dare agli utenti un
modo di esprimere gradimento a qualsiasi post
con un semplice clic,
molto più facile ed immediato che scrivere un
commento con parole di
approvazione.
Like significa “mi piace” e da allora è diventato il modo universale
per esprimere approvazione sui social media
e dintorni. Infatti viene
proposto ed usato anche
su vari blog, forum e siti
web di informazione.
Sostantivo
maschile che trae origine da
un verbo, “to like”
che significa piacere, viene spesso usato
con indicazione della
quantità. Ad esempio:
• Ho dato un like alla
foto della festa
• Il mio post con il
gattino ha ricevuto un sacco di like
La rappresentazione
grafica di un like è il
pollice alzato, gesto anglosassone con il significato di OK, oppure il
cuore, usato su Instagram dove si gioca molto sulle emozioni susci-
tate dalle fotografie.
Il significato intrinseco
di un like non è molto intenso, certamente molto
più debole di “love”, infatti molti frequentatori
di social media sono generosi di like senza interrogarsi troppo sull’effettiva gradevolezza dei
post che guadagnano il
loro consenso. In generale si potrebbe tradurre
un like con: “visto e non
dispiaciuto”.
Ultimamente la comunità Internet ha discusso sulla necessità
di introdurre il bottone
“dislike” in modo da
consentire di esprimere
disapprovazione con un
semplice clic: il pollice
verso contrapposto al
pollice alzato. Per il momento è presente solo su
YouTube, mentre pare
che Facebook opponga
resistenza a mostrare
17
ciò che non piace: ottimismo americano oppure timore di spaventare i brand che pagano
per mettere in evidenza
i loro post pubblicitari?
In verità, un like si dà
e si può anche togliere,
ma di solito nessuno si
prende mai la briga di
farlo.
Una buona dose di
like può rischiarare una
giornata uggiosa, inorgoglire anche una persona bruttina e far contento un responsabile
marketing. Chissà come
facevamo ad esprimere
il nostro godimento prima del 2009?
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cosi' lontani cosi' vicini
Un tempo chi andava
in paesi lontani, vuoi per
necessità vuoi per piacere o per spirito di avventura, perdeva i contatti
con il luogo di origine,
affidando a rare missive l’unico legame con
gli affetti rimasti a casa.
Poi è arrivato il telefono
che ha unito molte zone
del pianeta, avvicinando
persone che vivevano in
posti lontani, ma i costi
erano alti, così le chiamate oltreoceano erano
riservate a poche parole scambiate durante le
grandi occasioni. Per il
resto c’erano le lettere
scritte a mano ed affidate al sistema postale
tradizionale: succedeva
così che, se una dichiarava di avere il raffreddore, si sentiva chiedere
se era guarita circa un
mese dopo, quando ormai se ne era completamente dimenticata.
La posta elettronica ha
contribuito ad avvicinare le persone soprattutto perché ha reso molto
più veloce la comunicazione: stamattina io
ti scrivo e stasera, o al
massimo domani, tu mi
rispondi. Ha permesso
di scambiarsi molto facilmente fotografie e di
diffondere le stesse informazioni a più persone contemporaneamente. Ci sentivamo quasi
in colpa le prime volte
che facevamo il “copia
e incolla” di interi brani della stessa lettera per
inviarle alla mamma,
alla sorella e alla cugina,
limitando il lavoro di
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scrittura all’intestazione
e a poche righe personalizzate.
Poi è arrivato Skype,
che ha costretto ogni
studente Erasmus a mettere in ordine la propria
stanza prima di videochiamare la mamma.
Le famiglie hanno cominciato a riunirsi attorno al focolare del PC
per chiamare il parente
lontano ed alcuni bambini hanno creduto che i
nonni esistessero per lo
più dietro uno schermo.
Oggi, accanto alla mail
e a Skype, esiste un regno di chat di tutti i tipi
– WhatsApp è la regina
– per scambiarsi continuamente commenti, fotografie, posizioni,
barzellette e indirizzi
reali o virtuali. Si può
comunicare contemporaneamente con intere
comunità di individui
lontani tra di loro bombardando decine di persone con i primi vagiti
della propria creatura
(consigliamo di fuggire
velocemente dai gruppi
su WhatsApp!) e le distanze si sono ancor di
più accorciate.
Si sta verificando, però,
anche un fenomeno opposto: avete mai mandato una mail al vicino di
scrivania? In ambiente
di lavoro, ci si sente giustificati dal fatto che bisogna comunque tenere
traccia di quello che si fa,
oppure far sapere al capo
che certi ordini sono stati eseguiti, ma ormai anche nella vita quotidiana
non riusciamo a fare a
meno di scrivere su uno
schermo messaggi destinati anche a chi è vicinissimo a noi. Non si
chiede più il nome di un
ristorante ma si riceve il
link di TripAdvisor, non
si dà un indirizzo di un
negozio, ma si invia l’indirizzo del sito, magari
accompagnato da una
foto scattata agli oggetti acquistati proprio lì.
In ufficio ci si chiama su
Skype prima di andare a bere un caffè dove
una barzelletta non si
racconta ma si gira sulla
chat preferita.
Possiamo scambiare in
tempo reale confidenze
molto intime con amici lontani che vivono
dall’altra parte del pianeta, oppure agire da
perfetti sconosciuti con
il vicino di casa, del quale non conosciamo neppure l’indirizzo email.
Per fortuna restano
cose che hanno senso
solo se si sta nella stessa
stanza…
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Libri Di Carta e di bit
Da quando i libri non
sono più soltanto di
carta e non si acquistano più soltanto in libreria, ma arrivano anche
da luoghi virtuali più o
meno sconosciuti sotto
forma di ebook, su questo fenomeno sono stati
scritti fiumi di parole di
carta e di bit.
Come al solito, si sono
formate fazioni contrapposte: da una parte
gli adoratori del profumo della carta rifiutano
per principio qualunque
tecnologia che si inserisca nel rapporto fisico
con il libro, dall’altra i
progressisti fanatici butterebbero al rogo non
solo i libri ma anche ciò
che vi è scritto sopra.
Noi abbiamo riflettuto sull’argomento e, per
arrivare al nostro succo
della questione, abbiamo applicato la regola
del tre1.
1 A questo proposito si può
leggere il pezzo “Tre” su “Farina
del mio sacco”.
Tre buone ragioni per leggere
ebook
1. Le parole di bit hanno grande praticità:
un ereader pesa poco
ed è facile da trasportare, così si può
viaggiare o andare in
vacanza con l’intera
biblioteca contenuta
in pochi grammi. A
parità di significato,
le parole di bit sono
molto più leggere di
quelle di carta. L’ereader non costa troppo e si può mettere
nella borsa da spiaggia senza sentirsi tremare i polsi se arriva
una pallonata, come
succederebbe con un
iPad.
2. Un ebook ha una
migliore visibilità, si
può leggere anche al
buio e senza occhia-
li. Le parole di bit si
ingrandiscono e si illuminano molto meglio di quelle di carta, così si può finire
il romanzo preferito
anche quando il marito (o la moglie) dorme beato. Si possono
perfino comperare
libri nel pieno della
notte e iniziare subito a leggere.
3. Il vocabolario è integrato e, quando si
legge in lingua straniera, si possono facilmente trovare definizioni nella lingua
stessa, così si può andare avanti senza interrompersi e si impara anche qualcosa,
invece di abbozzare
facendo finta di aver
capito.
21
Tre ottimi motivi
per preferire libri
di carta
1. Certi tipi di libri hanno senso solo sulla
carta. I libri d’arte
hanno bisogno di
spazio, carta lucida
o patinata, riflessi di
luce e spessore adeguato. Le strisce a
fumetti richiedono
le dimensioni precise del foglio di carta
e perdono significato
se liquefatte nel mare
dei bit.
2. I libri hanno la loro
fisicità. Si possono
sfogliare per farsi
un’idea, si possono mostrare, usare
come puntello sotto
le gambe dei tavoli,
disporre in biblioteca per ricavarne piacere nello sguardo e
considerazione dagli
amici. Nessuno dirà
mai: “Come sei colto con tutti quei libri!” semplicemente
guardando l’indice
del nostro ereader,
anche perché non si
permetterebbe mai
di ficcare il naso.
3. Regalare un libro di
bella edizione, copertina
gradevole
e peso non solo intellettuale procura
emozioni intense e
si può accompagnare con cioccolatini
o rose rosse. Poi resta il ricordo: anche
quando il donatore
ha ormai preso altre strade, il dono
può restare con noi
a lungo e risvegliare
dolci memorie, non
parliamo poi se poi
tra le pagine si trovano petali di rose.
Al contrario, imma-
ginate la tristezza
di un: “Cara, il tuo
regalo è nel numero di voucher che ti
ho spedito su WhatsApp”: lei probabilmente tirerebbe dritto per la sua strada
senza degnare lui di
alcuna considerazione. Mica per niente
su Amazon.it, dove
la sanno lunga, regalare ebook non si
può fare.
In conclusione
di quanto si perde, conviene concentrarsi su ciò
che si guadagna.
Da parte mia, leggo
per lo più libri di bit, ma
a mio nipote, che ha appena compiuto otto anni
ed usa benissimo l’iPad,
ho regalato quattro volumi di carta.
(*) A questo proposito
si può leggere il pezzo
“Tre” su “Farina del mio
sacco“.
Google
Secondo noi, libri e
ebook conviveranno a
lungo, come recita una
famosa vignetta in cui
una ramazza dice ad un
libro: “Rilassati, amico. Hanno inventato
l’aspirapolvere, eppure io sono ancora qui!”.
Quando le cose cambiano, invece di aver paura
22
Dove vai se la mappa non ce l'hai
Un tempo per orientarsi in città c’era la mappa
topografica, un lenzuolo ripiegato in formato
tascabile con una caratteristica infallibile: il
luogo cercato si trovava
sempre esattamente su
una piega. Sul retro della mappa c’era un lungo
elenco di vie in ordine
alfabetico: si cercava via
Mazzini e ne usciva, ad
esempio, H13 così noi,
esattamente come nel
gioco della battaglia navale, voltavamo la carta
alla ricerca del quadrato
per colpire ed affondare.
Poi venne il Tuttocittà,
che riuscì a mettere tutte le strade in un libretto
comodamente sfogliabile. Negli anni Tuttocittà
si arricchì di informa-
zioni di utilità al di fuori
della pura mappa e diventò indispensabile: ce
n’era uno in ogni casa,
in ogni automobile e in
ogni borsa di commesso
viaggiatore. Infine c’erano i tassisti che, quando
ancora non si sentivano
minacciati da Uber, conoscevano a memoria
ogni segreto della toponomastica cittadina,
compresi i numeri di interno e i sensi di marcia.
Come facciamo
oggi a trovare
la strada?
Tutto questo oggi ha
perso di valore, a parte che nelle nicchie che
un valore ce l’hanno
veramente (ad esempio,
le carte di montagna)
23
perché abbiamo in tasca tutte le mappe del
mondo in qualsiasi momento. Ci sono mappe
online e mappe visibili
anche quando non siamo collegati, ce ne sono
di migliori e di peggiori,
di più o meno adatte ai
nostri scopi, ma certamente la più diffusa ed
universale si chiama,
guarda caso, Google
Maps.
Anche Apple ci ha provato con le mappe, addirittura bloccando per
un periodo ai suoi clienti l’accesso alle mappe di
Google, ma quando ogni
possessore di iPhone si è
trovato dalla parte sbagliata della città per un
appuntamento importante ed ha protestato
fieramente, ha dovuto
cedere il passo a Google.
Come usare le E
mappe online
Che cosa possiamo fare
con Maps? Trovare luoghi sconosciuti e costruire itinerari con un solo
clic scegliendo se vogliamo andare a piedi, usare
l’automobile o i mezzi
pubblici. Se abbiamo in
tasca uno smartphone,
grazie a Maps possiamo
trasformarlo in un vero
e proprio navigatore con
tanto di voce femminile
che ci intima di girare
alla rotonda, terza uscita. Purtroppo le orecchie di quelli di Torino
patiscono nel sentire via
Bèrtola e la Reggia di
Venària, ma tant’è.
quando c'e' Resta un mistero
traffico?
Un’altra funzione fantastica e ancora poco
conosciuta di Maps è
quella del traffico: attivandola dal menu si
vede in tempo reale lo
stato di congestione della rete stradale:
• Verde – via sgombra;
• Giallo – così così, ma
ce la potete fare;
• Rosso – preparatevi
a fare la coda;
• Rosso scuro – meglio girare alla larga.
In conclusione, con
tutte queste meraviglie,
resta un mistero: perché
ogni giorno incontro
per la strada qualcuno
che mi chiede dov’è via
Meucci o via Confienza mentre brandisce in
mano uno smartphone
da centinaia di euro?
La curiosità è che la
situazione del traffico
viene stimata in ogni
punto misurando quanti telefoni cellulari sono
collegati alla rete in ogni
punto, nell’ipotesi che
chi si muove non possa
non essere connesso.
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il senso di google per la vita
Ormai abbiamo imparato che, quando siamo
nei pasticci e non sappiamo che pesci pigliare, possiamo rivolgerci a
Google e cercare lì una
risposta ai nostri perché. Una data storica, il
significato di una parola, tutti i nomi dei sette
nani, come si cuce un
bottone o si cucina la
torta di mele: con una
buona ricerca online si
trova di tutto, così spes-
so diciamo che Google è
il nostro migliore amico.
Google ormai è dappertutto: nel nostro
smartphone, a volte anche nel nostro frigorifero, regola le nostre giornate e ci manda un trillo
quando è ora di partire
per il prossimo appuntamento, si ricorda dove
abbiamo
parcheggiato l’auto, ci guida per le
strade, conosce per filo
e per segno tutti i nostri
amici, ci fa vedere foto e
video, gestisce la nostra
posta e il nostro blog. È
diventato difficile immaginare lontanamente
come fosse la vita prima
di Google.
Oltre a dove si trova un
benzinaio o ai risultati
delle partite di calcio, a
Google possiamo chiedere suggerimenti su
come scrivere una lettera d’amore e come vivere un matrimonio felice
in trentacinque passaggi
(per chi è scrupoloso) o
con soli cinque segreti
(per chi ha fretta, evidentemente) o seguendo
dieci consigli (una sana
via di mezzo). Possiamo
anche spingerci a chiedere la ricetta della felicità ed ecco subito pronte otto cose da fare per
essere felici, con tanto di
citazioni di studi scientifici di famose università. Stupisce che una di
queste, individuata in
Giappone da un gruppo
di ricercatori, sia la capacità di dare un senso
alla vita, senza ulteriore
spiegazione.
Viene allora naturale
chiedere a Google. Prima di tutto arrivano le
citazioni di Wikisource, capace di mescolare
il filosofo greco Zenone
con il Dr. House, Do25
stoevskij con Roberto Baggio, così ognuno
può trovare spunti e far
muovere le sue personali
corde emotive in sintonia con qualche ispirato
pensiero.
Wikipedia prova a dare
una risposta con un breve compendio di storia
della filosofia, poi compare la Bibbia ed infine
partono una sfilza di siti
con riflessioni di persone varie e qualche sorpresa. Innanzitutto sensodellavita.it è diverso
da sensodellavita.com,
poi il-senso-della-vita.it
è diverso da senso-della-vita.meaning-of-life.
tv, che dà le spiegazioni in cinque lingue. Sul
senso della vita esiste un
mix di cinquanta video
su YouTube, una spiegazione per bambine di sei
anni e una pagina Facebook con citazioni me-
lense e qualche errore di
grammatica.
In conclusione, di che
cosa dobbiamo ancora
lamentarci? La felicità è
a portata di mano, anzi
di clic.
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amarcord
Proviamo a fare un po’
di “amarcord” dei primi
siti web. Riusciremmo
ancora ad immaginare la vita senza Internet? Difficile, addirittura impossibile per chi è
cresciuto in un mondo
connesso. Eppure è molto recente tutto questo
bendidio che ci fa restare con gli occhi incollati
ad un piccolo schermo
anche quando camminiamo, con il serio rischio di sbattere contro
un altro essere umano
ugualmente immerso
nella ragnatela.
Ecco alcune azioni
quotidiane che abbiamo quasi dimenticato:
ascoltare le ultime notizie al telegiornale della sera, leggere gli orari
del treno su un apposito
libretto (servivano competenze non da poco
per decifrarlo!) per poi
comprare i biglietti in
agenzia, tenere in tasca
una o più mappe, cerca-
re una cabina telefonica
per avvertire di un ritardo, consultare la guida
telefonica, quella stessa
dove i bambini imparavano l’ordine alfabetico.
Non vogliamo certo
farci prendere dalla nostalgia (di che cosa, poi?),
ma piuttosto ricordare
con tenerezza i primi siti
web che apparvero sulla
scena dando inizio ad
un nuovo stile di vita. In
Italia i pionieri lanciarono i loro siti alla fine del
1996. Pensate che quello della Fiat riportava in
Home Page un alberello
di Natale che oggi non
disegnerebbe neanche
una bambina avvezza ai
videogame. Alla fine degli anni Novanta anche
le banche debuttarono
sul web, ma erano di là
da venire i bonifici online, la compilazione dei
modelli F24 e la gestione dei titoli con un clic!
La Stampa uscì anch’essa a fine 1996 con
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una testata e un elenco
di titoli cliccabili che rimandavano alle notizie.
Anche altri quotidiani
italiani allestivano i loro
primi siti web, ma oggi
chi leggerebbe online
testate senza fotografie, blog, video e instant
poll? Forse solo la pagina di Google è rimasta
quasi immutata nel tempo a preservare la sua
essenzialità fatta di tutto
arrosto e niente fumo.
Dove si trovano questi
ricordi? Come ogni cosa
che si rispetti, anche il
mondo Internet ha costruito il proprio archivio fatto di istantanee di
siti raccolti nel tempo.
Si chiama Wayback Machine, si trova con una
semplice ricerca su Google e si rivela come una
vera e propria macchina
del tempo che ci può far
scoprire la storia dei no-
stri siti preferiti. Fateci
un giro e vi divertirete.
Magari donate anche
qualche dollaro, visto
che si tratta di un progetto no-profit di conservazione della nostra
identità digitale.
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FARe bei sogni? con netflix si puo'
Fare bei sogni? Con
Netflix si può
Ci sono film che si
guarderebbero milioni
di volte perché assicurano sogni ed emozioni o
mettono un cerotto alle
ferite dell’animo ogni
volta che ce n’è bisogno.
Alcuni vengono trasmessi e ritrasmessi periodicamente dai canali
televisivi che conoscono
le nostre preferenze da
prima che fossero inventati i cookie.
Ci sono milioni di signore dai sette ai novantasette anni che in
certi momenti di sconforto ritrovano la pace
guardando film romantici con attore belloccio,
dove si realizzano anche
i sogni impossibili.
Ci sono signore dili-
genti e ben organizzate
che, mentre guardano
i film preferiti, danno
una ripassata all’inglese ascoltando l’avverarsi dei sogni in lingua
originale, magari con i
sottotitoli per non perdere nessuna sfumatura.
Ci poi sono signore
indaffarate che non riescono a ritagliarsi un
paio d’ore per immergersi nei sogni evocati
dai film, ma ogni tanto dedicherebbero una
mezz’oretta per ammirare uomini affascinanti
ed abili nell’arte del corteggiamento.
Ebbene è arrivata anche in Italia la TV online che permette di accendere sogni ogni volta
che si vuole, anche se
non c’è un televisore
nelle vicinanze. Il servizio più noto è Netflix,
società nata (guarda
caso) in California, che
mette a disposizione titoli a scelta in qualunque momento del giorno
e della notte, da guardare anche su PC, tablet o
smartphone. Si possono
scegliere lingua e sottotitoli,
interrompere
la visione in qualunque
momento e riprenderla
dallo stesso punto anche
da un apparecchio diverso.
Il primo mese è gratuito, poi ci sono abbonamenti che costano
poco e possono essere
condivisi da più utenti: forse vale la pena di
fare un club di signore
su Netflix per guardare
Hugh Grant da sole o in
compagnia.
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