tutto in un sabato, tutto in una domenica

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tutto in un sabato, tutto in una domenica
… tutto in un sabato, tutto in una
domenica
Aids! “I’m positive”, sono positivo, sono positiva.
Non è raro sentire questa frase entrando nelle case
della gente della township di Bauleni. Le famiglie
sono falciate da questo male ancora incurabile, ma
la causa della morte spesso viene coperta con altre
malattie oppure con cause misteriose e magiche. Il
virus colpisce tutti, senza discriminazioni, che tu
sia europeo o africano non importa, ma se in
Europa si riesce a vivere dignitosamente, qui al
contrario, si vive male e si muore e peggio! In
Bauleni il virus ha un volto ben definito, una
fisionomia marcata, delle caratteristiche fisiche che
lasciano poco spazio a diagnosi dubbiose. Misonzi,
per esempio, è una ragazza di 25 anni circa, con un
sorriso disarmante. Un uomo è passato nella sua
vita e le ha lasciato un bimbo con cui ha condiviso
il virus. Questa donna però è ancora sola perché il
bambino è stato portato via dall’Aids. Misonzi è
sola col suo male che la mangia poco a poco,
giorno dopo giorno e con il suo dolore; il ricordo di
un bimbo che ad ogni sorgere del sole tenta di
annegare nell’alcol senza mai riuscirci.
C’era anche Peter, un uomo sui 40 anni, talmente
magro che la pelle ormai grigia sembrava essere
dipinta sulle ossa. Abbiamo potuto condividere con
lui poco tempo, appena due visite, alla terza
abbiamo trovato solo il suo ricordo e le lacrime della sua famiglia.
Oppure Brenda, una donna che vive sola con tre figli che non riesce a
mantenere, il marito l’ha lasciata qualche anno fa. Il suo sguardo è
triste e tenero allo stesso tempo e i segni della malattia si fanno
evidenti col passare del tempo.
A volte è talmente stanca e debole che per intere settimane sta
sdraiata sul suo materasso appoggiato sul pavimento. Brenda sa che
deve morire, mi immagino solo il pensiero che la sbrana più della sua
malattia:
cosa
faranno le
mie
tre
creature
in
un
futuro
non
troppo lontano?
Anche il sangue di Mercy e del suo bambino di otto anni porta quella
maledetta parola tra i suoi globuli: “positivo!” Vivono in una casa
talmente piccola che appena si entra ci si trova obbligatoriamente
seduti sul divano senza più potersi muovere. Mercy ha buon gusto,
cura i particolari della casa, ci mette amore e quando siamo arrivati,
quel sabato, stava lavando il pavimento di cemento levigato,
inginocchiata come in preghiera. Per quanto tempo ancora potranno
camminare per le strade di Bauleni?
Che scadenza avrà la loro speranza?
“Positivo!” e’ una parola che marchia
a fuoco il sangue come una sentenza
senza possibilità di appello. Il sangue,
simbolo della vita, delle unioni
indissolubili e delle alleanze, della
promessa e della discendenza, diventa
veleno, simbolo di paura ed
emarginazione e siero che porta la
morte. Ed è lo stesso sangue che
domenica ho visto uscire dalla bocca e
dalla testa di un uomo che altri tre
uomini stavano linciando a bastonate
calci e pugni. Il sangue scendeva dalla
faccia alla terra e si mescolava con
l’acqua di una pozzanghera, formando disegni cupi che sapevano di
mattanza.
La gente attorno stava a guardare, come si guarda ammazzare un toro
in una corrida. La coscienza grida e porta dove il coraggio non porta,
e il grido si trasforma in azione. Quando lei pronuncia la sua parola
non è possibile ignorarne la voce, e così sono stato spinto ad
intervenire. L’avrebbero ammazzato? Non lo so, non so nemmeno il
motivo del linciaggio e sinceramente non avrebbe fatto nessuna
differenza. L’uomo è vivo, ma è viva anche la violenza che si
accende per un nulla e accresce colpo dopo colpo, resa ancora più
fredda e tagliente dal sadismo della gente che guarda con un certo
godimento non proprio inconscio. La violenza è viva e pulsa sulle
tempie e si alimenta di se stessa, del sangue che fa scorrere, che si
rende visibile e imbratta l’uomo, la terra, l’acqua ma anche la
coscienza. Cose d’Africa? No non e’ questo che intendo, perché
queste cose capitano anche a Milano, nello stesso modo, con la stessa
violenza e freddezza e nella stessa indifferenza. Ci si può indignare,
ed è giusto che sia così, ma non si può condannare un intero
continente per un gesto che rispecchia anche la propria cultura, nel
mio caso quella italiana. Ora penso agli incontri vissuti lo scorso
sabato e domenica, e nel silenzio, il giudizio affrettato lascia spazio
alla preghiera, e questa porta alla riflessione, critica si, ma il più
possibile ponderata. L’Africa, o meglio, lo Zambia non è questo, o
non solo questo, come l’Italia non è solo mafia. Qui c’è del bello che
nasce ogni giorno, nonostante tutto. Dio non si è dimenticato di
questa terra, anzi, sprona l’uomo a ricordarsene.
Penso al sangue, elemento che ha unito un sabato e una domenica di
febbraio bagnato dalle piogge, penso che da elemento di morte e di
violenza siamo chiamati a riportarlo all’originale significato di
alleanza e vita. Ho deciso di narrare questi eventi, non per mettere in
cattiva luce questo popolo, anzi … lo faccio perché racconto storie,
incontri che la vita mi da in dono, senza nascondere il brutto e il
bello, la paura e la gioia, cercando di condividere a parole ciò che mi
va capitando lungo il cammino. Scrivo perché come dice un
proverbio indiano; “tutto ciò che non va donato va perduto”.
Diego (Gigo)