I conflitti di interesse nell`attivita` delle agenzie di rating

Transcript

I conflitti di interesse nell`attivita` delle agenzie di rating
I CONFLITTI DI INTERESSE NELL’ATTIVITÀ DELLE AGENZIE DI
RATING
1. Attività di rating e conflitto di interessi: un tema al centro
dell’agenda normativa.
La disciplina delle agenzie di rating – sulla spinta delle recenti crisi
finanziarie1 - – vive una stagione di interventi regolatori che si succedono a
ritmo incalzante in tutti gli ordinamenti degli stati ad economia avanzata e
che
sono
destinati
a
essere
ulteriormente
modificati
e
arricchiti
nell’immediato futuro.
Il tema della regolamentazione dei conflitti di interesse che possono
pregiudicare l’indipendenza – e così l’affidabilità – dei giudizi emessi dalle
agenzia di rating è al centro della scena e si rinnovano, in numerose sedi, gli
inviti a rendere più incisive e precise le disposizioni volte a evitare e/o
gestire tali conflitti.
Così, in ambito comunitario, il documento della Commissione
Europea del 15 novembre 2011 – ormai prossimo a esser discusso – che
illustra
le
proposte
di
modifica
del
regolamento
CE
1060/2009
espressamente segnala nella sua introduzione che “i conflitti di interesse
che discendono dalla struttura dell’azionariato delle agenzie di rating (…)
sono troppo scarsamente affrontati dalla regolamentazione in vigore”;
identifica inoltre fra i principali problemi da risolvere “il rischio di
mancanza di indipendenza delle agenzie di rating in ragione del conflitto di
interessi legato al modello di remunerazione delle agenzie (quello
1
Non solo della più recente crisi nascente dai default innescati dai mutui subprime e dai prodotti finanziari strutturati che ne incorporavano i crediti e che ricevevano il rating delle agenzie e delle ancor più recenti vicende sulla valutazione di debiti sovrani, ma già – pur se timidamente – in occasione delle precedenti crisi finanziarie: per un completo panorama dell’evoluzione dell’approccio alla regolamentazione delle agenzie di rating sino all’esplodere della crisi del 2008 v. PRESTI, Le agenzie di rating: dalla protezione alla regolazione, in Jus, 2009, p.65 ss.. dell’emittente-pagatore), in ragione della struttura del loro capitale e del
fatto che essi prestino la loro attività per lungo tempo in favore dello stesso
emittente” 2. E il dibattito sulle modifiche alla disciplina comunitaria ha
visto, sotto molti profili, contrapporsi opinioni diverse, anche radicalmente e
registra ragioni di confronto vivace. Anche qui valga un esempio in ambito
comunitario. Nel parere del 29 marzo 2012 richiesto dal Consiglio e dal
Parlamento Europeo al Comitato Economico e sociale europeo si legge che la
proposta di modifica del regolamento sul conflitto di interessi non è
sufficientemente concreta e che dovrebbe essere disciplinata più in dettaglio,
specie quando si tratta di definire gli obblighi dei soggetti che hanno il
dovere di farle rispettare in ragione del rischio di assenza di indipendenza.
In chiusura di parere si riferisce della proposta della sezione specializzata
del consiglio, non approvata ma non certo scarsamente sostenuta (78 voti
contrari, 55 a favore, 13 astenuti), per cui si ritiene “indispensabile, per
accrescere la qualità, la trasparenza, l’indipendenza, la pluralità delle
opinioni e la concorrenza nel campo delle agenzie di rating, che la
Commissione crei una agenzia europea indipendente di rating, che emetta
rating indipendenti, che saranno pagati dagli emittenti, ma che non emetterà
rating degli Stati per evitare ogni possibile sospetto di conflitto di interessi”3.
Dove si vede, peraltro, come una delle ipotesi più radicali di intervento nella
disciplina delle agenzie di rating per rafforzare l’indipendenza dei loro
giudizi deve subito fronteggiare il rischio che essa stessa dia luogo a nuovi
conflitti di interessi.
Il tema dunque non si presta a facili soluzioni: eppure è un tema non
solo non eludibile, ma decisivo e qualificante ogni disciplina del rating e in
2
Commissione europea, Documento di lavoro della commissione sull’analisi di impatto della proposta di regolamento di modifica del regolamento CE 1060/ sulle agenzie di rating, del 15 novembre 2011, pp.1‐2. 3
Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio di modifica del regolamento CE n. 1060/2009 sulle agenzie di rating (Relatore: Palenik) generale dei mercati finanziari, come è ormai largamente riconosciuto. Tutti
dichiarano di volerlo affrontare: sulle concrete scelte di intervento, però,
molte sono le opzioni sul tappeto e ancor più le opinioni espresse nelle varie
sedi istituzionali e economiche. Ne è perfetta testimonianza il dibattito
preparatorio sulle modifiche al regolamento comunitario che si annunciano,
i molti emendamenti avanzati -
anche netti – su temi qualificanti la
proposta, l’emersione, non appena si delineano le possibili scelte di
intervento, del tema dei costi che tali scelte comportano, l’esigenza di un
attento bilanciamento con i benefici auspicati e, come si accennava, la
necessità di verificare se soluzioni nuove non rechino problemi nuovi di
conflitto di interessi.
Il laboratorio comunitario è oggi un punto di osservazione privilegiato
della materia, in uno con il confronto fra le esperienze dei vari ordinamenti
dove pure si dibatte il tema del rating; un confronto non solo accademico o di
studio ma di concreto impatto poiché da esso dipende anche l’importante
valutazione di equivalenza fra sistemi di regolazione che il legislatore
comunitario è chiamato a svolgere in forza dell’applicazione della attuale
disciplina comunitaria.
Attraverso questa lente può dunque esser utile ripercorrere i temi
salienti del problema dei conflitti di interesse nel settore del rating.
2. Gli interessi in conflitto: il ruolo delle agenzie di rating nel
sistema complesso dei mercati finanziari, il legame con gli
emittenti e alcuni comportamenti pericolosi.
Le agenzie di rating sono divenute, di fatto e, successivamente in misura
via via crescente, per scelte regolamentari, soggetti chiave nel sistema dei
mercati finanziari. Il loro giudizio– di privati e stati sovrani e degli
strumenti finanziari da loro emessi – rappresenta, secondo la corrente
ricostruzione, un importante rimedio alle asimmetrie informative nel
particolare settore del merito di credito4 dell’emittente strumenti finanziari.
Elaborando, in linea di principio in modo continuo, informazioni pubbliche o
acquisite dall’emittente, sia in occasione dell’emissione di uno strumento
finanziario, sia durante la sua vita, dovrebbe contribuire a ridurre i rischi
delle asimmetrie informative (moral hazard e adverse selction), agevolare
l’investitore nell’operare le proprie scelte, influenzare le scelte stesse
dell’emittente nella struttura del capitale, rappresentare insomma un
tassello importante nella costruzione della fiducia nei mercati finanziari. Il
giurista – che pure legge con interesse il serrato dibattito fra gli economisti
sul grado di effettiva influenza del giudizio delle agenzie di rating sui prezzi
degli strumenti finanziati, sull’effettivo valore aggiunto che le agenzie di
rating danno al livello di informazione disponibile al mercato e in generale
sui benefici che il mercato riceve al loro operato – nel valutare opportunità e
modi di un intervento regolatore deve prendere atto che i giudizi delle
agenzie di rating hanno assunto, anche e soprattutto per scelte
regolamentari5, un impatto determinante sulla struttura dei mercati
finanziari,
sulla
valorizzazione
degli
strumenti
finanziari,
sui
comportamenti degli attori del mercato. Il rilievo del rating nella
determinazione dei requisiti patrimoniali di banche e intermediari
finanziari, nella determinazione delle scelte di investimento, nella stessa
misurazione delle responsabilità degli intermediari nei confronti della
clientela retail, porta naturalmente le agenzie di rating e l’emissione dei loro
giudizi nell’ambito di quelle istituzioni che non possono essere lasciate, nella
4
L’espressione è ovviamente usata in senso lato: l’oggetto del giudizio delle agenzie non tiene conto di una serie di fattori che pure influenzano il merito di credito ed è, comunque variamente articolato (e differente da agenzia a agenzia) in relazione ai vari possibili indicatori e patologie del merito di credito: v. sul punto FERRI‐LACITIGNOLA, Le agenzie di rating, Bologna, p…… 5
Al segno si sostiene che l’importanza del ruolo dei giudizi delle agenzie di rating (e l’incremento del loro reddito) è dovuto al fatto che vendano “licenze regolamentari” e che proprio il valore regolamentare del rating ha generato la possibilità che la sua variazione possa avere un impatto sui prezzi (che diversamente non farebbe che seguire il mercato, analizzando dati sostanzialmente già noti): e la nota tesi di…… loro disciplina, alla autoregolamentazione o alla (ipocrita) riduzione al ruolo
di consulenti di chi richiede il rating o di “opinionisti” sui mercati finanziari.
Al contrario, ormai da tempo – e anche quando non poteva parlarsi di
una vera e propria disciplina delle agenzie di rating – esse sono annoverate
nella sempre più vasta platea dei c.d. gatekeepers dei mercati e ci si
interroga, anche in prospettiva regolamentare, sulle ragioni dei loro
periodici fallimenti6. E come per ogni gatekeeper uno dei nodi della
regolamentazione è quello di assicurare che la loro attività venga svolta in
modo del tutto indipendente e libera da conflitti di interesse, non
diversamente per quel che già accade, p.es., per i revisori o per gli analisti
finanziari o, nei rapporti con la clientela, per gli stessi intermediari
finanziari 7. Dove l’interesse che le agenzie dovrebbero servire senza essere
influenzate o condizionate da interessi diversi e confliggenti è quello che
genericamente si definisce come interesse generale all’integrità del mercato;
interesse che richiede, a tutela del risparmio in esso investito, che i soggetti
che danno informazioni al mercato, nella specie tramite giudizi sul merito di
credito dell’emittente, oltre a essere accurati, non siano o appaiano
influenzati dal perseguimento degli interessi del soggetto valutato o di altri
operatori sui mercati finanziari.
6
CONTROLLARE watchdog 7
Per una significativa riaffermazione del ruolo di “gatekeeper” delle agenzie di rating e della loro assimilabilità, p.es., ai revisori e agli analisti finanziari v. il punto 2 dei “findings” del Subtitle C—
Improvements to the Regulation of Credit Rating Agencies, del Dodd‐Frank‐Act :”Credit rating agencies, including nationally recognized statistical rating organizations, play a critical ‘‘gatekeeper’’ role in the debt market that is functionally similar to that of securities analysts, who evaluate the quality of securities in the equity market, and auditors, who review the financial statements of firms. Such role justifies a similar level of public oversight and accountability”; e al punto 3 “Because credit rating agencies perform evaluative and analytical services on behalf of clients, much as other financial ‘‘gatekeepers’’ do, the activities of credit rating agencies are fundamentally commercial in character and should be subject to the same standards of liability and oversight as apply to auditors, securities analysts, and investment bankers”. Pure significativa in tal senso è l’equiparazione delle agenzie di rating ai revisori in ordine al regime di responsabilità prevista dal § 933(a) del Dodd‐Frank‐Act. Ciò impone al regolatore delle agenzie di rating di farsi carico della
complessità dell’attuale struttura dei mercati finanziari dove i ruoli (e gli
interessi) dei soggetti che vi operano sono tutt’altro che nitidamente
tracciati: e dove quindi le semplificazioni dell’analisi al fine di individuare le
soluzione più adeguate espongono al pericolo di soluzioni insufficienti.
Questa complessità – e il suo impatto sulle scelte regolamentari in tema di
conflitto di interessi – si è manifestata in modo molto netto (come è normale
che sia) nella crisi finanziaria che stiamo vivendo. Sotto accusa per il ruolo
svolto nelle vicende della creazione dei prodotti di finanza strutturata
“rating driven”, in ragione dell’emersione di un conflitto di interessi
generato dalla volontà di favorire gli interessi degli emittenti/clienti delle
agenzie, le agenzie di rating si vedono imputare analoga accusa in occasione
del downgrade dei debiti sovrani, questa volta in quanto favorirebbero
attività speculative degli investitori istituzionali che, anche in virtù della
struttura
proprietaria
delle
agenzie,
potrebbero
influenzarne
il
comportamento8.
Normalmente, tuttavia, la riflessione sulla regolamentazione volta a
garantire l’indipendenza delle agenzie di rating e a evitare o gestire
adeguatamente le situazioni di conflitto di interessi muove essenzialmente
dalla considerazione dei rapporti esistenti tra agenzie di rating ed emittenti,
ossia tra valutatori e valutati.
Ferma restando la ricordata incompletezza di questo approccio e
rammentando che – come si avrà modo di constatare – una parte importante
della regolamentazione del conflitto di interessi riguarda il tema più
generale degli assetti proprietari e di governance delle agenzie di rating,
conviene appuntare l’attenzione su alcune pratiche e vicende proprie dei
8
Dove, in estrema semplificazione, il conflitto si indirizzerebbe nella concessione di rating generosi o severi in ragione del fatto che essi servano gli interessi di chi emette il prodotto, ovvero di chi faccia trading sul prodotto (che solo per comodità chiamiamo emittenti e investitori, come se fossero per definizione soggetti diversi, che in realtà non sono) rapporti fra agenzie di rating e emittenti, che forse meglio di altre sono in
grado di rivelare i rischi e le distorsioni che una non adeguata regolazione
dei conflitti di interesse può generare. Si tratta in particolare:
- del c.d. unsolicited rating, consistente appunto in giudizi emessi dal
valutatore sponte propria, spesso piuttosto negativi, ma saggiamente
rivedibili in miglioramento, ove richiesti (e pagati);
- del c.d. rating shopping , fisiologicamente presente in un sistema in cui
è il valutato a pagare il valutatore: l’emittente potrebbe essere portato a
scegliere l’agenzia che ritenga meglio disposta di altre nei suoi confronti e,
specularmente, l’agenzia chiamata a dare il proprio giudizio potrebbe essere
spinta a valutazioni benevole, per il timore di perdere il cliente;
- del ruolo attivo spesso svolto dalle agenzie con riferimento a operazioni
di finanza strutturata, aventi come noto a oggetto prodotti finanziari di
particolare complessità; qui il conflitto può nascere dalla duplicità delle
funzioni che l’agenzia può svolgere: da un lato valuta un determinato
prodotto (se non direttamente l’emittente), dall’altro può essere al tempo
stesso advisor
nella realizzazione di un’operazione certamente rating
driven: come a dire, esprime indirettamente un’autovalutazione del proprio
operato.
Qualche ulteriore considerazione su queste tre ipotesi non sembra inutile
per
inquadrare
il
dibattito
in
corso
sui
profili
regolamentari
dell’indipendenza e dei conflitti di interesse delle agenzie di rating.
2.1 Rating non richiesti
Con riferimento agli unsolicited rating, deve notarsi che si tratta di
prassi in larga diffusione, non più limitata alle agenzie a dimensione
prettamente nazionale, come all'origine.
Se il rischio del conflitto di interessi appare evidente, deve comunque
notarsi che siffatte valutazioni “non volute” possono svolgere un ruolo
positivo nei mercati più piccoli o più opachi; in quelli cioe' in cui sia più
difficile procurarsi informazioni. Non di meno, se queste valutazioni sono
espresse in via autonoma dall'agenzia, esse non potranno che basarsi sui
dati pubblicamente disponibili, non potendo per cio' essere particolarmente
approfondite e, in ultima analisi, davvero affidabili.
Il giudizio "unsolicited" in sostanza dovrebbe essere espresso solo in
presenza di informazioni pubbliche sufficientemente ampie e credibili da
consentire,
nel
prudente
apprezzamento
dell'agenzia,
di
esprimere
valutazioni fondate e non fuorvianti.
2.2 Rating shopping
Il procedimento attraverso il quale si perviene all’elaborazione e
quindi all’assegnazione del rating può essere la variabile chiave nel
determinare il fenomeno del rating shopping: in effetti, almeno in linea di
tendenza, l’agenzia sottopone all'impresa oggetto di valutazione sia le
proprie commissioni e ogni altro aspetto relativo alle controprestazioni
contrattuali, sia il presumibile giudizio che essa potra' ottenere.
Cio' puo' certamente innescare un perverso procedimento di ricerca
del valutatore più favorevole (oltre che di quello meno costoso).
Va detto, peraltro, che il fenomeno assume rilievo soltanto con
riguardo a strumenti finanziari complessi, in quanto dinanzi a operazioni
semplici e' improbabile che agenzie di rating "di primo livello" possano dare
giudizi molto differenti fra loro.
2.3
Rating e finanza strutturata
La finanza strutturata lato sensu intesa, sviluppatasi a partire dai
primi anni novanta del secolo scorso e messa pesantemente sul banco degli
imputati nel 2007, allo scoppio del terremoto finanziario provocato dalla
crisi dei mutui c.d. subprime, pone delle implicazioni delicate quando
diviene oggetto di rating o meglio, tali criticità sorgono quando gli strumenti
e i prodotti della finanza strutturata vengono classati per il tramite di un
giudizio di rating.
L’aspetto
regolamentazione
delicato
del
–
e
conflitto
sotto
di
il
profilo
interessi,
dell’esigenza
della
qualitativamente
e
quantitativamente molto più preoccupante del semplice dato che il giudizio
dell’agenzia di rating è pagato dall’emittente – della relazione tra
(l’assegnazione di un) rating e (la) finanza strutturata sta proprio nel fatto
che è il titolo, in questo caso, a essere disegnato ed espressamente realizzato
in maniera tale da essere meritevole di un rating (il più delle volte già
stabilito) e non, come invece solitamente avviene per gli strumenti della
finanza “tradizionale”, a essere “costruito” prima e in maniera indipendente
dalla futura ed eventuale valutazione dello stesso attraverso un giudizio di
rating.
E' invero noto come sia l'emittente a scegliere di costruire uno
strumento cui possa attribuirsi un certo rating. E se ci si avvale proprio di
una agenzia di rating per creare il prodotto che possa corripondere alla
valutazione auspicata, il conflitto e' evidente e insopprimibile, ove l'agenzia
agisca ex ante come un vero e proprio advisor finanziario dell’emittente,
aiutando quest’ultimo a realizzare un prodotto che risponda a quei requisiti
che, ex post, permetteranno alla stessa agenzia, “mutata la propria casacca”,
di classare l’oggetto frutto (almeno in parte) della sua stessa opera
d’ingegno.
Il mercato dunque ha visto le agenzie di rating, proprio con
riferimento ai prodotti di finanza strutturata – complessi e opachi - porsi
come unico arbitro della quantificazione del rischio insito in essi. E ha visto
o “scoperto” che il valutatore, oltre a ricevere un compenso per svolgere
questa valutazione al fine dell’emissione del giudizio, riceve un ulteriore (e
maggiore) compenso per consigliare l’emittente su come strutturare il
prodotto al fine di ottenere il giudizio più favorevole possibile. In assenza
sostanziale, prima dell’esplodere della crisi del 2007, di disciplina
regolamentare del conflitto di interessi.
3. Le politiche di contenimento dei conflitti di interesse
nell’attività delle agenzie e i vari possibili livelli di intervento.
Prima di illustrare i vari possibili livelli di intervento regolamentare
volti a eliminare, attenuare o gestire i rischi di conflitto di interessi
nell’operato delle agenzie di rating è appena di caso di precisare che
tali regole vanno inquadrate in un più vasto ambito normativo che
concorre a rendere più efficaci anche le regole sul conflitto di
interessi. La previsione di un sistema autorizzativo per la prestazione
dei servizi di rating in uno con l’individuazione di una autorità di
vigilanza, regole per favorire l’aumento della concorrenza sul mercato
del rating, la disciplina del modelli di valutazione, la posizione di
obblighi informativi a carico delle agenzie di rating in merito alle
politiche adottate per gestire i conflitti di interessi, la disciplina del
flusso di informazioni dall’emittente all’agenzia, un adeguato sistema
sanzionatorio, sono tutti tasselli che concorrono a formare un
necessario frame work normativo senza il quale le regole sul conflitto
di interesse ne uscirebbero gravemente depotenziate.
3.1.
Cambiare il modello di remunerazione (e selezione) delle agenzie di
rating?
Spesso le analisi sul conflitto di interessi nell’attività delle agenzie di
rating muovono dalla constatazione che tale conflitto è insito nel modello di
operatività che si è affermato, per cui sono gli emittenti a pagare le agenzie
di rating per ottenerne il giudizio9. Talvolta si avverte in queste
considerazioni il rimpianto per l’età “antica” in cui era l’investitore che si
rivolgeva all’agenzia di rating per ottenere un giudizio sul merito di credito
e si ipotizza di tornare a tale sistema o comunque di risolvere il problema
del conflitto di interessi intervenendo nella definizione di chi debba pagare
per l’emissione dei giudizi da parte dell’agenzia.
Come si accennava, identificare nell’attuale complesso sistema dei
mercati finanziari e della disciplina dei gatekeepers il conflitto di interessi
rilevante nel fatto che l’agenzia di rating è pagata dall’emittente gli
strumenti finanziaria oggetto del giudizio pecca di eccessiva semplificazione
e trascura l’ovvio dato che altri gatekeepers sono pagati dai soggetti
“custoditi”. Basti pensare, p.es., ai revisori (o anche ai sindaci) la cui
disciplina si è nel tempo evoluta proprio nel senso di prevedere – sotto vari
profili – presidi all’indipendenza e al conflitto di interessi, non dissimili da
quelli su cui si sono soffermati i vari interventi in tema di agenzie di rating.
Si può tuttavia rilevare che altro è un revisore – la cui funzione di
gatekeeper si svolge nell’ambito della struttura di governance posta a carico
dell’emittente – altro è l’agenzia di rating che, in linea di principio, opera sul
mercato offrendo una prestazione (il giudizio sul merito di credito) che può,
in astratto esser oggetto di incarico da parte anche degli investitori. D’altro
lato, però, il rilevato ( e sempre più importante) ruolo affidato proprio dal
regolatore al rating sotto vari profili10, e in particolare al fatto che i loro
giudizi siano, come è stato scritto, vere e proprie licenze regolamentari, non
9
Così, p. es., lo stesso considerando 6 della proposta di modifica del regolamento comunitario pure come essenziale ragione del rafforzato intervento sul conflitto di interessi le disposizioni che nascono dal modello “issuer‐pays”. 10
Anche nell’ambito – tanto per fare un esempio legato proprio alle più recenti polemiche sui giudizi emessi dalle agenzie di rating ‐ delle condizioni di accesso agli interventi di sostegno agli stati sovrani per fronteggiare l’attuale crisi finanziaria europea. può non accrescerne il peso sistemico nell’ambito dei mercati finanziari e
rafforzare chi vorrebbe introdurre modelli alternativi di remunerazione.
E’tutt’altro che scontato, però, che tale scelta porti al superamento dei
conflitti di interesse. Come si è già rilevato l’adozione del modello investorpay non significa certo che, per definizione, l’interesse che muove le scelte
degli investitori istituzionali coincida con quello – superiore – dell’integrità
del mercato; né che possano escludersi ipotesi in cui l’emissione di un certo
giudizio (o, soprattutto, la variazione nel tempo del giudizio su un
determinato emittente o di un determinato strumento) non avvenga secondo
criteri
di
assoluta
indipendenza
rispetto
all’interesse
particolare
dell’investitore/sottoscrittore. Ancora non deve, purtroppo, dimenticarsi che
maggiore è l’impatto che sui prezzi può avere il giudizio dell’agenzia di
rating maggiore sarà il possibile interesse privato proprio di chi investe sui
mercati a influenzare l’emissione del giudizio. Rischio questo amplificato dal
fatto che sul mercato finanziario non esiste un archetipo di “investitore”, ma
esistono diversi tipi di “investitori”, con diversi obiettivi e diversi interessi
perseguiti, influenzati in modo diverso dai giudizi emessi dalla agenzie di
rating e così oggetto di attenzioni diverse (basti comparare un hedge fund
con un fondo pensione per comprendere il senso di quanto ora rilevato)11.
Più interessante, se volessero seguirsi strade radicali di intervento sul
sistema di remunerazione delle agenzie di rating,
sarebbe la scelta del
modello di remunerazione a opera del mercato (c.d trading venue pay)
oppure la creazione di una sorta -come e' stato detto- di “piattaforma
(comune) di compensazione”12.
11
Il passaggio ad un modello investor‐pays, si sottolinea anche, potrebbe anche comportare maggiore difficoltà per I piccoli emittenti di accedere al mercato dei capitali: v., p.es., in tal senso la notazione del Working paper sull’analisi di impatto della proposta di modifica del regolamento CE del 15 novembre 2011, a p.45. 12
Al riguardo si osserva che uno svantaggio di tale sistema starebbe nella mancata considerazione dei rating su emissioni non quotate e nel fatto che potrebbe condurre a scaricare sui clienti i costi finali del rating. Il vero è che seguendo questa traccia di intervento il tema della
remunerazione si intreccia strettamente con quello delle modalità di
selezione delle agenzie. Ci si interroga allora, oltre che su chi debba pagare
l’agenzia, su chi dovrebbe gestire la scelta dell’agenzia; il caso, il mercato
stesso o, come autorevolmente si sostiene, una autorità indipendente. Come
è noto, negli Stati Uniti d’America il tema del modello di remunerazione e
della scelta dell’agenzia è oggetto del Dodd-Frank Act e in particolare del
c.d. Frank Amendment (§ 939f) nel quale appunto si è incaricata la SEC,
nell’ambito del rating dei prodotti di finanza strutturata, di studiare
l’impatto fra modelli di remunerazione e conflitto di interessi, nonché di
analizzare i meccanismi di determinazione e modalità di pagamento dei
compensi, e verificare l’opportunità di abbandonare il sistema della scelta
dell’agenzia da parte del emittente affidandola invece a un organo
indipendente, al quale parteciperebbero rappresentanti degli investitori,
dell’emittente dell’autorità di sorveglianza. Non risulta a tutt’oggi l’esito
degli studi della SEC, ma il tema ha suscitato e suscita un dibattito vivace
negli Stati Uniti. La regola mirerebbe, eliminando il conflitto di interessi
basato sul modello issuer-pays, e creando un’autorità indipendente con
potere di scelta, a consentire anche una verifica oggettiva sull’affidabilità
dei giudizi con una ricaduta molto concreta sul mercato. Si oppone che
togliendo al mercato la valutazione sulla reputazione e affidabilità
dell’agenzia e la scelta dell’agenzia diminuirebbero gli incentivi alla
competizione sulla base dei prezzi e della qualità dei servizi; si obietta,
dall’altra parte, che è proprio la situazione di conflitto di interessi ad aver
evidenziato il fallimento del mercato in tema di rating13.
13
Il pensiero del senatore Franken sull’opportunità di attendere lo studio della SEC per implementare il suo emendamento è piuttosto chiaro "I don't know why you need to do much of a study on this thing, We know what happened. This is like doing a study on whether using steroids is a good idea for ballplayers." Ma ha anche spiegato nella stessa intervista che sarebbe stato il senatore Dodd a spiegargli che la agenzie di rating dovevano essere studiate ulteriormente affinchè non si provocassero risultati non voluti dall’attuazione immediate delle sue riforme: fonte http://www.creators.com/opinion/joe‐
conason/franken‐calls‐for‐oversight‐of‐ratings‐agencies.html
L’evoluzione del regolatore europeo, peraltro, non si muove verso
questo modello.14
Naturalmente l’implementazione di questo tipo di interventi per
eliminare o diminuire il rischio del conflitto di interessi sembrerebbe anche
richiedere, per poter avere un concreto impatto, una maggiore concorrenza
sul mercato delle agenzie di rating che è appunto questione assai dibattuta e
oggetto in varie sedi di interventi regolamentari. Si può aggiungere che, in
questo quadro, possono svolgere un ruolo le proposte di creazione di un
agenzia di rating europea indipendente. Il tema è tuttavia ancora
magmatico e orientato a finalità diverse: si confrontano modelli di agenzia
pagati dagli emittenti, non modelli – limitati però al rating su debiti sovrani
– che pongono a carico dei governi il pagamento del giudizio. Pure si propone
la promozione di un rete fra le agenzie di rating medio-piccole europee per
offrire una alternativa credibile alle tre major15.
In sintesi: l’intervento sui modelli di remunerazione e di scelta
dell’agenzia di rating in chiave di governo del conflitto di interessi sembra
ancora lontano dall’essere perseguito in Europa e attende l’esito dello studio
SEC negli Stati Uniti. Tuttavia, la Commissione Europea tiene sotto
controllo il tema dell’adeguatezza del sistema di remunerazione delle
agenzie di rating ed è previsto per la fine dell’anno, ai sensi dell’art. 39,
par.1, un rapporto al riguardo al Parlamento Europeo e al Consiglio. E,
come si dirà subito, la remunerazione dell’agenzia di rating resta comunque
uno dei passaggi centrali delle regole sulla prevenzione e la gestione del
conflitto di interessi in relazione ai rapporti con l’emittente.
14
V. le ragioni esposte nel Working paper sull’analisi di impatto della proposta di modifica del regolamento CE del 15 novembre 2011, a p.50‐51. 15
E vedi anche la proposta di inserimento di un considerando 6 b alla proposta di modifica del regolamento per incoraggiare l’uso delle piccole agenzie di rating che v. nel Report del Comitato per gli affari economici e monetari del 25 giugno 2012. 3.2
L’indipendenza delle agenzie di rating. Assetti proprietari, relazioni
pericolose e divieti all’emissione dei giudizi (o obblighi di disclosure della
situazione esistente)
L’indipendenza (e così l’assenza o la riduzione di fattispecie di
conflitto di interessi) di un gatekeeper si misura, in linea di principio,
rispetto ai soggetti in favore dei quali effettuano il loro controllo o che
possono avere un interesse all’esito di questo controllo. Fra il soggetto
“controllato” e il gatekeeper non dovrebbero esistere relazioni
tali da
minarne l’indipendenza: in questo ambito la disciplina degli assetti
proprietari delle agenzie di rating e dei limiti all’emissione dei giudizi in
favore di soggetti che siano legati, per tale via, alle agenzie è un tema che
non può essere eluso in sede regolamentare. Nel complesso mondo dei
mercati finanziari dove gli interessati al rating non sono solo gli emittenti
ma anche gli investitori istituzionali, l’indipendenza dell’agenzia di rating
dovrebbe ben esser predicata anche in tale direzione.
Un approccio radicale potrebbe suggerire una regola tranchant:
nessun emittente titoli sottoposti al giudizio dell’agenzia di rating e nessun
investitore istituzionale dovrebbe poter partecipare al capitale dell’agenzia
di un’agenzia di rating, né comunque avere rapporti tali da poter influire,
anche potenzialmente, su chi amministra o opera in un agenzia di rating.
L’agenzia, in questa prospettiva, dovrebbe essere un soggetto il cui assetto
proprietario e di controllo si colloca all’esterno dei destinatari – ad ogni
livello- dei suoi giudizi, e la cui indipendenza (come la moralità della moglie
di Cesare) non solo deve esser tale ma apparire anche tale.
Si tratta, evidentemente, di una prospettiva utopica alla luce
dell’attuale assetto proprietario e di controllo delle principali agenzie di
rating16; ma è proprio la considerazione di tali assetti che desta più di una
preoccupazione e la necessità di intervenire al riguardo a tutela dell’effettiva
indipendenza delle agenzie di rating.
Gli interventi che si prefigurano in sede di regolamento comunitario
si muovono su binari più limitati e si rivolgono, più realisticamente, non a
fissare limiti soggettivi alla partecipazione al capitale delle agenzie di rating
ma limiti all’emissione dei giudizi di rating o limiti ai rapporti fra azionisti
rilevanti delle agenzie di rating e soggetti valutati dalle agenzie.
Si tratta di previsioni di estrema importanza in funzione di
prevenzione dei conflitti di interessi, per le quali va evitato – specie tramite
la fissazione di soglie troppo elevate o di definzioni delle fattispecie
applicative troppo restrittive – il rischio di un eccessivo depotenziamento.
In particolare nelle proposte di modifica al regolamento comunitario si
intende fissare:
-
un limite alle partecipazioni in più di una agenzia di rating,
accompagnate da eventuali obblighi di disclosure per partecipazioni di
ammontare inferiore. Le soglie variano a seconda dei proponenti dal 5
al 25%: quest’ultima soglia, tuttavia, rischia di non essere, alla luce
degli assetti proprietari, particolarmente significativa;
-
il divieto di emettere rating per soggetti i cui strumenti finanziari
siano posseduti da azionisti rilevanti della agenzia di rating. La
discussione sul punto non riguarda solo la nozione di rilevanza e
l’individuazione
della
soglia
della
partecipazione
rilevante
nell’agenzia di rating (10% o 2%) ma anche l’opportunità stessa della
16
V. per dati sufficientemente recenti su S&P ‘s e Moody’s v. il già citato Rapporto sull’impatto delle proposte di modifica del regolamento comunitario, p. 113 ove la notazione che direttamente o indirettamente le partecipazioni sono riferibili in gran parte a soggetti che prestano servizi finanziari (in particolare gestori di fondi e investitori istituzionali) e spesso tali soggetti hanno partecipazioni rilevanti in entrambe le società(v. anche lo schema a p. 115 sugli incroci azionari fra tali soggetti). previsione di divieto preferendosi un semplice obbligo di disclosure. Il
tema è evidentemente assai delicato se si considera che azionisti
rilevanti delle società di rating sono investitori istituzionali di
estrema importanza in cui il rischio di conflitto di interessi in merito
all’emissione di un giudizio si pone non solo con riguardo a soggetti o
strumenti finanziari che fanno parte del patrimonio dell’azionista, ma
in modo ancora più rilevante ai fine delle finalità perseguite dalla
normativa, degli strumenti finanziari nei quali essi investono il
risparmio
raccolto,
sia
direttamente,
sia
soprattutto
tramite
strumenti finanziari complessi o derivati. Il giudizio dell’agenzia
potrebbe esser usato per “favorire” scelte di investimento in una o in
altra direzione, anche a carattere speculativo, a seconda della natura
del fondo che l’azionista della società di rating gestisce. La versione
più severa del divieto che verrà posta in discussione prevede che non
rilevino le partecipazioni detenute nell’ambito di organismi collettivi
di investimento, inclusi fondi gestiti, fondi pensioni e collegati ad
assicurazioni sulla vita che non li pongano in una posizione di
esercitare
un’influenza
significativa
sull’attività
gestoria
dell’organismo;
-
limiti alla possibilità di cross-directorship fra azionisti rilevanti della
società di rating e soggetti valutati17;
-
divieto di emettere rating quando il soggetto valutato detenga,
direttamente o indirettamente una determinata quota del capitale
dell’agenzia di rating. Anche qui la discussione vede contrapporsi
diverse opinioni sulla soglia di partecipazione rilevante che oscilla fra
il 2 e il 25%, percentuale quest’ultima che rende il divieto quasi privo
di effetto sostanziale per le principali agenzie di rating;
17
Il dibattito in sede comunitaria si sviluppa negli stessi termini illustrati per il divieto di emettere rating su titoli detenuti dagli azionisti rilevanti di una agenzia di rating. -
infine si propone, con regola particolarmente opportuna, che qualsiasi
persona che detenga più del 5% del capitale o dei diritti di voto di
un’agenzia o che sia altrimenti in grado di influenzare in modo
significativo le attività economiche dell’agenzia stessa, non possa
essere autorizzata a fornire consulenze al soggetto valutato per quel
che riguarda la struttura societaria o giuridica, l’attivo, il passivo o le
attività del soggetto stesso. La regola, idealmente legata al
fondamentale e già previsto divieto per l’agenzia di rating di fornire
consulenza al soggetto valutato, ne evita il possibile aggiramento e
deve, ovviamente, esser modulata e interpretata con rigore,
rifuggendo da letture formalistiche. Essa infatti è una regola volta a
fronteggiare la peggiore delle distorsioni che, in concreto, si è rilevata
nel corso di questi anni nella prestazione dell’attività di rating, e cioè
quella relativa ai prodotti finanziari strutturati in cui l’agenzia
forniva la consulenza all’emittente al fine di potergli concedere –
generosamente – il rating.
Oltre alle proposte di modifiche al regolamento l’attuale disciplina
aveva già individuato una serie di fattispecie nella quali veniva
previsto il divieto di emissione del rating ovvero, in caso di emissione
del rating già avvenuta, la disclosure della situazione a rischio di
conflitto.
L’attenzione del regolatore si era concentrata sulla posizione
dell’agenzia di rating o dei soggetti che operano per l’agenzia di rating
rispetto al soggetto giudicato, e così un interesse proprietario, ovvero
la partecipazione agli organi di amministrazione e controllo, o
comunque – rispetto agli analisti che in concreto lavorano o
approvano un giudizio - ogni relazione che può comportare un
conflitto di interessi (v. la casistica di cui all’all.I sec.B, punto 3 lett-
a-d e con essa la difficilmente reprimibile tentazione di estendere,
accanto alla casistica specifica esistente e proposta, la formula di
chiusura della lett. d), anche per eventuali relazioni pericolose
dell’agenzia o dei soggetti che, in virtù della loro posizione
proprietaria, vi partecipino).
In questo ambito la comparazione con il sistema statunitense
evidenzia che a differenza del sistema europeo esso precluda
emissione e mantenimento del rating nei confronti di un emittente
dal quale nell’ultimo esercizio l'agenzia abbia percepito proventi pari
almeno al 10% del suo reddito netto. Fattispecie per la quale la
normativa europea prevede solo – con riguardo alla soglia del 5% - un
obbligo di disclosure, quando probabilmente una maggiore attenzione
al riguardo sarebbe raccomandabile.
Per il resto il sistema statunitense si muove, con riguardo ai temi qui
discussi, su linee non dissimili da quelle attualmente vigenti in
Europa.
3.3 . La prestazione di servizi diversi dal rating da parte delle agenzie.
L’esperienza dell’emissione dei rating in materia di finanza
strutturata ha condotto alla previsione nel regolamento comunitario
del divieto per le agenzie di rating di prestare attività di consulenza
nei confronti del soggetto valutato ovvero di una parte ad essa
correlata in merito a una serie di specifici profili. Inoltre l’agenzia di
ratng deve assicurare che chi svolge l’attività di rating o chi l’approva
non faccia alcuna proposta, né formalmente né informalmente con
riguardo agli strumenti finanziari strutturati in relazione ai quali
l’agenzia di rating dovrà esprimere un giudizio. La formula usata per
vietare l’attività di consulenza deve
essere letta nel senso che
l’ambito della consulenza vietata – che si propone di estendere anche
ai soggetti che hanno partecipazioni rilevanti – riguarda certamente
ogni aspetto, generale e particolare, che possa riguardare strumenti
finanziari emessi o da emettere da parte del soggetto valutato e che il
divieto in questione copra le attività prestate formalmente o
informalmente.
Non è infrequente nella regolamentazione dei mercati finanziari
prevedere limitazioni, anche severe, dell’attività che possono essere
svolte dai soggetti sottoposti a vigilanza regolamentare, specie ove
esse godano, in ragione della sottoposizione a regole organizzative e
doveri di comportamento, di una riserva di attività in loro favore: anzi
non di rado si prevede che alla barriera all’ingresso rappresentata
dall’autorizzazione a svolgere quell’attività corrisponda l’obbligo per il
soggetto di svolgere solo l’attività autorizzata.
Per le agenzie di rating il legislatore comunitario prevede che
l’agenzia può prestare servizi diversi dall’emissione dei giudizi. Tali
servizi vengono definiti ancillary services e non possono far parte
dell’attività di rating: essi, si legge nella normativa, comprendono
previsioni di mercato, stime dei trend economici, analisi dei prezzi e
in generale di altri dati. Non è chiaro se l’agenzia può svolgere
soltanto l’attività di rating e i servizi ancillari: questa interpretazione
è però nettamente da preferire, alle luce del fatto che l’agenzia di
rating deve assicurare che la prestazione di ancillary services – per
quanto la sua nozione sembri “aperta” – non comporti conflitti di
interessi con l’attività di rating e che l’agenzia deve rendere noti i
servizi ancillari prestati a favore dei soggetti valutati.
Anche negli Stati Uniti d’America il tema dei servizi di consulenza e
dei servizi ancillari è sotto osservazione da parte della SEC e ha
formato anche oggetto di specifico divieto con riguardo alla
consulenza in tema di prodotti finanziari strutturati e, comunque, di
obblighi di disclosure. In esso infatti possano annidarsi sia forme di
aggiramento di attività di consulenza proibite, sia forme di cripto
remunerazione da parte degli emittenti. Forse un generale limite
quantitativo di fatturato per la prestazione di ancillary services da
parte dei soggetti valutati potrebbe esser raccomandato.
3.4 La regola di rotazione delle agenzie di rating.
Altro intervento di tipo strutturale in merito al rapporto agenzia di
rating-emittente riguarda la previsione di una regola di rotazione
dell’agenzia di rating, accompagnata da un periodo di c.d. cooling-off
prima di poter riprendere a rilasciare giudizi sul medesimo emittente o
suoi strumenti finanziari. Si tratta, probabilmente, della novità più
significativa e discussa della proposta di modifica del regolamento
europeo sulle agenzie di rating.
In particolare si è ipotizzata – nella proposta della commissione l’introduzione di una (per la verità un po’ farraginosa) regola di rotazione
per le agenzie di rating incaricate dall’emittente (tale disposizione
dunque non si applicherebbe nel caso di unsolicited rating) per quel che
riguarda il rating dell’emittente stesso o dei suoi strumenti di debito.
Nel dettaglio, si propone (ma, come si dirà subito, è una proposta
molto discussa) che l’agenzia di rating incaricata non rimanga in carica
per più di tre anni o per più di un anno nel caso in cui valuti
consecutivamente
oltre
dieci
strumenti
di
debito
dell’emittente
(occorrerebbe tuttavia che, in virtù di quest’ultima regola, la durata
dell’incarico non fosse ridotta a meno di un anno). Là dove un emittente
solleciti più di un rating per se stesso o per i propri strumenti, sia in
ragione di un obbligo di natura regolamentare, sia su base volontaria, e
nel caso (dunque) in cui siano più d’una le agenzie operanti con
riferimento allo stesso soggetto, è previsto che solo una delle agenzie
debba essere sostituita. In ogni caso, la proposta della Commissione
prevede espressamente che la durata massima dell’incarico per ciascuna
agenzia di rating non possa superare i sei anni (a tal fine, si valuta
l’opportunità che la società di rating cessata dall’incarico, o qualsiasi
agenzia che faccia parte dello stesso gruppo o che, alternativamente,
abbia un legame di natura proprietaria con la società non abbia la facoltà
di rilasciare, nuovamente, valutazioni sul medesimo emittente o sui suoi
strumenti finché non sia trascorso un adeguato intervallo di tempo).
Si prevede inoltre l’obbligo per l’agenzia “uscente” di fornire
all’agenzia “entrante” un vero e proprio dossier informativo “di
passaggio” comprendente tutte le notizie rilevanti al fine di poter far
svolgere nel modo più opportuno e completo, alla nuova società
incaricata, l’attività di classamento. La Commissione si augura e sembra
ritenere che tale rotazione obbligatoria, la quale, per espressa
disposizione, non si applicherebbe nel caso dei rating sovrani, possa
essere in grado di attenuare in maniera significativa i potenziali conflitti
d’interesse relativi al paradigma issuer-paying.
Si intende, con questa regola, evitare i rischi di conflitto di interessi
che possono derivare dal mantenimento di relazione contrattuali di lungo
periodo con uno stesso emittente. Sono rischi effettivi che si traducono in
quella che viene definita nei considerando della proposta di modifica
eccessiva familiarità o “simpateticità” con i desiderata dell’emittente che
derivano da un legame contrattuale troppo stabile. Familiarità e
simpateticità di cui un fatturato stabile o crescente è solido cemento. La
regola si lega – portandola ad un livello più alto - a quella già esistente, e
che ci si propone di rafforzare in sede di modifica al regolamento
comunitario, sulla rotazione interna alla società di rating dei soggetti che
si occupano dei giudizi sul medesimo emittente. Si tratta delle
disposizioni in ragione delle quali gli analisti di rating non possono
partecipare all’attività di rating nei confronti dello stesso soggetto per
più di quattro anni, evitando così che tali persone, cambiando datore di
lavoro e passando dunque a prestare la propria opera, eventualmente,
presso un’altra agenzia, possano portare con sé fascicoli e dossier di
singoli clienti (tali norme sulla rotazione interna si applicherebbero
anche in caso di unsolicited rating o di rating dei debiti sovrani).
La regola di rotazione sembra opportuna. Il rating non appare, infatti,
un settore ove convenga favorire la fidelizzazione del cliente e le sue
pericolose tecniche di marketing. A livello europeo, del resto, essa è
prevista anche per altro importante gatekeeper, il revisore sia pur con
termini e struttura diversi. La proposta della sua introduzione però non
è stata salutata da tutti con favore, in se e comunque nella sua concreta
declinazione. Nel Draft report sulla proposta di modificazione del
regolamento comunitario del 17 aprile 2012 numerose proposte di
emendamento erano rivolte alla eliminazione della regola18. La BCE, pur
formulando adesione all’introduzione della regola di rotazione, sottolinea
il rischio che essa abbia un impatto sulla qualità del rating poiché i nuovi
operatori potrebbero farsi concorrenza tramite prezzi troppo bassi o
rating esagerati, rimarca la necessità che la rotazione non interrompa
l’insieme dei dati– che la rotazione ovviamente favorirebbe e rimarca che
la regola di rotazione presupporrebbe un mercato più ampio delle agenzie
di rating e che dunque la durata della rotazione dovrebbe essere tarata
sulla struttura del mercato19. La discussione che sarà svolta in sede di
approvazione del regolamento vedrà contrapporsi versioni della regola
molto diverse fra loro, a partire dall’oggetto della rotazione (che potrebbe
18
Per completezza va segnalata anche la presenza di emendamenti che invece prevedevano un forte rafforzamente della regola giudicata, in concreto, troppo blanda. 19
Così il parere 2 aprile 2012 della Banca Centrale Europea sulla proposta di modifica del regolamento comunitario delle agenzie di rating che v. in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, 13 giugno 2012,, par. 3.4. esser limitata ai prodotti finanziari strutturati ovvero solo a fattispecie
di resecuritations con sottostante dello stesso originator), passando per la
durata della rotazione. Anche sull’obbligo di trasmettere i dati di insieme
alla nuova agenzia di rating non v’è accordo.
La regola, infine, non è prevista dall’ordinamento statunitense né, a
quanto consta, in altri ordinamenti.
3.5.La gestione dei conflitti di interesse da parte dell’agenzie di rating e i
requisiti: governance, regole di comportamento e sistemi di remunerazione
del personale.
Accanto agli interventi di tipo strutturale o operativi appena rilevati, un
ruolo centrale nella gestione dei conflitti di interesse assumono le regole
di tipo organizzativo. Si tratta anzi delle misure che per prime, in sede
comunitaria (ma anche negli Stati Uniti) hanno formato oggetto di
regolamentazione e che compongono ancor oggi il nucleo principale delle
regole in materia.
La stessa proclamazione di apertura dell’art.6 del regolamento 1060/2009
impone alle agenzie di rating di adottare ogni passo necessario per
assicurare che l’emissione del rating non sia affetta da conflitti di
interesse attuali o potenziali o da relazioni di affari riguardanti l’agenzia
emittente, i suoi manager, analisti, impiegati e ogni persona fisica che
presta servizi in favore dell’agenzia e ogni soggetto direttamente o
indirettamente legata da vincolo di controllo ad essa.
Dunque, si impone agli amministratori dell’agenzia di rating un dovere
generale di dotare la stessa di una struttura organizzativa adeguata a
realizzare gli scopi indicati. La section A dell’Annex 1 al regolamento
comunitario detta numerose regole specificative del contenuto di tale
dovere: deve tuttavia ritenersi che esse, come normalmente accade a
fronte di tali doveri, vadano considerate come regole di base da integrare
alla luce delle specifiche circostanze concrete.
Più nello specifico e senza pretesa di esaustività, è previsto, per le
agenzie di rating: (i) che almeno un terzo dei propri amministratori sia
indipendente (con il compito, peraltro loro assegnato in via esclusiva, di
monitorare lo sviluppo delle politiche di rating, i controlli interni e le
procedure per la gestione dei conflitti d’interesse)20; (ii) il divieto di fissare
la remunerazione dell’analista o la valutazione del suo operato sulla base
del reddito prodotto per la società; (iii) il divieto per il personale coinvolto
nell’attività di classa mento di partecipare alla negoziazione della
remunerazione dell’agenzia di rating; (iv) il divieto per i dipendenti
dell’agenzia di acquistare strumenti finanziari emessi o garantiti da soggetti
che siano oggetto di classamento o
di accettare doni o favori da chi
intrattiene relazioni d’affari con l’agenzia ai fini del classa mento; (v) il
divieto di anticipare il probabile esito futuro della procedura di rating se non
all’emittente valutato; (vi) appositi cooling-off periods per i dipendenti.
L'esperienza americana si muove su simili direttrici. Il Credit Rating
Agency Reform Act (CRARA), emanato dal Congresso americano nel
settembre del 2006,
ha assegnato alla SEC ampio potere in ordine ai
conflitti d’interesse relativi all’attività delle agenzie; più in particolare, si
sono previste una serie di situazioni in riferimento alle quali viene richiesta
una disclosure dell’eventuale conflitto e dei meccanismi posti in essere per
contenerlo e gestirlo (e cosi in particolare le ipotesi di remunerazione
dell’attività svolta dai consulenti/valutatori nel “confezionare” i prodotti
oggetto di classamento), senza peraltro vietare in tali casi l'emissione del
rating. Dal punto di vista organizzativo, si è previsto poi che ogni agenzia
debba designare un compliance officer cui sia demandata la responsabilità
per la conformità, lato sensu intesa, dell’attività svolta alla legge.
Guardando alle regole introdotte fra il 2008 e il 2009 la norma più
interessante è quella che ha vietato l'attribuzione del rating nei confronti di
20
Una deroga in tal senso può essere concessa, dietro espressa richiesta, alle agenzie di dimensioni più contenute,
qualora le stesse riescano a dimostrare che tali oneri e requisiti siano, nel caso specifico, sproporzionati.
un soggetto a favore del quale la società abbia prestato la propria opera in
altra veste consulenziale. Di non minore importanza, la previsione di un
espresso divieto per qualunque analista finanziario abbia fornito il seppur
minimo contributo in sede di emissione o di approvazione del rating a
partecipare alla negoziazione dei compensi dovuti dall’impresa valutata .
Quest’ultimo filone di intervento è stato infine fatto proprio dal
Congresso americano con l’approvazione del Dodd-Frank Wall Street Reform
and Consumer Protection Act.
Per quanto riguarda i conflitti di interesse relativi all’attività delle
agenzie, fra le nuove ipotesi prese in considerazione dal legislatore del 2010
vi sono le situazioni di conflitto che possono svilupparsi a seguito del
trasferimento di personale dalle agenzie agli emittenti valutati o viceversa21
(a tale riguardo si impone alle agenzie di inviare un apposito rapporto alla
SEC ogni qual volta propri dipendenti vengano successivamente impiegati
presso soggetti dalla stessa classati nell’anno solare precedente); inoltre,
viene
espressamente
proibito
al
compliance
officer
di
lavorare,
“operativamente”, su rating, metodologie di calcolo o vendita di prodotti.
In termini di governance
è poi espressamente previsto che “each
nationally recognized statistical rating organization shall establish,
maintain, enforce, and document an effective internal control structure
governing the implementation of [and adherence to] policies, procedures,
21
Cfr. Sec. 932 (a)(4) ove si legge che: “Each nationally recognized statistical rating organization shall report to the
Commission any case such organization knows or can reasonably be expected to know where a person associated
with such organization within the previous 5 years obtains employment with any obligor, issuer, underwriter, or
sponsor of a security or money market instrument for which the organization issued a credit rating during the 12month period prior to such employment, if such employee (i) was a senior officer of such organization; (ii)
participated in any capacity in determining credit ratings for such obligor, issuer, underwriter, or sponsor; or (iii)
supervised an employee described in clause (ii)”. La stessa disposizione peraltro, sempre con riferimento ai conflitti
d’interesse, incarica la SEC di emanare regole “to prevent the sales and marketing consideration of a [NRSRO] from
influencing the production of ratings”; si tratta di regole la cui violazione può portare a conseguenze estremamente
rilevanti, sino anche alla revoca dello status di NRSRO.
and methodologies for determining credit ratings, taking into consideration
such factors as the Commission may prescribe, by rule”.
In seconda battuta,
vengono delineati con maggiore precisione i
poteri-doveri del compliance officer che deve nominare ogni agenzia
(qualificata come NRSRO), conformemente a quanto disposto dalla Subsec.
15E(j) del Securities Exchange Act così come modificato dal CRARA nel 2006
Interessante, anzi tutto, notare come la retribuzione di questo soggetto non
possa essere in alcun modo legata ai risultati economici dell’agenzia stessa,
dovendo invece essere calcolata e corrisposta in maniera tale da garantire al
“controllore interno” la più piena indipendenza di giudizio.
La simmetria fra le due regolamentazioni, europea e statunitense, è
evidente. Si tratta di regole importanti e necessarie anche se il loro valore
non può essere sopravvalutato, specie per alcune di esse: la previsione delle
c.d. chinese walls all’interno dell’organizzazione dell’attività è utilizzata
come strumento principale di gestione dei conflitti di interessi in vari settori
della disciplina dei mercati finanziari,ma si dubita della sua oggettiva
capacita di evitare in concreto comportamenti in conflitto di interessi; gli
stessi dubbi agitano la discussione sull’effettività
del contributo che gli
amministratori indipendenti possono dare per contrastare comportamenti
contrari alle regole (e in particolare alle regole sui conflitti di interesse). E
tuttavia sotto il profilo organizzativo si tratta di previsioni non eludibili, ma
efficaci solo se accompagnati da rigorosi obblighi informativi, da adeguati
poteri dell’autorità di sorveglianza, da adeguate sanzioni per la loro
violazione.
4. Dunque?
Pur con gli indubbi progressi compiuti dalla regolamentazione delle
agenzie di rating negli ultimi anni, il tema del conflitto di interessi, legato
alla struttura del modello di finanziamento delle agenzie, resta ancora un
nodo non compiutamente sciolto nella disciplina europea e statunitense: ne è
testimonianza il contenuto della proposta di modifica del regolamento
comunitario, che al punto dedica una particolare attenzione.
Non deve tenersi troppo conto, nell’adottare scelte in materia, del
timore di rimproveri di eccesso di regolamentazione o di dirigismo del
mercato finanziario (o di eccesso di “paternalismo”, come direbbero negli
Stati Uniti).
Anche se si seguisse con determinazione la strada di diminuire il peso
regolamentare del rating, di fatto il ruolo concretamente svolto dalle agenzie
di rating sui mercati ne impone la massima impermeabilità ai conflitti di
interesse.
Lo richiede la constatazione della gravità degli effetti di una lacunosa
regolamentazione della materia, anche nella genesi dell’attuale crisi
finanziaria.
Lo richiede, al di là della facile osservazione del “fallimento” del
mercato, il duplice rilievo che (i) in presenza di conflitti di interessi, non v’è
reale mercato anche nella più liberista delle prospettive, ma una distorsione
dei meccanismi di mercato, e che (ii) senza l’intervento del regolatore i
conflitti non possono essere eliminati o semplicemente affidati alla gestione
dello stesso soggetto in conflitto, in quanto interessato a mantenere la sua
reputazione.
Lo richiede l’importanza della posta in gioco, oggi sotto gli occhi di
tutti, ma che rileverebbe anche senza l’evidenza della crisi, perché la tutela
dell’integrità dei mercati finanziari è oggi tutela del “necessario” e non solo
del “superfluo” per le persone.
Lo richiede, infine, la particolare caratteristica del conflitto di
interessi che – oltre a essere endemico – è capace di manifestarsi in forme
mutevoli e di adattarsi alle regole di volta in volta fissate.
Simile in questo all’Idra di Lerna alla quale, tagliata una testa, altre
ne ricrescevano. Per averne ragione Ercole – unicum nelle sue fatiche –
dovette ricorrere all’aiuto del nipote Iolao per cauterizzare con il fuoco le
ferite inferte all’Idra, affinchè non ricrescessero le nuove teste, e dovette
seppellire l’ultima testa sotto un enorme masso.
Il legislatore comunitario non deve giungere a tanto, ma qualche
scelta coraggiosa e netta si impone. Per non dover riascoltare, in futuro, quel
che disse un dirigente di Enron: “what used to be a conflict is now a sinergy”.