I conflitti di interesse nell`attivita` delle agenzie di rating
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I conflitti di interesse nell`attivita` delle agenzie di rating
I CONFLITTI DI INTERESSE NELL’ATTIVITÀ DELLE AGENZIE DI RATING 1. Attività di rating e conflitto di interessi: un tema al centro dell’agenda normativa. La disciplina delle agenzie di rating – sulla spinta delle recenti crisi finanziarie1 - – vive una stagione di interventi regolatori che si succedono a ritmo incalzante in tutti gli ordinamenti degli stati ad economia avanzata e che sono destinati a essere ulteriormente modificati e arricchiti nell’immediato futuro. Il tema della regolamentazione dei conflitti di interesse che possono pregiudicare l’indipendenza – e così l’affidabilità – dei giudizi emessi dalle agenzia di rating è al centro della scena e si rinnovano, in numerose sedi, gli inviti a rendere più incisive e precise le disposizioni volte a evitare e/o gestire tali conflitti. Così, in ambito comunitario, il documento della Commissione Europea del 15 novembre 2011 – ormai prossimo a esser discusso – che illustra le proposte di modifica del regolamento CE 1060/2009 espressamente segnala nella sua introduzione che “i conflitti di interesse che discendono dalla struttura dell’azionariato delle agenzie di rating (…) sono troppo scarsamente affrontati dalla regolamentazione in vigore”; identifica inoltre fra i principali problemi da risolvere “il rischio di mancanza di indipendenza delle agenzie di rating in ragione del conflitto di interessi legato al modello di remunerazione delle agenzie (quello 1 Non solo della più recente crisi nascente dai default innescati dai mutui subprime e dai prodotti finanziari strutturati che ne incorporavano i crediti e che ricevevano il rating delle agenzie e delle ancor più recenti vicende sulla valutazione di debiti sovrani, ma già – pur se timidamente – in occasione delle precedenti crisi finanziarie: per un completo panorama dell’evoluzione dell’approccio alla regolamentazione delle agenzie di rating sino all’esplodere della crisi del 2008 v. PRESTI, Le agenzie di rating: dalla protezione alla regolazione, in Jus, 2009, p.65 ss.. dell’emittente-pagatore), in ragione della struttura del loro capitale e del fatto che essi prestino la loro attività per lungo tempo in favore dello stesso emittente” 2. E il dibattito sulle modifiche alla disciplina comunitaria ha visto, sotto molti profili, contrapporsi opinioni diverse, anche radicalmente e registra ragioni di confronto vivace. Anche qui valga un esempio in ambito comunitario. Nel parere del 29 marzo 2012 richiesto dal Consiglio e dal Parlamento Europeo al Comitato Economico e sociale europeo si legge che la proposta di modifica del regolamento sul conflitto di interessi non è sufficientemente concreta e che dovrebbe essere disciplinata più in dettaglio, specie quando si tratta di definire gli obblighi dei soggetti che hanno il dovere di farle rispettare in ragione del rischio di assenza di indipendenza. In chiusura di parere si riferisce della proposta della sezione specializzata del consiglio, non approvata ma non certo scarsamente sostenuta (78 voti contrari, 55 a favore, 13 astenuti), per cui si ritiene “indispensabile, per accrescere la qualità, la trasparenza, l’indipendenza, la pluralità delle opinioni e la concorrenza nel campo delle agenzie di rating, che la Commissione crei una agenzia europea indipendente di rating, che emetta rating indipendenti, che saranno pagati dagli emittenti, ma che non emetterà rating degli Stati per evitare ogni possibile sospetto di conflitto di interessi”3. Dove si vede, peraltro, come una delle ipotesi più radicali di intervento nella disciplina delle agenzie di rating per rafforzare l’indipendenza dei loro giudizi deve subito fronteggiare il rischio che essa stessa dia luogo a nuovi conflitti di interessi. Il tema dunque non si presta a facili soluzioni: eppure è un tema non solo non eludibile, ma decisivo e qualificante ogni disciplina del rating e in 2 Commissione europea, Documento di lavoro della commissione sull’analisi di impatto della proposta di regolamento di modifica del regolamento CE 1060/ sulle agenzie di rating, del 15 novembre 2011, pp.1‐2. 3 Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio di modifica del regolamento CE n. 1060/2009 sulle agenzie di rating (Relatore: Palenik) generale dei mercati finanziari, come è ormai largamente riconosciuto. Tutti dichiarano di volerlo affrontare: sulle concrete scelte di intervento, però, molte sono le opzioni sul tappeto e ancor più le opinioni espresse nelle varie sedi istituzionali e economiche. Ne è perfetta testimonianza il dibattito preparatorio sulle modifiche al regolamento comunitario che si annunciano, i molti emendamenti avanzati - anche netti – su temi qualificanti la proposta, l’emersione, non appena si delineano le possibili scelte di intervento, del tema dei costi che tali scelte comportano, l’esigenza di un attento bilanciamento con i benefici auspicati e, come si accennava, la necessità di verificare se soluzioni nuove non rechino problemi nuovi di conflitto di interessi. Il laboratorio comunitario è oggi un punto di osservazione privilegiato della materia, in uno con il confronto fra le esperienze dei vari ordinamenti dove pure si dibatte il tema del rating; un confronto non solo accademico o di studio ma di concreto impatto poiché da esso dipende anche l’importante valutazione di equivalenza fra sistemi di regolazione che il legislatore comunitario è chiamato a svolgere in forza dell’applicazione della attuale disciplina comunitaria. Attraverso questa lente può dunque esser utile ripercorrere i temi salienti del problema dei conflitti di interesse nel settore del rating. 2. Gli interessi in conflitto: il ruolo delle agenzie di rating nel sistema complesso dei mercati finanziari, il legame con gli emittenti e alcuni comportamenti pericolosi. Le agenzie di rating sono divenute, di fatto e, successivamente in misura via via crescente, per scelte regolamentari, soggetti chiave nel sistema dei mercati finanziari. Il loro giudizio– di privati e stati sovrani e degli strumenti finanziari da loro emessi – rappresenta, secondo la corrente ricostruzione, un importante rimedio alle asimmetrie informative nel particolare settore del merito di credito4 dell’emittente strumenti finanziari. Elaborando, in linea di principio in modo continuo, informazioni pubbliche o acquisite dall’emittente, sia in occasione dell’emissione di uno strumento finanziario, sia durante la sua vita, dovrebbe contribuire a ridurre i rischi delle asimmetrie informative (moral hazard e adverse selction), agevolare l’investitore nell’operare le proprie scelte, influenzare le scelte stesse dell’emittente nella struttura del capitale, rappresentare insomma un tassello importante nella costruzione della fiducia nei mercati finanziari. Il giurista – che pure legge con interesse il serrato dibattito fra gli economisti sul grado di effettiva influenza del giudizio delle agenzie di rating sui prezzi degli strumenti finanziati, sull’effettivo valore aggiunto che le agenzie di rating danno al livello di informazione disponibile al mercato e in generale sui benefici che il mercato riceve al loro operato – nel valutare opportunità e modi di un intervento regolatore deve prendere atto che i giudizi delle agenzie di rating hanno assunto, anche e soprattutto per scelte regolamentari5, un impatto determinante sulla struttura dei mercati finanziari, sulla valorizzazione degli strumenti finanziari, sui comportamenti degli attori del mercato. Il rilievo del rating nella determinazione dei requisiti patrimoniali di banche e intermediari finanziari, nella determinazione delle scelte di investimento, nella stessa misurazione delle responsabilità degli intermediari nei confronti della clientela retail, porta naturalmente le agenzie di rating e l’emissione dei loro giudizi nell’ambito di quelle istituzioni che non possono essere lasciate, nella 4 L’espressione è ovviamente usata in senso lato: l’oggetto del giudizio delle agenzie non tiene conto di una serie di fattori che pure influenzano il merito di credito ed è, comunque variamente articolato (e differente da agenzia a agenzia) in relazione ai vari possibili indicatori e patologie del merito di credito: v. sul punto FERRI‐LACITIGNOLA, Le agenzie di rating, Bologna, p…… 5 Al segno si sostiene che l’importanza del ruolo dei giudizi delle agenzie di rating (e l’incremento del loro reddito) è dovuto al fatto che vendano “licenze regolamentari” e che proprio il valore regolamentare del rating ha generato la possibilità che la sua variazione possa avere un impatto sui prezzi (che diversamente non farebbe che seguire il mercato, analizzando dati sostanzialmente già noti): e la nota tesi di…… loro disciplina, alla autoregolamentazione o alla (ipocrita) riduzione al ruolo di consulenti di chi richiede il rating o di “opinionisti” sui mercati finanziari. Al contrario, ormai da tempo – e anche quando non poteva parlarsi di una vera e propria disciplina delle agenzie di rating – esse sono annoverate nella sempre più vasta platea dei c.d. gatekeepers dei mercati e ci si interroga, anche in prospettiva regolamentare, sulle ragioni dei loro periodici fallimenti6. E come per ogni gatekeeper uno dei nodi della regolamentazione è quello di assicurare che la loro attività venga svolta in modo del tutto indipendente e libera da conflitti di interesse, non diversamente per quel che già accade, p.es., per i revisori o per gli analisti finanziari o, nei rapporti con la clientela, per gli stessi intermediari finanziari 7. Dove l’interesse che le agenzie dovrebbero servire senza essere influenzate o condizionate da interessi diversi e confliggenti è quello che genericamente si definisce come interesse generale all’integrità del mercato; interesse che richiede, a tutela del risparmio in esso investito, che i soggetti che danno informazioni al mercato, nella specie tramite giudizi sul merito di credito dell’emittente, oltre a essere accurati, non siano o appaiano influenzati dal perseguimento degli interessi del soggetto valutato o di altri operatori sui mercati finanziari. 6 CONTROLLARE watchdog 7 Per una significativa riaffermazione del ruolo di “gatekeeper” delle agenzie di rating e della loro assimilabilità, p.es., ai revisori e agli analisti finanziari v. il punto 2 dei “findings” del Subtitle C— Improvements to the Regulation of Credit Rating Agencies, del Dodd‐Frank‐Act :”Credit rating agencies, including nationally recognized statistical rating organizations, play a critical ‘‘gatekeeper’’ role in the debt market that is functionally similar to that of securities analysts, who evaluate the quality of securities in the equity market, and auditors, who review the financial statements of firms. Such role justifies a similar level of public oversight and accountability”; e al punto 3 “Because credit rating agencies perform evaluative and analytical services on behalf of clients, much as other financial ‘‘gatekeepers’’ do, the activities of credit rating agencies are fundamentally commercial in character and should be subject to the same standards of liability and oversight as apply to auditors, securities analysts, and investment bankers”. Pure significativa in tal senso è l’equiparazione delle agenzie di rating ai revisori in ordine al regime di responsabilità prevista dal § 933(a) del Dodd‐Frank‐Act. Ciò impone al regolatore delle agenzie di rating di farsi carico della complessità dell’attuale struttura dei mercati finanziari dove i ruoli (e gli interessi) dei soggetti che vi operano sono tutt’altro che nitidamente tracciati: e dove quindi le semplificazioni dell’analisi al fine di individuare le soluzione più adeguate espongono al pericolo di soluzioni insufficienti. Questa complessità – e il suo impatto sulle scelte regolamentari in tema di conflitto di interessi – si è manifestata in modo molto netto (come è normale che sia) nella crisi finanziaria che stiamo vivendo. Sotto accusa per il ruolo svolto nelle vicende della creazione dei prodotti di finanza strutturata “rating driven”, in ragione dell’emersione di un conflitto di interessi generato dalla volontà di favorire gli interessi degli emittenti/clienti delle agenzie, le agenzie di rating si vedono imputare analoga accusa in occasione del downgrade dei debiti sovrani, questa volta in quanto favorirebbero attività speculative degli investitori istituzionali che, anche in virtù della struttura proprietaria delle agenzie, potrebbero influenzarne il comportamento8. Normalmente, tuttavia, la riflessione sulla regolamentazione volta a garantire l’indipendenza delle agenzie di rating e a evitare o gestire adeguatamente le situazioni di conflitto di interessi muove essenzialmente dalla considerazione dei rapporti esistenti tra agenzie di rating ed emittenti, ossia tra valutatori e valutati. Ferma restando la ricordata incompletezza di questo approccio e rammentando che – come si avrà modo di constatare – una parte importante della regolamentazione del conflitto di interessi riguarda il tema più generale degli assetti proprietari e di governance delle agenzie di rating, conviene appuntare l’attenzione su alcune pratiche e vicende proprie dei 8 Dove, in estrema semplificazione, il conflitto si indirizzerebbe nella concessione di rating generosi o severi in ragione del fatto che essi servano gli interessi di chi emette il prodotto, ovvero di chi faccia trading sul prodotto (che solo per comodità chiamiamo emittenti e investitori, come se fossero per definizione soggetti diversi, che in realtà non sono) rapporti fra agenzie di rating e emittenti, che forse meglio di altre sono in grado di rivelare i rischi e le distorsioni che una non adeguata regolazione dei conflitti di interesse può generare. Si tratta in particolare: - del c.d. unsolicited rating, consistente appunto in giudizi emessi dal valutatore sponte propria, spesso piuttosto negativi, ma saggiamente rivedibili in miglioramento, ove richiesti (e pagati); - del c.d. rating shopping , fisiologicamente presente in un sistema in cui è il valutato a pagare il valutatore: l’emittente potrebbe essere portato a scegliere l’agenzia che ritenga meglio disposta di altre nei suoi confronti e, specularmente, l’agenzia chiamata a dare il proprio giudizio potrebbe essere spinta a valutazioni benevole, per il timore di perdere il cliente; - del ruolo attivo spesso svolto dalle agenzie con riferimento a operazioni di finanza strutturata, aventi come noto a oggetto prodotti finanziari di particolare complessità; qui il conflitto può nascere dalla duplicità delle funzioni che l’agenzia può svolgere: da un lato valuta un determinato prodotto (se non direttamente l’emittente), dall’altro può essere al tempo stesso advisor nella realizzazione di un’operazione certamente rating driven: come a dire, esprime indirettamente un’autovalutazione del proprio operato. Qualche ulteriore considerazione su queste tre ipotesi non sembra inutile per inquadrare il dibattito in corso sui profili regolamentari dell’indipendenza e dei conflitti di interesse delle agenzie di rating. 2.1 Rating non richiesti Con riferimento agli unsolicited rating, deve notarsi che si tratta di prassi in larga diffusione, non più limitata alle agenzie a dimensione prettamente nazionale, come all'origine. Se il rischio del conflitto di interessi appare evidente, deve comunque notarsi che siffatte valutazioni “non volute” possono svolgere un ruolo positivo nei mercati più piccoli o più opachi; in quelli cioe' in cui sia più difficile procurarsi informazioni. Non di meno, se queste valutazioni sono espresse in via autonoma dall'agenzia, esse non potranno che basarsi sui dati pubblicamente disponibili, non potendo per cio' essere particolarmente approfondite e, in ultima analisi, davvero affidabili. Il giudizio "unsolicited" in sostanza dovrebbe essere espresso solo in presenza di informazioni pubbliche sufficientemente ampie e credibili da consentire, nel prudente apprezzamento dell'agenzia, di esprimere valutazioni fondate e non fuorvianti. 2.2 Rating shopping Il procedimento attraverso il quale si perviene all’elaborazione e quindi all’assegnazione del rating può essere la variabile chiave nel determinare il fenomeno del rating shopping: in effetti, almeno in linea di tendenza, l’agenzia sottopone all'impresa oggetto di valutazione sia le proprie commissioni e ogni altro aspetto relativo alle controprestazioni contrattuali, sia il presumibile giudizio che essa potra' ottenere. Cio' puo' certamente innescare un perverso procedimento di ricerca del valutatore più favorevole (oltre che di quello meno costoso). Va detto, peraltro, che il fenomeno assume rilievo soltanto con riguardo a strumenti finanziari complessi, in quanto dinanzi a operazioni semplici e' improbabile che agenzie di rating "di primo livello" possano dare giudizi molto differenti fra loro. 2.3 Rating e finanza strutturata La finanza strutturata lato sensu intesa, sviluppatasi a partire dai primi anni novanta del secolo scorso e messa pesantemente sul banco degli imputati nel 2007, allo scoppio del terremoto finanziario provocato dalla crisi dei mutui c.d. subprime, pone delle implicazioni delicate quando diviene oggetto di rating o meglio, tali criticità sorgono quando gli strumenti e i prodotti della finanza strutturata vengono classati per il tramite di un giudizio di rating. L’aspetto regolamentazione delicato del – e conflitto sotto di il profilo interessi, dell’esigenza della qualitativamente e quantitativamente molto più preoccupante del semplice dato che il giudizio dell’agenzia di rating è pagato dall’emittente – della relazione tra (l’assegnazione di un) rating e (la) finanza strutturata sta proprio nel fatto che è il titolo, in questo caso, a essere disegnato ed espressamente realizzato in maniera tale da essere meritevole di un rating (il più delle volte già stabilito) e non, come invece solitamente avviene per gli strumenti della finanza “tradizionale”, a essere “costruito” prima e in maniera indipendente dalla futura ed eventuale valutazione dello stesso attraverso un giudizio di rating. E' invero noto come sia l'emittente a scegliere di costruire uno strumento cui possa attribuirsi un certo rating. E se ci si avvale proprio di una agenzia di rating per creare il prodotto che possa corripondere alla valutazione auspicata, il conflitto e' evidente e insopprimibile, ove l'agenzia agisca ex ante come un vero e proprio advisor finanziario dell’emittente, aiutando quest’ultimo a realizzare un prodotto che risponda a quei requisiti che, ex post, permetteranno alla stessa agenzia, “mutata la propria casacca”, di classare l’oggetto frutto (almeno in parte) della sua stessa opera d’ingegno. Il mercato dunque ha visto le agenzie di rating, proprio con riferimento ai prodotti di finanza strutturata – complessi e opachi - porsi come unico arbitro della quantificazione del rischio insito in essi. E ha visto o “scoperto” che il valutatore, oltre a ricevere un compenso per svolgere questa valutazione al fine dell’emissione del giudizio, riceve un ulteriore (e maggiore) compenso per consigliare l’emittente su come strutturare il prodotto al fine di ottenere il giudizio più favorevole possibile. In assenza sostanziale, prima dell’esplodere della crisi del 2007, di disciplina regolamentare del conflitto di interessi. 3. Le politiche di contenimento dei conflitti di interesse nell’attività delle agenzie e i vari possibili livelli di intervento. Prima di illustrare i vari possibili livelli di intervento regolamentare volti a eliminare, attenuare o gestire i rischi di conflitto di interessi nell’operato delle agenzie di rating è appena di caso di precisare che tali regole vanno inquadrate in un più vasto ambito normativo che concorre a rendere più efficaci anche le regole sul conflitto di interessi. La previsione di un sistema autorizzativo per la prestazione dei servizi di rating in uno con l’individuazione di una autorità di vigilanza, regole per favorire l’aumento della concorrenza sul mercato del rating, la disciplina del modelli di valutazione, la posizione di obblighi informativi a carico delle agenzie di rating in merito alle politiche adottate per gestire i conflitti di interessi, la disciplina del flusso di informazioni dall’emittente all’agenzia, un adeguato sistema sanzionatorio, sono tutti tasselli che concorrono a formare un necessario frame work normativo senza il quale le regole sul conflitto di interesse ne uscirebbero gravemente depotenziate. 3.1. Cambiare il modello di remunerazione (e selezione) delle agenzie di rating? Spesso le analisi sul conflitto di interessi nell’attività delle agenzie di rating muovono dalla constatazione che tale conflitto è insito nel modello di operatività che si è affermato, per cui sono gli emittenti a pagare le agenzie di rating per ottenerne il giudizio9. Talvolta si avverte in queste considerazioni il rimpianto per l’età “antica” in cui era l’investitore che si rivolgeva all’agenzia di rating per ottenere un giudizio sul merito di credito e si ipotizza di tornare a tale sistema o comunque di risolvere il problema del conflitto di interessi intervenendo nella definizione di chi debba pagare per l’emissione dei giudizi da parte dell’agenzia. Come si accennava, identificare nell’attuale complesso sistema dei mercati finanziari e della disciplina dei gatekeepers il conflitto di interessi rilevante nel fatto che l’agenzia di rating è pagata dall’emittente gli strumenti finanziaria oggetto del giudizio pecca di eccessiva semplificazione e trascura l’ovvio dato che altri gatekeepers sono pagati dai soggetti “custoditi”. Basti pensare, p.es., ai revisori (o anche ai sindaci) la cui disciplina si è nel tempo evoluta proprio nel senso di prevedere – sotto vari profili – presidi all’indipendenza e al conflitto di interessi, non dissimili da quelli su cui si sono soffermati i vari interventi in tema di agenzie di rating. Si può tuttavia rilevare che altro è un revisore – la cui funzione di gatekeeper si svolge nell’ambito della struttura di governance posta a carico dell’emittente – altro è l’agenzia di rating che, in linea di principio, opera sul mercato offrendo una prestazione (il giudizio sul merito di credito) che può, in astratto esser oggetto di incarico da parte anche degli investitori. D’altro lato, però, il rilevato ( e sempre più importante) ruolo affidato proprio dal regolatore al rating sotto vari profili10, e in particolare al fatto che i loro giudizi siano, come è stato scritto, vere e proprie licenze regolamentari, non 9 Così, p. es., lo stesso considerando 6 della proposta di modifica del regolamento comunitario pure come essenziale ragione del rafforzato intervento sul conflitto di interessi le disposizioni che nascono dal modello “issuer‐pays”. 10 Anche nell’ambito – tanto per fare un esempio legato proprio alle più recenti polemiche sui giudizi emessi dalle agenzie di rating ‐ delle condizioni di accesso agli interventi di sostegno agli stati sovrani per fronteggiare l’attuale crisi finanziaria europea. può non accrescerne il peso sistemico nell’ambito dei mercati finanziari e rafforzare chi vorrebbe introdurre modelli alternativi di remunerazione. E’tutt’altro che scontato, però, che tale scelta porti al superamento dei conflitti di interesse. Come si è già rilevato l’adozione del modello investorpay non significa certo che, per definizione, l’interesse che muove le scelte degli investitori istituzionali coincida con quello – superiore – dell’integrità del mercato; né che possano escludersi ipotesi in cui l’emissione di un certo giudizio (o, soprattutto, la variazione nel tempo del giudizio su un determinato emittente o di un determinato strumento) non avvenga secondo criteri di assoluta indipendenza rispetto all’interesse particolare dell’investitore/sottoscrittore. Ancora non deve, purtroppo, dimenticarsi che maggiore è l’impatto che sui prezzi può avere il giudizio dell’agenzia di rating maggiore sarà il possibile interesse privato proprio di chi investe sui mercati a influenzare l’emissione del giudizio. Rischio questo amplificato dal fatto che sul mercato finanziario non esiste un archetipo di “investitore”, ma esistono diversi tipi di “investitori”, con diversi obiettivi e diversi interessi perseguiti, influenzati in modo diverso dai giudizi emessi dalla agenzie di rating e così oggetto di attenzioni diverse (basti comparare un hedge fund con un fondo pensione per comprendere il senso di quanto ora rilevato)11. Più interessante, se volessero seguirsi strade radicali di intervento sul sistema di remunerazione delle agenzie di rating, sarebbe la scelta del modello di remunerazione a opera del mercato (c.d trading venue pay) oppure la creazione di una sorta -come e' stato detto- di “piattaforma (comune) di compensazione”12. 11 Il passaggio ad un modello investor‐pays, si sottolinea anche, potrebbe anche comportare maggiore difficoltà per I piccoli emittenti di accedere al mercato dei capitali: v., p.es., in tal senso la notazione del Working paper sull’analisi di impatto della proposta di modifica del regolamento CE del 15 novembre 2011, a p.45. 12 Al riguardo si osserva che uno svantaggio di tale sistema starebbe nella mancata considerazione dei rating su emissioni non quotate e nel fatto che potrebbe condurre a scaricare sui clienti i costi finali del rating. Il vero è che seguendo questa traccia di intervento il tema della remunerazione si intreccia strettamente con quello delle modalità di selezione delle agenzie. Ci si interroga allora, oltre che su chi debba pagare l’agenzia, su chi dovrebbe gestire la scelta dell’agenzia; il caso, il mercato stesso o, come autorevolmente si sostiene, una autorità indipendente. Come è noto, negli Stati Uniti d’America il tema del modello di remunerazione e della scelta dell’agenzia è oggetto del Dodd-Frank Act e in particolare del c.d. Frank Amendment (§ 939f) nel quale appunto si è incaricata la SEC, nell’ambito del rating dei prodotti di finanza strutturata, di studiare l’impatto fra modelli di remunerazione e conflitto di interessi, nonché di analizzare i meccanismi di determinazione e modalità di pagamento dei compensi, e verificare l’opportunità di abbandonare il sistema della scelta dell’agenzia da parte del emittente affidandola invece a un organo indipendente, al quale parteciperebbero rappresentanti degli investitori, dell’emittente dell’autorità di sorveglianza. Non risulta a tutt’oggi l’esito degli studi della SEC, ma il tema ha suscitato e suscita un dibattito vivace negli Stati Uniti. La regola mirerebbe, eliminando il conflitto di interessi basato sul modello issuer-pays, e creando un’autorità indipendente con potere di scelta, a consentire anche una verifica oggettiva sull’affidabilità dei giudizi con una ricaduta molto concreta sul mercato. Si oppone che togliendo al mercato la valutazione sulla reputazione e affidabilità dell’agenzia e la scelta dell’agenzia diminuirebbero gli incentivi alla competizione sulla base dei prezzi e della qualità dei servizi; si obietta, dall’altra parte, che è proprio la situazione di conflitto di interessi ad aver evidenziato il fallimento del mercato in tema di rating13. 13 Il pensiero del senatore Franken sull’opportunità di attendere lo studio della SEC per implementare il suo emendamento è piuttosto chiaro "I don't know why you need to do much of a study on this thing, We know what happened. This is like doing a study on whether using steroids is a good idea for ballplayers." Ma ha anche spiegato nella stessa intervista che sarebbe stato il senatore Dodd a spiegargli che la agenzie di rating dovevano essere studiate ulteriormente affinchè non si provocassero risultati non voluti dall’attuazione immediate delle sue riforme: fonte http://www.creators.com/opinion/joe‐ conason/franken‐calls‐for‐oversight‐of‐ratings‐agencies.html L’evoluzione del regolatore europeo, peraltro, non si muove verso questo modello.14 Naturalmente l’implementazione di questo tipo di interventi per eliminare o diminuire il rischio del conflitto di interessi sembrerebbe anche richiedere, per poter avere un concreto impatto, una maggiore concorrenza sul mercato delle agenzie di rating che è appunto questione assai dibattuta e oggetto in varie sedi di interventi regolamentari. Si può aggiungere che, in questo quadro, possono svolgere un ruolo le proposte di creazione di un agenzia di rating europea indipendente. Il tema è tuttavia ancora magmatico e orientato a finalità diverse: si confrontano modelli di agenzia pagati dagli emittenti, non modelli – limitati però al rating su debiti sovrani – che pongono a carico dei governi il pagamento del giudizio. Pure si propone la promozione di un rete fra le agenzie di rating medio-piccole europee per offrire una alternativa credibile alle tre major15. In sintesi: l’intervento sui modelli di remunerazione e di scelta dell’agenzia di rating in chiave di governo del conflitto di interessi sembra ancora lontano dall’essere perseguito in Europa e attende l’esito dello studio SEC negli Stati Uniti. Tuttavia, la Commissione Europea tiene sotto controllo il tema dell’adeguatezza del sistema di remunerazione delle agenzie di rating ed è previsto per la fine dell’anno, ai sensi dell’art. 39, par.1, un rapporto al riguardo al Parlamento Europeo e al Consiglio. E, come si dirà subito, la remunerazione dell’agenzia di rating resta comunque uno dei passaggi centrali delle regole sulla prevenzione e la gestione del conflitto di interessi in relazione ai rapporti con l’emittente. 14 V. le ragioni esposte nel Working paper sull’analisi di impatto della proposta di modifica del regolamento CE del 15 novembre 2011, a p.50‐51. 15 E vedi anche la proposta di inserimento di un considerando 6 b alla proposta di modifica del regolamento per incoraggiare l’uso delle piccole agenzie di rating che v. nel Report del Comitato per gli affari economici e monetari del 25 giugno 2012. 3.2 L’indipendenza delle agenzie di rating. Assetti proprietari, relazioni pericolose e divieti all’emissione dei giudizi (o obblighi di disclosure della situazione esistente) L’indipendenza (e così l’assenza o la riduzione di fattispecie di conflitto di interessi) di un gatekeeper si misura, in linea di principio, rispetto ai soggetti in favore dei quali effettuano il loro controllo o che possono avere un interesse all’esito di questo controllo. Fra il soggetto “controllato” e il gatekeeper non dovrebbero esistere relazioni tali da minarne l’indipendenza: in questo ambito la disciplina degli assetti proprietari delle agenzie di rating e dei limiti all’emissione dei giudizi in favore di soggetti che siano legati, per tale via, alle agenzie è un tema che non può essere eluso in sede regolamentare. Nel complesso mondo dei mercati finanziari dove gli interessati al rating non sono solo gli emittenti ma anche gli investitori istituzionali, l’indipendenza dell’agenzia di rating dovrebbe ben esser predicata anche in tale direzione. Un approccio radicale potrebbe suggerire una regola tranchant: nessun emittente titoli sottoposti al giudizio dell’agenzia di rating e nessun investitore istituzionale dovrebbe poter partecipare al capitale dell’agenzia di un’agenzia di rating, né comunque avere rapporti tali da poter influire, anche potenzialmente, su chi amministra o opera in un agenzia di rating. L’agenzia, in questa prospettiva, dovrebbe essere un soggetto il cui assetto proprietario e di controllo si colloca all’esterno dei destinatari – ad ogni livello- dei suoi giudizi, e la cui indipendenza (come la moralità della moglie di Cesare) non solo deve esser tale ma apparire anche tale. Si tratta, evidentemente, di una prospettiva utopica alla luce dell’attuale assetto proprietario e di controllo delle principali agenzie di rating16; ma è proprio la considerazione di tali assetti che desta più di una preoccupazione e la necessità di intervenire al riguardo a tutela dell’effettiva indipendenza delle agenzie di rating. Gli interventi che si prefigurano in sede di regolamento comunitario si muovono su binari più limitati e si rivolgono, più realisticamente, non a fissare limiti soggettivi alla partecipazione al capitale delle agenzie di rating ma limiti all’emissione dei giudizi di rating o limiti ai rapporti fra azionisti rilevanti delle agenzie di rating e soggetti valutati dalle agenzie. Si tratta di previsioni di estrema importanza in funzione di prevenzione dei conflitti di interessi, per le quali va evitato – specie tramite la fissazione di soglie troppo elevate o di definzioni delle fattispecie applicative troppo restrittive – il rischio di un eccessivo depotenziamento. In particolare nelle proposte di modifica al regolamento comunitario si intende fissare: - un limite alle partecipazioni in più di una agenzia di rating, accompagnate da eventuali obblighi di disclosure per partecipazioni di ammontare inferiore. Le soglie variano a seconda dei proponenti dal 5 al 25%: quest’ultima soglia, tuttavia, rischia di non essere, alla luce degli assetti proprietari, particolarmente significativa; - il divieto di emettere rating per soggetti i cui strumenti finanziari siano posseduti da azionisti rilevanti della agenzia di rating. La discussione sul punto non riguarda solo la nozione di rilevanza e l’individuazione della soglia della partecipazione rilevante nell’agenzia di rating (10% o 2%) ma anche l’opportunità stessa della 16 V. per dati sufficientemente recenti su S&P ‘s e Moody’s v. il già citato Rapporto sull’impatto delle proposte di modifica del regolamento comunitario, p. 113 ove la notazione che direttamente o indirettamente le partecipazioni sono riferibili in gran parte a soggetti che prestano servizi finanziari (in particolare gestori di fondi e investitori istituzionali) e spesso tali soggetti hanno partecipazioni rilevanti in entrambe le società(v. anche lo schema a p. 115 sugli incroci azionari fra tali soggetti). previsione di divieto preferendosi un semplice obbligo di disclosure. Il tema è evidentemente assai delicato se si considera che azionisti rilevanti delle società di rating sono investitori istituzionali di estrema importanza in cui il rischio di conflitto di interessi in merito all’emissione di un giudizio si pone non solo con riguardo a soggetti o strumenti finanziari che fanno parte del patrimonio dell’azionista, ma in modo ancora più rilevante ai fine delle finalità perseguite dalla normativa, degli strumenti finanziari nei quali essi investono il risparmio raccolto, sia direttamente, sia soprattutto tramite strumenti finanziari complessi o derivati. Il giudizio dell’agenzia potrebbe esser usato per “favorire” scelte di investimento in una o in altra direzione, anche a carattere speculativo, a seconda della natura del fondo che l’azionista della società di rating gestisce. La versione più severa del divieto che verrà posta in discussione prevede che non rilevino le partecipazioni detenute nell’ambito di organismi collettivi di investimento, inclusi fondi gestiti, fondi pensioni e collegati ad assicurazioni sulla vita che non li pongano in una posizione di esercitare un’influenza significativa sull’attività gestoria dell’organismo; - limiti alla possibilità di cross-directorship fra azionisti rilevanti della società di rating e soggetti valutati17; - divieto di emettere rating quando il soggetto valutato detenga, direttamente o indirettamente una determinata quota del capitale dell’agenzia di rating. Anche qui la discussione vede contrapporsi diverse opinioni sulla soglia di partecipazione rilevante che oscilla fra il 2 e il 25%, percentuale quest’ultima che rende il divieto quasi privo di effetto sostanziale per le principali agenzie di rating; 17 Il dibattito in sede comunitaria si sviluppa negli stessi termini illustrati per il divieto di emettere rating su titoli detenuti dagli azionisti rilevanti di una agenzia di rating. - infine si propone, con regola particolarmente opportuna, che qualsiasi persona che detenga più del 5% del capitale o dei diritti di voto di un’agenzia o che sia altrimenti in grado di influenzare in modo significativo le attività economiche dell’agenzia stessa, non possa essere autorizzata a fornire consulenze al soggetto valutato per quel che riguarda la struttura societaria o giuridica, l’attivo, il passivo o le attività del soggetto stesso. La regola, idealmente legata al fondamentale e già previsto divieto per l’agenzia di rating di fornire consulenza al soggetto valutato, ne evita il possibile aggiramento e deve, ovviamente, esser modulata e interpretata con rigore, rifuggendo da letture formalistiche. Essa infatti è una regola volta a fronteggiare la peggiore delle distorsioni che, in concreto, si è rilevata nel corso di questi anni nella prestazione dell’attività di rating, e cioè quella relativa ai prodotti finanziari strutturati in cui l’agenzia forniva la consulenza all’emittente al fine di potergli concedere – generosamente – il rating. Oltre alle proposte di modifiche al regolamento l’attuale disciplina aveva già individuato una serie di fattispecie nella quali veniva previsto il divieto di emissione del rating ovvero, in caso di emissione del rating già avvenuta, la disclosure della situazione a rischio di conflitto. L’attenzione del regolatore si era concentrata sulla posizione dell’agenzia di rating o dei soggetti che operano per l’agenzia di rating rispetto al soggetto giudicato, e così un interesse proprietario, ovvero la partecipazione agli organi di amministrazione e controllo, o comunque – rispetto agli analisti che in concreto lavorano o approvano un giudizio - ogni relazione che può comportare un conflitto di interessi (v. la casistica di cui all’all.I sec.B, punto 3 lett- a-d e con essa la difficilmente reprimibile tentazione di estendere, accanto alla casistica specifica esistente e proposta, la formula di chiusura della lett. d), anche per eventuali relazioni pericolose dell’agenzia o dei soggetti che, in virtù della loro posizione proprietaria, vi partecipino). In questo ambito la comparazione con il sistema statunitense evidenzia che a differenza del sistema europeo esso precluda emissione e mantenimento del rating nei confronti di un emittente dal quale nell’ultimo esercizio l'agenzia abbia percepito proventi pari almeno al 10% del suo reddito netto. Fattispecie per la quale la normativa europea prevede solo – con riguardo alla soglia del 5% - un obbligo di disclosure, quando probabilmente una maggiore attenzione al riguardo sarebbe raccomandabile. Per il resto il sistema statunitense si muove, con riguardo ai temi qui discussi, su linee non dissimili da quelle attualmente vigenti in Europa. 3.3 . La prestazione di servizi diversi dal rating da parte delle agenzie. L’esperienza dell’emissione dei rating in materia di finanza strutturata ha condotto alla previsione nel regolamento comunitario del divieto per le agenzie di rating di prestare attività di consulenza nei confronti del soggetto valutato ovvero di una parte ad essa correlata in merito a una serie di specifici profili. Inoltre l’agenzia di ratng deve assicurare che chi svolge l’attività di rating o chi l’approva non faccia alcuna proposta, né formalmente né informalmente con riguardo agli strumenti finanziari strutturati in relazione ai quali l’agenzia di rating dovrà esprimere un giudizio. La formula usata per vietare l’attività di consulenza deve essere letta nel senso che l’ambito della consulenza vietata – che si propone di estendere anche ai soggetti che hanno partecipazioni rilevanti – riguarda certamente ogni aspetto, generale e particolare, che possa riguardare strumenti finanziari emessi o da emettere da parte del soggetto valutato e che il divieto in questione copra le attività prestate formalmente o informalmente. Non è infrequente nella regolamentazione dei mercati finanziari prevedere limitazioni, anche severe, dell’attività che possono essere svolte dai soggetti sottoposti a vigilanza regolamentare, specie ove esse godano, in ragione della sottoposizione a regole organizzative e doveri di comportamento, di una riserva di attività in loro favore: anzi non di rado si prevede che alla barriera all’ingresso rappresentata dall’autorizzazione a svolgere quell’attività corrisponda l’obbligo per il soggetto di svolgere solo l’attività autorizzata. Per le agenzie di rating il legislatore comunitario prevede che l’agenzia può prestare servizi diversi dall’emissione dei giudizi. Tali servizi vengono definiti ancillary services e non possono far parte dell’attività di rating: essi, si legge nella normativa, comprendono previsioni di mercato, stime dei trend economici, analisi dei prezzi e in generale di altri dati. Non è chiaro se l’agenzia può svolgere soltanto l’attività di rating e i servizi ancillari: questa interpretazione è però nettamente da preferire, alle luce del fatto che l’agenzia di rating deve assicurare che la prestazione di ancillary services – per quanto la sua nozione sembri “aperta” – non comporti conflitti di interessi con l’attività di rating e che l’agenzia deve rendere noti i servizi ancillari prestati a favore dei soggetti valutati. Anche negli Stati Uniti d’America il tema dei servizi di consulenza e dei servizi ancillari è sotto osservazione da parte della SEC e ha formato anche oggetto di specifico divieto con riguardo alla consulenza in tema di prodotti finanziari strutturati e, comunque, di obblighi di disclosure. In esso infatti possano annidarsi sia forme di aggiramento di attività di consulenza proibite, sia forme di cripto remunerazione da parte degli emittenti. Forse un generale limite quantitativo di fatturato per la prestazione di ancillary services da parte dei soggetti valutati potrebbe esser raccomandato. 3.4 La regola di rotazione delle agenzie di rating. Altro intervento di tipo strutturale in merito al rapporto agenzia di rating-emittente riguarda la previsione di una regola di rotazione dell’agenzia di rating, accompagnata da un periodo di c.d. cooling-off prima di poter riprendere a rilasciare giudizi sul medesimo emittente o suoi strumenti finanziari. Si tratta, probabilmente, della novità più significativa e discussa della proposta di modifica del regolamento europeo sulle agenzie di rating. In particolare si è ipotizzata – nella proposta della commissione l’introduzione di una (per la verità un po’ farraginosa) regola di rotazione per le agenzie di rating incaricate dall’emittente (tale disposizione dunque non si applicherebbe nel caso di unsolicited rating) per quel che riguarda il rating dell’emittente stesso o dei suoi strumenti di debito. Nel dettaglio, si propone (ma, come si dirà subito, è una proposta molto discussa) che l’agenzia di rating incaricata non rimanga in carica per più di tre anni o per più di un anno nel caso in cui valuti consecutivamente oltre dieci strumenti di debito dell’emittente (occorrerebbe tuttavia che, in virtù di quest’ultima regola, la durata dell’incarico non fosse ridotta a meno di un anno). Là dove un emittente solleciti più di un rating per se stesso o per i propri strumenti, sia in ragione di un obbligo di natura regolamentare, sia su base volontaria, e nel caso (dunque) in cui siano più d’una le agenzie operanti con riferimento allo stesso soggetto, è previsto che solo una delle agenzie debba essere sostituita. In ogni caso, la proposta della Commissione prevede espressamente che la durata massima dell’incarico per ciascuna agenzia di rating non possa superare i sei anni (a tal fine, si valuta l’opportunità che la società di rating cessata dall’incarico, o qualsiasi agenzia che faccia parte dello stesso gruppo o che, alternativamente, abbia un legame di natura proprietaria con la società non abbia la facoltà di rilasciare, nuovamente, valutazioni sul medesimo emittente o sui suoi strumenti finché non sia trascorso un adeguato intervallo di tempo). Si prevede inoltre l’obbligo per l’agenzia “uscente” di fornire all’agenzia “entrante” un vero e proprio dossier informativo “di passaggio” comprendente tutte le notizie rilevanti al fine di poter far svolgere nel modo più opportuno e completo, alla nuova società incaricata, l’attività di classamento. La Commissione si augura e sembra ritenere che tale rotazione obbligatoria, la quale, per espressa disposizione, non si applicherebbe nel caso dei rating sovrani, possa essere in grado di attenuare in maniera significativa i potenziali conflitti d’interesse relativi al paradigma issuer-paying. Si intende, con questa regola, evitare i rischi di conflitto di interessi che possono derivare dal mantenimento di relazione contrattuali di lungo periodo con uno stesso emittente. Sono rischi effettivi che si traducono in quella che viene definita nei considerando della proposta di modifica eccessiva familiarità o “simpateticità” con i desiderata dell’emittente che derivano da un legame contrattuale troppo stabile. Familiarità e simpateticità di cui un fatturato stabile o crescente è solido cemento. La regola si lega – portandola ad un livello più alto - a quella già esistente, e che ci si propone di rafforzare in sede di modifica al regolamento comunitario, sulla rotazione interna alla società di rating dei soggetti che si occupano dei giudizi sul medesimo emittente. Si tratta delle disposizioni in ragione delle quali gli analisti di rating non possono partecipare all’attività di rating nei confronti dello stesso soggetto per più di quattro anni, evitando così che tali persone, cambiando datore di lavoro e passando dunque a prestare la propria opera, eventualmente, presso un’altra agenzia, possano portare con sé fascicoli e dossier di singoli clienti (tali norme sulla rotazione interna si applicherebbero anche in caso di unsolicited rating o di rating dei debiti sovrani). La regola di rotazione sembra opportuna. Il rating non appare, infatti, un settore ove convenga favorire la fidelizzazione del cliente e le sue pericolose tecniche di marketing. A livello europeo, del resto, essa è prevista anche per altro importante gatekeeper, il revisore sia pur con termini e struttura diversi. La proposta della sua introduzione però non è stata salutata da tutti con favore, in se e comunque nella sua concreta declinazione. Nel Draft report sulla proposta di modificazione del regolamento comunitario del 17 aprile 2012 numerose proposte di emendamento erano rivolte alla eliminazione della regola18. La BCE, pur formulando adesione all’introduzione della regola di rotazione, sottolinea il rischio che essa abbia un impatto sulla qualità del rating poiché i nuovi operatori potrebbero farsi concorrenza tramite prezzi troppo bassi o rating esagerati, rimarca la necessità che la rotazione non interrompa l’insieme dei dati– che la rotazione ovviamente favorirebbe e rimarca che la regola di rotazione presupporrebbe un mercato più ampio delle agenzie di rating e che dunque la durata della rotazione dovrebbe essere tarata sulla struttura del mercato19. La discussione che sarà svolta in sede di approvazione del regolamento vedrà contrapporsi versioni della regola molto diverse fra loro, a partire dall’oggetto della rotazione (che potrebbe 18 Per completezza va segnalata anche la presenza di emendamenti che invece prevedevano un forte rafforzamente della regola giudicata, in concreto, troppo blanda. 19 Così il parere 2 aprile 2012 della Banca Centrale Europea sulla proposta di modifica del regolamento comunitario delle agenzie di rating che v. in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, 13 giugno 2012,, par. 3.4. esser limitata ai prodotti finanziari strutturati ovvero solo a fattispecie di resecuritations con sottostante dello stesso originator), passando per la durata della rotazione. Anche sull’obbligo di trasmettere i dati di insieme alla nuova agenzia di rating non v’è accordo. La regola, infine, non è prevista dall’ordinamento statunitense né, a quanto consta, in altri ordinamenti. 3.5.La gestione dei conflitti di interesse da parte dell’agenzie di rating e i requisiti: governance, regole di comportamento e sistemi di remunerazione del personale. Accanto agli interventi di tipo strutturale o operativi appena rilevati, un ruolo centrale nella gestione dei conflitti di interesse assumono le regole di tipo organizzativo. Si tratta anzi delle misure che per prime, in sede comunitaria (ma anche negli Stati Uniti) hanno formato oggetto di regolamentazione e che compongono ancor oggi il nucleo principale delle regole in materia. La stessa proclamazione di apertura dell’art.6 del regolamento 1060/2009 impone alle agenzie di rating di adottare ogni passo necessario per assicurare che l’emissione del rating non sia affetta da conflitti di interesse attuali o potenziali o da relazioni di affari riguardanti l’agenzia emittente, i suoi manager, analisti, impiegati e ogni persona fisica che presta servizi in favore dell’agenzia e ogni soggetto direttamente o indirettamente legata da vincolo di controllo ad essa. Dunque, si impone agli amministratori dell’agenzia di rating un dovere generale di dotare la stessa di una struttura organizzativa adeguata a realizzare gli scopi indicati. La section A dell’Annex 1 al regolamento comunitario detta numerose regole specificative del contenuto di tale dovere: deve tuttavia ritenersi che esse, come normalmente accade a fronte di tali doveri, vadano considerate come regole di base da integrare alla luce delle specifiche circostanze concrete. Più nello specifico e senza pretesa di esaustività, è previsto, per le agenzie di rating: (i) che almeno un terzo dei propri amministratori sia indipendente (con il compito, peraltro loro assegnato in via esclusiva, di monitorare lo sviluppo delle politiche di rating, i controlli interni e le procedure per la gestione dei conflitti d’interesse)20; (ii) il divieto di fissare la remunerazione dell’analista o la valutazione del suo operato sulla base del reddito prodotto per la società; (iii) il divieto per il personale coinvolto nell’attività di classa mento di partecipare alla negoziazione della remunerazione dell’agenzia di rating; (iv) il divieto per i dipendenti dell’agenzia di acquistare strumenti finanziari emessi o garantiti da soggetti che siano oggetto di classamento o di accettare doni o favori da chi intrattiene relazioni d’affari con l’agenzia ai fini del classa mento; (v) il divieto di anticipare il probabile esito futuro della procedura di rating se non all’emittente valutato; (vi) appositi cooling-off periods per i dipendenti. L'esperienza americana si muove su simili direttrici. Il Credit Rating Agency Reform Act (CRARA), emanato dal Congresso americano nel settembre del 2006, ha assegnato alla SEC ampio potere in ordine ai conflitti d’interesse relativi all’attività delle agenzie; più in particolare, si sono previste una serie di situazioni in riferimento alle quali viene richiesta una disclosure dell’eventuale conflitto e dei meccanismi posti in essere per contenerlo e gestirlo (e cosi in particolare le ipotesi di remunerazione dell’attività svolta dai consulenti/valutatori nel “confezionare” i prodotti oggetto di classamento), senza peraltro vietare in tali casi l'emissione del rating. Dal punto di vista organizzativo, si è previsto poi che ogni agenzia debba designare un compliance officer cui sia demandata la responsabilità per la conformità, lato sensu intesa, dell’attività svolta alla legge. Guardando alle regole introdotte fra il 2008 e il 2009 la norma più interessante è quella che ha vietato l'attribuzione del rating nei confronti di 20 Una deroga in tal senso può essere concessa, dietro espressa richiesta, alle agenzie di dimensioni più contenute, qualora le stesse riescano a dimostrare che tali oneri e requisiti siano, nel caso specifico, sproporzionati. un soggetto a favore del quale la società abbia prestato la propria opera in altra veste consulenziale. Di non minore importanza, la previsione di un espresso divieto per qualunque analista finanziario abbia fornito il seppur minimo contributo in sede di emissione o di approvazione del rating a partecipare alla negoziazione dei compensi dovuti dall’impresa valutata . Quest’ultimo filone di intervento è stato infine fatto proprio dal Congresso americano con l’approvazione del Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act. Per quanto riguarda i conflitti di interesse relativi all’attività delle agenzie, fra le nuove ipotesi prese in considerazione dal legislatore del 2010 vi sono le situazioni di conflitto che possono svilupparsi a seguito del trasferimento di personale dalle agenzie agli emittenti valutati o viceversa21 (a tale riguardo si impone alle agenzie di inviare un apposito rapporto alla SEC ogni qual volta propri dipendenti vengano successivamente impiegati presso soggetti dalla stessa classati nell’anno solare precedente); inoltre, viene espressamente proibito al compliance officer di lavorare, “operativamente”, su rating, metodologie di calcolo o vendita di prodotti. In termini di governance è poi espressamente previsto che “each nationally recognized statistical rating organization shall establish, maintain, enforce, and document an effective internal control structure governing the implementation of [and adherence to] policies, procedures, 21 Cfr. Sec. 932 (a)(4) ove si legge che: “Each nationally recognized statistical rating organization shall report to the Commission any case such organization knows or can reasonably be expected to know where a person associated with such organization within the previous 5 years obtains employment with any obligor, issuer, underwriter, or sponsor of a security or money market instrument for which the organization issued a credit rating during the 12month period prior to such employment, if such employee (i) was a senior officer of such organization; (ii) participated in any capacity in determining credit ratings for such obligor, issuer, underwriter, or sponsor; or (iii) supervised an employee described in clause (ii)”. La stessa disposizione peraltro, sempre con riferimento ai conflitti d’interesse, incarica la SEC di emanare regole “to prevent the sales and marketing consideration of a [NRSRO] from influencing the production of ratings”; si tratta di regole la cui violazione può portare a conseguenze estremamente rilevanti, sino anche alla revoca dello status di NRSRO. and methodologies for determining credit ratings, taking into consideration such factors as the Commission may prescribe, by rule”. In seconda battuta, vengono delineati con maggiore precisione i poteri-doveri del compliance officer che deve nominare ogni agenzia (qualificata come NRSRO), conformemente a quanto disposto dalla Subsec. 15E(j) del Securities Exchange Act così come modificato dal CRARA nel 2006 Interessante, anzi tutto, notare come la retribuzione di questo soggetto non possa essere in alcun modo legata ai risultati economici dell’agenzia stessa, dovendo invece essere calcolata e corrisposta in maniera tale da garantire al “controllore interno” la più piena indipendenza di giudizio. La simmetria fra le due regolamentazioni, europea e statunitense, è evidente. Si tratta di regole importanti e necessarie anche se il loro valore non può essere sopravvalutato, specie per alcune di esse: la previsione delle c.d. chinese walls all’interno dell’organizzazione dell’attività è utilizzata come strumento principale di gestione dei conflitti di interessi in vari settori della disciplina dei mercati finanziari,ma si dubita della sua oggettiva capacita di evitare in concreto comportamenti in conflitto di interessi; gli stessi dubbi agitano la discussione sull’effettività del contributo che gli amministratori indipendenti possono dare per contrastare comportamenti contrari alle regole (e in particolare alle regole sui conflitti di interesse). E tuttavia sotto il profilo organizzativo si tratta di previsioni non eludibili, ma efficaci solo se accompagnati da rigorosi obblighi informativi, da adeguati poteri dell’autorità di sorveglianza, da adeguate sanzioni per la loro violazione. 4. Dunque? Pur con gli indubbi progressi compiuti dalla regolamentazione delle agenzie di rating negli ultimi anni, il tema del conflitto di interessi, legato alla struttura del modello di finanziamento delle agenzie, resta ancora un nodo non compiutamente sciolto nella disciplina europea e statunitense: ne è testimonianza il contenuto della proposta di modifica del regolamento comunitario, che al punto dedica una particolare attenzione. Non deve tenersi troppo conto, nell’adottare scelte in materia, del timore di rimproveri di eccesso di regolamentazione o di dirigismo del mercato finanziario (o di eccesso di “paternalismo”, come direbbero negli Stati Uniti). Anche se si seguisse con determinazione la strada di diminuire il peso regolamentare del rating, di fatto il ruolo concretamente svolto dalle agenzie di rating sui mercati ne impone la massima impermeabilità ai conflitti di interesse. Lo richiede la constatazione della gravità degli effetti di una lacunosa regolamentazione della materia, anche nella genesi dell’attuale crisi finanziaria. Lo richiede, al di là della facile osservazione del “fallimento” del mercato, il duplice rilievo che (i) in presenza di conflitti di interessi, non v’è reale mercato anche nella più liberista delle prospettive, ma una distorsione dei meccanismi di mercato, e che (ii) senza l’intervento del regolatore i conflitti non possono essere eliminati o semplicemente affidati alla gestione dello stesso soggetto in conflitto, in quanto interessato a mantenere la sua reputazione. Lo richiede l’importanza della posta in gioco, oggi sotto gli occhi di tutti, ma che rileverebbe anche senza l’evidenza della crisi, perché la tutela dell’integrità dei mercati finanziari è oggi tutela del “necessario” e non solo del “superfluo” per le persone. Lo richiede, infine, la particolare caratteristica del conflitto di interessi che – oltre a essere endemico – è capace di manifestarsi in forme mutevoli e di adattarsi alle regole di volta in volta fissate. Simile in questo all’Idra di Lerna alla quale, tagliata una testa, altre ne ricrescevano. Per averne ragione Ercole – unicum nelle sue fatiche – dovette ricorrere all’aiuto del nipote Iolao per cauterizzare con il fuoco le ferite inferte all’Idra, affinchè non ricrescessero le nuove teste, e dovette seppellire l’ultima testa sotto un enorme masso. Il legislatore comunitario non deve giungere a tanto, ma qualche scelta coraggiosa e netta si impone. Per non dover riascoltare, in futuro, quel che disse un dirigente di Enron: “what used to be a conflict is now a sinergy”.