Day after a sorpresa, decide la pioggia

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Day after a sorpresa, decide la pioggia
CON IN MOVIMENTO + EURO 1,00
CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46)
art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013
ANNO XLVI . N. 151 . VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
EURO 1,50
BREXIT/ OGGI IL VERDETTO
Day after a sorpresa,
decide la pioggia
ROMA
Leonardo Clausi
LONDRA
L
a Gran Bretagna dovrebbe rimanere membro dell’Unione Europea? È il dilemma
sciolto dai votanti dei 46.499.537 elettori
britannici aventi diritto. Mentre scriviamo, è impossibile anche solo prevedere l’esito del day after della Gran Bretagna, il referendum sulla permanenza nell’Ue su cui le due fazioni leave e remain si sono appassionatamente dilaniate per
mesi. Al momento le possibilità restano nel bilico di questi ultimi giorni, con remain al 51%
contro il 49 del leave.
CONTINUA |PAGINA 5
SPAGNA VERSO IL VOTO | PAGINA 6
ULSTER
Il «DiazGate» scuote
il Pp. Podemos
tenta il sorpasso
Belfast alle urne con
tendenza europeista,
ma con il sogno
dell’«United Ireland»
Lo scandalo dei «dossier falsi» del ministro
dell’interno (Pp) infiamma le ultime ore della
campagna elettorale. L’attacco di Iglesias
ENRICO TERRINONI |PAGINA 5
Nel Pd scoppia la rissa. La ministra Madia chiede le dimissioni del «commissario» romano Orfini, il vicesegretario
Guerini la bacchetta, la minoranza di Bersani a conclave. Oggi fuoco incrociato al Nazareno. Renzi farà il pompiere
o l’incendiario? Intanto arriva l’avvertimento di Verdini che, in senato, fa mancare i voti al governo PAGINA 4
FOTO ANDREA SABBADINI
Raggi nella città
Tappe simbolo
prima di salire
in Campidoglio
Il primo giorno della prima sindaca di Roma comincia nella periferia nord. E si conclude in Campidoglio, dopo aver attraversato
il luoghi simbolo della memoria
cittadina. Lottando con il traffico
e senza auto blu, ma con la scorta dei militanti grillini. Poi l’annuncio: per la giunta bisognerà
aspettare un paio di settimane.
FABOZZI |PAGINA 2
MOVIMENTI
De Magistris
e Varoufakis:
la politica delle
«città ribelli»
Blitz a Roma del sindaco di Napoli Luigi De Magistris e del portavoce del movimento europeo
«Diem 25» Yanis Varoufakis. La
prospettiva di una rete di «città,
regioni e governi ribelli» contro
la Troika. De Magistris alla sindaca di Roma Virginia Raggi
(M5S): «Spero in una collaborazione fattiva tra le due città»
CICCARELLLI |PAGINA 3
LEGALITÀ
A Polistena
la marcia
dei sindaci
contro le mafie
La casa brucia
SINISTRA E POPULISMO
Sotto la paura bruciano
le diseguaglianze
Simone Oggionni
INCHIESTA | PAGINE 8, 9
Le arance amare
dei profughi di Mineo,
schiavi senza caporali
I richiedenti asilo del Cara siciliano impiegati
al nero nella raccolta dei tarocchi. La denuncia
del dossier Filiera sporca, presentato alla Camera
N
el mare "politicista" in cui affoga
la gran parte dei commenti di questi giorni, le parole di Romano Prodi, nell’intervista a Repubblica, offrono Alcune considerazioni politiche su cui riflettere e con cui aprire una seria interlocuzione. La prima questione sollevata – su
cui a nostra volta insistiamo da tempo –
ha a che fare con il populismo e con la
sua radice. Il populismo, che è categoria
efficace e precisa, esiste. Ne va riconosciuta la sostanza: una visione corporativa del
popolo che ignora le differenze che fratturano la società e gli interessi contrapposti.
CONTINUA |PAGINA 15
RAI
Una forza
di sinistra
deve parlare
a movimenti
e associazioni,
ascoltarne
temi e obiettivi.
Come insegnano
gli albori
del movimento
socialista europeo
L’ANALISI
Ignazio Masulli
pagina 15
BIANI
Grandi manovre,
chiude Ballarò
Michele Santoro
verso Raidue
In attesa della presentazione ufficiale
il 28 giugno a Milano, al vaglio del
cda ieri i nuovi palinsesti Rai. Tra
conferme, la chiusura dopo quattordici stagioni di «Ballarò» sostituito da
un nuovo format condotto dall’anchor man di Skty Tg24 Gianluca Semprini, molte voci di possibili ritorni:
Santoro per una docu-fiction su Raidue, Ferrara come autore di testi per
Buttafuoco. Per l’Usigrai è la: «mortificazione dei professionisti interni».
CRIPPA|PAGINA 13
Attentati incendiari e dinamitardi, omicidi, tentati omicidi, lettere minatorie, aggressione. È il
linguaggio della criminalità per
intimorire i sindaci. Quest’anno
sono stati ben 180 quelli minacciati, nel sud ma anche al nord.
E oggi nella scendono in piazza
con Avviso Pubblico a Polistena, nella Piana di Gioia Tauro
MESSINETTI |PAGINA 3
pagina 2
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
POLITICA
Roma •
Raggi parte dalla periferia nord e si fa accompagnare dai militanti grillini.
Rimanda a luglio il varo della giunta. «Sindaca? Chiamatemi Virginia»
La lunga marcia
per il Campidoglio
Il primo giorno della prima
sindaca. Attraverso la città
e il suo traffico, toccando i luoghi
simbolo e cambiando l’auto
VIRGINIA RAGGI IERI A PORTA SAN PAOLO E, NELLA FOTO GRANDE, IN CAMPIDOGLIO
Andrea Fabozzi
L
a sua prima uscita ha come
sfondo un quartierone della
semi periferia nord. Per arrivarci si segue il filo dei vigili urbani
nelle loro divise estive, comparsi come insoliti sassolini bianchi in questo labirinto di asfalto. Virginia Raggi non vuole l’auto di servizio, l’accompagna perciò un attivista grillino con una lancia Ypsilon, sporca
come tutte le auto dei romani in
questi giorni di piogge fangose dei romani che non hanno l’autista. È un ritorno: Raggi era stata nel
mercato del rione, Val Melaina, l’ultimo giorno di campagna elettorale
e nel quartiere il Movimento 5 Stelle ha fatto il solito pienone di voti.
Giovedì sono tornati al mercato anche i vigili urbani, hanno sequestrato 350 chili di merce irregolare e fatto multe per 40mila euro. Virginia
Raggi esce dall’auto per essere presa in consegna dalla signora Emilia
Maturi, dirigente del cerimoniale
del Campidoglio che in una custodia di stoffa blu porta la nuovissima fascia tricolore. All’ombra di un
platano, la giovane avvocata diventa la prima sindaca di Roma.
Ad accoglierla trova il procuratore capo Giuseppe Pignatone, quello che ha dovuto aprire un fascicolo sulla consulenza non dichiarata
alla Asl di Civitavecchia. «Sono tranquilla», dirà lei, tante volte. Ci sono
anche il procuratore generale Salvi
e il presidente del senato Grasso, si
ricorda il magistrato Mario Amato,
ammazzato dai terroristi neri trentasei anni fa in questo punto, mentre aspettava l’autobus per il palazzo di giustizia. Raggi aveva allora
due anni, adesso ha in mano un foglietto dal quale legge un breve discorso - non chiama fascisti i terroristi, dice «di destra» - con appena
un passaggio in stile grillino: «Siamo qui in strada, fuori dai palazzi».
Siamo su un marciapiedi. Ovviamente è emozionata, si aggiusta i
capelli di continuo, il sorriso sempre un po’ forzato. Dev’essere difficile abituarsi ai fotografi. Quando
la cerimonia finisce le portano un
bambino, lei prova a sciogliersi un
po’: «Ciao, come ti chiami». Ma il
bambino non dice una parola.
In piazza Venezia l’automobile
del militante grillino non può arrivare, serve un taxi per varcare la
Ztl. Quando Raggi scende da Mantova 57 la polizia ha appena liberato dai turisti la pedana del monumento al milite ignoto: «Devono
transitare le autorità». Ci sono solo
due bandiere del Movimento 5 Stelle, la prima la porta un uomo in bermuda e sandali, bibita e marsupio.
La seconda uno travestito da D’Artagnan, con la spada. Ci sono una
quarantina di vigili urbani schierati
sulle scale, e ci sono naturalmente i
soliti fotografi: Aò tutti ’sti pizzardoni ciavemo. Intorno, nella piazza
martoriata dai lavori per un Giubileo che sta per finire, si incattivisce
il traffico. «Com’è giovane», dice
una signora con accento veneto
quando Raggi torna giù dal sacrario. Comincia a piovere. Padova 12
se la porta via.
A Porta San Paolo, davanti alla lapide che ricorda l’inizio delle resistenza romana, ci sono militari
dell’esercito e della marina schierati sotto la pioggia. La sindaca depone anche qui una lapide. Lo fanno
tutti i nuovi sindaci e l’ha fatto anche Ignazio Marino tre anni fa, spostandosi però in bicicletta tra due
vigili idrofobi. Nando Cavaterra,
che ha combattuto nei Gap, ferma
Raggi prima che vada via. «Il fascismo è una brutta bestia», le dice.
«Potresti essere mia nipote, vorrei
venire a trovarti per parlare di cosa
possiamo fare per la città noi partigiani», chiede Tina Costa, novantenne staffetta. La sindaca rimane
in silenzio. Risponde però quando
le si avvicina un’operaia dell’Ama
in tuta da lavoro: «Si prenda cura
della nostra città». «Lo farò», promette lei. Poi lascia il taxi ed entra
nella Fiat punto bianca di un nuovo attivista grillino. Verso le Fosse
Ardeatine. I partigiani dell’Anpi
hanno un pulmino e la seguono.
All’arrivo spunta il sole.
Un tipo ruvido che probabilmente dovremmo cominciare a conoscere sbarra il passo delle grotte dove fu consumato l’eccidio nazifascista: «Giornalista? A maggior ragione stai fuori». Resta fuori però anche un bel gruppo di turisti texani,
ai quali spieghiamo che sono capitati qui in una giornata particolare.
Non vogliono aspettare e vanno
via. Quando la sindaca viene fuori
la portano al registro delle visite, lei
non improvvisa: «Mi impegno a raccogliere questa importante eredità
per la nostra amata città e il nostro
Paese», scrive. Nel frattempo un generale dell’esercito a due stelle e
un colonnello dei carabinieri si avvicinano a Paolo, l’autista grillino.
Girano attorno alla Fiat punto. «Lei
è... voglio dire il sindaco è con lei?»
Lui, un’ingegnere, si stringe nelle
spalle volendo dire di sì. «Me l’avevano detto», si allontana il generale. L’auto di Paolo non ha una scorta, almeno visibile, e si infila nel
traffico del Lungotevere verso l’ultima tappa, il Tempio maggiore.
Aspettano il rabbino capo Riccardo
Di Segni e la presidente della comunità ebraica Ruth Dureghello. Deposta sulla facciata della sinagoga
la quarta e ultima corona con il nastro giallorosso, Raggi si ferma un
po’ a parlare e i suoi ospiti apprezzano: «È stato un incontro molto familiare, non eravamo abituati».
Alle sei e un quarto di sera, un’automobilina elettrica azzurra si arrampica sul Campidoglio per la salita del carcere Mamertino, alla guida il consigliere grillino Daniele
Frongia, incastrata dietro e un po’
scomoda c’è la nuova sindaca. Appena esce infila gli occhiali da sole
e si avvia verso le telecamere. Risponde a qualche domanda, annuncia che la sua giunta, quella
che - proprio su questa piazza, durante l’ultimo confronto tv - aveva
detto di aver pronta ma di non po-
ter rivelare, la completerà invece in
una paio di settimane. Entro il 7 luglio, quando ci sarà la prima riunione del consiglio comunale. Sorride
un po’di più e ha una battuta pronta per i saluti ai giornalisti. «Sindaca? Non mi fa impazzire, chiamatemi Virginia». Sale, veloce, la scala
della Lupa e poi scompare inghiottita dalle stanze e dai dirigenti del
comune che si sono messi in fila
spalla contro spalla. Riappare dal
celebre balcone vista Fori, dal basso si capisce solo che è di nuovo
tanto emozionata, si copre la bocca. Ma nei teleobiettivi dei fotografi, giurano, piangeva. Dalla strada
non si vede di più. Però lei si collega in streaming dal suo nuovo studio. Per tutto il resto c’è facebook.
Il caso/ FUORI DALLA SUA VILLA BLOCCA DUE REPORTER DI LA7. CHE LO DENUNCIANO
Lo Cicero l’assessore in pectore
stavolta spacca una telecamera
ROMA
D
opo la «roba da frocetti» e dopo
«zingari di merda» detto a microfoni accesi, il campione rugbista
Andrea Lo Cicero ne combina un’altra,
che stavolta potrebbe - o almeno dovrebbe, in una Capitale normale - costargli
definitivamente il posto da assessore allo
sport che la nuova sindaca di Roma Virginia Raggi gli aveva offerto. A raccontare
al manifesto il nuovo episodio di cui
l’omone si è reso protagonista ieri è Eloisa Covelli, giornalista free lance impegnata ieri in un servizio per L’Aria che tira, la
popolare trasmissione del mattino di
La7 condotta da Myrta Merlino. «Ero arrivata dalle parti della casa-azienda agricola di Lo Cicero, nella zona di Nepi», racconta la cronista. «Il villone è circondato
da filo spinato e telecamere. Per questo
ho preso una strada di campagna laterale, che non ha alcuna segnalazione di
proprietà privata. Ma la strada era chiusa
e per questo dopo pochi metri torno indietro. E invece mi si para davanti Andrea Lo Cicero con il suo macchinone,
una Range Rover. Scende intimandoci di
andar via, si avvicina all’operatore e gli
stacca l’obiettivo della telecamera, tenendoselo. Poi rompe anche il lettore video.
Poi torna in macchina e la parcheggia in
modo da non farci più uscire dalla strada». A questo punto giornalista e operatore - ironia della sorte, dato le idee politiche del rugbista, è uno straniero regolare
di nome Francisco - si attaccano al telefo-
Dopo i «frocetti»
e gli «zingari di merda»,
il rugbista ne infila un’altra.
Che potrebbe costargli
la nomina. O dovrebbe
no e cercano aiuto. Intanto Lo Cicero ci
ripensa e restituisce, così racconta Covelli, ai due reporter l’obiettivo della telecamera. Che può ricominciare a girare.
A questo punto arrivano, chiamati da
Lo Cicero ma anche dai giornalisti, e a
quel punto il macchinone viene finalmente spostato. Chissà cosa voleva otte-
nere, il rugbista, impedendo alla macchina di muoversi. I due cronisti seguono i
carabinieri al comando di Nepi e sporgono denuncia per violenza privata e danneggiamento. Per l’Aria che tira è l’ora di
chiudere la puntata ma Merlino fa in
tempo a raccontare l’episodio. Le immagini andranno in onda oggi.
La vicenda fa rapidamente il giro del
web, scatenando ilarità e indignazione
verso il rugbista. Ma soprattutto sollevando una generale richiesta alla neosindaca a 5 stelle di ritirare la proposta di assessorato a uno che sta dando prova prova
di inciviltà di vario genere. Uno insomma inadatto a fare il paladino dello sport
della Capitale d’Italia e tantomeno il promotore delle «politiche giovanili».
In serata Lo Cicero smentisce tutto,
per quel che può. Affidando a facebook
la sua versione: «La giornalista insieme
al suo operatore hanno violato la mia
proprietà privata, irrompendo in casa
mia senza alcuna autorizzazione del sottoscritto ed invadendo, dunque, la privacy del sottoscritto, della mia famiglia e
del mio domicilio», scrive. Non c’è stata
dunque «nessuna aggressione» da parte
sua, assicura. Solo «un invito» «ad allontanarsi». Lo Cicero racconta di valutare
se sporgere denuncia, ma fino alla serata
di ieri nessuna denuncia era arrivata ai
carabinieri di Nepi da parte sua.
Il rugbista posta anche un video che ritrae la giornalista al telefono, che racconta di aver subito un’aggressione con
l’operatore e di essere «ostaggio» di Lo Cicero che «blocca la mia auto con la sua
auto», scena che infatti si vede perfettamente dalle immagini. Per Lo Cicero però quello della cronista è «un vero e proprio siparietto del ridicolo, mentre io me
ne sto fermo e il suo cameraman riprende il tutto beatamente».
d.p.
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
POLITICA
Disobbedienza •
pagina 3
Con Diem 25 il progetto di una rete di «città, regioni
e governi ribelli» contro l’Europa dell’austerità
DECIMA MANIFESTRAZIONE A PARIGI Il presidente Hollande continua a ripetere che
andrà «fino in fondo» ma le mobilitazioni contro la Loi Travail, il Jobs Act francese, non
accennano a diminuire: ieri decima grande, tesa, manifestazione a Parigi - 60 mila in piazza
secondo i sindacati Cgt e Force Ouvrière, tra 19-20 mila, secondo la polizia - questa volta senza
danneggiamenti o lanci di sassi ma sempre con 95 persone fermati per accertamenti.
Compreso tutti gli altri cortei che si sono svolti nel resto della Francia, i fermi sono stati 113. A
Rennes, in Bretagna, alla fine del corteo autorizzato un gruppo di contestatori (un migliaio circa)
ha sfasciato o imbrattato alcune vetrine di banche e agenzie immobiliari.
DE MAGISTRIS E VAROUFAKIS · Insieme a Roma davanti al simbolo-Baobab
DOPO IL DISASTRO
«La nuova Europa parte
dalla politica nelle strade»
Pd, nella palude
napoletana il giallo
del commissario
Roberto Ciccarelli
ROMA
lla direzione nazionale del Pd,
oggi a Roma, Matteo Renzi dovrebbe rivelare il nome del
commissario da inviare a Napoli
con il «lanciafiamme». L'annuncio
era arrivato subito dopo il primo turno della comunali con il partito precipitato all'11% e la candidata voluta
dal premier e da Matteo Orfini, Valeria Valente, fuori dal ballottaggio.
Ma il tono belligerante aveva subito
lasciato il passo alle mediazioni della politica: tra Roma e Napoli è cominciata a girare l'ipotesi di un commissario solo per l'area urbana, il segretario provinciale Venanzio Carpentieri (vicino al vicesegretario Lorenzo Guerini) lasciato al suo posto.
Dopo le batoste di Roma e Torino,
pare che Luca Lotti e Maria Elena Boschi si siano convinti a sacrificare anche Carpentieri. Un'eventualità che
provocherebbe uno scontro aperto
con i consiglieri regionali Mario Casillo e Lello Topo, artefici delle vittorie dem nell'hinterland partenopeo.
Anche il commissariamento soft
innescherebbe uno scontro. Area Riformista chiede un congresso straordinario che ridiscuta la linea del partito, dopo l'alleanza a Napoli con
Ala. «Queste elezioni – ha dichiarato
Roberto Speranza - hanno rappresentato il funerale del partito della
nazione. Il Pd torni a fare il cardine
di un nuovo centrosinistra aperto al
civismo». Nel campo dei bassoliniani, si sono fatti sentire l'eurodeputato Massimo Paolucci («Non facciamo ridere l’Italia commissariando
solo la città di Napoli e lasciando tutto immutato al provinciale e al regionale») e il consigliere regionale Antonio Marciano: «Lo stato di salute del
partito e il risultato catastrofico del
voto a Napoli impongono scelte dure. Non vorrei che inaugurassimo
un nuovo rilevatore della responsabilità politica dei nostri dirigenti fatta per Km di territorio».
Da settimane va avanti il totonomi: il deputato Ernesto Carbone; il
senatore milanese Franco Mirabelli,
attuale commissario del partito a Caserta; il sindaco di Ercolano Ciro
Buonajuto; la deputata casertana Pina Picierno. Ma probabilmente oggi
il nome del commissario non sarà
fatto. Le vicende nazionali potrebbero consentire a Renzi di prendere
tempo per trovare un accordo locale, che per ora non c'è. Tommaso
Ederoclite, dimissionario dalla segretaria provinciale, avverte: «Se arrivasse un commissario solo per Napoli
sono pronto, con un gruppo di militanti e dirigenti giovani, a costringere il partito a un dibattito vero. Bisogna azzerare il tesseramento, riorganizzare i circoli. Sei, otto mesi di
commissariamento per poi andare a
congresso. Il Pd a vocazione maggioritaria, che imbarca ceto politico,
perde».
Azzeramento delle tessere e commissariamento del provinciale e regionale è la richiesta di Antonio Bassolino. L'ex governatore ha indetto
un incontro pubblico per il 4 luglio
al cinema Filangieri. Lì lancerà la
sua proposta per aggregare, all'interno del partito, un gruppo dirigente
che dal Mezzogiorno chiede un cambio di rotta a Renzi: «Sono indispensabili una riflessione di fondo e la
rottura del perverso rapporto tra signori delle tessere e protettori nazionali. Per salvare il Pd e ricostruire il
centrosinistra».
A
N
el budello arroventato di via
Cupa, all’entrata del plurisgomberato Baobab, simbolo dell’accoglienza dei migranti apolidi e senza dimora nella Capitale, il
sindaco di Napoli Luigi De Magistris
e il portavoce di Diem 25 («Democracy in Europe Movement 2025») e
l’ex ministro dell’economia greco
Yanis Varoufakis hanno esposto ieri
le prime linee di un’«agenda paneuropea formata da un rete di città, regioni e governi ribelli» contro l’austerità. Sarà, verosimilmente, questa la
cornice in cui si muoverà il «movimento» di cui parla De Magistris dalla rielezione a palazzo San Giacomo.
Un movimento che dovrebbe essere
coordinato dal fratello del sindaco
Claudio, «spin doctor» e accreditato
come mente dell’operazione.
Messa in ombra dall’affermazione
del movimento Cinque Stelle a Roma e Torino, e liquidata con la categoria di «populismo» (che, per il
mainstream ormai non vale più per i
grillini), la formula politica descritta
da De Magistris e Varoufakis sembra
più complessa rispetto alle astratte
categorie liquidatorie degli editorialisti moderati. L’intreccio con la prospettiva di Diem 25, realtà fin’ora rimasta in ombra e quasi disincarnata, permette di tracciare una prospettiva europea all’esperienza munici-
DE MAGISTRIS CON L’EX MINISTRO GRECO VAROUFAKIS FOTO ELEONORA DE MAJO
palista napoletana, permettendo di
liberarla dai luoghi comuni antimeridionalisti.
«Iniziamo da questo marciapiede
- ha detto Varoufakis - per dimostrare che c’è un’alternativa alle politiche tossiche e alle economie sbagliate di Bruxelles. La nuova politica europea deve partire dalle strade e dalle città sotto l’ombrello di un movimento europeo». Lo schema politico
è quello della federazione politica
delle città contro l’Europa degli Stati:
un’idea di decentralizzazione e autogoverno che trae spunto dalle Costituzioni antifasciste del Dopoguerra,
dalle varie sfumature della democra-
Gioia Tauro / A POLISTENA OGGI MANIFESTAZIONE DI AMMINISTRATORI SOTTO TIRO
La marcia dei sindaci onesti
contro le intimidazioni
A
ttentati incendiari e dinamitardi,
omicidi, tentati omicidi, lettere minatorie, aggressioni, danneggiamenti a beni di proprietà pubblica e privata, autovetture incendiate (anche più d’una contemporaneamente), colpi d’arma da fuoco
a persone o cose, proiettili recapitati. È
questo il linguaggio della paura, l’alfabeto
del terrore scelto dalla criminalità per intimorire gli amministratori, in particolare i
sindaci. Nei primi 5 mesi di quest’anno sono stati ben 180 gli amministratori minacciati. Le regioni più colpite sono la Calabria con il 27% degli episodi, la Sicilia (il
20%) la Campania (il 18%), e a seguire Puglia e Sardegna. Ma il fenomeno è presente in altre 15 regioni italiane: dalla Lombardia al Piemonte, dalla Liguria all’Emilia Romagna, dal Veneto al Lazio, passando poi
per Abruzzo, Marche e Molise.
E oggi gli amministratori scendono in
piazza per la prima volta chiamati a raccolta da Avviso Pubblico, a Polistena, nella
piana di Gioia Tauro.
«La Calabria nel 2016 è la terra più bersagliata, per questo abbiamo scelto di organizzare in quei luoghi la “Marcia degli Amministratori sotto tiro” - ha sottolineato il
vice presidente di Avviso Pubblico, Paolo
Masini- ma la Calabria è anche una terra
dove ci sono tanti amministratori che resistono, tanti esempi di buona politica, tanti
giovani sindaci impegnati in prima linea».
Il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, Pierpaolo Romani, nell’illustrare i dati
ha affermato: «Le statistiche dei primi cinque mesi del 2016 confermano un aumen-
Quest’anno un’impennata di
agguati e minacce: 180
episodi in soli 5 mesi, in testa
le città del Mezzogiorno e
la Calabria in particolare
to degli atti intimidatori in particolare nel
Mezzogiorno e, per quanto riguarda le ultime settimane, durante il periodo delle
campagne elettorali. La stragrande maggioranza degli amministratori e dei candidati
resiste, ma alcuni fanno un passo indietro,
dimettendosi o ritirandosi dalla competizione. È fondamentale che le comunità
sentano le minacce come un problema collettivo e che le istituzioni intervengano
prontamente con adeguati strumenti di
protezione e sostegno».
Solo mafia? La domanda chiave è se dietro questa mole di episodi possa leggersi la
mano della criminalità organizzata e in
che misura. Il rapporto “Amministratori
sotto tiro” segnala come dietro numeri così elevati ci sia di tutto. I dati non permettono di dare risposte sostenute da elementi
certi. È possibile tuttavia provare ad indicare alcune connessioni. Intanto, esiste una
relazione ma non assoluta tra atti intimidatori e scioglimento dei consigli comunali
per infiltrazioni mafiose. Nel 49% dei casi
uno dei motivi posto a base del provvedimento dissolutorio delle amministrazioni
è proprio legato ad episodi di intimidazioni contro amministratori in carica e candidati (episodi di intimidazione sono stati
registrati anche contro commissari prefettizi chiamati a reggere le amministrazioni
di comuni disciolti). Nondimeno, le modalità di alcuni episodi, i luoghi di svolgimento, la ripetitività dei fatti, sono tutti
elementi che inducono a pensare che in
molti casi non si tratta di gesti isolati, di
qualche cittadino più o meno esasperato,
di buontemponi armati di mitragliette o
capaci di confezionare ordigni di elevata
potenza. Altro elemento che induce a sospettare della longa manus delle mafie è
la connessione prevalente (ma non assoluta) tra periodo elettorale (regionali e amministrative) e aumento degli episodi di
intimidazione. Offesi, aggrediti, minacciati con lettere minatorie contenenti anche
proiettili. Accoltellati, picchiati, bastonati. Si spara alle loro case, si incendiano le
loro auto e quelle dei loro famigliari. Si
usano ordigni esplosivi. Si bruciano gli uffici comunali e i mezzi pubblici.
Oggi i sindaci scendono in piazza per dire: ora basta. Anche in nome di Peppe Valarioti, uno dei figli migliori di questa sventurata terra, che diceva: «Se non lo facciamo
noi chi lo deve fare?». L’hanno ucciso a Rosarno l’11 giugno del 1980, il giorno della
vittoria dei comunisti alle amministrative.
s.mes.
Adriana Pollice
zia partecipativa (Social Forum di
Porto Alegre, il modello «bolivariano», l’orizzontalità della rete, movimenti come Podemos a poche ore
dalle elezioni spagnole). Forte è anche il riferimento al concetto di «autonomia» in senso sia municipalista
sia politico. O
ltre a Napoli, sostiene Varoufakis,
ci sono Barcellona e Madrid, La Coruna e Dublino. Su questa scia, De Magistris svela un altro motivo del blitz
romano davanti a 500 persone, strette e accaldate: sondare gli umori della città dove i Cinque Stelle hanno
spazzato via il «Sistema Pd». «Buon
lavoro alla sindaca Virginia Raggi. Mi
Il sindaco di Napoli
a Virginia Raggi:
«Governiamo città che
si toccano, spero in una
collaborazione fattiva»
auguro - ha detto l’ex magistrato che tra Napoli e Roma ci possa essere un rapporto di fattiva collaborazione. Guardiamo con interesse soprattutto a chi è contro il sistema».
Sono le prime prese di contatto
con i Cinque Stelle, una realtà ormai
data al 30% nazionale, in continua
trasformazione e accreditamento. È
di ieri la loro sorprendente conversione europeista: nell’imminenza degli
esiti sul «Brexit», un post sul blog di
Grillo sembra avere abbandonato
l’alleanza con Farage e cambiato
l’orientamento politico «no-euro»
del movimento: «L'unico modo per
cambiare questa "Unione" è il costante impegno istituzionale - si legge - per questo il Movimento 5 Stelle
si sta battendo per trasformare l'Ue
dall'interno». Resta da capire se ai
Cinque Stelle interessa la proposta
De Magistris-Varoufakis o se continueranno ad occupare tutti gli spazi
politici a disposizione nella battaglia
finale contro Renzi e il Pd. Da questo
si capirà anche lo spazio per l’esperimento europeista di Napoli.
«Se mi vedo alla guida di un movimento sinistra in Italia? No - ha detto De Magistris - Io mi vedo sindaco
di Napoli» ma «porteremo la nostra
esperienza oltre i confini». Per il momento vede Napoli città autonoma
sul modello di Barcellona. «Rientra
in una cornice costituzionale agli articoli 117 e seguenti. Non condivido il
neocentralismo autoritario» del governo Renzi «che non aiutano le comunità locali. Dal basso si può costruire un nuovo modello».
pagina 4
il manifesto
Daniela Preziosi
S
e non è il caos totale poco ci
manca. Nel Pd del post voto
amministrativo grande è il
disordine sotto il cielo, e la situazione è tutt’altro che eccellente.
Certo, sul quartiere generale si
spara. Ma gli spari arrivano da
ogni direzione, anche dallo stesso
quartier generale. Dalle colonne
di Repubblica la ministra Marianna Madia chiede le dimissioni del
commissario del Pd romano Matteo Orfini: «Il Pd dev’essere ’stappato’. Se il tappo è Orfini, allora si
dimetta da commissario». La ministra definisce il collega «un ostacolo al parlamento», «In città c’è
una classe dirigente giovane, agisca. Ma senza aspettare che qualche capocorrrente la candidi». La
richiesta di dimissioni di Orfini
era circolata già negli scorsi giorni
nella minoranza Pd (il primo ad
avanzarla era stato il bersaniano
Davide Zoggia). Ma fin qui nessuno l’aveva presa sul serio: il congresso del Pd romano si terrà entro ottobre come ha annunciato
lo stesso Orfini, e non sembra tanto razionale nominare oggi un
nuovo commissario, o addirittura
inventarsi un inedito ’direttorio’
per gestire una federazione nel caos e scarsa a iscrizioni - intorno ai
5mila- e organizzare il congresso
in quattro mesi di cui due estivi.
Ma il risultato disastroso del
Pd nella capitale ha scoperchiato
il vaso di Pandora del partito romano, fin qui faticosamente tenuti a freno. Madia non è nuova a
accuse contro il Pd romano. Nel
2013 l’aveva definito «composto
da vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio».
Tutti delinquenti, tranne quelli
che generosamente l’avevano vo-
EX VOTO
Madia contro Orfini
Ma il Pd lo difende
«Mai più fiducia a prescindere»
La minoranza attacca: «Svolta
sociale e modifiche all’Italicum»
tata alle parlamentarie di qualche mese prima?
È Lorenzo Guerini a consigliarle «più sobrietà». Orfini «va solo
ringraziato», dice il vice di Renzi,
perché « si è assunto la responsa-
bilità di commissario di Roma dopo Mafia Capitale e lo ha fatto con
grande impegno»
Ma le parole di Madia danno il
la allo scambio di accuse fra minoranza bersaniana e giovani turchi,
compagni coltelli dopo essere stati entrambi sostenitori di Cuperlo
allo scorso congresso. Il senatore
Miguel Gotor attacca: «Le dimissioni non si chiedono ma si danno per senso di responsabilità».
Replica Francesco Verducci: «Gotor parla di senso di responsabilità? Lui che passa il suo tempo a
spargere veleno sul Pd che manco
Brunetta e Di Battista messi insieme?». Non solo Orfini, «tutti debbono fare un passo indietro», intima l’ex segretario di Roma Marco
L’UNITÀ · Staino (forse) direttore del quotidiano Pd al posto di Erasmo D’Angelis
Sergio Staino (nella foto), vignettista 76enne quasi del tutto non vedente, padre del personaggio Bobo, ispirato iconograficamente al compianto Umberto Eco, sta per entrare a l’Unità giornale a cui collabora dai primi anni Ottanta - nell’insolita veste di direttore. È stato lui stesso a confermare all’Ansa: «Sì, è vero: mi è stata chiesta la disponibilità a dirigere l'Unità e io
l’ho data con grande entusiasmo, più di pancia che di testa...». «Non ho ancora parlato con
Renzi - ha spiegato poi Staino - e quindi la cosa è ancora tutta da vedere. Però è vero che mi
è stata chiesta la disponibilità». «L'Unità - ha concluso - è un giornale che ha bisogno di cuore e anima. E Bobo ne ha». In base a quello che si è lasciato sfuggire il giornalista Fabrizio
Rondolino sui social network in verità il segretario-premier avrebbe giudicato «una buona
idea» quella di sostituire l’ormai ex direttore Erasmo D’Angelis - colpevole di aver difeso Saviano dagli attacchi dello stesso Rondolino - con Staino, specialmente dopo che, pochi giorni fa,
l’altro candidato a dirigere il quotidiano di partito, l’ex direttore della rivista Wired, il cinquantenne Riccardo Luna, ha rinunciato all’incarico. Staino dal maggio scorso si è molto speso a
favore del nuovo corso iper-renziano del giornale e per il Sì al referendum di ottobre.
SENATO · Ala manda sotto il governo. Centristi nel panico
E Verdini spara la «bombetta»
per cambiare l’Italicum
Andrea Colombo
U
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
n segnale, preciso e inequivocabile,
rivolto a Renzi ma anche ad Alfano.
Per lanciarlo i senatori di Verdini e
una cospicua parte di quelli centristi colgono un’occasione da Dottor Stranamore. A
proposito di norme antiterrorismo, la legge
in discussione a palazzo Madama commina 6 anni a chi si tiene in cantina una bombetta nucleare, e 12 a chi la fa anche esplodere. L’emendamento dei forzisti Caliendo
e Palma, quello che manda sotto il governo, raddoppia le pene. Sempre che qualcuno sopravviva. Gli alati (nel senso di Ala) votano tutti l’emendamento antinucleare.
Nell’Ncd metà gruppo diserta, e su 15 presenti 9 votano con gli azzurri.
Nella sostanza la sconfitta del governo è
indolore. Ma sul piano politico è altro paio
di maniche. L’alato Ciro Falanga finge di
minimizzare: «Emendamento di merito».
Nel dubbio che qualcuno possa credergli,
però, si affretta ad aggiungere: «Tutti hanno notato che a determinare il risultato sono stati i voti del gruppo Ala». Che si tratti
di un messaggio minaccioso è evidente.
Con quale obiettivo lo è molto di meno. La
sera precedente Renzi e Verdini si erano
sentiti al telefono. Il ruggente Denis, a quel
punto, aveva già riunito la sua tutt’altro che
serena truppa, ordinando di mantenere salda la barra «per ora». Ma i malumori non
gli erano sfuggiti.
Denis, ma anche i centristi di Alfano, temono che oggi in direzione il quasi defenestrato di palazzo Chigi viri a sinistra, nella
speranza di recuperare i voti defluiti verso
l’astensione o i 5 stelle. A loro resterebbe solo l’ingrato ruolo di portatori d’acqua, senza neppure poter vantare un qualche condizionamento sull’esecutivo e senza speranza di trovare un posticino all’ombra del Pd
alle prossime politiche: miraggio svanito
tra il 5 e il 19 giugno. Ci tenevano dunque a
far sapere che non sarebbero d’accordo e
che il loro disaccordo potrebbe persino abbattere il governo in tempo utile per far saltare il referendum e ripartire da zero. «È solo un sassolino e dovrebbe restare tale»,
commenta a caldo un renziano doc come
Tonini. «Certo – aggiunge – anche le valanghe cominciano con un sassolino».
Nell’Ncd la situazione è più confusa. Il
IL CREATORE DEL GRUPPO ALA DENIS VERDINI LAPRESSE
voto non era indirizzato solo all’inquilino
di palazzo Chigi ma anche al ministro degli
Interni, accusato di conclamata sudditanza
ai voleri e agli interessi del ragazzo di Rignano, con le note e disastrose conseguenze
sul piano elettorale. L’area vicina al capogruppo Schifani, rappresentata dai fedelissimi Esposito e Azzollini, è apertamente ostile all’ex delfino di re Silvio. Su posizioni parzialmente diverse, Lupi e Cicchitto sembra
profetizzino la crisi di governo a ottobre e
mirino a riaprire di corsa i giochi con Forza
Italia. Insomma, tutte le convulsioni proprie dei soggetti politici in disfacimento.
Su un punto però il segnale scagliato ieri
è univoco: la richiesta di modificare l’Italicum. E non sale solo dagli infidi alleati, ma
anche dal profondo del Pd. Michele Emiliano, governatore della Puglia, ha di fatto posto ieri la modifica della legge elettorale come condizione per il suo sì al referendum.
Oggi Renzi affronterà la questione, ma
Miccoli, che con il commissario
non è mai stato tenero, anzi spesso lo ha accusato di correntismo.
«Chi pensa di risolverla con un accordicchio spartitorio non ha capito niente del messaggio del voto».
Ma alla fine la polemica si stempera. Persino all’assemblea della
minoranza bersaniana che nel pomeriggio di riunisce al Nazareno.
Presenti Bersani e Cuperlo, presente anche Vasco Errani che per
la prima volta dopo l’assoluzione
prende la parola fra gli applausi
della sala strapiena (in molti restano fuori e seguono l’appuntamento in streaming).
Lo sbandamento del Pd è forte
e toccherà a Renzi domani dare
un verso alla crisi. A lui spetta anche l’ultima parola sul caso Roma: del resto non era un regalo
quello aveva fatto a Orfini scaricandogli sulle spalle il caso Marino e il caso Mafia Capitale, un partito locale piegato dalle compromissioni nel dicembre 2014 subito dopo gli arresti.
Ieri anche Gianni Cuperlo ha tenuto a smarcarsi dal coretto della
richiesta di dimissioni. «Di fronte
al risultato dobbiamo fare una riflessione molto seria e il commissario deve essere parte attiva». Cuperlo invece si è unito a Roberto
Speranza nell’impietosa analisi
del voto e del tonfo del Pd, e nella
richiesta di un «cambio di rotta».
«In questi mesi abbiamo spesso
votato cose che non ci convincevano come l’abolizione dell’Imu anche ai miliardari. Ora, diciamo basta. Non siamo più disponibili»,
ha scandito il giovane ex presidente dei deputati. «Sulle questioni sociali si deve invertire la rotta e su
questi temi non c’è più voto di fiducia che tenga».
Anche sul referendum la minoranza chiede un ripensamento.
Ma alla vigilia della direzione i toni sono rimasti bassi e alla fine
non è arrivata nessuna ’minaccia’
di votare no al referendum da
«non trasformare in uno scontro
di civiltà tra bene e male».
La minoranza Pd prova a trattare, punta a una modifica dell’Italicum. Così Speranza: «C’è tempo
per ragionare a partire da combinato disposto tra riforma e Italicum, su cui la nostra posizione è
nota. Il Pd ha del tempo e non deve sprecarlo». Posizione che arriva anche da altre aree del partito
(ieri l’ha ripetuta Emanuele Fiano, area Franceschini). E, con
sempre più insistenza, anche dai
centristi fuori dal Pd. Per esempio
da un esperto navigatore come
Casini che ieri al Corriere della sera ha spiegato: «Non vedo la necessità di fare il referendum a ottobre. E non capisco l’intangibilità
di una legge elettorale che può benissimo prevedere la possibilità di
una coalizione. È una cosa condivisa e metterebbe al riparo Renzi
dalle critiche di voler fare tutto da
solo». Critiche che però non preoccupano il premier, per dirla con
eufemismo.
senza concedere molto. Affermerà che se il
Parlamento vuole e può cambiare la legge,
lo faccia pure. Forse non a caso due giorni
fa il presidente del gruppo Misto Pisicchio
ha presentato un progetto di legge elettorale che fa slittare il premio dalla lista alla coalizione e innalza al 50% la soglia per accedervi già al primo turno.
Messa così l’intera faccenda è surreale.
La legge deve ovviamente essere ancora calendarizzata. L’ipotesi che venga votata prima del 4 ottobre, quando la Consulta si
esprimerà sull’Italicum, è fuori dal mondo.
Pensare che la legge elettorale venga modi-
Anche Alfano nel mirino:
se torna il premio alla
coalizione tutti nell’ovile
di Forza Italia. Anche se
di mezzo c’è la Consulta
ficata subito dopo la sua eventuale approvazione da parte della Corte costituzionale è
altrettanto poco realistico.
La legge Pisicchio, presentata come «atto
non ostile ma collaborativo col governo» e
scritta per intervenire proprio sui punti che
la Consulta potrebbe bocciare mantenendo però l’impianto dell’Italicum, si configura casomai come una rete di salvataggio in
caso di pollice verso il 4 ottobre. Se davvero
Renzi oggi si mostrerà meno rigido del solito in materia, sarà un messaggio non al Parlamento ma alla Corte.
SINDACATI DAL GOVERNO
Trattativa
sulle pensioni
E vertenza operaia
Riccardo Chiari
FIRENZE
«N
on partecipiamo ad annunci di soluzioni che
non ci sono. Stiamo provando a fare una discussione con il
governo, discussione che per ora è
senza cifre». Ecco Susanna Camusso dopo l’incontro sul macrotema
delle pensioni fra i vertici confederali e l’esecutivo. Un governo che
appare (effetto comunali?) quantomeno più aperto alla discussione
di merito con Cgil Cisl e Uil. A riprova, sul contratto del pubblico
impiego, Marianna Madia annuncia la convocazione dei sindacati
per inizio luglio: «Una discussione
su due punti strettamente collegati
– anticipa la ministra – cioè la contrattazione e il testo unico sul pubblico impiego».
A detta del governo, il ritorno alla «normale dialettica contrattuale» sarebbe dovuto alla convinzione di Matteo Renzi & c. «che la recessione sia alle spalle». Non una
parola sulla censura del blocco
operata dalla Consulta esattamente un anno fa, cui sono seguiti dodici mesi di guerra di trincea. «È una
buona notizia – concede comunque la numero uno della Cgil - dopo sette anni di blocco sarebbe
quasi da fare un brindisi. Ma la bottiglia la stappiamo quando siamo
davanti al tavolo».
Di fronte ai segnali di Palazzo
Chigi – c’è anche da registrare l’attivismo di Graziano Delrio sullo
scandaloso licenziamento di massa dei lavoratori Meridiana - le altre due confederazioni sono altrettanto caute.
Sulle pensioni Carmelo Barbagallo della Uil è chiaro: «Il confronto
prosegue, oggi non abbiamo concluso un punto». Effetto diretto di
una situazione ben fotografata da
Camusso: «Per noi è prevalente la
necessità che deve mutare l’assetto del sistema per i giovani, per i lavoratori e gli attuali pensionati.
Noi non siamo un ufficio mutui
(chiara risposta sul’Ape, ndr), si
parla di tema complesso in cui se
muovi un aspetto, e pensi di aver
trovato l’uovo di Colombo, si crea
un casino per altri. È un’operazione che non si fa in tre ore: chi l’ha
fatta in tre ore ha fatto disastri, si
chiamano Monti e Fornero». Mentre Maurizio Petriccioli della Cisl
sintetizza: «Si è deciso di andare
avanti per affrontare nel concreto i
temi che riguardano il lavori usuranti, la condizione dei lavoratori
precoci, le ricongiunzioni onerose,
la flessibilità in uscita, la previdenza complementare, gli esodati».
Piatto ricchissimo per una vertenza ancora tutta in divenire.
Dal pubblico al privato, è in divenire anche la vertenza sul contratto metalmeccanico, che registra
l’avvio di una nuova offensiva di
Fiom, Fim e Uilm, con un ulteriore
sciopero territoriale di quattro ore,
e il blocco a oltranza degli straordinari. «Sarà inviata una lettera alle
forze politiche e alle istituzioni per
illustrare le ragioni dei metalmeccanici – puntualizzano Landini
Bentivogli e Palombella – e organizzati incontri, a livello nazionale e
locale, rivolti anche alla stampa e
agli altri media». Una risposta sacrosanta alla cortina di silenzio
che ha accompagnato la massiccia
mobilitazione operaia dei giorni
scorsi. Ancor più giustificata, di
fronte alla chiusura di Federmeccanica, dai dati Istat che registrano
come l’industria italiana sia riuscita a espandere il fatturato del 2,1%
mensile ad aprile, con ordinativi
cresciuti dell’1% soprattutto grazie
alle commesse estere.
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
ESSERE O NON ESSERE
pagina 5
BREXIT · Esito in bilico. Ma le borse ottimiste e anche gli allibratori puntano sull’Europa
Al voto sotto la pioggia,
decide l’affluenza
IRLANDA DEL NORD · Tendenza in
Belfast alle urne
per la United Ireland
Enrico Terrinoni
S
BREXIT, SI APRONO I SEGGI, UK AL VOTO. A DESTRA UNA FOTO DEL QUARTIER GENERALE LEALISTA A BELFAST LAPRESSE
Leonardo Clausi
LONDRA
L
a Gran Bretagna dovrebbe rimanere membro dell’Unione
Europea? È il dilemma sciolto
dai votanti dei 46.499.537 elettori britannici aventi diritto. Mentre scriviamo, è impossibile anche solo prevedere l’esito del day after della Gran
Bretagna, il referendum sulla permanenza nell’Ue su cui le due fazioni leave e remain si sono appassionatamente dilaniate per mesi. Al momento le possibilità restano nel bilico di questi ultimi giorni, con un remain di poco avanti al leave, 51 a
49% secondo l’ultima media degli ultimi sondaggi. Non ci sono exit poll
e i seggi vengono scrutinati durante
la notte. Per tutta la giornata vige il
silenzio elettorale, ci si è potuti sfogare solo sui social network. L’affluenza prevista era di poco superiore a quella delle ultime elezioni politiche, attorno al 67%. Più sale, più favorisce il remain, anche se gli anziani sono quelli che votano e votano
leave, mentre i più giovani, tendenzialmente favorevoli a restare, votano di meno. Apertesi alle sette del
mattino, le urne si sono chiuse alle
22 (ora locale).
L’alta partecipazione
favorisce il remain.
L’incognita del voto
dei giovani, pro-Ue
ma più astensionisti
Le borse hanno dato segni di ottimismo, con la sterlina che prima è salita ai massimi del 2016 contro il dollaro per poi stabilizzarsi e gli allibratori che davano un remain favorito
nel più grande evento non sportivo
nella storia delle scommesse. Ma
una cosa è certa già ora: è stato l’appuntamento politico più importante
del secondo dopoguerra e le sue implicazioni storiche ricadranno su tutta l’Europa. Per parafrasare quel
Churchill tanto caro ai tories: mai il
destino di così tanti è dipeso dalle beghe interne di così pochi. I tanti sono
gli europei e i migranti che bussano
alle loro porte, i pochi sono loro, il
partito di David Cameron, che ha indetto questa consultazione per sedare una fronda alla sua destra e dal
cui esito dipende la carriera politica.
Qui i referendum sono una pratica
esotica, l’ultimo - per la stessa ragione, la permanenza nella Comunità
Europea - risale al 1975.
Mercoledì sera su Channel 4 c’è
stato l’ultimo grande scontro tra tita-
ni televisivo, il Dibattito finale presentato da Jeremy Paxman, il veterano ex-Bbc famoso per rosolare a fuoco lento i politici che intervista. Ha
avuto un milione e seicentomila spettatori, uno share ancora più alto del
contest da stadio del suo vecchio editore la sera prima, grazie ai 150 ospiti
(fra in studio e collegati) ripartiti fra
guelfi del leave e ghibellini del remain e provenienti da politica, università, sport e via dicendo: dal leader della campagna Labour In Alan
Johnson (remain) allo storico Simon
Schama (remain); dal fondatore
dell’Ukip Alan Sked (leave) allo scrittore e opinionista Toby Young (leave). Assieme a molti altri, hanno dato
vita in studio a dei contraddittori accesi al limite dello schiamazzo, che il
pur temibile Paxman ha faticato assai a moderare. Del resto questo referendum ha evidenziato una profon-
da frattura sociale nel paese, oltre
che nei tories: una deputata laburista, Jo Cox, ci ha rimesso la vita, assassinata da un invasato di estrema
destra esattamente una settimana fa.
Un esito in balia di un clima estremo, anche metereologico. Il più importante voto per una generazione
di britannici si è svolto sotto una valanga d’acqua a Londra e nel sud-est
dell’Inghilterra, dove in poche ore è
caduto l’equivalente di un mese di
pioggia. Un risveglio fradicio per migliaia di elettori, con i vigili del fuoco
che hanno dovuto rispondere a centinaia di chiamate. E la pioggia ha ripreso incessante verso sera. Molte
stazioni elettorali inondate sono state spostate in tutta fretta e questo potrebbe avere ripercussioni sull’affluenza. E favorire il leave, dal momento che per l’elettore euroscettico
la determinazione a votare a tutti i
costi sarebbe più elevata che per il
soffice - così Nigel Farage, appena interpellato all’uscita dal seggio, ha definito l’elettore pro-Ue – sostenitore
del remain. Per restare in tema Farage: il nostro era atteso al Dibattito finale ma non c’è andato, forse perché temeva lo spiedo di Jeremy (Paxman). Uscito dal suo seggio in South London si è mostrato raggiante.
Ieri aveva definito la giornata di oggi l’Independence day della Gran Bretagna, riferendosi al remake
dell’omonimo film del 1996 (massacrato dalla critica). A rigor di logica,
questa potrebbe essere l’ultima sua
giornata in politica attiva qualunque sia l’esito. Quanto a Jeremy Corbyn, all’uscita del seggio, ieri mattina, ha scherzato con i giornalisti: «I
bookmaker di solito ci azzeccano,
ma con me hanno sbagliato alla
grande l’anno scorso, no?».
popolano su twitter video del Presidente irlandese Higgins che esulta
al goal di Robbie Brady nella
partita contro l’Italia di mercoledì; e qualcuno ha commentato: «Dalla felicità si direbbe
che è riuscito a farsi ridare indietro le sei contee del Nord».
A Belfast e dintorni, il referendum sulla Brexit è per certi
versi visto come un voto
sull’Irlanda unita, soprattutto
in ambienti repubblicani. A
Falls Road, lo storico Felon’s
Club in questi giorni di Europei di calcio è tutto un ribollire di fan che tifano Repubblica, all’ombra di bandiere irlandesi, palestinesi e basche.
Mancano quelle dell’Irlanda
del Nord, che pure si è qualificata agli ottavi. Il sentire tra la
gente rispecchia quello dei
sondaggi. La maggioranza della comunità nazionalista è,
per vari motivi, a favore
dell’opzione remain, ma nessuno per via di un entusiasmo verso l’Europa e il suo recente sfoggio di politiche punitive nei confronti di Grecia,
Spagna e Irlanda.
A molti, in virtù della consapevolezza d’esser stati un popolo di migranti, non va giù la
carta anti-immigrazione giocata dalle destre; ad altri
l’idea che a spingere a votare
leave sia un sentimento anti-irlandese, dettato dalla più
che concreta possibilità che
una Brexit indebolisca la Repubblica, e dunque il suo pre-
GERMANIA · L’uscita porterà perdita di posti di lavoro ma vantaggi per le industrie locali
Per i tedeschi rischi e opportunità
Sebastiano Canetta
BERLINO
L
a calma ostentata della cancelliera Angela Merkel, il nervosismo corrosivo della
borsa di Francoforte, le minacce lapalissiane del ministro delle finanze Wolfgang
Schäuble (che ha ripetuto «chi è fuori è fuori,
chi è dentro è dentro»). Tre sintomi inequivocabili della paura tedesca per il voto inglese,
quanto della navigazione «a vista» della Bundesrepublik, che sulla Brexit non ha mai elaborato neppure la bozza di un piano B.
Di fatto, a Berlino, nel D-Day dell’Ue, si
riescono a misurare a malapena le implicazioni ovvie e «naturali» dell’esito del referendum oltre la Manica, al di là del successo di
leave o remain.
Di sicuro, per adesso, solo il timore per l’incalcolabile effetto domino sull’eurozona,
dall’Olanda e fino alla Francia, a sentire Marine Le Pen. Altrettanto certo è anche il mantra
di Mutti Merkel che fino all’ultimo minuto
utile ha recitato l’unica litania ufficiale: «Mi
auguro che la Gran Bretagna rimanga
nell’Unione, ma è una decisione che spetta ai
cittadini britannici». Dichiarazione da mesi
pronta a essere declinata all’imperfetto o al
condizionale passato, fanno sapere nell’inner circle della cancelliera.
Nel frattempo negli osservatori economici-finanziari tedeschi gli esperti immaginano i
rischi ma anche le opportunità.
E così, a fianco del pericolo di «perdita di posti di lavoro, crollo delle esportazioni e contrazione della crescita per la Germania», puntual-
mente riportato sui più autorevoli quotidiani
tedeschi, compaiono i vantaggi della Brexit
per le industrie locali, «liberate» dalla concorrenza delle multinazionali con sede nel Regno
Unito. È la dimostrazione che anche a Berlino
non tutto il male nuoce, mentre a Francoforte
c’è chi già sogna la nuova city dell’Europa in
versione ridotta.
In ogni caso la Gran Bretagna, isolata o connessa all’Unione europea, rappresenta il terzo
mercato per il made in Germany: l’ufficio federale di statistica squaderna le cifre della bilancia commerciale tra Berlino e Londra con il valore dei beni scambiati nel 2015 (127,6 miliardi di euro). Solamente negli ultimi 12 mesi le
Angela Merkel: «Speriamo
nella permanenza della
Gran Bretagna nell’Ue».
E a Francoforte c’è
chi già sogna la nuova city
imprese tedesche hanno venduto 89,3 miliardi di merci al Regno Unito.
Mercato imprescindibile soprattutto per
Mercedes, Bmw e Volkswagen e altri produttori del settore automotive che hanno incassato
quasi 30 miliardi dai concessionari oltre Manica e temono, più di ogni altro, la svalutazione
della sterlina e il conseguente aumento dell’inflazione nell’isola. A questo si aggiungono
2.500 aziende tedesche con filiali in Gran Bretagna che danno lavoro a circa 400 mila dipen-
denti: in caso di Brexit il loro bilancio ammonterebbe a 6,8 miliardi di perdite. Lo evidenziano i consulenti di Euler Hermes, società del
Gruppo Allianz e leader mondiale dell’assicurazione del credito. Fa il paio con il pronto rimbalzo del sondaggio della camera di commercio anglo-tedesca che registra l’80% degli imprenditori preoccupati per il No al referendum e il 61% che ha già pianificato un consistente calo del business. Tuttavia, per esclusione, spiccano anche le circa 150 aziende che beneficerebbero dell’uscita di Londra dal mercato comune, insieme ai risultati dello studio
commissionato dal colosso multimediale Bertelsmann che traduce la Brexit nell’aumento
degli affari e della competitività per l’industria
chimica tedesca nell’ordine dello 0,5-1%.
Ballano i pro e i contro, dunque. Un po’ come il Dax, l’indice di riferimento della borsa
di Francoforte, che nell’ultima settimana ha
oscillato nervosamente sulla soglia dei 10 mila punti (anche se ieri la seduta ha chiuso con
+1,57%). Turbolenza del mercato, volatilità
degli investimenti ma anche «terrorismo» di
chi controlla capitali comunque refrattari a
qualunque limitazione. Il problema, casomai, è politico. Il referendum inglese, al di là
dell’esito delle urne, è benzina da gettare sul
fuoco per i populisti di Alternative für Deutschland: due terzi dei suoi elettori vedrebbero con favore un analogo referendum sulla
Gerxit, perché l’uscita della Germania dall’Ue
coinciderebbe anche con la fine della «politica della porta aperta» agli immigrati di Angela Merkel, degli «aiuti» alla Turchia di Erdogan o alla Grecia di Tsipras.
sunto interesse a battersi per
un’Irlanda unita. Una riunificazione che è nella mente di
molti, nella comunità repubblicana, soprattutto dopo che
Gerry Adams ha reiterato quello che il suo braccio destro, e
vice primo ministro del Nord,
Martin McGuinness, ha chiamato un «imperativo morale», ovvero un referendum sulla United Ireland e sulla legittimità del confine tra le due Irlande, in caso di uscita del Regno Unito dall’Europa.
Ma a spingere i nazionalisti
a propendere per restare, pare sia principalmente una propensione antilealista, poiché
il maggior partito unionista, il
Dup, che esprime il presidente del consiglio, assieme alle
frange ancor più conservatrici
della destra nordirlandese, sono per uscire. Come lo è qualche formazione minore della
sinistra repubblicana, ad
esempo Eirigí, che a braccetto
degli esponenti antiimperialisti di People Before Profit, sono a favore della lexit (uscita
da sinistra - left).
Una posizione che appare
secondo alcuni contraddittoria, perché la più probabile
conseguenza pressoché immediata della Brexit sarebbe
la ricostituzione di un confine, che sarebbe a tutti gli effetti un confine internazionale all’interno dell’isola; questo proprio per via delle politiche migratorie della Eu, in virtù delle quali l’Irlanda, ma anche la Gran Bretagna, sarebbero costrette a controllarlo
senza sconti. Con le ovvie ripercussioni economiche negli scambi nord-sud, ma anche politiche e umanitarie.
Quasi un muro stile Trump,
dicono alcuni; o un’ennesima cortina di ferro, come
quelle tornate di moda recentemente in Europa.
È vero che in Irlanda del
Nord si accingono a votare poco più che un milione di persone, e difficilmente sposteranno l’ago della bilancia a favore di un’opzione o dell’altra. Quel che è certo è che
un’eventuale Brexit verrebbe
vista come l’ulteriore decisione presa da un popolo occupante, poco interessato alla
volontà e alle aspirazioni di
una parte, seppur minoritaria, della sua popolazione.
Questo in vista di un’estate
che si prevede già di fuoco,
per la stagione delle tradizionali marce protestanti a ridosso dei quartieri cattolici attorno al 12 luglio, ma soprattutto
di un’altra imponente manifestazione, stavolta nel campo
nazionalista: quella contro
l’internamento senza processo istituito nel 1971, per cui
da 45 anni si è trattenuti e fermati in carcere solo sulla base
di sospetti. Di recente l’istituto è tornato in voga, con alcuni fermi eccellenti. La manifestazione, che si annuncia imponente, è prevista per il 7
agosto, e porterà migliaia di
persone al centro di Belfast
per ricordare un triste passato
che purtroppo, in Irlanda del
Nord, si chiama sempre più
spesso presente.
pagina 6
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
EUROPA
VERSO IL VOTO
Il rush finale
di Iglesias
per il «sorpasso»
Simone Pieranni
INVIATO A MADRID
P
MANIFESTAZIONE A BARCELLONA DOPO LO SCOOP DI PUBLICO LAPRESSE
SPAGNA · La questione indipendentista e lo scandalo che ha coinvolto il ministro a pochi giorni dalle elezioni
Il DíazGate piomba sul voto catalano
Luca Tancredi Barone
BARCELLONA
L’
hanno già battezzato FernándezDíazGate, dal nome del ministro degli interni spagnolo, Jorge
Fernández Díaz. Lo scandalo che coinvolge in pieno il ministro incaricato di garantire il processo elettorale di domenica sta
montando. Tanto che il leader di Podemos Pablo Iglesias ha detto chiaro e tondo: «Credo che tutti i cittadini dovrebbero
preoccuparsi», perché «questo ministro e
questo ministero sono gli incaricati di garantire la sicurezza delle votazioni di domenica». Con la faccia tosta che gli è solita, il Partito popolare e lo stesso ministro
si dichiarano «vittime», concentrandosi
sul fatto che qualcuno – illegalmente – ha
registrato e fatto filtrare queste intercettazioni del 2014 alla stampa proprio questa
settimana, senza però entrare nel merito
della gravità della vicenda: un ministro e
un direttore di un ufficio dedicato a combattere la corruzione si incontrano per discutere di come fare pressioni su politici
catalani invisi al governo distorcendo delle prove, e lasciando addirittura intendere di poter manipolare la Físcalia (il procu-
Luca Kocci
C
omincia oggi il quattordicesimo viaggio internazionale di papa Francesco, destinazione Armenia, il «primo Paese cristiano», come recita il logo
scelto della Santa sede per enfatizzare la decisione del re Tiridate III, convertito e battezzato da
Gregorio Illuminatore, di adottare nel 301 il cristianesimo come
religione di Stato.
«La vostra storia e le vicende
del vostro amato popolo suscitano in me ammirazione e dolore,
perché avete trovato la forza di
rialzarvi sempre, anche da sofferenze che sono tra le più terribili
ratore generale dello Stato).
Se Mariano Rajoy ha fatto quadrato attorno al suo ministro dichiarandogli «piena fiducia» («ci sono persone che hanno
voglia di costruire problemi dove non ce
ne sono», ha aggiunto), per Daniel de Alfonso, capo dell’organismo catalano anticorruzione, i giorni sono contati. In una
seduta straordinaria del Parlament di Barcellona, convocata dalla sua presidente
Carme Forcadell con l’obiettivo di iniziare il procedimento per la sua rimozione,
de Alonso ha risposto in maniera arrogante agli attacchi di tutti i partiti, eccetto i
popolari. Arrivando a insinuare che persino il presidente di Ciudadanos, Albert Rivera, sarebbe andato a trovarlo per appoggiarlo, a cambio di «qualcosa», e cioè che
gli passasse informazioni contro i suoi avversari. Anche lui come Fernández Díaz
si è lamentato che la propria intimità sia
stata fatta a pezzi – come se l’ultima conversazione con un ministro resa nota ieri
da publico.es su come sostituire un president della Generalitat legittimo, come era
Artur Mas, fosse un tema personale – e ha
declamato «scagli la prima pietra chi è libero del peccato di cospirazione», per aggiungere in tono mafioso: «Non siate ipo-
criti vossignorie, vi siete tutti riuniti con
me». Secondo lui, l’obiettivo delle intercettazioni è di «togliere di mezzo un direttore anticorruzione scomodissimo».
La questione è particolarmente delicata non solo per la gravità dell’evidenza
che sembra dimostrare una prassi istituzionale di uso della giustizia e degli organi dello Stato per interessi partitici. Ma an-
Podemos attacca l’esponente
di governo «incaricato
di garantire la sicurezza
delle elezioni di domenica».
Il Pp lo difende: «Vittima»
che perché centra uno dei punti chiave di
questa campagna: il problema catalano.
La storia getta benzina sul fuoco indipendentista. Forcadell, che si è detta «molto
indignata come cittadina», ha chiesto di
«sapere se esistono questi dossier su di
me e sulla mia famiglia, chi li ha incaricati, chi li ha redatti». Secondo quanto rivelato ieri dalla Cadena Ser, infatti, la polizia
e i servizi segreti avrebbero prodotto vari
VATICANO · Visita al memoriale delle vittime del Metz Yeghérn
Il nodo del «genocidio» nel primo
viaggio di Francesco in Armenia
Messaggio di pace
alla Turchia tramite
una colomba liberata
a pochi chilometri
dalla frontiera
che l’umanità ricordi», ha detto il
papa in un videomessaggio diffuso alla vigilia della partenza. «Desidero venire tra voi per sostenere ogni sforzo sulla via della pace
e condividere i nostri passi sul
sentiero della riconciliazione».
Parole che sintetizzano i contenuti di un viaggio breve – dal 24 al
26 giugno – ma importante per i
significati religiosi, ecumenici e
geopolitici che riveste, prima tappa di un itinerario che proseguirà
a settembre quando Francesco visiterà altri due Paesi del Caucaso,
Georgia e Azerbaigian, quest’ultimo in conflitto proprio con l’Ar-
dossier anonimi con l’obiettivo di criminalizzare i movimenti indipendentisti come l’Assemblea nazionale catalana di cui
Forcadell era presidente. Il redivivo Artur
Mas, che aspetta ancora di sapere che succederà della denuncia contro di lui da parte del governo per aver organizzato la famosa "consultazione" indipendentista
del 2014, ha parlato di «Stato di matrice
franchista». Per poi aggiungere che «benché noi siamo i principali perseguitati, la
vera vittima è il popolo catalano».
Di certo ci sono vari elementi inquietanti
su cui riflettere a freddo, dopo le elezioni.
Primo, che qualcuno sembra essere in possesso di intercettazioni scottanti che presumibilmente sta usando come arma di ricatto. Secondo, che pezzi importanti delle istituzioni («le cloache dello Stato», le ha definite il numero due di Podemos, Íñigo Errejón) dedicano tempo e risorse a spiare avversari politici e costruire prove false su di
loro (vengono alla mente le 4 denunce false
contro Podemos degli ultimi mesi già archiviate dalla magistratura). E infine che l’aria
mefitica di Madrid si respira anche a Barcellona, dove i toni mafiosi di chi conosce molti segreti non sono molto diversi da quelli
usati dai ministri popolari.
IL 14MO VIAGGIO APOSTOLICO DEL PAPA LAPRESSE
menia per il controllo del Nagorno-Karabakh.
La maggioranza dei quasi tre
milioni di abitanti fa riferimento
alla Chiesa apostolica armena (i
cattolici sono meno del 10%, circa
280mila), una delle Chiese ortodosse orientali, che accolse i pri-
mi tre Concili ecumenici della cristianità ma rifiutò il quarto, quello di Calcedonia del 451, aderendo al "miafisismo", dottrina secondo cui Gesù ha una sola natura,
nata dall’unione delle nature divina ed umana. Per sottolineare il
carattere ecumenico del viaggio,
Francesco sarà accompagnato
dal card. Sandri, prefetto della
Congregazione per le Chiese
orientali, e alloggerà non nel palazzo vescovile o nella nunziatura, ma nella residenza del catholicos Karenin II, il capo della Chiesa apostolica armena.
Domani l’appuntamento più atteso, quando il papa visiterà il Tzitzernakaberd memorial complex
– incontrando anche alcuni discendenti dei perseguitati –, il
memoriale delle vittime del Metz
Yeghérn («Grande Male»), il genocidio degli armeni compiuto dagli ottomani fra il 1915 e il ’18 che
provocò quasi un 1,5 milioni di
vittime, morte di fame, stenti e
malattie durante la deportazione
nel deserto siriano e uccise
dall’esercito regolare, dai gruppi
paramilitari facenti capo all’Organizzazione speciale e dalle violenze delle popolazioni, soprattutto
curde e circasse.
Già un anno fa, durante il centenario del Metz Yeghérn celebrato
in Vaticano, papa Francesco condannò il massacro degli armeni,
chiamandolo «il primo genocidio
del XX secolo», utilizzando cioè lo
stesso termine («genocidio», respinto dai turchi) presente nella
Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e di Karekin II sotto-
scritta durante il viaggio in Armenia di papa Wojtyla nel 2001.
Ankara protestò duramente, così
come ha protestato tre settimane
fa, dopo l’approvazione, da parte
del Bundestag tedesco, di una risoluzione che ha riconosciuto il «genocidio» degli armeni.
Il giudizio della Santa sede è
quindi chiaro, ma chissà se Francesco parlerà di nuovo di «genocidio» o preferirà dribblare le polemiche. Probabilmente non ci sarà
la firma di una Dichiarazione
congiunta, inizialmente prevista, con Karenin II. Padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ha fatto capire che
non è stato trovato un accordo
sul testo e ha aggiunto: «La parola Metz Yeghérn è anche più forte di genocidio. Nessuno di noi
nega che ci siano stati massacri
orribili, lo sappiamo bene, andiamo al memoriale per ricordarlo,
ma non vogliamo essere intrappolati in discussioni politico-sociologiche».
Domenica, dopo alcuni incontri ecumenici ed una messa pubblica a Gymuri, seconda città del
Paese, il papa si recherà nel monastero di Khor Virap – dove, secondo la tradizione fu imprigionato Gregorio Illuminatore –, a
pochi chilometri dalla frontiera
con la Turchia. Si ipotizzava che
Francesco volesse raggiungere il
confine, attualmente chiuso, ma
probabilmente si limiterà a liberare delle colombe verso il monte
Ararat, dove, secondo la tradizione, si incagliò l’Arca di Noè dopo
il diluvio universale. Lanciando
così, spiega Padre Lombardi, «un
messaggio significativo».
ablo Iglesias dice che apprezza in
modo particolare le metafore
sportive, specialmente quelle calcistiche; le usa spesso in effetti. Il suo
vocabolario da campagna elettorale è
molto popolare, tanto più in tempi di
Europei di calcio, e fa sicuramente breccia, al netto della sua simpatia che non
è condivisa proprio da tutti. Qualche
giorno fa Iglesias è ricorso nuovamente
all’esempio calcistico a proposito della
maturità del suo movimento; secondo
il leader e candidato primo ministro, la
sua formazione politica avrebbe raggiunto una nuova consapevolezza grazie a questi primi sei mesi in parlamento (per quanto in una situazione politica completamente bloccata): secondo
Iglesias, Podemos avrebbe «tenuto la
palla», un po’ come fa la nazionale spagnola, per rallentare il gioco e consentire di abbassare il ritmo della gara. Ora quindi - si preparerebbe a colpire.
L’obiettivo a pochi giorni dal 26 giugno, il giorno delle elezioni, è molto
chiaro per tutti gli attivisti e simpatizzanti (che ogni giorno organizzano
eventi, biciclettate, dibattiti): il «sorpasso» sui socialisti del Psoe e il posizionamento di Unidos Podemos come seconda forza del paese. E quindi il «rush
finale», gli «ultimi minuti» di campagna elettorale, vedono la consueta capillare attività: la campagna elettorale
di Unidos Podemos è stata un esempio
di utilizzo di metodi tradizionali, porta
a porta, frutto di un’organizzazione
molto seria e ragionata, uniti alle più
moderne tecniche dei social media e
del marketing politico, con tanto di slogan ufficiale ripetuto fino alla nausea,
«la sonrisa de un pais». Questo armamentario, solo ieri a Madrid si contavano quattro o cinque iniziative, è stato
concentrato soprattutto in quelle zone
dove un pugno di voti possono determinare la vittoria di un deputato. Due
giorni fa Iglesias era a Guadalajara dove il candidato per quella circoscrizione è Ariel Jerez, amico del leader di Podemos, argentino di nascita e professore di scienze politiche, nonché grande
conoscitore e studioso dei «movimenti». Per la prima volta Iglesias - dopo incontri pubblici e apparizioni televisive
- ha fatto il classico «bagno di folla», tipico dei candidati più tradizionali
(Rajoy, ad esempio, ma anche Alberto
Rivera di Ciudadanos che da ieri è ufficialmente tirato dentro al «Watergate»
spagnolo), passeggiando per strada per
convincere gli ultimi indecisi.
La circoscrizione di Guadalajara, nella regione di Castilla-La Mancha, alle
scorse elezioni venne persa da Podemos solo per 800 voti. Pare che a pesare fosse stata la visita - due giorni prima del voto - di Rivera, che strappò così il seggio. Unidos Podemos ha studiato scientificamente i dati del voto del
20 dicembre scorso e sta agendo proprio in funzione di quell’esito, concentrandosi laddove pochi voti possono
spostare importanti equilibri in termini
di posizioni nel Congresso dei Deputati (350 membri) delle Cortes. Iglesias ha
anche rilasciato un’intervista a 20minutos, nella quale l’argomento centrale è
stato quello costante di questa campagna elettorale: il rapporto con i socialisti del Psoe e in particolare con il loro
leader Sanchez, al quale ribadisce di voler lasciare la porta aperta. È una delle
chiavi per risolvere l’eventuale e probabile stallo del post elezioni, che secondo i sondaggi prevede il Pp davanti a
tutti, seppur indebolito, poi Unidos Podemos, Psoe e Ciudadanos. Su questo
risultato, dato da quasi tutti i sondaggi
commissionati in questi giorni, Pedro
Sanchez è pronto a non scommettere:
ieri in un’intervista al quotidiano conservatore El Mundo, ha ribadito che ci
sono almeno 30% degli elettori spagnoli che si sarebbero dichiarati indecisi
(come nelle scorse elezioni).
Il problema per Sanchez è che probabilmente la maggioranza di questi indecisi potrebbe invece avere un’unica certezza: quella di identificare il partito socialista con il disastro economico e politico del paese, con le politiche di austerity che hanno portato la classe media
spagnola sull’orlo della miseria, scaraventando tante persone per strada. E
proprio dalla «puta calle», Iglesias prova a raggranellare i voti che potrebbero
essere decisivi.
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
INTERNAZIONALE
pagina 7
STATI UNITI · Singolare iniziativa dei parlamentari contro il sabotaggio repubblicano delle riforme
WIKILEAKS · Video-solidarietà internazionale
I democratici occupano l’aula
Per non dimenticare
il caso Julian Assange
Luca Celada
LOS ANGELES
I
l giorno successivo alla sconfitta in senato di quattro disegni
di legge che avrebbero imposto seppur minime restrizioni
all’acquisto delle armi da guerra,
lo scontro politico sulle armi è
esploso a Washington con l’occupazione del congresso da parte dei
parlamentari democratici. Nella
mattinata di mercoledì, dopo
l’apertura dei lavori, John Lewis,
decano della delegazione della Georgia, veterano del movimento per
i diritti civili e della storica marcia
su Selma con Martin Luther King,
ha chiesto la parola per denunciare lo scandaloso immobilismo dei
politici su una questione che sta insanguinando la nazione.
«Sono anni che mi chiedo
quando ci decideremo ad agire e
fare ciò che la gente esige, ciò
che è giusto e ciò che da tempo
avremmo dovuto fare» ha detto
Lewis raggiunto al podio da una
ventina di colleghi. Ricordando
la lunga lista dei “mass shooting”
che sono ormai un’epidemia nazionale, Lewis ha denunciato:
«davanti alla marea di sangue innocente siamo rimasti sordi (…)
dov’è il cuore di questa augusta
assise? Dove sono la nostra anima e la nostra forzamorale?» Così
la camera del congresso americano si è trasformata in teatro di
una rara contestazione.
Mentre il senato aveva respinto
le riforme lungo prevedibili linee
di partito, alla camera la maggioranza repubblicana ha impedito
che la questione venisse votata. Al
grido di «no Bill, No Break» i contestator democratici hanno chiesto che il voto venisse messo all’ordine del giorno, dichiarandosi
pronti a rimanere in seduta a oltranza, anche durant la pausa prevista la prossima settimana. Alla fine dell’intervento di Lewis i
“ribelli” si sono seduti al centro
dell’emiciclo bloccando i lavori.
I repubblicani hanno abbandonato l’aula staccando le telecamere parlamentari che trasmettono le
sedute. Il black-out è stato però aggirato dalla trasmissione via periscope (la app di video streaming di
Twitter) dal telefono di uno dei
contestatori, il parlamentare Californiano Scott Peters.
Il suo feed è stato subito seguito da centinaia di migliaia di spettatori e ripreso dall’emittente parlamentare C-Span (la prima volta
che un network utilizza una trasmissione “pirata”). Durante tutta la giornata i parlamentari hanno esibito foto delle vittime e si
sono susseguiti al podio ricordando la lista di stragi: Columbine,
Aurora,
Newtown,
San
Bernardino… Orlando. Nel nome
delle vittime hanno giurato di
La protesta il giorno
dopo la sconfitta in
senato di 4 disegni di
legge per la restrizione
delle armi da guerra
non desistere improvvisando un
bivacco per tutta la notte.
Si è trattato di un’azione di rara
iniziativa politica contro il sabotaggio repubblicano delle riforme. È
vero che difficilmente avrà un esito pratico, dato che se anche si votasse, la maggioranza repubblicana riuscirebbe sicuramente a bloccare nuovamente ogni disegno di
legge. Ma l’occupazione del parlamento ha un cruciale valore simbolico come tentativo di rompere l’assedio lobbystico e psicologico dei
repubblicani che hanno imposto
di fatto un embargo su ogni riforma, facendo dello stesso argomento un tabù insindacabile.
Una strategia che impiega “l’inviolabile” diritto costituzionale al
porto d’armi garantito dal secondo
emendamento (una postilla alla costituzione scritta nel 1791 allo scopo di favorire la rapida formazione
di milizie civili a difesa della rivoluzione) come grimaldello contro le
forze progressiste. Una tattica as-
sere condannato per aver pubblicato su Wikileaks migliaia di
documenti riservati molto imbal 19 Giugno Julian Assange è
razzanti per il governo americaentrato nel quinto anno di reno.
clusione all’interno dell’am«Non ci dovrebbe essere ragiobasciata dell’Ecuador a Londra,
ne per cui Julian debba essere
a suo sostegno si sono schierati
imprigionato – ha detto Hedge –
personaggi pubblici e intellettuaquello che il governo inglese doli come Chomsky, Patti Smith,
vrebbe fare sarebbe assicurargli
Roberto Saviano, Ken Loach,
un ’corridoio sicuro’ per poter
Brian Eno, Michael Moore,Viprendere un aereo e andare levienne Westwood, Slavoj Zizek,
galmente in Ecuador. Questo
Sarah Harisson, Srecko Horvat,
non accadrà, l’Inghilterra sta
Baltasar Garzón, Angela Richter,
agendo come rappresentante
giusto per dirne alcuni, in un’inidel governo americano».
ziativa dal nome evocativo, First
Nell’evento mediatico di First
They Came, prima vennero per.
They Came for Assange i persoL’iniziativa durerà una settinaggi pubblici che lo sostengomana e si svolge con incontri in
no hanno caricato in rete video
varie parti del mondo. A New
in cui declinano la propria soliYork, a perorare la causa di Asdarietà e le ragioni in modo disange sono la storica giornalista
verso e personale: dalla lucida
e intellettuale radical Amy Gooddenuncia del meccanismo gloman, il giornalista investigativo
bale perverso che ha portato e
e documentarista (Dirty Wars)
permette la detenzione illegale
Jeremy Scahill, il giornalista e
di chi ha rivelato delle nefandezpremio Pulitzer Christian Hedge
ze, invece di detenere chi le ha
e l’avvocato di Assange Carey
commesse, fatta da Chomsky, al
Shenkman.
video girato in aereo di Brian
Non è la prima volta che queEno che comincia con «Ciao Justi personaggi si spendono in falian, son passati già quattro anvore di Assange,
ni, ma quattro ansin dall’inizio delni seduto in un
L’AULA DEL CONGRESSO USA. SOTTO, STRETTA DI MANO TRA GUERRIGLIA COLOMBIANA E GOVERNO SIGILLATA DA RAUL CASTRO LA PRESSE
Nel quinto anno
le accuse di stuappartamentodedi confino
matica di una frattura profonda in
anche a limitare l’accesso alle arsai efficace che riesce a tenere
pro
mosse
vono essere luncui il fronte ideologico conservatomi da parte degli iscritti alle
ostaggio il congresso malgrado nei
all’hacker austraghissimi», per poi
dell’attivista
re è ormai disgiunto dall’opinione
“terror list” – individui designati a
sondaggi gli americani favoriscano
liano dal tribunaapprodare, come
nell’ambasciata
pubblica maggioritaria, ma resta
rischio di “collusione terrorista”
ormai norme più severe per
le svedese; Amy
tutti al nocciolo
disposto a tutto – compreso appogda parte dell’Fbi.
55%-42%.
Goodman nella
riassumibile in:
dell’Ecuador
giare Donald Trump – pur di manA tarda sera lo “speaker” Paul
La potente lobby della National
sua trasmissione
tu hai fatto un faa Londra,
tenere il potere. Da qui il ricorso a
Ryan ha tentato di riprendere il
Rifle Association (Nra) mantiene
Democracy
vore a noi, a tutti
una protesta politica non vista dalcontrollo dell’aula ma è stato somuna pressione costante sui politici
Now, ha subito
quanti, facendoci
una
settimana
la disubbidienza civile delle battamerso da cori di protesta. Nel capicon lauti finanziamenti a praticadecostruito il provedere la verità
di iniziative
glie di mezzo secolo fa.
tol sono risuonate grida e urla di
mente ogni rappresentante repubcesso di demoora tocca a noi diCome ha detto Lewis, «dopo tutbagarre fra i contestatori e rappreblicano e la costante minaccia di
nizzazione
ai
fenderti.
ti i sit-in che ho fatto negli anni ’60
sentanti repubblicani che li hanno
punire eventuali trasgressori col
danni di Assange sotto processo
Il modo per farlo, trovato dalmai avrei pensato che ne avrei doaffrontati. Alla fine, a notte fonda i
sostegno ad avversari elettorali.
per due accuse di stupro, per
la stilista Vivienne Westwood,
vuto fare uno dentro al parlamenrepubblicani hanno aggiornato i laDal canto loro i repubblicani hannon aver voluto usare il preservache, come gli altri ha comunque
to. A volte è necessario fare qualcovori fino a luglio lasciando nuovano volentieri strumentalizzato le
tivo durante rapporti sessuali
caricato la propria video solidasa fuori dall’ordinario. Abbiamo tamente l’aula. I parlamentari hanpaure della propria base accusanconsenzienti e in un caso per
rietà, è stato creare una maglietciuto troppo a lungo. A volte occorno tenuto il podio per tutta la notdo la «sinistra» di voler disarmare
non aver voluto fare l’esame
ta Free Assange fatta poi indossare fare un po’ di rumore, bisogna
te dormendo in sacchi a pelo e legi cittadini che «tentano di difendell’Hiv: per la legge svedese è
re ai suoi modelli nel backstage
mettersi di traverso. Quel momengendo brani delle lettere di Martin
dersi dai terroristi».
sufficiente a configurare il reato
della presentazione della sua
to è nuovamente arrivato».
Luther King.
Paradossalmente lo spunto per
di violenza carnale.
nuova collezione uomo, e che
In un tweet Obama ha espresso
L’iniziativa “sandersiana” dei
l’azione dei democratici è stata
Secondo Assange la richiesta
lei stessa ha indossato in passea lui e ai partecipanti la propria soparlamentari ha dimostrato una
proprio l’intransigenza assoluta
svedese è un pretesto per conserella quando vi è salita per raccolidarietà.
inedita volontà politica ed è embleche i repubblicani hanno esteso
gnarlo agli Usa, dove teme di esgliere gli applausi. Un modo per
riaccendere le luci su Assange
che rischia di essere dimenticato in quell’ambasciata nel disinteresse (colpevole) dei media.
CUBA · Accordo tra guerriglia marxista e governo colombiano per la fine del lungo conflitto armato
«Quando Julian ha pubblicato
i leaks di Chelsea Manning – ha
detto Hedge – ha lavorato a stretto contatto con testate come il
New York Times, che poi l’hanno scaricato. Perché non vengono perseguitati anche loro? Perdi pace e che anche martedì ha reagito con
ché non si spendono per lui? EpRoberto Livi
scetticismo nei confronti dell’accordo raggiunpure questa è una violazione delL’AVANA
to dal presidente e suo ex ministro della difesa
la libertà di stampa, da giornaliSantos. Ancora vivo in Colombia è il ricordo
l presidente colombiano Juan Manuel Sansti dovrebbero farlo, perché
del massacro dei membri dell’Unione patriottitos e il capo della guerriglia delle Forze arquando lasci che accada una volca attuato negli anni Ottanta del secolo scorso
mate rivoluzionarie di Colombia (Farc), Rota non sai poi quante altre volte
da parte dei gruppi paramilitari: i quali, secondolfo Londoño “Timoshenko” seduti ai due lati
potrebbe riaccadere».
do le Farc, sono ancora operanti in 14 gruppi
del presidente Raúl Castro, la firma e lo scamAll’evento ha partecipato anattivi in 22 dipartimenti e 146 municipi della
bio dei documenti per l’accordo di cessate il
che lo stesso Assange, in video
Colombia .
fuoco bilaterale e definitivo. E’ questa l’immagiconferenza, così come sta facenIl quinto punto degli accordi, tra i più discusne storica dell’inizio della fine del più lungo
do per tutti gli eventi del prosi, riguarda la definizione dei luoghi di concen(più di 50 anni) e sanguinoso (300.000 tra morgramma. «La storia non appartrazione dei guerriglieri dove saranno oggetti
ti e dispersi quasi sette milioni di rifugiati) contiene alla Nsa, ai giornalisti o ai
di controllo da parte della missione politica delflitto armato dell’America latina deciso ieri nel
media – ha detto dall’ambasciale Nazioni unite che dovrà verificare l’attuaziopalazzo delle Convenzioni dell’Avana.
ta dell’Ecuador – ma alla civiltà
ne del cessate il fuoco. Le Farc avevano propoUn vero e proprio trattato di pace, con il quaumana». Ha poi aggiunto che
sto 85 zone. Alla fine, anche tenendo conto delle le Farc decidono di cessare la guerriglia e il
Wikileaks sta per pubblicare
le capacità della missione Onu, è stato deciso
governo colombiano dà una serie di garanzie
un’altra ondata di documenti su
Oltre ai paesi garanti e
che si limiteranno a 22 zone «territoriali e tranmilitari e politiche, raggiunto dopo quasi quatHillay Clinton, contenenti prove
sitorie» e 8 accampamenti dove si concentretro anni di trattative condotte all’Avana, con la
sufficienti ad incriminarla «Ma
«accompagnanti», presente
ranno i guerriglieri. Le zone saranno soggette a
mediazione di Cuba e della Norvegia. E con il
non verrà mai accusata – ha conall’Avana il vertice della
un monitoraggio tripartito, composto da memsostegno della diplomazia internazionale sotinuato – è collusa con questo sibri delle Farc, da rappresentanti del governo e
prattutto dell’intera America latina. Come constema da vent’anni, il quartier
diplomazia mondiale per
della speciale commissione Onu che dovrà esfermava ieri l’immagine della sala del palazzo
generale della sua campagna,
lo storico patto in 5 punti
sere composta soprattutto da latinoamericani.
delle Convenzioni dove, ad assistere alla firma
ad esempio, senza grandi fanfaUn altro importante punto degli accordi predell’accordo, erano riuniti il presidente cubare si è spostato e adesso nello
vede il cronogramma della consegna delle arnicana (presidente di turno della Comunità deno Raúl Castro e il ministro degli esteri norvegestesso palazzo, pochi piani sotmi da parte delle Farc, che saranno nella loro
gli stati latinoamericani e del Caribe, Celac),
se Borge Brende, in rappresentanza dei due pato, l’ufficio del procuratore genetotalità prese in carico dai rappresentanti Onu
Danilo Medina, e il presidente di San Salvador,
esi “garanti” e il vertice della diplomazia monrale Loretta Lynch. Fino a quansecondo un’agenda ben definita e saranno poi
Salvador Sánchez Cerén.
diale, con il segretario generale dell’Onu Ban
do Lynch sarà il procuratore geutilizzati per la costruzione di tre monumenti
Nella grande sala, di fronte ai leader delle vaKi-Moon (che in precedenza aveva incontrato
nerale lei sarà al sicuro».
nazionali. Parte di questo punto comprende le
rie delegazioni, è stata data lettura degli accorTimoshenko) assistito dai presidenti del ConsiL’odio per Assange è assolutagaranzie per la sicurezza delle Farc e la trasfordi siglati dalle due parti, che oltre alla fine degli
glio di sicurezza e dell’Assemblea generale delmente bipartisan, così come
mazione della guerriglia in partito politico che
scontri armati e di tutte le ostilità comprendole Nazioni Unite assieme ai presidenti degli
quello per Snowden, Hampartecipi alla vita istituzionale. Il processo dono anche una sorta “mappa” per rendere ope"stati accompagnanti" il processo di pace, Mimond, Manning, accomuna
vrebbe concludersi entro fine anno, e non prerativo e confermare il cessate il fuoco e per dachelle Bachelet per il Cile e Nicolás Maduro
ogni tipo di potere. Nel 2017
vede una marcia indietro, ha affermato Raúl
re garanzie di sicurezza sia alla guerriglia dopo
per il Venezuela.
Clinton dovrebbe diventare il
Castro. «L’accordo di pace – ha continuato- è
il disarmo, sia ai membri dei movimenti di difePer confermare l’enorme importanza dell’acnuovo presidente americano, in
un esempio per milioni di persone del pianeta
sa dei diritti umani, di non essere oggetto di atcordo per tutto il continente americano erano
Ecuador potrebbe cambiare il
per le quali il principale obiettivo è la sopravtacchi da parte di quelle «strutture criminali e
anche presenti il delegato speciale degli Stati
governo che gli ha concesso l’asivienza della specie... Cuba come paese garante
delle loro reti di appoggio» considerati i succesUniti per il processo di pace, Bernie Aronson, e
lo: bisogna portarlo via da lì, o
continuerà a impegnarsi perché il processo di
sori dei gruppi paramilitari appoggiati dall’ex
dell’Unione europea, Eamon Gilmore, accomquanto meno, continuare a parpace possa continuare e conludersi».
presidente Uribe, che si è opposto al processo
pagnati dal presidente della Repubblica domilare di lui.
Marina Catucci
NEW YORK
I
Firmata la pace tra Santos e Farc
I
pagina 8
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
INCHIESTA
Dossier •
Gli agrumi sono pagati 7 centesimi al chilo e mescolati al succo «low cost»
in arrivo dal Brasile. Cosa si nasconde dietro l’aranciata che beviamo
Le arance amare dei rifugia
I richiedenti asilo del Cara
di Mineo impiegati al nero nella
raccolta dei tarocchi siciliani.
La denuncia del dossier Filiera
sporca, presentato alla Camera
Silvio Messinetti
È
un rapporto shock. Un quadro
a tinte forti, dove è disegnata
un’Italia schiavista, in cui le forme di sfruttamento raggiungono picchi da terzomondo. “Filiera sporca
2016”, dossier a cura dell’associazione Da Sud, di Terra onlus e della testata Terrelibere.org, è stato presentato
ieri alla Camera dei deputati, alla presenza dei parlamentari Celeste Costantino (Si) e Luigi Manconi (Pd).
Dopo un anno di campagna, missioni di ricerca, interviste, questionari, articoli, convegni, incontri con gli
agricoltori, resta la certezza che la trasparenza della filiera sia quanto mai
necessaria per porre fine a un fenomeno indecente che mette in condizioni di alienazione migliaia di braccianti, stranieri e non, dal Sud al
Nord Italia, dall’Europa meridionale
fino in Cina. «Perché se dopo oltre
vent’anni non si è riusciti a sconfiggere il fenomeno in Italia, o non si è voluto farlo o gli strumenti con cui si è
intervenuto non sono stati sufficienti» si legge nel Rapporto. Filiera sporca interroga e fornisce le risposte dei
grandi attori della filiera agroalimentare, denuncia la mancata trasparenza della Grande distribuzione organizzata (Gdo), il ruolo distorto delle organizzazioni dei produttori che agiscono come moderni feudatari, dimostra come il costo delle arance riduca
in povertà i piccoli produttori e lasci
marcire il made in Italy. Produrre 1
kg di arance da succo costa circa 22,5
centesimi: 10 centesimi per la materia prima, 2,5 per il trasporto della
merce, 10 per la trasformazione e la
lavorazione. Per produrre 1 kg di concentrato servono 12 kg di arance. Il
costo di produzione di 1 kg di concentrato è perciò pari a circa 2,70 euro,
ma le multinazionali del succo e la
Gdo impongono un prezzo pari a
1,80/2 euro al kg. La differenza, pari a
circa 70 centesimi, sono i costi che la
filiera non riconosce. Su chi si scarica
questo costo? Innanzitutto sul costo
del lavoro, compreso nei 10 centesimi e pari a circa 6/8 centesimi, ma
comprimibile fino a 2 centesimi nel
caso dei raccoglitori di Rosarno. In secondo luogo sui consumatori che –
complice anche una normativa che
non prevede l’obbligo di indicare
l’origine in etichetta - spesso non san-
no davvero cosa stiano comprando:
per rientrare dei costi le aziende utilizzano percentuali di succo bassissime.
E spesso miscelate con quello low
cost proveniente dal Brasile.
Un dato su tutti, ben evidenziato
nel Rapporto, esemplifica il problema ed è fornito dal titolare di Agrumigel: «L’industria di trasformazione fattura 400 milioni l’anno, ma si comprano agrumi per soli 50 milioni».
C’è una nuova categoria tra i dannati dei campi. Sono i rifugiati-braccianti. La piana di Mineo si trova proprio nel cuore della produzione delle
pregiate arance rosse di Sicilia. È su
quei 2 mila ettari di superfici agrumetate che l’aria fredda dell’Etna arriva
più diritta pigmentando le arance e
conferendo loro il colore rosso che caratterizza la più pregiata varietà sicula, il Tarocco. Quest’anno le arance di
Mineo sono andate quasi tutte all’industria di trasformazione, dove viene
conferito il prodotto di scarto che la
Gdo non riesce a commercializzare.
Sono state pagate in media 7 centesimi al kg, «un prezzo per cui non varrebbe nemmeno la pena raccoglierle», spiegano, nel rapporto Filiera
Sporca, i produttori della zona. A meno di non fare quella che viene chiamata «la raccolta in economia» ovvero assoldare figli, familiari, vicini di casa e, quando questi mancano, trovare qualcuno disposto a lavorare anche per 10 euro al giorno.
I neobraccianti della stagione 2016
sono i richiedenti asilo del Cara di Mineo, il comprensorio nato per ospitare i militari dell’ex base statunitense
di Sigonella e che dal 2011, con i suoi
circa 4 mila ospiti, è diventato uno
dei centri per rifugiati più grandi
d’Europa. Qui il caporalato non c’era.
È nato con il Cara. A Mineo lo Stato
non rilascia i documenti. Ma consegna i profughi nelle mani dei caporali. Il fenomeno è in corso almeno da
un anno «ma nel corso della campagna 2016 ha assunto dimensioni massicce», denuncia il sindacato. Ogni
mattina alle 8, in sella alle biciclette
comprate per 25 euro direttamente
all’interno del Cara, centinaia di asilanti escono per cercare lavoro negli
agrumeti circostanti. Si fermano a minuti gruppetti, con le loro biciclette
ammassate sui selciati, negli incroci
delle strade, in attesa che qualche
produttore locale venga a prenderli
per portarli nei campi. I più esperti
raggiungono direttamente i campi
della raccolta. Non potrebbero lavorare, perchè richiedenti asilo e privi del
permesso provvisorio di lavoro che
può essere riconosciuto dopo 6 mesi
di permanenza nel territorio italiano,
e invece davanti ai cancelli del
“Residence degli aranci” - così è chiamato il villaggio di Mineo - tutto avviene in modo disinvolto. Di prima
mattina, a partire dalle 7, sono autorizzati a depositare le biciclette fuori
lungo la staccionata antistante l’ingresso del residence. Ma l’uscita al lavoro può avvenire soltanto a partire
dalle 8, quando il grande cancello dietro cui si ammassano a decine, viene
aperto dalle forze dell’ordine che presidiano notte e giorno il centro.
«Lavorano in condizioni schiavistiche - ha rilevato Rocco Anzaldi della
Flai del Calatino - i produttori lamentano il prezzo eccessivamente basso
del prodotto ma in questo modo è
l’intera economia locale ad essere
danneggiata, con un dumping che
spinge sempre più giù le condizioni
di lavoro e contribuisce a sua volta ad
abbassare i prezzi». È dunque una filiera fuori controllo in cui le difficoltà
del mercato agrumicolo sono state
scaricate completamente sul costo
del lavoro, dove è il sistema di accoglienza dei migranti a creare le nuove
vittime di capolarato e sfruttamento,
con holding criminali che usano l’accoglienza per accaparrarsi fondi pubblici, funzionali solo alla speculazione economica.
Per disinnescare la miscela esplosiva di sfruttamento del lavoro e marginalità bracciantile, la campagna Filiera Sporca chiede una legge sulla trasparenza che preveda l’introduzione
di una etichetta «narrante» sui prodotti. E l’introduzione di un elenco pubblico dei fornitori che permetta la
tracciabilità lungo la filiera.
MINEO · In centinaia al lavoro ogni mattina, senza caporali
«Dal Cara ai campi,
per 15 euro al giorno»
Angelo Mastrandrea
O
gni mattina alle 8, centinaia di richiedenti asilo africani escono dal Cara
di Mineo, inforcano la bicicletta
comprata per 25 euro all’interno dello stesso centro e si dirigono verso gli agrumeti
nei quali sono impiegati al nero nella raccolta delle arance. Per la legge italiana non
potrebbero lavorare perché il permesso di
lavoro viene riconosciuto dopo sei mesi di
permanenza in Italia, ma basta farsi un giro da quelle parti per capire quanto poco
essa sia applicata e in che modo sia funzionale a creare l’ennesima situazione di sfruttamento del lavoro, al limite della schiavitù. Ai migranti dell’ex residenza destinata ai militari americani della vicina base
di Sigonella che, con quattromila ospiti,
è ormai uno dei centri per rifugiati più
grandi d’Europa, è andata solo leggermente meglio che ai loro conterranei di
Rosarno, pagati due centesimi per ogni
chilogrammo di arance da succo raccolte
e destinate. A loro sono andati mediamente sette centesimi, ma la cattiva stagione passata ha fatto sì che anche le
arance rosse di Sicilia finissero nel circuito della trasformazione e non, pagate meglio, come agrume da tavola.
La Cgil denuncia come il fenomeno del
lavoro nero dei rifugiati sia in corso almeno da un anno, ma nel 2016 ha assunto dimensioni massicce. Soprattutto, avviene alla luce del sole. Ogni mattina, dopo che la
polizia ha aperto i cancelli del Residence
degli aranci, come paradossalmente è stato chiamato il villaggio. Gli africani si fermano gruppetti, con le loro biciclette ammassate sui selciati, agli incroci delle strade, in attesa che qualche produttore locale
venga a prenderli per portarli nei campi, e
non è detto che ciò accada. I più esperti
raggiungono direttamente i campi della
raccolta. La particolarità è che, a differenza che nella Piana di Gioia Tauro o in altri
luoghi dello sfruttamento dei braccianti
in agricoltura, qui non ci sono caporali
Gli africani escono in
bicicletta e si raggruppano
agli angoli delle strade,
aspettando che i produttori
passino a prenderli
ma tutto avviene senza intermediari, in
maniera diretta.
Un guineano sbarcato in Sicilia quattro
mesi fa ha raccontato ai ricercatori di Filiera sporca che "non si sta male qui, però
non abbiamo soldi, ci danno solo sigarette ma io non fumo, perciò sto andando a
cercare lavoro». Un’altra testimonianza
raccolta è quella di un venticinquenne
proveniente dal Gambia: «Lavoriamo dalle 8 di mattina alle 4 del pomeriggio, ci
danno da bere e qualcosa da mangiare du-
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
INCHIESTA
Cosa fare •
La campagna chiede un’«etichetta narrante» e un elenco pubblico
dei fornitori che permetta la piena tracciabilità dell’intera filiera
ETICHETTE TRASPARENTI La Ma.Pi. ideata da Mario Pianesi,
fondatore dell’associazione “Un Punto Macrobiotico”, è la più
completa, dal punto di vista delle informazioni, tra quelle presenti in
Italia. Indica i nomi dei produttori e dei trasformatori, il tipo di terreno
e la modalità di coltivazione, l’estensione dei terreni lavorati, il numero
di occupati, la data di raccolta e di confezionamento delle materie
prime, il numero di passaggi di filiera dal campo allo scaffale e,
laddove è possibile, anche l’impronta energetica. Ci sono poi i prodotti
equo e solidali: nelle etichette Ctm Altromercato vengono indicati la
ati
modalità di coltivazione e le caratteristiche della varietà per gli
ingredienti principali, il nome dei singoli produttori nel caso di prodotti
che non contengano molti ingredienti. Alce Nero, uno dei distributori
bio più grandi d’Italia, ha avviato una collaborazione con SlowFood,
adottando l’“etichetta narrante” inventata da Slow Food per descrivere
i presidi di cibo genuino legato al territorio. Infine, sebbene sia ancora
un marchio di nicchia, Funky Tomato è interessante per la modalità
che prevede: passata e polpa di pomodoro prodotte attraverso una
filiera partecipata, legale e trasparente in Puglia e Basilicata.
SINDACATO · Galli (Flai): estendere il reato alle imprese. Domani in piazza a Bari
DIRITTI
Cgil: «La legge anti-caporali
è ferma, il governo si muova»
Trento, discriminò
insegnante: scuola
cattolica condannata
Antonio Sciotto
rima le hanno chiesto di
smentire le voci secondo le
quali aveva un rapporto sentimentale con una donna. Poi, al logico rifiuto di parlare della propria
vita privata, le hanno chiesto di «risolvere la situazione» al più presto,
un eufemismo per dire che doveva
chiudere il rapporto con la sua
partner. E’ quanto si è sentita dire
un’insegnante
dal
dirigente
dell’Istituto cattolico Sacro Cuore
di Trento. La donna naturalmente
non ha ceduto alle pressioni e per
questa non è stata riassunta
dall’istituto perdendo così la possibilità di vedere trasformato il suo
contratto in un’assunzione a tempo indeterminato. Per questi motivi ieri il Sacro Cuore - denunciato
dalla donna - è stato condannato
dal tribunale di Rovereto per discriminazione. Il giudice ha riconosciuto come l'istituto stesso cambiò nel giro di pochi giorni la propria versione dei fatti più volte, inclusa quella per la quale l'insegnante avrebbe turbato i propri alunni
con discorsi inappropriati sul sesso. Il giudice ha inoltre accolto le
domande della Cgil del Trentino e
dell'Associazione radicale «Certi diritti» di accertare «il carattere di discriminazione collettiva delle diverse dichiarazioni rilasciate dall'Istituto con le quali si rivendicava il diritto di non assumere persone
omosessuali, ritenute inidonee ad
avere contatti con minori». L'Istituto Sacro cuore è stato così condannato a risarcire 25.000 euro alla docente per danni patrimoniali e non
patrimoniali e 1.500 euro a ciascuna delle organizzazioni ricorrenti.
«È il primo caso di condanna mai
pronunciata per discriminazione
individuale per orientamento sessuale e la seconda per discriminazione collettiva», ha spiegato ieri
il legale dell’insegnante, l’avvocato Alexander Schuster. «Si tratta ha aggiunto - della prima sentenza che condanna per discriminazione un'organizzazione di tendenza dopo l'entrata in vigore della normativa antidiscriminatoria
del 2003».
«Con questa decisione - ha commentato la professoressa alla notizia della sentenza - lo Stato italiano garantisce il diritto mio e di
ogni altra persona a non essere discriminata. La dignità di ogni lavoratore è un principio supremo della Costituzione repubblica».
Una questione che, come ha sottolineato il legale della professoressa, va oltre la discriminazione in
base all’orientamento sessuale,
«La sentenza - ha aggiunto Schuster - dice molto di più: garantisce i
diritti fondamentali di ogni lavoratore. Infatti, questa decisione fissa
un punto chiaro: i datori di lavoro
di ispirazione religiosa o filosofica
non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita».
Soddisfazione per la decisione
dei giudici di Rovereto è stata
espressa anche dal segretario
dell’Associazione Certi Diritti, Yuri
Guaiana, per il quale la sentenza
rappresenta «un risultato importante non solo per le parti coinvolte nel caso in questione, ma per tutta la battaglia contro le discriminazioni sul posto di lavoro».
iamo preoccupati: se la nuova
legge contro il caporalato e le
imprese che vi ricorrono non
venisse approvata entro fine luglio, rischiamo di slittare oltre l’autunno».
Ivana Galli, segretaria generale della
Flai Cgil, presenta così la manifestazione nazionale di domani a Bari. Flai, Fai
Cisl e Uila sfileranno insieme a 10 mila
lavoratori agricoli per sollecitare lo
sblocco del disegno di legge 2217, congelato da ben sette mesi, e il rinnovo
dei contratti provinciali.
Il governo ha più volte sottolineato
di ritenere prioritaria l’approvazione
del disegno di legge. Come mai è ancora tutto fermo?
Il ddl 2217 è rimasto bloccato in Senato, e dopo dovrà passare alla Camera. Noto con amarezza che per altri
provvedimenti si sono disposti iter agevolati e fiducie, mentre questo testo si
è avviato a novembre scorso e poi si è
arenato. Se non si riuscirà ad approvarlo entro luglio, in settembre potrebbe
essere soffocato da altre priorità, come
il dibattito sulla legge di Stabilità e il referendum costituzionale. I lavoratori
non possono aspettare fine anno.
Anche perché nel frattempo, con l'arrivo dell’estate, le temperature nei
campi sono già molto alte: la nuova
legge migliorerà le condizioni di vita
dei braccianti?
C’è un punto che noi riteniamo molto importante: il reato penale già intro-
UN MOMENTO DELLA RACCOLTA A ROSARNO, IN CALABRIA /FOTO MAURO PAGNANO-ETIKET COMUNICAZIONE
rante il giorno e a fine giornata ci pagano 10, massimo 15 euro». Paghe da fame e condizioni di lavoro schiavistiche
al soldo dei produttori italiani della zona, che poi rivendono gli agrumi alle
multinazionali che li trasformano in succhi o alle grandi catene di supermercati,
denuncia la Flai Cgil, per la quale «i produttori lamentano il prezzo eccessivamente basso del prodotto, ma in questo
modo è l’intera economia locale a essere danneggiata, con un dumping che
spinge sempre più giù le condizioni di lavoro e contribuisce a sua volta ad abbassare i prezzi». Una spirale al ribasso che
scarica tutti i costi sull’ultima ruota del
carro: i lavoratori. La frammentazione
della filiera non aiuta: gli autori del dossier hanno interpellato cooperative di
produttori, aziende di trasformazione e
catene di supermercati, e lo scaricabarile è stato generale. Quello che emerge è
solo la difficoltà di controllare realmente da chi siano state raccolte le arance,
nonostante garanzie e rassicurazioni.
Eppure, il fenomeno è noto a tutti: ad
aprile scorso i Carabinieri del Nucleo
Ispettorato del lavoro di Catania hanno
scoperto e deferito all’autorità giudiziaria tre imprenditori agricoli della provincia di Catania che avevano preso al nero
come braccianti 45 lavoratori stranieri, di
cui 14 richiedenti asilo politico ospiti del
Cara di Mineo. Il responsabile commerciale di un’azienda di trasformazione ha
confermato: «Lo sanno tutti coloro che
abitano nei nostri territori che la raccolta
delle arance è fatta sempre più da personale estero con una paga inferiore al prezzo di tariffa creando concorrenza alla manodopera locale e inficiando la regolare
concorrenza tra aziende». Il prezzo basso
è un indicatore che a monte c’è qualcosa
che non va. Dunque, occhio al prezzo.
TRENTO
P
«S
UN GRUPPO DI IMMIGRATI
NEI PRESSI DEL CARA DI
MINEO (CATANIA): TANTI
DIVENTANO BRACCIANTI
SFRUTTATI PER LA
RACCOLTA DELLE ARANCE
/FOTO SARA
FAROLFI-FILIERA SPORCA
pagina 9
BRACCIANTI NELLE CAMPAGNE DI ROSARNO, IN CALABRIA /FOTO MAURO PAGNANO-ETIKET COMUNICAZIONE
La Rete di qualità e il
bollino per l’ortofrutta
«etica» non decollano:
risorse insufficienti alla
Cabina di regia Inps
dotto con il 603 bis per i caporali viene
esteso alle imprese che vi ricorrono,
inasprendo le sanzioni. Poi si rendono
strutturali delle misure che abbiamo
già anticipato nel Protocollo firmato in
maggio con istituzioni, imprese e associazioni: l’affidamento del raccordo tra
domanda e offerta di lavoro agli uffici
Cisoa delle Inps provinciali; le convenzioni per offrire trasporti trasparenti e
legali dalle abitazioni ai campi; la creazione di alloggi vivibili, utilizzando ad
esempio edifici di proprietà demaniale
o confiscati alle mafie. Per concretizzare non basterà la legge, sarà poi fondamentale l’applicazione nei territori grazie a tutti i soggetti coinvolti.
Per diffondere la cultura della legalità e dell’ortofrutta "etica" si attende
ancora l’istituzione del bollino per le
aziende che rispettano le regole: in
modo che al supermercato si possa
selezionare e comprare solo da imprese pulite. Che fine ha fatto?
Il bollino è contenuto anch’esso nel
ddl 2217, e anche per questo ne sollecitiamo l’approvazione. Sarà disponibile
per tutte quelle imprese che saranno
iscritte alla Rete del lavoro agricolo di
qualità, poi dovremo cooperare tutti
perché gli acquisti di massa - dai supermercati fino al piccolo dettaglio - si indirizzino verso le filiere, marchi e aziende che applicano tutte le regole e rispettano i diritti dei lavoratori.
Ma la Rete è decollata? Gli ultimi dati diffusi qualche mese fa non sembravano incoraggianti.
La Rete è stata avviata, ma non potrà
mai decollare veramente se non si investirà innanzitutto sulla Cabina di regia
coordinata dall’Inps. Non si possono
fare le nozze coi fichi secchi: a sbrigare
tutte le pratiche ci sono soltanto cin-
que impiegati, senza un software adeguato, fanno tutto a mano e con il telefono. Secondo i dati che ho potuto vedere questa settimana, sono state accolte le domande di 896 imprese, mentre 1.384 sono in attesa di risposta. Ma
il bacino potenziale è di oltre 100 mila
imprese, quindi noi ci auguriamo davvero che i numeri crescano.
E se arrivassero tante domande, con
cinque impiegati e senza software, il
paradosso è che tutto potrebbe rimanere ingolfato. Se già non lo è.
Ritengo infatti che la riuscita della
Rete sia molto importante: si parte da
una autocertificazione al momento
della domanda, ma poi gli addetti della Cabina di regia Inps inoltrano richiesta di dati all’Agenzia delle entrate, al
Casellario giudiziario, si verifica la presenza del Durc e la regolarità di contratti e versamenti fiscali e previdenziali. Un accertamento a 360 gradi sulle
imprese, peraltro volontaria: direi, in
qualche modo, una novità in Italia.
Il salto culturale, se dovesse riuscire
questo esperimento, sarebbe in effetti notevole: imprese che chiedono
di essere certificate, un bollino per
fare acquisti garantiti sul piano etico. Ma i controlli sono solo sulla carta. Per quanto riguarda le ispezioni
nei campi a che punto siamo?
Le ispezioni sono aumentate, non
c’è dubbio, e gli imprenditori si sentono sotto pressione. Ovviamente
non possono arrivare in ogni singolo
campo, e tante piccole aziende restano nel sommerso. I dati del 2015 parlano di 8.862 imprese agricole ispezionate, con 6.153 lavoratori che sono risultati irregolari, e 713 episodi di
caporalato rilevato. Non possiamo
mollare: non solo chiediamo urgentemente di approvare il ddl 2217, ma
proporrò a Fai e Uila di sollecitare insieme lo stanziamento di maggiori risorse per la Cabina di regia della Rete
del lavoro di qualità. Un apposito Regolamento, che speriamo verrà elaborato a breve, dovrà fissare infine le
modalità di verifica periodica sulle
certificazioni e i bollini emessi.
pagina 10
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
CULTURE
CODICI APERTI
Non solo business
e attivismo. La Rete
è usata anche
per attività criminali
che vanno prevenute
attraverso sistemi
pervasivi di controllo
che minacciano
però la libertà
di espressione.
Un sentiero di lettura
Vincenzo Scalia
L
a prorompente affermazione
della rete telematica come fulcro dei rapporti sociali ha portato alcuni studiosi a parlare di «terzo spazio»: al pari dell’ambiente naturale e della società, ci troviamo in
un contesto caratterizzato dalle
sue proprie regole, da dinamiche
indipendenti, da conflitti peculiari,
da rappresentazioni e identità del
tutto inaspettate. Sul piano della
criminalità, anche all’interno del
terzo spazio si produrrebbero nuove opportunità, che spaziano dalle
truffe online alla pedopornografia,
passando per il cosiddetto «cyberterrorismo». In altre parole, la Rete,
oltre ad aumentare e a modificare
le possibilità relazionali sortisce altresì l’effetto di produrre panico,
con nuovi imprenditori morali
pronti ad agitare lo spauracchio di
inedite minacce, da esorcizzare
con l’attuazione di misure speciali.
Le ricadute di questa deriva «securitaria» per la Rete lambiscono anche la dimensione politica.
Dal momento che il terzo spazio
si struttura sin dall’inizio come
pubblico, al suo interno si producono due tipologie di lotte politiche:
la prima, riguarda l’utilizzo di Internet per creare e diffondere pratiche
politiche alternative. Non a caso,
molti dei movimenti recenti, come
Occupy Wall Street e le primavere
arabe, hanno nella Rete un habitat
fertile per diffondersi. La seconda,
concerne la resistenza e l’insubordinazione nei confronti di un potere
che si manifesta anche sotto forme
cibernetiche. A questa tipologia
vanno iscitti molti gruppi hacker o
mediattivisti, o i casi di Julian Assange ed Edward Snowden. Si crea
dunque un’ulteriore prospettiva
sulla sicurezza in rete, dove le strategie di controllo e il panico morale
si intrecciano direttamente con la
prevenzione e la repressione della
nascita di discorsi e pratiche alternative, sfociando in un vero e proprio securitarismo cibernetico.
Al bazaar dell’identità
Quanto è reale la minaccia del cybercrime? Come si distingue dagli
altri tipi di criminalità? Come si articola la dialettica tra libertà e sicurezza? I criminologi conservatori,
come Peter Gottschalk, rispondono attraverso l’identikit del cybercriminale: individuo dotato di abilità specifiche, geloso della propria identità illegale, che utilizza la
rete per i propri scopi illeciti, e agisce all’interno di reti criminali: ne
consegue la necessità di controllare e limitare l’uso della rete, attraverso la creazione di una cyberpolizia che si avvalga della tecnologia
più sofisticata.
James Treadwell, Goldsmith e
Brewers si preoccupano di criticare
questa impostazione, mettendone
in rilievo i limiti. Il primo sottolinea
come la rete costituisca un vero e
proprio bazaar: è possibile trovarvi
gli attori più svariati, che operano
in ambiti diversi. Internet, sostiene
Treadwell, si connota proprio per
la sua fluidità: non soltanto è possibile adottare identità multiple, ma
KAMIL
KOTARBA,
«HIDE AND
SEEK»
La cibernetica
della sicurezza
anche si può operare contemporaneamente nell’ambito di domini legali e illegali, grazie alla garanzia
dell’anonimato. Questo vale anche
per le attività illegali. Su internet,
come nello spazio sociale, vengono
commessi per la maggior parte reati di lieve entità, e i perpetratori, come mostra uno studio su alcuni
operai dell’East End di Londra, non
sono criminali abituali, né posseggono sofisticate abilità. Realizzano
frodi di piccolo calibro quando si
trovano in difficoltà economiche e,
in maniera intermittente, oltre che
singolarmente. I secondi si muovono sullo stesso solco di Treadwell,
parlando dell’esistenza di una vera
e propria «deriva digitale».
I fruitori della Rete perseguono
una molteplicità di comportamenti, attuata in modo non strutturato,
e secondo finalità spesso strumentali. Di conseguenza, i legami che si
creano sul web, denotano una certa caducità, che rende difficile parlare dell’esistenza di network criminali. Anche nel caso di terrorismo e
pedopornografia, spiegano gli autori, spesso ci troviamo di fronte o a
individui isolati o a reti che hanno
una durata temporale limitata, non
sempre composte dalle stesse persone. Ad esempio, i cosiddetti Vpn
(Virtual Private Networks), utilizzati dai pedopornografi, rischierebbero di attirare troppo l’attenzione,
qualora la loro esistenza si prolungasse nel tempo.
Queste letture, per quanto importanti, tralasciano però due
aspetti del cybercrime tanto cruciali quanto speculari al dibattito
sulla criminalità che attraversa la
sfera pubblica non virtuale: quanta sicurezza bisogna garantire ai
fruitori della rete? Chi deve garan-
tirla? Lo Stato, attraverso i suoi apparati preventivi e repressivi, rientra in gioco, mettendo in scena le
tematiche del controllo sociale e
del rapporto tra libertà e sicurezza. Questi aspetti denotano implicazioni direttamente politiche: come nel secondo spazio il discorso
«securitario» ha catalizzato la repressione del dissenso, così, nel
terzo, la minaccia cybercriminale
può diventare un arma contundente da brandire verso tipologie sempre più ampie di comportamenti
non conformi al circuito intrattenimento-produzione-consumo.
La regolamentazione statale della rete, presenterebbe un problema
qualitativamente rilevante, che Daniel Geer, nella raccolta di saggi Cybercrime. Digital Cops in a Netwrok
Environment (New York University
Press, pp.270, seconda edizione),
mette in relazione con la cosiddetta «fisica digitale». A differenza dello spazio materiale, il terzo spazio
si caratterizza per la sua fluidità, volatilità e imprevedibilità, caratteristiche che si incrociano con la tutela delle libertà civili e del libero mercato. Ne consegue la riottosità da
parte degli individui e degli attori
economici a fornire informazioni
vitali per la loro esistenza e i loro interessi agli attori del controllo sociale, che renderebbe problematico
implementare ogni tipo di misure
di sicurezza in rete.
In realtà, secondo quanto afferma Lee Tien nello stesso volume, la
lettura della rete come flusso libero
e incontrollato di relazioni e informazioni si rivela, ad uno sguardo
più accurato, limitata, nella misura
in cui la rete funziona secondo il
principio della regolamentazione
architettonica. Come una casa
orienta e determina i nostri movimenti secondo la sua conformazione, così la rete orienta i nostri percorsi digitali, creando le condizioni
per un controllo ex ante, vale a dire
imperniato sulla pre-determinazione della navigazione telematica. A
differenza dell’ambiente fisico-sociale, dove le sanzioni vengono
comminate ex post, il computer limita e dirige fin dall’inizio la nostra
deriva nello spazio digitale.
Sorveglianti «carnivori»
È all’interno di questa cornice
pre-regolamentata che si crea lo
spazio per una nuova forma di sorveglianza: orizzontale, impercettibile, pervasiva, in altre parole, come
la definisce lo studioso canadese
David Lyon relazionale. I social
network che frequentiamo, le persone con cui chattiamo, i siti che visitiamo, riescono ad essere monitorati da sistemi digitali di controllo,
che si avvalgono di una domanda
di sicurezza a più ampio raggio per
monitorare sia gli attori che le comunicazioni «a rischio». È questo il
caso del progetto Carnivore, un programma di sorveglianza predisposto dall’Fbi e approvato dal Congresso Usa all’indomani dell’11 settembre. Le forze dell’ordine possono tenere sotto controllo, dietro approvazione della procura distrettuale, e per periodi di tempo limitati,
quegli individui e quelle porzioni
della rete sospettate di terrorismo.
L’autorizzazione alla sorveglianza
può essere rinnovata qualora dalle
indagini risulta qualcosa che induce a ritenere fondati i sospetti, quindi a richiedere necessari ulteriori
supplementi di indagine. Il progetto Carnivore è stato duramente
contestato dalle organizzazioni atti-
WIKILEAKS
Assange sarà interrogato
nell’ambasciata
dove si è rifugiato
Julian Assange è da tre anni «ospite» a Londra dell’ambasciata
dell’Ecuador. Il fondatore di Wikileaks si è rifugiato lì per sfuggire a
una estradizione in Svezia dove deve
presenziare a un processo per stupro. Assange ha sempre respinto
queste accuse, sostenendo che sono
state montate ad arte per interrompere la sua attività di controinformazione nella Rete. In questi tre lunghi
anni ha chiesto al tribunale svedese
di essere interrogato nella sede
dell’ambasciata. Richiesta respinta
fino a pochi giorni fa, quando, dal
ministero della giustizia scandinavo,
lo stesso giudice ha mandato a dire
che Assange sarà interrogato a Londra. Tempi e modi dell’incontro saranno concordati dagli avvocati di
Assange. La vicenda del fondatore di
Wikileaks sembra così avviarsi su
una strada al termine della quale il
suo «esilio» forzato potrebbe terminare, consentendogli quella mobilità e
presenza in Rete da sempre ricercata in questi anni. Recentemente Assange ha partecipato on line a una
iniziativa svolta in diverse città europee dal titolo «Prima vennero per
Assange» che si rifà alla famosa poesia e piece teatrale sulla cancellazione della libertà da parte dei nazisti.
In Italia la città è stata Napoli e il
luogo il centro sociale «l’Asilo». Gli
interventi dei partecipanti e di Assange possono essere consultati al sito:
www.exasilofilangieri.it/prima-vennero-per-assange/
ve nella difesa dei diritti civili, non
soltanto perché viola la privacy e la
libertà di espressione, ma anche
perché è diretto soprattutto verso i
cittadini americani di origine araba
o di religione musulmana, comportando la criminalizzazione a priori
di interi strati della popolazione.
A fianco del progetto Carnivore,
come ha svelato Edward Snowden
nel 2013, esistono altri programmi
di controllo della rete, elaborati ed
implementati dalla National Security Agency, che si connotano per essere molto più sofisticati e articolati. L’agenzia di sicurezza interna, infatti, si connota come l’attore principe della sorveglianza relazionale,
laddove i suoi programmi di controllo non riguardano solo i presunti terroristi musulmani, bensì l’intera popolazione.
Utenti da addomesticare
Il lavoro di sorveglianza della rete,
si prefigge dunque di monitorare
ogni forma di comunicazione, relazione e pratica che vanno in senso
contrario alla regolamentazione architettonica, quindi di monitorare
le attività di gruppi e reti alternative. In questo contesto, figure del calibro di Snowden e Assange risultano pericolose, in quanto non soltanto disvelano la filigrana degli intrecci di potere attuali, ma dimostrano anche la possibilità di ribaltare il flusso securitario attraverso
un utilizzo della rete che si muove
in direzione contraria a quello convenzionale, che vuole creare un
utente docile, controllabile e addomesticabile.
Come nello spazio materiale il
panico morale attorno ad alcuni reati di piccola entità fornisce il destro all’attuazione di misure repressive che passano attraverso la criminalizzazione di settori specifici della società, così nella rete, l’allarme
per i cybercrimes, amplificato dalla
paura del terrorismo, diviene il cavallo di Troia per l’azione repressiva e per la messa in atto di nuove
forme di controllo sociale, nonché
per la repressione di nuove forme
del dissenso. Dall’altro lato, è la
stessa fluidità della rete a permettere la produzione e la diffusione di
saperi e pratiche dissenzienti, sia attraverso azioni individuali, come
quelle di Snowden, sia attraverso la
creazione di esperienze più strutturate, come Wikileaks. La talpa comincia a scavare nella rete. Ma il
tunnel è ancora lungo.
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
CULTURE
oltre
A DUINO RITORNA LA POESIA
Nell’ambito delle «Residenze Estive 2016, incontri
residenziali di poesia e letteratura a Trieste e nel Friuli
Venezia Giulia» in corso fino al 27 giugno e dedicato
quest’anno al tema dei confini vecchi e nuovi, oggi sarà la
tutto
volta di Rossella Tempesta, Rachel Slade, Cristina Micelli,
Claudio Grisancich, Gabriella Sica, Mary B. Tolusso,
Federico Rossignoli. E in serata appuntamento con le letture
poetiche di Ottavio Rossani, Antonella Anedda, Marco
Marangoni e Laura Accerboni. Gli incontri residenziali,
MOSTRE · «Emilio Vedova Disegni», in corso a Venezia (Magazzino del Sale) fino al 1 novembre
Quel diagramma della realtà,
fra disegno e dipinto
Tiziana Migliore
E
milio Vedova Disegni, la mostra veneziana presentata
dalla Fondazione Emilio e
Annabianca Vedova, a dieci anni
dalla scomparsa dell’artista, mette sotto gli occhi un Vedova sorprendentemente nuovo.
Allestita nella sede espositiva
del Magazzino del Sale, Zattere
266, e in corso dal 29 maggio al 1
novembre 2016, la personale riunisce per la prima volta un corpus
di trecento opere su carta, appartenente all’archivio della Fondazione, restaurato da Luisa Mensi e
in gran parte inedito, che va dagli
esordi nel 1935 fino agli ultimi lavori nel 2005.
Di colpo questi piccoli disegni
cromatici, spessi e tattili, situano
lo spettatore a tu per tu con l’artista, chez lui, educandolo a una
combattività quotidiana. «Ogni
giorno è un giorno», recitava un
cartello scritto a mano da Emilio
Vedova e appeso nel suo studio.
Di esercizio, di impegno, di attenzione all’esperienza, nella lotta
fisica e psichica con ritmi del mondo a cui dar forma (informale, qui
è un’etichetta inappropriata). Il catalogo edito da lineadacqua, con
splendide fotografie, lo rivela. È
un impatto che il grande formato
della più nota produzione di Vedova non può suscitare.
La mostra rende conto del rapporto fra disegno e dipinto. I curatori, Germano Celant e Fabrizio
Gazzarri, che è anche direttore
dell’Archivio e della Collezione Vedova, distinguono tre momenti. I
lavori giovanili, dal 1935 al 1940,
sono esposti all’inizio del percor-
Il percorso costruito
da Germano Celant
e Fabrizio Gazzarri
copre l’arco artistico
dal 1935 al 2005
so, in due teche, custoditi a testimoniarne il valore affettivo.
Vedova li ha infatti protetti in
anni difficili e nei vari traslochi fra
i suoi studi. Si vedono l’Autoritratto del 1937, un nervoso gessetto
su carta, seguito da inchiostri degli interni architettonici di
Sant’Agnese (1936) e di San Salvador (1936) e da studi delle Fondamenta alle Zattere (anni Trenta),
della facciata di San Moisé (1937),
di Ballerine (1937).
Provano l’uso del disegno come
diagramma di sensazioni del divenire della realtà. L’azione grafica è
in presa diretta, e futurista, perché fissa su carta il tempo, non la
dimensione spaziale.
Sapientemente, il secondo momento del percorso riproduce in
scala questa sismografia, con un
compatto patchwork a parete – 27
metri di lunghezza e 3 di altezza –
di disegni compresi fra il 1940 e il
2005, ma montati in ordine sparso. Una sorta di murales dai bordi
sfrangiati, continuo alle teche e
posto sullo stesso lato, che magnifica la vitalità del metodo di Vedova. Immagine di uno street artist
ante litteram.
Ciascuno dei disegni è reciprocamente un frattale del murales.
Segna l’abbandono della rappresentazione mimetica a favore di
un reportage figurale: tracciatura
di respiri, di battiti cardiaci, di nervosismi in compresenza di avvenimenti politici.
Il Personaggio/Incubo (194142), il Combattimento (1942-43) e
i Senza Titolo degli anni della guerra e della partecipazione alla Resistenza, i cicli della protesta, lo
Scontro di situazioni, gli affreschi
del Brasile, Intolleranza 60, Prome-
teo, i Plurimi dell’Absurdes Berliner Tagebuch 64, il Cile contro di
Pinochet, la Spagna contro di
Franco, i cicli del Messico e i dipinti del De America vanno letti secondo il filo coerente di una cronaca sensomotoria del proprio tem-
po. Da «semionauta» (Celant), Vedova inventa una sua scrittura della realtà. Il gesto non si inscrive
mai in orizzontale, con il piano
collocato a terra come in Pollock,
ma in verticale, perché di fronte
all’evento.
pensati e ideati da Gabriella Musetti, sono organizzati dalla
Rivista e Associazione culturale Almanacco del Ramo d'Oro,
in collaborazione con la Società italiana delle letterate, Vita
Activa editoria e altre realtà locali e nazionali. Il programma
sul sito www.societadelletterate.it
Sul De America, un ciclo di
cinquanta tele tra il 1976 e il 77,
paradigmatiche dei soggiorni e
viaggi americani, uscirà a breve,
per Skira, un volume a cura di
Celant, con ricerche biografiche
e documentarie di Laura Lorenzoni. Mentre, a partire dal 15 luglio, nello spazio polifunzionale
della Fondazione, è prevista la
rassegna di concerti Euroamerica, a cura di Mario Messinis,
con Chick Corea, Uri Caine e
Jack Quartet fra gli altri.
Il terzo momento della personale ricongiunge disegno e dipinto, tramite due serie di teleri
degli anni Ottanta, di cui alcuni
inediti, movimentati nello spazio del Magazzino. Il sistema
meccanico-robotico di alta tecnologia progettato da Renzo Piano sembra «strappare» le opere
dal muro e rianimarle per esaltare la continuità, la spinta in
avanti, dalla fase fondante e preparatoria del disegno, comunque policromo, al quadro. Legittimo interrogarsi sulla linea di
demarcazione tra l’uno e l’altro.
La tecnica, certo: sanguigne,
matite, inchiostri, carboncini e
pastelli, rispetto al colore a olio
del dipinto. Ma soprattutto il
supporto: carta versus tela. È la
carta a favorire la velocità
dell’operare, con l’inconfondibile Pentel pen, il pennarello nero
che schizza in un aspetto a metà fra parola e immagine.
Perciò Annabianca Vedova
ha definito «quasi disegni» le
decine di tele dei primi anni Ottanta non preparate, lavorate
con idropittura e pastelli, che
hanno dato adito a un fiume in
piena di aggressive sequenze
segniche.
Sempre la carta, priva di cornice, permette relazioni di prossimità, di intimità. Se ogni buona
mostra trasforma il suo visitatore, Emilio Vedova Disegni accende il desiderio di toccare queste
carte, di averne una per sé, di studiarle da vicino, singolarmente,
in un accessibile archivio.
SAGGI · «Gestapo. La storia segreta» di Frank McDonough per Newton Compton
Una vasta opera di delazione
Guido Caldiron
P
er quanto paradossale possa apparire a prima vista, il
recente studio dedicato dallo storico britannico Frank
McDonough alla polizia segreta
del Terzo Reich più che documentare gli orrori di cui si rese
protagonista quel settore dell’apparato repressivo nazista, tema
per altro ben documentato nel
volume, ci restituisce uno spaccato della società tedesca
dell’epoca evidenziando le diverse forme di consenso che agirono nei confronti del regime hitleriano.
Già autore di diverse opere dedicate al nazionalsocialismo, in
Gestapo. La storia segreta
(Newton Compton, pp. 282, euro 12,00), McDonough analizza
infatti la formazione e il funzionamento di quel corpo di polizia
che ebbe un ruolo decisivo dapprima nell’eliminazione degli oppositori interni di Hitler e quindi
nello sterminio ebraico, alla luce
della sua stretta relazione con i
meccanismi di funzionamento
della realtà sociale e delle dinamiche interne alla Germania degli anni Trenta.
Basandosi sull’ampia mole di
documenti, oltre 73 mila dossier,
relativi ad altrettanti fascicoli
aperti dalla Gestapo nei confronti di presunti oppositori del nazismo e di «nemici della razza», ancora oggi disponibili presso gli archivi di Düsseldorf, lo studioso
arriva così ad evidenziare «quanto fosse forte il sostegno popola-
re al lavoro della polizia segreta»
e quanto fuorviante dal punto di
vista storico sia invece l’immagine comunemente diffusa di un
apparato «in grado di imporre la
propria volontà su una popolazione terrorizzata».
Nata nel 1933, la Gheim Staatpolizie, polizia segreta di Stato,
abbreviata in Gestapo, divenne
di fatto la «polizia politica» del regime cui fu demandato il compito di eliminare l’opposizione, soprattutto comunisti e socialdemocratici ma anche membri delle chiese evangelica e cattolica,
gli elementi «antisociali» come
primo piano della macchina repressiva nazista e vide affluire
molti giovani di «belle speranze»
desiderosi di una rapida e brillante carriera. Al punto che «nel
1938 il 95% dei direttori regionali della Gestapo avevano preso il
diploma; l’87% si era in seguito
laureato e una metà di questi
aveva poi conseguito anche il
dottorato».
In altre parole, perlomeno i
vertici medio alti del corpo rappresentavano un campione significativo del consenso che la borghesia tedesca esprimeva nei
confronti dello Stato nazista.
Il volume sarà presentato oggi alle 12 in Piazza
Cavalli (Portici di palazzo Gotico) a Piacenza
nell’ambito del festival «Dal Mississippi al Po».
Insieme allo scrittore britannico, ospiti di questa
edizione anche Daniel Wallace e Ashley Kahn
rom, omossessuali e malati di
mente, e, in seguito alle leggi razziali di Norimberga del 1935, gli
ebrei che nella maggior parte dei
casi furono, in Germania come
nei paesi occupati durante il conflitto, arrestati e deportati verso i
lager proprio dagli uomini di
questo corpo di sicurezza.
Nata a partire da una precedente struttura di polizia politica
che operava in Prussia fin dal
1918, e inglobando perciò anche
un certo numero di agenti già in
servizio al momento dell’ascesa
al potere di Hitler, la Gestapo divenne rapidamente un settore di
Un’altra, e ancor più sinistra
evidenza riguarda la constatazione che buona parte dell’attività
della polizia segreta, a partire
proprio dall’individuazione dei
«sospetti», fu resa possibile dalla
collaborazione attiva della popolazione.
Infatti, segnala McDonough,
«si calcola che il 26% di tutti i casi di indagini avviati dalla Gestapo partissero dalla denuncia di
un cittadino comune. Per converso, solo il 15% di essi muoveva
dalle attività di sorveglianza della polizia segreta».
Una vasta opera di delazione
pagina 11
che attraversava l’insieme della
società tedesca dell’epoca, anche se «era raro che un cittadino
delle classi superiori o della borghesia istruita riferisse un comportamento di dissidenza» verso il regime, mentre invece «gli
appartenenti alla piccola borghesia o alla classe operaia erano ben rappresentati fra coloro
che presentavano denunce».
Inoltre, un’analisi su un campione di 213 denunce esaminate dallo studioso, «ha mostrato
che nel 37% dei casi qualcuno
denunciava qualcun altro per risolvere un contrasto personale».
I «buoni cittadini», vale a dire
coloro che non rientravano in
nessuna delle categorie ritenute pericolose o tout-court nemiche della Germania nazista,
non solo non sembravano temere gli uomini della polizia segreta, ma anzi vi facevano ricorso
per regolare attraverso la delazione una qualche controversia
di natura privata.
Una considerazione, insieme
agli effetti perversi della Guerra
fredda, che a detta di McDonough forse aiuta a spiegare anche il
perché malgrado la Gestapo sia
stata definita nel primo processo di Norimberga come «un’organizzazione criminale» al pari
delle SS, dopo il 1945 «vennero
reintegrati in occupazioni del
servizio pubblico circa il 50% degli ex agenti della polizia segreta» e anche coloro che «non trovarono una nuova occupazione
non ebbero difficoltà a farsi assegnare una pensione generosa».
ARCHEOLOGIA
Ad Aquileia,
memoria
necessaria
Valentina Porcheddu
M
ercoledì 22 giugno
è stata presentata
a Roma, presso il
Salone del ministro del Mibact al Collegio Romano,
l’attesa mostra Leoni e Tori
dall’antica Persia ad Aquileia. La rassegna – la cui inaugurazione è fissata per domani – s’inscrive nel progetto Archeologia ferita promosso dalla Fondazione
Aquileia, che tra dicembre
2015 e febbraio 2016 ha già
portato al museo archeologico della città friulana alcuni capolavori del Museo Nazionale del Bardo di Tunisi.
Se in quest’ultimo caso
lo scopo era di offrire un approdo di pace a un’istituzione culturale colpita nel marzo 2015 dalla violenza del
terrorismo islamico, la seconda tappa del percorso
amplia lo sguardo.
Le «ferite» che la Fondazione Aquileia si propone
di narrare in collaborazione
con il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia e col sostegno della Camera di Commercio di Udine e della Fondazione Bracco appartengono a un lontano tempo di
guerre e saccheggi, che ha
ancor oggi un messaggio da
consegnarci.
A ben riflettere, infatti,
gran parte del patrimonio
archeologico del mondo
conserva tracce di devastazioni e della volontà di cancellare l’identità del nemico
o del diverso da sé.
L’esposizione, visitabile
fino al 30 settembre al Museo Archeologico di Aquileia diretto da Marta Novello,
è dedicata all’arte achemenide e sasanide, con pregevoli manufatti provenienti
dai musei archeologici di
Tehran e Persepoli.
Aquileia, che fu uno dei
più grandi e floridi centri
politici, amministrativi e
commerciali dell’Impero romano, resistette alle incursioni di Alarico ma l’8 luglio
del 452 d.C. dovette cedere
alla furia di Attila. Persepoli
era invece uno splendente
agglomerato urbano quando Alessandro Magno, nel
330 a.C., arrivò davanti alle
sue mura. Tre mesi dopo,
un incendio – ordinato o
causato dallo stesso condottiero macedone – distrusse
la più maestosa città che
l’uomo avesse costruito:
crollarono i muri e le colonne; le lamine d’oro che ricoprivano le statue e il trono
si fusero e di Persepoli restarono solo le rovine che tuttora si ergono a cinquanta
chilometri dall’attuale città
di Shiraz. A quasi ottocento
anni di distanza, la memoria di due «metropoli» annientate si ricongiunge idealmente nella mostra Leoni
e Tori dall’antica Persia ad
Aquileia.
L’iniziativa aspira, inoltre, ad accompagnare il rilancio del dialogo e la ripresa d’interesse nei confronti
della Repubblica Islamica
dell’Iran, attraente partner
culturale e, in potenza, politico ed economico.
A patto che la bellezza
possa esprimersi pienamente nella sua forma originaria e pura, nel rispetto
dell’arte ma anche dei diritti umani.
pagina 12
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
VISIONI
Festival • Cinema Ritrovato, da sabato a Bologna, festeggia i trent’anni. Un cartellone
che intreccia i restauri della Russia pre-rivoluzionaria, Marlon Brando e il muto italiano
«BROADWAY» DI P.FEJOS, A SINISTRA «LA
PROMESSA» DEI DARDENNE, A DESTRA
MARLON BRANDO. IN BASSO «SEGRETI DI
FAMIGLIA» DI J.TRIER
Giuliana Muscio
BOLOGNA
S
e non fosse stato per il fascismo e i
pregiudizi legati alla Questione meridionale e all’emigrazione, forse oggi
Paul Porcasi sarebbe se non una star, un attore famoso. Questo ci rivela il suo film
d’esordio, il fantasmagorico art deco
Broadway di Paul Fejos, una delle tante rarità nella trentesima edizione di Cinema Ritrovato. Tratto da un popolarissimo musical che il siciliano Porcasi aveva interpretato con successo a Broadway, capostipite
del genere gangster ma con un intreccio
musicale, Broadway elabora il primo collegamento tra contrabbando di alcol e intrattenimento, tra mondo dello spettacolo e
criminalità - un’associazione che non deve farsi però pregiudizio automatico.
In Broadway Porcasi interpreta Nick Verdis, il proprietario del Paradise Club in cui
sognano di diventare star i protagonisti del
film; e il type-casting hollywoodiano lo vedrà spesso nel ruolo dell’impresario, come
nella memorabile interpretazione di Apolinaris nel musical cult di Busby Berkeley,
Footlight Parade. Ma neppure l’accurato
catalogo del festival cita Porcasi nella filmografia di Broadway; non per negligenza,
ma perché questa generazione di attori
meridionali emigrati è stata marginalizzata dal pregiudizio antitaliano negli Usa e
non è mai stata «reclamata» come italiana
dal regime, cancellando così l’intera gloriosa storia dello spettacolo italiano nei media americani prima degli anni Settanta.
Una storia che riguarda anche Francis
Coppola (il nonno materno, Francesco
Pennino, componeva sceneggiate italoamericane), presente al festival non solo
con copie restaurate di Apocalypse Now e
Il Padrino nella sezione dedicata a Marlon
Brando, ma anche col documentario The
Family Whistle di Michele Russo sulla stirpe Coppola vista da Bernalda in Lucania, il
paesello natio. A proposito di Brando, da
non perdere Un tram che si chiama Desiderio in originale, per apprezzare la sua voce
stridula e particolarissima quando grida
«Stella!!!» in canottiera, o l’eccentrico we-
IL PROGRAMMA
La storia nascosta
degli italoamericani
Gli attori meridionali emigrati negli Usa sono stati cancellati
Come è accaduto a Paul Porcasi, protagonista di «Broadway»
stern con scenari marini da lui diretto, I
due volti della vendetta.
Insomma un gioco di scatole cinesi tra
sezioni di un programma fittissimo, che
propone più di quattrocento film in otto
giorni, il 60% dei quali in pellicola: dai fratelli Lumière (con una mostra fotografica a
documentarne la preveggenza tecnologico-figurativa) e la riproposta della «prima
serata» di proiezione al Boulevard des Capucines, a restauri e ritrovamenti, da Cuba
a Taipei al Giappone a colori, dalla Russia
pre-rivoluzionaria con i capolavori di
Bauer e Protazanov, al cinema italiano muto ritrovato del 1916 che include Il figlio
della guerra, scritto dall’attrice Bianca Virginia Camagni (anche regista ma di film fi-
nora perduti) ai film di Marie Epstein. Le
donne infatti hanno una loro visibilità,
con una nicchia per la sceneggiatrice Anita Loos, che oltre a scrivere le didascalie
del mitico Intolerance dopo essersi studiata quelle di D’Annunzio per Cabiria, come
ha raccontato in una serie di articoli su
«Photoplay» sfoga la sua ironia nel MontyPythonesco Leaping Fish con un Douglas Fairbanks detective strafatto di cocaina, o scrive l’antirazzista The Half-Breed e
The Social Secretary, che tratta di molestie
sessuali. Tra l’altro Loos è l’autrice dello
sperimentalissimo romanzo Gli uomini
preferiscono le bionde (1925) in cui inventa
la goldigger svagata Lorelei, resa famosa in
seguito da Marilyn, e prende in giro Freud.
Non mancano i documentari come quelli di Robert Drew sui Kennedy, versione
americana del cinema veritè, basata su
un’osservazione partecipata degli eventi,
senza commento fuori campo, in cui i personaggi (qui JFK) agiscono nella quotidianità, mentre la macchina da presa ne spia
le azioni, durante la campagna per le primarie, nello Studio Ovale o al Ministero di
Giustizia quando Bob Kennedy seguiva la
crisi razziale in Alabama,.
Tante proposte per stuzzicare l’appetito
dei cinefili e di un pubblico vero che la cineteca sta cercando di (ri)costruire non solo con le proiezioni in Piazza grande e lo
spazio bambini, ma anche con un evento
educativo per gli esercenti europei.
Su schermi la pellicola
con Keaton e Astaire
500 film in 8 giorni attraverso tutti i
continenti. Così Cinema Ritrovato (25
giugno-2 luglio) festeggia i suoi 30
anni. Per l’apertura, sabato, in Piazza
maggiore, proiezione di «Tempi moderni» di Charlie Chaplin, nel restauro della Cineteca di Bologna accompagnato
dal vivo dall’Orchestra del Teatro Comunale della città. Mercoledì 29 giugno
verranno presentati i nuovi restauri di
due film di Buster Keaton, «The High
Sign»(Tiro a segno) e «Cops» (Poliziotti). Un altro grande protagonista
dell’epoca muta tornerà a vivere grazie
all’impegno della Cineteca di Bologna
e del suo laboratorio L’Immagine Ritrovata; la sua intera opera sarà al centro
di un pluriennale progetto di restauro.
Omaggio a Marlon Brando col restauro
del suo leggendario unico
film da regista, il western «One-Eyed
Jacks» (domenica 26 giugno, ore
21.45, Piazza Maggiore), il documentario «Listen to me Marlon» e i ricordi di
Bernardo Bertolucci.
E poi, sempre in pellicola, «Riflessi in
un occhio d’oro» di John Huston con
Marlon Brando e Liz Taylor
le copie dalla collezione personale di
Martin Scorsese di «Singin’ in the
Rain» di Stanley Donen
e Gene Kelly e «The Band Wagon –
Spettacolo di varietà» di Vincente Minnelli con Fred Astaire e
Cyd Charisse.
www.festival.ilcinemaritrovato.it
IN SALA · «Segreti di famiglia» di Joachim Trier, tra adolescenza, crisi maschili e ossessione materna
Il negativo nascosto di una fotografia famigliare
Cristina Piccino
L
ouder than Bombs , Più forte
delle bombe, era il titolo originale del film di Joachim
Trier (presentato lo scorso anno
in concorso a Cannes) che in Italia
arriva come Segreti di famiglia,
suggestione assai più rivelatoria di
ciò che Joachim Trier, al suo terzo
lungometraggio, racconta. Difatti
anche se il personaggio intorno al
quale ruotano tutte le storie dei
protagonisti, Isabelle Huppert, è
una fotografa di guerra, i reportage che l’hanno resa celebre nel
mondo così come il suo rapporto
con le immagini rimangono, a parte qualche accenno, nel fuoricampo. Cosa c’è dentro è invece la condizione sentimentale di chi le è stato accanto, il marito (Gabriel Byrne) e i due figli, uno ormai cresciu-
to e da poco padre (Jessie Eisenberg), rampante accademico di
giovane età, l’altro adolescente
burrascoso che vive nella realtà parallela dei videogiochi, balla da solo sulle note di vecchi pezzi dance, scrive del mondo intorno a sé
con l’ispirazione di un Ginsberg
adolescente.
Lei, madre adorata e moglie
conflittuale nel frattempo è scomparsa, morta non «eroicamente»
(sembra quasi che se ne dispiacciano) sul campo ma in un banale
incidente d’auto vicino a casa, un
lutto che i tre uomini hanno cercato di «elaborare» ciascuno per sé,
in solitudine come accade spesso
nelle famiglie. Ma una mostra dedicata al suo lavoro li costringe a
riaprire le scatole che la donna ha
lasciato dietro di sé nella sua camera oscura, e a cercare tra i nega-
tivi i «segreti» coperti sulla sua
morte e nelle loro vite.
Anche se tra padri e figli c’è molto più in comune di quanto pensino, una certa propensione all’ipocrisia emotiva, per esempio, e
l’idea, che sembra fortemente appartenere al regista che in fondo
la madre, figura in assenza anche
quando era in vita, sia un po’ la responsabile delle loro sventure. Il
padre che non riesce a vivere
un’altra storia d’amore, il figlio
maggiore che ha appena avuto
una bambina ma pensa solo a
scappare via, finendo a letto con
la ex dopo avere «condannato»
per intenerirla la moglie al cancro.
Forse il piccolo considerato «eccentrico» è quello che sfugge allo
schema, pure se ingabbiato narrativamente in quello dell’adolescente rabbioso di cui deve ricalca-
re ogni turbamento.
Segreti di famiglia è anche il primo film di Trier girato in inglese,
negli Stati uniti, e con attori molto
noti. L’America che il regista norvegese sceglie è quella di una «periferia» benestante di adolescenti
sbronzi alle feste, riti crudeli del
college, casette con prato e bandiera in giardino in fondo ben sintonizzati a quel nodo di silenzi, rancori, bugie che stringe i tre protagonisti dai quali la madre cercava
la fuga. O forse semplicemente si
costringeva all’inadeguatezza. La
vediamo remota, enigmatica, nei
frammenti dei ricordi dei tre, forse è ancora il più giovane che arriva più vicino alle cose, lui che la disegnava svolazzante nel deserto
dopo un attentato che l’aveva quasi uccisa. Trier nonostante la caratterizzazione della figura di Hup-
pert - che si chiama anche nel film
Isabelle - rifiuta l’idea di un film «a
tema», che ragioni sulla sua professione, dunque il giornalismo, l’informazione e il suo rapporto con
le immagini, con quanto documenta oggi, in anni embedded». E
nemmeno cerca di entrare nel disorientamento personale, nella
confusione del contemporaneo.
La fotografa e la sua solitudine si
confondono con la figura mater-
na, i disagi adolescenziali, la paura di crescere, la nevrosi maschile.
Tutto però scivola in un flusso, nelle immagini fin troppo eleganti,
da sfiorare l’accademismo, che
procedono per accumulo e non
conoscono sorprese né tantomeno permettono l’irruzione di una
qualsiasi stravaganza. La fatica di
vivere somiglia a un catalogo di
narrativo, e la bomba così forte
non esplode mai.
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
VISIONI
SARAH JESSICA PARKER
Da «Sex and the City» a «Divorce». Ritorno su piccolo schermo per
Sara Jessica Parker, ovvero Carrie Bradshaw sposata e felice nel
finale della celebre serie mentre nel nuovo progetto tv, è alle prese
con le conseguenze di una separazione. «Divorce» - dieci episodi da
trenta minuti l’uno - è una nuova comedy targata Hbo in onda dal
prossimo novembre. La storia è quella di Frances (Sarah Jessica
Parker) e del suo matrimonio in crisi: la donna decide di dare un
taglio netto e chiede al marito Robert (interpretato da Thomas Haden
Church) di aiutarla in questo percorso di rinascita. Come?
CASO «STAIRWAY TO HEAVEN»
Presunto plagio,
il tribunale decide
LOUIS MOHOLO/FOTO LUIGI TAZZARI
RAVENNA FESTIVAL · Il batterista sudafricano fra i protagonisti della rassegna
«Mandela Trilogy», la libertà
è un assolo di Louis Moholo
Marcello Lorrai
RAVENNA
C
ome sua abitudine Louis Moholo suona con in testa uno dei
suoi tanti cappelli: ma poi ad
un certo punto Alexander Hawkins al
piano accenna qualche nota di una
melodia, e il batterista sudafricano discretamente si scopre la testa e appoggia il cappello sulla sedia che ha accanto, mentre prende forma Nkosi Sikelel’iAfrika. L’inno nazionale sudafricano in questo giugno il pubblico del Ravenna Festival ha avuto occasione di
ascoltarlo più volte: al Teatro Rasi, oltre che martedì nell’esibizione di
Nello spettacolo
il leader è interpretato
da tre cantanti diversi,
scelti per rappresentare
varie fasi della sua vita
Moholo con i suoi 5Blokes, anche lunedì nel For Mandela della MinAfric
Orchestra con guest Moholo e Keith
e Julie Tippett, e prima ancora due
settimane fa al Teatro Alighieri nelle quattro rappresentazioni di Mandela Trilogy, il musical allestito nel
2010 dalla Cape Town Opera, con la
regia e il libretto di Michael Williams e la musica di Peter Louis van
Dijk e Mike Campbell.
Trilogy perché il leader sudafricano
è impersonato da tre cantanti diversi
per rappresentare le varie fasi della
sua vita; pur non senza ingenuità, musicali, di testo e di interpretazione, un
lavoro interessante, perché si arrischia
a confrontarsi con una imponente figura contemporanea, e nel 2010 ancora vivente, ricollegandosi alla grande
tradizione sudafricana del musical
(fra anni cinquanta e sessanta popolarissimo fra le masse nere), e mostra il
protagonista anche nelle sue debolezze di «santo e peccatore», come
ebbe ad autodefinirsi Mandela: in
una canzone in cui parlano del loro
amato, si ritrovano assieme in scena
la prima moglie e le due donne con
cui Nelson intrattiene contemporaneamente relazioni extraconiugali:
la star della canzone Dolly Rathebe,
e la futura moglie Winnie.
Un’opera di cui in Sudafrica si è parlato molto, e che in una edizione dedicata al tema della libertà il Ravenna Festival ha fatto benissimo ad inserire
all’interno di un focus sul Sudafrica,
completato da esibizioni dei Ladysmith Black Mambazo e di Hugh Maseke-
la. Il Nkosi Sikelel’iAfrika dei 5 Blokes
di Moholo è tutt’altro che un momento retorico: nella resa c’è persino qualcosa alla Ayler, lo spirito delle marcette care al visionario sassofonista del
free jazz. E poi Nkosi Sikelel’iAfrika è
della stessa pasta dei temi del repertorio di Moholo - suoi o composti dai
compagni con cui nei ’60 condivise la
scelta dell’esilio in Europa per sfuggire all’apartheid - in cui la componente melodica è forte, e spesso l’andamento è quello di un inno: paese in
cui il canto e gli inni sono molto importanti, una tradizione radicata ancora adesso fra la gente, anche i più
giovani, non bisogna dimenticare
che il Sudafrica ha resistito, lottato e
vinto cantando, e dell’importanza politica del canto parla anche Mandela
nella sua autobiografia.
Così è del tutto naturale che l’epicità e il lirismo, l’enfasi sulle melodie, la
propensione innodica, ad un certo
punto portino il gruppo appunto ad
abbandonarsi al canto. La successione dei brani, che si inanellano senza
soluzione di continuità, nasce spontaneamente, sul palco, in una dimensione che ha dell’onirico, del flusso coscienziale, della transe, in cui le melodie sono come dei condensati emotivi
che sprigionano forza e libertà. Per
suonare così, senza rete, senza pause,
e reggere per tutto un set senza banali-
–
Nel 1967 usciva nelle librerie giapponesi «Toki wo kakeru shojo», ovvero
«La ragazza che saltava nel tempo»,
un romanzo di Yasutaka Tsutsui, scrittore di fantascienza giapponese fra i
più popolari e letti, basti pensare
che «Paprika», un altro suo romanzo
del 1993 fu trasposto in un pregevolissimo lungometraggio animato dal
compianto Satoshi Kon.
«La ragazza che saltava nel tempo» è
a tutt’oggi una delle storie più conosciute nell’arcipelago giapponese,
fama dovuta alle numerose trasposizioni avute, serie televisive, live-action ma soprattutto al lungometraggio animato del 2006 diretto da Mamoru Hosoda.
Sono passati quindi dieci anni dal
lavoro che ha rivelato al pubblico
giapponese e a quello internazionale
il talento di Hosoda, regista che aveva in verità già diretto alcuni lungometraggi della serie «Digimon» ed
uno dedicato a «One Piece» negli
anni precedenti e che era stato scel-
tà ci vuole affiatamento e carattere.
Hawkins è sempre elegantissimo, sempre con le idee chiare sulla situazione
e su dove andare a parare, John Edwards è un contrabbassista poderoso e
creativo, le personalità del giovane
Shabaka Hutchings, sax tenore con
cui i 4 Blokes lo scorso anno sono diventati 5, e di Jason Yarde, sax alto e
soprano, si integrano e si completano, e poi c’è l’impagabile drumming
inquieto, che spariglia, di Moholo,
che non liscia il pelo al ritmo nemmeno su Nkosi Sikelel’iAfrika, prima di rimettere il cappello.
Ascoltati con i 5 Blokes, alcuni meravigliosi temi del repertorio dei Blue
Notes di cui Moholo è l’unico sopravvissuto - due per tutti: B My Dear di
Dudu Pukwana e You Ain’t Gonna
Know Me di Mongezi Feza – facevano
parte anche dell’assortimento di brani
di «For Mandela» (progetto concepito
nel 2014 per il Talos Festival), assieme
a materiali di Pino Minafra, inventore
della MinAfric, come il bel Canto General su testo di Neruda, e di Keith Tippett: grande slancio e pathos esecutivo, e un riuscito amalgama di materiali, con la MinAfric che fa correre il pensiero a tante grandi esperienze: la britannica Dedication Orchestra votata
al repertorio dei Blue Notes, la Liberation Music Orchestra, l’Italian Instabile Orchestra, il jazz inglese anni ’70.
Tocca ora al tribunale stabilire
se il celebre brano della disciolta band inglese, «Stairway
to Heaven», è frutto di un plagio oppure no. Dopo circa una
settimane di dibattiti al tribunale di Los Angeles, che ha
visto i Led Zeppelin accusati
dagli Spirit di avere copiato gli
arpeggi iniziali della canzone
del '71 dal loro brano «Taurus» del '68, la parola passa
al giudice che dovrà emettere
il verdetto. La band inglese è
stata trascinata in un processo civile dal chitarrista degli
Spirit, Randy Wolfe, che chiede 40 milioni di dollari di risarcimento, nonché di essere riconosciuto come coautore di
«Stairway to Heaven», entrando così tra i beneficiari delle
royalties future del brano. Per
la difesa di Plant & soci, l'avvocato Peter Anderson, le somiglianze tra le due canzoni
«sono abbastanza comuni» e
anche la sequenza di di note,
è «assolutamente comune e si
si ritrova in diversi brani». E in
ogni caso, ha ricordato il legale degli Zeppelin, «gli eredi di
Wolfe non sono proprietari dei
diritti di «Taurus» perché il chitarrista degli Spirit li ha ceduti
alcuni decenni fa».
SKY ARTE
Serata omaggio
a Natalia Ginzburg
In prima visione televisiva,
questa sera alle 20.30 Sky
Arte HD (canale 120 e 400
di Sky), manda in onda il
documentario dal titolo «Natalia Ginzburg - Storia di una
voce», ovvero la cronaca di
tre serate (tutte sold out)
all’auditorium del grattacielo
costruito dal celebre architetto Renzo Piano, nella città di
Torino dedicate alla celebre
scrittrice. Toni Servillo, Anna
Bonaiuto e Lella Costa: hanno ricordato la Ginzburg attraverso la lettura di brani
dalle sue opere più note:
Toni Servillo ha letto brani
tratti da «Le piccole virtù»,
Anna Bonaiuto ha proposto
parti da «Lessico famigliare», mentre la lettura con
Lella Costa è stata dedicata
alle commedie «Ti ho sposato per allegria» e «La parrucca». A introdurre l’appuntamento il critico Domenico
Scarpa, curatore dell’opera
omnia della Ginzburg per
Einaudi.
Concedendole il divorzio. Nel trailer proposto sulla rete Usa, la
vediamo scambiarsi insulti con il marito. «È la cosa migliore che ci è
successa negli ultimi anni - commenta Frances/Parker...
Autore della serie Sharon Horgan, produttori esecutivi Horgan, la
stessa Parker, Paul Simms, Alison Benson e Aaron Kaplan.
RAI · Presentati in cda i nuovi palinsesti
Chiusura per Ballarò,
Santoro verso Raidue
S.Cr.
A
ddio talk show, e tanti (troppi?) ritorni in
casa Rai. Si parla di
Santoro, che potrebbe riapparire su Raidue nella prossima stagione in una docu-fiction, mentre si infittiscono i rumour sulla composizione dei palinsesti
Rai che verranno presentati ufficialmente il 28 giugno a Milano e che ieri sono arrivati al vaglio del
consiglio di amministrazione Rai. Novità annunciate
ufficialmente in commissione di vigilanza Rai dal
direttore di Raitre Daria Bignardi: la più clamorosa ma in realtà attesa - chiusura di Ballarò dopo quattordici stagioni e la sua
contemporanea «rinascita» sotto forma di un nuovo format politico affidato
all’anchor man di Sky
Tg24 Gianluca Semprini al
posto di Massimo Giannini (che non verrebbe epurato ma passerebbe ad altro incarico, si parla di un
programma di grandi interviste di otto puntate).
Un talk - secondo le intenzioni del neo direttore:
«completamente nuovo,
dalla durata ridotta -non
più di 100 minuti», con meno ospiti e più ritmo.
Fabio Fazio alla conduzione da ottobre del rinato
Rischiatutto, limiterà - ma
solo fino a dicembre - Che
tempo che fa alla sola domenica, allargando la durata a tre ore. L’invasione in
«seconda serata» di Fazio
& co. fa slittare Report e Milena Gabanelli al lunedì.
Più spazio per Zoro alias
Daniele Bianchi e il suo Gazebo - lo dimostra anche la
scelta dello speciale andato in onda lunedi scorso
per il dopo-voto - per Alberto Angela e Concita De
Gregorio. Confermato anche il ritorno di Gad Lerner con Islam, Italia.
Fin qui le certezze per Raitre
che deve recuperare ascolti
deficitari - -4% dal 2012 ad
oggi - a fronte di un pubblico ormai over 60. Poi le voci,
come il rientro che si profila
clamoroso dopo cinque anni di «separazione» di Michele Santoro. Stavolta
Maboroshi
L’arcipelago di Mamoru Hosoda
Matteo Boscarol
to come uno dei possibili nuovi autori dello Studio Ghibli.
Nei primi anni novanta infatti lo studio fondato da Miyazaki, Takahata e
Suzuki lo aveva individuato come
possibile regista di «Il castello errante di Howl», ma Hosoda fu costretto
a lasciare durante le prime fasi della
produzione in quanto lo studio non
lo riteneva adatto per il tipo di lungometraggio che i boss Ghibli avevano
in mente.
«La ragazza che saltava nel tempo»
allora rappresenta per la carriera del
giapponese una sorta di rinascita e
di distacco dai «padri» dopo la cocente delusione con Ghibli. Ma allo
stesso tempo permette al regista di
trovare una sua originale poetica e
forma espressiva che lo accompagnerà nei suoi lavori successivi che tanto lo hanno fatto conoscere e apprez-
zare sia in patria che all’estero.
«Summer Wars, Wolf Children – Ame
e Yuki» e l’ultimo «The Boy and the
Beast» sono probabilmente, assieme
ai lavori Ghibli e quelli di Shinkai
Makoto, i lungometraggi animati più
pagina 13
riusciti di questi ultimi dieci anni
nell’arcipelago, naturalmente non
vanno dimenticati i lavori di Oshii
Mamoru che però sembra aver deciso di abbandonare il genere animato
per concentrarsi esclusivamente sui
live-action.
«La ragazza che saltava nel tempo» è
allora un film importante, per lo stesso Hosoda come abbiamo visto, ma
ancor di più, ne siamo convinti, per
la storia dell’animazione nipponica.
A riprova di questo e anche come
celebrazione della storia originale di
Tsutsui, storia che avrà dal prossimo
mese sul piccolo schermo dell’arcipelago un nuovo ed ennesimo telefilm,
sarà inaugurata nella capitale giapponese sempre nel mese di luglio
una mostra che celebrerà il decennale del film. Preceduta da una proiezione speciale del film all’aperto alla
MICHELE SANTORO/FOTO LAPRESSE
niente piazze o arene, bensì
una serie di docu-fiction realizzate dalla sua casa di
produzione per Raidue. E
sempre il secondo canale
«recupererebbe» Giuliano
Ferrara - stavolta non in video ma come autore di un
programma affidato a Pierangelo Buttafuoco, contattato dalla direttrice del secondo canale, Ilaria Dallatana. Il lifting di Raidue a ba
se di «meno politica, più informazione», prevede dopo
l’eliminazione di Virus e il
benservito a Nicola Porro
(consolatosi subito con la
conduzione di Matrix su
Canale 5) l’avvento di un
nuovo format scritto da
Alessandro Fortino (il direttore creativo di Tv2000,
ma tutti lo ricordano come
inviato per otto anni delle
Iene) dal titolo Nemo, a base di storie «importanti»
dall’Italia e dal mondo.
Nel cda questa nuova infornata di «esterni» non viene digerita da molti membri che si dicono pronti a votare contro i nuovi protagonisti. L’Usigrai in una nota
afferma:
«Apprendiamo
con stupore e sconcerto le
indiscrezioni sui nuovi palinsesti che trapelano dai
giornali e che sembrano ancora una volta rispondere a
logiche ben precise: mortificazione dei professionisti
interni, strapotere di agenti
esterni. E la trasformazione
dov’è? La chiediamo da tempo, la pretendiamo oggi perché in gioco più che mai c’è
il futuro dell’informazione
di Servizio Pubblico, di
quest’azienda e delle sue
professionalità».
–
presenza dello stesso Hosoda, la mostra sarà aperta dal 12 al 31 luglio
nel prestigioso Museo nazionale di
Tokyo.
Ma le celebrazioni dedicate al decennale del film e all’opera di Hosoda in
generale non finiscono qui, sempre
in luglio, esattamente dal 7 e per la
durata di un mese, sarà aperto nella
zona di Shibuya un locale denominato Tokikake Cafe, dove sarà possibile
consumare piatti ispirati ai lungometraggi diretti dal giapponese. Se sono gli eventi collaterali e apparentemente effimeri quelli che ci dicono
della popolarità di un autore giapponese in patria e della capacità di penetrazione nell’immaginario e nel
mediascape del paese, allora Hosoda sta entrando in questa ristretta
cerchia ed è un processo meritato,
visto che nell’ambito dell’animazione
resta uno dei migliori ed più originali
artisti che il Sol Levante sia in grado
di presentare ed offrire al pubblico.
[email protected]
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
COMMUNITY
–
–
A CURA DEL COMITATO DEL NO
AL REFERENDUM COSTITUZIONALE
CALABRIA
Vietato vietare
C
apita (capita?) che un sindaco, quello di
Agliana (Pistoia), decida di non concedere l’occupazione di suolo pubblico
per la raccolta delle firme per i referendum riforma costituzionale-Italicum, con l’incredibile motivazione che si tratta di una «iniziativa
politica di parte tendenzialmente divisiva». È
un grave episodio di boicottaggio «frutto del
pesante clima di intolleranza politica che si è
creato intorno ai referendum istituzionali», denuncia il Comitato per il No. Boicottaggio che
avviene, per di più, mentre la raccolta delle firme è diventato un percorso ad ostacoli visto
che il governo non ha voluto aderire alla richiesta di un decreto legge per semplificare alcune
procedure, dando per esempio la possibilità di
utilizzare la posta elettronica certificata sia per
l’invio e il ritiro dei moduli che per la richiesta
e ritiro dei certificati elettorali; o di permettere
ai comitati stessi di indicare le persone delegate all’autenticazione delle firme sotto la propria responsabilità. «Il divieto del sindaco di
Agliana è un intollerabile oltraggio ai diritti politici dei cittadini italiani». E per questo «la vicenda è già stata sottoposta al Prefetto di Pistoia; i Comitati si riservano di agire nelle sedi giudiziarie opportune per reprimere gli abusi e impedire la ripetizione di comportamenti volti ad
ostacolare l’iniziativa dei cittadini».
Così come è un oltraggio al diritto dei cittadini di essere informati il continuo oscuramento
delle ragioni del No sui mass media, dove prosegue l’occupazione di tutti gli spazi da parte
di Matteo Renzi, nella duplice veste di capo del
governo e segretario del Pd. Anche per contrastare questa conventio ad excludendum e per
sostenere la capillare iniziativa in corso in tutto il paese per raccogliere le firme e far conoscere le ragioni del No, Alessandro Pace, presidente del Comitato per il No, e l’avvocato Andrea Aurelio Di Todaro hanno predisposto un
elenco chiaro e semplice di 20 domande e altrettante risposte volte a convincere elettori ed
elettrici a respingere le deformazioni della nostra Carta e, quindi, a votare No in ottobre. Le
20 domande/risposte sono pubblicate in un
volumetto, edito da Ediesse, che è disponibile
da mercoledì 22 giugno e può essere richiesto
via telefono (0644870283 - 0644870325), via fax
(0644870335) o via email ([email protected]).
Iniziative e banchetti: Mestre: lunedì 27, ore
18, incontro con Massimo Villone, Maria Cristina Paoletti e Silvia Manderino (Centro culturale Santa Maria delle Grazie, via Poerio 32). Mondovì: domani, ore 16, incontro pubblico con
Caputo - Sala conferenze Luigi Scimè (Corso
Statuto 11/D). Genova: domani, ore 17, dibattito con Paolo Luppi, Adriano Sansa, Nicolò Fuccaro, Luca Traversa - Piazza Don Gallo. Besana
Brianza: domenica, ore 11, incontro con Carlo
Smuraglia (festa prov. Anpi) - centro sportivo
(V. De Gasperi). Mantova: lunedì 27, ore 21, incontro con Gianfranco Pasquino e Alessandro
Monicelli - Sala degli Stemmi, Palazzo Soardi.
Cremona: giovedì 30, ore 21, dibattito con Felice Besostri - Sala Emilio Zanoni (v. del Vecchio
Passeggio). Medicina (Bo): lunedì 27, ore 21, incontro con Nadia Urbinati - Sala Auditorium
(V. Pillio 1). Roma: domani, ore 14,30, dibattito
con Sergio Cesaratto, Alfredo d’Attorre, Alfonso Gianni, Antonio Maria Rinaldi, Stefano
Sylos Labini - Città dell’altra Economia (Largo
Dino Frisullo). Genzano (Rm): domani, ore 17,
dibattito con Giuliano Calisti, Fabrizio De Sanctis, Alfonso Gianni, Ugo Mancini, Adriano
Carrieri - Sala ex enoteca comunale (piazza della Repubblica). Potenza: domani, ore 17,30, dibattito con Domenico Fruncillo e Felice Besostri - Sala A, Palazzo consiglio regionale (V. V.
Verrastro 6). Taranto: giovedì 30, ore 20, incontro con Luciano Canfora - Sala di rappresentanza della Provincia (V. Anfiteatro 4).
L’elenco completo su www.iovotono.it e
www.referendumitalicum.it
–
«Ho trovato un altro paio di erroretti di stampa, tra cui uno è solo una
virgola che manca; ma non te la
prendere, perché adesso tutti i libri
e le riviste più reputate formicolano di errori di stampa. Infine, io
personalmente avrei preferito la
distinzione degli accenti acuti e
gravi; tu non la ami: pazienza». Così Leone Ginzburg a Franco Antonicelli in una lettera dell’8 aprile
1943 che Luca Baranelli cita in
«Compagni e maestri», da poco in
libreria per i tipi di Quodlibet.
Al nome di Ginzburg si aggiungono,
a comporre il libro e a giustificarne
il titolo, quelli di Raniero Panzieri,
Sebastiano Timpanaro, Italo Calvino, Renato Solmi, Piergiorgio Bellocchio, Gianni Sofri. Tre anni orsono Baranelli e Francesco Ciafaloni
pubblicarono presso Quodlibet,


Martedì 28 giugno, ore 17.30
DIFENDERE LA COSTITUZIONE Incontro
dibattito su: «Difendere la Costituzione, difendere la Democrazia. Le ragioni del NO al
Referendum». Partecipano Corrado Plastino
Presidente sezione Anpi Reventino, Mario
Vallone, Presidente Provinciale Anpi e Walter
Nocito, Costituzionalista Unical.
 Museo Arte Contadina, p.zza Piazza
Vittoria, Decollatura (Cz)
LAZIO
Venerdì 24 giugno, ore 9
SFIDA AMBIENTALE Si aprono questa
mattina i lavori del convegno: «La Nuova
Geotermia per l’Architettura e la Sfida dei
Cambiamenti Climatici». L’energia geotermica
rappresenta una «risorsa del calore della
terra», ecologica, disponibile e largamente
diffusa nel nostro Paese.
 Casa dell’Architettura, p.zza Manfredo Fanti, 47, Roma
Venerdì 24 giugno
CRACK! Prosegue il festival (23-26 giugno)
Crack! Fumetti dirompenti, XII festival internazionale di arte disegnata e stampata.
 Csoa Forte Prenestino, via F. Delpino, Roma
Venerdì 24 giugno, ore 18
DONNE E SAPERE Verrà presentato il
volume «Libere di sapere. Il diritto delle donne all'istruzione dal Cinquecento al mondo
contemporaneo» di Alessia Lirosi.
 Libreria Odradek di Roma, via dei
Banchi Vecchi, 57, Roma
PIEMONTE
Venerdì 24 giugno
L’ALTRO MONFERRATO AgriTeatro, il
cantiere d’arte e teatro ideato di Tonino
Conte per il Monferrato presenta «L'Altro
Monferrato» festival omaggio alla Bicicletta
(24 giugno-30 luglio). Sotto la direrezione
artistica Maria De Barbieri e Gianni Masella,
prima pedalata in programma oggi nell'Alto
Monferrato (Alessandria). È Jessica Arpin,
ciclista acrobata brasiliana, nello spettacolo:
«Kalabazi». Gli spettacoli proseguono fino al
30 luglio, fra valli, monti e castelli. Info: tel.
010 2471153 o 3409916993, mail [email protected], web www.agriteatro.it
 Vari luoghi, vedi testo
Martedì 28 giugno
FABER TEATER Si intitola «Faber Teater»,
il nuovo studio firmato Teatro della Caduta,
l'ultima produzione di Babilonia Teatri e Il
Prete Giusto di Gamna al festival «La Fabbrica delle Idee» (28-30 giugno). Il festival,
giunto alla XVI edizione e diretto da Marco
Pautasso, ha preso il via domenica 12 giugno e prosegue fino a lunedì 4 luglio con
l'ultimo spettacolo in programma a Carignano (To), «Il Prete Giusto», scritto da Vincenzo
Gamna, cui la rassegna è dedicata.Info:
335.8482321 – 338.3157459 – www.progettocantoregi.it – [email protected]
 Ex ospedale psichiatrico, Racconigi
(Cn)
TOSCANA
Lunedì 27 giugno, ore 21
ATTACCO ALLA COSTITUZIONE Convegno dibattito dal titolo: «L’attacco alle Costituzioni antifasciste e il ruolo del capitale
finanziario». Se ne parla con Marco Bersani,
introduzione teatrale di Gaetano Ventriglia.
Coordina il dibattito Paola Meneganti del
comitato per il no nel referendum modifiche
costituzionali.
 Circolo Arci A. Di Sorcio, via San
Jacopo in Acquaviva, 86, Livorno
Tutti gli appuntamenti:
[email protected]
le lettere
pagina 14
INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU:
www.ilmanifesto.info
[email protected]
Più sinistra non meno
Antonio Floridia su Il
manifesto del 21 giugno
offre interessanti analisi sul
voto, prendendo spunto
dalla vittoria di Sinistra
Italiana a Sesto Fiorentino e
convince quando afferma
che una sinistra vincente
non può nascere solo come
cartello elettorale ma deve
nascere dal basso, cioè
deve nascere da lotte per
obiettivi concreti sui territori
e per i territori (in senso
ampio lato e inclusivo a mio
avviso: terra, uomini,
ambiente, società, migranti,
lavoro, etc.): nobile ma
velleitario era dunque il
tentativo di Fassina a
Roma... Eppure Floridia
conclude il suo articolo con
un invito al dialogo proprio
col Pd (con chi del Pd ci
sta). Ma forse non è chiaro
che una parte (consistente)
del Paese vuole più sinistra
non meno sinistra, vuole
innanzitutto coerenza. Per
me Zedda che da Cagliari fa
un tour a Roma per
Giacchetti ci può stare ma
che esalti le Olimpiadi
proprio no: lottizzazione,
cementificazione, corruzione
questo è il frutto avvelenato
delle grandi opere. E allora:
lotte dal basso per i territori
e coerenza su valori non
negoziabili, lasciamo perdere
i dialoghi (immaginari) con
partiti (immaginari) o
minoranze (immaginarie,
cioè come noi le vogliamo)
che tutt’al più hanno
espresso nostalgie di
Centro-Sinistra (bello anche
l’editoriale di Igor Mineo su
FOTO LAPRESSE
questa ulteriore patologia
della sinistra italica). Finché
così non sarà al M5S
l’elettore frustrato di sinistra
ahimè guarderà.
Pasquale Faraco
Non mi fido dei grillini
Vorrei confidare la mia
sofferenza per il risultato di
queste famigerate elezioni,
super commentate,
utilizzate, discusse e amare
per me, comunista convinta
e attiva dalla mia ormai
lontana gioventù. In tanti mi
chiedono com’è possibile
che ancora possa credere
nel Comunismo, ed io
continuo a rispondere
sempre, «non è il
Comunismo che ha fallito,
ma gli uomini che non sono
stati capaci di metterlo in
pratica». La vittoria dei
5Stelle mi fa inorridire, gente
giovane senza nessuna
esperienza politica che
prende la gestione di due
città come Torino e Roma.
Purtroppo hanno vinto grazie
ai voti della destra, della
Lega ed altri inciuci.
Personalmente non ho mai
creduto che Grillo sia un
uomo politico, ma un
comico-attore, alla ricerca di
nuovi spazi per esibirsi,
dimostrato dal suo arrivo in
Sicilia a nuoto sullo Stretto,
le sue urla, e anche dalla
protesta dentro una Banca,
per lamentarsi del
trattamento dei suoi
risparmi. Invece io (e tanti
altri) avrei voluto vederlo
nelle marce di protesta con
gli insegnati, con gli operai
della Fiat, con i pensionati,
ecc. Adesso sono al potere,
ma quelli che l’hanno fatto
salire sul carro dei vincitori li
faranno anche cadere prima
del tempo previsto.
Purtroppo la Rivoluzione
armata non è più possibile e
le elezioni la vincono quelli
che hanno il potere della
comunicazione, mentre i
poveri continuano a
scendere scalini verso alla
disperazione.
Inés Kainer Palermo
Alternativi al Pd
Volevo anche io fare una
piccola analisi del voto di
queste amministrative. Un
risultato netto ci è stato lo
sconfitto di questa tornata di
voto è stato il Pd con il suo
segretario Renzi in testa. Ora
parliamo della nostra cara
Sinistra, dove per la verità i
risultati non sono stati
soddisfacenti, in città
importanti come Milano e
Roma i candidati sindaci
sono andati con le loro
coalizioni sono andati male
ci si aspettava risultati
migliori. La città dove si è
consolidato il voto e ora è
più forte anche di 5 anni fa
è stata Napoli dove il
Sindaco De Magistris ha
vinto nettamente anche se al
secondo turno e con una
affluenza molto bassa con
circa il 37% che si è recato
alle urne, questo si è
verificato sia al primo e al
secondo turno in tutte le
città dove si è recato alle
urne in media intorno al
50%. Un dato quello
dell’astensione al voto che a
me personalmente
preoccupa molto, i cittadini
non hanno più fiducia nella
politica e per me questo è
pericoloso, i partiti sono il
sale della Democrazia in
questo paese e vedere
questa sfiducia che
aumenta ogni anno mi fa
male. Io faccio militanza
politica da tanti anni e
credo in quello che faccio e
credo che una buona
politica può risolvere i
problemi che tanta gente ha.
Bisogna essere alternativi al
Pd, abbiamo idee diverse
come governare le città e il
paese. L’unica eccezione è
Cagliari con Zedda. La
Sinistra deve tornare ad
essere protagonista in
questo paese e penso che
ancora possa farlo,
incominciando dai
referendum sociali dove si
stanno raccogliedo le firme e
dal referendum sulla riforma
Costituzionale che ad
Ottobre i cittadini sono
chiamati per approvare o no.
Questa riforma legata con
l’Italicum è pericolosa, non
ci sarà contrappeso e il
premio di maggioranza che
c’è può portare a Governare
il paese una minoranza del
paese, questo è
incostituzionale
(naturalmente io voterò NO
alla riforma). Non perdiamo
d’animo facciamo in modo
che la Sinistra torni
protagonista nel paese,
facciamo in modo che i
cittadini tornino a votare.
Davide Nardi Rimini
Dipiazza l’«anticristo»
DIVANO
Luca Baranelli e la civiltà della virgola
Alberto Olivetti
«Una stanza all’Einaudi» dove i due
autori, diretti e partecipi testimoni,
raccontano vicende che, nel corso
di vent’anni, hanno contrassegnato
la storia della casa editrice torinese. Baranelli, redattore alla Einaudi
dal 1962 al 1985, scrive: «Chi ha
lavorato nell’editoria quando essa
era un ‘mestiere’ che aveva una
forte componente artigianale e prevedeva molteplici competenze e
mansioni, ha sicuramente acquisito, fra le altre cose, l’abitudine a
documentarsi nel modo più possibile esatto (anche su argomenti noti
o presunti tali), a usare una prosa
concreta, precisa e stringata, ad
affrontare con rigore e chiarezza
argomenti molto diversi».
Se è possibile misurare la cultura
critica di un paese dalla attenzione
che dedica alla esattezza e precisione della lingua, essa non può
non cercare nella forma libro una
consistenza non provvisoria e trovare, proprio nella sua effettiva realizzazione, una verifica della sua tenuta. Il compito dell’editoria, allora,
afferisce ad una responsabilità, oltre che culturale o di informazione,
eminentemente civile: deve darsi e
rispondere a regole improntate alla
minuziosa cura dei testi imposta,
prima di tutto, dal rispetto dovuto
al lettore. La ‘presenza’ del lettore
e la sua identità esigono che l’editore realizzando il libro, ne assicuri, per dir così, la ‘presenza’, ne garantisca l’‘integrità’. Per questo,
«grande rilievo assume la quotidianità del lavoro redazionale, che come accade per Ginzburg, dice
Baranelli - non è mai routine, neppure nelle ‘minuzie tipografiche’,
ortografiche o d’interpunzione». Ba-
ranelli, appena assunto all’Einaudi,
impara «ad apprezzare questi
aspetti grafici e tipografici. C’era
una grande attenzione per l’impaginazione, per la giustezza della linea e quindi per i margini». Italo
Calvino, a lungo applicato al lavoro
editoriale presso Einaudi, «aveva
contribuito a creare quell’immagine e quell’aura, fatte di rigore intellettuale e di impegno civile, che
avevano portato tanti lettori alla
casa editrice». E Gianni Sofri, riporta Baranelli, testimonia di come
Italo Calvino: «sottoponesse a un
Il neo-sindaco di Trieste
Dipiazza esordisce come
impone il blocco sociale che
lo ha eletto: con affermazioni
e atti contro i poveri e/o gli
emarginati. Titola Il Piccolo
(20.06): «La caccia ai
mendicanti apre il Dipiazza
ter». Questi vuole subito
mostrarsi sindaco-sceriffo e
sfruttare il tema della
sicurezza - tema creato ad
arte, a Trieste e altroveprendendosela da subito
con le fasce più estreme del
disagio, che invece
avrebbero bisogno di
sostegno, e non di essere
prede per la polizia. Persino
i fatti degli ultimi giorni
(l’arresto per spaccio di sei
rifugiati afghani) non
cambiano i dati complessivi:
si tratta di fatti condannabili,
ma isolati in una situazione
complessivamente più che
positiva. Tornando a
Dipiazza: le sue prime mosse
rappresentano un vero
scandalo, profondamente
anticristiano, per giunta (i
cristiani che hanno votato
Dipiazza dovrebbero saperlo,
ma la loro coscienza si è
rinsecchita). Sono toccati i
più deboli, mentre la grande
delinquenza, il grande
spaccio e la corruzione che
governano non vengono mai
toccate, nemmeno qui, e
mai toccati i traffici di
qualsiasi merce. Traffici
addirittura legali, come
quello delle armi, che
vedono partire dal porto
della città giuliana micidiali
ordigni con destinazione
l’Arabia Saudita, Paese in
mano al fanatismo islamista
e impegnato in una guerra
sanguinosa nello Yemen. Per
finire, il segnale di Dipiazza
è chiaro: i 44.000 elettori ed
elettrici che lo hanno votato
(una minoranza di triestini
diventata maggioranza
schiacciante, in Consiglio
comunale, grazie a una
legge elettorale
antidemocratica) si
rassicurino, c’è chi veglia su
di loro. Ma, noi crediamo,
egli agisce contro la città,
contro quell’idea di città
solidale (Ics, Caritas, singole
persone) che esiste e che da
anni si fa carico di affrontare
e risolvere, praticando con
successo l’accoglienza
diffusa, i problemi del
capoluogo relativi ai
fenomeni migratori.
Gianluca Paciucci
–
vaglio minuzioso e implacabile
qualsiasi pezzo (note, cappelli, brevi introduzioni) che gli veniva sottoposto per l’approvazione e la stesura definitiva«. Così «Maestri e compagni», nella forma d’una ideale
conversazione tra sodali che mai si
è interrotta oltre i luoghi e gli anni,
contiene un suo sotteso «fabula
docet» che tutta la trascorre. Baranelli mostra quanto essenziale alla
formazione di una coscienza civile
sia quel libro nel quale, argomenta
Calvino, la parola - «questa cosa
molle informe» - diviene scrittura,
«qualcosa di esatto e di preciso».
Un compito che, continua, «può
essere lo scopo di una vita. Soprattutto quando si vede un deterioramento, quando si vive in una società in cui la parola è sempre più generica, povera».
il manifesto
VENERDÌ 24 GIUGNO 2016
DALLA PRIMA
Simone Oggionni
Non ci sono praterie
ma una via stretta
Il populismo mette alla testa di
una idea mitica e organica di popolo capi carismatici che saltano la
mediazione delle forme moderne della democrazia e della rappresentanza. I congressi non si fanno, i proprietari decidono
vita e morte politica degli aderenti, in una
guerra permanente concepita e armata intorno all’evocazione ossessiva del cambiamento che purifica e redime.
Però non basta: bisogna indagare le cause, senza commettere l’errore di rimanere
a nostra volta imprigionati nel fortino screditato che il populismo assedia. Prodi ha
di nuovo ragione: alla base del populismo
c’è la paura sociale che a sua volta è causata dall’insicurezza economica e dalla crescente diseguaglianza.
Qui hanno origine le faglie che stanno
scuotendo il mondo occidentale. Dopo otto anni di crisi economica, Soros compra
miniere d’oro e cioè scommette sull’esplosione di un nuovo ciclo di turbolenze. Le
diseguaglianze e i tassi di disoccupazione
aumentano, mentre crolla il potere d’acquisto e con esso il concetto stesso di
«classe media».
Così si spiega il consenso plebiscitario
delle periferie alla Lega Nord e soprattutto
al M5S: non soltanto e non tanto per una richiesta di nuova moralità della politica,
ma per il bisogno disperato di affidarsi a
chi promette, nell’insicurezza e nella paura, di voltare pagina.
Rispetto a cosa? Rispetto a una lunga stagione nella quale il centro-sinistra non è
stato argine alle diseguaglianze, ma al contrario fattore decisivo della loro esplosione, attraverso legislazioni che hanno precarizzato il mondo del lavoro, desertificato il
patrimonio industriale e indebolito lo Stato sociale; e attraverso politiche fiscali che
hanno garantito le rendite parassitarie contro il lavoro.
Cos’è tutto questo se non la dimostrazione di quella inarrestabile tendenza all’omologazione delle classi dirigenti della sinistra italiana ed europea (ben prima di Renzi e ben oltre Renzi) che Prodi riconosce?
Il secondo punto che l’intervista solleva
ci riguarda da vicino e ci mette in guardia
rispetto all’illusione che per risalire la china basti rincorrere le semplificazioni, sfornando – senza un sistema di pensiero alle
spalle – allusioni emotive che si adattino
alle paure e al sentire comune. Per battere il populismo e sostituirsi a esso con
una proposta seria e incisiva di trasformazione servono – dice Prodi – progetto e radicamento popolare. Due cose antiche:
un punto di vista autonomo sul mondo
(cioè un’interpretazione della storia e del
presente) e un’organizzazione capillare,
capace di vivere tra le pieghe del territorio, nella sofferenza e nella fatica di settori crescenti di società.
L’identità e, soprattutto, la pratica della
sinistra sono parte integrante di questa impresa. Non è vero – come non a caso dicono tutti i populisti, a partire da Marine Le
Pen in Francia – che destra e sinistra non
esistono più. Esse esisteranno ancora a
lungo, almeno fino a che la radice della diseguaglianza non sarà estirpata dalla nostra vita associata.
Semmai dobbiamo essere consapevoli
di due fatti: che nel nostro Paese «sinistra»
è concetto vituperato dai guasti compiuti
da chi ha sin qui governato; e che a oggi
un’alternativa percepita come utile e vincente esiste già ed è il M5S.
Per questo è falso sostenere che esistano
di fronte a noi praterie. Al contrario, la strada è stretta. È vero invece che, archiviati i
ballottaggi, si apre una fase molto fluida e
aperta a qualsiasi scenario. Guai a noi se rimanessimo nell’angolo, magari nell’ennesimo contenitore pattizio della sinistra radicale, a commentare i risultati altrui o se
dessimo addirittura l’impressione di voler
salire sul carro del vincitore.
È il tempo di giocare a viso aperto la nostra partita. Dobbiamo prepararci a vincere il referendum sulla Costituzione e lì dare la spallata decisiva alla legge elettorale e
al governo. Allo stesso tempo, dobbiamo
sollecitare e raccogliere una discussione
larga che attraversi il Pd e il vasto mondo
democratico e progressista di questo Paese. E mantenere, noi, la lucidità: che vuol
dire rimanere autonomi – culturalmente
prima ancora che politicamente – dalle sirene populiste e da Grillo, Casaleggio, Di
Maio. Dove loro crescono, noi non esistiamo. Se loro crescessero ancora, noi scompariremmo. E se loro tra un anno governassero l'Italia, grazie a Renzi e a una legge
elettorale truffaldina, magari con i voti al
secondo turno di Salvini, sarebbe una pessima notizia. Fare cadere Renzi ed evitare
questo scenario è il compito - decisivo dei prossimi mesi.
COMMUNITY
Ascoltare e parlare
alla società in movimento
Ignazio Masulli
I
risultati elettorali impongono alle forze di sinistra una riflessione critica
non facile e che proseguirà nei prossimi mesi. Da anni si lavora per la costituzione di un nuovo soggetto politico di sinistra capace di colmare il vuoto che separa milioni di persone dai partiti di governo. Un vuoto che si esprime sia in un
astensionismo crescente ad ogni tornata
elettorale sia in un disorientamento nelle
scelte da compiere.
Al fondo v’è un malessere sociale diffuso in ampi strati della popolazione ma
che sembra non trovare sbocco in un progetto di trasformazione sociale e politica
in grado di interpretarlo adeguatamente.
Il fenomeno non riguarda solo l’Italia, ma
anche altri paesi. E per trovare elementi
di spiegazione utili occorre risalire alla fine degli anni ’90 ed alla rottura che allora
si consumò con quel che restava del riformismo e della tradizione socialdemocratica europea.
La frattura si espresse nella "terza via"
teorizzata da Tony Blair, nel "nuovo centro" proposto da Gerhard Schröder, contrassegnò i ripiegamenti dei socialisti
francesi e provocò la crisi del secondo
centro sinistra in Italia.
Nell’ultimo decennio l’ulteriore rafforzamento e concentrazione del sistema di
potere dominante, ha imposto un appiattimento ancor maggiore degli equilibri
politici. I governi di coalizione o di pseudo-alternanza in vari paesi europei hanno accentuato il vuoto di proposte politiche alternative. Si aggiungano le politiche di rigore a senso unico, flessibilità del
lavoro, tagli alle spese sociali predicate
dall’Unione europea e diligentemente
adottate dai governi degli stati membri e
ci si renderà ragione di quella sorta d’ingabbiamento politico dal quale sembra
difficile uscire.
Occorre chiedersi se sia sufficiente che
un raggruppamento politico elabori un
programma di cambiamento, per quanto
articolato e corrispondente a bisogni reali, e lo propagandi diffusamente per far
convergere su di esso un ampio consenso da tradurre in voti e, per questa via,
modificare l’assetto politico. L’esperienza dimostra che programmi del genere
possono risultare inefficaci.
In altri termini, non si può pensare di
svolgere un’azione politica efficace per
via "pedagogica".Quando si è davanti a
vasti strati di popolazione che, già di per
sé passivi, sono sfiduciati e distaccati, gli
appelli all’impegno politico sono destinati a cadere nel vuoto. La strada da percorrere sembra piuttosto quella di far riferimento a quei settori della popolazione
che sono politicamente attivi e in movimento.
Basta ricordare come sono nati i sindacati di massa e i primi partiti socialisti
nell’Europa di fine Ottocento. Da tempo
L’arma pedagogica
è spuntata. Più proficuo
rivolgersi alle centinaia
di associazioni e movimenti
auto-organizzati. Come agli
albori del socialismo europeo
esistevano gruppi socialisti di varie tendenze, ma la loro azione a lungo ebbe un
seguito assai limitato. Però quando masse di operai e contadini, colpiti dai duri effetti della seconda rivoluzione industriale
e dalla più decisa trasformazione capitalistica delle campagne furono costretti ad
auto-organizzarsi per difendersi e resistere, allora e solo allora alcuni gruppi socialisti riuscirono a collegarsi con lavoratrici
e lavoratori che erano già in movimento.
L’insegnamento che viene da quella e
da altre fondamentali tappe della storia
del socialismo in Europa consiste appunto nel fatto che gruppi o "avanguardie"
promotori di mutamenti sociali e politici
hanno raggiunto dimensioni di massa
quando sono riusciti a interpretare bisogni e rivendicazioni espressi da movimenti in essere.
Anche oggi la sinistra europea deve cercare la connessione con soggetti sociali
già attivi. Basta guardarsi intorno. In Italia, come in altri paesi, vi sono centinaia
di associazioni e movimenti auto-organizzati che si battono per vari obiettivi politici e sociali. Si va dalla difesa dei diritti
umani alla salvaguardia dell’ambiente,
dalla lotta contro le discriminazioni di genere a quella contro la precarietà del lavo-
ro, dai movimenti in difesa della scuola
pubblica a quelli contro i tagli alla sanità.
Le numerose lotte per i diritti dei lavoratori non di rado si sono consolidate in organizzazioni durevoli che si affiancano o
competono con l’azione dei sindacati tradizionali. Sempre più numerose e di varia ispirazione sono le associazioni che si
mobilitano in difesa dei diritti degli immigrati e per politiche di accoglienza. Altrettanto significativo è l’impegno di quanti
militano in associazioni pacifiste, per debellare fame e malattie endemiche nei paesi più poveri. O nelle organizzazioni in
difesa dei beni comuni o della stessa Costituzione.
Molte di queste organizzazioni svolgono la loro azione in modo implicitamente o esplicitamente alternativo alla mappa degli interessi, poteri e politiche dominanti. Con tratti d’unione potenziali o in
atto tra i diversi movimenti. Realtà testimoniata anche dal fatto che molte persone militano in più movimenti e organizzazioni di questo tipo. D’altra parte, non c’è
dubbio che le rivendicazioni e gli obiettivi perseguiti attingono a livelli di consapevolezza politica decisamente alti. Né si
può trascurare minimamente il fatto che
molte di queste organizzazioni hanno carattere internazionale o si collegano ad
omologhe attive in altri paesi. E’ a questi
movimenti che occorre guardare. E’ con
essi che si può e si deve cercare la saldatura comprendendone la maieutica e le
nuove forme di espressione politica.
In che modo è avvenuto il coagulo di
movimenti come gli Indignados spagnoli
poi sfociati nella formazione di Podemos? Come è lievitato il movimento di Occupy Wall Street e come si è intrecciato
ad altri fino a costituire la base più attiva
dell’elettorato di Bernie Sanders nelle primarie americane? E da dove nasce la forza insospettata e irriducibile del movimento di protesta contro la Loi Travail in
Francia? Perché nulla di simile si è verificato nel contrastare il Jobs Act italiano,
che pure è decisamente peggiore?
Auto-organizzazione, trasversalità, maieutica dei movimenti ci sembrano elementi da cui non si può prescindere se si
vogliono innescare processi di trasformazione in una società in cui i vincoli sembrano prevalere sulle possibilità.
COMUNISTI ITALIANI
Da oggi a Bologna
rinasce un partito
Per noi, ’il’ partito
Luca Cangemi e Fosco Giannini
D
a oggi al 26 giugno, a Bologna,
si terrà l’assemblea costituente
del Partito comunista italiano.
Come ci si è arrivati? Attraverso un processo di accumulazione di forze che si
è sviluppato nelle organizzazioni nate
dopo la fine del Pci, nel mondo del lavoro, della cultura, dei movimenti di lotta
ed è sfociato nella costituzione dell’ Associazione per la ricostruzione del partito comunista che, dal 2014 in poi, ha
organizzato, su tutto il territorio nazionale, oltre cento iniziative pubbliche,
coinvolgendo 10 mila compagne e
compagni. E adesso è l’ora. Nella costituente si scioglie l’intero PCd’I, confluiscono molti dirigenti e molti militanti
del Prc e migliaia tra quadri operai, intellettuali e compagni/e senza tessera:
la diaspora comunista orfana da molti
e troppi anni di una casa comune.
Al congresso di Bologna ci si arriva attraverso una discussione politica – su
di un documento congressuale - sviluppatasi in tutto il Paese, città per città,
provincia per provincia, discussione
che ha delegato al congresso nazionale
oltre 500 compagne e compagni. A partire dalla vastissima condivisione del
documento, che partito nascerà a Bologna? Un partito comunista che, attraverso il recupero pieno delle categorie
dell’antimperialismo e dell’internazionalismo, concepirà la battaglia contro
le spinte belliche degli Usa e della Nato, contro le spese militari e per la ricostruzione di un movimento di massa
contro le guerre come il suo primo
compito; che avrà come obiettivo - attraverso una lotta radicale contro le politiche liberiste dell’Ue - quello di far
crescere una vasta consapevolezza capace di cogliere il nesso che c’è, a livello continentale, tra la distruzione del
welfare, la compressione di salari e diritti, la disoccupazione, la miseria di
massa e le politiche antioperaie e antidemocratiche dell’Ue; un partito che
punterà a ricollocare al centro lo scontro tra capitale e lavoro, a cominciare
dalla lotta senza quartiere contro il
jobs act; che reputerà centrale la battaglia d’ottobre in difesa della Costituzione e contro il disegno autoritario e liberista del governo Renzi. Un partito che
punterà al rilancio dell’autonomia culturale, politica, organizzativa comunista e- insieme - lavorerà per l’unità delle forze della sinistra; che, di fronte
all’attuale e compiuta mutazione genetica del Pd, ad egemonia renziana, il
partito politico dell’Ue e della Bce in
Italia, porrà come questione cardinale
- nell’assordante silenzio sociale attuale - la ricostruzione di un’opposizione
di classe e di massa come condizione
essenziale per il cambiamento dei rapporti di forza nella società.
Un progetto politico ambizioso perché all’altezza della fase durissima che
stiamo attraversando, una risposta in
grado di indicare una strada diversa rispetto alla decadenza dei giorni nostri.
Un partito che riassumerà il nome e i
simboli del più grande partito comunista al mondo non al potere (il Pci), e lavorerà con la consapevolezza che la
sua ricostruzione potrà avvenire solo a
partire dalla comprensione profonda
del presente e dalla delineazione del futuro. Lottando e studiando, per costruire un futuro grande come una storia.
La nostra.
il manifesto
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