Day after a sorpresa, decide la pioggia
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Day after a sorpresa, decide la pioggia
CON IN MOVIMENTO + EURO 1,00 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ANNO XLVI . N. 151 . VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 EURO 1,50 BREXIT/ OGGI IL VERDETTO Day after a sorpresa, decide la pioggia ROMA Leonardo Clausi LONDRA L a Gran Bretagna dovrebbe rimanere membro dell’Unione Europea? È il dilemma sciolto dai votanti dei 46.499.537 elettori britannici aventi diritto. Mentre scriviamo, è impossibile anche solo prevedere l’esito del day after della Gran Bretagna, il referendum sulla permanenza nell’Ue su cui le due fazioni leave e remain si sono appassionatamente dilaniate per mesi. Al momento le possibilità restano nel bilico di questi ultimi giorni, con remain al 51% contro il 49 del leave. CONTINUA |PAGINA 5 SPAGNA VERSO IL VOTO | PAGINA 6 ULSTER Il «DiazGate» scuote il Pp. Podemos tenta il sorpasso Belfast alle urne con tendenza europeista, ma con il sogno dell’«United Ireland» Lo scandalo dei «dossier falsi» del ministro dell’interno (Pp) infiamma le ultime ore della campagna elettorale. L’attacco di Iglesias ENRICO TERRINONI |PAGINA 5 Nel Pd scoppia la rissa. La ministra Madia chiede le dimissioni del «commissario» romano Orfini, il vicesegretario Guerini la bacchetta, la minoranza di Bersani a conclave. Oggi fuoco incrociato al Nazareno. Renzi farà il pompiere o l’incendiario? Intanto arriva l’avvertimento di Verdini che, in senato, fa mancare i voti al governo PAGINA 4 FOTO ANDREA SABBADINI Raggi nella città Tappe simbolo prima di salire in Campidoglio Il primo giorno della prima sindaca di Roma comincia nella periferia nord. E si conclude in Campidoglio, dopo aver attraversato il luoghi simbolo della memoria cittadina. Lottando con il traffico e senza auto blu, ma con la scorta dei militanti grillini. Poi l’annuncio: per la giunta bisognerà aspettare un paio di settimane. FABOZZI |PAGINA 2 MOVIMENTI De Magistris e Varoufakis: la politica delle «città ribelli» Blitz a Roma del sindaco di Napoli Luigi De Magistris e del portavoce del movimento europeo «Diem 25» Yanis Varoufakis. La prospettiva di una rete di «città, regioni e governi ribelli» contro la Troika. De Magistris alla sindaca di Roma Virginia Raggi (M5S): «Spero in una collaborazione fattiva tra le due città» CICCARELLLI |PAGINA 3 LEGALITÀ A Polistena la marcia dei sindaci contro le mafie La casa brucia SINISTRA E POPULISMO Sotto la paura bruciano le diseguaglianze Simone Oggionni INCHIESTA | PAGINE 8, 9 Le arance amare dei profughi di Mineo, schiavi senza caporali I richiedenti asilo del Cara siciliano impiegati al nero nella raccolta dei tarocchi. La denuncia del dossier Filiera sporca, presentato alla Camera N el mare "politicista" in cui affoga la gran parte dei commenti di questi giorni, le parole di Romano Prodi, nell’intervista a Repubblica, offrono Alcune considerazioni politiche su cui riflettere e con cui aprire una seria interlocuzione. La prima questione sollevata – su cui a nostra volta insistiamo da tempo – ha a che fare con il populismo e con la sua radice. Il populismo, che è categoria efficace e precisa, esiste. Ne va riconosciuta la sostanza: una visione corporativa del popolo che ignora le differenze che fratturano la società e gli interessi contrapposti. CONTINUA |PAGINA 15 RAI Una forza di sinistra deve parlare a movimenti e associazioni, ascoltarne temi e obiettivi. Come insegnano gli albori del movimento socialista europeo L’ANALISI Ignazio Masulli pagina 15 BIANI Grandi manovre, chiude Ballarò Michele Santoro verso Raidue In attesa della presentazione ufficiale il 28 giugno a Milano, al vaglio del cda ieri i nuovi palinsesti Rai. Tra conferme, la chiusura dopo quattordici stagioni di «Ballarò» sostituito da un nuovo format condotto dall’anchor man di Skty Tg24 Gianluca Semprini, molte voci di possibili ritorni: Santoro per una docu-fiction su Raidue, Ferrara come autore di testi per Buttafuoco. Per l’Usigrai è la: «mortificazione dei professionisti interni». CRIPPA|PAGINA 13 Attentati incendiari e dinamitardi, omicidi, tentati omicidi, lettere minatorie, aggressione. È il linguaggio della criminalità per intimorire i sindaci. Quest’anno sono stati ben 180 quelli minacciati, nel sud ma anche al nord. E oggi nella scendono in piazza con Avviso Pubblico a Polistena, nella Piana di Gioia Tauro MESSINETTI |PAGINA 3 pagina 2 il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 POLITICA Roma • Raggi parte dalla periferia nord e si fa accompagnare dai militanti grillini. Rimanda a luglio il varo della giunta. «Sindaca? Chiamatemi Virginia» La lunga marcia per il Campidoglio Il primo giorno della prima sindaca. Attraverso la città e il suo traffico, toccando i luoghi simbolo e cambiando l’auto VIRGINIA RAGGI IERI A PORTA SAN PAOLO E, NELLA FOTO GRANDE, IN CAMPIDOGLIO Andrea Fabozzi L a sua prima uscita ha come sfondo un quartierone della semi periferia nord. Per arrivarci si segue il filo dei vigili urbani nelle loro divise estive, comparsi come insoliti sassolini bianchi in questo labirinto di asfalto. Virginia Raggi non vuole l’auto di servizio, l’accompagna perciò un attivista grillino con una lancia Ypsilon, sporca come tutte le auto dei romani in questi giorni di piogge fangose dei romani che non hanno l’autista. È un ritorno: Raggi era stata nel mercato del rione, Val Melaina, l’ultimo giorno di campagna elettorale e nel quartiere il Movimento 5 Stelle ha fatto il solito pienone di voti. Giovedì sono tornati al mercato anche i vigili urbani, hanno sequestrato 350 chili di merce irregolare e fatto multe per 40mila euro. Virginia Raggi esce dall’auto per essere presa in consegna dalla signora Emilia Maturi, dirigente del cerimoniale del Campidoglio che in una custodia di stoffa blu porta la nuovissima fascia tricolore. All’ombra di un platano, la giovane avvocata diventa la prima sindaca di Roma. Ad accoglierla trova il procuratore capo Giuseppe Pignatone, quello che ha dovuto aprire un fascicolo sulla consulenza non dichiarata alla Asl di Civitavecchia. «Sono tranquilla», dirà lei, tante volte. Ci sono anche il procuratore generale Salvi e il presidente del senato Grasso, si ricorda il magistrato Mario Amato, ammazzato dai terroristi neri trentasei anni fa in questo punto, mentre aspettava l’autobus per il palazzo di giustizia. Raggi aveva allora due anni, adesso ha in mano un foglietto dal quale legge un breve discorso - non chiama fascisti i terroristi, dice «di destra» - con appena un passaggio in stile grillino: «Siamo qui in strada, fuori dai palazzi». Siamo su un marciapiedi. Ovviamente è emozionata, si aggiusta i capelli di continuo, il sorriso sempre un po’ forzato. Dev’essere difficile abituarsi ai fotografi. Quando la cerimonia finisce le portano un bambino, lei prova a sciogliersi un po’: «Ciao, come ti chiami». Ma il bambino non dice una parola. In piazza Venezia l’automobile del militante grillino non può arrivare, serve un taxi per varcare la Ztl. Quando Raggi scende da Mantova 57 la polizia ha appena liberato dai turisti la pedana del monumento al milite ignoto: «Devono transitare le autorità». Ci sono solo due bandiere del Movimento 5 Stelle, la prima la porta un uomo in bermuda e sandali, bibita e marsupio. La seconda uno travestito da D’Artagnan, con la spada. Ci sono una quarantina di vigili urbani schierati sulle scale, e ci sono naturalmente i soliti fotografi: Aò tutti ’sti pizzardoni ciavemo. Intorno, nella piazza martoriata dai lavori per un Giubileo che sta per finire, si incattivisce il traffico. «Com’è giovane», dice una signora con accento veneto quando Raggi torna giù dal sacrario. Comincia a piovere. Padova 12 se la porta via. A Porta San Paolo, davanti alla lapide che ricorda l’inizio delle resistenza romana, ci sono militari dell’esercito e della marina schierati sotto la pioggia. La sindaca depone anche qui una lapide. Lo fanno tutti i nuovi sindaci e l’ha fatto anche Ignazio Marino tre anni fa, spostandosi però in bicicletta tra due vigili idrofobi. Nando Cavaterra, che ha combattuto nei Gap, ferma Raggi prima che vada via. «Il fascismo è una brutta bestia», le dice. «Potresti essere mia nipote, vorrei venire a trovarti per parlare di cosa possiamo fare per la città noi partigiani», chiede Tina Costa, novantenne staffetta. La sindaca rimane in silenzio. Risponde però quando le si avvicina un’operaia dell’Ama in tuta da lavoro: «Si prenda cura della nostra città». «Lo farò», promette lei. Poi lascia il taxi ed entra nella Fiat punto bianca di un nuovo attivista grillino. Verso le Fosse Ardeatine. I partigiani dell’Anpi hanno un pulmino e la seguono. All’arrivo spunta il sole. Un tipo ruvido che probabilmente dovremmo cominciare a conoscere sbarra il passo delle grotte dove fu consumato l’eccidio nazifascista: «Giornalista? A maggior ragione stai fuori». Resta fuori però anche un bel gruppo di turisti texani, ai quali spieghiamo che sono capitati qui in una giornata particolare. Non vogliono aspettare e vanno via. Quando la sindaca viene fuori la portano al registro delle visite, lei non improvvisa: «Mi impegno a raccogliere questa importante eredità per la nostra amata città e il nostro Paese», scrive. Nel frattempo un generale dell’esercito a due stelle e un colonnello dei carabinieri si avvicinano a Paolo, l’autista grillino. Girano attorno alla Fiat punto. «Lei è... voglio dire il sindaco è con lei?» Lui, un’ingegnere, si stringe nelle spalle volendo dire di sì. «Me l’avevano detto», si allontana il generale. L’auto di Paolo non ha una scorta, almeno visibile, e si infila nel traffico del Lungotevere verso l’ultima tappa, il Tempio maggiore. Aspettano il rabbino capo Riccardo Di Segni e la presidente della comunità ebraica Ruth Dureghello. Deposta sulla facciata della sinagoga la quarta e ultima corona con il nastro giallorosso, Raggi si ferma un po’ a parlare e i suoi ospiti apprezzano: «È stato un incontro molto familiare, non eravamo abituati». Alle sei e un quarto di sera, un’automobilina elettrica azzurra si arrampica sul Campidoglio per la salita del carcere Mamertino, alla guida il consigliere grillino Daniele Frongia, incastrata dietro e un po’ scomoda c’è la nuova sindaca. Appena esce infila gli occhiali da sole e si avvia verso le telecamere. Risponde a qualche domanda, annuncia che la sua giunta, quella che - proprio su questa piazza, durante l’ultimo confronto tv - aveva detto di aver pronta ma di non po- ter rivelare, la completerà invece in una paio di settimane. Entro il 7 luglio, quando ci sarà la prima riunione del consiglio comunale. Sorride un po’di più e ha una battuta pronta per i saluti ai giornalisti. «Sindaca? Non mi fa impazzire, chiamatemi Virginia». Sale, veloce, la scala della Lupa e poi scompare inghiottita dalle stanze e dai dirigenti del comune che si sono messi in fila spalla contro spalla. Riappare dal celebre balcone vista Fori, dal basso si capisce solo che è di nuovo tanto emozionata, si copre la bocca. Ma nei teleobiettivi dei fotografi, giurano, piangeva. Dalla strada non si vede di più. Però lei si collega in streaming dal suo nuovo studio. Per tutto il resto c’è facebook. Il caso/ FUORI DALLA SUA VILLA BLOCCA DUE REPORTER DI LA7. CHE LO DENUNCIANO Lo Cicero l’assessore in pectore stavolta spacca una telecamera ROMA D opo la «roba da frocetti» e dopo «zingari di merda» detto a microfoni accesi, il campione rugbista Andrea Lo Cicero ne combina un’altra, che stavolta potrebbe - o almeno dovrebbe, in una Capitale normale - costargli definitivamente il posto da assessore allo sport che la nuova sindaca di Roma Virginia Raggi gli aveva offerto. A raccontare al manifesto il nuovo episodio di cui l’omone si è reso protagonista ieri è Eloisa Covelli, giornalista free lance impegnata ieri in un servizio per L’Aria che tira, la popolare trasmissione del mattino di La7 condotta da Myrta Merlino. «Ero arrivata dalle parti della casa-azienda agricola di Lo Cicero, nella zona di Nepi», racconta la cronista. «Il villone è circondato da filo spinato e telecamere. Per questo ho preso una strada di campagna laterale, che non ha alcuna segnalazione di proprietà privata. Ma la strada era chiusa e per questo dopo pochi metri torno indietro. E invece mi si para davanti Andrea Lo Cicero con il suo macchinone, una Range Rover. Scende intimandoci di andar via, si avvicina all’operatore e gli stacca l’obiettivo della telecamera, tenendoselo. Poi rompe anche il lettore video. Poi torna in macchina e la parcheggia in modo da non farci più uscire dalla strada». A questo punto giornalista e operatore - ironia della sorte, dato le idee politiche del rugbista, è uno straniero regolare di nome Francisco - si attaccano al telefo- Dopo i «frocetti» e gli «zingari di merda», il rugbista ne infila un’altra. Che potrebbe costargli la nomina. O dovrebbe no e cercano aiuto. Intanto Lo Cicero ci ripensa e restituisce, così racconta Covelli, ai due reporter l’obiettivo della telecamera. Che può ricominciare a girare. A questo punto arrivano, chiamati da Lo Cicero ma anche dai giornalisti, e a quel punto il macchinone viene finalmente spostato. Chissà cosa voleva otte- nere, il rugbista, impedendo alla macchina di muoversi. I due cronisti seguono i carabinieri al comando di Nepi e sporgono denuncia per violenza privata e danneggiamento. Per l’Aria che tira è l’ora di chiudere la puntata ma Merlino fa in tempo a raccontare l’episodio. Le immagini andranno in onda oggi. La vicenda fa rapidamente il giro del web, scatenando ilarità e indignazione verso il rugbista. Ma soprattutto sollevando una generale richiesta alla neosindaca a 5 stelle di ritirare la proposta di assessorato a uno che sta dando prova prova di inciviltà di vario genere. Uno insomma inadatto a fare il paladino dello sport della Capitale d’Italia e tantomeno il promotore delle «politiche giovanili». In serata Lo Cicero smentisce tutto, per quel che può. Affidando a facebook la sua versione: «La giornalista insieme al suo operatore hanno violato la mia proprietà privata, irrompendo in casa mia senza alcuna autorizzazione del sottoscritto ed invadendo, dunque, la privacy del sottoscritto, della mia famiglia e del mio domicilio», scrive. Non c’è stata dunque «nessuna aggressione» da parte sua, assicura. Solo «un invito» «ad allontanarsi». Lo Cicero racconta di valutare se sporgere denuncia, ma fino alla serata di ieri nessuna denuncia era arrivata ai carabinieri di Nepi da parte sua. Il rugbista posta anche un video che ritrae la giornalista al telefono, che racconta di aver subito un’aggressione con l’operatore e di essere «ostaggio» di Lo Cicero che «blocca la mia auto con la sua auto», scena che infatti si vede perfettamente dalle immagini. Per Lo Cicero però quello della cronista è «un vero e proprio siparietto del ridicolo, mentre io me ne sto fermo e il suo cameraman riprende il tutto beatamente». d.p. il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 POLITICA Disobbedienza • pagina 3 Con Diem 25 il progetto di una rete di «città, regioni e governi ribelli» contro l’Europa dell’austerità DECIMA MANIFESTRAZIONE A PARIGI Il presidente Hollande continua a ripetere che andrà «fino in fondo» ma le mobilitazioni contro la Loi Travail, il Jobs Act francese, non accennano a diminuire: ieri decima grande, tesa, manifestazione a Parigi - 60 mila in piazza secondo i sindacati Cgt e Force Ouvrière, tra 19-20 mila, secondo la polizia - questa volta senza danneggiamenti o lanci di sassi ma sempre con 95 persone fermati per accertamenti. Compreso tutti gli altri cortei che si sono svolti nel resto della Francia, i fermi sono stati 113. A Rennes, in Bretagna, alla fine del corteo autorizzato un gruppo di contestatori (un migliaio circa) ha sfasciato o imbrattato alcune vetrine di banche e agenzie immobiliari. DE MAGISTRIS E VAROUFAKIS · Insieme a Roma davanti al simbolo-Baobab DOPO IL DISASTRO «La nuova Europa parte dalla politica nelle strade» Pd, nella palude napoletana il giallo del commissario Roberto Ciccarelli ROMA lla direzione nazionale del Pd, oggi a Roma, Matteo Renzi dovrebbe rivelare il nome del commissario da inviare a Napoli con il «lanciafiamme». L'annuncio era arrivato subito dopo il primo turno della comunali con il partito precipitato all'11% e la candidata voluta dal premier e da Matteo Orfini, Valeria Valente, fuori dal ballottaggio. Ma il tono belligerante aveva subito lasciato il passo alle mediazioni della politica: tra Roma e Napoli è cominciata a girare l'ipotesi di un commissario solo per l'area urbana, il segretario provinciale Venanzio Carpentieri (vicino al vicesegretario Lorenzo Guerini) lasciato al suo posto. Dopo le batoste di Roma e Torino, pare che Luca Lotti e Maria Elena Boschi si siano convinti a sacrificare anche Carpentieri. Un'eventualità che provocherebbe uno scontro aperto con i consiglieri regionali Mario Casillo e Lello Topo, artefici delle vittorie dem nell'hinterland partenopeo. Anche il commissariamento soft innescherebbe uno scontro. Area Riformista chiede un congresso straordinario che ridiscuta la linea del partito, dopo l'alleanza a Napoli con Ala. «Queste elezioni – ha dichiarato Roberto Speranza - hanno rappresentato il funerale del partito della nazione. Il Pd torni a fare il cardine di un nuovo centrosinistra aperto al civismo». Nel campo dei bassoliniani, si sono fatti sentire l'eurodeputato Massimo Paolucci («Non facciamo ridere l’Italia commissariando solo la città di Napoli e lasciando tutto immutato al provinciale e al regionale») e il consigliere regionale Antonio Marciano: «Lo stato di salute del partito e il risultato catastrofico del voto a Napoli impongono scelte dure. Non vorrei che inaugurassimo un nuovo rilevatore della responsabilità politica dei nostri dirigenti fatta per Km di territorio». Da settimane va avanti il totonomi: il deputato Ernesto Carbone; il senatore milanese Franco Mirabelli, attuale commissario del partito a Caserta; il sindaco di Ercolano Ciro Buonajuto; la deputata casertana Pina Picierno. Ma probabilmente oggi il nome del commissario non sarà fatto. Le vicende nazionali potrebbero consentire a Renzi di prendere tempo per trovare un accordo locale, che per ora non c'è. Tommaso Ederoclite, dimissionario dalla segretaria provinciale, avverte: «Se arrivasse un commissario solo per Napoli sono pronto, con un gruppo di militanti e dirigenti giovani, a costringere il partito a un dibattito vero. Bisogna azzerare il tesseramento, riorganizzare i circoli. Sei, otto mesi di commissariamento per poi andare a congresso. Il Pd a vocazione maggioritaria, che imbarca ceto politico, perde». Azzeramento delle tessere e commissariamento del provinciale e regionale è la richiesta di Antonio Bassolino. L'ex governatore ha indetto un incontro pubblico per il 4 luglio al cinema Filangieri. Lì lancerà la sua proposta per aggregare, all'interno del partito, un gruppo dirigente che dal Mezzogiorno chiede un cambio di rotta a Renzi: «Sono indispensabili una riflessione di fondo e la rottura del perverso rapporto tra signori delle tessere e protettori nazionali. Per salvare il Pd e ricostruire il centrosinistra». A N el budello arroventato di via Cupa, all’entrata del plurisgomberato Baobab, simbolo dell’accoglienza dei migranti apolidi e senza dimora nella Capitale, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris e il portavoce di Diem 25 («Democracy in Europe Movement 2025») e l’ex ministro dell’economia greco Yanis Varoufakis hanno esposto ieri le prime linee di un’«agenda paneuropea formata da un rete di città, regioni e governi ribelli» contro l’austerità. Sarà, verosimilmente, questa la cornice in cui si muoverà il «movimento» di cui parla De Magistris dalla rielezione a palazzo San Giacomo. Un movimento che dovrebbe essere coordinato dal fratello del sindaco Claudio, «spin doctor» e accreditato come mente dell’operazione. Messa in ombra dall’affermazione del movimento Cinque Stelle a Roma e Torino, e liquidata con la categoria di «populismo» (che, per il mainstream ormai non vale più per i grillini), la formula politica descritta da De Magistris e Varoufakis sembra più complessa rispetto alle astratte categorie liquidatorie degli editorialisti moderati. L’intreccio con la prospettiva di Diem 25, realtà fin’ora rimasta in ombra e quasi disincarnata, permette di tracciare una prospettiva europea all’esperienza munici- DE MAGISTRIS CON L’EX MINISTRO GRECO VAROUFAKIS FOTO ELEONORA DE MAJO palista napoletana, permettendo di liberarla dai luoghi comuni antimeridionalisti. «Iniziamo da questo marciapiede - ha detto Varoufakis - per dimostrare che c’è un’alternativa alle politiche tossiche e alle economie sbagliate di Bruxelles. La nuova politica europea deve partire dalle strade e dalle città sotto l’ombrello di un movimento europeo». Lo schema politico è quello della federazione politica delle città contro l’Europa degli Stati: un’idea di decentralizzazione e autogoverno che trae spunto dalle Costituzioni antifasciste del Dopoguerra, dalle varie sfumature della democra- Gioia Tauro / A POLISTENA OGGI MANIFESTAZIONE DI AMMINISTRATORI SOTTO TIRO La marcia dei sindaci onesti contro le intimidazioni A ttentati incendiari e dinamitardi, omicidi, tentati omicidi, lettere minatorie, aggressioni, danneggiamenti a beni di proprietà pubblica e privata, autovetture incendiate (anche più d’una contemporaneamente), colpi d’arma da fuoco a persone o cose, proiettili recapitati. È questo il linguaggio della paura, l’alfabeto del terrore scelto dalla criminalità per intimorire gli amministratori, in particolare i sindaci. Nei primi 5 mesi di quest’anno sono stati ben 180 gli amministratori minacciati. Le regioni più colpite sono la Calabria con il 27% degli episodi, la Sicilia (il 20%) la Campania (il 18%), e a seguire Puglia e Sardegna. Ma il fenomeno è presente in altre 15 regioni italiane: dalla Lombardia al Piemonte, dalla Liguria all’Emilia Romagna, dal Veneto al Lazio, passando poi per Abruzzo, Marche e Molise. E oggi gli amministratori scendono in piazza per la prima volta chiamati a raccolta da Avviso Pubblico, a Polistena, nella piana di Gioia Tauro. «La Calabria nel 2016 è la terra più bersagliata, per questo abbiamo scelto di organizzare in quei luoghi la “Marcia degli Amministratori sotto tiro” - ha sottolineato il vice presidente di Avviso Pubblico, Paolo Masini- ma la Calabria è anche una terra dove ci sono tanti amministratori che resistono, tanti esempi di buona politica, tanti giovani sindaci impegnati in prima linea». Il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, Pierpaolo Romani, nell’illustrare i dati ha affermato: «Le statistiche dei primi cinque mesi del 2016 confermano un aumen- Quest’anno un’impennata di agguati e minacce: 180 episodi in soli 5 mesi, in testa le città del Mezzogiorno e la Calabria in particolare to degli atti intimidatori in particolare nel Mezzogiorno e, per quanto riguarda le ultime settimane, durante il periodo delle campagne elettorali. La stragrande maggioranza degli amministratori e dei candidati resiste, ma alcuni fanno un passo indietro, dimettendosi o ritirandosi dalla competizione. È fondamentale che le comunità sentano le minacce come un problema collettivo e che le istituzioni intervengano prontamente con adeguati strumenti di protezione e sostegno». Solo mafia? La domanda chiave è se dietro questa mole di episodi possa leggersi la mano della criminalità organizzata e in che misura. Il rapporto “Amministratori sotto tiro” segnala come dietro numeri così elevati ci sia di tutto. I dati non permettono di dare risposte sostenute da elementi certi. È possibile tuttavia provare ad indicare alcune connessioni. Intanto, esiste una relazione ma non assoluta tra atti intimidatori e scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose. Nel 49% dei casi uno dei motivi posto a base del provvedimento dissolutorio delle amministrazioni è proprio legato ad episodi di intimidazioni contro amministratori in carica e candidati (episodi di intimidazione sono stati registrati anche contro commissari prefettizi chiamati a reggere le amministrazioni di comuni disciolti). Nondimeno, le modalità di alcuni episodi, i luoghi di svolgimento, la ripetitività dei fatti, sono tutti elementi che inducono a pensare che in molti casi non si tratta di gesti isolati, di qualche cittadino più o meno esasperato, di buontemponi armati di mitragliette o capaci di confezionare ordigni di elevata potenza. Altro elemento che induce a sospettare della longa manus delle mafie è la connessione prevalente (ma non assoluta) tra periodo elettorale (regionali e amministrative) e aumento degli episodi di intimidazione. Offesi, aggrediti, minacciati con lettere minatorie contenenti anche proiettili. Accoltellati, picchiati, bastonati. Si spara alle loro case, si incendiano le loro auto e quelle dei loro famigliari. Si usano ordigni esplosivi. Si bruciano gli uffici comunali e i mezzi pubblici. Oggi i sindaci scendono in piazza per dire: ora basta. Anche in nome di Peppe Valarioti, uno dei figli migliori di questa sventurata terra, che diceva: «Se non lo facciamo noi chi lo deve fare?». L’hanno ucciso a Rosarno l’11 giugno del 1980, il giorno della vittoria dei comunisti alle amministrative. s.mes. Adriana Pollice zia partecipativa (Social Forum di Porto Alegre, il modello «bolivariano», l’orizzontalità della rete, movimenti come Podemos a poche ore dalle elezioni spagnole). Forte è anche il riferimento al concetto di «autonomia» in senso sia municipalista sia politico. O ltre a Napoli, sostiene Varoufakis, ci sono Barcellona e Madrid, La Coruna e Dublino. Su questa scia, De Magistris svela un altro motivo del blitz romano davanti a 500 persone, strette e accaldate: sondare gli umori della città dove i Cinque Stelle hanno spazzato via il «Sistema Pd». «Buon lavoro alla sindaca Virginia Raggi. Mi Il sindaco di Napoli a Virginia Raggi: «Governiamo città che si toccano, spero in una collaborazione fattiva» auguro - ha detto l’ex magistrato che tra Napoli e Roma ci possa essere un rapporto di fattiva collaborazione. Guardiamo con interesse soprattutto a chi è contro il sistema». Sono le prime prese di contatto con i Cinque Stelle, una realtà ormai data al 30% nazionale, in continua trasformazione e accreditamento. È di ieri la loro sorprendente conversione europeista: nell’imminenza degli esiti sul «Brexit», un post sul blog di Grillo sembra avere abbandonato l’alleanza con Farage e cambiato l’orientamento politico «no-euro» del movimento: «L'unico modo per cambiare questa "Unione" è il costante impegno istituzionale - si legge - per questo il Movimento 5 Stelle si sta battendo per trasformare l'Ue dall'interno». Resta da capire se ai Cinque Stelle interessa la proposta De Magistris-Varoufakis o se continueranno ad occupare tutti gli spazi politici a disposizione nella battaglia finale contro Renzi e il Pd. Da questo si capirà anche lo spazio per l’esperimento europeista di Napoli. «Se mi vedo alla guida di un movimento sinistra in Italia? No - ha detto De Magistris - Io mi vedo sindaco di Napoli» ma «porteremo la nostra esperienza oltre i confini». Per il momento vede Napoli città autonoma sul modello di Barcellona. «Rientra in una cornice costituzionale agli articoli 117 e seguenti. Non condivido il neocentralismo autoritario» del governo Renzi «che non aiutano le comunità locali. Dal basso si può costruire un nuovo modello». pagina 4 il manifesto Daniela Preziosi S e non è il caos totale poco ci manca. Nel Pd del post voto amministrativo grande è il disordine sotto il cielo, e la situazione è tutt’altro che eccellente. Certo, sul quartiere generale si spara. Ma gli spari arrivano da ogni direzione, anche dallo stesso quartier generale. Dalle colonne di Repubblica la ministra Marianna Madia chiede le dimissioni del commissario del Pd romano Matteo Orfini: «Il Pd dev’essere ’stappato’. Se il tappo è Orfini, allora si dimetta da commissario». La ministra definisce il collega «un ostacolo al parlamento», «In città c’è una classe dirigente giovane, agisca. Ma senza aspettare che qualche capocorrrente la candidi». La richiesta di dimissioni di Orfini era circolata già negli scorsi giorni nella minoranza Pd (il primo ad avanzarla era stato il bersaniano Davide Zoggia). Ma fin qui nessuno l’aveva presa sul serio: il congresso del Pd romano si terrà entro ottobre come ha annunciato lo stesso Orfini, e non sembra tanto razionale nominare oggi un nuovo commissario, o addirittura inventarsi un inedito ’direttorio’ per gestire una federazione nel caos e scarsa a iscrizioni - intorno ai 5mila- e organizzare il congresso in quattro mesi di cui due estivi. Ma il risultato disastroso del Pd nella capitale ha scoperchiato il vaso di Pandora del partito romano, fin qui faticosamente tenuti a freno. Madia non è nuova a accuse contro il Pd romano. Nel 2013 l’aveva definito «composto da vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio». Tutti delinquenti, tranne quelli che generosamente l’avevano vo- EX VOTO Madia contro Orfini Ma il Pd lo difende «Mai più fiducia a prescindere» La minoranza attacca: «Svolta sociale e modifiche all’Italicum» tata alle parlamentarie di qualche mese prima? È Lorenzo Guerini a consigliarle «più sobrietà». Orfini «va solo ringraziato», dice il vice di Renzi, perché « si è assunto la responsa- bilità di commissario di Roma dopo Mafia Capitale e lo ha fatto con grande impegno» Ma le parole di Madia danno il la allo scambio di accuse fra minoranza bersaniana e giovani turchi, compagni coltelli dopo essere stati entrambi sostenitori di Cuperlo allo scorso congresso. Il senatore Miguel Gotor attacca: «Le dimissioni non si chiedono ma si danno per senso di responsabilità». Replica Francesco Verducci: «Gotor parla di senso di responsabilità? Lui che passa il suo tempo a spargere veleno sul Pd che manco Brunetta e Di Battista messi insieme?». Non solo Orfini, «tutti debbono fare un passo indietro», intima l’ex segretario di Roma Marco L’UNITÀ · Staino (forse) direttore del quotidiano Pd al posto di Erasmo D’Angelis Sergio Staino (nella foto), vignettista 76enne quasi del tutto non vedente, padre del personaggio Bobo, ispirato iconograficamente al compianto Umberto Eco, sta per entrare a l’Unità giornale a cui collabora dai primi anni Ottanta - nell’insolita veste di direttore. È stato lui stesso a confermare all’Ansa: «Sì, è vero: mi è stata chiesta la disponibilità a dirigere l'Unità e io l’ho data con grande entusiasmo, più di pancia che di testa...». «Non ho ancora parlato con Renzi - ha spiegato poi Staino - e quindi la cosa è ancora tutta da vedere. Però è vero che mi è stata chiesta la disponibilità». «L'Unità - ha concluso - è un giornale che ha bisogno di cuore e anima. E Bobo ne ha». In base a quello che si è lasciato sfuggire il giornalista Fabrizio Rondolino sui social network in verità il segretario-premier avrebbe giudicato «una buona idea» quella di sostituire l’ormai ex direttore Erasmo D’Angelis - colpevole di aver difeso Saviano dagli attacchi dello stesso Rondolino - con Staino, specialmente dopo che, pochi giorni fa, l’altro candidato a dirigere il quotidiano di partito, l’ex direttore della rivista Wired, il cinquantenne Riccardo Luna, ha rinunciato all’incarico. Staino dal maggio scorso si è molto speso a favore del nuovo corso iper-renziano del giornale e per il Sì al referendum di ottobre. SENATO · Ala manda sotto il governo. Centristi nel panico E Verdini spara la «bombetta» per cambiare l’Italicum Andrea Colombo U VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 n segnale, preciso e inequivocabile, rivolto a Renzi ma anche ad Alfano. Per lanciarlo i senatori di Verdini e una cospicua parte di quelli centristi colgono un’occasione da Dottor Stranamore. A proposito di norme antiterrorismo, la legge in discussione a palazzo Madama commina 6 anni a chi si tiene in cantina una bombetta nucleare, e 12 a chi la fa anche esplodere. L’emendamento dei forzisti Caliendo e Palma, quello che manda sotto il governo, raddoppia le pene. Sempre che qualcuno sopravviva. Gli alati (nel senso di Ala) votano tutti l’emendamento antinucleare. Nell’Ncd metà gruppo diserta, e su 15 presenti 9 votano con gli azzurri. Nella sostanza la sconfitta del governo è indolore. Ma sul piano politico è altro paio di maniche. L’alato Ciro Falanga finge di minimizzare: «Emendamento di merito». Nel dubbio che qualcuno possa credergli, però, si affretta ad aggiungere: «Tutti hanno notato che a determinare il risultato sono stati i voti del gruppo Ala». Che si tratti di un messaggio minaccioso è evidente. Con quale obiettivo lo è molto di meno. La sera precedente Renzi e Verdini si erano sentiti al telefono. Il ruggente Denis, a quel punto, aveva già riunito la sua tutt’altro che serena truppa, ordinando di mantenere salda la barra «per ora». Ma i malumori non gli erano sfuggiti. Denis, ma anche i centristi di Alfano, temono che oggi in direzione il quasi defenestrato di palazzo Chigi viri a sinistra, nella speranza di recuperare i voti defluiti verso l’astensione o i 5 stelle. A loro resterebbe solo l’ingrato ruolo di portatori d’acqua, senza neppure poter vantare un qualche condizionamento sull’esecutivo e senza speranza di trovare un posticino all’ombra del Pd alle prossime politiche: miraggio svanito tra il 5 e il 19 giugno. Ci tenevano dunque a far sapere che non sarebbero d’accordo e che il loro disaccordo potrebbe persino abbattere il governo in tempo utile per far saltare il referendum e ripartire da zero. «È solo un sassolino e dovrebbe restare tale», commenta a caldo un renziano doc come Tonini. «Certo – aggiunge – anche le valanghe cominciano con un sassolino». Nell’Ncd la situazione è più confusa. Il IL CREATORE DEL GRUPPO ALA DENIS VERDINI LAPRESSE voto non era indirizzato solo all’inquilino di palazzo Chigi ma anche al ministro degli Interni, accusato di conclamata sudditanza ai voleri e agli interessi del ragazzo di Rignano, con le note e disastrose conseguenze sul piano elettorale. L’area vicina al capogruppo Schifani, rappresentata dai fedelissimi Esposito e Azzollini, è apertamente ostile all’ex delfino di re Silvio. Su posizioni parzialmente diverse, Lupi e Cicchitto sembra profetizzino la crisi di governo a ottobre e mirino a riaprire di corsa i giochi con Forza Italia. Insomma, tutte le convulsioni proprie dei soggetti politici in disfacimento. Su un punto però il segnale scagliato ieri è univoco: la richiesta di modificare l’Italicum. E non sale solo dagli infidi alleati, ma anche dal profondo del Pd. Michele Emiliano, governatore della Puglia, ha di fatto posto ieri la modifica della legge elettorale come condizione per il suo sì al referendum. Oggi Renzi affronterà la questione, ma Miccoli, che con il commissario non è mai stato tenero, anzi spesso lo ha accusato di correntismo. «Chi pensa di risolverla con un accordicchio spartitorio non ha capito niente del messaggio del voto». Ma alla fine la polemica si stempera. Persino all’assemblea della minoranza bersaniana che nel pomeriggio di riunisce al Nazareno. Presenti Bersani e Cuperlo, presente anche Vasco Errani che per la prima volta dopo l’assoluzione prende la parola fra gli applausi della sala strapiena (in molti restano fuori e seguono l’appuntamento in streaming). Lo sbandamento del Pd è forte e toccherà a Renzi domani dare un verso alla crisi. A lui spetta anche l’ultima parola sul caso Roma: del resto non era un regalo quello aveva fatto a Orfini scaricandogli sulle spalle il caso Marino e il caso Mafia Capitale, un partito locale piegato dalle compromissioni nel dicembre 2014 subito dopo gli arresti. Ieri anche Gianni Cuperlo ha tenuto a smarcarsi dal coretto della richiesta di dimissioni. «Di fronte al risultato dobbiamo fare una riflessione molto seria e il commissario deve essere parte attiva». Cuperlo invece si è unito a Roberto Speranza nell’impietosa analisi del voto e del tonfo del Pd, e nella richiesta di un «cambio di rotta». «In questi mesi abbiamo spesso votato cose che non ci convincevano come l’abolizione dell’Imu anche ai miliardari. Ora, diciamo basta. Non siamo più disponibili», ha scandito il giovane ex presidente dei deputati. «Sulle questioni sociali si deve invertire la rotta e su questi temi non c’è più voto di fiducia che tenga». Anche sul referendum la minoranza chiede un ripensamento. Ma alla vigilia della direzione i toni sono rimasti bassi e alla fine non è arrivata nessuna ’minaccia’ di votare no al referendum da «non trasformare in uno scontro di civiltà tra bene e male». La minoranza Pd prova a trattare, punta a una modifica dell’Italicum. Così Speranza: «C’è tempo per ragionare a partire da combinato disposto tra riforma e Italicum, su cui la nostra posizione è nota. Il Pd ha del tempo e non deve sprecarlo». Posizione che arriva anche da altre aree del partito (ieri l’ha ripetuta Emanuele Fiano, area Franceschini). E, con sempre più insistenza, anche dai centristi fuori dal Pd. Per esempio da un esperto navigatore come Casini che ieri al Corriere della sera ha spiegato: «Non vedo la necessità di fare il referendum a ottobre. E non capisco l’intangibilità di una legge elettorale che può benissimo prevedere la possibilità di una coalizione. È una cosa condivisa e metterebbe al riparo Renzi dalle critiche di voler fare tutto da solo». Critiche che però non preoccupano il premier, per dirla con eufemismo. senza concedere molto. Affermerà che se il Parlamento vuole e può cambiare la legge, lo faccia pure. Forse non a caso due giorni fa il presidente del gruppo Misto Pisicchio ha presentato un progetto di legge elettorale che fa slittare il premio dalla lista alla coalizione e innalza al 50% la soglia per accedervi già al primo turno. Messa così l’intera faccenda è surreale. La legge deve ovviamente essere ancora calendarizzata. L’ipotesi che venga votata prima del 4 ottobre, quando la Consulta si esprimerà sull’Italicum, è fuori dal mondo. Pensare che la legge elettorale venga modi- Anche Alfano nel mirino: se torna il premio alla coalizione tutti nell’ovile di Forza Italia. Anche se di mezzo c’è la Consulta ficata subito dopo la sua eventuale approvazione da parte della Corte costituzionale è altrettanto poco realistico. La legge Pisicchio, presentata come «atto non ostile ma collaborativo col governo» e scritta per intervenire proprio sui punti che la Consulta potrebbe bocciare mantenendo però l’impianto dell’Italicum, si configura casomai come una rete di salvataggio in caso di pollice verso il 4 ottobre. Se davvero Renzi oggi si mostrerà meno rigido del solito in materia, sarà un messaggio non al Parlamento ma alla Corte. SINDACATI DAL GOVERNO Trattativa sulle pensioni E vertenza operaia Riccardo Chiari FIRENZE «N on partecipiamo ad annunci di soluzioni che non ci sono. Stiamo provando a fare una discussione con il governo, discussione che per ora è senza cifre». Ecco Susanna Camusso dopo l’incontro sul macrotema delle pensioni fra i vertici confederali e l’esecutivo. Un governo che appare (effetto comunali?) quantomeno più aperto alla discussione di merito con Cgil Cisl e Uil. A riprova, sul contratto del pubblico impiego, Marianna Madia annuncia la convocazione dei sindacati per inizio luglio: «Una discussione su due punti strettamente collegati – anticipa la ministra – cioè la contrattazione e il testo unico sul pubblico impiego». A detta del governo, il ritorno alla «normale dialettica contrattuale» sarebbe dovuto alla convinzione di Matteo Renzi & c. «che la recessione sia alle spalle». Non una parola sulla censura del blocco operata dalla Consulta esattamente un anno fa, cui sono seguiti dodici mesi di guerra di trincea. «È una buona notizia – concede comunque la numero uno della Cgil - dopo sette anni di blocco sarebbe quasi da fare un brindisi. Ma la bottiglia la stappiamo quando siamo davanti al tavolo». Di fronte ai segnali di Palazzo Chigi – c’è anche da registrare l’attivismo di Graziano Delrio sullo scandaloso licenziamento di massa dei lavoratori Meridiana - le altre due confederazioni sono altrettanto caute. Sulle pensioni Carmelo Barbagallo della Uil è chiaro: «Il confronto prosegue, oggi non abbiamo concluso un punto». Effetto diretto di una situazione ben fotografata da Camusso: «Per noi è prevalente la necessità che deve mutare l’assetto del sistema per i giovani, per i lavoratori e gli attuali pensionati. Noi non siamo un ufficio mutui (chiara risposta sul’Ape, ndr), si parla di tema complesso in cui se muovi un aspetto, e pensi di aver trovato l’uovo di Colombo, si crea un casino per altri. È un’operazione che non si fa in tre ore: chi l’ha fatta in tre ore ha fatto disastri, si chiamano Monti e Fornero». Mentre Maurizio Petriccioli della Cisl sintetizza: «Si è deciso di andare avanti per affrontare nel concreto i temi che riguardano il lavori usuranti, la condizione dei lavoratori precoci, le ricongiunzioni onerose, la flessibilità in uscita, la previdenza complementare, gli esodati». Piatto ricchissimo per una vertenza ancora tutta in divenire. Dal pubblico al privato, è in divenire anche la vertenza sul contratto metalmeccanico, che registra l’avvio di una nuova offensiva di Fiom, Fim e Uilm, con un ulteriore sciopero territoriale di quattro ore, e il blocco a oltranza degli straordinari. «Sarà inviata una lettera alle forze politiche e alle istituzioni per illustrare le ragioni dei metalmeccanici – puntualizzano Landini Bentivogli e Palombella – e organizzati incontri, a livello nazionale e locale, rivolti anche alla stampa e agli altri media». Una risposta sacrosanta alla cortina di silenzio che ha accompagnato la massiccia mobilitazione operaia dei giorni scorsi. Ancor più giustificata, di fronte alla chiusura di Federmeccanica, dai dati Istat che registrano come l’industria italiana sia riuscita a espandere il fatturato del 2,1% mensile ad aprile, con ordinativi cresciuti dell’1% soprattutto grazie alle commesse estere. il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 ESSERE O NON ESSERE pagina 5 BREXIT · Esito in bilico. Ma le borse ottimiste e anche gli allibratori puntano sull’Europa Al voto sotto la pioggia, decide l’affluenza IRLANDA DEL NORD · Tendenza in Belfast alle urne per la United Ireland Enrico Terrinoni S BREXIT, SI APRONO I SEGGI, UK AL VOTO. A DESTRA UNA FOTO DEL QUARTIER GENERALE LEALISTA A BELFAST LAPRESSE Leonardo Clausi LONDRA L a Gran Bretagna dovrebbe rimanere membro dell’Unione Europea? È il dilemma sciolto dai votanti dei 46.499.537 elettori britannici aventi diritto. Mentre scriviamo, è impossibile anche solo prevedere l’esito del day after della Gran Bretagna, il referendum sulla permanenza nell’Ue su cui le due fazioni leave e remain si sono appassionatamente dilaniate per mesi. Al momento le possibilità restano nel bilico di questi ultimi giorni, con un remain di poco avanti al leave, 51 a 49% secondo l’ultima media degli ultimi sondaggi. Non ci sono exit poll e i seggi vengono scrutinati durante la notte. Per tutta la giornata vige il silenzio elettorale, ci si è potuti sfogare solo sui social network. L’affluenza prevista era di poco superiore a quella delle ultime elezioni politiche, attorno al 67%. Più sale, più favorisce il remain, anche se gli anziani sono quelli che votano e votano leave, mentre i più giovani, tendenzialmente favorevoli a restare, votano di meno. Apertesi alle sette del mattino, le urne si sono chiuse alle 22 (ora locale). L’alta partecipazione favorisce il remain. L’incognita del voto dei giovani, pro-Ue ma più astensionisti Le borse hanno dato segni di ottimismo, con la sterlina che prima è salita ai massimi del 2016 contro il dollaro per poi stabilizzarsi e gli allibratori che davano un remain favorito nel più grande evento non sportivo nella storia delle scommesse. Ma una cosa è certa già ora: è stato l’appuntamento politico più importante del secondo dopoguerra e le sue implicazioni storiche ricadranno su tutta l’Europa. Per parafrasare quel Churchill tanto caro ai tories: mai il destino di così tanti è dipeso dalle beghe interne di così pochi. I tanti sono gli europei e i migranti che bussano alle loro porte, i pochi sono loro, il partito di David Cameron, che ha indetto questa consultazione per sedare una fronda alla sua destra e dal cui esito dipende la carriera politica. Qui i referendum sono una pratica esotica, l’ultimo - per la stessa ragione, la permanenza nella Comunità Europea - risale al 1975. Mercoledì sera su Channel 4 c’è stato l’ultimo grande scontro tra tita- ni televisivo, il Dibattito finale presentato da Jeremy Paxman, il veterano ex-Bbc famoso per rosolare a fuoco lento i politici che intervista. Ha avuto un milione e seicentomila spettatori, uno share ancora più alto del contest da stadio del suo vecchio editore la sera prima, grazie ai 150 ospiti (fra in studio e collegati) ripartiti fra guelfi del leave e ghibellini del remain e provenienti da politica, università, sport e via dicendo: dal leader della campagna Labour In Alan Johnson (remain) allo storico Simon Schama (remain); dal fondatore dell’Ukip Alan Sked (leave) allo scrittore e opinionista Toby Young (leave). Assieme a molti altri, hanno dato vita in studio a dei contraddittori accesi al limite dello schiamazzo, che il pur temibile Paxman ha faticato assai a moderare. Del resto questo referendum ha evidenziato una profon- da frattura sociale nel paese, oltre che nei tories: una deputata laburista, Jo Cox, ci ha rimesso la vita, assassinata da un invasato di estrema destra esattamente una settimana fa. Un esito in balia di un clima estremo, anche metereologico. Il più importante voto per una generazione di britannici si è svolto sotto una valanga d’acqua a Londra e nel sud-est dell’Inghilterra, dove in poche ore è caduto l’equivalente di un mese di pioggia. Un risveglio fradicio per migliaia di elettori, con i vigili del fuoco che hanno dovuto rispondere a centinaia di chiamate. E la pioggia ha ripreso incessante verso sera. Molte stazioni elettorali inondate sono state spostate in tutta fretta e questo potrebbe avere ripercussioni sull’affluenza. E favorire il leave, dal momento che per l’elettore euroscettico la determinazione a votare a tutti i costi sarebbe più elevata che per il soffice - così Nigel Farage, appena interpellato all’uscita dal seggio, ha definito l’elettore pro-Ue – sostenitore del remain. Per restare in tema Farage: il nostro era atteso al Dibattito finale ma non c’è andato, forse perché temeva lo spiedo di Jeremy (Paxman). Uscito dal suo seggio in South London si è mostrato raggiante. Ieri aveva definito la giornata di oggi l’Independence day della Gran Bretagna, riferendosi al remake dell’omonimo film del 1996 (massacrato dalla critica). A rigor di logica, questa potrebbe essere l’ultima sua giornata in politica attiva qualunque sia l’esito. Quanto a Jeremy Corbyn, all’uscita del seggio, ieri mattina, ha scherzato con i giornalisti: «I bookmaker di solito ci azzeccano, ma con me hanno sbagliato alla grande l’anno scorso, no?». popolano su twitter video del Presidente irlandese Higgins che esulta al goal di Robbie Brady nella partita contro l’Italia di mercoledì; e qualcuno ha commentato: «Dalla felicità si direbbe che è riuscito a farsi ridare indietro le sei contee del Nord». A Belfast e dintorni, il referendum sulla Brexit è per certi versi visto come un voto sull’Irlanda unita, soprattutto in ambienti repubblicani. A Falls Road, lo storico Felon’s Club in questi giorni di Europei di calcio è tutto un ribollire di fan che tifano Repubblica, all’ombra di bandiere irlandesi, palestinesi e basche. Mancano quelle dell’Irlanda del Nord, che pure si è qualificata agli ottavi. Il sentire tra la gente rispecchia quello dei sondaggi. La maggioranza della comunità nazionalista è, per vari motivi, a favore dell’opzione remain, ma nessuno per via di un entusiasmo verso l’Europa e il suo recente sfoggio di politiche punitive nei confronti di Grecia, Spagna e Irlanda. A molti, in virtù della consapevolezza d’esser stati un popolo di migranti, non va giù la carta anti-immigrazione giocata dalle destre; ad altri l’idea che a spingere a votare leave sia un sentimento anti-irlandese, dettato dalla più che concreta possibilità che una Brexit indebolisca la Repubblica, e dunque il suo pre- GERMANIA · L’uscita porterà perdita di posti di lavoro ma vantaggi per le industrie locali Per i tedeschi rischi e opportunità Sebastiano Canetta BERLINO L a calma ostentata della cancelliera Angela Merkel, il nervosismo corrosivo della borsa di Francoforte, le minacce lapalissiane del ministro delle finanze Wolfgang Schäuble (che ha ripetuto «chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro»). Tre sintomi inequivocabili della paura tedesca per il voto inglese, quanto della navigazione «a vista» della Bundesrepublik, che sulla Brexit non ha mai elaborato neppure la bozza di un piano B. Di fatto, a Berlino, nel D-Day dell’Ue, si riescono a misurare a malapena le implicazioni ovvie e «naturali» dell’esito del referendum oltre la Manica, al di là del successo di leave o remain. Di sicuro, per adesso, solo il timore per l’incalcolabile effetto domino sull’eurozona, dall’Olanda e fino alla Francia, a sentire Marine Le Pen. Altrettanto certo è anche il mantra di Mutti Merkel che fino all’ultimo minuto utile ha recitato l’unica litania ufficiale: «Mi auguro che la Gran Bretagna rimanga nell’Unione, ma è una decisione che spetta ai cittadini britannici». Dichiarazione da mesi pronta a essere declinata all’imperfetto o al condizionale passato, fanno sapere nell’inner circle della cancelliera. Nel frattempo negli osservatori economici-finanziari tedeschi gli esperti immaginano i rischi ma anche le opportunità. E così, a fianco del pericolo di «perdita di posti di lavoro, crollo delle esportazioni e contrazione della crescita per la Germania», puntual- mente riportato sui più autorevoli quotidiani tedeschi, compaiono i vantaggi della Brexit per le industrie locali, «liberate» dalla concorrenza delle multinazionali con sede nel Regno Unito. È la dimostrazione che anche a Berlino non tutto il male nuoce, mentre a Francoforte c’è chi già sogna la nuova city dell’Europa in versione ridotta. In ogni caso la Gran Bretagna, isolata o connessa all’Unione europea, rappresenta il terzo mercato per il made in Germany: l’ufficio federale di statistica squaderna le cifre della bilancia commerciale tra Berlino e Londra con il valore dei beni scambiati nel 2015 (127,6 miliardi di euro). Solamente negli ultimi 12 mesi le Angela Merkel: «Speriamo nella permanenza della Gran Bretagna nell’Ue». E a Francoforte c’è chi già sogna la nuova city imprese tedesche hanno venduto 89,3 miliardi di merci al Regno Unito. Mercato imprescindibile soprattutto per Mercedes, Bmw e Volkswagen e altri produttori del settore automotive che hanno incassato quasi 30 miliardi dai concessionari oltre Manica e temono, più di ogni altro, la svalutazione della sterlina e il conseguente aumento dell’inflazione nell’isola. A questo si aggiungono 2.500 aziende tedesche con filiali in Gran Bretagna che danno lavoro a circa 400 mila dipen- denti: in caso di Brexit il loro bilancio ammonterebbe a 6,8 miliardi di perdite. Lo evidenziano i consulenti di Euler Hermes, società del Gruppo Allianz e leader mondiale dell’assicurazione del credito. Fa il paio con il pronto rimbalzo del sondaggio della camera di commercio anglo-tedesca che registra l’80% degli imprenditori preoccupati per il No al referendum e il 61% che ha già pianificato un consistente calo del business. Tuttavia, per esclusione, spiccano anche le circa 150 aziende che beneficerebbero dell’uscita di Londra dal mercato comune, insieme ai risultati dello studio commissionato dal colosso multimediale Bertelsmann che traduce la Brexit nell’aumento degli affari e della competitività per l’industria chimica tedesca nell’ordine dello 0,5-1%. Ballano i pro e i contro, dunque. Un po’ come il Dax, l’indice di riferimento della borsa di Francoforte, che nell’ultima settimana ha oscillato nervosamente sulla soglia dei 10 mila punti (anche se ieri la seduta ha chiuso con +1,57%). Turbolenza del mercato, volatilità degli investimenti ma anche «terrorismo» di chi controlla capitali comunque refrattari a qualunque limitazione. Il problema, casomai, è politico. Il referendum inglese, al di là dell’esito delle urne, è benzina da gettare sul fuoco per i populisti di Alternative für Deutschland: due terzi dei suoi elettori vedrebbero con favore un analogo referendum sulla Gerxit, perché l’uscita della Germania dall’Ue coinciderebbe anche con la fine della «politica della porta aperta» agli immigrati di Angela Merkel, degli «aiuti» alla Turchia di Erdogan o alla Grecia di Tsipras. sunto interesse a battersi per un’Irlanda unita. Una riunificazione che è nella mente di molti, nella comunità repubblicana, soprattutto dopo che Gerry Adams ha reiterato quello che il suo braccio destro, e vice primo ministro del Nord, Martin McGuinness, ha chiamato un «imperativo morale», ovvero un referendum sulla United Ireland e sulla legittimità del confine tra le due Irlande, in caso di uscita del Regno Unito dall’Europa. Ma a spingere i nazionalisti a propendere per restare, pare sia principalmente una propensione antilealista, poiché il maggior partito unionista, il Dup, che esprime il presidente del consiglio, assieme alle frange ancor più conservatrici della destra nordirlandese, sono per uscire. Come lo è qualche formazione minore della sinistra repubblicana, ad esempo Eirigí, che a braccetto degli esponenti antiimperialisti di People Before Profit, sono a favore della lexit (uscita da sinistra - left). Una posizione che appare secondo alcuni contraddittoria, perché la più probabile conseguenza pressoché immediata della Brexit sarebbe la ricostituzione di un confine, che sarebbe a tutti gli effetti un confine internazionale all’interno dell’isola; questo proprio per via delle politiche migratorie della Eu, in virtù delle quali l’Irlanda, ma anche la Gran Bretagna, sarebbero costrette a controllarlo senza sconti. Con le ovvie ripercussioni economiche negli scambi nord-sud, ma anche politiche e umanitarie. Quasi un muro stile Trump, dicono alcuni; o un’ennesima cortina di ferro, come quelle tornate di moda recentemente in Europa. È vero che in Irlanda del Nord si accingono a votare poco più che un milione di persone, e difficilmente sposteranno l’ago della bilancia a favore di un’opzione o dell’altra. Quel che è certo è che un’eventuale Brexit verrebbe vista come l’ulteriore decisione presa da un popolo occupante, poco interessato alla volontà e alle aspirazioni di una parte, seppur minoritaria, della sua popolazione. Questo in vista di un’estate che si prevede già di fuoco, per la stagione delle tradizionali marce protestanti a ridosso dei quartieri cattolici attorno al 12 luglio, ma soprattutto di un’altra imponente manifestazione, stavolta nel campo nazionalista: quella contro l’internamento senza processo istituito nel 1971, per cui da 45 anni si è trattenuti e fermati in carcere solo sulla base di sospetti. Di recente l’istituto è tornato in voga, con alcuni fermi eccellenti. La manifestazione, che si annuncia imponente, è prevista per il 7 agosto, e porterà migliaia di persone al centro di Belfast per ricordare un triste passato che purtroppo, in Irlanda del Nord, si chiama sempre più spesso presente. pagina 6 il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 EUROPA VERSO IL VOTO Il rush finale di Iglesias per il «sorpasso» Simone Pieranni INVIATO A MADRID P MANIFESTAZIONE A BARCELLONA DOPO LO SCOOP DI PUBLICO LAPRESSE SPAGNA · La questione indipendentista e lo scandalo che ha coinvolto il ministro a pochi giorni dalle elezioni Il DíazGate piomba sul voto catalano Luca Tancredi Barone BARCELLONA L’ hanno già battezzato FernándezDíazGate, dal nome del ministro degli interni spagnolo, Jorge Fernández Díaz. Lo scandalo che coinvolge in pieno il ministro incaricato di garantire il processo elettorale di domenica sta montando. Tanto che il leader di Podemos Pablo Iglesias ha detto chiaro e tondo: «Credo che tutti i cittadini dovrebbero preoccuparsi», perché «questo ministro e questo ministero sono gli incaricati di garantire la sicurezza delle votazioni di domenica». Con la faccia tosta che gli è solita, il Partito popolare e lo stesso ministro si dichiarano «vittime», concentrandosi sul fatto che qualcuno – illegalmente – ha registrato e fatto filtrare queste intercettazioni del 2014 alla stampa proprio questa settimana, senza però entrare nel merito della gravità della vicenda: un ministro e un direttore di un ufficio dedicato a combattere la corruzione si incontrano per discutere di come fare pressioni su politici catalani invisi al governo distorcendo delle prove, e lasciando addirittura intendere di poter manipolare la Físcalia (il procu- Luca Kocci C omincia oggi il quattordicesimo viaggio internazionale di papa Francesco, destinazione Armenia, il «primo Paese cristiano», come recita il logo scelto della Santa sede per enfatizzare la decisione del re Tiridate III, convertito e battezzato da Gregorio Illuminatore, di adottare nel 301 il cristianesimo come religione di Stato. «La vostra storia e le vicende del vostro amato popolo suscitano in me ammirazione e dolore, perché avete trovato la forza di rialzarvi sempre, anche da sofferenze che sono tra le più terribili ratore generale dello Stato). Se Mariano Rajoy ha fatto quadrato attorno al suo ministro dichiarandogli «piena fiducia» («ci sono persone che hanno voglia di costruire problemi dove non ce ne sono», ha aggiunto), per Daniel de Alfonso, capo dell’organismo catalano anticorruzione, i giorni sono contati. In una seduta straordinaria del Parlament di Barcellona, convocata dalla sua presidente Carme Forcadell con l’obiettivo di iniziare il procedimento per la sua rimozione, de Alonso ha risposto in maniera arrogante agli attacchi di tutti i partiti, eccetto i popolari. Arrivando a insinuare che persino il presidente di Ciudadanos, Albert Rivera, sarebbe andato a trovarlo per appoggiarlo, a cambio di «qualcosa», e cioè che gli passasse informazioni contro i suoi avversari. Anche lui come Fernández Díaz si è lamentato che la propria intimità sia stata fatta a pezzi – come se l’ultima conversazione con un ministro resa nota ieri da publico.es su come sostituire un president della Generalitat legittimo, come era Artur Mas, fosse un tema personale – e ha declamato «scagli la prima pietra chi è libero del peccato di cospirazione», per aggiungere in tono mafioso: «Non siate ipo- criti vossignorie, vi siete tutti riuniti con me». Secondo lui, l’obiettivo delle intercettazioni è di «togliere di mezzo un direttore anticorruzione scomodissimo». La questione è particolarmente delicata non solo per la gravità dell’evidenza che sembra dimostrare una prassi istituzionale di uso della giustizia e degli organi dello Stato per interessi partitici. Ma an- Podemos attacca l’esponente di governo «incaricato di garantire la sicurezza delle elezioni di domenica». Il Pp lo difende: «Vittima» che perché centra uno dei punti chiave di questa campagna: il problema catalano. La storia getta benzina sul fuoco indipendentista. Forcadell, che si è detta «molto indignata come cittadina», ha chiesto di «sapere se esistono questi dossier su di me e sulla mia famiglia, chi li ha incaricati, chi li ha redatti». Secondo quanto rivelato ieri dalla Cadena Ser, infatti, la polizia e i servizi segreti avrebbero prodotto vari VATICANO · Visita al memoriale delle vittime del Metz Yeghérn Il nodo del «genocidio» nel primo viaggio di Francesco in Armenia Messaggio di pace alla Turchia tramite una colomba liberata a pochi chilometri dalla frontiera che l’umanità ricordi», ha detto il papa in un videomessaggio diffuso alla vigilia della partenza. «Desidero venire tra voi per sostenere ogni sforzo sulla via della pace e condividere i nostri passi sul sentiero della riconciliazione». Parole che sintetizzano i contenuti di un viaggio breve – dal 24 al 26 giugno – ma importante per i significati religiosi, ecumenici e geopolitici che riveste, prima tappa di un itinerario che proseguirà a settembre quando Francesco visiterà altri due Paesi del Caucaso, Georgia e Azerbaigian, quest’ultimo in conflitto proprio con l’Ar- dossier anonimi con l’obiettivo di criminalizzare i movimenti indipendentisti come l’Assemblea nazionale catalana di cui Forcadell era presidente. Il redivivo Artur Mas, che aspetta ancora di sapere che succederà della denuncia contro di lui da parte del governo per aver organizzato la famosa "consultazione" indipendentista del 2014, ha parlato di «Stato di matrice franchista». Per poi aggiungere che «benché noi siamo i principali perseguitati, la vera vittima è il popolo catalano». Di certo ci sono vari elementi inquietanti su cui riflettere a freddo, dopo le elezioni. Primo, che qualcuno sembra essere in possesso di intercettazioni scottanti che presumibilmente sta usando come arma di ricatto. Secondo, che pezzi importanti delle istituzioni («le cloache dello Stato», le ha definite il numero due di Podemos, Íñigo Errejón) dedicano tempo e risorse a spiare avversari politici e costruire prove false su di loro (vengono alla mente le 4 denunce false contro Podemos degli ultimi mesi già archiviate dalla magistratura). E infine che l’aria mefitica di Madrid si respira anche a Barcellona, dove i toni mafiosi di chi conosce molti segreti non sono molto diversi da quelli usati dai ministri popolari. IL 14MO VIAGGIO APOSTOLICO DEL PAPA LAPRESSE menia per il controllo del Nagorno-Karabakh. La maggioranza dei quasi tre milioni di abitanti fa riferimento alla Chiesa apostolica armena (i cattolici sono meno del 10%, circa 280mila), una delle Chiese ortodosse orientali, che accolse i pri- mi tre Concili ecumenici della cristianità ma rifiutò il quarto, quello di Calcedonia del 451, aderendo al "miafisismo", dottrina secondo cui Gesù ha una sola natura, nata dall’unione delle nature divina ed umana. Per sottolineare il carattere ecumenico del viaggio, Francesco sarà accompagnato dal card. Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, e alloggerà non nel palazzo vescovile o nella nunziatura, ma nella residenza del catholicos Karenin II, il capo della Chiesa apostolica armena. Domani l’appuntamento più atteso, quando il papa visiterà il Tzitzernakaberd memorial complex – incontrando anche alcuni discendenti dei perseguitati –, il memoriale delle vittime del Metz Yeghérn («Grande Male»), il genocidio degli armeni compiuto dagli ottomani fra il 1915 e il ’18 che provocò quasi un 1,5 milioni di vittime, morte di fame, stenti e malattie durante la deportazione nel deserto siriano e uccise dall’esercito regolare, dai gruppi paramilitari facenti capo all’Organizzazione speciale e dalle violenze delle popolazioni, soprattutto curde e circasse. Già un anno fa, durante il centenario del Metz Yeghérn celebrato in Vaticano, papa Francesco condannò il massacro degli armeni, chiamandolo «il primo genocidio del XX secolo», utilizzando cioè lo stesso termine («genocidio», respinto dai turchi) presente nella Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e di Karekin II sotto- scritta durante il viaggio in Armenia di papa Wojtyla nel 2001. Ankara protestò duramente, così come ha protestato tre settimane fa, dopo l’approvazione, da parte del Bundestag tedesco, di una risoluzione che ha riconosciuto il «genocidio» degli armeni. Il giudizio della Santa sede è quindi chiaro, ma chissà se Francesco parlerà di nuovo di «genocidio» o preferirà dribblare le polemiche. Probabilmente non ci sarà la firma di una Dichiarazione congiunta, inizialmente prevista, con Karenin II. Padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ha fatto capire che non è stato trovato un accordo sul testo e ha aggiunto: «La parola Metz Yeghérn è anche più forte di genocidio. Nessuno di noi nega che ci siano stati massacri orribili, lo sappiamo bene, andiamo al memoriale per ricordarlo, ma non vogliamo essere intrappolati in discussioni politico-sociologiche». Domenica, dopo alcuni incontri ecumenici ed una messa pubblica a Gymuri, seconda città del Paese, il papa si recherà nel monastero di Khor Virap – dove, secondo la tradizione fu imprigionato Gregorio Illuminatore –, a pochi chilometri dalla frontiera con la Turchia. Si ipotizzava che Francesco volesse raggiungere il confine, attualmente chiuso, ma probabilmente si limiterà a liberare delle colombe verso il monte Ararat, dove, secondo la tradizione, si incagliò l’Arca di Noè dopo il diluvio universale. Lanciando così, spiega Padre Lombardi, «un messaggio significativo». ablo Iglesias dice che apprezza in modo particolare le metafore sportive, specialmente quelle calcistiche; le usa spesso in effetti. Il suo vocabolario da campagna elettorale è molto popolare, tanto più in tempi di Europei di calcio, e fa sicuramente breccia, al netto della sua simpatia che non è condivisa proprio da tutti. Qualche giorno fa Iglesias è ricorso nuovamente all’esempio calcistico a proposito della maturità del suo movimento; secondo il leader e candidato primo ministro, la sua formazione politica avrebbe raggiunto una nuova consapevolezza grazie a questi primi sei mesi in parlamento (per quanto in una situazione politica completamente bloccata): secondo Iglesias, Podemos avrebbe «tenuto la palla», un po’ come fa la nazionale spagnola, per rallentare il gioco e consentire di abbassare il ritmo della gara. Ora quindi - si preparerebbe a colpire. L’obiettivo a pochi giorni dal 26 giugno, il giorno delle elezioni, è molto chiaro per tutti gli attivisti e simpatizzanti (che ogni giorno organizzano eventi, biciclettate, dibattiti): il «sorpasso» sui socialisti del Psoe e il posizionamento di Unidos Podemos come seconda forza del paese. E quindi il «rush finale», gli «ultimi minuti» di campagna elettorale, vedono la consueta capillare attività: la campagna elettorale di Unidos Podemos è stata un esempio di utilizzo di metodi tradizionali, porta a porta, frutto di un’organizzazione molto seria e ragionata, uniti alle più moderne tecniche dei social media e del marketing politico, con tanto di slogan ufficiale ripetuto fino alla nausea, «la sonrisa de un pais». Questo armamentario, solo ieri a Madrid si contavano quattro o cinque iniziative, è stato concentrato soprattutto in quelle zone dove un pugno di voti possono determinare la vittoria di un deputato. Due giorni fa Iglesias era a Guadalajara dove il candidato per quella circoscrizione è Ariel Jerez, amico del leader di Podemos, argentino di nascita e professore di scienze politiche, nonché grande conoscitore e studioso dei «movimenti». Per la prima volta Iglesias - dopo incontri pubblici e apparizioni televisive - ha fatto il classico «bagno di folla», tipico dei candidati più tradizionali (Rajoy, ad esempio, ma anche Alberto Rivera di Ciudadanos che da ieri è ufficialmente tirato dentro al «Watergate» spagnolo), passeggiando per strada per convincere gli ultimi indecisi. La circoscrizione di Guadalajara, nella regione di Castilla-La Mancha, alle scorse elezioni venne persa da Podemos solo per 800 voti. Pare che a pesare fosse stata la visita - due giorni prima del voto - di Rivera, che strappò così il seggio. Unidos Podemos ha studiato scientificamente i dati del voto del 20 dicembre scorso e sta agendo proprio in funzione di quell’esito, concentrandosi laddove pochi voti possono spostare importanti equilibri in termini di posizioni nel Congresso dei Deputati (350 membri) delle Cortes. Iglesias ha anche rilasciato un’intervista a 20minutos, nella quale l’argomento centrale è stato quello costante di questa campagna elettorale: il rapporto con i socialisti del Psoe e in particolare con il loro leader Sanchez, al quale ribadisce di voler lasciare la porta aperta. È una delle chiavi per risolvere l’eventuale e probabile stallo del post elezioni, che secondo i sondaggi prevede il Pp davanti a tutti, seppur indebolito, poi Unidos Podemos, Psoe e Ciudadanos. Su questo risultato, dato da quasi tutti i sondaggi commissionati in questi giorni, Pedro Sanchez è pronto a non scommettere: ieri in un’intervista al quotidiano conservatore El Mundo, ha ribadito che ci sono almeno 30% degli elettori spagnoli che si sarebbero dichiarati indecisi (come nelle scorse elezioni). Il problema per Sanchez è che probabilmente la maggioranza di questi indecisi potrebbe invece avere un’unica certezza: quella di identificare il partito socialista con il disastro economico e politico del paese, con le politiche di austerity che hanno portato la classe media spagnola sull’orlo della miseria, scaraventando tante persone per strada. E proprio dalla «puta calle», Iglesias prova a raggranellare i voti che potrebbero essere decisivi. il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 INTERNAZIONALE pagina 7 STATI UNITI · Singolare iniziativa dei parlamentari contro il sabotaggio repubblicano delle riforme WIKILEAKS · Video-solidarietà internazionale I democratici occupano l’aula Per non dimenticare il caso Julian Assange Luca Celada LOS ANGELES I l giorno successivo alla sconfitta in senato di quattro disegni di legge che avrebbero imposto seppur minime restrizioni all’acquisto delle armi da guerra, lo scontro politico sulle armi è esploso a Washington con l’occupazione del congresso da parte dei parlamentari democratici. Nella mattinata di mercoledì, dopo l’apertura dei lavori, John Lewis, decano della delegazione della Georgia, veterano del movimento per i diritti civili e della storica marcia su Selma con Martin Luther King, ha chiesto la parola per denunciare lo scandaloso immobilismo dei politici su una questione che sta insanguinando la nazione. «Sono anni che mi chiedo quando ci decideremo ad agire e fare ciò che la gente esige, ciò che è giusto e ciò che da tempo avremmo dovuto fare» ha detto Lewis raggiunto al podio da una ventina di colleghi. Ricordando la lunga lista dei “mass shooting” che sono ormai un’epidemia nazionale, Lewis ha denunciato: «davanti alla marea di sangue innocente siamo rimasti sordi (…) dov’è il cuore di questa augusta assise? Dove sono la nostra anima e la nostra forzamorale?» Così la camera del congresso americano si è trasformata in teatro di una rara contestazione. Mentre il senato aveva respinto le riforme lungo prevedibili linee di partito, alla camera la maggioranza repubblicana ha impedito che la questione venisse votata. Al grido di «no Bill, No Break» i contestator democratici hanno chiesto che il voto venisse messo all’ordine del giorno, dichiarandosi pronti a rimanere in seduta a oltranza, anche durant la pausa prevista la prossima settimana. Alla fine dell’intervento di Lewis i “ribelli” si sono seduti al centro dell’emiciclo bloccando i lavori. I repubblicani hanno abbandonato l’aula staccando le telecamere parlamentari che trasmettono le sedute. Il black-out è stato però aggirato dalla trasmissione via periscope (la app di video streaming di Twitter) dal telefono di uno dei contestatori, il parlamentare Californiano Scott Peters. Il suo feed è stato subito seguito da centinaia di migliaia di spettatori e ripreso dall’emittente parlamentare C-Span (la prima volta che un network utilizza una trasmissione “pirata”). Durante tutta la giornata i parlamentari hanno esibito foto delle vittime e si sono susseguiti al podio ricordando la lista di stragi: Columbine, Aurora, Newtown, San Bernardino… Orlando. Nel nome delle vittime hanno giurato di La protesta il giorno dopo la sconfitta in senato di 4 disegni di legge per la restrizione delle armi da guerra non desistere improvvisando un bivacco per tutta la notte. Si è trattato di un’azione di rara iniziativa politica contro il sabotaggio repubblicano delle riforme. È vero che difficilmente avrà un esito pratico, dato che se anche si votasse, la maggioranza repubblicana riuscirebbe sicuramente a bloccare nuovamente ogni disegno di legge. Ma l’occupazione del parlamento ha un cruciale valore simbolico come tentativo di rompere l’assedio lobbystico e psicologico dei repubblicani che hanno imposto di fatto un embargo su ogni riforma, facendo dello stesso argomento un tabù insindacabile. Una strategia che impiega “l’inviolabile” diritto costituzionale al porto d’armi garantito dal secondo emendamento (una postilla alla costituzione scritta nel 1791 allo scopo di favorire la rapida formazione di milizie civili a difesa della rivoluzione) come grimaldello contro le forze progressiste. Una tattica as- sere condannato per aver pubblicato su Wikileaks migliaia di documenti riservati molto imbal 19 Giugno Julian Assange è razzanti per il governo americaentrato nel quinto anno di reno. clusione all’interno dell’am«Non ci dovrebbe essere ragiobasciata dell’Ecuador a Londra, ne per cui Julian debba essere a suo sostegno si sono schierati imprigionato – ha detto Hedge – personaggi pubblici e intellettuaquello che il governo inglese doli come Chomsky, Patti Smith, vrebbe fare sarebbe assicurargli Roberto Saviano, Ken Loach, un ’corridoio sicuro’ per poter Brian Eno, Michael Moore,Viprendere un aereo e andare levienne Westwood, Slavoj Zizek, galmente in Ecuador. Questo Sarah Harisson, Srecko Horvat, non accadrà, l’Inghilterra sta Baltasar Garzón, Angela Richter, agendo come rappresentante giusto per dirne alcuni, in un’inidel governo americano». ziativa dal nome evocativo, First Nell’evento mediatico di First They Came, prima vennero per. They Came for Assange i persoL’iniziativa durerà una settinaggi pubblici che lo sostengomana e si svolge con incontri in no hanno caricato in rete video varie parti del mondo. A New in cui declinano la propria soliYork, a perorare la causa di Asdarietà e le ragioni in modo disange sono la storica giornalista verso e personale: dalla lucida e intellettuale radical Amy Gooddenuncia del meccanismo gloman, il giornalista investigativo bale perverso che ha portato e e documentarista (Dirty Wars) permette la detenzione illegale Jeremy Scahill, il giornalista e di chi ha rivelato delle nefandezpremio Pulitzer Christian Hedge ze, invece di detenere chi le ha e l’avvocato di Assange Carey commesse, fatta da Chomsky, al Shenkman. video girato in aereo di Brian Non è la prima volta che queEno che comincia con «Ciao Justi personaggi si spendono in falian, son passati già quattro anvore di Assange, ni, ma quattro ansin dall’inizio delni seduto in un L’AULA DEL CONGRESSO USA. SOTTO, STRETTA DI MANO TRA GUERRIGLIA COLOMBIANA E GOVERNO SIGILLATA DA RAUL CASTRO LA PRESSE Nel quinto anno le accuse di stuappartamentodedi confino matica di una frattura profonda in anche a limitare l’accesso alle arsai efficace che riesce a tenere pro mosse vono essere luncui il fronte ideologico conservatomi da parte degli iscritti alle ostaggio il congresso malgrado nei all’hacker austraghissimi», per poi dell’attivista re è ormai disgiunto dall’opinione “terror list” – individui designati a sondaggi gli americani favoriscano liano dal tribunaapprodare, come nell’ambasciata pubblica maggioritaria, ma resta rischio di “collusione terrorista” ormai norme più severe per le svedese; Amy tutti al nocciolo disposto a tutto – compreso appogda parte dell’Fbi. 55%-42%. Goodman nella riassumibile in: dell’Ecuador giare Donald Trump – pur di manA tarda sera lo “speaker” Paul La potente lobby della National sua trasmissione tu hai fatto un faa Londra, tenere il potere. Da qui il ricorso a Ryan ha tentato di riprendere il Rifle Association (Nra) mantiene Democracy vore a noi, a tutti una protesta politica non vista dalcontrollo dell’aula ma è stato somuna pressione costante sui politici Now, ha subito quanti, facendoci una settimana la disubbidienza civile delle battamerso da cori di protesta. Nel capicon lauti finanziamenti a praticadecostruito il provedere la verità di iniziative glie di mezzo secolo fa. tol sono risuonate grida e urla di mente ogni rappresentante repubcesso di demoora tocca a noi diCome ha detto Lewis, «dopo tutbagarre fra i contestatori e rappreblicano e la costante minaccia di nizzazione ai fenderti. ti i sit-in che ho fatto negli anni ’60 sentanti repubblicani che li hanno punire eventuali trasgressori col danni di Assange sotto processo Il modo per farlo, trovato dalmai avrei pensato che ne avrei doaffrontati. Alla fine, a notte fonda i sostegno ad avversari elettorali. per due accuse di stupro, per la stilista Vivienne Westwood, vuto fare uno dentro al parlamenrepubblicani hanno aggiornato i laDal canto loro i repubblicani hannon aver voluto usare il preservache, come gli altri ha comunque to. A volte è necessario fare qualcovori fino a luglio lasciando nuovano volentieri strumentalizzato le tivo durante rapporti sessuali caricato la propria video solidasa fuori dall’ordinario. Abbiamo tamente l’aula. I parlamentari hanpaure della propria base accusanconsenzienti e in un caso per rietà, è stato creare una maglietciuto troppo a lungo. A volte occorno tenuto il podio per tutta la notdo la «sinistra» di voler disarmare non aver voluto fare l’esame ta Free Assange fatta poi indossare fare un po’ di rumore, bisogna te dormendo in sacchi a pelo e legi cittadini che «tentano di difendell’Hiv: per la legge svedese è re ai suoi modelli nel backstage mettersi di traverso. Quel momengendo brani delle lettere di Martin dersi dai terroristi». sufficiente a configurare il reato della presentazione della sua to è nuovamente arrivato». Luther King. Paradossalmente lo spunto per di violenza carnale. nuova collezione uomo, e che In un tweet Obama ha espresso L’iniziativa “sandersiana” dei l’azione dei democratici è stata Secondo Assange la richiesta lei stessa ha indossato in passea lui e ai partecipanti la propria soparlamentari ha dimostrato una proprio l’intransigenza assoluta svedese è un pretesto per conserella quando vi è salita per raccolidarietà. inedita volontà politica ed è embleche i repubblicani hanno esteso gnarlo agli Usa, dove teme di esgliere gli applausi. Un modo per riaccendere le luci su Assange che rischia di essere dimenticato in quell’ambasciata nel disinteresse (colpevole) dei media. CUBA · Accordo tra guerriglia marxista e governo colombiano per la fine del lungo conflitto armato «Quando Julian ha pubblicato i leaks di Chelsea Manning – ha detto Hedge – ha lavorato a stretto contatto con testate come il New York Times, che poi l’hanno scaricato. Perché non vengono perseguitati anche loro? Perdi pace e che anche martedì ha reagito con ché non si spendono per lui? EpRoberto Livi scetticismo nei confronti dell’accordo raggiunpure questa è una violazione delL’AVANA to dal presidente e suo ex ministro della difesa la libertà di stampa, da giornaliSantos. Ancora vivo in Colombia è il ricordo l presidente colombiano Juan Manuel Sansti dovrebbero farlo, perché del massacro dei membri dell’Unione patriottitos e il capo della guerriglia delle Forze arquando lasci che accada una volca attuato negli anni Ottanta del secolo scorso mate rivoluzionarie di Colombia (Farc), Rota non sai poi quante altre volte da parte dei gruppi paramilitari: i quali, secondolfo Londoño “Timoshenko” seduti ai due lati potrebbe riaccadere». do le Farc, sono ancora operanti in 14 gruppi del presidente Raúl Castro, la firma e lo scamAll’evento ha partecipato anattivi in 22 dipartimenti e 146 municipi della bio dei documenti per l’accordo di cessate il che lo stesso Assange, in video Colombia . fuoco bilaterale e definitivo. E’ questa l’immagiconferenza, così come sta facenIl quinto punto degli accordi, tra i più discusne storica dell’inizio della fine del più lungo do per tutti gli eventi del prosi, riguarda la definizione dei luoghi di concen(più di 50 anni) e sanguinoso (300.000 tra morgramma. «La storia non appartrazione dei guerriglieri dove saranno oggetti ti e dispersi quasi sette milioni di rifugiati) contiene alla Nsa, ai giornalisti o ai di controllo da parte della missione politica delflitto armato dell’America latina deciso ieri nel media – ha detto dall’ambasciale Nazioni unite che dovrà verificare l’attuaziopalazzo delle Convenzioni dell’Avana. ta dell’Ecuador – ma alla civiltà ne del cessate il fuoco. Le Farc avevano propoUn vero e proprio trattato di pace, con il quaumana». Ha poi aggiunto che sto 85 zone. Alla fine, anche tenendo conto delle le Farc decidono di cessare la guerriglia e il Wikileaks sta per pubblicare le capacità della missione Onu, è stato deciso governo colombiano dà una serie di garanzie un’altra ondata di documenti su Oltre ai paesi garanti e che si limiteranno a 22 zone «territoriali e tranmilitari e politiche, raggiunto dopo quasi quatHillay Clinton, contenenti prove sitorie» e 8 accampamenti dove si concentretro anni di trattative condotte all’Avana, con la sufficienti ad incriminarla «Ma «accompagnanti», presente ranno i guerriglieri. Le zone saranno soggette a mediazione di Cuba e della Norvegia. E con il non verrà mai accusata – ha conall’Avana il vertice della un monitoraggio tripartito, composto da memsostegno della diplomazia internazionale sotinuato – è collusa con questo sibri delle Farc, da rappresentanti del governo e prattutto dell’intera America latina. Come constema da vent’anni, il quartier diplomazia mondiale per della speciale commissione Onu che dovrà esfermava ieri l’immagine della sala del palazzo generale della sua campagna, lo storico patto in 5 punti sere composta soprattutto da latinoamericani. delle Convenzioni dove, ad assistere alla firma ad esempio, senza grandi fanfaUn altro importante punto degli accordi predell’accordo, erano riuniti il presidente cubare si è spostato e adesso nello vede il cronogramma della consegna delle arnicana (presidente di turno della Comunità deno Raúl Castro e il ministro degli esteri norvegestesso palazzo, pochi piani sotmi da parte delle Farc, che saranno nella loro gli stati latinoamericani e del Caribe, Celac), se Borge Brende, in rappresentanza dei due pato, l’ufficio del procuratore genetotalità prese in carico dai rappresentanti Onu Danilo Medina, e il presidente di San Salvador, esi “garanti” e il vertice della diplomazia monrale Loretta Lynch. Fino a quansecondo un’agenda ben definita e saranno poi Salvador Sánchez Cerén. diale, con il segretario generale dell’Onu Ban do Lynch sarà il procuratore geutilizzati per la costruzione di tre monumenti Nella grande sala, di fronte ai leader delle vaKi-Moon (che in precedenza aveva incontrato nerale lei sarà al sicuro». nazionali. Parte di questo punto comprende le rie delegazioni, è stata data lettura degli accorTimoshenko) assistito dai presidenti del ConsiL’odio per Assange è assolutagaranzie per la sicurezza delle Farc e la trasfordi siglati dalle due parti, che oltre alla fine degli glio di sicurezza e dell’Assemblea generale delmente bipartisan, così come mazione della guerriglia in partito politico che scontri armati e di tutte le ostilità comprendole Nazioni Unite assieme ai presidenti degli quello per Snowden, Hampartecipi alla vita istituzionale. Il processo dono anche una sorta “mappa” per rendere ope"stati accompagnanti" il processo di pace, Mimond, Manning, accomuna vrebbe concludersi entro fine anno, e non prerativo e confermare il cessate il fuoco e per dachelle Bachelet per il Cile e Nicolás Maduro ogni tipo di potere. Nel 2017 vede una marcia indietro, ha affermato Raúl re garanzie di sicurezza sia alla guerriglia dopo per il Venezuela. Clinton dovrebbe diventare il Castro. «L’accordo di pace – ha continuato- è il disarmo, sia ai membri dei movimenti di difePer confermare l’enorme importanza dell’acnuovo presidente americano, in un esempio per milioni di persone del pianeta sa dei diritti umani, di non essere oggetto di atcordo per tutto il continente americano erano Ecuador potrebbe cambiare il per le quali il principale obiettivo è la sopravtacchi da parte di quelle «strutture criminali e anche presenti il delegato speciale degli Stati governo che gli ha concesso l’asivienza della specie... Cuba come paese garante delle loro reti di appoggio» considerati i succesUniti per il processo di pace, Bernie Aronson, e lo: bisogna portarlo via da lì, o continuerà a impegnarsi perché il processo di sori dei gruppi paramilitari appoggiati dall’ex dell’Unione europea, Eamon Gilmore, accomquanto meno, continuare a parpace possa continuare e conludersi». presidente Uribe, che si è opposto al processo pagnati dal presidente della Repubblica domilare di lui. Marina Catucci NEW YORK I Firmata la pace tra Santos e Farc I pagina 8 il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 INCHIESTA Dossier • Gli agrumi sono pagati 7 centesimi al chilo e mescolati al succo «low cost» in arrivo dal Brasile. Cosa si nasconde dietro l’aranciata che beviamo Le arance amare dei rifugia I richiedenti asilo del Cara di Mineo impiegati al nero nella raccolta dei tarocchi siciliani. La denuncia del dossier Filiera sporca, presentato alla Camera Silvio Messinetti È un rapporto shock. Un quadro a tinte forti, dove è disegnata un’Italia schiavista, in cui le forme di sfruttamento raggiungono picchi da terzomondo. “Filiera sporca 2016”, dossier a cura dell’associazione Da Sud, di Terra onlus e della testata Terrelibere.org, è stato presentato ieri alla Camera dei deputati, alla presenza dei parlamentari Celeste Costantino (Si) e Luigi Manconi (Pd). Dopo un anno di campagna, missioni di ricerca, interviste, questionari, articoli, convegni, incontri con gli agricoltori, resta la certezza che la trasparenza della filiera sia quanto mai necessaria per porre fine a un fenomeno indecente che mette in condizioni di alienazione migliaia di braccianti, stranieri e non, dal Sud al Nord Italia, dall’Europa meridionale fino in Cina. «Perché se dopo oltre vent’anni non si è riusciti a sconfiggere il fenomeno in Italia, o non si è voluto farlo o gli strumenti con cui si è intervenuto non sono stati sufficienti» si legge nel Rapporto. Filiera sporca interroga e fornisce le risposte dei grandi attori della filiera agroalimentare, denuncia la mancata trasparenza della Grande distribuzione organizzata (Gdo), il ruolo distorto delle organizzazioni dei produttori che agiscono come moderni feudatari, dimostra come il costo delle arance riduca in povertà i piccoli produttori e lasci marcire il made in Italy. Produrre 1 kg di arance da succo costa circa 22,5 centesimi: 10 centesimi per la materia prima, 2,5 per il trasporto della merce, 10 per la trasformazione e la lavorazione. Per produrre 1 kg di concentrato servono 12 kg di arance. Il costo di produzione di 1 kg di concentrato è perciò pari a circa 2,70 euro, ma le multinazionali del succo e la Gdo impongono un prezzo pari a 1,80/2 euro al kg. La differenza, pari a circa 70 centesimi, sono i costi che la filiera non riconosce. Su chi si scarica questo costo? Innanzitutto sul costo del lavoro, compreso nei 10 centesimi e pari a circa 6/8 centesimi, ma comprimibile fino a 2 centesimi nel caso dei raccoglitori di Rosarno. In secondo luogo sui consumatori che – complice anche una normativa che non prevede l’obbligo di indicare l’origine in etichetta - spesso non san- no davvero cosa stiano comprando: per rientrare dei costi le aziende utilizzano percentuali di succo bassissime. E spesso miscelate con quello low cost proveniente dal Brasile. Un dato su tutti, ben evidenziato nel Rapporto, esemplifica il problema ed è fornito dal titolare di Agrumigel: «L’industria di trasformazione fattura 400 milioni l’anno, ma si comprano agrumi per soli 50 milioni». C’è una nuova categoria tra i dannati dei campi. Sono i rifugiati-braccianti. La piana di Mineo si trova proprio nel cuore della produzione delle pregiate arance rosse di Sicilia. È su quei 2 mila ettari di superfici agrumetate che l’aria fredda dell’Etna arriva più diritta pigmentando le arance e conferendo loro il colore rosso che caratterizza la più pregiata varietà sicula, il Tarocco. Quest’anno le arance di Mineo sono andate quasi tutte all’industria di trasformazione, dove viene conferito il prodotto di scarto che la Gdo non riesce a commercializzare. Sono state pagate in media 7 centesimi al kg, «un prezzo per cui non varrebbe nemmeno la pena raccoglierle», spiegano, nel rapporto Filiera Sporca, i produttori della zona. A meno di non fare quella che viene chiamata «la raccolta in economia» ovvero assoldare figli, familiari, vicini di casa e, quando questi mancano, trovare qualcuno disposto a lavorare anche per 10 euro al giorno. I neobraccianti della stagione 2016 sono i richiedenti asilo del Cara di Mineo, il comprensorio nato per ospitare i militari dell’ex base statunitense di Sigonella e che dal 2011, con i suoi circa 4 mila ospiti, è diventato uno dei centri per rifugiati più grandi d’Europa. Qui il caporalato non c’era. È nato con il Cara. A Mineo lo Stato non rilascia i documenti. Ma consegna i profughi nelle mani dei caporali. Il fenomeno è in corso almeno da un anno «ma nel corso della campagna 2016 ha assunto dimensioni massicce», denuncia il sindacato. Ogni mattina alle 8, in sella alle biciclette comprate per 25 euro direttamente all’interno del Cara, centinaia di asilanti escono per cercare lavoro negli agrumeti circostanti. Si fermano a minuti gruppetti, con le loro biciclette ammassate sui selciati, negli incroci delle strade, in attesa che qualche produttore locale venga a prenderli per portarli nei campi. I più esperti raggiungono direttamente i campi della raccolta. Non potrebbero lavorare, perchè richiedenti asilo e privi del permesso provvisorio di lavoro che può essere riconosciuto dopo 6 mesi di permanenza nel territorio italiano, e invece davanti ai cancelli del “Residence degli aranci” - così è chiamato il villaggio di Mineo - tutto avviene in modo disinvolto. Di prima mattina, a partire dalle 7, sono autorizzati a depositare le biciclette fuori lungo la staccionata antistante l’ingresso del residence. Ma l’uscita al lavoro può avvenire soltanto a partire dalle 8, quando il grande cancello dietro cui si ammassano a decine, viene aperto dalle forze dell’ordine che presidiano notte e giorno il centro. «Lavorano in condizioni schiavistiche - ha rilevato Rocco Anzaldi della Flai del Calatino - i produttori lamentano il prezzo eccessivamente basso del prodotto ma in questo modo è l’intera economia locale ad essere danneggiata, con un dumping che spinge sempre più giù le condizioni di lavoro e contribuisce a sua volta ad abbassare i prezzi». È dunque una filiera fuori controllo in cui le difficoltà del mercato agrumicolo sono state scaricate completamente sul costo del lavoro, dove è il sistema di accoglienza dei migranti a creare le nuove vittime di capolarato e sfruttamento, con holding criminali che usano l’accoglienza per accaparrarsi fondi pubblici, funzionali solo alla speculazione economica. Per disinnescare la miscela esplosiva di sfruttamento del lavoro e marginalità bracciantile, la campagna Filiera Sporca chiede una legge sulla trasparenza che preveda l’introduzione di una etichetta «narrante» sui prodotti. E l’introduzione di un elenco pubblico dei fornitori che permetta la tracciabilità lungo la filiera. MINEO · In centinaia al lavoro ogni mattina, senza caporali «Dal Cara ai campi, per 15 euro al giorno» Angelo Mastrandrea O gni mattina alle 8, centinaia di richiedenti asilo africani escono dal Cara di Mineo, inforcano la bicicletta comprata per 25 euro all’interno dello stesso centro e si dirigono verso gli agrumeti nei quali sono impiegati al nero nella raccolta delle arance. Per la legge italiana non potrebbero lavorare perché il permesso di lavoro viene riconosciuto dopo sei mesi di permanenza in Italia, ma basta farsi un giro da quelle parti per capire quanto poco essa sia applicata e in che modo sia funzionale a creare l’ennesima situazione di sfruttamento del lavoro, al limite della schiavitù. Ai migranti dell’ex residenza destinata ai militari americani della vicina base di Sigonella che, con quattromila ospiti, è ormai uno dei centri per rifugiati più grandi d’Europa, è andata solo leggermente meglio che ai loro conterranei di Rosarno, pagati due centesimi per ogni chilogrammo di arance da succo raccolte e destinate. A loro sono andati mediamente sette centesimi, ma la cattiva stagione passata ha fatto sì che anche le arance rosse di Sicilia finissero nel circuito della trasformazione e non, pagate meglio, come agrume da tavola. La Cgil denuncia come il fenomeno del lavoro nero dei rifugiati sia in corso almeno da un anno, ma nel 2016 ha assunto dimensioni massicce. Soprattutto, avviene alla luce del sole. Ogni mattina, dopo che la polizia ha aperto i cancelli del Residence degli aranci, come paradossalmente è stato chiamato il villaggio. Gli africani si fermano gruppetti, con le loro biciclette ammassate sui selciati, agli incroci delle strade, in attesa che qualche produttore locale venga a prenderli per portarli nei campi, e non è detto che ciò accada. I più esperti raggiungono direttamente i campi della raccolta. La particolarità è che, a differenza che nella Piana di Gioia Tauro o in altri luoghi dello sfruttamento dei braccianti in agricoltura, qui non ci sono caporali Gli africani escono in bicicletta e si raggruppano agli angoli delle strade, aspettando che i produttori passino a prenderli ma tutto avviene senza intermediari, in maniera diretta. Un guineano sbarcato in Sicilia quattro mesi fa ha raccontato ai ricercatori di Filiera sporca che "non si sta male qui, però non abbiamo soldi, ci danno solo sigarette ma io non fumo, perciò sto andando a cercare lavoro». Un’altra testimonianza raccolta è quella di un venticinquenne proveniente dal Gambia: «Lavoriamo dalle 8 di mattina alle 4 del pomeriggio, ci danno da bere e qualcosa da mangiare du- il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 INCHIESTA Cosa fare • La campagna chiede un’«etichetta narrante» e un elenco pubblico dei fornitori che permetta la piena tracciabilità dell’intera filiera ETICHETTE TRASPARENTI La Ma.Pi. ideata da Mario Pianesi, fondatore dell’associazione “Un Punto Macrobiotico”, è la più completa, dal punto di vista delle informazioni, tra quelle presenti in Italia. Indica i nomi dei produttori e dei trasformatori, il tipo di terreno e la modalità di coltivazione, l’estensione dei terreni lavorati, il numero di occupati, la data di raccolta e di confezionamento delle materie prime, il numero di passaggi di filiera dal campo allo scaffale e, laddove è possibile, anche l’impronta energetica. Ci sono poi i prodotti equo e solidali: nelle etichette Ctm Altromercato vengono indicati la ati modalità di coltivazione e le caratteristiche della varietà per gli ingredienti principali, il nome dei singoli produttori nel caso di prodotti che non contengano molti ingredienti. Alce Nero, uno dei distributori bio più grandi d’Italia, ha avviato una collaborazione con SlowFood, adottando l’“etichetta narrante” inventata da Slow Food per descrivere i presidi di cibo genuino legato al territorio. Infine, sebbene sia ancora un marchio di nicchia, Funky Tomato è interessante per la modalità che prevede: passata e polpa di pomodoro prodotte attraverso una filiera partecipata, legale e trasparente in Puglia e Basilicata. SINDACATO · Galli (Flai): estendere il reato alle imprese. Domani in piazza a Bari DIRITTI Cgil: «La legge anti-caporali è ferma, il governo si muova» Trento, discriminò insegnante: scuola cattolica condannata Antonio Sciotto rima le hanno chiesto di smentire le voci secondo le quali aveva un rapporto sentimentale con una donna. Poi, al logico rifiuto di parlare della propria vita privata, le hanno chiesto di «risolvere la situazione» al più presto, un eufemismo per dire che doveva chiudere il rapporto con la sua partner. E’ quanto si è sentita dire un’insegnante dal dirigente dell’Istituto cattolico Sacro Cuore di Trento. La donna naturalmente non ha ceduto alle pressioni e per questa non è stata riassunta dall’istituto perdendo così la possibilità di vedere trasformato il suo contratto in un’assunzione a tempo indeterminato. Per questi motivi ieri il Sacro Cuore - denunciato dalla donna - è stato condannato dal tribunale di Rovereto per discriminazione. Il giudice ha riconosciuto come l'istituto stesso cambiò nel giro di pochi giorni la propria versione dei fatti più volte, inclusa quella per la quale l'insegnante avrebbe turbato i propri alunni con discorsi inappropriati sul sesso. Il giudice ha inoltre accolto le domande della Cgil del Trentino e dell'Associazione radicale «Certi diritti» di accertare «il carattere di discriminazione collettiva delle diverse dichiarazioni rilasciate dall'Istituto con le quali si rivendicava il diritto di non assumere persone omosessuali, ritenute inidonee ad avere contatti con minori». L'Istituto Sacro cuore è stato così condannato a risarcire 25.000 euro alla docente per danni patrimoniali e non patrimoniali e 1.500 euro a ciascuna delle organizzazioni ricorrenti. «È il primo caso di condanna mai pronunciata per discriminazione individuale per orientamento sessuale e la seconda per discriminazione collettiva», ha spiegato ieri il legale dell’insegnante, l’avvocato Alexander Schuster. «Si tratta ha aggiunto - della prima sentenza che condanna per discriminazione un'organizzazione di tendenza dopo l'entrata in vigore della normativa antidiscriminatoria del 2003». «Con questa decisione - ha commentato la professoressa alla notizia della sentenza - lo Stato italiano garantisce il diritto mio e di ogni altra persona a non essere discriminata. La dignità di ogni lavoratore è un principio supremo della Costituzione repubblica». Una questione che, come ha sottolineato il legale della professoressa, va oltre la discriminazione in base all’orientamento sessuale, «La sentenza - ha aggiunto Schuster - dice molto di più: garantisce i diritti fondamentali di ogni lavoratore. Infatti, questa decisione fissa un punto chiaro: i datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita». Soddisfazione per la decisione dei giudici di Rovereto è stata espressa anche dal segretario dell’Associazione Certi Diritti, Yuri Guaiana, per il quale la sentenza rappresenta «un risultato importante non solo per le parti coinvolte nel caso in questione, ma per tutta la battaglia contro le discriminazioni sul posto di lavoro». iamo preoccupati: se la nuova legge contro il caporalato e le imprese che vi ricorrono non venisse approvata entro fine luglio, rischiamo di slittare oltre l’autunno». Ivana Galli, segretaria generale della Flai Cgil, presenta così la manifestazione nazionale di domani a Bari. Flai, Fai Cisl e Uila sfileranno insieme a 10 mila lavoratori agricoli per sollecitare lo sblocco del disegno di legge 2217, congelato da ben sette mesi, e il rinnovo dei contratti provinciali. Il governo ha più volte sottolineato di ritenere prioritaria l’approvazione del disegno di legge. Come mai è ancora tutto fermo? Il ddl 2217 è rimasto bloccato in Senato, e dopo dovrà passare alla Camera. Noto con amarezza che per altri provvedimenti si sono disposti iter agevolati e fiducie, mentre questo testo si è avviato a novembre scorso e poi si è arenato. Se non si riuscirà ad approvarlo entro luglio, in settembre potrebbe essere soffocato da altre priorità, come il dibattito sulla legge di Stabilità e il referendum costituzionale. I lavoratori non possono aspettare fine anno. Anche perché nel frattempo, con l'arrivo dell’estate, le temperature nei campi sono già molto alte: la nuova legge migliorerà le condizioni di vita dei braccianti? C’è un punto che noi riteniamo molto importante: il reato penale già intro- UN MOMENTO DELLA RACCOLTA A ROSARNO, IN CALABRIA /FOTO MAURO PAGNANO-ETIKET COMUNICAZIONE rante il giorno e a fine giornata ci pagano 10, massimo 15 euro». Paghe da fame e condizioni di lavoro schiavistiche al soldo dei produttori italiani della zona, che poi rivendono gli agrumi alle multinazionali che li trasformano in succhi o alle grandi catene di supermercati, denuncia la Flai Cgil, per la quale «i produttori lamentano il prezzo eccessivamente basso del prodotto, ma in questo modo è l’intera economia locale a essere danneggiata, con un dumping che spinge sempre più giù le condizioni di lavoro e contribuisce a sua volta ad abbassare i prezzi». Una spirale al ribasso che scarica tutti i costi sull’ultima ruota del carro: i lavoratori. La frammentazione della filiera non aiuta: gli autori del dossier hanno interpellato cooperative di produttori, aziende di trasformazione e catene di supermercati, e lo scaricabarile è stato generale. Quello che emerge è solo la difficoltà di controllare realmente da chi siano state raccolte le arance, nonostante garanzie e rassicurazioni. Eppure, il fenomeno è noto a tutti: ad aprile scorso i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del lavoro di Catania hanno scoperto e deferito all’autorità giudiziaria tre imprenditori agricoli della provincia di Catania che avevano preso al nero come braccianti 45 lavoratori stranieri, di cui 14 richiedenti asilo politico ospiti del Cara di Mineo. Il responsabile commerciale di un’azienda di trasformazione ha confermato: «Lo sanno tutti coloro che abitano nei nostri territori che la raccolta delle arance è fatta sempre più da personale estero con una paga inferiore al prezzo di tariffa creando concorrenza alla manodopera locale e inficiando la regolare concorrenza tra aziende». Il prezzo basso è un indicatore che a monte c’è qualcosa che non va. Dunque, occhio al prezzo. TRENTO P «S UN GRUPPO DI IMMIGRATI NEI PRESSI DEL CARA DI MINEO (CATANIA): TANTI DIVENTANO BRACCIANTI SFRUTTATI PER LA RACCOLTA DELLE ARANCE /FOTO SARA FAROLFI-FILIERA SPORCA pagina 9 BRACCIANTI NELLE CAMPAGNE DI ROSARNO, IN CALABRIA /FOTO MAURO PAGNANO-ETIKET COMUNICAZIONE La Rete di qualità e il bollino per l’ortofrutta «etica» non decollano: risorse insufficienti alla Cabina di regia Inps dotto con il 603 bis per i caporali viene esteso alle imprese che vi ricorrono, inasprendo le sanzioni. Poi si rendono strutturali delle misure che abbiamo già anticipato nel Protocollo firmato in maggio con istituzioni, imprese e associazioni: l’affidamento del raccordo tra domanda e offerta di lavoro agli uffici Cisoa delle Inps provinciali; le convenzioni per offrire trasporti trasparenti e legali dalle abitazioni ai campi; la creazione di alloggi vivibili, utilizzando ad esempio edifici di proprietà demaniale o confiscati alle mafie. Per concretizzare non basterà la legge, sarà poi fondamentale l’applicazione nei territori grazie a tutti i soggetti coinvolti. Per diffondere la cultura della legalità e dell’ortofrutta "etica" si attende ancora l’istituzione del bollino per le aziende che rispettano le regole: in modo che al supermercato si possa selezionare e comprare solo da imprese pulite. Che fine ha fatto? Il bollino è contenuto anch’esso nel ddl 2217, e anche per questo ne sollecitiamo l’approvazione. Sarà disponibile per tutte quelle imprese che saranno iscritte alla Rete del lavoro agricolo di qualità, poi dovremo cooperare tutti perché gli acquisti di massa - dai supermercati fino al piccolo dettaglio - si indirizzino verso le filiere, marchi e aziende che applicano tutte le regole e rispettano i diritti dei lavoratori. Ma la Rete è decollata? Gli ultimi dati diffusi qualche mese fa non sembravano incoraggianti. La Rete è stata avviata, ma non potrà mai decollare veramente se non si investirà innanzitutto sulla Cabina di regia coordinata dall’Inps. Non si possono fare le nozze coi fichi secchi: a sbrigare tutte le pratiche ci sono soltanto cin- que impiegati, senza un software adeguato, fanno tutto a mano e con il telefono. Secondo i dati che ho potuto vedere questa settimana, sono state accolte le domande di 896 imprese, mentre 1.384 sono in attesa di risposta. Ma il bacino potenziale è di oltre 100 mila imprese, quindi noi ci auguriamo davvero che i numeri crescano. E se arrivassero tante domande, con cinque impiegati e senza software, il paradosso è che tutto potrebbe rimanere ingolfato. Se già non lo è. Ritengo infatti che la riuscita della Rete sia molto importante: si parte da una autocertificazione al momento della domanda, ma poi gli addetti della Cabina di regia Inps inoltrano richiesta di dati all’Agenzia delle entrate, al Casellario giudiziario, si verifica la presenza del Durc e la regolarità di contratti e versamenti fiscali e previdenziali. Un accertamento a 360 gradi sulle imprese, peraltro volontaria: direi, in qualche modo, una novità in Italia. Il salto culturale, se dovesse riuscire questo esperimento, sarebbe in effetti notevole: imprese che chiedono di essere certificate, un bollino per fare acquisti garantiti sul piano etico. Ma i controlli sono solo sulla carta. Per quanto riguarda le ispezioni nei campi a che punto siamo? Le ispezioni sono aumentate, non c’è dubbio, e gli imprenditori si sentono sotto pressione. Ovviamente non possono arrivare in ogni singolo campo, e tante piccole aziende restano nel sommerso. I dati del 2015 parlano di 8.862 imprese agricole ispezionate, con 6.153 lavoratori che sono risultati irregolari, e 713 episodi di caporalato rilevato. Non possiamo mollare: non solo chiediamo urgentemente di approvare il ddl 2217, ma proporrò a Fai e Uila di sollecitare insieme lo stanziamento di maggiori risorse per la Cabina di regia della Rete del lavoro di qualità. Un apposito Regolamento, che speriamo verrà elaborato a breve, dovrà fissare infine le modalità di verifica periodica sulle certificazioni e i bollini emessi. pagina 10 il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 CULTURE CODICI APERTI Non solo business e attivismo. La Rete è usata anche per attività criminali che vanno prevenute attraverso sistemi pervasivi di controllo che minacciano però la libertà di espressione. Un sentiero di lettura Vincenzo Scalia L a prorompente affermazione della rete telematica come fulcro dei rapporti sociali ha portato alcuni studiosi a parlare di «terzo spazio»: al pari dell’ambiente naturale e della società, ci troviamo in un contesto caratterizzato dalle sue proprie regole, da dinamiche indipendenti, da conflitti peculiari, da rappresentazioni e identità del tutto inaspettate. Sul piano della criminalità, anche all’interno del terzo spazio si produrrebbero nuove opportunità, che spaziano dalle truffe online alla pedopornografia, passando per il cosiddetto «cyberterrorismo». In altre parole, la Rete, oltre ad aumentare e a modificare le possibilità relazionali sortisce altresì l’effetto di produrre panico, con nuovi imprenditori morali pronti ad agitare lo spauracchio di inedite minacce, da esorcizzare con l’attuazione di misure speciali. Le ricadute di questa deriva «securitaria» per la Rete lambiscono anche la dimensione politica. Dal momento che il terzo spazio si struttura sin dall’inizio come pubblico, al suo interno si producono due tipologie di lotte politiche: la prima, riguarda l’utilizzo di Internet per creare e diffondere pratiche politiche alternative. Non a caso, molti dei movimenti recenti, come Occupy Wall Street e le primavere arabe, hanno nella Rete un habitat fertile per diffondersi. La seconda, concerne la resistenza e l’insubordinazione nei confronti di un potere che si manifesta anche sotto forme cibernetiche. A questa tipologia vanno iscitti molti gruppi hacker o mediattivisti, o i casi di Julian Assange ed Edward Snowden. Si crea dunque un’ulteriore prospettiva sulla sicurezza in rete, dove le strategie di controllo e il panico morale si intrecciano direttamente con la prevenzione e la repressione della nascita di discorsi e pratiche alternative, sfociando in un vero e proprio securitarismo cibernetico. Al bazaar dell’identità Quanto è reale la minaccia del cybercrime? Come si distingue dagli altri tipi di criminalità? Come si articola la dialettica tra libertà e sicurezza? I criminologi conservatori, come Peter Gottschalk, rispondono attraverso l’identikit del cybercriminale: individuo dotato di abilità specifiche, geloso della propria identità illegale, che utilizza la rete per i propri scopi illeciti, e agisce all’interno di reti criminali: ne consegue la necessità di controllare e limitare l’uso della rete, attraverso la creazione di una cyberpolizia che si avvalga della tecnologia più sofisticata. James Treadwell, Goldsmith e Brewers si preoccupano di criticare questa impostazione, mettendone in rilievo i limiti. Il primo sottolinea come la rete costituisca un vero e proprio bazaar: è possibile trovarvi gli attori più svariati, che operano in ambiti diversi. Internet, sostiene Treadwell, si connota proprio per la sua fluidità: non soltanto è possibile adottare identità multiple, ma KAMIL KOTARBA, «HIDE AND SEEK» La cibernetica della sicurezza anche si può operare contemporaneamente nell’ambito di domini legali e illegali, grazie alla garanzia dell’anonimato. Questo vale anche per le attività illegali. Su internet, come nello spazio sociale, vengono commessi per la maggior parte reati di lieve entità, e i perpetratori, come mostra uno studio su alcuni operai dell’East End di Londra, non sono criminali abituali, né posseggono sofisticate abilità. Realizzano frodi di piccolo calibro quando si trovano in difficoltà economiche e, in maniera intermittente, oltre che singolarmente. I secondi si muovono sullo stesso solco di Treadwell, parlando dell’esistenza di una vera e propria «deriva digitale». I fruitori della Rete perseguono una molteplicità di comportamenti, attuata in modo non strutturato, e secondo finalità spesso strumentali. Di conseguenza, i legami che si creano sul web, denotano una certa caducità, che rende difficile parlare dell’esistenza di network criminali. Anche nel caso di terrorismo e pedopornografia, spiegano gli autori, spesso ci troviamo di fronte o a individui isolati o a reti che hanno una durata temporale limitata, non sempre composte dalle stesse persone. Ad esempio, i cosiddetti Vpn (Virtual Private Networks), utilizzati dai pedopornografi, rischierebbero di attirare troppo l’attenzione, qualora la loro esistenza si prolungasse nel tempo. Queste letture, per quanto importanti, tralasciano però due aspetti del cybercrime tanto cruciali quanto speculari al dibattito sulla criminalità che attraversa la sfera pubblica non virtuale: quanta sicurezza bisogna garantire ai fruitori della rete? Chi deve garan- tirla? Lo Stato, attraverso i suoi apparati preventivi e repressivi, rientra in gioco, mettendo in scena le tematiche del controllo sociale e del rapporto tra libertà e sicurezza. Questi aspetti denotano implicazioni direttamente politiche: come nel secondo spazio il discorso «securitario» ha catalizzato la repressione del dissenso, così, nel terzo, la minaccia cybercriminale può diventare un arma contundente da brandire verso tipologie sempre più ampie di comportamenti non conformi al circuito intrattenimento-produzione-consumo. La regolamentazione statale della rete, presenterebbe un problema qualitativamente rilevante, che Daniel Geer, nella raccolta di saggi Cybercrime. Digital Cops in a Netwrok Environment (New York University Press, pp.270, seconda edizione), mette in relazione con la cosiddetta «fisica digitale». A differenza dello spazio materiale, il terzo spazio si caratterizza per la sua fluidità, volatilità e imprevedibilità, caratteristiche che si incrociano con la tutela delle libertà civili e del libero mercato. Ne consegue la riottosità da parte degli individui e degli attori economici a fornire informazioni vitali per la loro esistenza e i loro interessi agli attori del controllo sociale, che renderebbe problematico implementare ogni tipo di misure di sicurezza in rete. In realtà, secondo quanto afferma Lee Tien nello stesso volume, la lettura della rete come flusso libero e incontrollato di relazioni e informazioni si rivela, ad uno sguardo più accurato, limitata, nella misura in cui la rete funziona secondo il principio della regolamentazione architettonica. Come una casa orienta e determina i nostri movimenti secondo la sua conformazione, così la rete orienta i nostri percorsi digitali, creando le condizioni per un controllo ex ante, vale a dire imperniato sulla pre-determinazione della navigazione telematica. A differenza dell’ambiente fisico-sociale, dove le sanzioni vengono comminate ex post, il computer limita e dirige fin dall’inizio la nostra deriva nello spazio digitale. Sorveglianti «carnivori» È all’interno di questa cornice pre-regolamentata che si crea lo spazio per una nuova forma di sorveglianza: orizzontale, impercettibile, pervasiva, in altre parole, come la definisce lo studioso canadese David Lyon relazionale. I social network che frequentiamo, le persone con cui chattiamo, i siti che visitiamo, riescono ad essere monitorati da sistemi digitali di controllo, che si avvalgono di una domanda di sicurezza a più ampio raggio per monitorare sia gli attori che le comunicazioni «a rischio». È questo il caso del progetto Carnivore, un programma di sorveglianza predisposto dall’Fbi e approvato dal Congresso Usa all’indomani dell’11 settembre. Le forze dell’ordine possono tenere sotto controllo, dietro approvazione della procura distrettuale, e per periodi di tempo limitati, quegli individui e quelle porzioni della rete sospettate di terrorismo. L’autorizzazione alla sorveglianza può essere rinnovata qualora dalle indagini risulta qualcosa che induce a ritenere fondati i sospetti, quindi a richiedere necessari ulteriori supplementi di indagine. Il progetto Carnivore è stato duramente contestato dalle organizzazioni atti- WIKILEAKS Assange sarà interrogato nell’ambasciata dove si è rifugiato Julian Assange è da tre anni «ospite» a Londra dell’ambasciata dell’Ecuador. Il fondatore di Wikileaks si è rifugiato lì per sfuggire a una estradizione in Svezia dove deve presenziare a un processo per stupro. Assange ha sempre respinto queste accuse, sostenendo che sono state montate ad arte per interrompere la sua attività di controinformazione nella Rete. In questi tre lunghi anni ha chiesto al tribunale svedese di essere interrogato nella sede dell’ambasciata. Richiesta respinta fino a pochi giorni fa, quando, dal ministero della giustizia scandinavo, lo stesso giudice ha mandato a dire che Assange sarà interrogato a Londra. Tempi e modi dell’incontro saranno concordati dagli avvocati di Assange. La vicenda del fondatore di Wikileaks sembra così avviarsi su una strada al termine della quale il suo «esilio» forzato potrebbe terminare, consentendogli quella mobilità e presenza in Rete da sempre ricercata in questi anni. Recentemente Assange ha partecipato on line a una iniziativa svolta in diverse città europee dal titolo «Prima vennero per Assange» che si rifà alla famosa poesia e piece teatrale sulla cancellazione della libertà da parte dei nazisti. In Italia la città è stata Napoli e il luogo il centro sociale «l’Asilo». Gli interventi dei partecipanti e di Assange possono essere consultati al sito: www.exasilofilangieri.it/prima-vennero-per-assange/ ve nella difesa dei diritti civili, non soltanto perché viola la privacy e la libertà di espressione, ma anche perché è diretto soprattutto verso i cittadini americani di origine araba o di religione musulmana, comportando la criminalizzazione a priori di interi strati della popolazione. A fianco del progetto Carnivore, come ha svelato Edward Snowden nel 2013, esistono altri programmi di controllo della rete, elaborati ed implementati dalla National Security Agency, che si connotano per essere molto più sofisticati e articolati. L’agenzia di sicurezza interna, infatti, si connota come l’attore principe della sorveglianza relazionale, laddove i suoi programmi di controllo non riguardano solo i presunti terroristi musulmani, bensì l’intera popolazione. Utenti da addomesticare Il lavoro di sorveglianza della rete, si prefigge dunque di monitorare ogni forma di comunicazione, relazione e pratica che vanno in senso contrario alla regolamentazione architettonica, quindi di monitorare le attività di gruppi e reti alternative. In questo contesto, figure del calibro di Snowden e Assange risultano pericolose, in quanto non soltanto disvelano la filigrana degli intrecci di potere attuali, ma dimostrano anche la possibilità di ribaltare il flusso securitario attraverso un utilizzo della rete che si muove in direzione contraria a quello convenzionale, che vuole creare un utente docile, controllabile e addomesticabile. Come nello spazio materiale il panico morale attorno ad alcuni reati di piccola entità fornisce il destro all’attuazione di misure repressive che passano attraverso la criminalizzazione di settori specifici della società, così nella rete, l’allarme per i cybercrimes, amplificato dalla paura del terrorismo, diviene il cavallo di Troia per l’azione repressiva e per la messa in atto di nuove forme di controllo sociale, nonché per la repressione di nuove forme del dissenso. Dall’altro lato, è la stessa fluidità della rete a permettere la produzione e la diffusione di saperi e pratiche dissenzienti, sia attraverso azioni individuali, come quelle di Snowden, sia attraverso la creazione di esperienze più strutturate, come Wikileaks. La talpa comincia a scavare nella rete. Ma il tunnel è ancora lungo. il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 CULTURE oltre A DUINO RITORNA LA POESIA Nell’ambito delle «Residenze Estive 2016, incontri residenziali di poesia e letteratura a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia» in corso fino al 27 giugno e dedicato quest’anno al tema dei confini vecchi e nuovi, oggi sarà la tutto volta di Rossella Tempesta, Rachel Slade, Cristina Micelli, Claudio Grisancich, Gabriella Sica, Mary B. Tolusso, Federico Rossignoli. E in serata appuntamento con le letture poetiche di Ottavio Rossani, Antonella Anedda, Marco Marangoni e Laura Accerboni. Gli incontri residenziali, MOSTRE · «Emilio Vedova Disegni», in corso a Venezia (Magazzino del Sale) fino al 1 novembre Quel diagramma della realtà, fra disegno e dipinto Tiziana Migliore E milio Vedova Disegni, la mostra veneziana presentata dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, a dieci anni dalla scomparsa dell’artista, mette sotto gli occhi un Vedova sorprendentemente nuovo. Allestita nella sede espositiva del Magazzino del Sale, Zattere 266, e in corso dal 29 maggio al 1 novembre 2016, la personale riunisce per la prima volta un corpus di trecento opere su carta, appartenente all’archivio della Fondazione, restaurato da Luisa Mensi e in gran parte inedito, che va dagli esordi nel 1935 fino agli ultimi lavori nel 2005. Di colpo questi piccoli disegni cromatici, spessi e tattili, situano lo spettatore a tu per tu con l’artista, chez lui, educandolo a una combattività quotidiana. «Ogni giorno è un giorno», recitava un cartello scritto a mano da Emilio Vedova e appeso nel suo studio. Di esercizio, di impegno, di attenzione all’esperienza, nella lotta fisica e psichica con ritmi del mondo a cui dar forma (informale, qui è un’etichetta inappropriata). Il catalogo edito da lineadacqua, con splendide fotografie, lo rivela. È un impatto che il grande formato della più nota produzione di Vedova non può suscitare. La mostra rende conto del rapporto fra disegno e dipinto. I curatori, Germano Celant e Fabrizio Gazzarri, che è anche direttore dell’Archivio e della Collezione Vedova, distinguono tre momenti. I lavori giovanili, dal 1935 al 1940, sono esposti all’inizio del percor- Il percorso costruito da Germano Celant e Fabrizio Gazzarri copre l’arco artistico dal 1935 al 2005 so, in due teche, custoditi a testimoniarne il valore affettivo. Vedova li ha infatti protetti in anni difficili e nei vari traslochi fra i suoi studi. Si vedono l’Autoritratto del 1937, un nervoso gessetto su carta, seguito da inchiostri degli interni architettonici di Sant’Agnese (1936) e di San Salvador (1936) e da studi delle Fondamenta alle Zattere (anni Trenta), della facciata di San Moisé (1937), di Ballerine (1937). Provano l’uso del disegno come diagramma di sensazioni del divenire della realtà. L’azione grafica è in presa diretta, e futurista, perché fissa su carta il tempo, non la dimensione spaziale. Sapientemente, il secondo momento del percorso riproduce in scala questa sismografia, con un compatto patchwork a parete – 27 metri di lunghezza e 3 di altezza – di disegni compresi fra il 1940 e il 2005, ma montati in ordine sparso. Una sorta di murales dai bordi sfrangiati, continuo alle teche e posto sullo stesso lato, che magnifica la vitalità del metodo di Vedova. Immagine di uno street artist ante litteram. Ciascuno dei disegni è reciprocamente un frattale del murales. Segna l’abbandono della rappresentazione mimetica a favore di un reportage figurale: tracciatura di respiri, di battiti cardiaci, di nervosismi in compresenza di avvenimenti politici. Il Personaggio/Incubo (194142), il Combattimento (1942-43) e i Senza Titolo degli anni della guerra e della partecipazione alla Resistenza, i cicli della protesta, lo Scontro di situazioni, gli affreschi del Brasile, Intolleranza 60, Prome- teo, i Plurimi dell’Absurdes Berliner Tagebuch 64, il Cile contro di Pinochet, la Spagna contro di Franco, i cicli del Messico e i dipinti del De America vanno letti secondo il filo coerente di una cronaca sensomotoria del proprio tem- po. Da «semionauta» (Celant), Vedova inventa una sua scrittura della realtà. Il gesto non si inscrive mai in orizzontale, con il piano collocato a terra come in Pollock, ma in verticale, perché di fronte all’evento. pensati e ideati da Gabriella Musetti, sono organizzati dalla Rivista e Associazione culturale Almanacco del Ramo d'Oro, in collaborazione con la Società italiana delle letterate, Vita Activa editoria e altre realtà locali e nazionali. Il programma sul sito www.societadelletterate.it Sul De America, un ciclo di cinquanta tele tra il 1976 e il 77, paradigmatiche dei soggiorni e viaggi americani, uscirà a breve, per Skira, un volume a cura di Celant, con ricerche biografiche e documentarie di Laura Lorenzoni. Mentre, a partire dal 15 luglio, nello spazio polifunzionale della Fondazione, è prevista la rassegna di concerti Euroamerica, a cura di Mario Messinis, con Chick Corea, Uri Caine e Jack Quartet fra gli altri. Il terzo momento della personale ricongiunge disegno e dipinto, tramite due serie di teleri degli anni Ottanta, di cui alcuni inediti, movimentati nello spazio del Magazzino. Il sistema meccanico-robotico di alta tecnologia progettato da Renzo Piano sembra «strappare» le opere dal muro e rianimarle per esaltare la continuità, la spinta in avanti, dalla fase fondante e preparatoria del disegno, comunque policromo, al quadro. Legittimo interrogarsi sulla linea di demarcazione tra l’uno e l’altro. La tecnica, certo: sanguigne, matite, inchiostri, carboncini e pastelli, rispetto al colore a olio del dipinto. Ma soprattutto il supporto: carta versus tela. È la carta a favorire la velocità dell’operare, con l’inconfondibile Pentel pen, il pennarello nero che schizza in un aspetto a metà fra parola e immagine. Perciò Annabianca Vedova ha definito «quasi disegni» le decine di tele dei primi anni Ottanta non preparate, lavorate con idropittura e pastelli, che hanno dato adito a un fiume in piena di aggressive sequenze segniche. Sempre la carta, priva di cornice, permette relazioni di prossimità, di intimità. Se ogni buona mostra trasforma il suo visitatore, Emilio Vedova Disegni accende il desiderio di toccare queste carte, di averne una per sé, di studiarle da vicino, singolarmente, in un accessibile archivio. SAGGI · «Gestapo. La storia segreta» di Frank McDonough per Newton Compton Una vasta opera di delazione Guido Caldiron P er quanto paradossale possa apparire a prima vista, il recente studio dedicato dallo storico britannico Frank McDonough alla polizia segreta del Terzo Reich più che documentare gli orrori di cui si rese protagonista quel settore dell’apparato repressivo nazista, tema per altro ben documentato nel volume, ci restituisce uno spaccato della società tedesca dell’epoca evidenziando le diverse forme di consenso che agirono nei confronti del regime hitleriano. Già autore di diverse opere dedicate al nazionalsocialismo, in Gestapo. La storia segreta (Newton Compton, pp. 282, euro 12,00), McDonough analizza infatti la formazione e il funzionamento di quel corpo di polizia che ebbe un ruolo decisivo dapprima nell’eliminazione degli oppositori interni di Hitler e quindi nello sterminio ebraico, alla luce della sua stretta relazione con i meccanismi di funzionamento della realtà sociale e delle dinamiche interne alla Germania degli anni Trenta. Basandosi sull’ampia mole di documenti, oltre 73 mila dossier, relativi ad altrettanti fascicoli aperti dalla Gestapo nei confronti di presunti oppositori del nazismo e di «nemici della razza», ancora oggi disponibili presso gli archivi di Düsseldorf, lo studioso arriva così ad evidenziare «quanto fosse forte il sostegno popola- re al lavoro della polizia segreta» e quanto fuorviante dal punto di vista storico sia invece l’immagine comunemente diffusa di un apparato «in grado di imporre la propria volontà su una popolazione terrorizzata». Nata nel 1933, la Gheim Staatpolizie, polizia segreta di Stato, abbreviata in Gestapo, divenne di fatto la «polizia politica» del regime cui fu demandato il compito di eliminare l’opposizione, soprattutto comunisti e socialdemocratici ma anche membri delle chiese evangelica e cattolica, gli elementi «antisociali» come primo piano della macchina repressiva nazista e vide affluire molti giovani di «belle speranze» desiderosi di una rapida e brillante carriera. Al punto che «nel 1938 il 95% dei direttori regionali della Gestapo avevano preso il diploma; l’87% si era in seguito laureato e una metà di questi aveva poi conseguito anche il dottorato». In altre parole, perlomeno i vertici medio alti del corpo rappresentavano un campione significativo del consenso che la borghesia tedesca esprimeva nei confronti dello Stato nazista. Il volume sarà presentato oggi alle 12 in Piazza Cavalli (Portici di palazzo Gotico) a Piacenza nell’ambito del festival «Dal Mississippi al Po». Insieme allo scrittore britannico, ospiti di questa edizione anche Daniel Wallace e Ashley Kahn rom, omossessuali e malati di mente, e, in seguito alle leggi razziali di Norimberga del 1935, gli ebrei che nella maggior parte dei casi furono, in Germania come nei paesi occupati durante il conflitto, arrestati e deportati verso i lager proprio dagli uomini di questo corpo di sicurezza. Nata a partire da una precedente struttura di polizia politica che operava in Prussia fin dal 1918, e inglobando perciò anche un certo numero di agenti già in servizio al momento dell’ascesa al potere di Hitler, la Gestapo divenne rapidamente un settore di Un’altra, e ancor più sinistra evidenza riguarda la constatazione che buona parte dell’attività della polizia segreta, a partire proprio dall’individuazione dei «sospetti», fu resa possibile dalla collaborazione attiva della popolazione. Infatti, segnala McDonough, «si calcola che il 26% di tutti i casi di indagini avviati dalla Gestapo partissero dalla denuncia di un cittadino comune. Per converso, solo il 15% di essi muoveva dalle attività di sorveglianza della polizia segreta». Una vasta opera di delazione pagina 11 che attraversava l’insieme della società tedesca dell’epoca, anche se «era raro che un cittadino delle classi superiori o della borghesia istruita riferisse un comportamento di dissidenza» verso il regime, mentre invece «gli appartenenti alla piccola borghesia o alla classe operaia erano ben rappresentati fra coloro che presentavano denunce». Inoltre, un’analisi su un campione di 213 denunce esaminate dallo studioso, «ha mostrato che nel 37% dei casi qualcuno denunciava qualcun altro per risolvere un contrasto personale». I «buoni cittadini», vale a dire coloro che non rientravano in nessuna delle categorie ritenute pericolose o tout-court nemiche della Germania nazista, non solo non sembravano temere gli uomini della polizia segreta, ma anzi vi facevano ricorso per regolare attraverso la delazione una qualche controversia di natura privata. Una considerazione, insieme agli effetti perversi della Guerra fredda, che a detta di McDonough forse aiuta a spiegare anche il perché malgrado la Gestapo sia stata definita nel primo processo di Norimberga come «un’organizzazione criminale» al pari delle SS, dopo il 1945 «vennero reintegrati in occupazioni del servizio pubblico circa il 50% degli ex agenti della polizia segreta» e anche coloro che «non trovarono una nuova occupazione non ebbero difficoltà a farsi assegnare una pensione generosa». ARCHEOLOGIA Ad Aquileia, memoria necessaria Valentina Porcheddu M ercoledì 22 giugno è stata presentata a Roma, presso il Salone del ministro del Mibact al Collegio Romano, l’attesa mostra Leoni e Tori dall’antica Persia ad Aquileia. La rassegna – la cui inaugurazione è fissata per domani – s’inscrive nel progetto Archeologia ferita promosso dalla Fondazione Aquileia, che tra dicembre 2015 e febbraio 2016 ha già portato al museo archeologico della città friulana alcuni capolavori del Museo Nazionale del Bardo di Tunisi. Se in quest’ultimo caso lo scopo era di offrire un approdo di pace a un’istituzione culturale colpita nel marzo 2015 dalla violenza del terrorismo islamico, la seconda tappa del percorso amplia lo sguardo. Le «ferite» che la Fondazione Aquileia si propone di narrare in collaborazione con il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia e col sostegno della Camera di Commercio di Udine e della Fondazione Bracco appartengono a un lontano tempo di guerre e saccheggi, che ha ancor oggi un messaggio da consegnarci. A ben riflettere, infatti, gran parte del patrimonio archeologico del mondo conserva tracce di devastazioni e della volontà di cancellare l’identità del nemico o del diverso da sé. L’esposizione, visitabile fino al 30 settembre al Museo Archeologico di Aquileia diretto da Marta Novello, è dedicata all’arte achemenide e sasanide, con pregevoli manufatti provenienti dai musei archeologici di Tehran e Persepoli. Aquileia, che fu uno dei più grandi e floridi centri politici, amministrativi e commerciali dell’Impero romano, resistette alle incursioni di Alarico ma l’8 luglio del 452 d.C. dovette cedere alla furia di Attila. Persepoli era invece uno splendente agglomerato urbano quando Alessandro Magno, nel 330 a.C., arrivò davanti alle sue mura. Tre mesi dopo, un incendio – ordinato o causato dallo stesso condottiero macedone – distrusse la più maestosa città che l’uomo avesse costruito: crollarono i muri e le colonne; le lamine d’oro che ricoprivano le statue e il trono si fusero e di Persepoli restarono solo le rovine che tuttora si ergono a cinquanta chilometri dall’attuale città di Shiraz. A quasi ottocento anni di distanza, la memoria di due «metropoli» annientate si ricongiunge idealmente nella mostra Leoni e Tori dall’antica Persia ad Aquileia. L’iniziativa aspira, inoltre, ad accompagnare il rilancio del dialogo e la ripresa d’interesse nei confronti della Repubblica Islamica dell’Iran, attraente partner culturale e, in potenza, politico ed economico. A patto che la bellezza possa esprimersi pienamente nella sua forma originaria e pura, nel rispetto dell’arte ma anche dei diritti umani. pagina 12 il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 VISIONI Festival • Cinema Ritrovato, da sabato a Bologna, festeggia i trent’anni. Un cartellone che intreccia i restauri della Russia pre-rivoluzionaria, Marlon Brando e il muto italiano «BROADWAY» DI P.FEJOS, A SINISTRA «LA PROMESSA» DEI DARDENNE, A DESTRA MARLON BRANDO. IN BASSO «SEGRETI DI FAMIGLIA» DI J.TRIER Giuliana Muscio BOLOGNA S e non fosse stato per il fascismo e i pregiudizi legati alla Questione meridionale e all’emigrazione, forse oggi Paul Porcasi sarebbe se non una star, un attore famoso. Questo ci rivela il suo film d’esordio, il fantasmagorico art deco Broadway di Paul Fejos, una delle tante rarità nella trentesima edizione di Cinema Ritrovato. Tratto da un popolarissimo musical che il siciliano Porcasi aveva interpretato con successo a Broadway, capostipite del genere gangster ma con un intreccio musicale, Broadway elabora il primo collegamento tra contrabbando di alcol e intrattenimento, tra mondo dello spettacolo e criminalità - un’associazione che non deve farsi però pregiudizio automatico. In Broadway Porcasi interpreta Nick Verdis, il proprietario del Paradise Club in cui sognano di diventare star i protagonisti del film; e il type-casting hollywoodiano lo vedrà spesso nel ruolo dell’impresario, come nella memorabile interpretazione di Apolinaris nel musical cult di Busby Berkeley, Footlight Parade. Ma neppure l’accurato catalogo del festival cita Porcasi nella filmografia di Broadway; non per negligenza, ma perché questa generazione di attori meridionali emigrati è stata marginalizzata dal pregiudizio antitaliano negli Usa e non è mai stata «reclamata» come italiana dal regime, cancellando così l’intera gloriosa storia dello spettacolo italiano nei media americani prima degli anni Settanta. Una storia che riguarda anche Francis Coppola (il nonno materno, Francesco Pennino, componeva sceneggiate italoamericane), presente al festival non solo con copie restaurate di Apocalypse Now e Il Padrino nella sezione dedicata a Marlon Brando, ma anche col documentario The Family Whistle di Michele Russo sulla stirpe Coppola vista da Bernalda in Lucania, il paesello natio. A proposito di Brando, da non perdere Un tram che si chiama Desiderio in originale, per apprezzare la sua voce stridula e particolarissima quando grida «Stella!!!» in canottiera, o l’eccentrico we- IL PROGRAMMA La storia nascosta degli italoamericani Gli attori meridionali emigrati negli Usa sono stati cancellati Come è accaduto a Paul Porcasi, protagonista di «Broadway» stern con scenari marini da lui diretto, I due volti della vendetta. Insomma un gioco di scatole cinesi tra sezioni di un programma fittissimo, che propone più di quattrocento film in otto giorni, il 60% dei quali in pellicola: dai fratelli Lumière (con una mostra fotografica a documentarne la preveggenza tecnologico-figurativa) e la riproposta della «prima serata» di proiezione al Boulevard des Capucines, a restauri e ritrovamenti, da Cuba a Taipei al Giappone a colori, dalla Russia pre-rivoluzionaria con i capolavori di Bauer e Protazanov, al cinema italiano muto ritrovato del 1916 che include Il figlio della guerra, scritto dall’attrice Bianca Virginia Camagni (anche regista ma di film fi- nora perduti) ai film di Marie Epstein. Le donne infatti hanno una loro visibilità, con una nicchia per la sceneggiatrice Anita Loos, che oltre a scrivere le didascalie del mitico Intolerance dopo essersi studiata quelle di D’Annunzio per Cabiria, come ha raccontato in una serie di articoli su «Photoplay» sfoga la sua ironia nel MontyPythonesco Leaping Fish con un Douglas Fairbanks detective strafatto di cocaina, o scrive l’antirazzista The Half-Breed e The Social Secretary, che tratta di molestie sessuali. Tra l’altro Loos è l’autrice dello sperimentalissimo romanzo Gli uomini preferiscono le bionde (1925) in cui inventa la goldigger svagata Lorelei, resa famosa in seguito da Marilyn, e prende in giro Freud. Non mancano i documentari come quelli di Robert Drew sui Kennedy, versione americana del cinema veritè, basata su un’osservazione partecipata degli eventi, senza commento fuori campo, in cui i personaggi (qui JFK) agiscono nella quotidianità, mentre la macchina da presa ne spia le azioni, durante la campagna per le primarie, nello Studio Ovale o al Ministero di Giustizia quando Bob Kennedy seguiva la crisi razziale in Alabama,. Tante proposte per stuzzicare l’appetito dei cinefili e di un pubblico vero che la cineteca sta cercando di (ri)costruire non solo con le proiezioni in Piazza grande e lo spazio bambini, ma anche con un evento educativo per gli esercenti europei. Su schermi la pellicola con Keaton e Astaire 500 film in 8 giorni attraverso tutti i continenti. Così Cinema Ritrovato (25 giugno-2 luglio) festeggia i suoi 30 anni. Per l’apertura, sabato, in Piazza maggiore, proiezione di «Tempi moderni» di Charlie Chaplin, nel restauro della Cineteca di Bologna accompagnato dal vivo dall’Orchestra del Teatro Comunale della città. Mercoledì 29 giugno verranno presentati i nuovi restauri di due film di Buster Keaton, «The High Sign»(Tiro a segno) e «Cops» (Poliziotti). Un altro grande protagonista dell’epoca muta tornerà a vivere grazie all’impegno della Cineteca di Bologna e del suo laboratorio L’Immagine Ritrovata; la sua intera opera sarà al centro di un pluriennale progetto di restauro. Omaggio a Marlon Brando col restauro del suo leggendario unico film da regista, il western «One-Eyed Jacks» (domenica 26 giugno, ore 21.45, Piazza Maggiore), il documentario «Listen to me Marlon» e i ricordi di Bernardo Bertolucci. E poi, sempre in pellicola, «Riflessi in un occhio d’oro» di John Huston con Marlon Brando e Liz Taylor le copie dalla collezione personale di Martin Scorsese di «Singin’ in the Rain» di Stanley Donen e Gene Kelly e «The Band Wagon – Spettacolo di varietà» di Vincente Minnelli con Fred Astaire e Cyd Charisse. www.festival.ilcinemaritrovato.it IN SALA · «Segreti di famiglia» di Joachim Trier, tra adolescenza, crisi maschili e ossessione materna Il negativo nascosto di una fotografia famigliare Cristina Piccino L ouder than Bombs , Più forte delle bombe, era il titolo originale del film di Joachim Trier (presentato lo scorso anno in concorso a Cannes) che in Italia arriva come Segreti di famiglia, suggestione assai più rivelatoria di ciò che Joachim Trier, al suo terzo lungometraggio, racconta. Difatti anche se il personaggio intorno al quale ruotano tutte le storie dei protagonisti, Isabelle Huppert, è una fotografa di guerra, i reportage che l’hanno resa celebre nel mondo così come il suo rapporto con le immagini rimangono, a parte qualche accenno, nel fuoricampo. Cosa c’è dentro è invece la condizione sentimentale di chi le è stato accanto, il marito (Gabriel Byrne) e i due figli, uno ormai cresciu- to e da poco padre (Jessie Eisenberg), rampante accademico di giovane età, l’altro adolescente burrascoso che vive nella realtà parallela dei videogiochi, balla da solo sulle note di vecchi pezzi dance, scrive del mondo intorno a sé con l’ispirazione di un Ginsberg adolescente. Lei, madre adorata e moglie conflittuale nel frattempo è scomparsa, morta non «eroicamente» (sembra quasi che se ne dispiacciano) sul campo ma in un banale incidente d’auto vicino a casa, un lutto che i tre uomini hanno cercato di «elaborare» ciascuno per sé, in solitudine come accade spesso nelle famiglie. Ma una mostra dedicata al suo lavoro li costringe a riaprire le scatole che la donna ha lasciato dietro di sé nella sua camera oscura, e a cercare tra i nega- tivi i «segreti» coperti sulla sua morte e nelle loro vite. Anche se tra padri e figli c’è molto più in comune di quanto pensino, una certa propensione all’ipocrisia emotiva, per esempio, e l’idea, che sembra fortemente appartenere al regista che in fondo la madre, figura in assenza anche quando era in vita, sia un po’ la responsabile delle loro sventure. Il padre che non riesce a vivere un’altra storia d’amore, il figlio maggiore che ha appena avuto una bambina ma pensa solo a scappare via, finendo a letto con la ex dopo avere «condannato» per intenerirla la moglie al cancro. Forse il piccolo considerato «eccentrico» è quello che sfugge allo schema, pure se ingabbiato narrativamente in quello dell’adolescente rabbioso di cui deve ricalca- re ogni turbamento. Segreti di famiglia è anche il primo film di Trier girato in inglese, negli Stati uniti, e con attori molto noti. L’America che il regista norvegese sceglie è quella di una «periferia» benestante di adolescenti sbronzi alle feste, riti crudeli del college, casette con prato e bandiera in giardino in fondo ben sintonizzati a quel nodo di silenzi, rancori, bugie che stringe i tre protagonisti dai quali la madre cercava la fuga. O forse semplicemente si costringeva all’inadeguatezza. La vediamo remota, enigmatica, nei frammenti dei ricordi dei tre, forse è ancora il più giovane che arriva più vicino alle cose, lui che la disegnava svolazzante nel deserto dopo un attentato che l’aveva quasi uccisa. Trier nonostante la caratterizzazione della figura di Hup- pert - che si chiama anche nel film Isabelle - rifiuta l’idea di un film «a tema», che ragioni sulla sua professione, dunque il giornalismo, l’informazione e il suo rapporto con le immagini, con quanto documenta oggi, in anni embedded». E nemmeno cerca di entrare nel disorientamento personale, nella confusione del contemporaneo. La fotografa e la sua solitudine si confondono con la figura mater- na, i disagi adolescenziali, la paura di crescere, la nevrosi maschile. Tutto però scivola in un flusso, nelle immagini fin troppo eleganti, da sfiorare l’accademismo, che procedono per accumulo e non conoscono sorprese né tantomeno permettono l’irruzione di una qualsiasi stravaganza. La fatica di vivere somiglia a un catalogo di narrativo, e la bomba così forte non esplode mai. il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 VISIONI SARAH JESSICA PARKER Da «Sex and the City» a «Divorce». Ritorno su piccolo schermo per Sara Jessica Parker, ovvero Carrie Bradshaw sposata e felice nel finale della celebre serie mentre nel nuovo progetto tv, è alle prese con le conseguenze di una separazione. «Divorce» - dieci episodi da trenta minuti l’uno - è una nuova comedy targata Hbo in onda dal prossimo novembre. La storia è quella di Frances (Sarah Jessica Parker) e del suo matrimonio in crisi: la donna decide di dare un taglio netto e chiede al marito Robert (interpretato da Thomas Haden Church) di aiutarla in questo percorso di rinascita. Come? CASO «STAIRWAY TO HEAVEN» Presunto plagio, il tribunale decide LOUIS MOHOLO/FOTO LUIGI TAZZARI RAVENNA FESTIVAL · Il batterista sudafricano fra i protagonisti della rassegna «Mandela Trilogy», la libertà è un assolo di Louis Moholo Marcello Lorrai RAVENNA C ome sua abitudine Louis Moholo suona con in testa uno dei suoi tanti cappelli: ma poi ad un certo punto Alexander Hawkins al piano accenna qualche nota di una melodia, e il batterista sudafricano discretamente si scopre la testa e appoggia il cappello sulla sedia che ha accanto, mentre prende forma Nkosi Sikelel’iAfrika. L’inno nazionale sudafricano in questo giugno il pubblico del Ravenna Festival ha avuto occasione di ascoltarlo più volte: al Teatro Rasi, oltre che martedì nell’esibizione di Nello spettacolo il leader è interpretato da tre cantanti diversi, scelti per rappresentare varie fasi della sua vita Moholo con i suoi 5Blokes, anche lunedì nel For Mandela della MinAfric Orchestra con guest Moholo e Keith e Julie Tippett, e prima ancora due settimane fa al Teatro Alighieri nelle quattro rappresentazioni di Mandela Trilogy, il musical allestito nel 2010 dalla Cape Town Opera, con la regia e il libretto di Michael Williams e la musica di Peter Louis van Dijk e Mike Campbell. Trilogy perché il leader sudafricano è impersonato da tre cantanti diversi per rappresentare le varie fasi della sua vita; pur non senza ingenuità, musicali, di testo e di interpretazione, un lavoro interessante, perché si arrischia a confrontarsi con una imponente figura contemporanea, e nel 2010 ancora vivente, ricollegandosi alla grande tradizione sudafricana del musical (fra anni cinquanta e sessanta popolarissimo fra le masse nere), e mostra il protagonista anche nelle sue debolezze di «santo e peccatore», come ebbe ad autodefinirsi Mandela: in una canzone in cui parlano del loro amato, si ritrovano assieme in scena la prima moglie e le due donne con cui Nelson intrattiene contemporaneamente relazioni extraconiugali: la star della canzone Dolly Rathebe, e la futura moglie Winnie. Un’opera di cui in Sudafrica si è parlato molto, e che in una edizione dedicata al tema della libertà il Ravenna Festival ha fatto benissimo ad inserire all’interno di un focus sul Sudafrica, completato da esibizioni dei Ladysmith Black Mambazo e di Hugh Maseke- la. Il Nkosi Sikelel’iAfrika dei 5 Blokes di Moholo è tutt’altro che un momento retorico: nella resa c’è persino qualcosa alla Ayler, lo spirito delle marcette care al visionario sassofonista del free jazz. E poi Nkosi Sikelel’iAfrika è della stessa pasta dei temi del repertorio di Moholo - suoi o composti dai compagni con cui nei ’60 condivise la scelta dell’esilio in Europa per sfuggire all’apartheid - in cui la componente melodica è forte, e spesso l’andamento è quello di un inno: paese in cui il canto e gli inni sono molto importanti, una tradizione radicata ancora adesso fra la gente, anche i più giovani, non bisogna dimenticare che il Sudafrica ha resistito, lottato e vinto cantando, e dell’importanza politica del canto parla anche Mandela nella sua autobiografia. Così è del tutto naturale che l’epicità e il lirismo, l’enfasi sulle melodie, la propensione innodica, ad un certo punto portino il gruppo appunto ad abbandonarsi al canto. La successione dei brani, che si inanellano senza soluzione di continuità, nasce spontaneamente, sul palco, in una dimensione che ha dell’onirico, del flusso coscienziale, della transe, in cui le melodie sono come dei condensati emotivi che sprigionano forza e libertà. Per suonare così, senza rete, senza pause, e reggere per tutto un set senza banali- – Nel 1967 usciva nelle librerie giapponesi «Toki wo kakeru shojo», ovvero «La ragazza che saltava nel tempo», un romanzo di Yasutaka Tsutsui, scrittore di fantascienza giapponese fra i più popolari e letti, basti pensare che «Paprika», un altro suo romanzo del 1993 fu trasposto in un pregevolissimo lungometraggio animato dal compianto Satoshi Kon. «La ragazza che saltava nel tempo» è a tutt’oggi una delle storie più conosciute nell’arcipelago giapponese, fama dovuta alle numerose trasposizioni avute, serie televisive, live-action ma soprattutto al lungometraggio animato del 2006 diretto da Mamoru Hosoda. Sono passati quindi dieci anni dal lavoro che ha rivelato al pubblico giapponese e a quello internazionale il talento di Hosoda, regista che aveva in verità già diretto alcuni lungometraggi della serie «Digimon» ed uno dedicato a «One Piece» negli anni precedenti e che era stato scel- tà ci vuole affiatamento e carattere. Hawkins è sempre elegantissimo, sempre con le idee chiare sulla situazione e su dove andare a parare, John Edwards è un contrabbassista poderoso e creativo, le personalità del giovane Shabaka Hutchings, sax tenore con cui i 4 Blokes lo scorso anno sono diventati 5, e di Jason Yarde, sax alto e soprano, si integrano e si completano, e poi c’è l’impagabile drumming inquieto, che spariglia, di Moholo, che non liscia il pelo al ritmo nemmeno su Nkosi Sikelel’iAfrika, prima di rimettere il cappello. Ascoltati con i 5 Blokes, alcuni meravigliosi temi del repertorio dei Blue Notes di cui Moholo è l’unico sopravvissuto - due per tutti: B My Dear di Dudu Pukwana e You Ain’t Gonna Know Me di Mongezi Feza – facevano parte anche dell’assortimento di brani di «For Mandela» (progetto concepito nel 2014 per il Talos Festival), assieme a materiali di Pino Minafra, inventore della MinAfric, come il bel Canto General su testo di Neruda, e di Keith Tippett: grande slancio e pathos esecutivo, e un riuscito amalgama di materiali, con la MinAfric che fa correre il pensiero a tante grandi esperienze: la britannica Dedication Orchestra votata al repertorio dei Blue Notes, la Liberation Music Orchestra, l’Italian Instabile Orchestra, il jazz inglese anni ’70. Tocca ora al tribunale stabilire se il celebre brano della disciolta band inglese, «Stairway to Heaven», è frutto di un plagio oppure no. Dopo circa una settimane di dibattiti al tribunale di Los Angeles, che ha visto i Led Zeppelin accusati dagli Spirit di avere copiato gli arpeggi iniziali della canzone del '71 dal loro brano «Taurus» del '68, la parola passa al giudice che dovrà emettere il verdetto. La band inglese è stata trascinata in un processo civile dal chitarrista degli Spirit, Randy Wolfe, che chiede 40 milioni di dollari di risarcimento, nonché di essere riconosciuto come coautore di «Stairway to Heaven», entrando così tra i beneficiari delle royalties future del brano. Per la difesa di Plant & soci, l'avvocato Peter Anderson, le somiglianze tra le due canzoni «sono abbastanza comuni» e anche la sequenza di di note, è «assolutamente comune e si si ritrova in diversi brani». E in ogni caso, ha ricordato il legale degli Zeppelin, «gli eredi di Wolfe non sono proprietari dei diritti di «Taurus» perché il chitarrista degli Spirit li ha ceduti alcuni decenni fa». SKY ARTE Serata omaggio a Natalia Ginzburg In prima visione televisiva, questa sera alle 20.30 Sky Arte HD (canale 120 e 400 di Sky), manda in onda il documentario dal titolo «Natalia Ginzburg - Storia di una voce», ovvero la cronaca di tre serate (tutte sold out) all’auditorium del grattacielo costruito dal celebre architetto Renzo Piano, nella città di Torino dedicate alla celebre scrittrice. Toni Servillo, Anna Bonaiuto e Lella Costa: hanno ricordato la Ginzburg attraverso la lettura di brani dalle sue opere più note: Toni Servillo ha letto brani tratti da «Le piccole virtù», Anna Bonaiuto ha proposto parti da «Lessico famigliare», mentre la lettura con Lella Costa è stata dedicata alle commedie «Ti ho sposato per allegria» e «La parrucca». A introdurre l’appuntamento il critico Domenico Scarpa, curatore dell’opera omnia della Ginzburg per Einaudi. Concedendole il divorzio. Nel trailer proposto sulla rete Usa, la vediamo scambiarsi insulti con il marito. «È la cosa migliore che ci è successa negli ultimi anni - commenta Frances/Parker... Autore della serie Sharon Horgan, produttori esecutivi Horgan, la stessa Parker, Paul Simms, Alison Benson e Aaron Kaplan. RAI · Presentati in cda i nuovi palinsesti Chiusura per Ballarò, Santoro verso Raidue S.Cr. A ddio talk show, e tanti (troppi?) ritorni in casa Rai. Si parla di Santoro, che potrebbe riapparire su Raidue nella prossima stagione in una docu-fiction, mentre si infittiscono i rumour sulla composizione dei palinsesti Rai che verranno presentati ufficialmente il 28 giugno a Milano e che ieri sono arrivati al vaglio del consiglio di amministrazione Rai. Novità annunciate ufficialmente in commissione di vigilanza Rai dal direttore di Raitre Daria Bignardi: la più clamorosa ma in realtà attesa - chiusura di Ballarò dopo quattordici stagioni e la sua contemporanea «rinascita» sotto forma di un nuovo format politico affidato all’anchor man di Sky Tg24 Gianluca Semprini al posto di Massimo Giannini (che non verrebbe epurato ma passerebbe ad altro incarico, si parla di un programma di grandi interviste di otto puntate). Un talk - secondo le intenzioni del neo direttore: «completamente nuovo, dalla durata ridotta -non più di 100 minuti», con meno ospiti e più ritmo. Fabio Fazio alla conduzione da ottobre del rinato Rischiatutto, limiterà - ma solo fino a dicembre - Che tempo che fa alla sola domenica, allargando la durata a tre ore. L’invasione in «seconda serata» di Fazio & co. fa slittare Report e Milena Gabanelli al lunedì. Più spazio per Zoro alias Daniele Bianchi e il suo Gazebo - lo dimostra anche la scelta dello speciale andato in onda lunedi scorso per il dopo-voto - per Alberto Angela e Concita De Gregorio. Confermato anche il ritorno di Gad Lerner con Islam, Italia. Fin qui le certezze per Raitre che deve recuperare ascolti deficitari - -4% dal 2012 ad oggi - a fronte di un pubblico ormai over 60. Poi le voci, come il rientro che si profila clamoroso dopo cinque anni di «separazione» di Michele Santoro. Stavolta Maboroshi L’arcipelago di Mamoru Hosoda Matteo Boscarol to come uno dei possibili nuovi autori dello Studio Ghibli. Nei primi anni novanta infatti lo studio fondato da Miyazaki, Takahata e Suzuki lo aveva individuato come possibile regista di «Il castello errante di Howl», ma Hosoda fu costretto a lasciare durante le prime fasi della produzione in quanto lo studio non lo riteneva adatto per il tipo di lungometraggio che i boss Ghibli avevano in mente. «La ragazza che saltava nel tempo» allora rappresenta per la carriera del giapponese una sorta di rinascita e di distacco dai «padri» dopo la cocente delusione con Ghibli. Ma allo stesso tempo permette al regista di trovare una sua originale poetica e forma espressiva che lo accompagnerà nei suoi lavori successivi che tanto lo hanno fatto conoscere e apprez- zare sia in patria che all’estero. «Summer Wars, Wolf Children – Ame e Yuki» e l’ultimo «The Boy and the Beast» sono probabilmente, assieme ai lavori Ghibli e quelli di Shinkai Makoto, i lungometraggi animati più pagina 13 riusciti di questi ultimi dieci anni nell’arcipelago, naturalmente non vanno dimenticati i lavori di Oshii Mamoru che però sembra aver deciso di abbandonare il genere animato per concentrarsi esclusivamente sui live-action. «La ragazza che saltava nel tempo» è allora un film importante, per lo stesso Hosoda come abbiamo visto, ma ancor di più, ne siamo convinti, per la storia dell’animazione nipponica. A riprova di questo e anche come celebrazione della storia originale di Tsutsui, storia che avrà dal prossimo mese sul piccolo schermo dell’arcipelago un nuovo ed ennesimo telefilm, sarà inaugurata nella capitale giapponese sempre nel mese di luglio una mostra che celebrerà il decennale del film. Preceduta da una proiezione speciale del film all’aperto alla MICHELE SANTORO/FOTO LAPRESSE niente piazze o arene, bensì una serie di docu-fiction realizzate dalla sua casa di produzione per Raidue. E sempre il secondo canale «recupererebbe» Giuliano Ferrara - stavolta non in video ma come autore di un programma affidato a Pierangelo Buttafuoco, contattato dalla direttrice del secondo canale, Ilaria Dallatana. Il lifting di Raidue a ba se di «meno politica, più informazione», prevede dopo l’eliminazione di Virus e il benservito a Nicola Porro (consolatosi subito con la conduzione di Matrix su Canale 5) l’avvento di un nuovo format scritto da Alessandro Fortino (il direttore creativo di Tv2000, ma tutti lo ricordano come inviato per otto anni delle Iene) dal titolo Nemo, a base di storie «importanti» dall’Italia e dal mondo. Nel cda questa nuova infornata di «esterni» non viene digerita da molti membri che si dicono pronti a votare contro i nuovi protagonisti. L’Usigrai in una nota afferma: «Apprendiamo con stupore e sconcerto le indiscrezioni sui nuovi palinsesti che trapelano dai giornali e che sembrano ancora una volta rispondere a logiche ben precise: mortificazione dei professionisti interni, strapotere di agenti esterni. E la trasformazione dov’è? La chiediamo da tempo, la pretendiamo oggi perché in gioco più che mai c’è il futuro dell’informazione di Servizio Pubblico, di quest’azienda e delle sue professionalità». – presenza dello stesso Hosoda, la mostra sarà aperta dal 12 al 31 luglio nel prestigioso Museo nazionale di Tokyo. Ma le celebrazioni dedicate al decennale del film e all’opera di Hosoda in generale non finiscono qui, sempre in luglio, esattamente dal 7 e per la durata di un mese, sarà aperto nella zona di Shibuya un locale denominato Tokikake Cafe, dove sarà possibile consumare piatti ispirati ai lungometraggi diretti dal giapponese. Se sono gli eventi collaterali e apparentemente effimeri quelli che ci dicono della popolarità di un autore giapponese in patria e della capacità di penetrazione nell’immaginario e nel mediascape del paese, allora Hosoda sta entrando in questa ristretta cerchia ed è un processo meritato, visto che nell’ambito dell’animazione resta uno dei migliori ed più originali artisti che il Sol Levante sia in grado di presentare ed offrire al pubblico. [email protected] il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 COMMUNITY – – A CURA DEL COMITATO DEL NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE CALABRIA Vietato vietare C apita (capita?) che un sindaco, quello di Agliana (Pistoia), decida di non concedere l’occupazione di suolo pubblico per la raccolta delle firme per i referendum riforma costituzionale-Italicum, con l’incredibile motivazione che si tratta di una «iniziativa politica di parte tendenzialmente divisiva». È un grave episodio di boicottaggio «frutto del pesante clima di intolleranza politica che si è creato intorno ai referendum istituzionali», denuncia il Comitato per il No. Boicottaggio che avviene, per di più, mentre la raccolta delle firme è diventato un percorso ad ostacoli visto che il governo non ha voluto aderire alla richiesta di un decreto legge per semplificare alcune procedure, dando per esempio la possibilità di utilizzare la posta elettronica certificata sia per l’invio e il ritiro dei moduli che per la richiesta e ritiro dei certificati elettorali; o di permettere ai comitati stessi di indicare le persone delegate all’autenticazione delle firme sotto la propria responsabilità. «Il divieto del sindaco di Agliana è un intollerabile oltraggio ai diritti politici dei cittadini italiani». E per questo «la vicenda è già stata sottoposta al Prefetto di Pistoia; i Comitati si riservano di agire nelle sedi giudiziarie opportune per reprimere gli abusi e impedire la ripetizione di comportamenti volti ad ostacolare l’iniziativa dei cittadini». Così come è un oltraggio al diritto dei cittadini di essere informati il continuo oscuramento delle ragioni del No sui mass media, dove prosegue l’occupazione di tutti gli spazi da parte di Matteo Renzi, nella duplice veste di capo del governo e segretario del Pd. Anche per contrastare questa conventio ad excludendum e per sostenere la capillare iniziativa in corso in tutto il paese per raccogliere le firme e far conoscere le ragioni del No, Alessandro Pace, presidente del Comitato per il No, e l’avvocato Andrea Aurelio Di Todaro hanno predisposto un elenco chiaro e semplice di 20 domande e altrettante risposte volte a convincere elettori ed elettrici a respingere le deformazioni della nostra Carta e, quindi, a votare No in ottobre. Le 20 domande/risposte sono pubblicate in un volumetto, edito da Ediesse, che è disponibile da mercoledì 22 giugno e può essere richiesto via telefono (0644870283 - 0644870325), via fax (0644870335) o via email ([email protected]). Iniziative e banchetti: Mestre: lunedì 27, ore 18, incontro con Massimo Villone, Maria Cristina Paoletti e Silvia Manderino (Centro culturale Santa Maria delle Grazie, via Poerio 32). Mondovì: domani, ore 16, incontro pubblico con Caputo - Sala conferenze Luigi Scimè (Corso Statuto 11/D). Genova: domani, ore 17, dibattito con Paolo Luppi, Adriano Sansa, Nicolò Fuccaro, Luca Traversa - Piazza Don Gallo. Besana Brianza: domenica, ore 11, incontro con Carlo Smuraglia (festa prov. Anpi) - centro sportivo (V. De Gasperi). Mantova: lunedì 27, ore 21, incontro con Gianfranco Pasquino e Alessandro Monicelli - Sala degli Stemmi, Palazzo Soardi. Cremona: giovedì 30, ore 21, dibattito con Felice Besostri - Sala Emilio Zanoni (v. del Vecchio Passeggio). Medicina (Bo): lunedì 27, ore 21, incontro con Nadia Urbinati - Sala Auditorium (V. Pillio 1). Roma: domani, ore 14,30, dibattito con Sergio Cesaratto, Alfredo d’Attorre, Alfonso Gianni, Antonio Maria Rinaldi, Stefano Sylos Labini - Città dell’altra Economia (Largo Dino Frisullo). Genzano (Rm): domani, ore 17, dibattito con Giuliano Calisti, Fabrizio De Sanctis, Alfonso Gianni, Ugo Mancini, Adriano Carrieri - Sala ex enoteca comunale (piazza della Repubblica). Potenza: domani, ore 17,30, dibattito con Domenico Fruncillo e Felice Besostri - Sala A, Palazzo consiglio regionale (V. V. Verrastro 6). Taranto: giovedì 30, ore 20, incontro con Luciano Canfora - Sala di rappresentanza della Provincia (V. Anfiteatro 4). L’elenco completo su www.iovotono.it e www.referendumitalicum.it – «Ho trovato un altro paio di erroretti di stampa, tra cui uno è solo una virgola che manca; ma non te la prendere, perché adesso tutti i libri e le riviste più reputate formicolano di errori di stampa. Infine, io personalmente avrei preferito la distinzione degli accenti acuti e gravi; tu non la ami: pazienza». Così Leone Ginzburg a Franco Antonicelli in una lettera dell’8 aprile 1943 che Luca Baranelli cita in «Compagni e maestri», da poco in libreria per i tipi di Quodlibet. Al nome di Ginzburg si aggiungono, a comporre il libro e a giustificarne il titolo, quelli di Raniero Panzieri, Sebastiano Timpanaro, Italo Calvino, Renato Solmi, Piergiorgio Bellocchio, Gianni Sofri. Tre anni orsono Baranelli e Francesco Ciafaloni pubblicarono presso Quodlibet, Martedì 28 giugno, ore 17.30 DIFENDERE LA COSTITUZIONE Incontro dibattito su: «Difendere la Costituzione, difendere la Democrazia. Le ragioni del NO al Referendum». Partecipano Corrado Plastino Presidente sezione Anpi Reventino, Mario Vallone, Presidente Provinciale Anpi e Walter Nocito, Costituzionalista Unical. Museo Arte Contadina, p.zza Piazza Vittoria, Decollatura (Cz) LAZIO Venerdì 24 giugno, ore 9 SFIDA AMBIENTALE Si aprono questa mattina i lavori del convegno: «La Nuova Geotermia per l’Architettura e la Sfida dei Cambiamenti Climatici». L’energia geotermica rappresenta una «risorsa del calore della terra», ecologica, disponibile e largamente diffusa nel nostro Paese. Casa dell’Architettura, p.zza Manfredo Fanti, 47, Roma Venerdì 24 giugno CRACK! Prosegue il festival (23-26 giugno) Crack! Fumetti dirompenti, XII festival internazionale di arte disegnata e stampata. Csoa Forte Prenestino, via F. Delpino, Roma Venerdì 24 giugno, ore 18 DONNE E SAPERE Verrà presentato il volume «Libere di sapere. Il diritto delle donne all'istruzione dal Cinquecento al mondo contemporaneo» di Alessia Lirosi. Libreria Odradek di Roma, via dei Banchi Vecchi, 57, Roma PIEMONTE Venerdì 24 giugno L’ALTRO MONFERRATO AgriTeatro, il cantiere d’arte e teatro ideato di Tonino Conte per il Monferrato presenta «L'Altro Monferrato» festival omaggio alla Bicicletta (24 giugno-30 luglio). Sotto la direrezione artistica Maria De Barbieri e Gianni Masella, prima pedalata in programma oggi nell'Alto Monferrato (Alessandria). È Jessica Arpin, ciclista acrobata brasiliana, nello spettacolo: «Kalabazi». Gli spettacoli proseguono fino al 30 luglio, fra valli, monti e castelli. Info: tel. 010 2471153 o 3409916993, mail [email protected], web www.agriteatro.it Vari luoghi, vedi testo Martedì 28 giugno FABER TEATER Si intitola «Faber Teater», il nuovo studio firmato Teatro della Caduta, l'ultima produzione di Babilonia Teatri e Il Prete Giusto di Gamna al festival «La Fabbrica delle Idee» (28-30 giugno). Il festival, giunto alla XVI edizione e diretto da Marco Pautasso, ha preso il via domenica 12 giugno e prosegue fino a lunedì 4 luglio con l'ultimo spettacolo in programma a Carignano (To), «Il Prete Giusto», scritto da Vincenzo Gamna, cui la rassegna è dedicata.Info: 335.8482321 – 338.3157459 – www.progettocantoregi.it – [email protected] Ex ospedale psichiatrico, Racconigi (Cn) TOSCANA Lunedì 27 giugno, ore 21 ATTACCO ALLA COSTITUZIONE Convegno dibattito dal titolo: «L’attacco alle Costituzioni antifasciste e il ruolo del capitale finanziario». Se ne parla con Marco Bersani, introduzione teatrale di Gaetano Ventriglia. Coordina il dibattito Paola Meneganti del comitato per il no nel referendum modifiche costituzionali. Circolo Arci A. Di Sorcio, via San Jacopo in Acquaviva, 86, Livorno Tutti gli appuntamenti: [email protected] le lettere pagina 14 INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: www.ilmanifesto.info [email protected] Più sinistra non meno Antonio Floridia su Il manifesto del 21 giugno offre interessanti analisi sul voto, prendendo spunto dalla vittoria di Sinistra Italiana a Sesto Fiorentino e convince quando afferma che una sinistra vincente non può nascere solo come cartello elettorale ma deve nascere dal basso, cioè deve nascere da lotte per obiettivi concreti sui territori e per i territori (in senso ampio lato e inclusivo a mio avviso: terra, uomini, ambiente, società, migranti, lavoro, etc.): nobile ma velleitario era dunque il tentativo di Fassina a Roma... Eppure Floridia conclude il suo articolo con un invito al dialogo proprio col Pd (con chi del Pd ci sta). Ma forse non è chiaro che una parte (consistente) del Paese vuole più sinistra non meno sinistra, vuole innanzitutto coerenza. Per me Zedda che da Cagliari fa un tour a Roma per Giacchetti ci può stare ma che esalti le Olimpiadi proprio no: lottizzazione, cementificazione, corruzione questo è il frutto avvelenato delle grandi opere. E allora: lotte dal basso per i territori e coerenza su valori non negoziabili, lasciamo perdere i dialoghi (immaginari) con partiti (immaginari) o minoranze (immaginarie, cioè come noi le vogliamo) che tutt’al più hanno espresso nostalgie di Centro-Sinistra (bello anche l’editoriale di Igor Mineo su FOTO LAPRESSE questa ulteriore patologia della sinistra italica). Finché così non sarà al M5S l’elettore frustrato di sinistra ahimè guarderà. Pasquale Faraco Non mi fido dei grillini Vorrei confidare la mia sofferenza per il risultato di queste famigerate elezioni, super commentate, utilizzate, discusse e amare per me, comunista convinta e attiva dalla mia ormai lontana gioventù. In tanti mi chiedono com’è possibile che ancora possa credere nel Comunismo, ed io continuo a rispondere sempre, «non è il Comunismo che ha fallito, ma gli uomini che non sono stati capaci di metterlo in pratica». La vittoria dei 5Stelle mi fa inorridire, gente giovane senza nessuna esperienza politica che prende la gestione di due città come Torino e Roma. Purtroppo hanno vinto grazie ai voti della destra, della Lega ed altri inciuci. Personalmente non ho mai creduto che Grillo sia un uomo politico, ma un comico-attore, alla ricerca di nuovi spazi per esibirsi, dimostrato dal suo arrivo in Sicilia a nuoto sullo Stretto, le sue urla, e anche dalla protesta dentro una Banca, per lamentarsi del trattamento dei suoi risparmi. Invece io (e tanti altri) avrei voluto vederlo nelle marce di protesta con gli insegnati, con gli operai della Fiat, con i pensionati, ecc. Adesso sono al potere, ma quelli che l’hanno fatto salire sul carro dei vincitori li faranno anche cadere prima del tempo previsto. Purtroppo la Rivoluzione armata non è più possibile e le elezioni la vincono quelli che hanno il potere della comunicazione, mentre i poveri continuano a scendere scalini verso alla disperazione. Inés Kainer Palermo Alternativi al Pd Volevo anche io fare una piccola analisi del voto di queste amministrative. Un risultato netto ci è stato lo sconfitto di questa tornata di voto è stato il Pd con il suo segretario Renzi in testa. Ora parliamo della nostra cara Sinistra, dove per la verità i risultati non sono stati soddisfacenti, in città importanti come Milano e Roma i candidati sindaci sono andati con le loro coalizioni sono andati male ci si aspettava risultati migliori. La città dove si è consolidato il voto e ora è più forte anche di 5 anni fa è stata Napoli dove il Sindaco De Magistris ha vinto nettamente anche se al secondo turno e con una affluenza molto bassa con circa il 37% che si è recato alle urne, questo si è verificato sia al primo e al secondo turno in tutte le città dove si è recato alle urne in media intorno al 50%. Un dato quello dell’astensione al voto che a me personalmente preoccupa molto, i cittadini non hanno più fiducia nella politica e per me questo è pericoloso, i partiti sono il sale della Democrazia in questo paese e vedere questa sfiducia che aumenta ogni anno mi fa male. Io faccio militanza politica da tanti anni e credo in quello che faccio e credo che una buona politica può risolvere i problemi che tanta gente ha. Bisogna essere alternativi al Pd, abbiamo idee diverse come governare le città e il paese. L’unica eccezione è Cagliari con Zedda. La Sinistra deve tornare ad essere protagonista in questo paese e penso che ancora possa farlo, incominciando dai referendum sociali dove si stanno raccogliedo le firme e dal referendum sulla riforma Costituzionale che ad Ottobre i cittadini sono chiamati per approvare o no. Questa riforma legata con l’Italicum è pericolosa, non ci sarà contrappeso e il premio di maggioranza che c’è può portare a Governare il paese una minoranza del paese, questo è incostituzionale (naturalmente io voterò NO alla riforma). Non perdiamo d’animo facciamo in modo che la Sinistra torni protagonista nel paese, facciamo in modo che i cittadini tornino a votare. Davide Nardi Rimini Dipiazza l’«anticristo» DIVANO Luca Baranelli e la civiltà della virgola Alberto Olivetti «Una stanza all’Einaudi» dove i due autori, diretti e partecipi testimoni, raccontano vicende che, nel corso di vent’anni, hanno contrassegnato la storia della casa editrice torinese. Baranelli, redattore alla Einaudi dal 1962 al 1985, scrive: «Chi ha lavorato nell’editoria quando essa era un ‘mestiere’ che aveva una forte componente artigianale e prevedeva molteplici competenze e mansioni, ha sicuramente acquisito, fra le altre cose, l’abitudine a documentarsi nel modo più possibile esatto (anche su argomenti noti o presunti tali), a usare una prosa concreta, precisa e stringata, ad affrontare con rigore e chiarezza argomenti molto diversi». Se è possibile misurare la cultura critica di un paese dalla attenzione che dedica alla esattezza e precisione della lingua, essa non può non cercare nella forma libro una consistenza non provvisoria e trovare, proprio nella sua effettiva realizzazione, una verifica della sua tenuta. Il compito dell’editoria, allora, afferisce ad una responsabilità, oltre che culturale o di informazione, eminentemente civile: deve darsi e rispondere a regole improntate alla minuziosa cura dei testi imposta, prima di tutto, dal rispetto dovuto al lettore. La ‘presenza’ del lettore e la sua identità esigono che l’editore realizzando il libro, ne assicuri, per dir così, la ‘presenza’, ne garantisca l’‘integrità’. Per questo, «grande rilievo assume la quotidianità del lavoro redazionale, che come accade per Ginzburg, dice Baranelli - non è mai routine, neppure nelle ‘minuzie tipografiche’, ortografiche o d’interpunzione». Ba- ranelli, appena assunto all’Einaudi, impara «ad apprezzare questi aspetti grafici e tipografici. C’era una grande attenzione per l’impaginazione, per la giustezza della linea e quindi per i margini». Italo Calvino, a lungo applicato al lavoro editoriale presso Einaudi, «aveva contribuito a creare quell’immagine e quell’aura, fatte di rigore intellettuale e di impegno civile, che avevano portato tanti lettori alla casa editrice». E Gianni Sofri, riporta Baranelli, testimonia di come Italo Calvino: «sottoponesse a un Il neo-sindaco di Trieste Dipiazza esordisce come impone il blocco sociale che lo ha eletto: con affermazioni e atti contro i poveri e/o gli emarginati. Titola Il Piccolo (20.06): «La caccia ai mendicanti apre il Dipiazza ter». Questi vuole subito mostrarsi sindaco-sceriffo e sfruttare il tema della sicurezza - tema creato ad arte, a Trieste e altroveprendendosela da subito con le fasce più estreme del disagio, che invece avrebbero bisogno di sostegno, e non di essere prede per la polizia. Persino i fatti degli ultimi giorni (l’arresto per spaccio di sei rifugiati afghani) non cambiano i dati complessivi: si tratta di fatti condannabili, ma isolati in una situazione complessivamente più che positiva. Tornando a Dipiazza: le sue prime mosse rappresentano un vero scandalo, profondamente anticristiano, per giunta (i cristiani che hanno votato Dipiazza dovrebbero saperlo, ma la loro coscienza si è rinsecchita). Sono toccati i più deboli, mentre la grande delinquenza, il grande spaccio e la corruzione che governano non vengono mai toccate, nemmeno qui, e mai toccati i traffici di qualsiasi merce. Traffici addirittura legali, come quello delle armi, che vedono partire dal porto della città giuliana micidiali ordigni con destinazione l’Arabia Saudita, Paese in mano al fanatismo islamista e impegnato in una guerra sanguinosa nello Yemen. Per finire, il segnale di Dipiazza è chiaro: i 44.000 elettori ed elettrici che lo hanno votato (una minoranza di triestini diventata maggioranza schiacciante, in Consiglio comunale, grazie a una legge elettorale antidemocratica) si rassicurino, c’è chi veglia su di loro. Ma, noi crediamo, egli agisce contro la città, contro quell’idea di città solidale (Ics, Caritas, singole persone) che esiste e che da anni si fa carico di affrontare e risolvere, praticando con successo l’accoglienza diffusa, i problemi del capoluogo relativi ai fenomeni migratori. Gianluca Paciucci – vaglio minuzioso e implacabile qualsiasi pezzo (note, cappelli, brevi introduzioni) che gli veniva sottoposto per l’approvazione e la stesura definitiva«. Così «Maestri e compagni», nella forma d’una ideale conversazione tra sodali che mai si è interrotta oltre i luoghi e gli anni, contiene un suo sotteso «fabula docet» che tutta la trascorre. Baranelli mostra quanto essenziale alla formazione di una coscienza civile sia quel libro nel quale, argomenta Calvino, la parola - «questa cosa molle informe» - diviene scrittura, «qualcosa di esatto e di preciso». Un compito che, continua, «può essere lo scopo di una vita. Soprattutto quando si vede un deterioramento, quando si vive in una società in cui la parola è sempre più generica, povera». il manifesto VENERDÌ 24 GIUGNO 2016 DALLA PRIMA Simone Oggionni Non ci sono praterie ma una via stretta Il populismo mette alla testa di una idea mitica e organica di popolo capi carismatici che saltano la mediazione delle forme moderne della democrazia e della rappresentanza. I congressi non si fanno, i proprietari decidono vita e morte politica degli aderenti, in una guerra permanente concepita e armata intorno all’evocazione ossessiva del cambiamento che purifica e redime. Però non basta: bisogna indagare le cause, senza commettere l’errore di rimanere a nostra volta imprigionati nel fortino screditato che il populismo assedia. Prodi ha di nuovo ragione: alla base del populismo c’è la paura sociale che a sua volta è causata dall’insicurezza economica e dalla crescente diseguaglianza. Qui hanno origine le faglie che stanno scuotendo il mondo occidentale. Dopo otto anni di crisi economica, Soros compra miniere d’oro e cioè scommette sull’esplosione di un nuovo ciclo di turbolenze. Le diseguaglianze e i tassi di disoccupazione aumentano, mentre crolla il potere d’acquisto e con esso il concetto stesso di «classe media». Così si spiega il consenso plebiscitario delle periferie alla Lega Nord e soprattutto al M5S: non soltanto e non tanto per una richiesta di nuova moralità della politica, ma per il bisogno disperato di affidarsi a chi promette, nell’insicurezza e nella paura, di voltare pagina. Rispetto a cosa? Rispetto a una lunga stagione nella quale il centro-sinistra non è stato argine alle diseguaglianze, ma al contrario fattore decisivo della loro esplosione, attraverso legislazioni che hanno precarizzato il mondo del lavoro, desertificato il patrimonio industriale e indebolito lo Stato sociale; e attraverso politiche fiscali che hanno garantito le rendite parassitarie contro il lavoro. Cos’è tutto questo se non la dimostrazione di quella inarrestabile tendenza all’omologazione delle classi dirigenti della sinistra italiana ed europea (ben prima di Renzi e ben oltre Renzi) che Prodi riconosce? Il secondo punto che l’intervista solleva ci riguarda da vicino e ci mette in guardia rispetto all’illusione che per risalire la china basti rincorrere le semplificazioni, sfornando – senza un sistema di pensiero alle spalle – allusioni emotive che si adattino alle paure e al sentire comune. Per battere il populismo e sostituirsi a esso con una proposta seria e incisiva di trasformazione servono – dice Prodi – progetto e radicamento popolare. Due cose antiche: un punto di vista autonomo sul mondo (cioè un’interpretazione della storia e del presente) e un’organizzazione capillare, capace di vivere tra le pieghe del territorio, nella sofferenza e nella fatica di settori crescenti di società. L’identità e, soprattutto, la pratica della sinistra sono parte integrante di questa impresa. Non è vero – come non a caso dicono tutti i populisti, a partire da Marine Le Pen in Francia – che destra e sinistra non esistono più. Esse esisteranno ancora a lungo, almeno fino a che la radice della diseguaglianza non sarà estirpata dalla nostra vita associata. Semmai dobbiamo essere consapevoli di due fatti: che nel nostro Paese «sinistra» è concetto vituperato dai guasti compiuti da chi ha sin qui governato; e che a oggi un’alternativa percepita come utile e vincente esiste già ed è il M5S. Per questo è falso sostenere che esistano di fronte a noi praterie. Al contrario, la strada è stretta. È vero invece che, archiviati i ballottaggi, si apre una fase molto fluida e aperta a qualsiasi scenario. Guai a noi se rimanessimo nell’angolo, magari nell’ennesimo contenitore pattizio della sinistra radicale, a commentare i risultati altrui o se dessimo addirittura l’impressione di voler salire sul carro del vincitore. È il tempo di giocare a viso aperto la nostra partita. Dobbiamo prepararci a vincere il referendum sulla Costituzione e lì dare la spallata decisiva alla legge elettorale e al governo. Allo stesso tempo, dobbiamo sollecitare e raccogliere una discussione larga che attraversi il Pd e il vasto mondo democratico e progressista di questo Paese. E mantenere, noi, la lucidità: che vuol dire rimanere autonomi – culturalmente prima ancora che politicamente – dalle sirene populiste e da Grillo, Casaleggio, Di Maio. Dove loro crescono, noi non esistiamo. Se loro crescessero ancora, noi scompariremmo. E se loro tra un anno governassero l'Italia, grazie a Renzi e a una legge elettorale truffaldina, magari con i voti al secondo turno di Salvini, sarebbe una pessima notizia. Fare cadere Renzi ed evitare questo scenario è il compito - decisivo dei prossimi mesi. COMMUNITY Ascoltare e parlare alla società in movimento Ignazio Masulli I risultati elettorali impongono alle forze di sinistra una riflessione critica non facile e che proseguirà nei prossimi mesi. Da anni si lavora per la costituzione di un nuovo soggetto politico di sinistra capace di colmare il vuoto che separa milioni di persone dai partiti di governo. Un vuoto che si esprime sia in un astensionismo crescente ad ogni tornata elettorale sia in un disorientamento nelle scelte da compiere. Al fondo v’è un malessere sociale diffuso in ampi strati della popolazione ma che sembra non trovare sbocco in un progetto di trasformazione sociale e politica in grado di interpretarlo adeguatamente. Il fenomeno non riguarda solo l’Italia, ma anche altri paesi. E per trovare elementi di spiegazione utili occorre risalire alla fine degli anni ’90 ed alla rottura che allora si consumò con quel che restava del riformismo e della tradizione socialdemocratica europea. La frattura si espresse nella "terza via" teorizzata da Tony Blair, nel "nuovo centro" proposto da Gerhard Schröder, contrassegnò i ripiegamenti dei socialisti francesi e provocò la crisi del secondo centro sinistra in Italia. Nell’ultimo decennio l’ulteriore rafforzamento e concentrazione del sistema di potere dominante, ha imposto un appiattimento ancor maggiore degli equilibri politici. I governi di coalizione o di pseudo-alternanza in vari paesi europei hanno accentuato il vuoto di proposte politiche alternative. Si aggiungano le politiche di rigore a senso unico, flessibilità del lavoro, tagli alle spese sociali predicate dall’Unione europea e diligentemente adottate dai governi degli stati membri e ci si renderà ragione di quella sorta d’ingabbiamento politico dal quale sembra difficile uscire. Occorre chiedersi se sia sufficiente che un raggruppamento politico elabori un programma di cambiamento, per quanto articolato e corrispondente a bisogni reali, e lo propagandi diffusamente per far convergere su di esso un ampio consenso da tradurre in voti e, per questa via, modificare l’assetto politico. L’esperienza dimostra che programmi del genere possono risultare inefficaci. In altri termini, non si può pensare di svolgere un’azione politica efficace per via "pedagogica".Quando si è davanti a vasti strati di popolazione che, già di per sé passivi, sono sfiduciati e distaccati, gli appelli all’impegno politico sono destinati a cadere nel vuoto. La strada da percorrere sembra piuttosto quella di far riferimento a quei settori della popolazione che sono politicamente attivi e in movimento. Basta ricordare come sono nati i sindacati di massa e i primi partiti socialisti nell’Europa di fine Ottocento. Da tempo L’arma pedagogica è spuntata. Più proficuo rivolgersi alle centinaia di associazioni e movimenti auto-organizzati. Come agli albori del socialismo europeo esistevano gruppi socialisti di varie tendenze, ma la loro azione a lungo ebbe un seguito assai limitato. Però quando masse di operai e contadini, colpiti dai duri effetti della seconda rivoluzione industriale e dalla più decisa trasformazione capitalistica delle campagne furono costretti ad auto-organizzarsi per difendersi e resistere, allora e solo allora alcuni gruppi socialisti riuscirono a collegarsi con lavoratrici e lavoratori che erano già in movimento. L’insegnamento che viene da quella e da altre fondamentali tappe della storia del socialismo in Europa consiste appunto nel fatto che gruppi o "avanguardie" promotori di mutamenti sociali e politici hanno raggiunto dimensioni di massa quando sono riusciti a interpretare bisogni e rivendicazioni espressi da movimenti in essere. Anche oggi la sinistra europea deve cercare la connessione con soggetti sociali già attivi. Basta guardarsi intorno. In Italia, come in altri paesi, vi sono centinaia di associazioni e movimenti auto-organizzati che si battono per vari obiettivi politici e sociali. Si va dalla difesa dei diritti umani alla salvaguardia dell’ambiente, dalla lotta contro le discriminazioni di genere a quella contro la precarietà del lavo- ro, dai movimenti in difesa della scuola pubblica a quelli contro i tagli alla sanità. Le numerose lotte per i diritti dei lavoratori non di rado si sono consolidate in organizzazioni durevoli che si affiancano o competono con l’azione dei sindacati tradizionali. Sempre più numerose e di varia ispirazione sono le associazioni che si mobilitano in difesa dei diritti degli immigrati e per politiche di accoglienza. Altrettanto significativo è l’impegno di quanti militano in associazioni pacifiste, per debellare fame e malattie endemiche nei paesi più poveri. O nelle organizzazioni in difesa dei beni comuni o della stessa Costituzione. Molte di queste organizzazioni svolgono la loro azione in modo implicitamente o esplicitamente alternativo alla mappa degli interessi, poteri e politiche dominanti. Con tratti d’unione potenziali o in atto tra i diversi movimenti. Realtà testimoniata anche dal fatto che molte persone militano in più movimenti e organizzazioni di questo tipo. D’altra parte, non c’è dubbio che le rivendicazioni e gli obiettivi perseguiti attingono a livelli di consapevolezza politica decisamente alti. Né si può trascurare minimamente il fatto che molte di queste organizzazioni hanno carattere internazionale o si collegano ad omologhe attive in altri paesi. E’ a questi movimenti che occorre guardare. E’ con essi che si può e si deve cercare la saldatura comprendendone la maieutica e le nuove forme di espressione politica. In che modo è avvenuto il coagulo di movimenti come gli Indignados spagnoli poi sfociati nella formazione di Podemos? Come è lievitato il movimento di Occupy Wall Street e come si è intrecciato ad altri fino a costituire la base più attiva dell’elettorato di Bernie Sanders nelle primarie americane? E da dove nasce la forza insospettata e irriducibile del movimento di protesta contro la Loi Travail in Francia? Perché nulla di simile si è verificato nel contrastare il Jobs Act italiano, che pure è decisamente peggiore? Auto-organizzazione, trasversalità, maieutica dei movimenti ci sembrano elementi da cui non si può prescindere se si vogliono innescare processi di trasformazione in una società in cui i vincoli sembrano prevalere sulle possibilità. COMUNISTI ITALIANI Da oggi a Bologna rinasce un partito Per noi, ’il’ partito Luca Cangemi e Fosco Giannini D a oggi al 26 giugno, a Bologna, si terrà l’assemblea costituente del Partito comunista italiano. Come ci si è arrivati? Attraverso un processo di accumulazione di forze che si è sviluppato nelle organizzazioni nate dopo la fine del Pci, nel mondo del lavoro, della cultura, dei movimenti di lotta ed è sfociato nella costituzione dell’ Associazione per la ricostruzione del partito comunista che, dal 2014 in poi, ha organizzato, su tutto il territorio nazionale, oltre cento iniziative pubbliche, coinvolgendo 10 mila compagne e compagni. E adesso è l’ora. Nella costituente si scioglie l’intero PCd’I, confluiscono molti dirigenti e molti militanti del Prc e migliaia tra quadri operai, intellettuali e compagni/e senza tessera: la diaspora comunista orfana da molti e troppi anni di una casa comune. Al congresso di Bologna ci si arriva attraverso una discussione politica – su di un documento congressuale - sviluppatasi in tutto il Paese, città per città, provincia per provincia, discussione che ha delegato al congresso nazionale oltre 500 compagne e compagni. A partire dalla vastissima condivisione del documento, che partito nascerà a Bologna? Un partito comunista che, attraverso il recupero pieno delle categorie dell’antimperialismo e dell’internazionalismo, concepirà la battaglia contro le spinte belliche degli Usa e della Nato, contro le spese militari e per la ricostruzione di un movimento di massa contro le guerre come il suo primo compito; che avrà come obiettivo - attraverso una lotta radicale contro le politiche liberiste dell’Ue - quello di far crescere una vasta consapevolezza capace di cogliere il nesso che c’è, a livello continentale, tra la distruzione del welfare, la compressione di salari e diritti, la disoccupazione, la miseria di massa e le politiche antioperaie e antidemocratiche dell’Ue; un partito che punterà a ricollocare al centro lo scontro tra capitale e lavoro, a cominciare dalla lotta senza quartiere contro il jobs act; che reputerà centrale la battaglia d’ottobre in difesa della Costituzione e contro il disegno autoritario e liberista del governo Renzi. Un partito che punterà al rilancio dell’autonomia culturale, politica, organizzativa comunista e- insieme - lavorerà per l’unità delle forze della sinistra; che, di fronte all’attuale e compiuta mutazione genetica del Pd, ad egemonia renziana, il partito politico dell’Ue e della Bce in Italia, porrà come questione cardinale - nell’assordante silenzio sociale attuale - la ricostruzione di un’opposizione di classe e di massa come condizione essenziale per il cambiamento dei rapporti di forza nella società. Un progetto politico ambizioso perché all’altezza della fase durissima che stiamo attraversando, una risposta in grado di indicare una strada diversa rispetto alla decadenza dei giorni nostri. Un partito che riassumerà il nome e i simboli del più grande partito comunista al mondo non al potere (il Pci), e lavorerà con la consapevolezza che la sua ricostruzione potrà avvenire solo a partire dalla comprensione profonda del presente e dalla delineazione del futuro. Lottando e studiando, per costruire un futuro grande come una storia. La nostra. il manifesto DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco DESK Matteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi, Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri, Silvana Silvestri il nuovo manifesto società coop editrice REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 Roma via A. 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