IO TU LUI LEI_ mappa della mostra
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IO TU LUI LEI_ mappa della mostra
UNA MOSTRA ETEROSESSUALE a cura di Francesco Ragazzi e Francesco Urbano Nelle sale della Fondazione Bevilacqua La Masa Io, tu, lui, lei mette in mostra il racconto di un incontro straordinario: quello tra sei giovani artisti italiani e una decina di lesbiche e gay veneziani nati tra gli anni '30 e '40. L'incontro è avvenuto nell'ambito del laboratorio A special day, tenutosi a Venezia la scorsa primavera in forma residenziale e proseguito a distanza durante l'anno. Antonio Bigini e Rachele Maistrello, Tomaso De Luca, Sabina Grasso, Andrea Romano e Annatina Caprez hanno lavorato con la materia delicata di storie personali, tra realtà e immaginazione, tra ricordi di ieri e prospettive sul mondo d'oggi. Il titolo della mostra si riferisce al lungometraggio Je, tu, il, elle di Chantal Akerman, manifesto in tre atti del cinema sperimentale, oltre che di una ricerca radicale sull’identità. Io, tu, lui, lei è l’atto finale, il momento in cui le relazioni si compiono, in uno spazio che è in parte ciò che esse stesse producono. 1. INGRESSO Nello spazio d'ingresso di Palazzetto Tito e lungo la scalinata, sono allestiti materiali di diversa natura che in modo ambiguo si collocano dentro e contemporaneamente a introduzione della mostra. Sulla destra, sono appesi a parete cinque poster che ricalcano nella forma gli affiches di altrettanti film. Le pellicole a cui si riferiscono affrontano, da diverse prospettive e a partire da differenti generi cinematografici, un ampio spettro di identità e relazioni non eterosessuali possibili. Ogni affiche è stato appositamente commissionato per l'occasione a un gruppo di cinque artisti italiani che hanno sviluppato in questi ultimi anni una ricerca legata ai temi della differenza sessuale e di genere. Sulla parete sinistra troviamo invece un diorama cucito da Chiara Fumai su un tessuto di pizzo. Si tratta di una mappa dell'isola di Atlantide ottenuta confrontando le descrizioni che ne fanno Platone e Madame Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica. A popolare il diorama, una serie di personaggi perlopiù femminili: collage di carta ritagliati da un volume sulle catastrofi nel cinema americano e da Hollywood Babylon, un libro sugli scandali dello show business USA scritto dal regista sperimentale Kenneth Anger. L'intera composizione allude tuttavia alla produzione di un altro filmmaker dell'underground americano, Jack Smith, nel cui immaginario Chiara Fumai rintraccia i segni di un potere femminile. A completare la stanza, un armadio sulle cui mensole sono disposte copertine di quotidiani e mensili italiani che si riferiscono, dall'alto in basso, agli anni '70, '80 e '90. Attraverso il colpo d'occhio abbiamo una panoramica su come la cultura di massa ha trattato il tema dell'omosessualità nel passato recente. Dall'uccisione di Pasolini alla definizione di un terzo sesso tra il maschio e la femmina, fino al problema scientifico se l'orientamento sia una condizione naturale o una scelta: la rappresentazione di un corpo derealizzato che si ricava dalle riviste patinate contrasta con la variegata quotidianità delle fotografie consultabili nell'archivio al piano superiore. 1A Copertine e pagine di riviste e giornali nazionali. 1B Daniele Pezzi Tropical Malady di Apichatpong Weerasethakul (2004) 1C Antonio Barletta Paris is burning di Jennie Livingston (1990) 1D Dafne Boggeri The Killing of Sister George di Robert Aldrich (1968) 1E Chiara Fumai A movie by Jack Smith tecnica mista, 2012 1F Margerita Morgantin Je, tu, il, elle di Chantal Akerman (1974) Con Chantal Akerman, Niels Arestrup, Claire Wauthion 1G Claudia Rossini Goodbye Dragon Inn di Tsai Ming-liang (2003) 2. IL CINEMA Il punto di raccordo del percorso espositivo è una sala cinematografica. Nello spazio centrale del palazzo per tutto il corso della mostra si avvicendano due proiezioni che seguono in maniera alternata una programmazione pomeridiana e antimeridiana. Russamee Rungjang di Arin Rungjang e Welcome Back Dragon Inn di Sabina Grasso scandiscono le giornate determinando l'oscillazione della spazio, già di per sé ibrido, tra la videoinstallazione dell'uno e la performance dell'altra. 2A Arin Rungjang* Russamee Rungjang video (59:16 min), 2010. installazione 2012. 2B Sabina Grasso* Welcome back Dragon Inn e Spin-Off#9 Dragon Inn’s Audience Interpreted by Ilaria, Stefano, Marco, video (85 min) e performance, 2012. La videoinstallazione di Arin Rungjang, presentata nel 2010 al VER di Bangkok, viene qui riallestita e modificata per gli spazi della Fondazione Bevilacqua La Masa. La sala centrale della Fondazione è trasformata così in un cinema d'altri tempi. Dopo aver scostato tre pesanti livelli di tende rosse, ci sediamo su sedie a ribalta e assistiamo a una proiezione. Sullo schermo vediamo un'inquadratura a camera fissa che riprende per circa un'ora un paesaggio metropolitano al passaggio dal giorno alla notte. Si tratta della vista che si può godere dal Dusit Thani Hotel a Bangkok, dove la mamma dell'artista ha lavorato ormai 35 anni fa. Il video non ha audio, ma una stringa di sottotitoli traduce in inglese una conversazione tra madre e figlio: Russamee Rungjang - questo il nome della donna, che dà anche il titolo al lavoro - ripercorre tutta la sua vita in un flusso di coscienza a tratti confuso. Lo spettatore non la vede apparire mai, però intuisce dalle sue divagazioni che forse Russamee ha una memoria intermittente. A comparire sulla superficie dello schermo sono invece fenomeni luminosi di varia natura: mentre il sole cala, la città si accende con un lampeggiare crescente di luci. Il paesaggio, che lentamente si oscura per popolarsi di presenze brulicanti, rispecchia la condizione della donna e ne compone il ritratto essenziale. L’intervento di Sabina Grasso si mimetizza nel cinematografo ricostruito a Palazzetto Tito. Una suggestione filmica attraversa la realtà dello spazio espositivo e vi prende forma. Per metà giornata la proiezione in programma è quella di Welcome back Dragon Inn, una mise en scène e una mise en abyme di Goodbye Dragon Inn (Tsai Ming-liang, 2003). Il film di Tsai Ming-liang si svolge in una sala cinematografica mentre sullo schermo scorrono le immagini di un famoso wuxiapian - genere di cappa e spada - taiwansese intitolato Dragon Gate Inn (King Hu, 1967). Nella versione qui rimontata, Sabina Grasso forza una coincidenza temporale tra le due pellicole, la cui durata differisce di circa trenta minuti. Di Ming-liang restano solo le inquadrature in cui è visibile lo schermo cinematografico: tutto il resto viene completato con la reintroduzione delle scene immediatamente consecutive estratte dall’originale di King Hu. ll film del 1967 riaffiora puntuale ad ogni citazione, assecondando così un ritmo che non gli è proprio. La narrazione deflagra inesorabilemente in una serie di incongruenze e finisce per sparigliare la logica codificata del genere. Correlata alla proiezione, una performance si svolge sottotraccia. Tre attori in carne e ossa abitano per un tempo limitatato lo spazio di Palazzetto Tito rievocando alcuni personaggi di Goodbye Dragon Inn. La performance si insinua nella sede espositiva sia durante che al di fuori della propria effettiva durata, determinando continuamente dubbi e cambi di prospettiva. Gli spettatori diventano a loro volta attori. *Arin Rungjang (Bangkok, 1975) attraverso installazioni, video e sculture, interroga le condizioni sociali e culturali con cui viene organizzato lo spazio pubblico e privato nella quotidianità. Oggetti d'uso comune o di design sono utilizzati in modo improprio per creare luoghi in cui poter di volta in volta permanere, intessere relazioni, abitare. *Sabina Grasso (Genova, 1975) vive tra Milano e Berlino. Il suo interesse primario si rivolge alla rappresentazione della città come palcoscenico emotivo. Fotografia e performance, video e affissioni in spazi pubblici sono messi in tensione, moltiplicando l’opera in forme di durata variabile che non presuppongono permanenza. Si, Sindrome Italiana a cura di Yves Aupetitallot, You-We a cura di Francesco Bonami e They go round and round a cura di Carson Chan, alcuni tra gli ultimi progetti espositivi a cui Sabina Grasso ha preso parte. Tra il 2010 e il 2011 l’artista è stata inoltre ospitata presso le residenze Spacebeam (Incheon, South Korea), Kaus Australis (Rotterdam, Olanda) e Organhaus Art Space (Chonqqing, Cina). 3. L'ARCHIVIO In una piccola stanza connotata dalla presenza del camino si colloca l'archivio di Io, tu, lui, lei. I materiali di cui è formato sono stati raccolti, senza pretesa di esaustività, in collaborazione con le signore e i signori veneziani che hanno partecipato al workshop A special day: più che una documentazione oggettiva sul passato, quindi, lo spazio registra le modalità con cui il passato è stato conservato e trasmesso da un gruppo eterogeneo di persone gay e lesbiche. La grande distinzione che organizza l'ambiente è quella tra oggetti appartenenti a uomini e a donne. Si intende sottolineare così la differenza di percorsi e strategie di rappresentazione operati dagli uni e dalle altre. Si noti in particolare sulla sinistra, disposto in ordine cronologico, un discreto numero di riviste sulla cultura gay diffuse a partire dagli anni '70 a livello nazionale e internazionale. Sulla destra invece, pubblicazioni e libri, ordinati per data di edizione, descrivono il complicato rapporto tra i gruppi lesbici militanti e il movimento femminista. Sempre da questo lato, sono consultabili nove videocassette attraverso cui vedere film che hanno al centro storie di donne che amano altre donne. Più che un archivio vero e proprio siamo in una cabina armadio: un camerino dove trovare, out of the closet, alcuni personali capi intramontabili. 4. IL BACKSTAGE Le storie più affascinanti e le scoperte più curiose si consumano nel backstage: dove lo spettacolo è sempre più vivo che in scena. Sarà forse per aver trovato posto in questa posizione privilegiata che le opere prodotte a partire dal workshop sono in costante movimento. Peregrinazione, lavorio, cambio di forma, uscita: sul retro l’opera vive un’altra vita. 4A Sabina Grasso Spleen#9. Dragon Inn’s Audience Interpreted by Ilaria, Stefano, Marco 3 stampe Ink jet su carta cotone Hannemule Photo 310, 36x30cm. Appesi in una stanzetta del palazzo, tre ritratti fotografici scattati a Venezia e definiti “Spleen” sono l’unica enigmatica traccia tangibile di una nuova versione del film Dragon Inn. Foto di scena dai contorni “storti” che lasciano intendere una reinterpretazione forse ancora in atto: Chen interpreted by Ilaria, Mitamura interpreted by Stefano, Shih interpreted by Marco. 4B Antonio Bigini* e Rachele Maistrello* Still on the way home Installazione mixed media, dimensioni variabili. Antonio Bigini e Rachele Maistrello scelgono di concentrarsi su uno solo dei signori incontrati durante il workshop: Luciano, costumista che vanta una carriera gloriosa e una vita movimentata nel mondo del cinema. I due artisti combinano immagini fisse ed in movimento di varia natura e provenienza nel tentativo di tradurre in immagini i racconti di quest’uomo. L’allusione a episodi biografici assume una dimensione epica e immaginifica, dove verità, invenzione e vuoto di memoria si confondono fino a coincidere. Mescolando scatti appositamente realizzati – sia in digitale che in analogico - con spezzoni e fotogrammi tratti dall’archivio nazionale dei film di famiglia Home Movies, gli artisti compongono uno storyboard che procede per libere associazioni tra esotismo e artificiosità. Violando discretamente il diritto d’autore, Still on the way home è la riscrittura a più mani di una personale storia altrui. Un amorevole racconto infedele. *Antonio Bigini (Urbino, 1980), sceneggiatore e autore di documentari, nel 2007 ha vinto il premio Iceberg per il libro Tonino Guerra wants to kill me. Lavora con la casa di produzione Kiné e collabora con Home Movies Archivio nazionale del film di famiglia (Bologna). *Rachele Maistrello, fotografa formatasi tra lo IUAV di Venezia, l’Ecole Nationale des Beaux Arts di Parigi e lo ZHdK di Zurigo. Cuore dei suoi progetti è il ritratto dell’essere umano, immortalato in momenti di ottusità, folklore, eroismo e sospensione del giudizio. Tra gli spazi in cui il lavoro di Rachele Maistrello è stato esposto, la Fondazione Bevilacqua La Masa, lo ZKM di Karlsruhe, l’Immix di Parigi, Dolomiti contemporanee a Sass Muss e il Second Internet Pavilion presentato in occasione della 54 Biennale d’Arti Visive di Venezia. 4C Andrea Romano* e Annatina Caprez* Sugar, coffee, lemonade, tea, rum, boom! Colore spray su legno, 13 tavole di dimensioni variabili. Tredici tavole di legno sono dipinte con sinuose linee colorate vicine all’astrazione. Solo i più perspicaci vi riconosceranno dei close-up tratti dal cartoon The Flintstones: sono rappresentati, in particolare, momenti in cui primitivi e dinosauri entrano in contatto fisico tra loro. Per la prima metà della mostra, questi supporti sono appesi a parete: friubili come vere e proprie pitture. Nel secondo periodo invece, essi sono riallestiti in modo tale da assolvere alla funzione di sgabelli e sedute. La ragione di un tale cambiamento è presto detta. A metà mostra, Andrea Romano e Annatina Caprez accolgono all’interno della loro installazione un incontro a porte chiuse tra due gruppi ristretti di persone veneziane lgbt, appartenenti a generazioni diverse. Ribaltando in parte le dinamiche instaurate durante il workshop tenutosi lo scorso anno, questa volta sono i più giovani a rispondere alle curiosità e alle riflessioni manifestate dai più anziani, i quali hanno il compito di guidare la discussione. Gli Antenati - caricatura di un rapporto intergenerazionle polarizzato lasciano il posto all’esperimento vivo di una genealogia queer. Il titolo dell’opera si riferisce al nome con cui viene chiamato il gioco “Un, due, tre, stella” in inglese. Si allude così contemporaneamente a una dimensione conviviale e divertente, ma anche ad un repentino cambiamento che avviene all’oscuro del pubblico. *Andrea Romano (Milano, 1984) ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. E’ stato a vario titolo partecipe delle vicende di artist-run initiatives come Motel Lucie e Anonima Nuotatori. Mosso da una componente relazionale, spesso sotterranea, l’artista si concentra sullo studio dei caratteri di unicità e obsolescenza legati all’opera d’arte, dividendosi tra una dedizione certosina al disegno a cui fa da contraltare l’uso scultoreo di lavorati industriali. Nel 2011 ha esposto il suo lavoro in Claque and Shill, una mostra personale presso Gasconade, Milano. *Annatina Caprez (Trin, 1980), artista di origine svizzera che, dopo essersi diplomata presso lo ZHdK di Zurigo, ha conseguito un master presso il MIT – Massachusetts Institute of Technology. Interessata alla dimensione collettiva e politica dell’operare artistico, ha contribuito all’attività di gruppi e network come p-r-o-x-y (di cui una recente esposizione presso il Neuer Berliner Kunstverein). 4D Tomaso De Luca* Letters from a Lion installazione ambientale, tecniche miste su carta e tessuto. L'intervento di Tomaso De Luca prende le mosse da un avvenimento, forse mai realmente accaduto, che in epoca napoleonica riguardò i Giardini Reali dietro Piazza S. Marco. Pare infatti che lì l'imperatore francese vi avesse fatto collocare la gabbia di un leone per il proprio divertimento. Dopo pochi mesi di cattività però, la povera bestia non resistette, morendo tristemente di solitudine. Mettendosi nei panni dell'animale, l'artista ha realizzato una performance all'aperto che trova eco nello spazio espositivo. Durante i giorni di allestimento, con le mani legate a mo' di zampa, De Luca ha faticosamente prodotto un epistolario composto di brevi testi, disegni e fotografie: un immaginario scambio amoroso tra il vecchio leone e un uccellino, che per tutta la durata della mostra abita lo spazio espositivo.La relazione dinamica tra dentro e fuori metterà in comunicazione Palazzetto Tito e i Giardini Reali, luogo ricorrente nelle geografie segrete dei signori coinvolti nel workshop. Il leone alato, simbolo di Venezia, viene scomposto per diventare monumento vivo di sentimenti che cercano nominazione. Animale queer, tra orgoglio e solitudine, carnalità e chimera. *Tomaso De Luca (Verona, 1989) ha studiato alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. La sua ricerca è tesa a tracciare le coordinate dell'identità maschile, tra volontà di potenza e vocazione al fallimento. Verticale e orizzontale, monumento e disegno, soldato e omosessuale sono alcuni dei dualismi che vengono movimentati dall'artista attraverso pratiche di accumulazione e dislocamento. Nel 2009 è stato borsista presso la Fondazione Pastificio Cerere nell'ambito del programma di residenze 6ARTISTA, nel 2011 ha vinto la seconda edizione del premio Lum per l'arte contemporanea. Tra le mostre personali si ricorda The Sleepers/100 teste per un cacciatore al MACRO di Roma e The Monument presso la galleria Monitor.