Aspetti sociologici del Notariato

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Aspetti sociologici del Notariato
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PRESENTAZIONE
Questo lavoro nasce con lo scopo che lo stesso titolo manifesta: quello di formulare
alcune riflessioni di natura sociologica su alcuni aspetti del Notariato.1 Per la verità la
sociologia del diritto si è interessata poco dei Notai. Piuttosto essa si è interessata di
altre professioni. “In senso stretto professione è una attività lavorativa altamente
qualificata, di riconosciuta utilità sociale, svolta da individui che hanno acquisito una
competenza specializzata seguendo un corso di studi lungo ed orientato
precipuamente a tale scopo. Così intesa una professione conferisce di norma a chi la
svolge un prestigio e un reddito medio alti o alti nel sistema di stratificazione sociale
di quasi tutte le società, sia la professione svolta a titolo di lavoro dipendente, come i
dirigenti di professione, oppure di lavoro autonomo, come i notai o i commercialisti
o gran parte degli architetti. In senso lato una professione è una qualsiasi attività
lavorativa svolta regolarmente in cambio di un salario o uno stipendio o altre forme
di reddito da lavoro (onorario, utili d’azienda, percentuali su commesse, ecc. )”.2
Sociologia dell’ordine giudiziario. Si è interessata, in particolare, dei Giudici.3 E ciò è
spiegato dalla dottrina sociologica “perché le ricerche sui giudici sono state quelle
che per prime, in molti paesi, hanno aperto la via alle indagini sociologiche del
diritto; inoltre perché esse sono tra le ricerche più specifiche e più aderenti ai
problemi centrali della vita del diritto; infine perché il loro oggetto riveste una
importanza particolare nelle concezioni sostenute da alcuni ben noti specialisti della
nostra materia”.4 In realtà forse il motivo emerge dalle riflessioni di un altro
sociologo contemporaneo che si è occupato precipuamente e più di recente del
Notariato:“del notaio contemporaneo e della sua professione si sa in realtà poco,
sicuramente meno di quanto si sappia di altre categorie e gruppi sociali che da tempo
hanno attirato l’attenzione di storici e scienziati sociali […] Una scelta del resto
1
OLGIATI, V.- IOPPA, P., Le credenziali professionali del notariato italiano, in “Soc. Dir.”, fasc. 1,
1972, pp. 87-110.
2
GALLINO L., voce Professioni (Sociologia delle), in “Dizionario di Sociologia”, Torino, II ed.,
1993, p. 516.
3
REHBINDER, Sociology of law, in Current Sociology, XX, 1972, 3, P. 42; DI FEDERICO, Il
reclutamento dei magistrati, Bari, 1968; FORTE- BONDONIO, Costi e benefici della giustizia
italiana, Bari, 1970; CASTELLANO- PACE- PALOMBA- RASPINI, L’efficacia della giustizia
italiana e i suoi aspetti economico- sociali, Bari, 1970; PAGANI, La professione del giudice, Milano,
1969; LEONARDI, Il cittadino e la giustizia, Padova, 1968; FERRARESE, L’istituzione difficile. La
magistratura tra professione e sistema politico, Napoli, 1984.
4
TREVES Renato, Sociologia del diritto- Origini, ricerche, problemi, 1996, Torino, p. 245.
1
2
giustificabile, oltre che con la tradizionale dipendenza della sociologia italiana da
quella di lingua inglese, con considerazioni di banale rilevanza quantitativa
dell’oggetto di ricerca: tutto sommato i notai sono oggi in Italia una piccola
minoranza (poco più di 5000 individui) anche all’interno del mondo delle
professioni, e una frazione ancora più piccola, quasi infinitesimale, della
popolazione”.5
Sociologia dell’ordine forense. Maggiore attenzione hanno ricevuto pure gli
Avvocati. E da lì possono trarsi altri elementi di spunto.6 Ciò vale con riguardo al
rapporto tra stratificazione sociale e professione legale, perché, come osserva la
dottrina sociologica, “l’estrazione sociale prestabilisce due fondamentali fattori
condizionanti della carriera: il livello di abilità tecnica e il tipo di clientela”.
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E
perché “è stato ripetutamente osservato che il livello di estrazione sociale e di
preparazione giuridica degli avvocati è connesso con alcuni parametri quali la
strutturazione della loro attività legale (professione individuale, piccolo studio,
grosso studio), reddito, settore nel quale è esercitata l’attività legale, frequenza e tipo
di rapporti con giudici e amministratori, livello ed entità della clientela”.8
Sociologia del notariato. Per formulare riflessioni di carattere sociologico sul
notariato, è necessario, però, conoscere l’attività concreta del Notaio. E’ necessario
conoscere, quindi, le norme che il Notaio è chiamato ad applicare. Ecco allora che il
lavoro si struttura con l’esposizione del sistema giuridico notarile di base, di diritto
amministrativo e di diritto civile. In tale contesto si sono sollevate quelle questioni
“microsociologiche” che in un contesto prettamente giuridico sarebbero state
superflue, lunghe e sgradite. Sono state trascurate le questioni “macrosociologiche”,
cioè riguardanti i grandi problemi sociologici del diritto, come la ricerca stessa della
funzione del diritto.9 O, ancora, il problema della non attuazione delle norme (specie
nei settori studiati dai sociologi del diritto quali la materia dell’edilizia popolare,
dell’abusivismo
edilizio,
della
disciplina
del
commercio
in
generale).10
5
SANTORO Marco, Notai, Storia sociale di una professione in Italia (i861- 1940), Bologna, 1998, p.
13- 14.
6
PRANDSTRALLER, Gli avvocati italiani. Inchiesta sociologica, Milano, 1967; FERRARESE, Gli
avvocati tra passato e presente, in Rassegna italiana di sociologia, 1975, p. 421- 48..
7
LANDINSKY, Careers of Lawyers, Law Practice and Legal Institutions, in American Sociological
Review, XXVIII, febbraio 1963, p. 53.
8
SCHUR, Sociologia del diritto, Bologna, 1970, p. 130.
9
BOBBIO, Teoria sociologica e teoria generale del diritto, in “Sociologia del diritto”, fasc. I, 1974,
pp. 9- 14.
10
BETTINI, Il circolo vizioso legislativo, Milano, 1983.
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Ciononostante la materia, con tali coordinate, resta comunque quasi infinita. Sugli
istituti di diritto civile che vengono in considerazione si sono espressi e si esprimono
autorevolissimi accademici. E gli argomenti trattati spesso non sono nemmeno di
pertinenza esclusiva dei Notai, ma anche di altri operatori del diritto. Ecco allora la
necessità di circoscriverla ed organizzarla secondo alcuni criteri. Abbiamo rifiutato la
non attendibile tripartizione dei grandi settori di competenza del notariato italiano:
trasferimenti immobiliari, diritto patrimoniale di famiglia, diritto delle società,
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perché soltanto una delle tante possibili ed immaginabili. Il criterio ivi adottato
divide il diritto notarile in quattro grandi macroaree: la prima dell’ordinamento
notarile in senso stretto, amministrativo, pubblicistico; la seconda del diritto di
famiglia, in cui è stato accorpato il diritto delle persone, il diritto di famiglia in senso
stretto, le successioni e la volontaria giurisdizione; la terza macroarea relativa ai
diritti reali, alla compravendita, quale contratto principe tra quelli notarili, la
trascrizione, quale strumento essenziale dell’attività notarile; la quarta ed ultima
relativa al contratto in generale ed a quel particolare contratto che è il contratto di
società, oggetto di recenti particolari attenzioni da parte del Legislatore. Nella prima
parte sono contenute delle riflessioni sui caratteri propri del Notaio e sulle sue
peculiari funzioni, un argomento che taglia di traverso tutte le epoche storiche in cui
è esistito il Notaio fino ad oggi ed oltre, considerate le prospettive future derivanti
dall’ambiente tecnologico- informatico e dai nuovi scenari di diritto comunitario.
Non poteva mancare, in questo contesto, un esame di cosa il Notaio fa
quotidianamente. Questo esame è stato condotto attraversando gli istituti giuridici di
più frequente applicazione, senza tralasciare, fin dove possibile, data la vastità della
materia, quelli più problematici o più recenti e, quindi, ancora da rodare o quelli sui
quali più recentemente si è soffermato il dibattito tra gli operatori. Frequenti sono i
rapporti tra la figura del Notaio e quelle di altre professioni a fattor comune, come gli
avvocati, i giudici o i segretari comunali. Si è cercato, invece, diversamente dagli
altri autori (diversi dai Notai) che si sono occupati della materia, di fornire un punto
di vista il più possibile neutrale, un punto di osservazione, materiale per la
riflessione, salvo per alcuni istituti, dove ciò non è stato proprio possibile.
11
ZANELLI P., Il notariato in Italia, Milano, 1991.
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CAPITOLO PRIMO
LA FIGURA DEL NOTAIO IN GENERALE E LE SUE FUNZIONI
1. Premessa storica. 2. Caratteri del Notaio. 2.1. Il Notaio pubblico ufficiale.
Obbligatorietà delle funzioni notarili. Il problema degli “atti espressamente
proibiti dalla legge”. 2.2. Il Notaio come libero professionista. Il
coordinamento tra pubblica funzione e libera professione. 2.3. Il Notaio come
terzo imparziale. 2.4. Il Notaio come tecnico. 2.5. Il Notaio come storico. 2.6.
Il Notaio come notabile. 3. Ordinamento del notariato. 3.1. Accesso alla
professione. Le Scuole di Notariato. La preselezione informatica. Le prove
scritte. Le prove orali. 3.2. Studio associato tra notai. 4. Le funzioni del
Notaio. 4.1. Funzione di certificazione. 4.2. Funzione di legalità. 4.3.
Funzione di adeguamento. 4.4. Funzione antiprocessuale. 4.5. Funzione
creatrice di diritto. 5. L’avvento dell’informatica. 5.1. Prospettive per il ruolo
del
Notaio
nell’era
informatica.
5.2.
Questioni
operative
poste
dall’informatica. 5.3. Documento informatico e firma digitale. 5.4. Problema
della sicurezza dei rapporti giuridici. 6. 6.1. Le nuove regole provenienti dal
diritto internazionale e dal diritto comunitario in particolare. 6.2. Circolazione
in Italia di atti provenienti dall’estero. 7. 7.1. Responsabilità civile del Notaio
verso il cliente. 7.2. Responsabilità penale.
***
1. PREMESSA STORICA
E’incerto in quale epoca storica sia nata la figura del Notaio, almeno con i caratteri
suoi propri e che sono rimasti fino a noi.
a. Età romana. “Presso i Romani, sin dai tempi della Repubblica, veniva usato il
termine notarii, ma esso stava ad indicare gli schiavi che avevano il compito di
scrivere velocemente note, spesso mediante abbreviature. […] Forse più vicini alla
moderna figura del Notaio sono, nel mondo romano, i tabellionies (dalle tavolette di
cera su cui scrivevano), i quali stendevano in iscritto ed in forma legale le private
convenzioni”.12
12
Prendiamo a prestito l’esordio della voce “Notariato” curata dai Notai GALLO ORSI e GIRINO
nel «Noviss. Dig. It», (1962). Sull’argomento storico- funzionale vedasi pure ERSOCH, La funzione
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b. Età medievale. Generalmente si fa riferimento al Medioevo, come l’epoca in cui
per prima si sarebbe percepita l’esigenza di assicurare certezza ai sempre più intensi
traffici commerciali, interni ed esteri, ed evitare danni e liti nelle contrattazioni. 13
Scrive la dottrina sociologica che “la professione del notaio è uno dei soggetti
preferiti dagli studiosi del passato più lontano, e dai medievisti in particolare”.14
Autorevole dottrina ha dedicato interi studi alla c.d. lex mercatoria, vero e proprio
sistema giuridico settoriale caratterizzante l’ordinamento generale, non solo di diritto
positivo, degli operatori commerciali del tempo.15 Si legge in merito allo sviluppo
delle prime economie capitaliste che “ogni problema tecnico deve poter venire risolto
per mezzo della stipulazione di un contratto, alla più vantaggiosa configurazione del
quale sono orientati tutti i pensieri e gli sforzi dell’imprenditore capitalista”.16
(1). Realtà locali. La figura si svilupperebbe sopratutto nella realtà dei Comuni ed in
particolare a Firenze, Siena e Lucca,17 laddove è riconosciuta la maggior fioritura del
commercio e della finanza dell’epoca. Ma anche in altre realtà nazionali e numerose
sono le testimonianze storiografiche su esperienze locali.18
In generale si può rilevare – in parte della dottrina storiografica - 19 come la figura del
Notaio sarebbe quindi nata nell’ambito dello “stato territoriale”, per poi subire un
del notaio dalle origini al duemila, in «Vita Not.», (1998), p. 1180 ss.; ANSELMI, Principi di arte
notarile, Firenze- Roma, 1952; MAZZANTI PEPE, F. e ANCARANI, G., Il notariato in Italia
dall’età napoleonica all’Unità, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, Roma, 1983; LIGUORI
G., L’evoluzione storica degli ordinamenti del notariato nelle legislazioni pre e post-unitarie, in
Relazione al XV Congresso nazionale del notariato, Verona 14- 20 maggio 1966, Palermo, p. 219 ss;
PETRUCCI, Il notariato italiano dalle origini, in «Riv. Not.», (1958), p. 524 ss.; ZANELLI P., Il
notariato in Italia, Milano, 1991.
13
PIRENNE, Le città del Medioevo, (trad. Romeo, Bari, 1971, p. 34.
14
SANTORO, Notai, cit., p. 14.
15
GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, p. 39: “il dominio del ius mercatourm si esercita,
essenzialmente, sui contratti e sulle obbligazioni da contratto, terreno elettivo dell’attività mercantile”.
16
SOMBART, Il capitalismo moderno, (trad. Cavalli), Torino, 1967, p. 167.
17
BERENGO M., Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino, 1965; idem, Lo studio degli
atti notarili dal XIV al XVI secolo, in Istituto storico italiano per il medievo, Fonti medievali e
problematica storiografica, Roma, 1976, I, p. 149- 172.
18
Per esempio uno studio sui Notai a Parma, “una affascinante cavalcata tra i secoli partendo dagli
anni bui del X secolo (dal diploma di Ottone I del 962 che conferisce al Vescovo di Parma la facoltà
di nominare i notai) giunge fino alla annessione degli Stati Parmensi allo Stato unitario, esaminando
l’evolversi della figura del notaio attraverso la florida età comunale, la signoria visconteo- sforzesca, il
ducato prima farnesiano e poi borbonico, la meteora napoleonica (la cui incidenza è davvero
sorprendente), fino alla restaurazione borbonica senza aver tralasciato di esaminare il periodo,
particolarmente felice per Parma, del ducato di Maria Luigia d’Austria”. Ancora, “uno studio
esaustivo sull’intero corpus delle carte rogate in Pavia” in BARBIERI E., Notariato e documento
notarile a Pavia (secoli XI- XIV), Firenze, 1990, p. 9.
19
SANTORO, cit., p. 16 e ss.
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6
progressivo e graduale processo di “privatizzazione”. E ciò parallelamente ad una sua
presunta e conseguente sfioritura sul piano del prestigio professionale.
(2). La postilla amiatina. Negli esordi della letteratura italiana si rileva che, tra i primi
documenti del volgare italiano, figurano persino alcuni atti notarili, tra i quali
ricordiamo quello del 1087 del notaio Rainiero (una donazione fatta alla Badia di San
Salvatore sul Monte Amiata da parte di un tal Micciarello), a cui era apposta in calce
la famosa postilla amiatina (“Ista cartula est de caput coctu: ille adiuvet de illu
rebottu, qui mal consiliu li mise in corpu”).20
(3). Jacopo da Lentini. Dal 1233 fino al 1240 Jacopo da Lentini, riconosciuto da
Dante Alighieri, nel XXIV canto del Purgatorio come insigne capo della scuola
poetica siciliana, sorta alla corte di Federico II, fu Notaio presso la stessa corte, tant’è
che gli stessi poeti della suddetta scuola erano soliti indicarlo comunemente come
Notaro.
c. Età successive sino ad oggi. Da allora quella del Notaio è diventata una figura
costante e sempre più importante che si è inserita saldamente, ai primi posti, nel
quadro istituzionale del nuovo Stato italiano e si è conservata fino ai tempi d’oggi.21
La prima legge notarile del Regno d’Italia è quella del 25 agosto 1875, poi rifusa nel
Testo unico del 25 maggio 1879, n. 4900. “La rivoluzione francese, con la successiva
dominazione napoleonica, e quindi la restaurazione degli antichi stati italiani hanno
indubbiamente influito in maniera determinante sulla configurazione delle
professioni giuridiche italiane. Una influenza diretta, perché è all’esperienza di
riforme legislative ed amministrative rivoluzionarie e napoleoniche che si deve
l’opera di ristrutturazione e riorganizzazione in senso moderno sia del notariato che
dell’avvocatura, mantenuta in gran parte dai governi restauratori, e poi ripresa dal
nuovo stato italiano”.22 La legge notarile n. 89 del 1913, che ha sostituito il Testo
unico, è ancora in vigore nonostante le numerose istanze modificative da parte della
dottrina.
20
GIANNI, Storia e antologia della letteratura italiana, vol. I, Dalla origini al quattrocento,
Messina- Firenze, 1991, p. 102 che così traduce la postilla: “questa donazione l’ha fatta una testa
matta: salvi quello dall’impiccio chi gli ha messo in corpo un’idea di tal fatta”.
21
DE LILLO A. SCHIZZEROTTO A., La valutazione sociale delle occupazioni, Bologna, 1985, pp.
205-207.
22
SANTORO Marco, Notai, Storia sociale di una professione in Italia (1861- 1940), Bologna, 1998,
p.40.
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2. CARATTERI DEL NOTAIO
“Membri di una professione elitaria, i notai costituiscono oggi una delle più compatte
(ancorché meno visibili) élite sociali dell’Italia contemporanea, luogo di convergenza
e agglutinazione di risorse, di privilegi, di riconoscimenti simbolici e materiali. I
notai figurano normalmente ai primi posti negli elenchi dei cittadini a più alto reddito
dichiarato pubblicati periodicamente dall’amministrazione finanziaria; essi sono,
insieme agli altri rappresentanti delle tradizionali professioni liberali – gli avvocati, i
medici -, ai primissimi posti nella gerarchia del prestigio occupazionale impressa
nell’immaginario collettivo degli italiani […]”.
23
Prendiamo a prestito questo
esordio, con il proposito di zoomare poi su alcuni aspetti di dettaglio ivi richiamati.
Di fondamentale importanza è la norma che apre la legge notarile.
“I notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima
volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i
certificati o gli estratti” (art. 1 l. not.).24
A voler sintetizzare in modo estremo possiamo dire che il Notaio è quel pubblico
funzionario al quale si rivolgono uno o più individui per consegnargli le loro
dichiarazioni di volontà, per riceverne pubblica fede e, quindi, certezza giuridica.
Riportiamo, qui di seguito, quanto espresso dal Senatore Poggi nel lontano 1868.
“Questa è una delle poche professioni ufficiali, la quale consiste nell’accordare a una
determinata persona una credibilità, che il comune degli uomini non ha, la qual
persona viene dalla pubblica autorità rivestita di un carattere speciale corrispondente
al delicato suo ufficio […]”.25
(a). La certezza del diritto è un bene collettivo di valore ai più sfuggente ma che, per
chi abbia già avuto modo di misurarsi col diritto, appare immediato. E’ un requisito
sociale minimo di coesione. Senza certezza del diritto non sarebbe possibile alcuna
attività giuridica perché il diritto stesso sarebbe inutile. Senza certezza della condotta
punita dall’ordinamento ogni condotta sarebbe incerta e rischiosa. Senza certezza del
diritto ogni acquisto sarebbe insicuro, e così ogni pagamento, ogni scambio e via di
seguito. Tale esigenza di base, tuttavia, è però maggiore quanto più rilevante è
23
SANTORO, cit., p. 11.
Legge 16 febbraio 1913, n. 89 Ordinamento del notariato e degli archivi notarili, d’ora innanzi legge
notarile o, in sigla, l. not.
25
SANTORO, cit., riporta gli AP. Senato. Disc. 1867-68. Tornata del 7/12/1868.
24
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l’interesse, morale o patrimoniale, da tutelare. Quanto più la parte mette in
discussione il proprio patrimonio o la propria persona, tanto più necessita di tutela.
(b). Conoscenza del diritto. Il presupposto per il ricorso al Notaio, oltre alla
previsione di legge, è l’alfabetizzazione giuridica, e cioè la conoscenza della
possibilità di rivolgersi al Notaio per ottenere quel determinato prodotto giuridico.
Un esempio concreto è quello del contratto di transazione. Pochi sanno che esiste
questo tipo di contratto col quale porre fine ad una lite in atto o potenziale. Ecco
allora che quanto più dilaga la non conoscenza degli strumenti giuridici, tanto più
diminuisce il ricorso agli uffici notarili e viceversa.
(c). Tessuto economico. Ulteriore dato di base per la sussistenza di esigenze notarili
sul territorio è che, in quell’ambito, esista un tessuto economico. Intanto l’esistenza
di una sede notarile ha un senso, infatti, in quanto sia giustificata da esigenze
economico- commerciali. La storia del notariato, contrariamente a quanto si può
comunemente pensare, è ricca di casi di vera e propria povertà di Notai, dovuta a
penuria di affari; e di Notai costretti, quindi, a spostarsi su e giù per i rispettivi
distretti, pur di racimolare qualche atto da rogare. Tanto è importante questo aspetto
che, in sede di concorso, ai migliori piazzati in graduatoria spetta la scelta della sede
notarile, agli altri residuando sedi meno ambite.
2.1. IL NOTAIO PUBBLICO UFFICIALE. OBBLIGATORIETA’ DELLE
FUNZIONI NOTARILI. IL PROBLEMA DEGLI “ATTI ESPRESSAMENTE
PROIBITI DALLA LEGGE”. 2.1.a. Il Notaio, abbiamo appena visto, è un “pubblico
ufficiale”. Il Notaio, riveste, dunque, un “pubblico ufficio”, secondo le categorie
dogmatiche proprie del diritto pubblico. La dottrina pubblicistica lo inquadra, più
precisamente, nell’ambito della “funzione amministrativa statale”.26 La sua
legittimazione a svolgere il mandato, infatti, gli deriva direttamente dalla istituzione
prima sul territorio: lo Stato. Questo rilievo, nella dottrina notarile, non è così
pacifico. I Notai stessi, come vedremo a breve, sono divisi. Chi sente forte la
derivazione della legittimazione dallo Stato. Chi, invece, sente più forte la natura di
professione libera. Certo è che ciò che avviene dinanzi al Notaio, di conseguenza, ha
una valenza giuridica privilegiata, a tutti gli effetti, privati e pubblici. Ricordiamo
26
ZANOBINI, Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, p. 19; CANTELMO, Profili
costituzionali e tipicità della funzione notarile, in «Riv. Not.», (1975), p. 1125 ss.
8
9
solo questo: che gli atti rogati dal Notaio hanno in testa lo stemma della Repubblica
italiana e che il Notaio è inquadrato nell’organizzazione del Ministero della giustizia.
Si legge in dottrina che “a rendere estimato il ceto de’ notai concorre eziandio la
certezza che le parti devono avere, che nella esposizione delle competenze non è
possibile verun arbitrio, la quale persuasione delle parti non può legalmente
acquistarsi se non col mezzo di una tariffa dalla legge approvata”.27 La tariffa
notarile, tanto agognata, rappresenta, oggi, secondo la dottrina appena richiamata,
ulteriore sintomo del carattere pubblicistico della professione.
2.1.b. Dalla qualifica di pubblico ufficiale discende l’ormai tradizionale principio
dell’obbligatorietà delle funzioni notarili, che la vigente legge notarile ribadisce e
consacra nell’art. 27, 1° co.: “Il notaio è obbligato a prestare il suo ministero ogni
qual volta ne è richiesto”. Il termine “richiesto” significa, secondo l’interpretazione
tradizionale, che il Notaio procede a domanda di parte e non d’ufficio (come
l’avvocato ed a differenza del Giudice, che può procedere anche d’ufficio). Il citato
principio, della obbligatorietà del mandato, conosce però alcune eccezioni. Il Notaio,
infatti, può ricusare il suo ministero, per esempio, se le parti non versano al Notaio
quanto gli è dovuto per legge (art. 28 l.not.). E non può ricevere gli atti
“espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o
all’ordine pubblico”. Né quelli per i quali possa sorgere un conflitto d’interessi.28
Ancora, l’art. 54 reg. not. recita che “I notai non possono rogare contratti nei quali
intervengano persone che non siano assistite od autorizzate in quel modo che è nella
legge espressamente stabilito, affinché esse possano in nome proprio od in quello dei
loro rappresentanti giuridicamente obbligarsi”. Si tratta di fattispecie in cui la parte,
per comparire validamente in atti, abbisogna di una delega o procura o altra
legittimazione ovvero di quei casi in cui, per mancanza di capacità, è necessaria la
presenza di altra persona che integri, con la propria, la capacità insufficiente del
titolare del rapporto giuridico. In una intervista- statistica fatta ad un cortese Notaio
abbiamo chiesto quante volte gli fosse capitato di rifiutare di ricevere un atto. La
risposta è stata che di solito le parti si presentano in studio per concludere un atto
possibile. Gli era però capitato, una sola volta, che, in corso d’opera, la volontà di un
27
SANTORO, cit., p. 86, riporta LISSONI D., Progetto di legge per l’esercizio del notariato, con
annotazioni, cenni storici e rapporti, Milano, 1868.
28
Si discute, in dottrina, se l’art. 28 l. not. possa applicarsi o meno alle scritture private autenticate o ai
testamenti. In senso negativo vedi GALLO ORSI- GIRINO, cit., p. 379.
9
10
presidente di assemblea straordinaria di una società non era affatto libera ma,
testualmente, eterodeterminata. E decise pertanto di interrompere l’atto.29
2.1.c. Con riguardo agli atti espressamente proibiti dalla legge, la dottrina notarile
dominante propende per una interpretazione restrittiva della norma che la limiterebbe
agli atti colpiti espressamente dalla sanzione della nullità, fuori restando gli atti
colpiti da mera annullabilità, irregolarità o inefficacia.30 Scriveva un autorevole
Notaio che “la parola espressamente non permette di estendere il divieto per via di
interpretazione analogica ad altri casi non contemplati dalla legge. Più ancora: se la
proibizione non è in qualsiasi modo espressa, almeno in via indiretta, per mezzo della
forma imperativa e positiva […] e v’è qualche dubbio, l’atto si deve considerare
come lecito”.31 Si rinviene però giurisprudenza di merito di diverso avviso. Il
Tribunale di Milano, con la sentenza del 18 settembre 1959, ha disposto che
“l’espressione atti proibiti dalla legge comprende tutte le ipotesi in cui esiste un
divieto di legge al compimento di un determinato atto, comunque tale divieto sia
stato espresso. Quindi, tanto se è stato formulato in modo positivo quanto
negativamente […]; tanto se sono stabiliti dei requisiti essenziali senza i quali è
vietato fare l’atto (art. 2359 c.c.), quanto se la proibizione è stata espressa
comminando la nullità o l’annullabilità dell’atto”. Sullo stesso piano il
convincimento espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3063 del 26
ottobre 1962, per un caso di costituzione di società senza preventivo deposito dei tre
decimi del capitale, non sanzionato espressamente con la nullità. Ancora prima, con
riguardo alla vendita di un immobile pignorato, nella sentenza n. 2444 del 1° agosto
1959, il cui dispositivo recitava così: “l’art. 28 l.not […] fa obbligo […] al pubblico
ufficiale di non rogare alcun atto di cui non abbia preventivamente appurato la
legalità. Ora, se si considera che il legislatore vieta l’alienazione di beni pignorati
(art. 2913 c.c.) deve convenirsi che rientra tra i compiti del notaio, chiamato ad
attribuire pubblica fede all’alienazione di un immobile, accertare che sullo stesso non
siano stati eseguiti pignoramenti, in modo che l’atto di trasferimento possa esser
legalmente stipulato […] Nella dizione atti espressamente proibiti dalla legge si
devono intendere compresi anche gli atti sforniti dei requisiti necessari voluti dalla
29
Così il Notaio A.R. nell’intervista nel suo studio in Trento del 4 dicembre 2002.
Contra DONA’, voce Notariato e archivi notarili, in « Nuovo Dig. It. », vol.VIII, (1939), pag.
1078.
31
ANSELMI, Principi, cit., p. 26.
30
10
11
legge, vale a dire gli atti di contenuto diverso da quello prescritto, il cui compimento
viola, alla stessa stregua degli atti espressamente proibiti, la certezza dei rapporti
giuridici alla cui tutela è preordinato l’intervento del notaio”.
Questo contrasto fra la dottrina notarile e la giurisprudenza ha una sua spiegazione
sociologica: i Notai spingono, naturalmente, per proteggere il prodotto del proprio
lavoro, preservandolo da eventuali vizi di invalidità; i Giudici spingono, d’altra parte,
esigendo il rispetto della legge. Una lotta impari perché il Notaio non può che
adeguarsi al dettato giurisprudenziale (al c.d. diritto vivente), se non vuole vedere il
proprio rogito destinato a successiva, possibile invalidazione da parte del Giudice. Il
Notaio deve adeguarsi agli orientamenti della giurisprudenza, nella sola speranza, se
li reputa non fondati, che possano mutare nel tempo. Il Notaio, infatti, è organo, a
differenza del Giudice, non dotato di poteri coercitivi. Nonostante recenti aperture
normative, come la delegazione di esecuzioni immobiliari ai Notai, questi non
possono costringere alcuno ad alcuna attività, diversamente da quanto può fare il
Giudice. Tant’è che spesso il Notaio, dopo estenuanti attività professionali
nell’interesse delle parti, vede il proprio lavoro sfumare per la litigiosità delle parti,
senza poter in alcun modo costringerle alla stipulazione finale, ma solo potendo
esigere l’onorario per quanto sino ad allora svolto. La volontà privata sembra avere,
rispetto al Notaio, una valenza maggiore che non dinanzi al Giudice. Il Notaio deve
farsi promotore di tale volontà, fermi restando i limiti di Legge, che egli stesso è
chiamato ad imporre alle parti, prima che lo faccia il Giudice. Ed anzi, la circostanza
che un atto di Notaio arrivi dinanzi al Giudice non è elemento di valutazione
professionale positivo per lo stesso Notaio, fermo restando che a qualunque
galantuomo può capitare di rispondere dinanzi al Giudice, e, dunque, anche ad un
Notaio di tale natura.
2.2. IL NOTAIO COME LIBERO PROFESSIONISTA E IL COORDINAMENTO
TRA PUBBLICA FUNZIONE E LIBERA PROFESSIONE. 2.2.a. L’aspetto descritto
della pubblica funzione, sebbene diversa da quella del Giudice, come visto sopra,
crea problemi di coordinamento con l’altro carattere proprio della figura del Notaio:
la libera professione.32 Si richiama, a tal proposito, la disciplina della prestazione
32
Diversamente da quelli sul notariato, gli studi sociologici sulle professioni in generale sono copiosi.
Oltre agli studi istituzionali di SPENCER e di Talcott PARSONS, vedi FREIDSON E., Professional
Powers, Chigago, 1986.
11
12
d’opera intellettuale, ex artt. 2230 c.c. E può, perciò, essere accostata a qualsiasi altra
libera professione. Prima fra tutte quella dell’avvocato. Il Notaio organizza mezzi e
risorse al fine di adempiere al proprio ufficio, organizza il proprio studio notarile,
come fa l’avvocato che organizza il proprio studio legale. Il Notaio istituisce le
scritture fiscali tipiche della libera professione ed è soggetto agli altri adempimenti
fiscali, di fatturazione, di dichiarazione e versamento, dell’Irpef e dell’Iva. E
costituisce, nei confronti dei clienti, un sostituto d’imposta. Il Notaio detiene, però,
oggi, rispetto all’avvocato, un grande vantaggio di tipo commerciale, frutto di una
evoluzione storico- normativa della professione. La sede notarile è assegnata in base
alla densità abitativa del luogo. Le sedi notarili, infatti, sono determinate con decreto
del Ministro della giustizia in base al rapporto popolazione/Notai. Ciò non toglie che
alcuni Notai debbano comunque cercarsi i clienti. E non mancano pronunce di
condanna avverso Notai, in giudizi promossi da altri Notai, per “abuso della sede
notarile”. L’importanza del Notaio, sotto il profilo sociologico, si misura oggi anche
dall’importanza della sua clientela (l’industriale piuttosto che il salumiere),
dall’importanza economica degli atti rogati (una fusione tra colossi della finanza
piuttosto che la cessione di un piccolo fondo). Tra gli stessi Notai, malgrado tutto,
sussiste una forte concorrenza, e sintomatico del valore professionale è comunemente
considerato il numero di atti rogati, cioè il numero di repertorio, quel numero
progressivo che è apposto a ciascun atto rogato dal singolo Notaio in ordine
cronologico. Più è alto questo numero, più è alta la sua operosità ed il suo prestigio
nell’ambiente professionale. Anche se, questo meccanismo, ha il difetto di sminuire
l’aspetto qualitativo degli atti rogati. Troppi atti può, infatti, significare, ma non
sempre, scarsa qualità dei rogiti. Errori, inesattezze, contenziosi costituiscono il
pericolo principe negli studi notarili di tipo industriale. Di recente è invalso l’uso (in
barba alla privacy), da parte di alcuni quotidiani, di pubblicare la dichiarazione dei
redditi annuale dei cittadini più ricchi.33 E spesso capita di leggervi, tra le prime
posizioni, il nome di qualche Notaio. Inoltre è invalso l’uso e la possibilità normativa
di associarsi, prima vietata, ai liberi professionisti, per assicurare la personalità della
prestazione e conseguentemente la personalità della sua responsabilità. In altri paesi
(quelli di common law) il Notaio è un mero pubblico dipendente. Assomiglia, perciò,
33
Per esempio il quotidiano IL GAZZETTINO di Venezia, del quale omettiamo di riportare la
famigerata graduatoria.
12
13
più al nostro segretario comunale. Storica, invece, è stata in Italia la lotta politica,
posta in essere dai Notai, per rivendicare, rispetto ai segretari comunali, le loro
prerogative. E lo stato attuale delle cose dimostra la forza politica della categoria.
2.2.b. Sulla prevalenza dell’uno o dell’altro aspetto si legge che “le due qualità non
contrastano fra loro […] Le due qualifiche corrispondono alla duplicità degli interessi
che trovano protezione nell’attività notarile: interessi pubblici, quelli concernenti la
regolare esplicazione dell’ufficio notarile, interessi privati, quelli che le parti
regolano nell’atto notarile”.34 Ancora, che “una parte della dottrina tende a far
prevalere l’aspetto pubblicistico su quello privatistico […] Altri, per converso,
preferiscono porre l’accento sulla qualifica di professionista”.35 Secondo questi
ultimi, infatti, i Notai “rimangono tuttavia dei privati che al contempo operano per un
interesse proprio (lucro professionale) e in nome proprio, percependo un onorario che
è in funzione dell’opera prestata e subendo la concorrenza dei colleghi; i rapporti nei
confronti dei clienti sono pertanto disciplinati da un contratto di diritto privato”.36
Secondo l’opinione di un cortese Notaio, che abbiamo personalmente intervistato, i
due aspetti sono coesistenti e non riducibili ad una misurazione matematica di
prevalenza: ci sono entrambi, a seconda dei momenti.37 Si legge, nella dottrina
sociologica, che “il notaio contemporaneo subisce ancora oggi le conseguenze di
questa condizione istituzionalmente anfibia che dà precarietà al suo statuto giuridico
– come sospeso tra la libertà del mercato professionale e la sicurezza del pubblico
impiego -, e genera incessantemente occasioni di dibattito sul futuro della
professione e sui suoi presunti (auspicati o avversati) sviluppi in un senso o
nell’altro”.38 I Notai in esercizio, dunque, sentono più accentuato ora l’uno ora l’altro
aspetto. Sotto il profilo fiscale, come vedremo, è un dato ormai acquisito che il
Notaio debba assicurare al cliente il maggior risparmio d’imposta possibile. Vero è,
dunque, che quella del Notaio è una figura mista, che racchiude in sé l’uno e l’altro
carattere, il manifestarsi dei quali dipende dalla situazione concreta.
2.3. IL NOTAIO COME TERZO IMPARZIALE
34
GALLO ORSI- GIRINO, cit., pag. 358.
GALLO ORSI, loc.ult.cit.
36
RIVA- SANSEVERINO, Sulla funzione del notaio, in «Riv. Not.», (1954), p. 231.
37
Così il Notaio A.R. nell’intervista in Trento del 4 dicembre 2002.
38
SANTORO M., I notai, cit., p. 19.
35
13
14
Il Notaio è, o dovrebbe essere, terzo rispetto alle parti. Come il Giudice, cioè, egli
dovrebbe essere imparziale. “Si suole ripetere che soggettivamente il notaio quale
dominus del negozio è super partes onde l’inconciliabilità della funzione pubblica,
che non è esclusivamente certificatrice, con la qualità di soggetto contraente”,
scriveva la Corte di Cassazione.39 Il problema dell’imparzialità del Notaio si
ripropone esattamente come per il Giudice, quindi, al quale la figura è spesso
equiparata. Ed ivi richiamiamo le norme già illustrate nei capitoli precedenti, sul
rifiuto di ricevere gli atti e sugli atti espressamente vietati al Notaio, laddove emerge
chiaramente il grado di terzietà richiesto al Notaio. La normativa sembra riproporre
quella relativa all’astensione ed alle incompatibilità dei Giudici.
2.4. IL NOTAIO COME TECNICO
Anche se forse in principio non era così, dato che la figura sembra essere nata come
mero scrivano, il Notaio si caratterizza, oggi, per essere un tecnico, cioè uno speciale
conoscitore del diritto, civile, fiscale, urbanistico e pubblico in generale, di primo
livello. Scrive un autore che “possiamo distinguere, con riferimento alla cultura, la
cultura giuridica esterna dalla cultura giuridica interna. La cultura giuridica esterna è
la cultura giuridica propria di tutta la popolazione e comune a tutta la popolazione; la
cultura giuridica interna è la cultura giuridica propria di quei membri della società
che compiono attività giuridiche specializzate. Mentre tutte le società hanno una
cultura giuridica, solo le società in cui esistono specializzazioni e professioni
giuridiche hanno anche una cultura giuridica interna”.40 Il concorso di Notaio è oggi
riconosciuto come uno dei più difficili da superarsi in Italia. Dal Notaio si va anche
in ragione della consulenza che egli è capace di dare prima di redigere l’atto.41 Donde
le storiche divisioni rispetto alla categoria degli Avvocati. Il Notaio è un giurista e
crea diritto. Anzi, spesso, la prassi notarile è essa stessa promotrice dell’evoluzione
normativa e del diritto vivente.42 Si pensi ad istituti come la cessione di cubatura o
come il condominio precostituito, nati dalla prassi notarile. Si pensi, oggi, alla
riforma delle società, per la quale rinviamo al relativo capitolo. La riforma, in sede di
39
In tal senso Cass. 10 marzo 1956, in «Riv. Not.», (1956) p. 654; MORELLO- FERRARISORGATO, L’atto notarile, Milano, 1977.
40
FRIEDMAN L.M., Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali, (trad. G. Tarello),
Bologna, 1978, p. 371.
41
DI FABIO, Manuale di notariato, Milano, 1981, p. 87.
42
PERCHINUNNO, Rapporti atipici e attività notarile, in «Rass.dir.civ.» , (1988), p. 587 ss.
14
15
progettazione, ha trovato il vaglio necessario della categoria dei Notai. Ed anzi la
stessa entrata in vigore della riforma è stata ritardata per consentire loro le
valutazioni di impatto sugli aspetti tecnico- operativi. Interessante quanto si legge in
dottrina: che “la questione aveva in realtà radici antiche, affondanti nella stessa
partizione medievale del sapere – l’insegnamento dell’ars notaria era infatti parte,
originariamente, dell’università degli “artisti”, insieme a quello della retorica, della
grammatica, della medicina e della teologia, e non dell’università dei “giuristi”.43 Il
Senatore Sclopis, magistrato, nel 1868, dichiarava in aula: “Vorrei che entrasse la
specialità dei Notari, vorrei che s’insegnasse quello che i nostri antichi chiamavano
ars notaria, quella che fu illustrata da Rolandino in Bologna. Vorrei che s’insegnasse
la pratica di tutte quelle avvertenze, di tutte quelle istruzioni e cognizioni, che sono
necessarie al Notariato nell’esercizio dell’arte sua”.44
2.5. IL NOTAIO COME STORICO
Il Notaio, come altre professioni, è anche uno storico. Egli conosce la storia di intere
famiglie, di interi quartieri, di intere comunità. E ciò è dovuto al fatto che, una volta
ricevuta la sede notarile ed insediatovi, col passare del tempo e con l’avvicendarsi
degli uffici prestati e col progredire degli atti rogati, ramifica nel posto ove risiede (la
residenza – vedremo -rientra tra gli elementi identificativi del Notaio). Il Notaio
registra, quindi, involontariamente, i mutamenti storici del contesto in cui vive. Sul
rapporto tra la storia e i Notai rinviamo a quanto scritto nel primo capitolo sulla
evoluzione storica della figura. Ivi però si vuole sottolineare qualcosa di diverso. E
cioè che, nell’ambito della storia generale, il Notaio entra a far parte della storia
concreta delle realtà in cui vive. Gli archivi dei Notai, da non confondersi con gli
Archivi Notarili, su cui infra, costituiscono, spesso, utilissime fonti per gli storici
interessati a realtà locali. Quello di storico, tuttavia, non è un carattere diffusamente
sentito tra i Notai.
2.6. PRESTIGIO DEL NOTAIO
Prestigio è una “valutazione differenziale che la maggioranza di una collettività (una
classe sociale, una categoria professionale, un gruppo etnico o religioso, una
43
44
SANTORO M., Notai, cit., p. 76.
SANTORO M., cit., p. 79 riporta AP. Senato. Discussioni. Tornata del 3/12/1868.
15
16
comunità locale o regionale, una nazione…) esprime a carico di un’altra collettività
(e, di riflesso, a carico dei suoi singoli membri), sia essa di tipo analogo o diverso,
attribuendole una posizione superiore od inferiore rispetto alle altre collettività dello
stesso tipo su una scala a più variabili. L’identità e le combinazioni di codeste
variabili cambiano da caso a caso, pur comprendendo con maggior frequenza l’utilità
sociale (della collettività a cui si attribuisce prestigio), la ricchezza, il potere politico
ed economico, la tradizione, il merito per azioni compiute in passato, il possesso di
capacità tali da divertire, commuovere, appassionare un pubblico, il grado di
istruzione, ecc. Perché abbia un senso il concetto di prestigio richiede ovviamente
che venga specificata sia la collettività che compie la valutazione (il soggetto del
prestigio), sia la collettività che è oggetto della valutazione stessa”.45 “I notai […]
sono, insieme agli altri rappresentanti delle tradizionali professioni liberali – gli
avvocati, i medici -, ai primissimi posti nella gerarchia del prestigio occupazionale
impressa
nell’immaginario
collettivo
degli
italiani
[…]”.46
Nella
scala
dell’importanza sociale il Notaio ricopre, dunque, le posizioni più alte. Nei paesi più
piccoli, assieme al maresciallo dei carabinieri, al parroco, al sindaco, l’autorità è
rappresentata pure dal Notaio. E’ il risultato recente di una evoluzione storica fatta di
alti e bassi. “I notai non hanno sempre occupato posizioni elevate nella gerarchia
sociale e onore e benefici non sono un corollario necessario della professione”.47
Infatti, scriveva il Notaio Gherardi di Lucca, nel 1864, che “la professione Notarile è
caduta in questa, come nelle altre province del regno, e se vuolsi ove più ove meno
così in basso che mentre ne invidiamo, quando lo scoramento non ce la dipinge come
fole, le dignità e le influenze che gli accordarono i nostri maggiori, quasi giustifica
l’avvertimento del legislatore Toscano, allorché dispone che le funzioni del Notaro
non derogano alla nobiltà”.48 Ma oggi è innegabile che sia così. Il Notaio rappresenta,
o dovrebbe rappresentare, la Legge e, quindi, lo Stato. La Legge poi, è innegabile,
costituisce, ancora oggi, un bene di lusso, privilegio di pochi. E questo ne accresce
l’importanza sociale. Albi professionali e accesso ristretto assicurano la
45
GALLINO L., voce Prestigio, in “Dizionario di sociologia”, Torino, II ed., 1993, p. 514.
SANTORO M., cit., p. 11.
47
SANTORO M., cit., p. 20. Vedi anche la parte relativa al notaio “borghese”.
48
SANTORO, cit., p.44 riporta il testo di GHERARDI C., Del notaro considerato nei suoi rapporti
con la società: cenni e proposte, Lucca, 1864, p. 71.
46
16
17
conservazione dei privilegi. Ma il loro sapere è ancora così esclusivo49 che non è
prossimo il momento in cui si potrà fare a meno del loro ufficio.50 Il Notaio, non solo
nell’immaginario collettivo, di solito consegue guadagni molto alti.51 Ciò lo rende
anche molto invidiato.52 Il motivo dei suoi onorari così lauti, al di là dei privilegi
storici ottenuti nel corso del tempo, è legato alla sua funzione. Per essere terzo,
disinteressato, imparziale, pur avendo dinanzi a sé affari per somme ingenti, deve almeno un po’- esservi impermeabile. Scriveva un autore nel 1864 che “gli uffici ed
opere dei notai contribuiscono assai utilmente al buon andamento dei principali rami
del pubblico servizio. Per essi si ha la certezza dell’individualità delle parti e la
precisa designazione degl’immobili, per cui si operano regolarmente i trapassi e si
conserva l’ordine e la necessaria esattezza nei libri catastali; agli agenti finanziari per
la tassa sulla ricchezza mobile possono fornire i dati più sicuri onde riconoscere e
rintracciare i cespiti ed elementi soggetti alla medesima. Con uno stile facile e chiaro,
con appropriate formule ed una redazione bene ordinata, colla loro abituale
accuratezza e rettitudine coadiuvano ed assicurano i conservatori delle ipoteche nelle
loro operazioni; agevolano ai ricevitori del registro il loro compito, la retta
apprezzazione e qualificazione dei contratti e la liquidazione e percezione delle
relative tasse, mentre da molte scritture private, estese da persone incapaci, non se ne
può cavar costrutto, presentano mille difficoltà e danno luogo a molti inconvenienti e
perdita di tempo”53.
3. ORDINAMENTO DEL NOTARIATO
La materia è disciplinata dalla Legge 16 febbraio 1913, n. 89 “Sull’ordinamento del
notariato e degli archivi notarili”. Il Notaio rientra in una rigorosa organizzazione
amministrativa a base territoriale: quella del Ministero della giustizia. Il territorio
nazionale è diviso in distretti, spesso accorpati tra loro (es. Distretti Riuniti di Roma,
Velletri e Civitavecchia), all’interno dei quali sono chiamati ad operare un certo
49
Secondo SESTO- TESTA, L’università cambia le professioni nella UE, in Il sole 24 ore del 23
aprile 2001, pag. 3, in paesi come Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna - invece - non esiste
figura analoga a quella del commercialista, che pure ha un sapere esclusivo.
50
Il Notaio L.P., durante l’intervista a Trieste, nel suo studio, nello scorso novembre, raccontava che
spesso il contadino del Carso triestino sa più lui di usufrutto, servitù e quant’altro che non ingegneri o
architetti o altri professionisti che quasi si rifiutano di ricevere chiarimenti sul funzionamento degli
istituti giuridici.
51
SANTORO, Notai, cit., p. 11.
52
Il Notaio L.P., nella intervista concessa sopracitata, incidentalmente riferiva che “molti ci
considerano parassiti”, riferendosi a questo stato di cose.
53
SANTORO, cit., riporta DENEGRI G., Progetto di un ordinamento generale del Notariato del
Notaio G. Denegri, Genova, 1864, 7-20
17
18
numero di Notai, nelle rispettive sedi notarili, secondo parametri di densità popolare
ed economica. Per la verità si è arrivati molto tardi a questo stato di cose. E ciò
quando gli stessi Notai si accorsero che un numero eccessivo di membri e di sedi
notarili risultava controproducente per l’intera categoria, riducendo i guadagni. Ai
sensi dell’art. 27 l. not. “il notaro […] non può prestarlo (il proprio ministero n.d.r.)
fuori del territorio del distretto in cui trovasi la sede notarile”.
3.1. ACCESSO ALLA PROFESSIONE. LE SCUOLE DI NOTARIATO. LA
PRESELEZIONE INFORMATICA. LE PROVE SCRITTE. LE PROVE ORALI.
3.1.a. Il problema dell’accesso alla professione è di grande importanza sociologica.
Riportiamo qui di seguito due passi interessanti a far comprendere il problema di cui
andiamo ad accennare. Scriveva un Notaio, nel 1905, che “un giovane si destina alla
carriera del notariato perché (salvo eccezioni) o ha pochi mezzi, o ha poco ingegno.
Infatti è questa appunto la professione che su tutte le altre ha il vantaggio di non
richiedere un lungo tirocinio di studii e di non esigere un grande corredo di
dottrina”.54 Potremmo dire, oggi, nel 2003, che siamo passati da un eccesso all’altro!
Dichiarava il Senatore Poggi, nel 1868, che “perché un cittadino abbia un tale potere,
è necessario l’intervento dell’autorità pubblica, nell’ordine naturale delle cose non
stando che la testimonianza di un uomo valga più di quella di un altro, e l’autorità
pubblica per arrivare alla scelta di questo ufficiale pubblico, è d’uopo che usi molte
cautele, per assicurarsi che il candidato è probo, capace e che può dare le maggiori
garanzie che non mancherà al suo ufficio”.55 Parole al vento, diremmo oggi! La lotta
per un posto di Notaio è fratricida. “Si è arrivato in un concorso a una piazza notarile
vacante in Cosenza, financo a stampare alla macchia un libello contro un malcapitato
Notaio, che aveva il torto di essere il più anziano fra i concorrenti, attaccando anche
la condotta della moglie”.56 Si legge, ancora, dopo lo scandalo di Recco, in Liguria,
che “se il padre notaio fosse morto prima che il figlio avesse terminato gli studi, si
poteva sempre contare sulla complicità del commesso di studio e di qualche notaio
amico per assicurarsi la trasmissione dello studio del padre, a volte con un interregno
54
SANTORO, cit., p. 101, riporta FAVA M., Il decadimento del notariato in Italia: esame critico
delle cause e rimedi atti a risanarlo, Napoli, 1905, p. 8.
55
SANTORO, cit., p. 54,riporta gli AP. Senato Disc. 1867-68. Tornata 7/12/1868.
56
SANTORO, cit., p. 114, riporta “Riforma del notariato”, 1902, p. 51.
18
19
nell’illegalità anche di ventenni”.57 Non sembra quasi vero di leggere quanto
riportato. Assai influente, si legge in dottrina, che sia anche il mestiere del papà del
candidato. Se questi è Notaio, secondo la lettura delle statistiche, le sorti del concorso
possono essere più favorevoli. A Novara, dal 1861 al 1911, il 9% dei Notai era figlio
di Notaio, solo l’1% di impiegato e, lo 0%, di militare. Questo vuol dire che oggi, su
duecento posti messi a concorso, soltanto una ventina sarebbero destinati a figli di
Notai. A Milano, nel 1911, il 15% dei Notai erano figli di commercianti, il 3,3% di
artigiani, e solo l’11,65 di Notai.58 Quanto alla raccomandazione, di cui si parla tanto
tra i candidati, non si è rilevata documentazione alcuna. Del resto sarebbe da cercarsi
nella giurisprudenza penale, perché il favorire un candidato anziché un altro, al di là
delle ordinarie procedure concorsuali, rappresenterebbe una sorta di turbativa d’asta.
Un delitto contro la Pubblica Amministrazione della Giustizia. Per l’importanza e per
la complessità del suo ufficio, nonché per i privilegi sociali ed economici che ne
conseguono, l’accesso alla professione di Notaio è molto difficile e selettivo. Il
concorso è bandito a cadenza biennale. Per partecipare bisogna essere laureati in
giurisprudenza, senza importanza alcuna però né per il voto di laurea né per la
carriera accademica né per le eventuali pubblicazioni. Non si deve pensare che la
laurea sia sempre stata richiesta come presupposto minimo di accesso. Anzi, proprio
perché non era richiesta la laurea, il mestiere notarile, nell’Italia post-unitaria,
soffriva un po’ rispetto al più prestigioso mestiere di Avvocato (in alcuni casi il
Notaio lavorava presso lo studio dell’Avvocato, al suo servizio, ma soprattutto per
riceverne aiuto), per il quale la laurea, invece, era già indispensabile. Anche se, dalle
statistiche del tempo, risulta che comunque molti Notai fossero laureati. “Erano
soprattutto, e comprensibilmente, i notai lombardi e quelli veneti a insistere sin dai
primi anni unitari sull’opportunità del requisito della laurea”.59 Sono necessari, dopo
la laurea, due anni di praticantato presso uno studio notarile.60 Il biennio di pratica
notarile costituisce oramai, nella maggior parte dei casi, per antico malcostume, una
mera formalità burocratica. Il praticante, da un lato, non sa quasi niente della
57
SANTORO, cit., p. 128, riporta PINGITORE G., Cause efficienti ed efficienti di decadimento del
notariato in Italia, in “Bollettino notarile”, XVII.
58
SANTORO, cit., p. 122.
59
SANTORO, cit., p. 70.
60
Secondo SESTO- TESTA, cit., in Francia i canali sono tre: interna allo studio notarile, universitaria,
professionale; in Spagna si accede per concorso e sempre per concorso si avanza in anzianità; in
Germania il percorso è simile a quello italiano; in Gran Bretagna addirittura esistono tre categorie di
notai: distrettuali, generali ed ecclesiastici.
19
20
operatività notarile ed il suo apporto, pertanto, è quasi sempre insignificante.
Dall’altro, il Notaio è quasi sempre più che impegnato nella stipula dei contratti e
non ha (o non vuole trovare), perciò, tempo per dedicarsi all’insegnamento. Né il
Notaio può pretendere alcunché dal praticante, trattandosi di attività non remunerata.
Il praticantato, perciò, spesso si rivela un periodo per collezionare i certificati
bimestrali da presentare al Consiglio Notarile e nulla più. Il numero dei laureati in
giurisprudenza è progressivamente sempre più alto. E la selezione si fa perciò, quasi
esclusivamente, al concorso.
3.1.b. Di recente si sono diffuse delle scuole di preparazione alla professione notarile,
per lo più presso i Consigli Notarili. Ivi i Notai insegnano agli aspiranti gli istituti
notarili e le tecniche contrattuali. Ma vi intervengono anche Giudici, Avvocati e
Professori universitari. I corsi tenuti presso le scuole approfondiscono le tematiche
notarili più rilevanti già studiate all’Università, sottoforma di casi concreti,
simulando spesso le prove concorsuali.
3.1.c. Il concorso attualmente si svolge in tre fasi. Una preselezione informatica, le
prove scritte e l’esame orale. La preselezione informatica è nata dalla necessità di
ridurre il numero di concorrenti che accedono alle prove scritte. Gli elaborati da
correggere sarebbero diverse migliaia, sicché le commissioni non sono più in grado
di far fronte ad una simile mole di lavoro. Di qui l’idea, che la tecnologia moderna ha
favorito, di scremare gli aspiranti – Notai, con una prova preliminare. Ciò che rende
il candidato “carne da macello”. Questa consiste nel rispondere, sullo schermo di un
computer, ad una serie di domande, attualmente sessanta,61 a risposta multipla. Solo
chi, al termine della prova, ha concluso senza errori o con gli errori consentiti da un
successivo decreto ministeriale, ha accesso alle prove scritte. La questione della
preselezione informatica è che, con l’obiettivo di ridurre il numero di elaborati da
correggere, si è creata una mole di contenzioso esagerata che blocca gli stessi
concorsi. Alcuni candidati, infatti, con diversi ricorsi ai rispettivi T.A.R., hanno
messo in discussione sia il meccanismo in sé della preselezione informatica, sia la
circostanza di essere stati respinti per un solo errore, e così via. Il computer è in
grado di apprezzare un solo ed unico elemento nel candidato: la conoscenza
mnemonica della Legge. Ma il candidato ideale non è solo questo (che a ben guardare
61
Attualmente sono novanta quelle del concorso da uditore giudiziario, laddove però i c.d. quiz
vertono su domande, oltre che di diritto civile, anche di diritto amministrativo e penale.
20
21
forse è l’unico elemento cui si possa sopperire, con un bel codice!). E’ sensibilità
giuridico- notarile, e cioè quella particolare capacità di interpretare la norma
adeguandola, fin dove possibile, al caso concreto. E’ capacità di spaziare per
l’ordinamento giuridico, dal diritto pubblico al diritto privato e viceversa. E’ capacità
di mettere d’accordo le parti. E’ capacità di creare diritto, costruendo contratti che
possano vivere bene nell’ordinamento giuridico. E’ capacità di conservare e
archiviare ordinatamente il patrimonio di informazioni giuridiche cui si dà
gradualmente forma. E’, soprattutto, capacità di dare, attraverso l’autorevolezza del
proprio ufficio, tranquillità e serenità a chi a lui si rivolga.
3.1.d. Le prove scritte simulano gli atti rogati solitamente dal Notaio. Una prova
scritta verte sulla volontaria giurisdizione, una sui testamenti, una sui contratti in
generale. Quindi non basta conoscere il diritto privato. Occorre conoscere la
disciplina notarile specificatamente. Un errore od omissione formale comporta
l’esclusione dal concorso. Oltre la parte pratica il candidato deve riportare la
motivazione della soluzione adottata con tanto di dottrina e giurisprudenza, a
sostegno e contraria.
3.1.e. I pochi che superano le prove scritte in modo utile devono affrontare la prova
finale: l’esame orale dinanzi alle Commissioni. Ivi, oltre a parlare delle prove scritte,
delle soluzioni adottate, degli orientamenti scelti e di quelli non adottati, si risponde a
domande rivolte a sondare la preparazione complessiva del candidato e per valutarne,
in ultima istanza, l’idoneità a svolgere l’ufficio di Notaro. Anche questa prova,
dunque, costituisce ulteriore elemento di selezione. I vincitori di concorso sono
collocati in graduatoria ed i primi scelgono la sede notarile. Cambiare sede diventa
poi piuttosto difficile. Si adotta una ulteriore procedura concorsuale.
3.2. STUDIO ASSOCIATO TRA NOTAI
E’ sempre più frequente che i Notai di oggi si associno in grossi studi notarili. La
possibilità, fino a poco tempo fa, era negata dalla giurisprudenza, sulla base del
dettato normativo.62 La Legge 1815/1939, Disciplina giuridica degli studi di
assistenza e consulenza, allora vietava di “costituire, esercitare o dirigere, sotto
qualsiasi diversa forma, società, istituti, uffici, agenzie o enti, i quali abbiano lo
62
Dell’argomento lo scrivente si è occupato personalmente nella tesina di laurea di diritto
commerciale, La illegittimità di particolari clausole statutarie nelle società a responsabilità limitata,
Università degli Studi di Trieste, 1994- 95, p. 4 e ss.
21
22
scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di
assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa,
contabile, tributaria”. Tale Legge era interpretata in senso rigoroso e restrittivo dai
giuristi.63 Oggi la normativa è cambiata, sotto la spinta riformista. E la nuova
Legislazione consente ora la costituzione di società tra professionisti. La realtà
associativa è stata importata dagli Stati Uniti, dove esistono studi legali di
proporzioni bibliche.
Ma la prestazione professionale, in Italia, rimane comunque personale, ex art. 2232
c.c. L’associazione professionale tra Notai nasce, sotto il profilo sociologico,
dall’esigenza di condividere, oltre che le spese e i costi di gestione dello studio
notarile, spesso assai considerevoli, le difficoltà della professione, laddove si
possono incontrare problematiche la cui soluzione è facilitata dallo scambio di
specificità e dalla comunione di esperienze.64
4. LE FUNZIONI DEL NOTAIO 65
Argomento principe ed originario di questa trattazione, quello delle funzioni del
Notaio, nella vastità del tema da trattare, è stato relegato a queste poche pagine di
questa seconda parte del capitolo. Dottrina e la giurisprudenza hanno attribuito al
Notaio, nel tempo, diverse funzioni. E la loro definizione non appare, dopo i dovuti
approfondimenti, così pacifica. Ed impegna, ancora oggi, e non poco le colonne delle
riviste specialistiche. “L’eterogeneità delle attribuzioni notarili, considerate nel loro
complesso, non ha probabilmente consentito di elaborare categorie dogmatiche
definitive e del tutto soddisfacenti, né di andare al di là, nemmeno per i soli atti
pubblici, di un’analisi descrittiva dello scopo e del significato dell’intervento
notarile”.66
4.1. FUNZIONE DI CERTIFICAZIONE
Si parla, in primo luogo, di funzione di certificazione: è compito primo del Notaio di
dare certezza al contenuto negoziale. L’atto del Notaio ha efficacia probatoria
63
Tribunale di Udine, decr. 4 maggio 1993.
In quest’ultimo senso il Notaio A.R., nell’intervista del 4 dicembre 2002.
65
BARATTA, La funzione notarile, in «Riv. Not.», (1955), p. 198 ss; GIRINO, Le funzioni del notaio,
in «Riv. Not.», (1983), p. 1057 ss; D’ORAZI FLAVONI, L’autonomia del diritto notarile, in «Riv.
Not.», (1957), p. 222 ss.; RIVA- SANSEVERINO, Sulla funzione, cit., p. 231.
66
BOERO, La legge notarile commentata, I, Torino, 1993, p. 7.
64
22
23
privilegiata. 67 Norma fondamentale assieme all’art. 1 l. not., è l’art. 2699 c.c.: “l’atto
pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro
pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è
formato”. Ai sensi del successivo art. 2700 c.c., “L’atto pubblico fa piena prova, fino
a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha
formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico
ufficiale attesta avvenuti in sua presenza”. Un aspetto importante da sottolineare è
che l’atto del Notaio non fa fede del contenuto delle dichiarazioni, la cui falsità può
essere dimostrata con qualunque mezzo di prova.68 Certa dottrina sottolinea come la
funzione di certificazione non sia l’unica svolta dal Notaio, né la più importante, e
come, soprattutto, alla luce della più recente Legislazione, non sia più compito
esclusivo del Notaio.69 Lo strumento processuale della querela di falso è deputato
proprio ad accertare la falsità del documento, benché prodotto con tutte le formalità e
garanzie di verità previste dalla Legge. Si riconosce, in dottrina, la proponibilità della
querela di falso anche da parte del comparente che ha sottoscritto l’atto. Si discute, a
tal proposito, se le parti possano considerarsi artefici anch’esse dell’atto notarile o se
esso debba, sempre e soltanto, ricondursi al solo Notaio. L’istituto della querela di
falso trova la propria ratio nella circostanza, considerata dal Legislatore, a
bilanciamento della pubblica fede che gli attribuisce, che non può mai escludersi,
fino in fondo ed in assoluto, la possibile mala fede, oltre che delle parti, dello stesso
Notaio.
4.2. FUNZIONE DI LEGALITA’
Si parla di controllo di legalità con riguardo a quanto prescrive l’art. 28 l. not. “Il
notaro non può ricevere atti se essi sono espressamente proibiti dalla legge o
manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico […]”.70 Sulla portata
di questo controllo notarile non c’è uniformità di vedute. Parte della dottrina lo
67
CRISCI, Atto pubblico, in “Enc.D.”, IV, (1959), p. 270.
Cass. 16 novembre 1960, n. 3074 con riguardo alla falsità del prezzo dichiarato dalle parti. Scrive
BOERO, loc.ult.cit., p. 12 che ciò “rende ragione della clausola solitamente contenuta negli atti
notarili, mediante la quale “le parti dichiarano che il prezzo della vendita fu tra loro convenuto in
lire…e che detta somma venne pagata prima d’ora…” ; Cass. 8 luglio 1975, n. 2921 in generale.
69
MORELLO, Le limitazioni alla esclusività della funzione notarile in Italia, in «Riv. Not.», (1974),
p. 927 s.
70
Si ritiene in dottrina che il controllo di legalità debba, pur nel silenzio della Legge, intendersi esteso
anche alle autentiche di sottoscrizioni. Così BOERO, loc.ult.cit., p. 13
68
23
24
esclude, per esempio, con riguardo al contenuto delle delibere assembleari.71 Ma non
ha meno vigore l’orientamento contrario, fondato sul carattere di pubblico ufficiale
del Notaio, cui si rinvia, e, soprattutto, perché, se questa funzione non è riconosciuta
nemmeno in capo ai Notai, non si vede chi altri, oltre al Giudice, in sede patologica,
però, dovrebbe adoperarsi per far rispettare la Legge. Il Notaio deve, quindi,
assicurare l’osservanza della Legge.72 E ci piace prendere a prestito le parole di un
Notaio che scrive, anche se per inciso, che “il notaio è responsabile della legalità del
contenuto dell’atto stesso”.
4.2.a.Questioni di legittimità costituzionale. Si è posto il problema della rilevabilità
di norme incostituzionali (assai poco sentito da alcuni Notai). La dottrina più attenta,
però, che ha considerato la questione, esclude che il Notaio abbia attualmente i mezzi
per eccepire l’incostituzionalità di una norma di Legge, prerogativa propria della sola
attività che si svolge in sede giurisdizionale, potendo la questione di costituzionalità
essere sollevata soltanto in un giudizio.73 Noi riteniamo che sia un’occasione perduta
per la costituzionalità delle Leggi ed un sintomo di scarso peso politico istituzionale,
rispetto ai Giudici, dell’intera categoria dei Notai. Forse, un prezzo da pagare per la
libera professionalità.
4.3. FUNZIONE DI ADEGUAMENTO
Si parla, più in generale, di funzione di “adeguamento” con riguardo all’attività di
interpretazione della volontà delle parti e riduzione per iscritto delle dichiarazioni,
secondo le prescrizioni normative.74 Ai sensi dell’art. 47 ult.co. l.not. “spetta al
notaio soltanto d’indagare la volontà delle parti e dirigere personalmente la
compilazione integrale dell’atto”. Si pensi alla volontà testamentaria, che viene
espressa in modo libero dal testatore, ed alla conseguente attività svolta dal Notaio,
nell’accogliere, riducendo per iscritto in testamento, o rifiutando, perché illegittime.
Si pensi alla individuazione di un lascito a titolo di erede o di legato. Si pensi alla
71
LAURINI, La verbalizzazione delle delibere assembleari, Giornata di studio dell’8 maggio 1982, a
cura del Comitato Regionale Notarile Lombardo, Milano, 1982, p. 70.
72
PASQUALIS, Il problema della circolazione in Italia degli atti notarili provenienti dall’estero, in
Relazioni al XXIII Congresso internazionale del notariato latino, a cura del Consiglio Nazionale del
Notariato, Milano, 2001, p. 468.
73
Il Notaio G.R. di Vicenza, espressamente richiesto sull’argomento, escludeva in modo categorico
che il Notaio possa porre questione di incostituzionalità, rimessa in modo esclusivo al giudice,
“altrimenti disapplicheremmo tutte le leggi fiscali”.
74
Da questo punto di vista la funzione di controllo della legalità rientra in quella, più ampia, c.d. di
adeguamento.
24
25
cessione di un fondo edificatorio ad un imprenditore edile in cambio della promessa
di uno o più appartamenti dell’edificio da costruire, alle difficoltà di individuazione
dei beni ed alla collocazione nel tempo degli effetti del contratto, nel rispetto delle
prescrizioni di legge. Si pensi al divieto di patti successori, cui si rinvia. Emerge, dal
dettato normativo, il carattere tecnico che contraddistingue la figura del Notaio (vedi
paragrafo sul Notaio come tecnico). Scrive la dottrina che “il contenuto minimo della
funzione di adeguamento […] è quello, ineliminabile, di una puntuale informazione
di entrambi i contraenti sull’esatto significato e sulle fondamentali conseguenze delle
singole clausole”.75 In questa stessa sede, parte della dottrina riconduce lo
svolgimento, da parte del Notaio, del giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322
c.c.76 Ma non mancano pareri contrari, volti a ridurre quello che sarebbe il vero
ambito discrezionale del Notaio, invero assai limitato. Racconta sull’argomento un
cortese Notaio, intervistato sull’argomento, che mai gli è accaduto di formulare un
giudizio negativo, ai sensi dell’art. 1322 c.c. Piuttosto è capitato con riguardo a
singole manifestazioni di volontà di parti contrattuali. 77
4.4. FUNZIONE ANTIPROCESSUALE
Alla funzione di legalità è strettamente legata la funzione antiprocessuale dell’attività
notarile, diretta a prevenire le liti giudiziarie. Si tratta di un compito, riteniamo,
fondamentale e irrinunciabile. Perché evita, oggi, il tracollo del sistema giudiziario. Il
buon Notaio è colui che roga l’atto pubblico perfetto, tale per cui nessuna delle parti,
sulla base di quanto scritto, possa sognarsi di impugnare l’atto, né possa trovarvi un
appiglio, anche minimo, per farlo. E, in ciò, tale funzione si fonda con quella di
adeguamento. Perché, per rogare l’atto perfetto, il Notaio deve cercare di conoscere
al meglio le volontà delle parti, facendo venire alla luce ogni eventuale pericolo per
la vita dell’atto, oggettivo o soggettivo che sia. Oggettivo, quando dipenda dalla
normativa, dai fatti, dalle cose. Soggettivo, quando dipenda dalla persona delle parti,
75
BOERO, cit., p. 17.
PIERLINGIERI, Il ruolo del notaio nella formazione del regolamento contrattuale, Camerino,
1976.
77
Il Notaio A. R. di Trento racconta, nell’intervista del 4 dicembre 2002, che si trattava di prelazione
convenzionale, a parità di prezzo e condizione, senza termine, voluta dai singoli donatari, sulla parte
di beni divisi dai genitori e attribuiti agli altri fratelli.
76
25
26
quali la loro precisa volontà negoziale, l’eventuale riserva mentale, il grado di
cultura, l’atteggiamento (costruttivo- collaborativo o distruttivo- ostativo), il
comportamento (trasparente o reticente), la personalità (sicura e decisa o timida e
incerta), la buona o la mala fede. Quest’ultimo costituisce il pericolo numero uno per
il Notaio. Ed anche il più galantuomo dei Notai, in quel caso, potrebbe trovarsi
chiamato a testimonio in Tribunale. La funzione antiprocessuale, infine, è garanzia di
sopravvivenza della categoria, specie in un contesto, come quello comunitario, in cui
da più parti si avanzano istanze abrogative della figura del Notaio, argomentando
dalla possibilità di tornare ad attribuire allo Stato, in senso stretto, certe prerogative,
com’è già accade in alcuni Paesi europei, di common law, dove il Notaio è un
pubblico dipendente pagato direttamente dallo Stato. Per fortuna per i Notai, oggi, in
Italia, oltre alla sua attività tipica di mediazione tra le parti, si vorrebbe attribuire
sempre più mezzi di conciliazione stragiudiziali.78
4.5. FUNZIONE CREATRICE DI DIRITTO
La funzione creatrice del diritto consiste nella capacità del Notaio, attraverso gli
strumenti offerti dall’ordinamento, di creare diritto appunto. E ciò trova la sua prima
espressione nei contratti. Grazie all’incontro di due o più volontà, infatti, il Notaio
contribuisce, assieme alle parti, a creare vere e proprie leggi aventi forza cogente tra
le parti. I contratti che entrano a far parte del mondo giuridico per mezzo del Notaio,
costituiscono diritto, in alcuni casi opponibile anche ai terzi, nello spazio e nel
tempo. Si pensi alla costituzione di una servitù o di una superficie o di un usufrutto.
Si pensi ai trapassi di beni da un soggetto ad un altro, spesso di interi ed ingenti
patrimoni, anche mortis causa. Qualche Notaio però nega categoricamente
l’esistenza di questa funzione. Il Notaio non sarebbe autonoma fonte di diritto,
nemmeno per quanto attiene alla prassi notarile.79
5. L’AVVENTO DELL’INFORMATICA
78
CARNELUTTI, La figura giuridica del notaio, in «Riv. Trim. Dir. Proc. Civ.», (1950), 924 ss. ;
SALA, Il notaio e l’arbitrato, in Atti del XVIII Congresso nazionale del notariato, Catanzaro, 13- 20
giugno 1970, p. 71 ss.; PROTO PISANI, Possibile contributo del notariato al risanamento della
giustizia civile, in “Giust. Civ.”, 2000, V, 1; GRASSO, La funzione del notaio e la tutela
stragiudiziale dei diritti, in «Riv. Not.», (1971), p. 17 ss.
79
Così il Notaio A. R. nell’intervista del 4 dicembre 2002.
26
27
Ma il notariato deve fare i conti con l’evoluzione tecnologica, in particolare con
l’epoca del computer. La figura del Notaio va, quindi, ripensata alla luce delle nuove
possibilità offerte dall’informatica. Questa pone nuove questioni giuridiche. Il diritto
deve confrontarsi con i mezzi sempre più evoluti offerti dalla tecnologia e con gli
effetti che questi possono produrre nel mondo reale prima ed in quello giuridico poi.
E la confusione è possibile, se si considera che anche quello giuridico, dopotutto, è
un mondo virtuale, come può esserlo quello informatico; sicché gli operatori si
trovano a lavorare su più piani che si intersecano.
5.1. PROSPETTIVE PER IL RUOLO DEL NOTAIO NELL’ERA INFORMATICA
Il primo e preliminare interrogativo è se il Notaio possa un giorno trovarsi ad essere
sostituito dalla macchina. Almeno per il momento, la risposta sembra essere
negativa. L’attività notarile non è riducibile all’uso di un numero chiuso di schemi
contrattuali (anche se la preselezione informatica inserita per Legge per l’accesso alla
professione potrebbe far pensare al contrario). Esistono sì formule e formulari
notarili. Forse un giorno, restando ciascuno a casa propria o nel proprio ufficio, si
potrà stipulare contratti inviando dichiarazioni ad un supercervellone, che le
riconosca o le rifiuti, a seconda che si avvicinino tra loro e siano compatibili con
l’ordinamento. Quel giorno, forse, del Notaio si potrà fare a meno. Ma esiste
un’attività di intermediazione tra le parti stesse e tra queste e la Legge che la
macchina non potrebbe svolgere, almeno al momento. Il Notaio soltanto, in virtù
della propria sensibilità, può percepire anche quello che le parti non vogliono o non
possono dire. Capacità che, allo stato, la macchina non ha e non può avere. Il Notaio
poi ha la possibilità di creare istituti nuovi e atipici, che la macchina non sarebbe in
grado di creare, perché conosce e produce solo ciò che è registrato al suo interno. Ed
il giudizio di meritevolezza di tutela non è affatto facilmente riproducibile in un
software di una macchina.
5.2. QUESTIONI OPERATIVE POSTE DALL’INFORMATICA
Ma i Notai sono piuttosto impegnati in piccoli problemi di prassi quotidiana, imposti
dal mezzo informatico. Essi si lamentano, per esempio, degli adempimenti sempre
più forzosi e che rallentano l’attività notarile, specie quelli imposti, oggi, dalle
27
28
Camere di Commercio. Si fa troppa fatica a correre dietro allo sviluppo tecnologico
in questo particolare settore, troppo veloce per il diritto notarile.80
5.3. DOCUMENTO INFORMATICO E FIRMA DIGITALE
Si discute, in generale, della circolazione del documento informatico. La
Legislazione sembrerebbe aver già fornito gli strumenti per la formazione e
circolazione di detti documenti. Il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, il nuovo “testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione
amministrativa”, si occupa, espressamente, del documento informatico e della firma
digitale. Per documento informatico s’intende, a norma dell’art. 1, lett. b), “la
rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. Per firma
digitale, ai sensi della lett. n) s’intende “il risultato della procedura informatica
(validazione) basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e
una privata, che consente al sottoscrittore, tramite la chiave privata e al destinatario
tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la
provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti
informatici”. Si legge sulle cronache più aggiornate che “le firma digitale è ormai
definita, anche se il percorso per un suo effettivo utilizzo è ancora alle battute
iniziali, come è provato dall’introduzione graduale dell’obbligo per l’invio telematico
degli atti societari”.81
5.4. PROBLEMA DELLA SICUREZZA DEI RAPPORTI GIURIDICI
La dottrina sottolinea come il nocciolo del problema per il notariato risiede nella
riconducubilità di tale documento nell’ambito dell’atto pubblico in senso tecnico ex
artt. 2699 e 2700 c.c.82 In ultima analisi l’informatica pone poi il sempre attuale
problema della sicurezza circa la provenienza dell’atto pubblico. Il Notaio fa fede
della provenienza delle dichiarazioni. E a noi non sembra ancora che i sistemi tecnici
congegnati dagli ingegneri informatici sino ad oggi, abbiano risolto il problema. La
c.d. firma digitale, infatti, costituisce pur sempre un meccanismo non sicuro, perché
80
Così il Notaio A.R. di Trento, più volte citato.
PIRAZZINI, Gli studi scommettono sulla “firma digitale”, in “Il sole 24 ore”, 7/12/2002.
82
CARDILLO, La circolazione del documento notarile informatico, in Relazioni al XXIII Congresso
internazionale del notariato latino, a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 2001, p. 563
e ss.
81
28
29
non dà certezza della provenienza della dichiarazione di volontà dalla persona. Si
legge nelle cronache, a titolo esemplificativo, che “le Camere di commercio, già da
alcuni anni, hanno investito risorse organizzative e strumentali per dotare tutte le
società iscritte nel Registro della firma digitale “sicura”, lo strumento per l’accesso
all’e- governament nei rapporti con tutte le amministrazioni pubbliche, oltre che per
documentare, con maggiori garanzie, i rapporti giuridici privatistici”.83
6.1. LE NUOVE REGOLE PROVENIENTI DAL DIRITTO INTERNAZIONALE E
DAL DIRITTO COMUNITARIO IN PARTICOLARE. Il Notaio è chiamato, oggi, a
confrontarsi con regole che non sono più di esclusiva emanazione dello Stato.
Sempre più incisiva è, infatti, l’influenza del diritto sopranazionale. Non è qui il caso
di soffermarci sui modi in cui il diritto sopranazionale trova applicazione
nell’ordinamento interno, perché l’argomento richiederebbe una trattazione a parte.
Diamo per nota la questione e per conosciuti gli istituti di applicazione comunitaria,
in particolare, l’intero sistema delle fonti del diritto comunitario. Il diritto
sopranazionale pone, con sempre maggior vigore, il problema della uniformità degli
ordinamenti interni. Si legge in dottrina, a proposito della già dimenticata storia
dell’unificazione d’Italia, che “le professioni- soprattutto quelle giuridiche, e tra esse
quella notarile- potevano ben apparire alla nuova classe dirigente un potente vettore
di nazionalizzazione, a cui attribuire compiti decisivi per l’edificazione della nuova
società e del nuovo stato nazionale”.84 E ci piace riportare questo passo proprio in
questa sede anziché in quella storica, perché fa comprendere i nuovi orizzonti che si
aprono per la professione notarile in chiave europea. La figura del Notaio non è
presente dappertutto e, anche laddove prevista, non presenta, sempre, caratteristiche
omogenee. Spesso è sostituita, nello svolgimento delle funzioni descritte, da altre
figure con caratteri diversi. Per esempio è diffusa, come già anticipato, la figura del
Notaio come semplice funzionario, dipendente di ente pubblico, con competenze
amministrative sul territorio. Il dibattito sulla compatibilità della figura nazionale del
Notaio con quelle che sono le istanze europeistiche è in pieno svolgimento. Per un
significativo esempio della difficoltà di avvicinamento di istituti giuridici, tra paesi
diversi, si veda Corte di Giustizia CE, 17 giugno 1999, causa C-260/97 Unibank A/S
83
84
PIRAZZINI, cit.
SANTORO M., I notai, cit., p. 39.
29
30
c. Christensen relativa alla riconducibilità nella categoria degli atti autentici, ex art.
50 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, del titolo di credito
esecutivo. Così, per esempio, un Notaio ha fatto ricorso al diritto comunitario per
ritenere non più applicabile l’art. 18 della legge 24 dicembre 1976, n, 898, che
richiede la preventiva autorizzazione prefettizia alla vendita, per gli immobili situati
in zona di confine, da parte di cittadini stranieri. Il Notaio, ricorrente avverso il
diniego di trascrizione oppostogli dal Conservatore dei registri immobiliari di Napoli,
in quella sede, risultò però soccombente. 85
6.2. CIRCOLAZIONE IN ITALIA DI ATTI PROVENIENTI DALL’ESTERO
Atti destinati ad avere pubblica fede sono formati anche all’estero ed è possibile che
detti atti siano destinati, per qualche motivo, a produrre la loro efficacia anche in
Italia. Il problema che si pone è, dunque, quello del procedimento di riconoscimento
di detta efficacia pure in Italia. Esiste nel nostro ordinamento un intero sistema
normativo, quello del c.d. diritto internazionale privato, recentemente riformato con
la legge 31 maggio 1995, n. 218, che “determina l’ambito della giurisdizione italiana,
pone i criteri per l’individuazione del diritto applicabile e disciplina l’efficacia delle
sentenze e degli atti stranieri” (art. 1), fatte salve le convenzioni internazionali
vigenti. Salva, però, secondo la norma di chiusura dell’art. 17, l’applicazione delle
“norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono
essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera” (c.d. norme di
applicazione necessaria). Secondo la dottrina, facendo leva sull’art. 106 l. not., come
modif. dalla legge 30/97,
il Notaio deve garantire, nell’atto da mettere in
circolazione, la sussistenza dei caratteri richiesti dall’ordinamento italiano.86 Questo
orientamento ha però l’effetto “distorsivo” di impedire o disincentivare la
circolazione del documento formato in Italia all’estero. Questo perché, per il
principio della reciprocità di diritto internazionale, il Paese il cui documento non è
accettato in Italia, difficilmente riconoscerà cittadinanza al documento formato in
Italia.
85
Tribunale di Napoli, 27 maggio 1998, decr., in “Not.”, fasc. n. 6, (99), p. 571; AVAGLIANO, Gli
acquisti immobiliari dei cittadini comunitari concernenti beni situati in zone di confine, in Consiglio
Nazionale del Notariato, Studi e materiali, 1998, V, 181
86
PASQUALIS P., Il problema, cit., p. 465 e ss.
30
31
7.1. RESPONSABILITA’ CIVILE DEL NOTAIO VERSO IL CLIENTE
Anche il Notaio, come ognuno che viva nell’ordinamento giuridico vivente, è
soggetto a responsabilità civile per i danni di cui sia causa. Ai sensi dell’art. 76 l. not.
“Quando l’atto sia nullo per causa imputabile al notaro, o la spedizione della copia
dell’estratto o del certificato non faccia fede per essere irregolare, non sarà dovuto
alcun onorario, diritto o rimborso di spese. Negli accennati casi, oltre al risarcimento
dei danni a norma di legge, il notaro deve rimborsare le parti delle somme che gli
fossero state pagate”. Si discute sulla natura giuridica della responsabilità civile del
Notaio. “La maggior parte delle tesi prospettate dalla dottrina si possono raggruppare
in due gruppi: al primo gruppo appartengono coloro che affermano sussistere a carico
del notaio, oltre ad una responsabilità contrattuale, nei confronti delle parti, anche
una responsabilità extracontrattuale o aquiliana o ex lege anche verso i terzi, mentre
fanno capo al secondo coloro che propendono per la sola responsabilità
contrattuale”.87 Scriveva un Notaio che “altri ammettono, a lato della responsabilità
contrattuale, anche una responsabilità ex lege da parte del notaio nei confronti di chi,
non avendo avuto rapporti contrattuali con lui, è ugualmente destinatario degli effetti
dell’atto, e ciò perché l’ufficio specifico del notaio comprende l’obbligo di curare che
la volontà innanzi ad esso dichiarata possa essere produttiva di effetti giuridici verso
tutti i soggetti che quella volontà direttamente concerne”.88 E’ accaduto, per esempio,
che il Tribunale di Roma, 6 febbraio 1993, condannasse un Notaio, riconoscendone
la responsabilità contrattuale, per aver omesso di identificare la controparte in un
contratto, ricorrendo per esempio a due fidefacienti, come pure è previsto dalla l.not.,
piuttosto che basarsi, come fece il Notaio, sulla mera esibizione di un documento
d’identità.89
7.2. RESPONSABILITA’ PENALE
Il mestiere del Notaio comporta anche rischi di natura penale.90 Quello più frequente,
attese le funzioni proprie del Notaio, su cui ci siamo ampiamente soffermati sopra, è
di incappare nel reato di falso in atto pubblico. E’ già accaduto, per esempio, che il
giudice abbia condannato un Notaio, per aver dichiarato in atti di conoscere
87
GALLO ORSI- GIRINO, cit., p. 359.
ZARAGA, La responsabilità professionale del notaio, in «Riv. Not.», (1957), p. 559 e ss.
89
In «Vita Not. », (1994), I, 114.
90
Così il Notaio L.P. di Trieste, nell’intervista concessaci.
88
31
32
personalmente una parte quando, invece, l’identificazione era stata semplicemente
fatta tramite documento d’identità. Il Notaio fu riconosciuto autore di un falso c.d.
ideologico, cioè autore di un falso attinente ai contenuti dell’atto rogato.91 Ad
arricchire e concludere questo capitolo, riportiamo le aspre parole di un Notaio
marchigiano, sulle responsabilità del Notaio, e che, nel 1882, tra l’altro, così
scriveva: “mi meraviglio che vi siano dei notari che non s’accorgano di prostituire la
carica, di affrettare la rovina del notariato col consigliare e compilare scritture private
autentiche a vece di atti pubblici, per la grettezza d’ingannare l’agente delle tasse o
per non addossarsi le conseguenti responsabilità”.92
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situati in zone di confine, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali,
1998, V, 181.
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1990.
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CANTELMO, Profili costituzionali e tipicità della funzione notarile, in «Riv. Not.»,
(1975), p. 1125 ss.
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XXIII Congresso internazionale del notariato latino, a cura del Consiglio Nazionale
del Notariato, Milano, 2001, p. 563 e ss.
91
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SANTORO, cit., p. 135, riporta NERI C., Sui mezzi per rialzare il prestigio del notariato, S.
Benedetto del Tronto, 1882, p. 39.
92
32
33
CARNELUTTI, La figura giuridica del notaio, in «Riv. Trim. Dir. Proc. Civ.»,
(1950), 924 ss.
CRISCI, Atto pubblico, in “Enc. D.”, IV, (1959), p. 270.
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34
35
CAPITOLO SECONDO
LA FORMA DEGLI ATTI NOTARILI
1. La forma degli atti notarili. 2. Testimoni. 2.1. Requisiti dei testimoni. 2.2.
Rinuncia ai testimoni. 2.3. Irrinunciabilità. 2.4. Casi di rinunzie ai testimoni
disciplinarmente sanzionate. 3. Fidefacienti. 4. Intitolazione e intestazione. 5.
Indicazioni di tempo e di luogo. 6. Comparizione. 7. Oggetto dell’atto. 8. Allegati. 9.
Chiusa e sottoscrizioni. 10. Firme marginali. 11. Scritturazione e postille. 12.
Comparenti stranieri. 13. Comparenti muti, sordi e sordomuti. 14. Comparenti ciechi.
15. Lettura dell’atto. 16. Nullità dell’atto pubblico. 17. Annotazioni sull’atto notarile.
***
1. LA FORMA DEGLI ATTI NOTARILI
Potremmo dire, senza paura di essere smentiti, che la “forma” degli atti notarili
riveste una importanza fondamentale per l’attività propria del Notaio: intanto l’atto
proveniente dal Notaio possiede la sua particolare forza di Legge tra le parti, in
quanto è rivestito delle particolari forme previste dalla Legge. La mancanza, anche di
uno solo, dei formalismi richiesti dalla Legge, può inficiare l’atto nella sua interezza.
35
36
Questo rigoroso formalismo fa dell’atto notarile un qualcosa di speciale rispetto a
qualsiasi altro contratto, che non sia stipulato davanti al Notaio. Lo stesso processo
privato, nell’antica Roma, era retto da formule giuridiche. “Itaque per legem
Aebutiam et duas Iulias sublatae sunt istae legis actiones effectumque est, ut per
concepta verba, id est per formulas litigemus”.93 La Legge Notarile dedica, perciò,
grande attenzione alla forma degli atti notarili (titolo III capo I artt. 47- 60 l. not. e
ss.). Tutta una serie di accorgimenti tecnici che il Legislatore del 1913 ha inteso
adottare, ereditandoli dalla tradizione notarile o creandoli ad hoc, e che, con il
passare del tempo, hanno confermato la loro efficacia, posto che – evidentementesono rimasti quasi del tutto immutati, dopo circa un secolo di vigenza. L’atto va
ricevuto, per esempio, “in presenza delle parti”. Parte della dottrina ritiene che la
contestuale presenza delle parti sia necessaria soltanto alla lettura dell’atto, e non,
invece, al momento delle sottoscrizioni. Altra parte della dottrina, però, è di contrario
avviso, ritenendo che solo in quel preciso momento, delle sottoscrizioni, si può dire
che il Notaio “riceva” l’atto. La seconda soluzione sembra più conforme all’esigenza
sottesa all’ufficio stesso del Notaio (vedi capitolo sulle funzioni del Notaio).
2. TESTIMONI
L’importanza dei testimoni in sede giudiziaria è a tutti nota. Il testimone è in grado di
indirizzare un intero giudizio, in un senso piuttosto che in un altro. La sua
importanza è tale che il Legislatore ha ritenuto di inserire l’istituto anche per la
formazione degli atti notarili, con diverse funzioni: quella di tutelare il contenuto
dell’atto, le parti ma, anche e soprattutto, lo stesso Notaio. Quando e se l’atto
pubblico dal Notaio rogato dovesse essere impugnato con querela di falso, il buon
Giudice chiamerebbe in giudizio, prima del Notaio, i testimoni. E solo quando ciò
non fosse sufficiente, lo stesso Notaio. Ecco allora l’importanza preventiva della
presenza dei testimoni. La norma attuale dell’art. 47, 1° co., l.not. richiede che il
Notaio riceva l’atto in presenza di due testimoni, che devono avere particolari qualità
e requisiti.94
93
GAIO, Istitutiones, 4, 30 trad. in G.CERVENCA, Il processo privato romano, Le fonti, Bologna,
1986, p. 50 e ss.
94
Ai sensi dell’art. 50, l. not. “I testimoni debbono essere maggiori di anni 21, cittadini del Regno o
stranieri in esso residenti, avere il pieno esercizio dei diritti civili e non essere interessati nell’atto.
Non sono testimoni idonei i ciechi, i sordomuti, i muti, i parenti e gli affini del notaro e delle parti nei
gradi indicati nell’art. 28, il coniuge dell’uno o delle altre e coloro che non sanno o non possono
36
37
2.1. I requisiti che assicurano l’efficacia dell’ufficio e l’imparzialità dei testimoni:
possono essere cittadini italiani o stranieri, purché residenti in Italia che conoscano la
lingua italiana. Devono essere maggiorenni ed avere, quindi, la capacità di agire. Non
possono, perciò, essere tali gli incapaci, gli interdetti, gli inabilitati, i condannati. Né
possono esserlo i ciechi, i sordi, i muti ed i sordomuti. Non devono essere in
qualsiasi modo interessati all’atto. Per giurisprudenza e dottrina, l’interesse rilevante
è solo quello che sia attuale, effettivo, diretto, certo, immediato, personale ed
economico. Non possono essere testimoni, perciò, il coniuge, i parenti ed affini del
Notaio o delle parti in linea retta ed in linea collaterale fino al 3° grado. Anche un
analfabeta, purché però sappia scrivere, può essere testimone. La mancanza dei
requisiti di idoneità dà luogo a nullità dell’atto (si rinvia al paragrafo sulla nullità
dell’atto notarile). Non è necessario che il Notaio conosca il testimone, com’è
necessario invece per i fidefacienti. Il testimone, inoltre, può essere assunto anche
come fidaciente, se conosciuto dal Notaio, ma non come interprete.
2.2. La normativa fa salve alcune ipotesi in cui i testimoni non sono necessari. Il
successivo art. 48 l.not. recita, infatti, che: “per tutti gli atti tra vivi, eccettuate le
donazioni e i contratti di matrimonio, la parte o le parti che sappiano leggere e
scrivere, hanno facoltà di rinunziare di comune accordo alla assistenza dei testimoni
all’atto. Il notaro farà espressa menzione di tale accordo in principio dell’atto”.
Anche se “[…] il notaro, ove lo creda necessario, può richiedere l’assistenza dei
testimoni”. Dunque la presenza dei testimoni è rinunciabile, verosimilmente in
ragione del fatto che nella maggior parte dei casi il Legislatore ha ritenuto sufficiente
l’affidamento sul solo Notaio.
2.3. “E’ irrinunziabile la presenza dei testimoni nella donazione e nelle convenzioni
matrimoniali, nel testamento pubblico (art. 603 c.c.), nell’inventario dei beni del
minore (art. 363 c.c.), nel verbale di deposito del testamento olografo in quanto atto
di ultima volontà (art. 48 l.not.), nel verbale di restituzione del testamento olografo
(art. 608 c.c.), di pubblicazione del testamento olografo (art. 620 c.c.), nel verbale di
ricevimento del testamento segreto (art. 605 c.c.), nel verbale di restituzione del
testamento segreto (art. 608 c.c.), nel verbale di apertura e pubblicazione del
testamento segreto (art. 621 e 620 c.c.), ai sensi e per gli effetti degli articoli 48 e 57
della legge notarile quando la parte o una sola delle parti non sa leggere e scrivere,
sottoscrivere […]”.
37
38
quando la parte o una delle parti sia muta o sordomuta e non sappia o non possa
leggere e scrivere, quando una delle parti non vi rinunzia o quando il Notaio la
richieda. E’ opportuno sottolineare che la presenza dei testimoni è irrinunciabile
anche nel negozio simulato quando quello dissimulato sia una donazione”.95
2.4. Non sono rari, però, in giurisprudenza, i casi in cui il Notaio, che abbia
acconsentito alla rinuncia dei testimoni, sia andato incontro a conseguenze
sanzionatorie. Si riporta il caso di quel Notaio che fu punito, ai sensi dell’art. 138
l.not., per aver acconsentito alla rinuncia dei testimoni in sede di redazione di un
verbale di assemblea straordinaria di società a responsabilità limitata.96 Parimenti, per
la redazione dell’inventario di cui all’art. 363 c.c., in materia di potestà dei genitori,
la presenza dei testimoni, secondo la Corte di Cassazione, non era rinunciabile per il
Notaio all’uopo delegato.97 Ancora, la pubblicazione di un testamento, senza la
presenza dei testimoni, richiesta espressamente dall’art. 620 c.c., ha comportato, per
il Tribunale di Como, 3 aprile 1998, l’irrogazione della sanzione disciplinare a carico
del Notaio operante.98
2.5. Anche per i testimoni, parte della dottrina ritiene che la loro presenza sia
necessaria soltanto alla lettura dell’atto. Altra parte ritiene, però, che la presenza sia
necessaria in qualsiasi momento di manifestazione della volontà delle parti, per
assicurare la correttezza dell’attività di adeguamento per iscritto svolta dal Notaio. E
questa interpretazione sembra la più attinente alla ratio legis.
3. FIDEFACIENTI
Il fidefaciente garantisce l’identità delle parti dinanzi al Notaio e deve, perciò, essere
persona conosciuta dal Notaio (di fiducia, come si deduce dal nomen iuris). I requisiti
dei fidefacienti sono gli stessi dei testimoni, per cui si rinvia al relativo paragrafo.
Rispetto ai testimoni, fidefaciente può essere anche il muto, il cieco o il sordomuto,
purché sia, di fatto, in grado di garantire l’identità delle parti. Tali possono essere,
ancora, pure il coniuge, i parenti e gli affini del Notaio. E coloro che non possono o
non sanno sottoscrivere, persone tutte che, invece, non possono essere testimoni in
95
FALZONE- CANNIZZO, Manuale pratico del notaio,IV edizione, Milano- Roma, 1998, p. 56.
Cass. , 4 novembre 1997, n. 10799, in “Giust.civ.”, (1998), I, 1369.
97
Cass. 4 novembre 1997, n. 10801, in CIAN- TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile,
Padova, 1998, p. 47.
98
In “Notariato”, (‘99), 37.
96
38
39
atti notarili. Il fidefaciente può fungere da testimone, ma non da interprete. La
mancanza dei requisiti di Legge nei fidefacienti comporta nullità dell’atto.
4. INTESTAZIONE E INTITOLAZIONE
L’atto notarile reca l’intestazione “Repubblica italiana”, che ha sostituito quella del
Regno d’Italia. L’intitolazione, cioè l’indicazione del tipo di atto e del suo contenuto,
non è più obbligatoria, ma, nella prassi, la maggior parte dei Notai ne fa comunque
uso, posto che è utile ai fini della fascicolazione (art. 62 n. 3 l. not.). L’art. 61 della
l.not. e l’art. 72 del reg. prescrivono che gli atti disposti per ordine cronologico
debbano portare ciascuno, in margine, un numero progressivo (che poi è quello della
raccolta). E che ogni pagina del volume debba essere numerata.
5. INDICAZIONI DI TEMPO E DI LUOGO
L’atto notarile, ai sensi dell’art. 51 l. not., “deve contenere: 1) l’indicazione in lettere
per disteso dell’anno, del mese, del giorno, del Comune e del luogo in cui è
ricevuto”. L’indicazione dell’ora del ricevimento dell’atto è ricordata dal n. 11 del
detto art. 51 l.not., secondo cui occorre “per gli atti di ultima volontà l’indicazione
dell’ora in cui la sottoscrizione dell’atto avviene; tale indicazione sarà pure fatta
quando le parti lo richiedano o il notaio lo ritenga opportuno negli atti”.
L’indicazione dell’ora ha l’evidente scopo di stabilire, nel caso di due atti di ultima
volontà con la stessa data, quale tra essi sia stato formato successivamente e sia,
pertanto, prevalente, per quanto contrastante, sull’altro. L’art. 58 n. 4 l. not. commina
la nullità per la mancanza dell’indicazione. Quanto al luogo ove l’atto è ricevuto,
oltre all’indicazione del Comune, occorre l’indicazione del locus loci. La ratio, per la
dottrina, sarebbe quella di “fornire la certezza che il Notaio non esca dai limiti della
sua competenza territoriale”.99
6. COMPARIZIONE
L’art. 51 l.not. richiede al Notaio di indicare nell’atto: “2) il nome, il cognome e
l’indicazione della residenza del notaro e del Collegio notarile presso cui è iscritto
[…] 3) il nome, il cognome, la paternità, il luogo di nascita, il domicilio o la
residenza e la condizione delle parti, dei testimoni e dei fidefacienti”. La violazione è
99
FALZONE- CANNIZZO, Manuale, cit., p. 59.
39
40
punita, ex art. 138 l. not., con una ammenda. La stessa regola vale, per il dettato della
stessa norma, per il rappresentante. Ed anzi “la procura deve rimanere annessa
all’atto medesimo o in originale o in copia, a meno che l’originale o la copia non si
trovi negli atti del notaio rogante”. Si tratta delle indicazioni minime richieste dalla
Legge ma il Notaio può integrarle con quanto possa essere utile ad identificare le
parti, come il titolo accademico, lo pseudonimo e altro, ma non è ammessa
l’indicazione dei titoli nobiliari. “La legge 14 agosto 1974, n. 354 ha posto norme
sanzionatorie nei confronti del Notaio che sugli atti pubblici e sulle scritture private
autenticate omettano o indichino erratamente il numero del codice fiscale delle
parti”.100 Per il disposto del n. 4
dell’art. 51 l.not., l’atto deve contenere la
dichiarazione della certezza da parte del Notaio dell’identità personale delle parti o
dell’accertamento fattone per mezzo dei fidefacienti. Si tratta di una mera menzione
che, però, si ricollega alla ben più importante norma dell’art. 49 l.not., per la quale il
Notaio deve essere personalmente certo dell’identità personale delle parti e, in caso
contrario, per mezzo di due fidefacienti, per i quali si rinvia al relativo paragrafo.
7. OGGETTO DELL’ATTO
L’atto deve contenere l’indicazione, almeno per la prima volta, in lettere e per
disteso, delle date, delle somme e delle quantità delle cose che formano oggetto
dell’atto. La mancanza è sanzionata con un’ammenda, ex art. 137 l. not. In caso di
discordanza con l’indicazione in cifre, secondo l’interpretazione dominante, prevale
quella in lettere per disteso. L’atto deve contenere la designazione precisa delle cose
che formano il suo oggetto, in modo da non potersi scambiare con altre. Quando
l’atto riguarda beni immobili questi saranno designati, per quanto sia possibile, con
l’indicazione della loro natura, del Comune in cui si trovano, dei numeri catastali,
delle mappe censuarie, dove esistono, e dei loro confini. La norma in esame deve
essere messa in correlazione con l’art. 2825 c.c., per il quale, nell’atto di concessione
d’ipoteca, l’immobile deve essere specificatamente designato con l’indicazione della
sua natura, del Comune in cui si trova, del numero del catasto o delle mappe
censuarie, dove esistano, e di tre almeno dei suoi confini. Norma a sua volta
richiamata dall’art. 2659 c.c., sul contenuto della nota di trascrizione. L’incertezza
assoluta sull’oggetto dell’atto conduce alla nullità dell’atto.
100
FALZONE- CANNIZZO, Manuale, cit., p. 56.
40
41
8. ALLEGATI
Ai sensi dell’art. 51 n. 7, l’atto notarile deve contenere l’indicazione dei titoli e delle
scritture che si inseriscono nell’atto. Ciascuno degli allegati deve recare lo stesso
numero progressivo dell’atto e una lettera alfabetica che lo contraddistingue.
L’allegazione è obbligatoria solo per le procure, per la scheda testamentaria e
l’estratto dell’atto di morte ai fini della pubblicazione del testamento olografo ex art.
602 c.c.
9. CHIUSA E SOTTOSCRIZIONI
Requisito fondamentale e finale dell’atto rogato da Notaio è la sottoscrizione delle
parti, dei fidefacienti, dell’interprete, dei testimoni e dello stesso Notaio. Con essa le
parti accettano e fanno proprio il contenuto dell’atto, che diventa pertanto
obbligatorio. Se alcuno non sa o non può sottoscrivere, questi dovrà dichiararne la
causa al Notaio, che ne farà menzione in atto, in presenza dei testimoni (art. 51 n. 10
l.not. e 603 c.c.). La sottoscrizione del Notaio è sempre accompagnata dall’impronta
del sigillo. L’importanza della sottoscrizione si evince dal rigore interpretativo cui
ricorre la giurisprudenza nel giudicare della validità stessa degli atti pubblici, quando
venga in considerazione la sottoscrizione dell’atto stesso. Così la Suprema Corte, nel
caso Vitamina e altro contro Poli e altro, ha ritenuto che dovesse considerarsi valido
l’atto pubblico non sottoscritto per causa impeditivi, soltanto se la causa medesima
fosse effettivamente esistita, derivandone, in caso contrario, la nullità dell’intero atto
negoziale.101
10. FIRME MARGINALI
La firma delle parti, dell’interprete, dei testimoni e del notaio, negli atti contenuti in
più fogli, deve essere apposta in margine di ciascun foglio (c.d. firme marginali),
anche col solo cognome, eccettuato il foglio contenente le sottoscrizioni. Se le parti
sono più di sei possono delegare due di loro alle firme marginali. La dottrina
sottolinea come tale delega non sia possibile quando i sette o più comparenti
costituiscano in realtà autonomi centri d’interesse, come nel caso della costituzione
101
Cass. 30 gennaio 1998, n. 950 in “Foro it.”, (’99), I, 2053.
41
42
di società o di divisioni.102 Ma l’orientamento non trova conferma alcuna nel dato
normativo. L’art. 620 c.c., relativamente alla pubblicazione del testamento olografo,
costituisce una eccezione, perché prevede la vidimazione della scheda testamentaria
per ogni mezzo foglio.
11. SCRITTURAZIONE E POSTILLE
Prevede il 1° co. dell’art. 53 l.not. che gli originali degli atti notarili devono essere
scritti in carattere chiaro e distinto e facilmente leggibile, senza lacune o spazi vuoti
che non siano interlineati, senza abbreviature, correzioni, alterazioni o addizioni nel
corpo dell’atto e senza raschiature. Le eventuali correzioni sono, a loro volta,
sottoposte a rigorosa disciplina. A partire dal 1265, per evitare illecite aggiunte ai
loro atti ufficiali, i Notai bolognesi riempirono con dei versi di ballate di tono
popolareggiante (c.d. Memoriali bolognesi) le parti bianche dei fogli dei registri in
cui si trascrivevano contratti e testamenti.
12. COMPARENTI STRANIERI
“Gli atti notarili devono essere scritti in lingua italiana” (art. 54 l.not.), a pena di
nullità, salve le disposizioni speciali per le zone a regime bilingue. Si pone, allora, il
problema dei cittadini stranieri. La legge notarile ha risolto la questione prevedendo,
oltre all’ipotesi che tutti conoscano la lingua italiana, compresi gli stranieri, altre due
diverse ipotesi:
a) che lo straniero non conosca la lingua italiana e che il Notaio conosca la sua
lingua straniera; “quando le parti dichiarino di non conoscere la lingua
italiana, l’atto può essere rogato in lingua straniera, sempre che questa sia
conosciuta dai testimoni e dal notaio. In tal caso deve porsi di fronte
all’originale o in calce al medesimo la traduzione in lingua italiana e l’uno e
l’altra saranno sottoscritti come è stabilito nell’art. 51 l. not.” (art. 54, 2° co.,
l.not.);
b) che il Notaio non conosca la lingua straniera; ai sensi del successivo art. 55
l.not., “qualora il notaro non conosca la lingua straniera, l’atto potrà tuttavia
essere ricevuto con l’intervento dell’interprete, che sarà scelto dalle parti.
L’interprete deve avere i requisiti necessari per essere testimone e non può
102
GALLO ORSI- GIRINO, cit., p. 374.
42
43
essere scelto fra i testimoni e i fidefacienti. Egli deve prestare giuramento
davanti al notaio di adempiere fedelmente il suo ufficio e di ciò sarà fatta
menzione nell’atto. In questo caso, che il notaio non conosca la lingua
straniera, potranno darsi due ulteriori sottocasi: 1) “Se le parti non sanno o
non possono sottoscrivere, due dei testimoni presenti all’atto dovranno
conoscere la lingua straniera”. 2) ”Se sanno o possono sottoscrivere, basterà
che uno solo dei testimoni, oltre l’interprete, conosca la lingua straniera”.
“L’atto sarà scritto in lingua italiana, ma di fronte all’originale o in calce al
medesimo dovrà porsi anche la traduzione in lingua straniera da farsi dall’interprete,
e l’uno e l’altra saranno sottoscritti come è disposto nell’art. 51. L’interprete pure
dovrà sottoscrivere alla fine e nel margine di ogni foglio tanto l’originale quanto la
traduzione”.
13. COMPARENTI SORDI, MUTI O SORDOMUTI
Intervenendo in atto un sordo che sa leggere, ai sensi dell’art. 56 l.not., egli deve
leggere l’atto personalmente, salvo poi l’obbligo per il Notaio di leggerlo ai restanti
comparenti. E di tutto ciò si farà menzione in atto. Se il sordo sa leggere, ma è
impedito a scrivere, occorre la presenza dei testimoni. In questo caso il sordo leggerà
l’atto personalmente e il Notaio riporterà la dichiarazione del sordo sul motivo per il
quale non può sottoscrivere; di tutto ciò il Notaio farà menzione in atto. Intervenendo
un sordo che non sa leggere, ai sensi dell’art. 56, 2° co., l.not., deve essere chiamato
ad intervenire anche un interprete che sia nominato all’uopo dal Tribunale tra le
persone abituate a trattare col sordo e che sappia farsi intendere dal sordo con segni e
gesti. L’interprete deve avere i requisiti dei testimoni, può essere scelto tra i parenti e
affini del sordo, ma non può, allo stesso tempo, essere testimone o fidefaciente. Egli
deve prestare giuramento dinanzi al Notaio, che ne fa menzione, di adempiere
fedelmente al proprio ufficio e deve sottoscrivere l’atto. Intervenendo in atto un
sordomuto (o muto) in grado di leggere e scrivere, ai sensi dell’art. 57 l.not., oltre
all’intervento dell’interprete, sarà necessario che il sordomuto legga egli stesso l’atto
e scriva, alla fine dello stesso, prima delle sottoscrizioni, che lo ha letto e
riconosciuto conforme alla sua volontà. Se il muto o sordomuto non sa né leggere né
scrivere, oltre all’intervento di un interprete, è necessario che il linguaggio a segni e
43
44
gesti del sordomuto sia inteso anche da uno dei testimoni o che, altrimenti,
intervenga all’atto un secondo interprete.
14. COMPARENTI CIECHI
A norma dell’art. 1 legge 3 febbraio 1975, n. 18, sui ciechi, che si riporta per esteso,
“la persona affetta da cecità congenita o contratta successivamente per qualsiasi
causa è a tutti gli effetti giuridici capace di agire, purché non sia inabilitata o
interdetta a norma degli artt. 414, 415 e 416 c.c.”. Ai sensi dell’art. 2 “la firma
apposta su qualsiasi atto, senza alcuna assistenza, dalla persona affetta da cecità, è
vincolante ai fini delle obbligazioni e delle responsabilità connesse. Resta fermo il
divieto di cui all’art. 604 ult. co. c.c.”. Ai sensi dell’art. 3, “per espressa richiesta
della persona affetta da cecità è ammessa ad assistere la medesima, nel compimento
degli atti di cui all’art. 2, o a partecipare alla loro redazione, nei limiti indicati
dall’interessato, altra persona cui egli accordi la necessaria fiducia. La persona che, ai
sensi del comma precedente, presta assistenza nel compimento di un atto, deve
apporre su di esso, dopo la firma del cieco, la propria, premettendo ad esso le parole
il testimone. La persona che, ai sensi del primo comma, partecipa alla redazione di un
atto, deve apporre su di esso, dopo la firma del cieco la propria, premettendo le
parole partecipazione alla redazione dell’atto”. Ai sensi dell’art. 4, “quando la
persona affetta da cecità non è in grado di apporre la firma, effettua la sottoscrizione
con un segno di croce; se non può sottoscrivere neppure con il segno di croce, ne è
fatta menzione sul documento con la formula impossibilitato a sottoscrivere. Nei casi
previsti nel comma precedente il documento è perfezionato con l’intervento e la
sottoscrizione di due persone designate ai sensi dell’art. 3”. A seguito di questa legge
si distinguono tre ipotesi: 1) che il cieco sia in grado di sottoscrivere e non richieda
alcuna assistenza; 2) che il cieco richieda l’assistenza di persona di sua fiducia; 3)
che il cieco non possa sottoscrivere o sottoscriva col crocesegno.
15. LETTURA DELL’ATTO
Il Notaio deve dare lettura dell’atto e dei suoi allegati, a pena di nullità, e farne
menzione nell’atto stesso. Può omettere la lettura degli allegati, ma non quella
dell’atto. Può delegare la lettura a persona di sua fiducia se lo ha scritto di suo pugno,
salvo per il testamento pubblico che leggerà sempre di persona ex art. 602 c.c. Inoltre
44
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l’atto dovrà contenere la menzione che l’atto è stato scritto dal Notaio o da persona di
sua fiducia ed il numero di fogli scritti.
16. NULLITA’ DELL’ATTO PUBBLICO
L’art. 58 l.not. sancisce la nullità dell’atto notarile, salva l’eventuale conversione ex
art. 2701 c.c., nei seguenti casi:
1. se l’atto è rogato dal Notaio prima che egli sia iscritto a ruolo (art. 24 l.not.);
2. se l’atto è stato rogato da un Notaio cessato dalle sue funzioni;
3. se è violata la norma sul conflitto d’interessi dell’art. 28 l.not. (che però non
si applica ai casi di testamento segreto non scritto dal Notaio ed a lui
consegnato sigillato dal testatore) (artt. 598 e 599 c.c.);
4. se l’atto è ricevuto fuori dal territorio del distretto sede del Notaio.
Questo costituirebbe, per la dottrina, un primo gruppo omogeneo di nullità,
riguardanti l’esercizio della funzione notarile. Un secondo gruppo riguarderebbe le
omesse formalità. L’art. 58 n. 4) fa espresso rinvio all’inosservanza delle disposizioni
dettate dagli artt. 27, 47, 48, 50, 54, 55, 56, 57 e 51, nn. 10) e 11). Scrive la dottrina
che “il richiamo generico agli articoli 47, 48 ecc. in una materia così grave, comporta
numerose incertezze, un rigore eccessivo, facili cavilli da parte di contraenti e
avvocati malintenzionati, e spesso gravi danni a contraenti onesti e in buona fede”.103
5. se l’atto è ricevuto senza le parti o senza i testimoni se richiesti dalla legge;
6. se la volontà delle parti non è stata indagata dal Notaio o se non è stato scritto
sotto la sua personale direzione;
7. se non reca la menzione in principio dell’atto dell’accordo delle parti sulla
rinuncia ai testi;
8. se non sono intervenuti i testi e anche uno solo dei comparenti non via abbia
rinunciato oppure non sappia leggere o scrivere;
9. se vi sono intervenute, in qualità di testi o di fidefacienti, persone sfornite dei
necessari requisiti;
10. se non è stato scritto, in lingua italiana, sebbene tutti i parenti la
conoscessero;
103
DI MAJO, Studi in tema di notariato, archivi notarili e pubblica amministrazione, Udine, 1994, p.
49.
45
46
11. se non sono state osservate tutte le formalità stabilite dagli artt. 54 e 55 l.not.
per l’uso di lingua straniera nel caso che i comparenti non conoscessero la
lingua italiana;
12. se vi siano intervenute una o più persone sorde, mute o sordomute e non siano
state osservate le formalità imposte dagli artt. 56 e 57 l.not.;
13. se vi mancano le sottoscrizioni
dei comparenti, dei fidefacienti,
dell’interprete, dei testimoni e del Notaio, ovvero se manca la menzione della
dichiarazione della parte o delle parti e del fidefaciente o dei fidefacienti
relativi alla causa o alle cause che impediscono loro di sottoscrivere;
14. se i fidefacienti, prima di allontanarsi dopo aver reso la dichiarazione della
loro certezza sull’identità di alcuna o di tutte le parti, non abbiano apposto la
loro firma subito dopo tale dichiarazione ovvero il notaio non ne abbia fatto
menzione;
15. se, trattandosi di atto di ultima volontà, non sia stata indicata l’ora della
sottoscrizione;
16. se esso manca della data o non contiene l’indicazione del Comune in cui è
stato ricevuto (art. 58 n. 5) l.not);
17. se non è stata data lettura dell’atto alle parti in presenza dei testimoni quando
siano intervenuti (art. 58 n.6) l.not.).
A pena di nullità vanno poi inserite le dichiarazioni urbanistiche. Ai sensi della legge
28 febbraio 1985, n. 47, negli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (esclusi quelli
di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia e di servitù),
occorre che l’alienante attesti se si tratti di fabbricati la cui costruzione sia iniziata
prima del 1° settembre 1967 ovvero, se si tratti di fabbricati la cui costruzione sia
iniziata successivamente, occorre che l’alienante dichiari che è stata rilasciata la
relativa concessione edilizia, con indicazione degli estremi identificativi. Se manchi
la concessione edilizia, ma sia in corso la procedura in sanatoria ex art. 31 della legge
47/85, il Notaio deve riportare gli estremi e lo stato del procedimento. Per gli atti
aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di
diritti reali relativi a terreni, il Notaio deve menzionare la dichiarazione
dell’alienante, che sia stato rilasciato il certificato di destinazione urbanistica (c.d.
C.D.U.), riportandone gli estremi oppure, se non sia stato rilasciato, almeno quelli
della domanda per ottenerne il rilascio. Sempre a pena di nullità, la legge 26 giugno
46
47
1990, n. 165 prevede che gli atti pubblici tra vivi e le scritture private autenticate
aventi per oggetto il trasferimento della proprietà di unità immobiliari urbane o la
costituzione o trasferimento di diritti reali sulle stesse, ad eccezione di quelli su parti
comuni condominiali, pertinenze e diritti di garanzia, devono riportare la
dichiarazione dell’alienante di avvenuta dichiarazione del reddito fondiario
nell’ultima dichiarazione dei redditi o dei motivi per i quali ciò non sia stato fatto.
Fuori dei casi suesposti l’atto notarile non è nullo ma il Notaio che contravviene alle
disposizioni di legge va soggetto alle pene dalle medesime sancite. Inoltre occorre
ricordare che, ai sensi dell’art. 2701 c.c., “il documento formato da ufficiale
incompetente o incapace ovvero senza l’osservanza delle formalità prescritte, se è
stato sottoscritto dalle parti, ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata”.
17. ANNOTAZIONI SULL’ATTO NOTARILE
Ai sensi dell’art. 59 l.not. “il notaio non può fare annotazioni sugli atti”, ma la norma
fa poi cenno ad alcune eccezioni, definite dalla dottrine “importantissime”.104 Il
riferimento è alle trascrizioni ipotecarie, obbligatorie ex art. 23 R.D. 23 ottobre 1924,
n. 1737. o a quelle per il caso di ritiro di testamento segreto od olografo già
depositato ex art. 608 c.c. Si discute, ancora, se sia obbligatoria l’annotazione della
revoca del mandato. Facoltative, invece, sono ritenute altre annotazioni, previste però
con l’analogo scopo di render noto un fatto giuridico modificativo o integrativo o
esecutivo di un fatto giuridico pregresso.
104
DI MAJO, Studi, cit., , p. 15.
47
48
BIBLIOGRAFIA
CIAN- TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, Padova, 1998.
DI MAJO, Studi in tema di notariato, archivi notarili e pubblica amministrazione,
Udine, 1994.
FALZONE C. – CANNIZZO M.., Manuale pratico del notaio, IV edizione, MilanoRoma, 1998, p. 56.
GALLO ORSI- GIRINO, voce Notariato ed archivi notarili, in “Noviss.Dig.It.”,
(1965).
48
49
PARTE SECONDA
49
50
CAPITOLO TERZO
IL NOTAIO E IL DIRITTO DELLE PERSONE
1. Premessa. 2. Le persone fisiche. 3. Commorienza. 4. Domicilio e residenza. 5.
Parentela e affinità. 6. Scomparsa. 7. Assenza (1).a. Istanza di apertura degli atti di
ultima volontà dell’assente. b. Istanza di immissione temporanea nel possesso dei
beni dell’assente. c. Istanza di esercizio temporaneo di diritti nei confronti
dell’assente. d. Istanza di liberazione temporanea dalle obbligazioni nei confronti
dell’assente. (2). Il problema della disciplina applicabile in caso di assenza del
minore. 8. Morte presunta. 9. Matrimonio.
***
1. PREMESSA
Un presupposto per l’operare quotidiano del Notaio è l’applicazione delle norme del
diritto di famiglia.105 Il libro primo del codice civile è stato dal Legislatore collocato
in quella sede iniziale, riteniamo, non per caso. La persona fisica, la persona
giuridica, la famiglia, il regime patrimoniale dei coniugi, i minori e gli altri incapaci,
la loro assistenza e rappresentanza, tutti aspetti fondamentali del diritto civile e di
quello notarile in particolare. Un settore trattato con grande attenzione presso la
Scuola di Notariato di Padova è, tra gli altri, il regime patrimoniale dei coniugi. Ciò
perché, oltre alla sua intrinseca complessità, esso è suscettibile di influenzare la sorte
degli altri negozi. E sarà pertanto oggetto di una trattazione a parte. Altro argomento
parimenti fondamentale, e pertanto anch’esso trattato separatamente, nell’ambito
della c.d. volontaria giurisdizione, è quello degli incapaci e dei negozi che li
riguardano.
2. LE PERSONE FISICHE
Le norme relative alla capacità giuridica e alla capacità d’agire, per il Notaio,
assumono una particolare importanza perché la sussistenza o meno delle stesse in
105
FERRARA Sen., Diritto delle persone e di famiglia, Napoli, 1941.
50
51
capo alle persone dei comparenti influiscono sulle modalità di configurazione del
rapporto. Si pensi all’istituto della rappresentanza, cui si rinvia.
La capacità d’agire è la generale idoneità del soggetto a compiere e ricevere gli atti
giuridici incidenti sulla propria sfera personale e patrimoniale. Si acquista con il
compimento del diciottesimo anno di età. Generalmente si specifica nella capacità
negoziale, intesa come idoneità ad esplicare la propria autonomia privata; nella
capacità extranegoziale, intesa come idoneità a compiere e ricevere atti giuridici in
senso stretto; nella capacità di stare in giudizio, ad essere cioè attore o convenuto in
sede processuale. Sono incapaci di agire i minori (artt. 343 e ss. c.c.) e gli interdetti
(artt. 414 e ss. c.c.). Mentre hanno una ridotta capacità d’agire gli emancipati (artt.
390 e ss. c.c.) e gli inabilitati (artt. 415 e ss. c.c.). La capacità d’agire presuppone la
capacità giuridica, che è invece l’idoneità del soggetto ad essere titolare di posizioni
giuridiche e che “si acquista dal momento della nascita” (art. 1 c.c.). E, infatti,
prosegue la stessa norma (2° co.), “i diritti che la legge riconosce al concepito sono
subordinati all’evento della nascita”.
3. COMMORIENZA
L’art. 4 c.c. pone la c.d. presunzione di commorienza, che ben avrebbe potuto
trovarsi in materia di successioni, visto che quella sembra essere la sede di
applicazione. Quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una
persona all’altra e non consta quale sia morta per prima, si considerano entrambe
decedute nello stesso momento. La Corte di cassazione ha precisato che la
presunzione è vincibile però con la prova contraria di chi affermi la sopravvivenza.106
4. DOMICILIO E RESIDENZA
I due concetti sono importanti non solo per il Notaio ma per ciascun operatore
giuridico. Ai sensi dell’art. 43 c.c.,“Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa
ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”. Invece “la residenza è nel
luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Occorre sottolineare che “il minore ha
il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore. Se i genitori
sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli
106
Cass. 18 febbraio 1986, n. 963 in “Mass. giust. civ.”, (1986), fasc. 2.
51
52
effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del
genitore con il quale convive” (art. 45, 2° co. c.c.).
5. PARENTELA E AFFINITA’
Il titolo V del libro I del codice civile è dedicato alla parentela e affinità. Le nozioni
sono di uso comune a tutto l’ordinamento giuridico e non solo a quello privatistico.
Per parentela (legale) s’intende “il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso
stipite” (art. 74 c.c.), fino al sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente
determinati (artt. 87, n. 1 e n. 6, 251 e 258). La parentela è caratterizzata da linee;
può essere il linea retta o in linea collaterale a seconda che le persone discendano o
non discendano l’una dall’altra (art. 75 c.c.). Altro carattere distintivo è dato dai gradi
corrispondenti a “quante sono le generazioni escluso lo stipite”, in linea retta, “dalle
generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo
discendendo all’altro parente, sempre restando escluso lo stipite”, in linea collaterale.
L’affinità è “il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro” (art. 78 c.c.). Il grado è lo
stesso della parentela del coniuge. Pur essendo legato allo stato di coniugio, l’affinità
non cessa per la morte del coniuge da cui deriva. Anche senza prole, precisa la legge.
Cessa soltanto se il matrimonio è dichiarato nullo.
La rilevanza pratica per il Notaio di queste disposizioni è superfluo sottolineare. Ai
sensi dell’art. 230 bis c.c. - Impresa familiare - “si intende come familiare il coniuge,
i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella
cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo”.
Significativa la presenza di un numero nutrito di quesiti sulla materia previsti per la
preselezione informatica del concorso per Notaio. Fratello e sorella sono parenti in
linea collaterale. Se Tizio è padre di Sempronio e questi è padre di Caio, la moglie di
questi Mevia è affine in linea retta di secondo grado rispetto a Tizio. E rispetto al
fratello di Sempronio è affine in linea collaterale di terzo grado. I mariti di due
sorelle non sono legati né da parentela né da affinità, mentre nella conoscenza
comune di solito si considerano parenti. Se Tizio è figlio di Caia, rispetto al fratello
di questa egli è parente il linea collaterale di terzo grado. I figli di due sorelle sono
parenti in linea collaterale di quarto grado. Tra moglie e marito non vi è né parentela
né affinità. Fra Tizio e il marito di sua sorella Filana vi è affinità in linea collaterale
di secondo grado. Se Caia si risposa dopo aver perso il marito Tizio, la figlia di lui
52
53
Tizietta, rispetto al nuovo marito è affine in linea retta di primo grado. Il padre della
madre del padre di Tizietto è a lui parente il linea retta di terzo grado.
6. SCOMPARSA
Per le persone fisiche rilevano pure gli istituti della scomparsa, assenza e morte
presunta. La legge ha ricollegato a questi accadimenti una complessa procedura
giurisdizionale volta a disciplinare tutti i rapporti giuridici attivi e passivi che a
quella persona facevano riferimento per il periodo successivo alla sua scomparsa ed
in considerazione di una sua possibile ricomparsa. Il Notaio deve fare attenzione al
caso in cui si verifichino tali situazioni eccezionali, in particolare quando si tratta di
ricevere un atto che sia in qualche modo collegato, quanto agli effetti, ad una persona
scomparsa, assente o presunta morta. Al limite astenendosi, ricorrendone i
presupposti, dal ricevere l’atto, fermo restando che gli strumenti civilistici (si pensi
all’apposizione di una condizione sospensiva o risolutiva degli effetti temporanei)
consentono di rogare anche atti ad effetti precisamente collocabili nel tempo. Ai sensi
dell’art. 48 c.c. “quando una persona non è più comparsa nel luogo del suo ultimo
domicilio o nell’ultima sua residenza e non se ne hanno più notizie, il tribunale
dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza, su istanza degli interessati o dei
presunti successori legittimi o del pubblico ministero, può nominare un curatore […]
”. La scomparsa, dunque, dà luogo alla nomina di un curatore, per ovviare alla
paralisi delle attività giuridiche in capo allo scomparso.107 Occorre sottolineare che, ai
sensi dell’ult. co. dell’art. 48 c.c. “se vi è un legale rappresentante non si fa luogo
alla nomina del curatore. Se vi è un procuratore, il tribunale provvede soltanto per gli
atti che il medesimo non può fare”.
6. ASSENZA E ISTANZA DI APERTURA DEGLI ATTI DI ULTIMA VOLONTA’
DELL’ASSENTE. (1). Per l’attuale art. 49 c.c. “trascorsi due anni dal giorno a cui
risale l’ultima notizia, i presunti successori legittimi e chiunque ragionevolmente
creda di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte di lui possono
domandare al tribunale competente, secondo l’articolo precedente, che ne sia
dichiarata l’assenza”.
107
Cass. 74/1906 in CIAN- TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, Padova, 1996, p. 145.
53
54
a. E, immediatamente dopo e conseguentemente, l’art. 50, 1° co., c.c. prevede che:
“divenuta eseguibile la sentenza che dichiara l’assenza, il tribunale, su istanza di
chiunque vi abbia interesse o del pubblico ministero, ordina l’apertura degli atti di
ultima volontà dell’assente, se vi sono […]”.
108
L’immissione temporanea nei beni
dell’assente attribuisce ai possessori (art. 52 c.c.) la rappresentanza dell’assente e
l’amministrazione dei suoi beni, salvi i limiti di cui all’art. 54 c.c. Secondo questa
norma, infatti, forse la più importante sotto il profilo notarile, “coloro che hanno
ottenuto l’immissione nel possesso temporaneo dei beni non possono alienarli,
ipotecarli o sottoporli a pegno, se non per necessità o utilità evidente riconosciuta dal
tribunale”. Il Notaio deve quindi attivarsi per conoscere la provenienza del bene
dall’assente e rifiutare l’atto, dando attuazione al divieto di legge, finché non
intervenga l’autorizzazione del tribunale che potrà chiedere egli stesso, per conto
della parte, in sede di giurisdizione volontaria. Ai sensi del successivo art. 56, se
l’assente ritorna, “gli atti compiuti ai sensi dell’art. 54 restano irrevocabili”. Dunque
gli effetti degli atti rogati dal notai, debitamente autorizzati dall’autorità giudiziaria,
sono in ogni caso definitivi, senza preoccupazione alcuna per il caso del ritorno
dell’assente.
L’art. 53 prevede che “gli ascendenti, i discendenti e il coniuge immessi nel possesso
temporaneo dei beni ritengono a loro profitto la totalità delle rendite. Gli altri devono
riservare all’assente il terzo delle rendite”. Ai sensi del successivo art. 56 c.c. “se
l’assenza è stata volontaria e non è giustificata, l’assente perde il diritto di farsi
restituire le rendite riservategli dalla norma dell’art. 53”.
b. L’art. 50, 2° co., c.c. prevede l’immissione nel possesso temporaneo dei beni
dell’assente: “coloro che sarebbero eredi testamentari o legittimi, se l’assente fosse
morto nel giorno a cui risale l’ultima notizia di lui, o i loro rispettivi eredi possono
domandare l’immissione nel possesso temporaneo dei beni”.
c. L’art. 50, 3° co., c.c. prevede che: “i legatari, i donatari e tutti quelli ai quali
spetterebbero diritti dipendenti dalla morte dell’assente possono domandare di essere
ammessi all’esercizio temporaneo di questi diritti”.109
108
E’ stata evidenziata l’apparente antinomia con l’art. 725, 1° co., c.p.c. in punto di soggetti
legittimati all’istanza. In realtà è diverso l’oggetto dell’istanza: l’apertura di atti di ultima volontà.
109
In materia di esercizio dei relativi diritti pensionistici vedi le sentenze Cass. 14 gennaio 1983, n.
299 e Cass. 15 novembre 1988, n. 6168.
54
55
d. L’art. 50, 4° co., c.c. prevede che: “coloro che per effetto della morte dell’assente
sarebbero liberati da obbligazioni possono essere temporaneamente esonerati
dall’adempimento di esse, salvo che si tratti delle obbligazioni alimentari previste
dall’art. 434”.
Il Legislatore, in conclusione, ha fatto una scelta ben precisa. Poiché non è possibile
protrarre oltre il biennio la situazione di incertezza, dà per eseguibili, attraverso una
fictio iuris, i rapporti giuridici sospesi, salvo predisporre le opportune cautele (art. 50,
ult.co., c.c.). Tutte le situazioni giuridiche ammesse, infatti, devono essere
ricuperabili in favore dell’assente ritornato, sempre che l’assenza non sia stata
volontaria o ingiustificata, caso in cui il Legislatore rinuncia a proteggere gli interessi
dell’assente.
(2). Si pone il problema del coordinamento tra la disciplina dell’assenza, di carattere
generale, e quella sui minori, benché entrambe abbia lo stesso scopo di tutela di un
patrimonio non protetto. La dottrina più autorevole ritiene che la questione vada
risolta a favore della disciplina sui minori quando è richiesto il parere del giudice
tutelare ex art. 320 c.c. Mentre, per i minori emancipati e per gli inabilitati ove il
particolare filtro non è previsto, sarebbe applicabile la disciplina comune
dell’assenza.110
8. MORTE PRESUNTA
Ai sensi dell’art. 58 c.c., “quando sono trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale
l’ultima notizia dell’assente, il tribunale competente secondo l’art. 48, su istanza del
pubblico ministero o di taluna delle persone indicate nei capoversi dell’art. 50, può
con sentenza dichiarare presunta la morte dell’assente nel giorno a cui risale l’ultima
notizia”. Per il 2° co. “in nessun caso la sentenza può essere pronunziata se non sono
trascorsi nove anni dal raggiungimento della maggiore età dell’assente”. La legge
pone quindi uno spatium temporis necessario, a decorrere dall’ultima notizia dello
scomparso, prima di pronunciare la morte presunta. E ciò per la cautela che un tale
provvedimento richiede: dieci anni minimi che si intersecano con i nove anni minimi
della minore età, prevalendo in ogni caso il limite maggiore. Se è scomparso un
minore di tredici anni, bisognerà attendere non dieci bensì quattordici anni (13 + 5
(18) + 9 = 27). Ai sensi dell’ult. co., “può essere dichiarata la morte presunta anche
110
JANNUZZI, Manuale di volontaria giurisdizione, Milano, 1977.
55
56
se sia mancata la dichiarazione di assenza”. L’art. 60 prevede alcune ipotesi speciali
in cui deve essere dichiarata la morte presunta. L’effetto della dichiarazione di morte
presunta è la definitività dei provvedimenti temporanei pronunciati in seguito alla
dichiarazione di assenza (art. 63 c.c.). Il coniuge può contrarre nuovo matrimonio
(art. 65 c.c.).
9. MATRIMONIO
In materia di matrimonio il Notaio è interessato per quella parte che riguarda il
regime patrimoniale dei beni tra i coniugi. A tale argomento, per la sua importanza, è
stato dedicato un intero capitolo. Ma il matrimonio ha aspetti rilevanti sotto altri
profili. Ai sensi dell’attuale art. 111 c.c., “i militari e le persone che per ragioni di
servizio si trovano al seguito delle forze armate possono, in tempo di guerra,
celebrare il matrimonio per procura. La celebrazione del matrimonio per procura può
anche farsi se uno degli sposi risiede all’estero e concorrono gravi motivi da valutarsi
dal tribunale nella cui circoscrizione risiede l’altro sposo. L’autorizzazione è
concessa con decreto non impugnabile emesso in camera di consiglio, sentito il
pubblico ministero. La procura deve contenere l’indicazione della persona con la
quale il matrimonio si deve contrarre. La procura deve essere fatta per atto pubblico
[…]”. Il Notaio, dunque, può essere chiamato a rogare la procura per contrarre
matrimonio. Prosegue la norma che “il matrimonio non può essere celebrato quando
sono trascorsi centottanta giorni da quello in cui la procura è stata rilasciata”. La
procura ha quindi una durata limitata.
BIBLIOGRAFIA
CIAN- TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, Padova, 1996.
FERRARA Sen., Diritto delle persone e di famiglia, Napoli, 1941.
JANNUZZI, Manuale di volontaria giurisdizione, Milano, 1977.
56
57
CAPITOLO QUARTO
IL NOTAIO E LE PERSONE GIURIDICHE
1. Premessa. 2. Nozione di persona giuridica. 3. Individuazione delle categorie di
persone giuridiche. 4.
Riconoscimento.
5.
Associazioni
e fondazioni.
a.Costituzione per atto pubblico e per testamento. b. Elementi strutturali
dell’associazione. c. Lacune normative. d. Compiti degli amministratori. e.
57
58
Assemblea. f. Recesso ed esclusione. g. Estinzione e liquidazione. h. Fondazioni
bancarie. i. L’acquisto immobiliare da parte di associazioni non riconosciute.
1. PREMESSA
La Legge dedica il Capo I del Titolo I, alle persone giuridiche in generale. Il primo
problema che si pone è puramente nozionistico- delimitativo: che cos’é una persona
giuridica. Il secondo problema è classificatorio: quali sono le persone giuridiche del
nostro ordinamento. Il terzo problema è operativo: come funzionano, secondo quali
meccanismi normativi.
2. NOZIONE DI PERSONA GIURIDICA
E’ un dato sociologico generale che gli individui tendono ad associarsi, per i più
svariati motivi. La stessa Costituzione italiana contempla il diritto di associazione, in
diverse forme. Il nostro ordinamento consente tuttavia che, in alcuni casi ed in
presenza di particolari presupposti, gli individui che si uniscono in aggregazioni
maggiori perdano la loro individualità a vantaggio dell’insieme, dell’ente, appunto.
Questa reductio ad unum delle volontà di più soggetti richiede un adattamento
normativo, un meccanismo giuridico ad hoc. Le singole volontà, infatti, debbono
necessariamente fondersi giuridicamente in una sola, quella dell’ente. Il problema si
ripropone sotto altra forma quando si tratta di rappresentare l’ente in un atto
pubblico. La veste giuridica esteriore di questo ente (la c.d. personalità giuridica)
deve sostituirsi a quella dei singoli individui che la costituiscono. Ciò avviene in
modo diverso a seconda del tipo di ente.
3. INDIVIDUAZIONE DELLE CATEGORIE DI PERSONE GIURIDICHE
Il secondo problema: quali sono queste persone giuridiche. Diciamo subito che non è
possibile dare una risposta assoluta. Non si tratta di una categoria chiusa. E’ una
scelta consapevole del Legislatore quella di limitarsi ad indicare alcuni tipi
(associazioni e fondazioni, comitati, società) e si rimette ad una formula finale di
chiusura (art. 12 cod. civ., ultra,) dove si parla di “altre istituzioni di carattere
privato”.
58
59
Ai sensi del Capo I Disposizioni generali Art. 11 c.c. rubricato - Persone giuridiche
pubbliche - “Le province e i comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti come
persone giuridiche, godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto
pubblico”. Una norma questa che pone una summa divisio tra persone giuridiche
pubbliche e private,111 assoggettando le prime alla normativa del diritto pubblico, cui
è d’obbligo rinviare.
4. RICONOSCIMENTO
Ai sensi dell’art. 12 Persone giuridiche private, cit., “le associazioni, le fondazioni e
le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il
riconoscimento concesso con decreto del Presidente della Repubblica.
Per
determinate categorie di enti che esercitano la loro attività nell’ambito della
provincia, il Governo può delegare ai prefetti la facoltà di riconoscerli con loro
decreto”. L’art. 12 cit. prevede dunque l’istituto giuridico del riconoscimento. Il
Legislatore attribuisce ufficialmente cittadinanza nel nostro ordinamento alle persone
giuridiche che si assoggettano a questo procedimento. Questo si conclude con il
provvedimento di “riconoscimento”, una sorta di placet, di approvazione dell’ente da
parte dello Stato come ente idoneo a far parte dell’ordinamento giuridico nazionale.
Ai sensi dell’art. 13 c.c. - Società - “le società sono regolate dalle disposizioni
contenute nel libro V”. Questa norma comprende nella categoria delle persone
giuridiche private anche le società, cui devono estendersi pertanto alcuni dei principi
generali in esposizione, ma la cui disciplina trova collocazione ad hoc in altro libro
del codice civile.
5. ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI
Con il successivo Capo II superiamo le disposizioni generali ed entriamo nel merito
delle associazioni e fondazioni. La legge, per la verità, disciplina insieme i due
distinti tipi di ente. Sicché, nell’ambito della disciplina comune, è necessario
estrapolare i carattere distintivi.
111
Ultimamente sembrerebbe caduta un po’ in desuetudine, posto che la tendenza attuale è quella alla
privatizzazione, cioè a modellare gli istituti giuridici pubblici su quelli privatistici se non addirittura a
disciplinarli proprio secondo il diritto privato.
59
60
a. Costituzione per atto pubblico e per testamento. Il Notaio è chiamato, in ragione
del proprio ufficio, a “costituire” per atto pubblico le persone giuridiche private di
cui all’art. 12 cod. civ. Ma, limitatamente alle fondazioni, il privato cittadino può
provvedervi anche autonomamente, con il proprio testamento.112 La legge richiede la
forma più solenne: l’atto pubblico o, una sua species, il testamento. Evidente qui la
ratio legis. La forma è garanzia della attenzione posta sul negozio giuridico
costitutivo dai costituenti, per l’importanza giuridica ed economica che ha la nascita
di un nuovo ente nel mondo giuridico e per l’importanza che ha il vincolarsi
reciproco dei soci in un unico ente.113
(1). L’atto costitutivo della fondazione, a norma dell’art. 15 c.c., può essere revocato
dal fondatore “fino a quando non sia intervenuto il riconoscimento ovvero il
fondatore non abbia fatto iniziare l’attività dell’opera da lui disposta”. E “la facoltà
di revoca non si trasmette agli eredi”.
b. Elementi strutturali dell’associazione. (1). Ai sensi dell’attuale art. 16 c.c. - Atto
costitutivo e statuto - “L’atto costitutivo e lo statuto devono contenere la
denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede,
nonché le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione. Devono anche
determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le
condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le
modalità di erogazione delle rendite”. Si tratta degli elementi obbligatori, minimi;
quelli cioè che non possono mancare per l’esistenza stessa dell’ente. Tra questi
occorre sottolineare l’importanza dello scopo e delle risorse per raggiungerlo; la
denominazione e la sede per individuare l’ente nascente; le norme sull’ordinamento e
sull’amministrazione, che ne disciplinino il funzionamento; inoltre “quando trattasi
di associazioni”, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni per la loro
ammissione, per consentire a coloro che entrino o vogliano entrare a far parte
dell’ente e che possano entrarvi l’esatta entità delle situazioni giuridiche soggettive
che andranno ad assumere. E, “quando trattasi di fondazioni”, i criteri e le modalità
di erogazione delle rendite. Recentemente la Corte di cassazione ha ritenuto valido
112
Infatti, ai sensi del capo II art. 14 Atto costitutivo “Le associazioni e le fondazioni devono essere
costituite con atto pubblico. La fondazione può essere disposta anche con testamento”.
113
Laddove il testamento sia segreto od olografo sorgono, di solito, problemi interpretativi e, quindi,
esecutivi. Può accadere che il testatore si dimentichi di inserire qualche elemento importante per la
vita futura dell’ente.
60
61
l’atto costitutivo di una fondazione disposta con testamento anche se priva
dell’indicazione di una normazione inerente al governo dell’ente poiché le
disposizioni al riguardo possono essere dettate dall’autorità amministrativa ai sensi
dell’art. 2, 2° co., disp. att. c.c., oppure da persona all’uopo designata dal testatore.114
(2). Ma la legge prevede pure, al 2° co. dell’art. 16 c.c. cit., gli elementi facoltativi:
“L’atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative
all’estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio, e, per le fondazioni, anche
quelle relative alla loro trasformazione”. Si tratta di elementi la cui mancanza non è
ostativa per l’esistenza dell’ente ma la cui presenza rinforza il meccanismo di
funzionamento. Infine occorre ricordare che “le modificazioni dell’atto costitutivo e
dello statuto devono essere approvate dall’autorità governativa nelle forme indicate
nell’art. 12”. E’ possibile raccogliere in una tabella gli elementi strutturali, divisi tra
obbligatori e facoltativi.
ASSOCIAZIONI
ELEMENTI
OBBLIGATORI
Denominazione dell’ente
Indicazione dello scopo
Indicazione del patrimonio
Indicazione della sede
Norme sull’ordinamento
Norme sull’amministrazione
Diritti e obblighi degli
ELEMENTI FACOLTATIVI
Norme relative all’estinzione dell’ente
Norme relative alla devoluzione del patrimonio
associati
Condizioni per l’ammissione
degli associati
FONDAZIONI
ELEMENTI OBBLIGATORI
Denominazione dell’ente
Indicazione dello scopo
Indicazione del patrimonio
Indicazione della sede
Norme sull’ordinamento
Norme sull’amministrazione
114
ELEMENTI FACOLTATIVI
Norme relative all’estinzione dell’ente
Norme relative alla devoluzione del patrimonio
Norme relative alla loro trasformazione
Cass. 97/1806 in CIAN- TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, Padova, 1998, p. 28.
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Criteri e modalità di erogazione
delle rendite
Quale garante dell’osservanza della legge, il Notaio cura l’iscrizione dell’ente nel
pubblico registro delle persone giuridiche ex artt. 33 cod. civ e 22 disp. att. c.c.,
istituito in ogni provincia. Ai sensi dell’ult. co. dell’art. 33, “gli amministratori di
un’associazione o di una fondazione non registrata, benché riconosciuta, rispondono
personalmente e solidalmente insieme con la persona giuridica, delle obbligazioni
assunte”. Nello stesso registro vanno riportati gli atti elencati dall’art. 34 c.c. In
mancanza “i fatti indicati non possono essere opposti ai terzi, a meno che si provi che
questi ne erano a conoscenza”. L’omissione è sanzionata penalmente (art. 35 c.c.).
c. Lacune normative. Si pone, ancora, il problema delle lacune normative. L’art. 25
cod.civ. – Controllo sull’amministrazione delle fondazioni - ci dice che «l’autorità
governativa […] provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei
rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell’atto di fondazione non possono
attuarsi […]». Ma per le altre lacune nulla è disposto. La norma, dettata per le
fondazioni, parrebbe eccezionale e non estensibile analogicamente alle associazioni.
Nè ad altre lacune in materia di fondazioni stesse. Sicché non rimane al Notaio che
prevenire tali situazioni patologiche.
d. Compiti e responsabilita’ degli amministratori. Poche norme sono dettate con
riguardo all’attività gestoria della persona giuridica, il vero e proprio motore
dell’ente. Il Legislatore si è preoccupato più della fase patologica che di quella
fisiologica. Nulla ha previsto in merito al funzionamento dell’organo di comando,
mentre ne ha disciplinato dettagliatamente le responsabilità.
(1). Ai sensi dell’attuale art. 18 c.c. Responsabilità degli amministratori “Gli
amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le norme del mandato. E’ però
esente da responsabilità quello degli amministratori il quale non abbia partecipato
all'atto che ha causato il danno, salvo il caso in cui, essendo a cognizione che l’atto si
stava per compiere, egli non abbia fatto constare il proprio dissenso”. Si tratta di una
mera responsabilità interna, verso l’ente appunto. Le norme sono quelle del mandato,
cui si rinvia. Un meccanismo che non mortifica il principio della responsabilità
personale (è assicurata per legge la possibilità di far constare il proprio dissenso) ma
che, sul presupposto che le diverse volontà si sommano in una sola, quella dell’ente,
62
63
finisce per essere collegiale. Occorre in questa sede anticipare il dettato dell’art. 22
cod. civ. Azioni di responsabilità contro gli amministratori “le azioni di
responsabilità contro gli amministratori delle associazioni per fatti da loro compiuti
sono deliberate dall’assemblea e sono esercitate dai nuovi amministratori o dai
liquidatori”. Gli amministratori, dunque, rispondono all’assemblea, che è il vero
organo di vertice dell’ente. E decide anche della sorte dell’organo esecutivo.
(2). L’attuale art. 19 c.c. prevede un sistema di pubblicità della rappresentanza che
dovrebbe diminuire il contenzioso con i terzi che intrattengano rapporti negoziali con
chi detiene il potere di rappresentanza dell’ente. Così la norma “Le limitazioni del
potere di rappresentanza, che non risultano dal registro indicato nell’art. 33, non
possono essere opposte ai terzi, salvo che si provi che essi ne erano a conoscenza”.
Certamente è utile enunciare in atto le limitazioni del potere di rappresentanza ex art.
19 cod. civ., perché costituiscono sovente causa di contenzioso successivo.
e. Assemblea. Il sistema assembleare è proprio delle associazioni e non delle
fondazioni, come è precisato implicitamente dagli artt. 20 e 22 cod.civ. Ed è
attuazione del principio democratico disciplinato dalla stessa Carta costituzionale. Ai
sensi dell’art. 20 “l’assemblea delle associazioni deve essere convocata dagli
amministratori una volta l’anno per l’approvazione del bilancio. L’assemblea deve
essere inoltre convocata quando se ne ravvisa la necessità o quando ne è fatta
richiesta motivata da almeno un decimo degli associati. In questo ultimo caso, se gli
amministratori non vi provvedono, la convocazione può essere ordinata
dal
presidente del tribunale”. L’assemblea approva il bilancio, che costituisce il
rendiconto finale dell’intera attività economica dell’ente. Inoltre delibera sulle altre
questioni rilevanti che siano ad essa sottoposte. Ai sensi dell’art. 21c.c. Deliberazioni dell’assemblea- “Le deliberazioni dell’assemblea sono prese a
maggioranza di voti e con la presenza di almeno la metà degli associati. In seconda
convocazione la deliberazione è valida qualunque sia il numero degli intervenuti.
Nelle deliberazioni di approvazione del bilancio e in quelle che riguardano la loro
responsabilità gli amministratori non hanno voto”. Il quorum richiesto perché
l’assemblea possa deliberare è quello della maggioranza di voti. Da notare che non
trova mai cittadinanza il criterio dell’unanimità, persino quando si tratta di
deliberazioni che modificano la struttura stessa dell’ente. “Per modificare l’atto
costitutivo e lo statuto, se in essi non è altrimenti disposto, occorrono la presenza di
63
64
almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti.
Per deliberare lo scioglimento dell’associazione e la devoluzione del patrimonio
occorre il voto favorevole di almeno tre quarti degli associati”. Il Notaio può dunque
inserire nell’atto costitutivo clausole che prevedano quorum deliberativi diversi da
quelli di legge, salvo però per le delibere previste dall’ultimo comma (scioglimento e
devoluzione del patrimonio). E ciò perché al 3° co. dell’art. 21 non è stata inserita la
clausola di diversa previsione dell’atto costitutivo e dello statuto di cui al 2° co. Per
le deliberazioni invalide vige il sistema dell’annullabilità, per cui conservano la loro
validità finché non sono rimosse. Ai sensi dell’art. 23 Annullamento e sospensione
delle deliberazioni “Le deliberazioni dell’assemblea contrarie alla legge, all’atto
costitutivo o allo statuto possono essere annullate su istanza degli organi dell’ente, di
qualunque associato o del pubblico ministero. La Legge si preoccupa della buona
fede dei terzi che loro malgrado hanno fatto affidamento su deliberazioni
successivamente rivelatesi invalide. Ai sensi del 2° comma “L’annullamento della
deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti
compiuti in esecuzione della deliberazione medesima”. Prima ancora però che le
deliberazioni invalide possano nuocere all’ente, agli associati o ai terzi è possibile
paralizzarne gli effetti, attraverso un doppio meccanismo di sospensione, privatistico
e pubblicistico. “Il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli
amministratori dell’associazione, può sospendere, su istanza di colui che ha proposto
l’impugnazione, l’esecuzione della deliberazione impugnata, quando sussistono gravi
motivi. Il decreto di sospensione deve essere motivato ed è notificato agli
amministratori. L’esecuzione delle deliberazioni contrarie all’ordine pubblico o al
buon costume può essere sospesa anche dall’autorità governativa”.
f. Recesso ed esclusione. Come per ogni altro negozio, anche per l’associazione è
possibile lo scioglimento del rapporto, nel suo complesso (art. 22, 3° co., c.c.) o
singolarmente. Il singolo associato può recedere o può essere escluso, a seconda che
l’iniziativa dello scioglimento del suo rapporto associativo provenga da lui stesso,
per autodeterminazione, o dagli altri associati in collegio. Ai sensi dell’art. 24 c.c.,
recesso ed esclusione degli associati, “la qualità di associato non è trasmissibile,
salvo che la trasmissione sia consentita dall’atto costitutivo o dallo statuto.
L’associato può sempre recedere (...) Gli associati, che abbiano receduto o siano stati
esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all’associazione, non possono
64
65
ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell’associazione”.
Preme sottolineare dunque che normalmente la qualità di associato non è
trasmissibile ma che l’atto costitutivo può tuttavia prevedere tale possibilità. Si farà
carico il buon Notaio di far presente ai costituenti l’associazione della possibilità di
inserire una clausola siffatta. Che l’associato può di regola sempre recedere “se non
ha assunto l’obbligo di farne parte per un tempo determinato”. Nessuno può infatti
essere costretto a partecipare ad un ente contro la sua volontà. Mentre l’associato può
essere costretto a lasciare la compagine associativa per volontà dell’assemblea “per
gravi motivi”. E comunque la deliberazione notificatagli è ricorribile dinanzi
all’autorità giudiziaria. In ogni caso gli associati receduti o esclusi, per legge,
perdono i contributi versati all’associazione. Diversamente da coloro che rimangono
a far parte dell’associazione sino alla sua estinzione. Si tratta di aspetti che possono
condurre a liti giudiziarie. Pertanto le parti potrebbero voler integrare le disposizioni
di legge con disposizioni patrizie. Ciò il Notaio deve consentire, nel rispetto però
della restante normativa in materia di associazioni. Secondo Cass. 98/5476115 ove
un’associazione persegua finalità ideologiche il differimento della facoltà di recesso a
venticinque anni dalla costituzione si tradurrebbe in una menomazione della libertà
di cui all’art. 21 Cost. Viceversa quando l’associazione persegua finalità economica,
trattandosi di espressione di autonomia contrattuale.
g. Estinzione e liquidazione. Ai sensi dell’art. 27 Estinzione della persona giuridica
“Oltre che per le cause previste nell’atto costitutivo e nello statuto, la persona
giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile. Le
associazioni si estinguono inoltre quando tutti gli associati sono venuti a mancare.
L’estinzione è dichiarata dall’autorità governativa su istanza di qualunque interessato
o anche di ufficio”. Dunque non basta il verificarsi della causa estintiva perché
l’associazione cessi di esistere. Occorre che sia emesso il provvedimento dell’autorità
governativa. Può essere difficoltoso stabilire per esempio quando lo scopo sia stato
raggiunto o quando sia divenuto impossibile. Ecco allora che diviene importante, in
sede di costituzione, a titolo preventivo, delineare in modo preciso lo scopo dell’ente,
di modo che sia poi facilitata questa successiva valutazione amministrativa. Per le
sole fondazioni è prevista una clausola di salvaguardia. Ai sensi dell’art. 28
Trasformazione delle fondazioni «1. Quando lo scopo è esaurito o divenuto
115
CIAN- TRABUCCHI, Comm., cit., p. 28.
65
66
impossibile o di scarsa utilità, o il patrimonio è divenuto insufficiente, l’autorità
governativa, anziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere alla sua
trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore». Però
“la trasformazione non è ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono
considerati nell’atto di fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e
di devoluzione dei beni a terze persone”. Evidente la preoccupazione del Legislatore
di conservare il più possibile la volontà del fondatore.
h. Fondazioni bancarie. Recentemente il Legislatore si è occupato delle fondazioni
bancarie, istituto che rischiava di essere snaturato dalla prassi commerciale nel fine e
nella struttura. La legge 28 dicembre 2001, n. 448 e il successivo D.M. 2 agosto
2002, n. 217 ha previsto che le fondazioni bancarie esercitino la loro attività
istituzionale soltanto nei settori ammessi, coerentemente con la loro natura di enti
senza scopo di lucro. Le partecipazioni bancarie di controllo, in più di qualche caso,
ne avevano fatto strumenti per conseguire obiettivi di politica aziendale delle banche.
i. Acquisto di immobili e accettazione di donazioni, eredita’ e legati. L’art. 17
cod.civ., abrogato dalla Legge n. 127/97, prevedeva, per l’acquisto di immobili, per
l’accettazione di donazioni o eredità, per il conseguimento di legati, l’autorizzazione
governativa, sanzionando con l’inefficacia il negozio posto in essere in mancanza di
autorizzazione. Questa autorizzazione, per la giurisprudenza, trovava “fondamento
nell’esigenza di ordine pubblico di esercitare una permanente vigilanza ed un
sistematico controllo sul patrimonio degli enti morali per evitare il formarsi della
manomorta”, per evitare cioè l’accumulo di beni in capo a pochi centri d’imputazione
sottraendoli così al mercato ed al libero scambio.116 L’art. 600 c.c. prevedeva
l’inefficacia delle disposizioni testamentarie a favore degli enti non riconosciuti che
non avessero fatto istanza per il riconoscimento entro un anno dal giorno
dell’eseguibilità del testamento. L’art. 786 c.c. prevedeva analoga disposizione per le
donazioni a enti non riconosciuti. Ma non erano stati affatto considerati dalla
Bassanini bis, creando una disparità di trattamento tra analoghe situazioni di acquisto
e tra gli enti riconosciuti e quelli non riconosciuti. E la giurisprudenza è rimasta
ferma, pur dinanzi alle istanze interpretative in senso abrogativo della dottrina, nel
116
Cass. 7 settembre 1992, n. 10281 in “Mass. Giust. civ”, (1992), fasc. 8-9.
66
67
senso della vigenza delle due norme non toccate dalla legge 127/97.117 Oggi non è più
così. La legge 22 giugno 2000, n. 192 ha abrogato anche gli artt. 600 e 786 c.c.118
6. LE ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE E I COMITATI 119
Ai sensi dell’art. 36 c.c.- Ordinamento e amministrazione delle associazioni non
riconosciute, «L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non
riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati”.Si
tratta di una espressa apertura del Legislatore all’autonomia privata che, per le
associazioni non riconosciute, non ha ritenuto di prescrivere particolari forme o
meccanismi di funzionamento. Unico elemento regolato è quello del centro di
imputazione giudiziale. Infatti, ai sensi del 2° co. dell’art. 36 c.c., “le dette
associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi
accordi, è conferita la presidenza o la direzione».
a. La connotazione principale di questo tipo di soggetti di diritto privato è il fondo
comune. Ai sensi dell’art. 37 c.c., rubricata appunto - fondo comune-, «i contributi
degli associati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo comune
dell’associazione”. Esso pertanto costituisce un’entità essenziale ed intangibile
dell’ente. “Finché questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione
del fondo comune, né pretendere la quota in caso di recesso». Il fondo comune in
primo luogo è destinato a soddisfare le eventuali pretese dei creditori dell’ente.
Infatti, ex art. 38 c.c., rubricato obbligazioni, «per le obbligazioni assunte dalle
persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul
fondo comune.
Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e
solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione». La
Cass. 98/5089120 ha precisato che per attivare tale responsabilità non è sufficiente
provare la carica rivestita dalla persona di cui si invoca la responsabilità, ma è
necessario provare che questi abbia effettivamente agito in nome e per conto
dell’associazione.
b. La stessa estinzione dell’ente è regolata avuto riguardo al destino del fondo
comune. Ex art. 42 c.c., - Diversa destinazione dei fondi, «qualora i fondi raccolti
117
Trib. Voghera, 28 gennaio 1998, in “Vita not.”, (’99), I, 55 e ss.
PONZANELLI, Abrogati gli artt. 600 e 786 c.c., in “Corr. Giur”, n. 10/2000, p. 1272.
119
RUBINO, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952.
120
CIAN- TRABUCCHI, Comm., cit., p. 30.
118
67
68
siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile o, raggiunto lo scopo, si
abbia un residuo di fondi, l’autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se
questa non è stata disciplinata al momento della costituzione».
c. Una questione che fa discutere i notai è quella relativa alla capacità delle
associazioni non riconosciute.121 Alcuni infatti negano che si tratti di soggetti di
diritto imputando i rapporti giuridici loro propri direttamente ai singoli individui che
ne fanno parte.122 Di contrario avviso la giurisprudenza (che esclude però trattarsi di
persone giuridiche). Con la conseguente ammissibilità di acquisti di immobili
direttamente riconducibili all’ente.
d. Infine i comitati, i quali possono essere costituiti senza formalità alcuna.
BIBLIOGRAFIA
CIAN- TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, Padova, 1998.
MARICONDA, Ricerca e professione, Università degli Studi di Cassino, Napoli,
2000.
PONZANELLI, Abrogati gli artt. 600 e 786 c.c., in “Corr. Giur”, fasc. 10, (2000), p.
1272.
RUBINO, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952.
121
122
MARICONDA, Ricerca e professione, Università degli Studi di Cassino, Napoli, 2000, p. 7 e ss.
RUBINO, cit., p. 28.
68
69
CAPITOLO QUINTO
IL NOTAIO E IL REGIME PATRIMONIALE TRA CONIUGI
1. Premessa. 2. Giurisdizione nei rapporti di famiglia. 3. Regime legale dei beni tra
coniugi (art. 159 c.c.). 4. Convenzioni matrimoniali (artt. 162, 163, 164 c.c.). a.
Forma. b. Tempo. c. Modifiche. d. Pubblicità. e. Simulazione. f. Incapaci. 5.
Fondo patrimoniale. a. Amministrazione. b. Oggetto. c. Forma. d. Estinzione. 6.
Regime della comunione legale. 7. Amministrazione dei beni della comunione. 8.
Comunione convenzionale. 9. Scioglimento della comunione. 10. Separazione
dei beni. 11. Contratti di crisi coniugale. 12. Liquidazione una tantum degli
obblighi familiari. 13. Lacune formali. 14. Impresa familiare. 15. Considerazioni
conclusive.
***
1. PREMESSA
L’importanza del regime patrimoniale tra coniugi è nota. Il suo contenuto è ormai
quasi definitivamente entrato nel patrimonio culturale comune. Chi sia in procinto di
coniugarsi già conosce bene il regime della comunione e separazione dei beni e gli
69
70
effetti più importanti che ne discendono. L’importanza è accentuata per chi eserciti
un qualche tipo di attività d’impresa. Ecco allora l’importanza dell’istituto.123
2. GIURISDIZIONE NEI RAPPORTI DI FAMIGLIA
Occorre precisare, prima di entrare nel merito della disciplina normativa, l’ambito
della giurisdizione italiana rispetto a quella straniera, ai sensi degli artt. 26 e ss. della
legge 31 maggio 1995, n. 218 sul diritto internazionale privato. L’art. 36 l. cit.,
prevede che “i rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli, compresa la
potestà dei genitori, sono regolati dalla legge nazionale del figlio”.
3. REGIME LEGALE DEI BENI TRA CONIUGI (art. 159 c.c.)
L'art. 29 della Costituzione "riconosce i diritti della famiglia come società naturale
fondata sul matrimonio". Il capo VI del codice civile, nell'ambito del titolo VI (del
matrimonio), del libro I (delle persone e della famiglia), ne prevede la disciplina
concreta. Ai sensi dell'art. 159 cod. civ. "il regime patrimoniale legale della famiglia
[...] 124 è costituito dalla comunione dei beni [...]". Questa norma costituisce l’essenza
della riforma del diritto di famiglia del 1975. “La nuova disciplina ha trovato
applicazione automatica soltanto per le coppie sposatesi dopo l’entrata in vigore della
legge (20 settembre 1975). Per le coppie già unite in matrimonio a quella data una
norma transitoria (art. 228 L. 19 maggio 1975, n. 151) ha previsto un periodo di
pendenza di due anni a partire dall’entrata in vigore della riforma (periodo poi
prorogato fino al 15 gennaio 1978): se durante questo periodo uno qualsiasi dei
coniugi, con atto unilaterale ricevuto da notaio o dall’ufficiale dello stato civile del
luogo in cui fu celebrato il matrimonio, ha dichiarato di non volere il regime di
comunione legale, la coppia è rimasta assoggettata, come prima, al regime di
separazione dei beni”.
125
Prima di allora, infatti, il regime legale era quello della
separazione dei beni.
123
Che si desume pure dal numero di quesiti ad essa dedicati nell’ambito della preselezione
informatica del concorso per l’accesso alla professione.
124
Precisa CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato Cicu- Messineo, VI, II, 2, 1984,
4, nota 6, che più propriamente la norma dovrebbe usare la terminologia di regime patrimoniale dei
coniugi perché di tanto si tratterebbe.
125
TORRENTE A. – SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, Milano, XIII ed., 1990, p. 888.
Vedi pure rubrica “Panorama di giurisprudenza della Corte di Cassazione “ in «Riv. dir. civ.», (1999),
p. 571, a cura di MIRABELLI- GRAZIADEI.
70
71
La ratio della riforma è stata dalla dottrina individuata nell’esigenza di tutelare le
mogli casalinghe, prive di reddito proprio e pertanto dipendenti dal reddito
familiare,126 (con ciò abbandonandosi il vecchio principio della potestà maritale per
accogliere il nuovo principio dell’accordo coniugale), allineandosi al dettato
costituzionale che sancisce l’eguaglianza giuridica e morale tra i coniugi.127
L’instaurazione del regime di comunione legale dei beni produce tre distinte masse di
beni, come vedremo: beni in comunione legale “immediata”, beni in comunione
legale “de residuo”, beni personali, esclusi dalla comunione.
a. Coniugi entrambi presenti all’atto.
Sotto il profilo di tecnica strettamente notarile, l’ipotesi che i coniugi, in regime di
comunione legale partecipino entrambi all’atto, costituisce dunque quella ordinaria.
Essa non richiede altro se non la menzione del regime e della comparizione
contestuale. Per evitare l’automatismo dell’acquisto ex art. 177 c.c., l’ult. co. dell’art.
179 c.c. impone che il coniuge-acquirente dichiari nell’atto che trattasi di acquisto a
titolo personale e che l’altro coniuge sia presente all’atto.
(1). Ritiene, tuttavia, la Corte di Cassazione (sent. 29 novembre 1986, n. 7060; contra
Consiglio di Stato, 7 maggio 1986, n. 979), nel silenzio della legge, che, per
l’acquisto di un bene destinato all’esercizio dell’attività d’impresa da parte del
coniuge imprenditore, l’esclusione operi a prescindere dal formalismo citato, per il
solo fatto della destinazione all’attività d’impresa.128
(2). Ancora, per la Corte di Cassazione, l’esclusione opererebbe a prescindere dal
formalismo ex art. 179, ult. co., c.c. quando l’acquisto venga effettuato per permuta
di un bene comunque personale (sent. 8 febbraio 1993, n. 1556; 18 agosto 1994, n.
7437).
Si discute in dottrina circa l’ammissibilità del rifiuto del coacquisto da parte del
coniuge non acquirente. Mentre la Corte di Cassazione è favorevole (sentenza 2
giugno 1989, n. 2688), la giurisprudenza di merito129 e la dottrina prevalente130
sembrano orientate in senso contrario, perché questo meccanismo rischierebbe di
126
La riforma ha seguito il tracciato segnato già dalla Corte Cost., sent. n. 187/1974.
Tanto secondo il prof. Giovanni GABRIELLI alle lezioni del corso di diritto civile presso
l’Università degli Studi di Trieste dell’anno accademico 1992- 1993.
128
Decisione sintomatica – secondo la dottrina - dell’avversione della Suprema Corte per il regime
legale di comunione (cfr. CARAVAGLIOS R., La comunione legale, I., Milano, 1995, p. 128).
129
Cfr. Tribunale di Piacenza, 9 aprile 1991.
130
Cfr. CARAVAGLIOS R., cit., p. 178.
127
71
72
svuotare del tutto il regime legale della comunione e, soprattutto, dovrebbe trovare la
propria sede naturale in sede di convenzioni ex art. 162 e ss.
b. Un solo coniuge comparente.
Quando, invece, dei coniugi in regime di comunione legale, uno soltanto partecipi
all’atto, si richiede la specificazione del regime patrimoniale nonché l’indicazione del
coniuge non comparente. Quando, dei coniugi in regime di comunione legale,
partecipi uno soltanto all’atto, per rifiuto del consenso o per lontananza dell’altro
coniuge o in caso di sua esclusione dalla amministrazione, il notaio inserirà nell’atto
la dichiarazione che il coniuge comparente è stato “autorizzato alla stipula dell’atto,
necessario nell’interesse della famiglia, dal Tribunale di…, con decreto emesso in
data…, che in copia autentica si allega, stante…”. 131
La norma sul regime patrimoniale legale tra i coniugi contempla la possibilità di
deroghe convenzionali. Si tratta quindi di un regime normativo soltanto dispositivo
che le parti possono modificare.132 Occorre precisare, però, che, ai sensi dell’art. 161
c.c., “gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali
siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi,
ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono
regolare questi loro rapporti”. Una norma di chiara importanza notarile, che può
concretarsi in un rifiuto di quanto richiesto dalle parti, per essere dal notaio
incanalato in convenzioni normativamente più plausibili.
In dottrina si tenta di ricostruire la natura giuridica dell’effetto dell’acquisto in
comunione; sono state prospettate due vie alternative. Quella che considera l’acquisto
separato oggetto di un ritrasferimento pro- quota a favore dell’altro coniuge ovvero
quello che considera l’acquisto, sin dal principio, come un acquisto congiunto proquota. 133
4. CONVENZIONI MATRIMONIALI (artt. 162, 163, 164 c.c.).
131
FALZONE- CANNIZZO, Manuale pratico del notaio, Milano, 1998, p. 75 e ss.
Dice, infatti, "in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell'art. 162". Ci si chiede da
parte della dottrina come queste deroghe siano però compatibili col principio di uguaglianza di cui
all’art. 29, 2° co., Cost. Tale principio, si sostiene, andrebbe inteso in senso astratto, formale e non in
senso sostanziale, come eguaglianza concreta.
133
GABRIELLI, cit.
132
72
73
I coniugi, come anticipato, possono optare per un diverso regime patrimoniale dei
beni rispetto a quello legale. Stipulando, per esempio, una convenzione matrimoniale
ex art. 162 c.c. e ss.
a. Forma. Queste “debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità”.
Preme sottolineare l’importanza della norma. Essa richiede l’atto pubblico rogato dal
notaio. Ciò implica che non possono stipularsi convenzioni senza l’intervento del
notaio (a meno che la scelta del regime di separazione venga dichiarata direttamente
e contestualmente nell’atto di celebrazione del matrimonio), né, per esempio, con
scritture autenticate sottoscritte separatamente l’una dall’altra. Si legge in dottrina
che ciò si deve all’esigenza di assicurare la piena libertà dei coniugi, evitando
illegittime influenze esterne che possano nuocere alla spontaneità degli accordi
nonché di assicurare la regolarità delle stipulazioni e per tutelare una certa stabilità
economica della famiglia.134 Poiché lo stesso regime è previsto per le donazioni
obnuziali (art. 774 c.c.), la dottrina prevalente le include nella categoria delle
convenzioni matrimoniali.135
b. Tempo. La norma, diversamente da quanto previsto prima della riforma del diritto
di famiglia, precisa che le convenzioni matrimoniali possono essere stipulate “in ogni
tempo”, e cioè sia prima che dopo la celebrazione del matrimonio.
c. Modifiche. L’art. 163 c.c. prevede che « le modifiche delle convenzioni
matrimoniali, anteriori o successive al matrimonio, non hanno effetto se l’atto
pubblico non è stipulato col consenso di tutte le persone che sono state parti nelle
convenzioni medesime, o dei loro eredi”.136 Si rileva in dottrina come “la regola trova
particolare applicazione nella ipotesi di fondo patrimoniale costituito da un terzo”.137
d. Pubblicità. Ai sensi dell’ult. co. dell’art. 162 c.c. “le convenzioni matrimoniali non
possono essere opposte ai terzi quando a margine dell’atto di matrimonio non
risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti,
ovvero la scelta di cui al secondo comma”. La giurisprudenza, in virtù di tale
previsione, degrada la pubblicità prevista sui registri immobiliari, quando le
134
SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia. Il regime patrimoniale della famiglia, in Comm.
Cod. Civ. , Torino, 1983, 903.
135
Contra BUSNELLI, loc. ult. cit.
136
Per la modifica delle convenzioni stipulate per atto pubblico prima dell’entrata in vigore della legge
10 aprile 1981, n. 142 Modifiche ad alcune norme relative alle convenzioni tra coniugi (6 maggio
1981), è necessaria l’autorizzazione del Tribunale.
137
JANNUZZI, cit., p. 288
73
74
convenzioni matrimoniali riguardino beni immobili naturalmente, a mera pubblicità
notizia.138 La Cass. 96/9846,139 in un caso specifico, ha sottolineato come fosse valida
ed efficace, anche se stipulata senza le forme dell’atto pubblico, quella convenzione
con la quale il marito, dopo lo scioglimento della comunione fatta per atto pubblico,
rinunciava, per convenzione stipulata con scrittura privata a favore della moglie, ad
ogni sua pretesa su un’azienda commerciale acquistata pendente la comunione in
cambio del prezzo, configurandosi una mera divisione ordinaria. Se il comparente è
separato legalmente o se il matrimonio sia stato annullato o sciolto, si dovrà fare
menzione della sentenza, dare atto del suo passaggio in giudicato in data da riportarsi
in atto, dare atto dell’annotazione della sentenza sui registri dello stato civile in data
da riportarsi in atto e specificare, se l’atto ha per oggetto un bene acquistato prima del
20 settembre 1975, la sorte di quel bene con riguardo al regime patrimoniale dei beni
ed alla convenzione di cui all’art. 228 della legge 19 maggio 1975, n. 151.
e. Simulazione. Ai sensi dell’art. 164 c.c. “è consentita ai terzi la prova della
simulazione delle convenzioni matrimoniali. Le controdichiarazioni scritte possono
avere effetto nei confronti di coloro tra i quali sono intervenute, solo se fatte con la
presenza e il simultaneo consenso di tutte le persone che sono state parti nelle
convenzioni matrimoniali”.
f. Incapaci. Le convenzioni matrimoniali, ex art. 165 c.c., possono essere stipulate
pure dal minore ammesso a contrarre matrimonio “se egli è assistito dai genitori
esercenti la potestà su di lui o dal tutore o dal curatore speciale nominato a norma
dell’art. 90” nonché, ex art. 166 c.c., dall’inabilitato, ma “è necessaria l’assistenza del
curatore già nominato” (“habilis ad nuptias, habilis ad pacta nuptalia”).140
5. FONDO PATRIMONIALE
Il fondo patrimoniale è l'atto negoziale con cui ciascuno o ambedue i coniugi o un
terzo, "destinano determinati beni a far fronte ai bisogni della famiglia" (art. 167
comma 1° cod.civ.).
138
Cass. 27 novembre 1987, n. 8824, in “Giur. it.”, (1989), I, 330; si rinvia alla materia delle
trascrizioni in generale..
139
CIAN- TRABUCCHI, Comm., cit., p. 40
140
Pret. Foggia, 15 gennaio 1968, in “Giust. civ. Rep.” (1969), voce Coniugi (rapporti patrimoniali),
11; BUSNELLI, Convenzione matrimoniale, in “Enc.D.”, X, 512, n. 8.
74
75
a. Amministrazione. La proprietà dei beni spetta normalmente ai coniugi; ma l'atto
costitutivo può prevedere diversamente. Essi amministrano tali beni secondo le
norme sull'amministrazione dei beni in comunione legale di cui agli artt. 180 ss.
cod.civ. In ogni caso fanno propri i frutti impiegandoli per i bisogni della famiglia.
Non è consentito aggredire i frutti o i beni del fondo se non per i debiti contratti per
far fronte ai bisogni della famiglia (art. 170 cod.civ.), né alienare i beni del fondo
(art. 169 cod. civ.), a meno che non sia previsto dall'atto costitutivo o, in mancanza,
vi sia il consenso di entrambi i coniugi e l'autorizzazione del giudice in presenza di
figli minori.
b. Oggetto. Possono esservi destinati beni immobili o mobili iscritti in pubblici
registri o titoli di credito, nominativi o comunque vincolati.
c. Forma. La forma per la costituzione è quella dell'atto pubblico, con l’irrinunciabile
presenza dei testimoni. Pertanto il fondo patrimoniale non può essere costituito per
scrittura privata anche autenticata.141 Il terzo è legittimato a costituire il fondo "anche
per testamento". L'efficacia della costituzione da parte del terzo è subordinata alla
accettazione anche successiva da parte dei coniugi, che deve comunque rivestire la
forma dell'atto pubblico.
d. Estinzione. Il fondo cessa con l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione
degli effetti civili del matrimonio (art. 171 cod.civ.). Si applicano le norme sullo
scioglimento della comunione legale. La presenza di figli minori comporta, di diritto,
la proroga della durata del fondo fino al compimento della maggiore età dell'ultimo.
L’art. 171, 3° co., c.c. prevede che “considerate le condizioni economiche dei
genitori e dei figli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in
godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo”. Occorre sottolineare che, a
norma dell’art. 169 c.c., oggetto di particolare attenzione da parte degli operatori, “se
non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono
alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale
se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con
l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di
consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente”. Il buon notaio richiederà ai
costituenti se intendono avvalersi della successiva facoltà di alienare, ipotecare o
141
Molti dei quesiti della preselezione informatica di accesso al concorso sono dedicati alla forma
dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale.
75
76
comunque vincolare i beni del fondo prevedendolo espressamente nell’atto, onde
evitare successivamente di incorrere nel divieto citato.
6. REGIME DELLA COMUNIONE LEGALE
Il Legislatore distingue, all'interno della comunione, tra i beni che cadono in
comunione e quelli che, pur in costanza di comunione, rimangono personali.142
a. Cadono in comunione legale:
- "gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il
matrimonio143 [...]" (art. 177 lett. a) cod.civ.);
- "le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio" (art. 177
lett. d) cod.civ.).144
b. All'interno dei beni che cadono in comunione, però, il Legislatore ha individuato
alcune categorie di beni che cadono in comunione solo se sono presenti nel momento
in cui viene sciolta la comunione stessa, al solo fine di ripartirli tra i coniugi. Si parla
in questo caso di comunione de residuo. Tali beni sono:
- - "i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo
scioglimento della comunione" (art. 177, 1° co., lett. b);
- "i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della
comunione, non siano stati consumati" (art. 177, 1° co., lett. c);145
- gli utili e gli incrementi delle aziende gestite da entrambi i coniugi ma appartenenti
ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio (art. 177, comma 2° c.c.);
- "i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il
matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente" (art. 178
c.c.).
142
La produzione giurisprudenziale inerisce in gran parte alle controversie instaurate fra i coniugi per
far accertare la natura personale o la caduta in comunione di un determinato bene, specie quando il
rapporto coniugale sia in crisi.
143
Problematici sono gli acquisti per usucapione iniziata prima del matrimonio (vedi CIAN, Gli
acquisti per usucapione, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia, 1989, 213) ovvero di
contratto definitivo esecutivo di un preliminare stipulato prima del matrimonio (vedi Trib. Parma, 12
dicembre 1987, in “Giur.it”., (1989), I, 2, 593) ovvero di contratto condizionato o a termine o di
vendita obbligatoria con efficacia differita successiva al matrimonio (vedi SCHLESINGER, cit., 106
ss. e FINOCCHIARO, cit., 896; App. Genova 4 gennaio 1984, in “Giur. merito”, (1985), 585; Trib.
Ferrara 21 maggio 1985, in “NGCC”, (1986), I, 504).
144
Cadono in comunione le partecipazioni in società quando non comportano l'acquisto della
responsabilità illimitata dovendosi altrimenti ritenere beni personali. Così Cass., 12 dicembre 1983, nr.
7409, in “N.G.C.C.”, 1, 1987, 570; Cass., 18 febbraio 1985, nr. 1955, in “Giur. comm”., 1985, II, 459.
145
Per la dottrina vi rientrerebbero pure quelli dei giuochi e scommesse. Così MACRI' , Il nuovo
regime patrimoniale della famiglia, 1978, 114.
76
77
La casistica giurisprudenziale è ricca di sentenze che ora includono ora escludono
determinati beni nella categoria. Un esempio è dato dalla Cass. 96/8865
146
che ha
capovolto il verdetto del giudice di merito secondo il quale la moglie aveva diritto a
percepire la metà dei redditi del marito allevatore di suini non utilizzati fino allo
scioglimento della comunione, perché rientrerebbero nella comunione de residuo tutti
i redditi percetti e percipiendi rispetto ai quali il titolare dei redditi stessi non riesca a
dare la prova che sono stati consumati.
Non pochi problemi agli operatori dà anche la norma dell’art. 178 c.c. secondo la
quale “i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il
matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si
considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello
scioglimento di essa”.
c. Se oggetto dell’atto è un bene personale del coniuge il notaio dovrà specificare in
atto la ragione legale per la quale quel bene può considerarsi personale.147 Sono beni
personali (art. 179 cod.civ.):
- a) "i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali
era titolare di un diritto reale di godimento"; ciò che accade prima del matrimonio
esula dunque dal regime patrimoniale;
- b) "i beni acquisiti148 successivamente al matrimonio per effetto di donazione o
successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi
sono attribuiti alla comunione"; il buon notaio che si trovi a ricevere un testamento o
146
CIAN- TRABUCCHI, Comm., cit., p. 40.
E quindi perché “pervenuto per atto di donazione a rogito del notaio …, in data …, registrato il …,
al n. …;” ovvero “pervenuto per successione in morte di …, denunzia n. …, vol. …, presentata
all’ufficio del registro di …; “ ovvero “ acquistato con atto rogato dal notaio …, registrato al n. …,
anteriore alla data di celebrazione del matrimonio con il proprio coniuge avvenuta in data …” ovvero
“utilizzato nell’esercizio della propria professione (ovvero di uso strettamente personale) come risulta
dall’atto di acquisto ai rogiti del notaio …, in data …, reg. al n. …” ovvero “ottenuto a titolo di
risarcimento del danno, giusta sentenza emessa dal Tribunale di …, in data …, passata in giudicato il
…;” ovvero “acquistato con il prezzo ricavato dal trasferimento di bene personale ai sensi dell’art. 179
c.c., 1° co., lett. C), giusta atto a rogito del notaio …, in data …, reg. al n. …”.
148
Discusso è il caso di costruzione di edificio su terreno di cui è proprietario uno dei coniugi.
L'orientamento attualmente prevalente è che l'edificio resterebbe di proprietà esclusiva del proprietario
del fondo per accessione. Così DI TRANSO, Comunione legale tra coniugi e acquisto per accessione,
in “Vita notar.”, (1978), 1269. Parimenti escluso dalla comunione, per orientamento attuale della
giurisprudenza, è il diritto di natura obbligatoria. Vedi Cass., 23 luglio 1987, nr. 6424, in “Giust.civ”.,
(1988), I, 462 e Trib. Roma, 17 maggio 1984, in “Giur.civ.”, (1985), I, 1212 con nota di LUISO,
Rapporti di locazione e comunione legale dei beni. In senso contrario BIANCA, Diritto civile, II, La
famiglia. Le successioni, 1975, 76 e PAVONE LA ROSA, Comunione legale e partecipazioni sociali,
in “Vita notar.”, 1979, 38.
147
77
78
una donazione chiarirà a colui che dispone dei propri beni che, se intende beneficiare,
oltre alla persona indicata, anche il suo coniuge, occorre specificarlo;
- c) "i beni di uso strettamente personali"; 149
- d) "i beni che servono all'esercizio della professione [...]";
- e) “i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente
alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa";
- f) "i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni sopraelencati o col loro
scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto"150.
- g) i beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri di cui alle precedenti lettere
c), d) ed f), acquisiti dopo il matrimonio, la cui natura personale risulti dall'atto di
acquisto, cui abbia partecipato l'altro coniuge.
Se poi un coniuge acquisti un bene che si vuole comunque escludere dalla comunione
per i motivi consentiti dalla legge “occorre che all’atto intervenga anche l’altro
coniuge per confermare la veridicità delle dichiarazioni dell’acquirente e quindi
l’esclusione dell’immobile compravendendo dalla comunione legale”.151
Alcune questioni di diritto vivente.
(1). Accessione e comunione legale. Una questione molto discussa è stata quella
della prevalenza dell’accessione sulla comunione legale. Secondo la Corte di
Cassazione152
“quando, in regime di comunione legale, viene realizzata una
costruzione sul suolo di proprietà esclusiva di un coniuge e con denaro di entrambi,
la proprietà della costruzione, in mancanza di un titolo, redatto nel rispetto della
forma richiesta per i diritti relativi ad immobili, che legittimi la costituzione di un
diritto reale di superficie, viene, ai sensi dell’art. 934 c.c., acquistata dal proprietario
del suolo. All’altro coniuge compete un diritto di credito pari alla metà del valore dei
materiali e della manodopera impiegati nella costruzione”.
Svolgimento del
processo. Rosalba Bertuletti […] chiese la separazione personale dei coniugi […]
L’adito Tribunale pronunciò la separazione […] Poiché i coniugi in corso di
149
Il criterio di individuazione è quello rigorosamente personale. Vedi SANTOSUOSSO, Il regime
patrimoniale della famiglia, in Commentario del codice civile, I, 1, 1983, 210.
150
Secondo la dottrina l'omissione non sarebbe in alcun modo riparabile. Vedi SEGNI, Gli atti di
straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, in «Riv. dir.
civ.», (1980), 1, 622.
151
Così si legge in FALZONE- CANNIZZO, cit., p. 77, in nota.
152
Cass., Sez. un., sentenza 27 gennaio 1996, n. 651, in “Vita not.”, 1996, n. 2, p. 742 e ss. con nota di
L. COCO.
78
79
matrimonio avevano costruito un edificio su suolo del Marinoni, dichiarò la
Bertuletti titolare della proprietà superficiaria in ragione della metà dell’edificio sito
in Rovetta via Fermi 9 […] La Corte d’appello di Brescia […] ha accolto il gravame
[…] ritenendo l’edificio di proprietà esclusiva del dominus del suolo su cui è stato
realizzato […] propone ricorso per Cassazione la Bertuletti […] La questione che
vede divisa la dottrina e la giurisprudenza di merito, è stata finora risolta
univocamente dai giudici di legittimità a favore della tesi che nega la caduta in
comunione della costruzione effettuata dai coniugi su suolo di proprietà esclusiva di
uno di essi [...] Il richiamato indirizzo interpretativo rileva come la disposizione
dell’art. 177, lett. a) c.c. si riferisca agli “acquisti compiuti”, espressione
difficilmente conciliabile con l’automatismo dell’accessione che opera ex lege a
favore di uno soltanto, cioè del proprietario del terreno […] La Corte rigetta […]”.
(2). Un’altra questione molto discussa è quella del credito che nasce da un contratto
preliminare stipulato prima del matrimonio da uno solo dei coniugi. Secondo la
giurisprudenza di legittimità “la comunione legale tra i coniugi di cui all’art. 177 c.c.
riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà
della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito
sorti dal contratto preliminare concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa
natura relativa e personale, pur se strumentali rispetto all’acquisizione della res, non
sono suscettibili di cadere in comunione, con la conseguenza che, nel caso di
contratto preliminare stipulato da uno solo dei coniugi, nessun diritto può accampare
l’altro coniuge il quale non è neppure legittimato a proporre domanda di esecuzione
in forma specifica ex art. 2932 c.c.”.153 Svolgimento del processo. “Con sentenza del
7.11.1989 il Tribunale di Trani rigettava la domanda proposta nel novembre 1985
dalla s.r.l. Edilcasa, tendente ad ottenere la risoluzione, per inadempimento dei
promissori acquirenti Giovanni Monteverde e Luigi Caporale, del contratto
preliminare 28.8.1980 di vendita, al prezzo di L. 45.700.000, di una casa per
abitazione […] Rigettava altresì la domanda riconvenzionale dei convenuti volta
all’esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. […] Nell’atto di gravame della Edilcasa si
deduceva anche che il 14.9.1983, quando già si era delineato l’inadempimento delle
controparti, la moglie del Monteverde, Pasqua Samarelli, nell’intento di gestire il
153
Cass., Sez. II, 18 febbraio 1998- 18 febbraio ‘99, n. 1363, in “Guida al Diritto”, (’99), n. 16, p. 22,
conforme a Cass. 9513/91, Cass. 6493/94, ivi.
79
80
rapporto in luogo del marito, assente da Molfetta perché in navigazione, aveva
sottoscritto una dichiarazione di impegno e rilasciato cambiali, anch’esse rimaste
insolute, in sostituzione di quelle a firma dei promissori acquirenti […] la Samarelli
spiegava intervento volontario in appello con comparsa del 27.4.1990 dove negava
ogni valore giuridico a detta dichiarazione”.
(3). Esclusione dalla comunione dell’acquisto di un coniuge per effetto di donazione
indiretta. Si ritiene, infine, che “il bene acquistato da uno solo dei coniugi in regime
di comunione dei beni, con denaro di un terzo, e pertanto oggetto di donazione
indiretta, non entra nella comunione legale, ancorché il terzo non abbia dichiarato
esplicitamente di voler destinare il denaro stesso in favore del solo coniuge
acquirente”.154 Svolgimento del processo. “Con atto di citazione notificato il 20
febbraio 1985 Maria Gerarda Tolomeo ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale
di Roma Ignazio Nigro, con il quale aveva contratto matrimonio nel 1978 e dal quale
viveva separata consensualmente dal 1981, chiedendone […] l’attribuzione della
quota di sua pertinenza di un appartamento sito in Ronciglione, acquistato il 12
settembre 1980 […] Con sentenza dell’11 ottobre 1990 il tribunale [ …] ha
condannato il Nigro […] avendogli assegnato l’appartamento di Ronciglione […] al
pagamento di lire 15.000.000 a titolo di corrispettivo della metà dell’immobile di
proprietà della moglie […] la Corte d’appello di Roma […] ha dichiarato che
l’appartamento di Ronciglione è di proprietà esclusiva del Nigro […] i genitori
avevano fornito al Nigro la somma necessaria per l’acquisto perché la prova della
donazione del denaro è anche prova della donazione indiretta dell’immobile, per la
quale non è richiesto l’atto pubblico”.
7. AMMINISTRAZIONE DEI BENI DELLA COMUNIONE.
Il Legislatore ha inteso prevedere una disciplina speciale per la comunione legale dei
beni tra coniugi, rispetto al regime di comunione ordinaria dei beni ex artt. 1100 e ss.
a.
Atti
di
ordinaria
amministrazione.
Prevede
l'art.
180
cod.civ.
che
“l'amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli
atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi”. Potremmo
definirla una normale conseguenza per un regime di comunione improntato
154
Cass., Sez. I, 15 novembre 1997, n. 11327, conf. App. Roma 26 settembre 1994, in “Foro it.”,
(’99), I, c. 994 e ss.
80
81
all’eguaglianza dei coniugi. La legge dunque pone una regola rigida che non tiene
conto del fatto che spesso tale eguaglianza, di fatto, può non sussistere.
b. Atti di straordinaria amministrazione. La norma precisa al 2° co., che “il
compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei
contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la
rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi
i coniugi”. Dunque per gli atti di straordinaria amministrazione,155 l'amministrazione
spetta congiuntamente ad entrambi i coniugi. E con essa, la rappresentanza in
giudizio.
c. Rifiuto del consenso. L'altro coniuge può rivolgersi, in caso di rifiuto del consenso
da parte dell’altro coniuge (art. 181 c.c.), al giudice, che lo autorizza, se il
compimento dell'atto di straordinaria amministrazione è necessario nell'interesse
della famiglia o dell'azienda coniugale.
d. Amministrazione affidata ad uno solo dei coniugi. Analoga soluzione è prevista in
caso di lontananza o di impedimento dell'altro coniuge che non abbia rilasciato
procura risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata (art. 182 c.c.).
e. Atti compiuti senza il necessario consenso. Gli atti compiuti senza il consenso
dell'altro coniuge, aventi ad oggetto beni immobili o mobili registrati, sono
annullabili dall'altro coniuge; gli atti aventi ad oggetto altri beni obbligano il coniuge
che li ha compiuti a ricostruire la comunione nello stato in cui era prima del
compimento dell'atto (art. 184 c.c.).
f. Obblighi gravanti sui beni della comunione. I beni della comunione rispondono,
oltre che delle spese per il loro acquisto e per la loro amministrazione, delle spese per
la famiglia ed i figli principalmente e "di ogni obbligazione contratta congiuntamente
dai coniugi" (art. 188 c.c.).156 Rispondono delle obbligazioni contratte da uno solo dei
coniugi nei limiti della quota del coniuge contraente (art. 189 comma 2° c.c.) nonché
delle obbligazioni contratte dopo il matrimonio da uno dei coniugi per il compimento
di atti di straordinaria amministrazione senza il consenso dell'altro (art. 189 comma
155
"Nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di
godimento".
156
Quando i beni della comunione non sono sufficienti, i creditori possono agire in via sussidiaria sui
beni personali dei coniugi nella misura della metà del credito (art. 190 cod.civ.).
81
82
1°, c.c). Di regola, però, non rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei
coniugi prima (art. 187 c.c.) e durante il matrimonio.157
8. COMUNIONE CONVENZIONALE.158
a. Il regime della comunione come sopra descritto può essere modificato dai coniugi
mediante la stipula di una convenzione matrimoniale di cui agli artt. 162 c.c. ss.
(vedi) (art. 210 c.c.). Questa può essere diretta a ricostruire un regime di comunione
diverso da quello previsto dalla legge.
b. Il Legislatore pone però alcuni limiti, che spetta al notaio far rispettare, rifiutando
il progetto di convenzione difforme:
(1). non è ammesso il riferimento generico a leggi o agli usi (art. 161 e 210, 1° co.,
c.c.);
(2). non possono essere ricompresi nella comunione i beni personali di cui all'art.
179, lettere c), d) ed e) (art. 210, 2° co.,c.c.) e cioè: c) "i beni di uso strettamente
personali";
159
d) "i beni che servono all'esercizio della professione [...]"; e) “i beni
ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita
parziale o totale della capacità lavorativa";
(3). non sono derogabili le norme sull'amministrazione dei beni in comunione (art.
210, 3° co., c.c.);
(4). non sono derogabili le norme sull'uguaglianza delle quote relativamente ai beni
che ricadrebbero in comunione (art. 210, 3° co.,c.c.).
c. Strumento di elusione. Ai sensi dell’art. 211 c.c. “i beni della comunione
convenzionale rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del
matrimonio limitatamente al valore dei beni di proprietà del coniuge stesso prima del
matrimonio che, in base a convenzione stipulata a norma dell’art. 162, sono entrati a
far parte della comunione dei beni”. Il Legislatore si pone il problema di non creare
strumenti di elusione per i creditori di ciascuno dei coniugi (vedi § relativo al fondo
patrimoniale). Però, quando sia rispettato il formalismo giuridico richiesto (ecco che
si spiega il richiamo all’art. 162 c.c.), grazie all’intervento del notaio terzo, nulla
157
Non rispondono, per esempio, delle obbligazioni gravanti sulle donazioni o successioni conseguite
da uno dei coniugi a titolo personale (art. 188 cod.civ.).
158
DE RUBERTIS, La comunione convenzionale tra coniugi, in «Riv. Not. », (1989), p. 11 e ss.
159
Il criterio di individuazione è quello rigorosamente personale. Vedi SANTOSUOSSO, Il regime ,
loc. ult. cit..
82
83
quaestio. Sul piano sociologico il notaio dovrebbe assumere piena neutralità. Talvolta
il notaio è indotto ad “accontentare” il cliente che a lui si rivolga per sfuggire ai
creditori, creando ad arte strumenti giuridici atti ad eludere le ragioni dei creditori.
9. SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE
a. Casi di scioglimento della comunione. La comunione si scioglie di diritto (art. 191
c.c.) nei seguenti casi:
(1). di dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi; (2). di
annullamento, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; (3).
di separazione personale; (4). di separazione giudiziale dei beni; (5). di fallimento.
(6). Ma può essere sciolta per convenzione matrimoniale nel caso dell'azienda
coniugale.
b. Dallo scioglimento di diritto deriverebbe, secondo la dottrina prevalente, un
regime di comunione ordinaria transitorio, fino al momento della divisione.160
c. La divisione si effettua (art. 194 c.c.) “ripartendo in parti eguali l’attivo e il
passivo”. I beni mobili possono essere prelevati dalla comunione, purché si provi,
con qualsiasi mezzo, la titolarità del bene (art. 195 c.c.). In mancanza di norme
speciali, trovano applicazione quelle della divisione ordinaria. Dalla divisione in poi
vige il regime di separazione dei beni.
10. SEPARAZIONE DEI BENI 161
Ante riforma. Prima della riforma la separazione dei beni costituiva regime legale.
Oggi essa rappresenta solo uno dei possibili contenuti del regime patrimoniale dei
coniugi. Sul piano sociologico preme sottolineare come la scelta del regime di
separazione spesso sia dettata, oltre che per istanze individualistiche prevalenti
rispetto a quelle matrimoniali, dalla semplicità di questo assetto patrimoniale (ciò che
mio è mio, ciò che tuo è tuo), che non riguarda, per diverse ragioni, il diverso regime
legale della comunione. La separazione dei beni consiste nella conservazione della
“titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio” e nella conseguente
esclusiva amministrazione (artt. 215 e 217 c.c.). Ai sensi dell’art. 217, 2° co., c.c. –
oggetto di quesiti in sede di preselezione informatica - “se ad uno dei coniugi è stata
160
161
PROSPERI, Sulla natura della comunione legale, 1983, 156 ss.
GIUSTI, voce Separazione dei beni, in “Enc. D.”, XLI, Milano, (1989), p. 1435 e ss.
83
84
conferita la procura ad amministrare i beni dell’altro con obbligo di rendere conto dei
frutti, egli è tenuto verso l’altro coniuge secondo le regole del mandato”. Ai sensi del
3° co. “se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell’altro con procura senza obbligo
di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta dell’altro coniuge o allo
scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a
consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati”. La prova della
proprietà esclusiva dei beni non conosce limiti. In mancanza però il bene si presume
comune dei coniugi (art. 219 c.c.).
11. CONTRATTI DI CRISI MATRIMONIALE
Un argomento di cui si discute di recente in dottrina è quello dell’ammissibilità o
meno dei c.d. contratti di crisi matrimoniale.162 Si tratta di quegli accordi fatti
relativamente alle assegnazioni patrimoniali fatte in sede di separazione, pendente il
matrimonio, e di divorzio, quando il matrimonio è ormai concluso, ove si verifica un
riacquisto dell’autonomia patrimoniale da parte dei coniugi come uti singuli. Il
problema, da un altro punto di vista, è quello dei rapporti tra l’accordo tra coniugi
stipulato in sede di separazione consensuale e la successiva omologazione da parte
del tribunale.163 Infatti, mentre secondo alcuni autori l’attribuzione patrimoniale
troverebbe la propria causa nella volontà delle parti, secondo altri detta causa
risiederebbe nella omologazione giudiziale. Per i primi questa invece interverrebbe
come mera condicio iuris. Le conseguenze pratiche di queste diverse posizioni
emergono nel caso in cui i coniugi siano in comunione legale. Se si sminuisce il
valore giuridico dell’omologazione, infatti, per l’attribuzione di un bene da un
coniuge all’altro sarebbe necessario preventivamente sciogliere la comunione;
altrimenti il bene ricadrebbe in comunione. Il contenuto della decisione del giudice è
standard: casa familiare, mantenimento dei figli e del coniuge economicamente più
debole.
162
Per il Notaio A.R., intervistato, il problema non si pone se non de iure condito.
Artt. 158 c.c., 710 (separazione giudiziaria) e 711 c.p.c. (tentativo di conciliazione). Artt. 160,
143, 144, 147 c.c. Caso giurisprudenziale (Cass. 1987): in sede di separazione consensuale il padre
promette di trasferire ai figli un bene immobile per donazione al raggiungimento della loro maggiore
età; prima dell’accettazione da parte degli stessi il padre revoca la donazione per ingratitudine al fine
di impedire il trasferimento. La Cassazione, per impedire il pregiudizio per i figli, ha ritenuto
configurarsi nella donazione un atto solutorio a causa esterna (art. 1333 c.c.).
163
84
85
11. LIQUIDAZIONE UNA TANTUM DEGLI OBBLIGHI FAMILIARI
Ancora, ci si chiede in dottrina se gli obblighi di solidarietà familiare di cui agli artt.
143, 144, 147 c.c. si possono sostituire, per volontà delle parti, con una liquidazione
una tantum. Se possa sostituirsi ad un’obbligazione legale una di natura volontaria.
Di fatto accade spesso che, in sede di verbale di separazione, il coniuge beneficiario
acconsenta alla separazione per ottenere un ulteriore vantaggio economico. Si parla
di “prezzo del consenso” ovvero di “commercio di status”. Secondo alcuni tale
negozio non può considerarsi lecito, al limite potendosi ammettere una sostituzione
parziale, dovendosi assicurare al coniuge beneficiario quel minimum necessario per
la sopravvivenza. Non sarebbe in tal modo ammissibile, per esempio, l’attribuzione,
a tal fine, di una nuda proprietà, a meno che non sia accompagnata dalla
corresponsione del sostentamento quotidiano. Quale la causa di simile negozio: si
esclude che possa individuarsi nella liberalità; si esclude pure che possa trattarsi di
una causa transattivi, che mal si attaglia ai casi di attribuzione unilaterale.
164
Si
tratterebbe, almeno a livello descrittivo, di una datio in solutum (art. 1197 c.c.).
Secondo altri, ancora, si tratterebbe di un negozio atipico con una causa propria,
quella della separazione, meritevole di tutela dall’ordinamento perché diretta a
pacificare le parti. Presupposto, causa e motivo dell’attribuzione sarebbero rilevabili
nella separazione. Ma la questione si riverbera anche sul piano processuale sulla
individuazione della competenza del giudice a dare effetto agli accordi coniugali.
Secondo un orientamento della giurisprudenza
165
il giudice ed il cancelliere
sarebbero legittimati a garantire questo effetto. Secondo altri, invece, il giudice non
avrebbe questo potere traslativo.166 Il verbale di separazione è atto pubblico. Si deve
distinguere però, ex art. 2699 c.c., tra atto pubblico puro e semplice e atto pubblico
negoziale: quest’ultimo è quello normalmente ricevuto dal notaio e solo
eccezionalmente dal segretario comunale.
12. LACUNE FORMALI
A ciò è collegata la questione della trascrivibilità o meno in caso di lacune formali in
sede di verbale di separazione di provenienza giurisdizionale, nella menzione, per
esempio, di dati catastali, urbanistici o fiscali (mancata allegazione del C.D.U. o
164
Cass. 15.3.1991, n. 2788.
Cass. 15.5.97, n. 4306.
166
Trib. Napoli 16.4.97, in “Fam. Dir”,(1997), p. 417.
165
85
86
mancata indicazione delle rendite catastali, carenze di solito non sanabili; obblighi di
allegazione, accertamento libertà dei beni da vincoli).
Può il notaio, in mancanza, convalidare un atto giudiziario? Si può ricorrere alla
pubblicità sanante? La via da seguire, suggerita dalla dottrina, sembrerebbe quella
dell’atto di ripetizione negoziale. La principale ragione che spingeva a tale negozio
era l’agevolazione sull’imposta di registro a tassa fissa (L. 250.000). La Corte
Costituzionale, con la sentenza 10.5.1999, n. 154, ha esteso l’applicazione dell’art.
19 del T.U. n.151, dai provvedimenti in materia di alimenti a diversi altri atti e
provvedimenti.
13. IMPRESA FAMILIARE (art. 230 bis c.c.).
Istituto di applicazione residuale (“salvo che sia configurabile un diverso rapporto”
dice la norma) rispetto al contratto di società, di associazione in partecipazione e di
mero lavoro subordinato, è stato anch’esso introdotto nell’ordinamento con la
riforma del ’75. La ratio è quella di tutelare il “familiare che presta in modo
continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare”. Preme
sottolineare sul piano sociologico come l’istituto sia fondato sulla solidarietà
familiare e, soprattutto, come il lavoro svolto “nella famiglia” sia equiparato a quello
svolto “nell’impresa familiare”. Il criterio decisionale è quello della maggioranza.
Infatti “le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle
inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione
dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa”.
E “i familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono
rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi”. Ai sensi del 3° co., “si
intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il
secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il
terzo grado, gli affini entro il secondo”. Al familiare è attribuito:
(1). il diritto al mantenimento secondo le condizioni patrimoniali della famiglia; (2).
la partecipazione agli utili dell’impresa ed ai beni acquistati con essi ed agli
incrementi dell’azienda, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato; tale
diritto, ai sensi del 4° co., “è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a
favore dei familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi”;
(3). il diritto di prelazione sull’azienda, in caso di divisione ereditaria o di
86
87
trasferimento dell’azienda. Norma questa molto importante per il notaio che deve
quindi preliminarmente accertarsi, in presenza di un’azienda ereditanda o cedendo,
che non si tratti di impresa familiare.
14. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Sul piano sociologico possono formularsi diverse osservazioni di carattere generale.
La riforma. Da più parti si sentì l’esigenza della riforma del diritto di famiglia che,
nel 1975, è arrivata. I commenti alla riforma non sono stati e non sono tuttora tutti
positivi. Ed anzi la giurisprudenza di legittimità ha limato non poco gli istituti in
questione. Da più parti sono ricominciate istanze riformistiche della riforma. La
riflessione che però a me pare doverosa è la seguente. Mi pare che l’ordinamento
offra tutte le possibilità. E’ possibile lasciarsi regolare dalla comunione legale, come
accade a chi neanche si ponga la domanda. Ovvero è possibile optare per la
separazione, proteggendo le singole sfere individuali di risorse. Oppure è possibile
modellare il regime patrimoniale come meglio si ritenga, fermo restando alcuni limiti
al di là dei quali non potrebbe nemmeno intravedersi un’unione coniugale. Ed è
possibile mutare i giuochi anche a partita in corso. Non sembra dunque che il
problema sia dato dagli strumenti giuridici, variegati come il bancone di un gelataio.
La diffusa litigiosità. Eppure esiste una questione famiglia. I tribunali ed i giuristi si
occupano troppo spesso dell’argomento. Si possono certo ridurre i tempi tecnici della
giustizia, che comunque non possono comprimersi oltre quelli di una sufficiente
ponderatezza e certezza giuridica, ma non sembra ci sia una reale volontà degli
operatori di impegnarsi in tal senso. Vi è forse anche un po’ di speculazione
professionale sull’argomento (gli avvocati divorzisti altrimenti come potrebbero
campare!). E anche i coniugi, ormai “inviperiti”, trovano sfogo nelle vicende
giudiziarie, per “fargliela pagare” all’ex coniuge. Manca forse ancora una attività di
indirizzo specifica preventiva, volta ad illustrare contenuti ed effetti degli istituti
familiari a chi ne è coinvolto. O forse vi sono altre cause sociologiche ancora ignote.
87
88
BIBLIOGRAFIA
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BUSNELLI, Convenzione matrimoniale, in “Enc. D.”, X, 512, n. 8.
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PROSPERI, Sulla natura della comunione legale, 1983, 156 ss.
SANTOSUOSSO, Il regime patrimoniale della famiglia, in Commentario del codice
civile, I, 1, 1983, 210.
88
89
SEGNI, Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni
immobili della comunione, in «Riv. dir. civ.», (1980), 1, 622.
TORRENTE A. – SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, Milano, XIII ed.,
1990, p. 888.
CAPITOLO SESTO
IL NOTAIO, LE SUCCESSIONI E LE DONAZIONI
1. Premesse. 2. Giurisdizione in materia successoria. 3. Apertura della successione.
4. Successione legittima e testamentaria. 5. Successione necessaria. 6. Vocazione
e Delazione. 7. Accettazione e Acquisto dell’eredità. 8. Sostituzione. 9.
Rappresentazione. 10. Divieto di patti successori. 11. Testamento. Testamenti
factio attiva e passiva. 12. Indegnità. 13. Testamenti speciali. 14. Testamento
olografo. 15. Testamento per atto di Notaio. 16. Le disposizioni testamentarie.
Disposizioni poenae nominae. 17. Diseredazione. 18. Disposizioni a titolo
universale e a titolo particolare. Institutio ex re certa. La divisione del testatore.
19. Disposizione fiduciaria 20. Il testamento impossibile. 21. Clausola
compromissoria. 22. Il testamento per relationem. 23. Legati. Legato per il caso
di bisogno. Legato di contratto. Legato di rendita vitalizia. Legato di alimenti o di
mantenimento. Legato in sostituzione e legato in conto di legittima. 24. Gli
elementi accidentali della volontà testamentaria (condizione, termine, modus).
25. Nullità del testamento. Volontaria esecuzione di disposizioni nulle. 26.
Collazione. 27. Donazioni
1. PREMESSE
Il Notaio, nell’ambito del proprio ufficio, si occupa spesso di successioni mortis
causa. Si tratta di uno degli istituti di diritto civile che sviluppa maggiormente
tensioni sociali. Per gli eredi si tratta di una vicenda giuridica dalla quale può
derivare un arricchimento, a titolo gratuito, legittimo. Inoltre, quando i concorrenti
all’eredità sono più, la vicenda giuridica si complica, potendo dar luogo a complesse
vicende giudiziarie (le liti in materia successoria sono le più lunghe). Il Notaio ha la
funzione di certificare e garantire la volontà successoria e, quindi, il buon esito della
successione. Per quanto riguarda il testatore, poi, la decisione relativa ai beneficiari
costituisce, spesso, un problema non solo morale, ma prima ancora giuridico. Ecco,
89
90
ancora una volta, l’importanza dell’intervento del Notaio. L’ordinamento vede con
sfavore l’incertezza sulla titolarità dei beni o le liti per accertarla ed appronta gli
strumenti necessari atti ad evitarla. Si consideri che, per ogni individuo (che in vita
possegga dei beni), c’è una potenziale successione da regolare. In materia di
successioni esistono già diversi studi sociologici.167 Esiste, per esempio, una ricerca
sull’attuazione delle norme relative alle successioni, consistente nell’analisi di 1239
testamenti, depositati presso le cancellerie di due preture, situate, rispettivamente, in
un’area urbana e in un’area rurale della regione lombarda. “L’aspetto più interessante
della ricerca risiede nel fatto che, in complesso, si giunge a sottolineare la scarsa
vitalità del diritto successorio e a spiegare il suo declino riferendosi anzitutto alle
teorie che, rilevando la crescente dissociazione tra proprietà e controllo della
ricchezza, mettono in luce la decadenza della proprietà stessa e, riferendosi inoltre al
fatto che le classi agiate non rifuggono soltanto dall’atto di ultima volontà, ma in
generale dalla successione mortis causa, legittima o testamentaria, e fanno ricorso a
mezzi diversi per tramandare i patrimoni da generazione a generazione”.168 Ogni
individuo, finché è in vita, è libero di regolamentare la propria successione, come è,
pure, libero di non farlo. Anzi, la successione legittima, cioè la successione regolata
dalla Legge, può essere, essa stessa, il frutto di una precisa volontà sul modo di
devoluzione dei propri beni (quando i criteri di devoluzione legali soddisfino appieno
i programmi di chi dispone). Il testamento, d’altra parte, potrebbe essere una forma di
discriminazione consapevole tra eredi, nel senso di voler non dare qualcosa a
qualcuno (si pensi alla diseredazione, cui si rinvia). Il testamento, di solito, si scrive
nell’età senile, e ciò può incidere sulle stesse disposizioni testamentarie. In punto di
capacità d’agire, il Notaio deve accuratamente accertarsi che il testatore abbia una
volontà, oltre che libera, sana. Le lotte per ingraziarsi il testatore prima della sua
dipartita costituiscono un oggetto frequente della letteratura cinematografica. Le
vicende successorie spesso riempiono le cronache mondane dei quotidiani e dei
telegiornali. In ogni caso, se la persona defunta, per qualsiasi motivo, non abbia
pensato di redigere un testamento, si applica il meccanismo della successione
legittima, cui si rinvia.
167
168
Tra gli altri FERRARI, Successione per testamento e trasformazioni sociali, Milano, 1972.
TREVES, Sociologia del diritto- Origini, ricerche, problemi, 1996, Torino, p. 239.
90
91
2. GIURISDIZIONE IN MATERIA SUCCESSORIA
Un aspetto preliminare della materia è quello della cittadinanza del de cuius, perché
essa incide sulla legislazione applicabile. L’art. 50 della legge 31 maggio 1995, n.
218, sul sistema italiano del diritto internazionale privato, prevede, attualmente, che
“in materia successoria la giurisdizione italiana sussiste: a) se il defunto era cittadino
italiano al momento della morte; b) se la successione si è aperta in Italia; c) se la
parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica è situata in Italia; d) se il
convenuto è domiciliato o residente in Italia o ha accettato la giurisdizione italiana,
salvo che la domanda sia relativa a beni immobili situati all’estero; e) se la domanda
concerne beni situati in Italia”. Solo in questi casi vale, dunque, il discorso che
stiamo per intraprendere, altrimenti dovendosi applicare la diversa Legge regolatrice.
3. APERTURA DELLA SUCCESSIONE
Ai sensi dell’art. 456 c.c. “la successione si apre al momento della morte, nel luogo
dell’ultimo domicilio del defunto”. L’apertura della successione è definita, in
dottrina, come “quel fenomeno naturale che individua il momento e lo spazio in cui
opera il trapasso dei diritti”. Ai sensi dell’attuale art. 22, 2° co., c.p.c., norma di
carattere processuale, “se la successione si è aperta fuori della Repubblica”, le cause
ereditarie sono “di competenza del giudice del luogo in cui è posta la maggior parte
dei beni situati nella Repubblica o in mancanza di questi, del luogo di residenza del
convenuto o di alcuno dei convenuti”. Si discute se questa norma, dettata in materia
di controversie giudiziarie, sia richiamabile in materia di volontaria giurisdizione.
Secondo un primo orientamento ciò non sarebbe possibile, perché si tratterebbe di
norma eccezionale, non estensibile analogicamente. Sicché, nel silenzio della legge,
resterebbe libera la facoltà dei Notai di rivolgersi a qualunque Tribunale. Ivi si
preferisce però sostenere la tesi contraria, dell’applicabilità della norma, anche in
sede di volontaria giurisdizione. In primo luogo perché, se la norma vale per
eventuali controversie giudiziarie, sarebbe allora opportuno percorrere la stessa
strada in via preventiva, seguendo il criterio normativo, prima ancora che nascano
eventuali liti giudiziarie sugli stessi beni. Ma, soprattutto, perché la norma sembra
porre un principio generale e niente affatto eccezionale, nonostante il suo tenore
letterale.
91
92
4. SUCCESSIONE LEGITTIMA E TESTAMENTARIA
La devoluzione dei beni dell’eredità può avvenire in due modi: quello previsto dalla
Legge o quello previsto dallo stesso testatore. La Legge, infatti, all’art. 457 c.c., sin
da subito, chiarisce che "l'eredità si devolve per legge o per testamento". Si fa luogo
alla successione legittima solo quando manca, in tutto o in parte, quella
testamentaria. Si discute se sia ammissibile un meccanismo di devoluzione misto,
cioè metà per testamento, metà per successione legittima. La risposta prevalente è
affermativa. Quando il testatore non dispone di tutti i suoi beni, la parte residua del
patrimonio si devolverebbe per successione legittima. Del resto, quando il
testamento, per qualsiasi motivo, sia dichiarato invalido, l’eredità si devolve per
legge.
5. SUCCESSIONE NECESSARIA
La dottrina, per la verità, individua non due, bensì tre tipi di successione: a) legittima;
b) testamentaria; e c) necessaria, quella degli eredi legittimari o necessari. La
previsione di questa forma di successione è sociologicamente rilevante, perché
evidenzia l’attenzione, ancora una volta, del Legislatore, per alcune categorie di
familiari. Sulla differenza tra questa e la successione legittima, la dottrina è divisa.
Per alcuni autori, infatti, si tratterebbe comunque di una species della successione
legittima. Una variante di questo orientamento, vi individuerebbe una forma di
successione a titolo particolare. Per altri sarebbe, invece, un vero e proprio tipo
autonomo di successione. Il discrimen sarebbe individuabile nelle quantità delle
quote, il cui parametro di riferimento sarebbe soltanto il relictum (senza sottrarre il
donatum). Infine l’apertura della successione coinciderebbe con l’esercizio
dell’azione di riduzione.
6. VOCAZIONE E DELAZIONE
E’ fondamentale chiarire, sin da subito, la differenza terminologica tra vocazione e
delazione dell’eredità, non priva di rilevanza pratica:
- la vocazione è la chiamata astratta all’eredità, cioè il coinvolgimento nella vicenda
successoria di coloro che per legge o per testamento possono succedere al de cuius;
- la delazione è la vera e propria attribuzione dell’eredità, tra i vari chiamati (dal
latino defero, concedere, assegnare, attribuire).
92
93
Per esempio, il nascituro concepito o il nascituro non ancora concepito o, ancora,
l’istituito sotto condizione sospensiva, sarebbero, in virtù del loro status, in natura e
in diritto, transitorio, soggetti a vocazione e non a delazione. La rilevanza pratica
della questione non è meramente terminologica ma attiene, piuttosto, ai diversi poteri
di cui dispongono le due categorie giuridiche:
-
i soggetti a vocazione dell’eredità possono chiedere soltanto l’apposizione o
la rimozione di sigilli, la nomina di un curatore dell’eredità giacente, la
redazione di un inventario o promuovere l’actio interrogatoria nei confronti
di un precedente chiamato;
-
i soggetti a delazione dell’eredità hanno, invece, più ampi poteri (ciò è dovuto
alla loro situazione di maggior vicinanza all’eredità); essi detengono i poteri
loro espressamente conferiti dall’art. 460 c.c. E cioè, oltre ai poteri propri dei
primi, possono esperire le azioni possessorie (senza essere nel possesso
materiale dei beni, ex art. 460, 1° co., c.c.) nonché compiere tutti gli atti di
vigilanza, conservazione ed amministrazione temporanea dei beni ereditari
(2° co.), almeno fino a quando e se non venga nominato un curatore
dell’eredità giacente (3° co.).
Si discute, per la verità, se quello del chiamato all’eredità costituisca un vero e
proprio dovere di amministrare, un“ufficio di diritto privato”, come sostenuto da
certa pur autorevole dottrina, o un mero potere di amministrare. Prevale questo
secondo orientamento.
7. ACCETTAZIONE E ACQUISTO DELL’EREDITA’
Ai sensi dell’attuale art. 459 c.c., “l’eredità si acquista con l’accettazione”.169
L’accettazione può essere pura e semplice o col beneficio d’inventario (art. 470 c.c.).
Quest’ultima è prevista, di diritto, per alcune categorie protette e per chi vuole
comunque tutelarsi contro un’eredità pericolosa. Inoltre, ai sensi dell’attuale art. 479
c.c., “se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si
trasmette agli eredi”. E l’erede deve fare presto, perché, ai sensi dell’art. 480 c.c., “il
diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni”.
8. SOSTITUZIONE
169
2° co. « l’effetto dell’accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione ».
93
94
Ai sensi dell’art. 688 c.c.“il testatore può sostituire all’erede istituito altra persona
per il caso che il primo non possa o non voglia accettare l’eredità”. E’ l’istituto della
sostituzione ordinaria. A questa, però, si accompagna la c.d. sostituzione
fedecommissaria, istituto di derivazione romanistica. Ai sensi dell’art. 692 “ciascuno
dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell’interdetto possono
istituire rispettivamente il figlio, il discendente o il coniuge con l’obbligo di
conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima a favore
della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura
dell’interdetto medesimo”. La norma ha l’evidente scopo di vincolare i beni alla
destinazione di gratitudine e riconoscimento per chi si sia preso cura dell’interdetto.
Ai sensi del co. 2° “la stessa disposizione si applica nel caso del minore d’età, se
trovasi nelle stesse condizioni di abituale infermità di mente tali da far presumere che
nel termine indicato dall’art. 416 interverrà la pronuncia di interdizione”. Soltanto in
questi casi la Legge consente la sostituzione oltre il primo chiamato, perché ai sensi
dell’ult. co. dell’art. 692 c.c. “in ogni altro caso la sostituzione è nulla”. Il Notaio,
pertanto, deve accertarsi dei presupposti di validità. La giurisprudenza, infatti, si è
più volte pronunciata su casi di sospetta sostituzione vietata.
Così la Corte di Cassazione, nel caso Greco, applicando il criterio interpretativo del
favor testamenti, ha ritenuto di configurare un’istituzione di erede nella nuda
proprietà del patrimonio a favore delle cugine (che dovevano prendersi cura del figlio
incapace di intendere e di volere) e di un legato di usufrutto vita natural durante a
favore del figlio anziché una sostituzione fedecommissaria, che sarebbe stata nulla ex
art. 692 u.c. c.c., non essendo le cugine contemplate nella norma di legge.170
Allo stesso modo ha giudicato valida, nella causa Patalano contro Patalano,
l’attribuzione dell’usufrutto vitalizio ad una persona e della proprietà ad un’altra
nella misura in cui l’usufruttuario non era l’effettivo erede, come sarebbe stato,
invece, nell’ipotesi in cui, a questi, fossero stati attribuiti poteri tali propri del
proprietario, ed il nudo proprietario destinato soltanto a subentrargli alla di lui morte,
configurandosi in tal caso una sostituzione fedecommissaria vietata.171
Sempre in tema di disposizione di un distinto diritto di usufrutto e di nuda proprietà a
favore di soggetti diversi, foriera di essere rimossa per violazione del divieto ex art.
170
171
Cass., sez. II, 18 settembre 1998, n. 9320.
Cass., sez. II, 21 giugno 1995, n. 7035.
94
95
692, la Corte di Cassazione ha escluso la sostituzione quando all’usufruttuario veniva
consentita l’alienazione soltanto in caso di bisogno, restando configurabili in questo
caso “due legati, uno concernente l’usufrutto, e l’altro, sospensivamente condizionato
al verificarsi della situazione di bisogno, avente ad oggetto i beni da vendere per
sopperire alla situazione stessa”.172 Per fare un po’ di chiarezza, la Suprema Corte, in
altra circostanza, ha dettato i seguenti criteri per stabilire quando “la disposizione con
la quale il de cuius lascia a persone diverse rispettivamente l’usufrutto e la nuda
proprietà di uno stesso bene non integra gli estremi della sostituzione
fedecommissaria” vietata: che “a) le disposizioni siano dirette e simultanee e non in
ordine successivo; b) i chiamati non succedono l’uno all’altro, ma direttamente al
testatore; c) la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non
della successione, ma della “vis” espansiva della proprietà”.173 La sostituzione è
istituto che incide direttamente sulla delazione dell’eredità assieme ad altri diversi
istituti. Donde la necessità (pratica per la verità) di chiarire i rapporti di precedenza
tra i vari istituti. In sede di successione testamentaria la gerarchia è la seguente: 1)
sostituzione; 2) trasmissione del diritto di accettare l’eredità; 3) rappresentazione; 4)
accrescimento; 5) successione legittima.
9. RAPPRESENTAZIONE
Cosa sia la rappresentazione possiamo ricavarlo direttamente dalla Legge. La sedes
materiae può essere d’aiuto. L’istituto, infatti, è regolato subito dopo il capo I sulla
apertura della successione, delazione e acquisto dell’eredità nonché dopo il capo II ed
il capo III, relativi, rispettivamente, alla capacità di succedere ed alla indegnità.
Possiamo, quindi, concludere che si tratta di un istituto, tra gli altri, volto alla
individuazione dell’erede. “La rappresentazione fa subentrare i discendenti legittimi
o naturali nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non
può o non vuole accettare l’eredità” (ai sensi dell’art. 467 c.c.). Il co. 2° precisa che
“si ha rappresentazione nella successione testamentaria quando il testatore non ha
provveduto per il caso in cui l’istituito non possa o non voglia accettare l’eredità o il
legato, e sempre che non si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura
personale”. La ratio dell’istituto viene in considerazione sul piano sociologico. Essa
172
173
Cass., sez. II, 20 febbraio 1993, n. 2088.
Cass., sez. II, 10 gennaio 1995, n. 243.
95
96
è generalmente indicata dalla dottrina nell’esigenza di tutela del patrimonio familiare.
Emerge, allora, chiaramente, ed ancora una volta, nel sistema civilistico vigente,
come la famiglia costituisca punto di riferimento primario per il Legislatore (come
già accade per gli istituti sul regime patrimoniale dei coniugi cui si rinvia).
Tecnicamente si tratterebbe di una presunzione di Legge circa la volontà del de cuius
di far subentrare il discendente dell’istituito erede in suo luogo. In ogni caso, secondo
la dottrina prevalente, si tratterebbe di successione ab intestato. Sulla natura giuridica
dell’istituto si rinvengono, però, diverse teorie. La teoria della fictio iuris, di
derivazione dal codice civile francese, secondo la quale si avrebbe una disposizione
testamentaria, per mera finzione di diritto (criticata perché non considera che si tratta
di una successione che trova la sua fonte diretta nella Legge). La teoria della
conversione legale, criticata perché sembrerebbe basarsi su un evento patologico del
negozio (nullità), piuttosto che sulla mancanza di vocazione. La teoria della
vocazione indiretta, criticata perché il diritto del rappresentante avrebbe rilevanza
autonoma e non derivata. La teoria della delazione indiretta, sposata dalla
giurisprudenza di legittimità,174 si basa sulla circostanza per cui si tratterebbe non di
mera chiamata indiretta, bensì di vera e propria attribuzione, indiretta, dell’eredità.
La rappresentazione è basata sul presupposto oggettivo, costituito dalla delazione
degli stessi beni che avrebbe dovuto ricevere l’istituito. E su quello soggettivo del
vincolo di parentela col premorto, indegno, assente, rinunziante o che abbia perso il
diritto di accettare l’eredità per prescrizione o decadenza. L’art. 468 c.c. precisa che
la rappresentazione ha luogo soltanto per alcune categorie di soggetti:
-
“nella linea retta, a favore dei discendenti legittimi, legittimati e adottivi
nonché dei discendenti dei figli naturali del defunto e, nella linea collaterale,
a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto”. Si tratta di una
scelta di politica legislativa;
-
precisa, ancora, il co. 2°,che: “i discendenti possono succedere per
rappresentazione anche se hanno rinunziato all’eredità della persona in luogo
della quale subentrano o sono incapaci o indegni di succedere rispetto a
questa”;
174
Sotto il profilo sociologico preme sottolineare che, per il notaio, la teoria migliore è sempre, suo
malgrado, quella della Corte di Cassazione, perché meglio assicura, nell’interesse proprio e del cliente,
la tutela del prodotto notarile, nelle eventuali sedi giudiziarie.
96
97
-
si discute se possano farsi rientrare, nel silenzio della legge, anche gli
adottati; secondo alcuni ciò sarebbe possibile solo per gli adottati speciali. Per
altri invece vi rientrerebbero anche gli adottati maggiorenni (ordinari). La
critica però è quella normativo- letterale della mancanza del presupposto
soggettivo del grado di parentela.175 Rimovibile, però, per pronunzia della
Corte Costituzionale o de iure condendo.
Infine, per l’art. 469 c.c., “la rappresentazione ha luogo in infinito […]”.
10. DIVIETO DI PATTI SUCCESSORI
Recita l'art. 458 c.c., che "è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della
propria successione. E' del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che
gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi".
La norma sancisce la nullità del patto commissorio, che può essere, seguendo l'ordine
di enunciazione della norma, di tre tipi:
a) istitutivo, "con cui taluno dispone della propria successione";
b) dispositivo, "col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su
una successione non ancora aperta";
c) rinunziativi,"col quale taluno [...] dei diritti che gli possono spettare su una
successione non ancora aperta, [...] rinunzia ai medesimi".
Come scrive la dottrina, "sul piano tecnico- giuridico, il fondamento, […] è dato
dalla inammissibilità di una terza causa di delazione (accanto alla legale e alla
testamentaria), quale sarebbe il contratto".176 Si legge, altrove, che, "se fuor di dubbio
tautologica appare la spiegazione di chi, spesso incomprensibilmente, con riferimento
per l'appunto ai patti successori in generale - ricorre alla «tipicità dei mezzi di
delazione», senz'altro inappagante si rivela l'affermazione, anch'essa frequente, che il
divieto in esame sarebbe rivolto a scongiurare l'insorgere nell'avente causa dell'atto
istitutivo o dispositivo o nel beneficiario dell'atto rinunciativo, del desiderio della
morte del titolare dei diritti posti ad oggetto dell'atto medesimo. [...] Occorre in realtà
ricercare un fondamento diverso per il divieto di ciascun tipo di patto successorio".
175
Cfr. “N.G.C.C”., (1995), II, p. 345.
CAPOZZI, Successioni e donazioni, tomo secondo, Milano, 1983, pag. 28; Cass. 9 luglio 1976, n.
2619.
176
97
98
177
Il problema più grave, per gli interpreti, nel tentativo di salvare, finché è possibile,
la volontà testamentaria, non suscettibile di essere riformulata post mortem, è
stabilire, dinanzi ad un atto dubbio, se si è, oppure no, in presenza di un patto
successorio nullo. La casistica è piuttosto complessa. Come sottolinea la dottrina
citata, “bisogna peraltro osservare che non ogni atto, il quale disponga in concreto di
una futura eredità, è nullo per il divieto dei patti successori [...]”. A titolo
esemplificativo, “Tizio vende a Caio il fondo Tuscolano di Sempronio, con il quale
egli ha già stipulato un contratto preliminare, e Sempronio, magari senza che Tizio se
l'aspetti, muore nominandolo erede".178 Prova, allora, la Corte di Cassazione, a
fornire dei criteri di soluzione, precisando che, "per stabilire se una determinata
pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all'art. 458 c.c., occorre
accertare:
1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di
costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una
successione non ancora aperta;
2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati
dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque
essere compresi nella stessa;
3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria
successione, privandosi, così dello jus poenitendi;
4) se l'acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla
successione stessa;
5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver
luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato". 179
Un vero e proprio prontuario per giudici di merito, avvocati e notai, che si
confrontino con un patto successorio dubbio. Per la dottrina180 "si ritengono valide in
dottrina e in giurisprudenza le donazioni in cui la morte non rientra nel congegno
causale dell'attribuzione, ma funge da termine o da condizione, vale a dire la
donazione con termine iniziale dalla morte del donante (cum moriar) o sotto
177
CACCAVALE C., Commento a Cass., Sez. II, 16 febbraio 1995, n. 1683, in “Not”., fasc. n. 6,
(1995), pag. 552.
178
CAPOZZI, loc.ult.cit.
179
Cass., Sez. II, 16 febbraio 1995, n. 1683, in “Not”., n. 6/1995, pag. 552.
180
CAPOZZI, loc.ult.cit.
98
99
condizione sospensiva della morte del donante (si praemoriar)".181 Parimenti si
discute, in dottrina e in giurisprudenza, circa la configurabilità di un patto
successorio vietato, nelle tipologie di clausole di continuazione, nella società di
persone. Per parte della dottrina, "l'art. 2284, in tema di società semplice (ma
applicabile a tutte le società personali) stabilisce che, salvo contraria disposizione del
contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota
agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli
eredi stessi e questi vi acconsentano”.
182
“Le clausole di continuazione sono,
sostanzialmente, di tre specie:
-
clausole di continuazione facoltativa (gli altri soci sono obbligati, mentre gli
eredi possono o non continuare la società);
-
clausole di continuazione obbligatoria (gli eredi sono obbligati a continuare la
società, ma se non la continuano gli altri soci dovranno contentarsi del
risarcimento del danno); 183
-
c.d. clausole di successione, con cui si stabilisce che l'accettazione
dell'eredità comporti automaticamente l'assunzione della qualità di socio”.
“Queste clausole non costituiscono patti successori perché non hanno natura di atti a
causa di morte, ma piuttosto di convenzioni con effetti immediati, anche se
sospensivamente condizionati alla premorienza dell'uno o dell'altro socio”. “Sono,
ma per ragioni diverse, ritenute nulle le ultime clausole menzionate (le c.d. clausole
successorie) fra l'altro perché non si può imporre ad un soggetto la qualità di socio
illimitatamente responsabile”. “Se, invece, si conviene che i soci superstiti
acquisiscano la quota del socio defunto senza doverne corrispondere il valore agli
eredi (c.d. clausole di concentrazione), si ricade nel divieto dei patti successori, in
quanto, come hanno affermato la dottrina (Bianca) e la giurisprudenza della
Cassazione, si viene ad attribuire inter vivos ai soci superstiti un diritto successorio,
181
vedi Cass. 2619/1976.
CAPOZZI, loc.ult.cit.
183
Si legge in Corte d'Appello Milano 30 marzo 1993, in “Giur. it.”, (1994), I, 2, 352, a favore della
validità della clausola (di continuazione obbligatoria), che "è valida e non viola il divieto di patti
successori la clausola dello statuto di una società in accomandita semplice secondo la quale in caso di
morte di un socio accomandante la società continua con gli eredi di quest'ultimo i quali
automaticamente subentrano come soci accomandanti nella quota del defunto accettandone anche
tacitamente l'eredità".
182
99
100
quale è appunto il diritto di acquisire senza liquidazione la quota del defunto".184 In
dottrina si discute circa la validità dell'atto esecutorio successivo, compiuto dal de
cuius o dall'erede.185 Scrive sull’argomento la dottrina che, "nel divieto dell'art. 458
rientrano, evidentemente, non solo i patti successori c.d. reali (cioè quelli con cui
taluno dispone immediatamente della propria successione o di un'eredità che prevede
di ricevere o rinunzia a quest'ultima), ma anche quelli con cui ci si obbliga a disporre
della propria o dell'altrui successione o a rinunziare ad un'eredità non ancora aperta.
La nullità di questo impegno obbligatorio fa nascere il problema relativo”. Prosegue
proponendo una soluzione interpretativa e cioè affermando che “fra le varie tesi
sembra preferibile quella che riporta il caso nell'ambito dell'errore di diritto: il
testamento, o l'altro atto esecutorio, sarà cioè annullabile per errore di diritto nei
limiti in cui è giuridicamente rilevante questo tipo di errore".186
11. TESTAMENTO
Il testamento, recita l'art. 587 c.c., "è un atto revocabile con il quale taluno dispone,
per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di
esse". E’ atto di ultima volontà per antonomasia. Atto revocabile perché, come
vedremo, la Legge assicura (art. 679 c.c.) "la facoltà di revocare o mutare le
disposizioni testamentarie". Atto con cui taluno "dispone". Come noto, il disporre è
una delle facoltà di cui si compone il diritto di proprietà, cui si rinvia. Ivi si tratta di
disporre per il futuro.187 Si discute se il testamento sia assoggettabile ai principi
propri dell’autonomia contrattuale. La dottrina più autorevole è in senso contrario.
L’autonomia testamentaria appare, infatti, molto più ampia e speciale. Non è
assoggettabile, per esempio, secondo alcuni autori, al giudizio di meritevolezza di
184
In Cass., sez. I, 4 marzo 1993, n. 2632, in “Giust. civ”. (1993); I, 2407 e in “Società”, (1993), 928,
si legge, circa il conferimento mortis causa, non solo della qualità di socio, ma addirittura di quella di
amministratore, che "è invalida la clausola "di continuazione", con la quale i soci di società in
accomandita semplice, nell'atto costitutivo, in deroga all'art. 2284 c.c., prevedano l'automatica
trasmissibilità all'erede del socio accomandatario defunto, di cui non sia certa l'identità, unitamente
alla predetta qualità di socio, anche del munus di amministratore, tenendo conto che tale designazione
in incertam personam coinvolge la stessa struttura societaria, e che la funzione amministrativa,
strettamente strumentale al perseguimento del fine sociale, non può essere affidata ad un soggetto che,
al momento in cui è posto in essere il negozio societario, resti indeterminabile, ovvero sia
individuabile con criteri di indifferenza rispetto alle sorti della società e allo scopo che i soci
intendono raggiungere".
185
Noto come il problema della sorte dell’atto esecutivo di patto successorio nullo.
186
CAPOZZI, loc.ult.cit.
187
I tecnici parlano di "disposizioni testamentarie" con riferimento ai singoli tipi di atti di
disposizione contenuti nel testamento, su cui infra.
100
101
tutela da parte dell’ordinamento, proprio degli atti inter vivos (art. 1322 c.c.). L’unico
limite sarebbe quello dei motivi illeciti. Altri limiti, invece, sono espressamente
previsti dalla Legge: come il divieto di concedere ipoteca per testamento.
12. TESTAMENTI FACTIO ATTIVA E PASSIVA
Per fare testamento bisogna avere la "capacità di disporre per testamento" (artt. 591
c.c.). Lo stesso dicasi "per ricevere per testamento" (artt. 592- 600 c.c.). Quest’ultima
rientra nella più ampia categoria della capacità di succedere ex art. 462 c.c., a sua
volta espressione della più generale capacità giuridica ex art. 1 c.c.: “sono capaci di
succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura della
successione […] Possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata
persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti”.
Dunque possono essere titolari di rapporti successori: il nato; il concepito; il non
concepito figlio di persona vivente (concepturi). Le ultime due costituiscono ipotesi
di capacità giuridica “anticipata”. Si ricostruisce in dottrina tale situazione giuridica
come di “attesa”. Tra le ricostruzioni rinvenibili in dottrina però ve ne sono diverse
altre. Quella di una mera fictio iuris di capacità giuridica. Quella di una condicio
iuris, ricostruita ora come condizione sospensiva, ora come condizione risolutiva.
Infine quella di una fattispecie a formazione progressiva. Circa gli adottivi si ritiene
prevalentemente in dottrina che la norma non possa estendersi analogicamente. Per le
persone giuridiche, cui si rinvia, abrogato l’art. 17 c.c. (autorizzazione governativa),
permane soltanto l’obbligo di accettare col beneficio d’inventario.
12. INDEGNITA’
Ai sensi dell’art. 463 c.c. “è escluso dalla successione come indegno chi […]” si
trovi nelle particolari condizioni espressamente contemplate dalla legge. Si discute se
l’indegnità rientri, quale fatto impeditivo della successione, nella categoria della
incapacità di ricevere per testamento ex art. 462 c.c. ovvero se sia una causa di
esclusione dell’eredità (potest capere sed non potest retinere). Nel primo senso si
richiama l’art. 464 c.c che equipara l’indegno al possessore di mala fede. E l’art. 465
c.c. che prevede la rappresentazione, che si ritiene però operante solo in caso di
incapacità a succedere. Nel secondo senso, invece, è la lettera della Legge. La
rilevanza pratica della questione risiederebbe nei diversi termini previsti dalla Legge
101
102
per la prescrizione (della azione di accertamento dell’indegnità): nel primo caso, di
incapacità di succedere, la sentenza avrebbe natura dichiarativa e l’azione sarebbe
imprescrittibile; nel secondo caso, la sentenza avrebbe carattere costitutivo e dunque
soggetta a prescrizione decennale.
La casistica, in materia, è molto ricca. Si tratta di ipotesi di condotte dal Legislatore
ritenute riprovevoli, poste in essere dall’indegno nei confronti del de cuius e dei suoi
congiunti più stretti. Per tutti, ad esempio, ai sensi del n. 5), è indegno“chi ha
soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata
regolata”. La giurisprudenza precisa che, “affinché determini indegnità a succedere, il
fatto della soppressione o dell’alterazione del testamento ovvero del suo celamento
non deve incidere su un testamento invalido […]”.188 Dalla indegnità può anche
esserci riabilitazione. Ai sensi dell’art. 466 c.c. “quando la persona della cui
successione si tratta ve lo ha espressamente abilitato con atto pubblico o con un
testamento. Tuttavia l’indegno non espressamente abilitato, se è stato contemplato
nel testamento quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, è ammesso a
succedere nei limiti della disposizione testamentaria”. Si discute della natura
giuridica della dichiarazione di riabilitazione, se cioè si tratti di una vera e propria
dichiarazione negoziale o se, invece, di una mera dichiarazione morale. Si discute,
inoltre, della patologia del negozio riabilitativo: se cioè in caso di errore, violenza o
dolo, sia annullabile o nulla.
13. TESTAMENTI SPECIALI
Il testamento può essere ordinario o speciale. Per speciale s'intende ciascuna di quelle
forme da seguire in circostanze particolari (guerra, peste, ecc.): il testamento a bordo
di nave (art. 611 c.c.) o di aeromobile (art. 616 c.c.), il testamento dei militari e
assimilati (art. 617 c.c.), ecc. A questi tipi speciali si contrappongono i testamenti
nelle forme ordinarie (art. 601 c.c.): "il testamento olografo e il testamento per atto di
Notaio". "Il testamento per atto di Notaio - vedremo- è pubblico o segreto".
14. TESTAMENTO OLOGRAFO
Il testamento olografo è quello "scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del
testatore" (art. 602 c.c.). Ciò che contraddistingue questa figura di testamento dunque
188
Cass., 30 maggio 1984, n. 3309, in “Mass. giust. civ”., (1984), fasc. 5.
102
103
è l’autografia, che è assunta dalla Legge quale prova di personalità. Ma ciò non è
sufficiente per la sua validità. La Legge impone che sia "posta alla fine delle
disposizioni" la sottoscrizione. E, anche se non è fatta per nome e cognome, è "valida
quando designa con certezza la persona del testatore". Quanto alla data, la legge
richiede che il testatore riporti giorno, mese ed anno. E ciò per l’importanza che l’ora
riveste in materia successoria, potendo il testatore cambiare idea nel corso della
stessa giornata, modificando, e quindi revocando, il testamento anteriore non
conforme. Non è così semplice per il cittadino comune redigere in proprio un
testamento olografo valido, se non si conosce la norma dell'art. 602 c.c. E infatti la
casistica giurisprudenziale ed accademica è ricca di controversie sulla validità o
meno di un testamento olografo. Tuttavia la stessa Legge non è così severa e
consente la sanatoria. Il testamento olografo, infatti, è nullo, soltanto "quando manca
l'autografia o la sottoscrizione" (art. 606, 1° co., c.c.), "per ogni altro difetto di forma
(art. 606, 2° co.) il testamento può essere annullato su istanza di chiunque vi ha
interesse [...]". Ciò significa che, in questi casi, se nessuno si accorge dell’invalidità
del testamento viziato (per ignoranza, negligenza o quant’altro), dovendo il difetto
essere evidenziato dinanzi al giudice, perché il testamento possa essere dichiarato
invalido, questo, sulla base dell'inerzia protratta per cinque anni, si consolida
divenendo valido a tutti gli effetti. Perché abbiano esecuzione le disposizioni del
testamento olografo è necessaria l’adempimento della pubblicazione (art. 620 c.c.),
che consiste in una serie di formalità, a cura del Notaio, cui il testamento deve essere
presentato dopo la morte del testatore. Il Notaio redige un verbale di pubblicazione
nel quale "descrive lo stato del testamento, ne riproduce il contenuto e fa menzione
della sua apertura, se è stato presentato chiuso con sigillo. Ad esso sono uniti la carta
in cui è scritto il testamento, vidimata in ciascun mezzo foglio dal Notaio e dai
testimoni, e l'estratto dell'atto di morte del testatore [...]"
189
(art. 620, 3° co., c.c.). Il
Notaio, dopo la pubblicazione, comunica l'esistenza del testamento agli eredi e
legatari di cui conosce il domicilio o la residenza (art. 623 c.c.). Copia del verbale in
carta libera deve essere trasmessa alla cancelleria del Tribunale (art. 622 c.c.).
15. TESTAMENTO PER ATTO DI NOTAIO
189
"o copia del provvedimento che ordina l'apertura degli atti di ultima volontà dell'assente o della
sentenza che dichiara la morte presunta".
103
104
Il testamento per atto di Notaio è il testamento per eccellenza, e cioè quello ricevuto
con le forme speciali di Legge. Le formalità richieste sono quelle previste dal codice
civile e dagli artt. 50 e ss. della Legge 16 febbraio 1913, n. 89, sull'ordinamento del
notariato e degli archivi notarili. Tramite la forma si ha prova certa e sicura della
provenienza della volontà dal testatore, della libera determinazione a testare, della
ponderatezza della sua decisione e degli effetti da essa destinati a prodursi. Il
testamento è un atto scritto (non esiste il testamento orale). E’ atto unico e
definitivo.190 Esso è pubblico o segreto (art. 601, 2° co., c.c.).
Il primo tipo di testamento, quello pubblico, è ricevuto dal Notaio "in presenza di due
testimoni" (art. 603, 1° co., c.c.) che “riduce per iscritto” la volontà del testatore. Nel
senso che il testatore dichiara e il Notaio scrive, traducendo in termini giuridici, le
sue dichiarazioni. E’ un’espressione della funzione di adeguamento cui abbiamo fatto
cenno nella prima parte, cui si rinvia. Il Notaio deve poi leggere il testamento così
ricevuto al testatore ed ai testimoni e fare menzione, cioè descrivere, nello stesso
testamento, di avere effettuato tali formalità. (art. 603, 2° co.. c.c.). Il Notaio, appena
gli è nota la morte del testatore, comunica l'esistenza del testamento agli eredi e
legatari di cui conosce il domicilio o la residenza. Copia del verbale di pubblicazione
in carta libera deve essere trasmessa dal Notaio alla cancelleria del Tribunale (art.
622 c.c.).
Il secondo tipo di testamento, quello segreto, è "scritto dal testatore o da un terzo"
(art. 604, 1° co., c.c.), sigillato "con un impronta, in guisa che il testamento non si
possa aprire né estrarre senza rottura o alterazione" (art. 605, 1° co.) e consegnato
personalmente dal testatore, in presenza di due testimoni, al Notaio (art. 605, 2° co.)
che, sullo stesso involto o su uno ulteriore da lui stesso predisposto, redige l'atto di
ricevimento (art. 605, 3° co., c.c.). Questo deve essere sottoscritto dal testatore, dai
testimoni e dallo stesso Notaio. Si tratta quindi di un atto complesso, che richiede
l’intervento di più persone.191 Il testamento segreto mancante dei requisiti suoi propri
vale come testamento olografo, sempre che di quello abbia i requisiti di Legge (art.
607 c.c.). Il testamento "deve essere aperto e pubblicato dal Notaio appena gli
190
Così BONILINI, ricordando che la mancanza di scrittura è l’argomento decisivo con cui si respinge
l’opinione che sia confermabile ex art. 590 c.c. il mero progetto di testamento, anche se esiste qualche
apertura in merito alla c.d. minuta.
191
Si discute se possa redigerlo il cieco. Prevale l’orientamento negativo, salvo alcune voci contrarie,
che l’ammetterebbero. Secondo alcuni infatti i mezzi tecnici (codice Braille) sarebbero oggi
sufficientemente affidabili per garantire la provenienza delle proprie volontà.
104
105
perviene la notizia della morte del testatore" (art. 621 c.c.). Il Notaio, dopo la
pubblicazione, comunica l'esistenza del testamento agli eredi e legatari di cui conosce
il domicilio o la residenza (art. 623 c.c.). Copia del verbale in carta libera deve essere
trasmessa dal Notaio alla cancelleria del Tribunale (art. 622 c.c.).
16. DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE
Con il testamento "taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte
le proprie sostanze o di parte di esse" (art. 587 c.c.). Il contenuto del testamento è, per
la dottrina, un insieme di singole disposizioni di volontà. Queste sono, generalmente,
di carattere patrimoniale. Ma sono ammesse dalla Legge anche disposizioni di
carattere morale.192 Ai sensi dell’art. 587, 2° co., c.c. “le disposizioni di carattere non
patrimoniale che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia,
se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino
disposizioni di carattere patrimoniale”. Queste sono dalla dottrina distinte in non
patrimoniali in senso stretto e non patrimoniali che hanno effetti patrimoniali
attributivi di tipo indiretto, come la riabilitazione dell’indegno.193 Le disposizioni di
carattere patrimoniale, le più numerose e frequenti, sono dalla dottrina distinte in due
categorie: attributive (istituzione di eredi o legati) e non attributive (riconoscimento
del debito). Le disposizioni testamentarie sono, ancora, distinte in disposizioni di
carattere positivo e disposizioni di carattere negativo. Queste ultime si sostanziano in
manifestazioni di volontà di carattere negativo. Si richiamano di solito la
diseredazione e il divieto di alienazione. La cui ammissibilità, com’è noto, è
circondata da molti dubbi in dottrina. In dottrina e in giurisprudenza si discute pure
dell’ammissibilità o meno di una disposizione a contenuto penale (c.d. poenae
nominae), ai sensi di quanto previsto dagli artt. 1382 e ss. c.c. sulla clausola penale in
generale. Tali disposizioni avrebbero lo scopo di indurre i beneficiari delle
disposizioni
testamentarie
ad
un
determinato
comportamento,
ponendo
l’inadempimento come condizione risolutoria.194 Si legge in giurisprudenza che “la
disposizione testamentaria a carattere sanzionatorio (o “poenae nominae”), diretta ad
esercitare una pressione psicologica sul beneficiario al fine di indurlo a compiere, se
192
Si pensi, per esempio, agli istituti di diritto familiare, come il riconoscimento di un figlio naturale.
In tal senso BONILINI.
194
Cass. 28 novembre 1091, n. 6343, in “Arch.civ”., (1982), 376.
193
105
106
vuol conseguire il beneficio, quanto richiestogli dal testatore, ha lo stesso trattamento
della disposizione condizionale, soggetta all’unico limite incidente sulla loro validità
di non essere impossibile o illecita (art. 634 c.c.)”. Prevale, pertanto, l’orientamento
affermativo.195 Ma non mancano voci contrarie alla loro ammissibilità, che
evidenziano
l’unilateralità
del
testamento
a
fronte
della
bilateralità
che
contraddistingue invece il contratto.196 La Corte di Cassazione ha ritenuto valida la
condizione risolutiva a carattere sanzionatorio, invano impugnata, con la quale era
stato fatto divieto ai prelegatari di alienare, a persone diverse dai fratelli coeredi, il
bene loro assegnato a titolo di prelegato.197 In un altro caso ha ritenuto valida la
condizione risolutiva di non promuovere azioni o contestazioni in ordine a
disposizioni a favore di altri coeredi apposta ad un legato in sostituzione di
legittima.198 Parimenti si discute dell’ammissibilità o meno della disposizione
premiale. In ogni caso la singola disposizione deve contenere una duplice
indicazione: la persona beneficiata e la cosa che forma oggetto della disposizione. Se
la persona è erroneamente indicata ma comunque individuabile, la disposizione è
valida; altrimenti essa è nulla (artt. 625, 628 c.c.). 199
17. DISEREDAZIONE
Una questio iuris particolarmente interessante sotto il profilo sociologico, è quella
della ammissibilità o meno della diseredazione, cioè della esclusione, da parte del
testatore, di un soggetto determinato, dalla propria successione. Inutile scendere sui
motivi personali che possono indurre il testatore ad un simile provvedimento, ma è
un dato empirico che il problema si pone nella realtà e, di conseguenza, in letteratura.
Le posizioni in dottrina ed in giurisprudenza sono diverse. Soltanto con riguardo ai
legittimari le posizioni convergono per la non ammissibilità. Con riguardo ai non
legittimari, la giurisprudenza di merito si è espressa (qualche volta) in senso
195
Cass. 18 novembre 1991, n. 12340, in “Mass. giust. civ”., (1991), fasc. 11,
BONILINI riporta l’opinione di MARINI, dalla quale però si allontana rilevando che quando il
Legislatore ha voluto escludere la clausola penale lo ha fatto espressamente, richiamando come
esempio l’art. 79 c.c. sulla promessa di matrimonio. E comunque non revoca nemmeno in dubbio
l’applicabilità delle norme sull’eccessiva onerosità (art. 1384 c.c.).
197
Cass. 9 maggio 1966, n. 1180, in “Giust.civ”.,(1966), I, 1709.
198
Cass. 11 novembre 1972, n. 3564.
199
Il motivo della disposizione è irrilevante a meno che sia illecito, risulti dal testamento e sia il solo
che ha determinato il testatore a disporre (art. 626).
196
106
107
favorevole. La giurisprudenza di legittimità, con la dottrina maggioritaria, si è
espressa (più marcatamente) in senso contrario.200 Questo orientamento prevalente si
basa su tre argomenti:
-
sul tenore letterale dell’art. 587,1° co.,c.c. secondo il quale il testamento è
atto di “disposizione”; e per la giurisprudenza, le altre norme, diverse dall’art.
587, avrebbe natura marginale e accessoria rispetto ad essa;201
-
le cause di esclusione dalla successione sarebbero tassative (indegnità);
-
l’istituzione implicita, che deriverebbe dalla diseredazione, non è poi così
semplice ed automatica come vorrebbe far apparire la dottrina contraria.
Si è posta, poi, un’ulteriore questione: quella della ammissibilità della
rappresentazione del diseredato. La giurisprudenza ha preso una posizione favorevole
sulla base del fatto che l’istituto della rappresentazione è (normativamente) possibile
per l’indegno, che è in una situazione deteriore rispetto al diseredato. Non si vede il
motivo per il quale, quindi, non dovrebbe ammettersi l’istituto con riguardo al
diseredato. 202
18. DISPOSIZIONI A TITOLO UNIVERSALE E A TITOLO PARTICOLARE.
INSTITUTIO EX RE CERTA. DIVISIONE DEL TESTATORE. La Legge distingue
tra disposizioni a titolo universale e disposizioni a titolo particolare (art. 588 c.c.). Le
prime sono quelle che "attribuiscono la qualità di erede se comprendono l'universalità
o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e
attribuiscono la qualità di legatario". Si contrappongono, dunque, due categorie di
destinatari: gli eredi ed i legatari. I primi sono designati per devoluzione
dell’universalità dell’eredità o di quote di beni ereditari. Gli altri sono designati per
devoluzione del singolo bene (c.d. legato su cui infra). La rilevanza pratica della
differenza risiede nel regime normativo. In particolare il legato si perfeziona senza
bisogno di accettazione (art. 649 c.c.). Il legatario non risponde dei debiti ereditari e
può essere onerato solo entro i limiti del lascito (art. 651 c.c.). Ma il confine, in
concreto, è assai sottile. E gli stessi giudici sono spesso costretti a confrontarsi con
200
CAPOZZI, Successioni, cit., p. 132.
L’orientamento contrario sostiene la debolezza di questo argomento testuale, che violerebbe il
principio generale dell’autonomia testamentaria. Purtroppo lo scrivente è proprio per questo
minoritario orientamento, sostenuto, in ogni caso, da autori come TRABUCCHI, BIN, LIPARI e
RESCIGNO
202
Cfr. Cass., 14 dicembre 1996, n. 11195; Cass. 23 novembre 1982, n. 6339.
201
107
108
tale distinzione (vedi infra in materia di legati). Ma, prima ancora, spetta al Notaio,
caso per caso, in sede di riduzione per iscritto delle volontà testamentarie, di stabilire
se il comparente intenda lasciare il bene a titolo di legato o di erede (tant’è che, in
atto, il buon Notaio specifica se il lascito è a titolo di erede o di legato). Né è d'aiuto
il 2° co. dell'art. 588 c.c., a guisa del quale "l'indicazione di beni determinati o di un
complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando
risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio". La
divisio inter liberos sta ad indicare il complesso delle attribuzioni in rebus certis,
direttamente effettuate dal testatore, con efficacia reale, nel senso della
individuazione a monte dei singoli cespiti e dei loro destinatari, in modo da
escludere, quindi, rispetto ad essi, il sorgere della comunione ereditaria.203 L’istituto
della divisio inter liberos di cui all’art. 734 c.c., previsto per consentire all’erede di
dividere i beni nel modo che ritenga più opportuno, al fine di evitare liti successive,
nel rispetto dei diritti dei legittimari, si distinguerebbe da quello previsto dall’art. 733
c.c., che detterebbe regole vincolanti per la futura divisione tra coeredi. La prima
avrebbe natura reale, la seconda obbligatoria.204
19. DISPOSIZIONE FIDUCIARIA
L'ordinamento ammette, in materia successoria, la disposizione fiduciaria (art. 627
c.c.),205 escludendo l'accertamento giudiziario del vero destinatario della disposizione
(1° co.) e negando al fiduciario la ripetizione di quanto spontaneamente trasferito al
beneficiario (2° co.), salvo che questi sia soggetto incapace di ricevere per testamento
(3° co.). La Legge si preoccupa pure delle disposizioni c.d. "a favore dell'anima" (art.
629 c.c.) e delle disposizioni a favore dei poveri (art. 630 c.c.), per assicurarne la
validità.
20. TESTAMENTO IMPOSSIBILE
E’ accaduto ad un Notaio che un padre disponesse in testamento di più di quanto
avesse nel proprio patrimonio. Un caso di testamento impossibile dunque, perché le
203
Così Cass. 28 dicembre 1962, n. 3425, in “Giust.civ”., (1963), I, 1924. Ampiamente, sulla
compatibilità con lo strumento del conguaglio, cfr. Cass. 24 ottobre 1981, in “Riv.Not”., (1982), 135.
204
Cass. 23 giugno 1972, n. 2107, in “Giust.civ”., (1972), I, 1503.
205
La disposizione fatta a favore di persona diversa da quella indicata nel testamento che è solo
incaricata di farle pervenire i beni.
108
109
sue disposizioni non avrebbero potuto trovare applicazione. In questo caso le parti si
sono accordate, sulla traccia del testamento originario, per dividersi il patrimonio
esistente, con un contratto di transazione divisoria. 206
21. CLAUSOLA COMPROMISSORIA
Una figura molto discussa in dottrina è quella dell’arbitrato testamentario. E ciò sia
sotto il profilo della sua ammissibilità, sia sotto quello della sua natura giuridica. Chi
ritiene ammissibile la clausola con la quale si obbliga l’erede a compromettere in
arbitri la soluzione di eventuali controversie che possano discendere dalla vicenda
testamentaria, vi intravede uno strumento utile, spedito e di maggiore riservatezza
rispetto alla giurisdizione ordinaria. La normativa di riferimento, nel silenzio del c.c.,
sarebbe quella di cui al c.p.c. Non sarebbero di ostacolo né la norma dell’art. 549
c.c., né quella degli artt. 641 e 642 c.c. D’altra parte, si argomenta, la rinuncia alla
garanzia giurisdizionale, per la sua rilevanza, non può che essere fatta dall’interessato
e sarebbe viziata ai sensi dell’art. 634 c.c.
207
Le soluzioni prospettate, circa la sua
natura giuridica, sono tre.
-
quella della condizione testamentaria, sia sospensiva che risolutiva, al fine di
rafforzare uno strumento che altrimenti resterebbe debole, derivando da un
atto comunque unilaterale;
-
quella del modus, che si basa sul combinato disposto dagli artt. 647 ult. cpv. e
648 cpv. c.c., e critica la soluzione che vi configura un legato di contratto,
perché presuppone una posizione contrattuale composta di un qualcosa di
vantaggioso, che ivi sembra invece mancare.
22. TESTAMENTO PER RELATIONEM
Si discute, in dottrina e giurisprudenza, sulla possibilità o meno di determinare il
contenuto del testamento non per intero, ma rinviando ad elementi esterni al
testamento. Secondo l’orientamento più ortodosso il testamento è un atto formale e
non sarebbe possibile derogare, in alcun modo, alle prescrizioni di Legge, che
metterebbero in dubbio la provenienza stessa della volontà negoziale dal testatore.208.
206
Così il Notaio R. di Trento, nella cortese intervista del 4 dicembre 2002.
BONILINI cita l’opinione favorevole di COGLIOLO e DE LUCA, alla quale sembra rifarsi, e
quella contraria di MORTARA e REDENTI prima, e di ANDRIOLI poi.
208
Così F. SANTORO PASSARELLI.
207
109
110
Ma sembra prevalere l’orientamento opposto, secondo cui è possibile un rinvio ad
elementi extratestamentari. Ciò perché, solo per alcuni elementi strutturali del
testamento, la forma solenne sarebbe inderogabile. La Corte di Cassazione ha
ammesso, per esempio, nella sentenza del 6 marzo 1992, n. 2708, il lascito di una
somma ricavata dalla vendita di un cespite ereditario. Mentre si nega generalmente il
rinvio ad una planimetria allegata al testamento, perché non formata dal testatore.
Sarebbe ravvisabile una relativo, invece, nella revoca della revoca di un testamento,
malgrado autorevoli opinioni. Si ammette il ricorso alla volontà del terzo, purché
espressa prima della formazione del testamento, o purché rimessa non al mero
arbitrio, ma al suo prudente apprezzamento. Mentre si esclude categoricamente il
rinvio alla volontà futura dello stesso testatore. Si distingue in dottrina tra relatio in
senso formale e relatio in senso sostanziale, la prima rinvenendosi quando il rinvio
all’esterno concerna solo la forma di esternazione di una volontà, già contenuta nel
testamento; la seconda quando è proprio la volontà che viene a ricercarsi in una fonte
esterna al testamento. Differenza revocata in dubbio dalla dottrina dominante e che
sarebbe stata chiamata in causa solo al fine di escludere la rilevanza dell’errore per la
relatio di tipo sostanziale.
23. LEGATI
I legati sono disposizioni a titolo particolare, cioè disposizioni che riguardano il
singolo bene ereditario. Sulla distinzione rispetto alle disposizioni a titolo universale
ex art. 588 c.c. ci siamo già soffermati. Ivi preme evidenziare la particolare disciplina
normativa. Il legatario, infatti, a differenza dell’erede, acquista senza bisogno di
accettazione, salva la possibilità di rinunzia. Egli, inoltre, risponde degli eventuali
debiti ereditari soltanto intra vires, cioè con quello che gli è stato lasciato e con nulla
di più. La Legge contempla diverse ipotesi di legato; ed altre ancora sono nate dal
diritto vivente. Alcune soltanto di queste ipotesi, in questa sede, possiamo
permetterci di analizzare.
Legato di cosa generica. Il legato può avere ad oggetto un bene non individuato
specificamente, purché presente nel patrimonio relitto (art. 653 c.c.). “Lascio, a titolo
di legato, a mia nipote Clara, quella delle mie autovetture che si troveranno nel mio
patrimonio e che ella vorrà scegliersi”. Legato con facoltà di vendita per il caso di
bisogno. E’ il lascito del godimento di un bene, in proprietà, usufrutto, uso, con la
110
111
facoltà di venderlo (lucrandone il ricavato), nel caso che il beneficiario versi in stato
di bisogno. “Lascio, a titolo di legato, a Mevia, il diritto di utilizzare la mia casa in
Asiago, via _____ n. ___. Tuttavia le lascio lo stesso bene, a titolo di legato, in
proprietà, con facoltà cioè, laddove ne avesse necessità, il che sarà giudicato da
Sempronio, di venderla, facendone proprio il ricavato”. Questo legato è ricostruito in
giurisprudenza in modo complesso: si tratterebbe di un duplice legato. Uno
attributivo della diritto di godere del bene, risolutivamente condizionato allo stato di
bisogno, momento in cui avrebbe, invece, efficacia l’altro e diverso legato,
attributivo del diritto di proprietà, sospensivamente condizionato, sulla somma
ricavata dalla vendita, una volta accertato lo stato di bisogno. La giurisprudenza ha
chiarito che, data la sua importanza, lo stato di bisogno deve essere accertato in modo
obiettivo, da persona diversa dal beneficiario. Legato di contratto. E’ quel legato che
ha ad oggetto un’intera posizione contrattuale, cioè un fascio di diritti e obblighi,
derivanti da un contratto preesistente, stipulato dal de cuius. Superata in
giurisprudenza la questione della sua ammissibilità, si pone il diverso problema per il
legatario, di liberarsi eventualmente di quel lascito che non gli sia gradito, non
essendo affatto scontato che, a fronte di un arricchimento a titolo gratuito, il legatario
voglia obbligarsi contrattualmente. In questo contesto può inserirsi il legato di quote
sociali, cioè il legato avente per oggetto una partecipazione sociale “lascio, a titolo di
legato, al rag. Primo, la quota di partecipazione di cui sono titolare nella “Luna s.n.c.
di Tizio & C. s.n.c.”, con sede in _____, via _____, n. ___”. Legato di rendita
vitalizia. Il legato di rendita vitalizia ha ad oggetto una rendita tipica, la cui fonte
generatrice è però il testamento. Ma, al di là di questa particolarità, espressamente
contemplata dalla Legge, essa opera esattamente come nel caso di rendita
contrattuale. “Costituisco, a favore di mio nipote Mario, la rendita perpetua di € 1000
(mille euro) che gli sarà corrisposta mensilmente dai miei eredi”. Legato di alimenti o
di mantenimento. E’ il legato avente ad oggetto la somministrazione di quanto
necessario per il sostentamento materiale del beneficiario. Esso grava, in mancanza
di diversa disposizione del testatore, sull’eredità e, quindi, sull’erede a titolo
universale. Legato in sostituzione e legato in conto di legittima. L’istituto ha lo scopo
di consentire al testatore di soddisfare le ragioni del legittimario senza chiamarlo
all’eredità, essendo poi rimesso al legittimario scegliere tra il legato e la legittima. In
un testamento, impugnato, il padre attribuiva l’usufrutto generale dei beni immobili
111
112
alla moglie e, lei morta, la proprietà doveva riespandersi in capo ai tre figli, in modo
però che alle due figlie femmine la quota di terreno fosse soddisfatta dal figlio
maschio in danaro, sicché quest’ultimo potesse conseguire l’intero fondo.209 Si
distingue dal legato in conto di legittima perché, in quest’ultimo caso, l’attribuzione è
calcolata entro la legittima, con diritto alla parte di legittima residuale e non invece al
posto della legittima, con esclusione dalla comunione e dalla divisione ereditaria.210
24. GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DELLA VOLONTA’ TESTAMENTARIA
(CONDIZIONE, TERMINE, MODUS).
Le disposizioni testamentarie sono suscettibili di ricevere l’apposizione di
condizione, termine e modus. L’istituto della condizione consente di raggiungere
effetti particolari che l’attribuzione mera e diretta non riuscirebbe a raggiungere. E’
una manifestazione di autonomia privata. Essa consiste nel subordinare gli effetti di
una certa disposizione testamentaria ad un evento futuro e incerto. In dottrina si
contrappongono due ricostruzioni strutturali dell’istituto, la cui rilevanza sorge con
riguardo all’art. 634 c.c. Quella tradizionale vede nell’istituto un’unica volontà
qualificata dalla condizione. Altri, invece, vi intravedono una volontà complessa,
composta da quella meramente attributiva e dalla clausola condizionale, che verrebbe
perciò ad avere una autonomia sua propria.211 E’ammessa l'apposizione di una
condizione sospensiva o risolutiva: che cioè sospenda l'attribuzione fino al verificarsi
dell'evento dedotto in condizione (istituisco erede Tizio sempre che si laurei) o la
risolva al suo verificarsi (istituisco erede Caio sempre che non divorzi da Caia). Le
condizioni testamentarie sono, oltre che sospensive e risolutive, classificate in
potestative, miste e casuali, a seconda che dipendano dal comportamento umano,
totalmente, come le prime, rimesse alla mera volontà della persona, o dal caso. Per la
giurisprudenza l’esistenza di una condizione, sospensiva o risolutiva, non
necessariamente deve individuarsi espressamente nel testamento. Essa può anche
dedursi, implicitamente, dal tenore del testamento. In un caso una signora, durante la
seconda guerra mondiale, aveva scritto una lettera alla sorella recante delle
disposizioni testamentarie, per il caso che lei stessa, il marito ed il figlio fossero
209
Cass. 5 gennaio 1967, n. 44, in “Giust.civ”., (1967), I, 717.
Cass. 15 novembre 1982, n. 6098, in “Giust. civ.”, (1983), I, 49.
211
La ricostruzione è di GIORGIANNI.
210
112
113
morti; queste erano state considerate dal giudice, sulla base del tenore della lettera,
risolutivamente condizionate alla loro sopravvivenza.212 Per l’art. 634 c.c. “si
considerano non apposte le condizioni impossibili e quelle contrarie a norme
imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, salvo quanto è stabilito dall’art.
626”. La norma conterrebbe una sanzione mite rispetto a quella della nullità
dell’intero testamento, per salvaguardare la volontà testamentaria (c.d. favor
testamenti), creando uno spazio di fictio iuris ovvero ope legis una volontà altrimenti
viziata.213 Istituisco erede Tizio a condizione che non sposi Caia. Tale è una
disposizione condizionata illecita per il disposto dell'art. 636 (divieto di nozze)214. Un
padre aveva apposto al testamento la condizione che il figlio contraesse matrimonio
“con una onorata fanciulla” e che lasciasse una determinata donna con cui
intratteneva una relazione ormai quindicennale. E il giudice l’ha considerata valida
perché la libertà sessuale in tal caso non era compressa o soppressa, ma soltanto
indirizzata verso fini meno riprovevoli.215 Ricadde sotto la declaratoria di nullità
quella disposizione testamentaria subordinata all’aggiunta del cognome del testatore
a quello dell’istituito, entro un determinato termine dall’apertura della successione,
sanzionata con la devoluzione, in caso di inadempimento, a favore dello Stato,
perché l’avveramento della condizione dipendeva dall’attività discrezionale del
secondo chiamato.216 Mentre, per la giurisprudenza, si deve valutare se nel caso
concreto costituisca coartazione o semplice incoraggiamento alla volontà preesistente
dell’istituito, la condizione che subordini il lascito all’esercizio di una determinata
professione, come quella medica, per stabilire se la condizione stessa possa
ammettersi oppure no.217 La condizione risolutiva si sine liberis decesserit, escluso
che costituisca un fedecommesso vietato dall’art. 692 c.c., è ritenuta valida quando
apposta ad una disposizione testamentaria della nonna che attribuisce propri beni ai
due nipoti che avessero figli maschi.218 Il termine dal quale deve cominciare ad avere
effetto o deve cessare di avere effetto, apposto ad una disposizione a carattere
212
Cass. 29 agosto 1992, n. 10008.
In tal senso Cass. 26 giugno 1973, n. 1834, in “Giust.civ”., (1973), I, 1689.
214
Parimenti nulla è l'istituzione di erede a condizione di essere istituito erede dal beneficiato (art.
635, c.d. condizione di reciprocità).
215
Cass. 6 agosto 1953, n. 2672, in “Giust.civ”., (1953), 2669.
216
Cass. 29 marzo 1982, n. 1928, in “Foro it”., (1982), I, 1916.
217
Cass. 18 marzo 1993, n. 3196 in “Giust.civ”., (1993), I, 1807.
218
Cass. 20 luglio 1962, n. 1955, in “Giust.civ”., (1963), I, 856.
213
113
114
universale, si considera come non apposto (art. 637). Dell’onere si dice generalmente
che rientri tra gli elementi accidentali del testamento, accessori. Ma questa
affermazione è oggi revocata in dubbio dalla dottrina. All’orientamento tradizionale
infatti si è contrapposta la tesi dell’autonomia negoziale dell’onere testamentario. Il
modus o onere testamentario, per la giurisprudenza, si distingue dalla condizione
sospensiva, perché non sospende l’efficacia della disposizione cui è apposta; nonché
dalla condizione risolutiva, perché a differenza di quella, l’inadempimento produce
effetti risolutivi ex nunc e non ex tunc e, ancora, soltanto dopo sentenza costitutiva e
mai comunque ope legis.219 L’onere si distingue dal legato sotto diversi profili. La
dottrina sull’argomento è divisa. In linea di massima l’onere è un elemento
accessorio del testamento mentre il legato ne costituisce una vera e propria
attribuzione testamentaria. Il legato ha efficacia reale, mentre l’onere ha efficacia
obbligatoria. L’onere si distingue pure dal mandato post mortem. L’onere si distingue
dalla sostituzione fedecommissoria. In quest’ultima, infatti, la sostituzione si realizza
tra soggetti aventi causa dal testatore. Nell’onere, invece, il terzo beneficiario è
avente causa dall’onerato. 220
27. NULLITA’ DEL TESTAMENTO E VOLONTARIA ESECUZIONE DI
DISPOSIZIONI NULLE. Il testamento per atto di Notaio è nullo quando "manca la
redazione per iscritto da parte del Notaio, delle dichiarazioni del testatore o la
sottoscrizione dell'uno o dell'altro" (art. 606, 1° co.). Per ogni altro difetto di forma il
testamento, anche qui, è impugnabile dinanzi al giudice, per ottenerne l'annullamento
(art. 606, 2° co., c.c.).
28. COLLAZIONE
Nozione. Per la dottrina "la collazione [...] consiste nel conferimento, reale o fittizio
[…] di beni o di valori, alla massa ereditaria oggetto di divisione tra determinate
categorie di coeredi, di quanto da ciascuno di essi ricevuto a titolo di liberalità dal de
cuius".221 Ai sensi dell'art. 737 , 1° co., c.c. rubricato "Soggetti tenuti alla collazione",
"i figli legittimi e naturali e i loro discendenti legittimi e naturali ed il coniuge che
219
Cass. 11 giugno 1975, n. 2306, in “Giust.civ”., (1975), I, 1417.
Cass. 11 giugno 1975, cit.
221
IEVA, Manuale di tecnica testamentaria, Padova, 1996, pag. 146.
220
114
115
concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto
dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li
abbia da ciò dispensati. [...]". Rileva ancora la dottrina,222 che "ad una lettura
superficiale dell'art. 737 sembrerebbero tutti i coeredi, ma è stata esattamente rilevata
la necessità di interpretare la norma restrittivamente in maniera tale che soltanto i
coeredi appartenenti alle citate categorie possano conseguire il vantaggio derivante
dall'aumento di beni o di valore oggetto della divisione restandone altresì esclusi
eventuali coeredi testamentari che non appartenendo alle citate categorie non siano
gravati da analogo obbligo". Continua l’autore: "dispute accesissime hanno diviso la
dottrina che si è occupata del fondamento di tale istituto identificandolo di volta in
volta nel principio della comunione patrimoniale familiare,223 nella tutela di un
superiore interesse collettivo della famiglia,224 nel rispetto della volontà presunta del
de cuius,225 nel principio di uguaglianza tra i discendenti226 nell'idea che la donazione
al discendente sia fatta come anticipazione dell'eredità,227 nel fenomeno oggettivo di
una forza attrattiva esercitata dalla successione mortis causa a titolo universale che
prescinde da una rispondenza ad una sia pure solo ipotetica volontà normale del
disponente”.228 Per la dottrina insomma
229
"il fondamento della collazione è nella
presunzione che l'ereditando non abbia inteso alterare (salva espressa dispensa) con
le donazioni fatte in vita il trattamento spettante ai discendenti a seguito dell'apertura
della successione230. Scopo della collazione è l'esigenza di rimuovere situazioni di
disparità tra coeredi [...]" . Ai sensi dell’art. 746 “la collazione di un bene immobile
si fa col rendere il bene in natura o con imputarne il valore alla propria porzione, a
scelta di chi conferisce”. Ai sensi del successivo art. 747 – collazione per
imputazione – questa si fa “avuto riguardo al valore dell’immobile al tempo della
aperta successione”.
222
IEVA, loc.ult.cit.
L’autore richiama COVIELLO N., Successioni, 1932, p. 427 e ss.
224
CICU A., Successioni per causa di morte, Parte generale, Divisione ereditaria, in Tratt. CICUMESSINEO, Milano, 1958.
225
AZZARITI- MARTINEZ- AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1979,
pag. 652.
226
DEGNI, voce Impugnazione e collazione, in “Noviss.D.I”., p. 900.
227
FORCHIELLI, Della divisione, in Comm. Scialoja- Branca, 1978, pag. 236.
228
Così A. BURDESE, La divisione ereditaria, in Tratt. Vassalli, Torino, 1980, pag. 272, V.
CASULLI, voce Collazione delle donazioni, in “Noviss.D.I”., pag. 457.
229
CENDON, Comm. Codice Civile, Della collazione, Torino, 1988, pag. 911.
230
Cass. 6.6.69, n. 1988, “FI”, (1969), I, 3147- Cass. 16.7.69, n. 2633, “FI”,(1970), I, 264.
223
115
116
28. DONAZIONI
Il contratto di donazione è quel contratto con cui un soggetto, per spirito di liberalità,
dona un bene del proprio patrimonio ad un altro soggetto che, di grato animo, accetta,
consentendo che il bene transiti nel proprio patrimonio, senza alcun corrispettivo, a
titolo gratuito. La donazione è il negozio a titolo gratuito per eccellenza. Ma proprio
per questo l’ordinamento guarda a questo istituto con un po’ di sfavore, creando pesi
e contrappesi al realizzarsi dell’effetto negoziale. “La donazione è regolata dagli artt.
769 ss., immediatamente di seguito quindi alle norme sulla divisione ereditaria,
perché con la donazione si opera una liberalità per molti versi da considerarsi alla
stregua di una attribuzione mortis causa anticipata. Ciò spiega l’analogia di
disciplina (ad es. artt. 771, 775, 778, 779, 784, 786- 788, 793- 795)”.231 Il donante
deve avere la capacità d’agire piena ed incondizionata. Pertanto non può donare il
minore, né l’emancipato, anche se autorizzato all’esercizio d’impresa, l’inabilitato,
con l’eccezione delle donazioni in sede di convenzioni matrimoniali (art. 774 c.c.). Il
donatario invece può essere persino un nascituro anche non ancora concepito (art.
786 c.c.). “Il donante può riservare l’usufrutto a proprio vantaggio e, dopo la propria
morte o trascorso un dato periodo, a vantaggio di altra persona o anche di più
persone, ma congiuntamente e non già successivamente (in analogia con il disposto
dell’art. 698) (art. 796) ed in pari quote, con eventuale clausola di accrescimento”.232
La donazione è negozio ad effetti reali. Può configurarsi, secondo la dottrina, anche
una donazione obbligatoria. “Si discute se sia ammissibile la donazione meramente
liberatoria: essa in realtà si risolve in una rinunzia o remissione, che può ben
sorreggersi sull’intento liberale.” 233 “Si discute tuttavia in dottrina se sia ammissibile
la donazione obbligatoria avente ad oggetto l’obbligo di produrre la cosa o di
acquistarla dal terzo proprietario per poi trasferirla al donante”.
234
La donazione è
negozio solenne che richiede l’atto pubblico, ricevuto dal Notaio in presenza di due
testimoni, con specificazione del valore, se avente per oggetto cose mobili. Non
richiedono l’atto pubblico le donazioni di modico valore (art. 783 c.c.)235, purché vi
sia stata la tradizione, né le donazioni indirette (art. 809 c.c.), cioè le c.d. liberalità
231
GAZZONI, Manuale di diritto privato, VII ed., Napoli, 1998, p. 513.
GAZZONI, Manuale, cit., p. 514.
233
GAZZONI, cit., p. 514.
234
GAZZONI, cit., p. 515.
235
“La modicità deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante” (783,
2° co., c.c.).
232
116
117
atipiche. Queste sono “assoggettate alla disciplina del tipo di atto utilizzato, salvo per
quanto riguarda la riduzione in sede di reintegrazione della quota di riserva, la
revocazione (art. 809) e la collazione (art. 737). Non dunque, come detto, la
forma”.236 Si discute, però, in alcuni casi, se ricorra o meno una donazione diretta o
indiretta: come nel caso del contratto in favore di terzo.
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236
GAZZONI, cit., p. 518.
117
118
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TREVES, Sociologia del diritto- Origini, ricerche, problemi, 1996, Torino.
118
119
CAPITOLO SETTIMO
IL NOTAIO E LA VOLONTARIA GIURISDIZIONE
1. Nozione. 2. Ambito della volontaria giurisdizione. 3. Amministrazione di
patrimoni. 4. Atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. 5. Potestà dei
genitori. 6. Autorizzazione del giudice tutelare. 7. Rapporti tra l’art. 320 c.c. e
l’art. 747 c.p.c. 8. Esercizio di impresa commerciale da parte di minore. 9.
Curatore speciale. 10. Usufrutto legale dei genitori sui beni dei figli minori. 11.
Eredità devolute a minori o interdetti. 13. Regime dell’art. 489 c.c. 14.
Emancipazione e inabilitazione. 15. Eredità devolute a minori emancipati o a
inabilitati. 16. Minore commerciante autorizzato. 17. Tutela dei minori e degli
interdetti.
***
1. NOZIONE
119
120
Il concetto stesso di volontaria giurisdizione è già oggetto di dibattito dottrinale e
giurisprudenziale.237 In linea di massima possiamo dire che essa si caratterizza per il
ricorso all’attività degli organi giurisdizionali ma senza interessarne il potere
giurisdizionale in senso proprio, ma piuttosto l’esercizio di attività latu sensu
amministrative.
La dottrina individua i caratteri degli atti di volontaria giurisdizione: a) mancanza
del contenzioso; non vi sono attori e convenuti, ma solo il ricorrente, cui possono
affiancarsi, semmai, dei controinteressati; b) mancanza di coazione; c) insussistenza
del passaggio in giudicato; revocabilità; inapplicabilità del ne bis in idem. 238
L’importanza della materia deriva dal carattere strumentale rispetto agli uffici del
Notaio. Egli, infatti, “è uno dei soggetti legittimati a presentare ricorsi di volontaria
giurisdizione e, quindi, a mettere in moto un procedimento di volontaria
giurisdizione”.239 Ai sensi dell’art. 1 L. Not., infatti, “ai notai è concessa anche la
facoltà di sottoscrivere e presentare ricorsi relativi agli affari di volontaria
giurisdizione riguardanti le stipulazioni a ciascuno di essi affidate dalle parti”. “[…]
Una funzione di assistenza legale molto vicina al patrocinio legale di cui all’art. 82
c.p.c.”.240 Circa la competenza territoriale del Notaio, la miglior dottrina è nel senso
che il ricorso deve essere redatto nel distretto di competenza, ma può essere inviato
avanti a qualsiasi Autorità giudiziaria,241 piuttosto che l’altro orientamento, che
vorrebbe circoscritta al distretto qualsiasi funzione, anche quella di volontaria
giurisdizione.
2. AMBITO DELLA VOLONTARIA GIURISDIZIONE
I settori più importanti della volontaria giurisdizione, nel cui ambito è chiamato ad
operare il Notaio, sono, per citarne alcuni, quello dell’amministrazione di beni e
patrimoni, quello dei minori soggetti alla potestà dei genitori,242 quello della tutela e
della curatela, quello degli interdetti e degli inabilitati, quello delle vendite di beni
ereditari e diversi altri. Occorre precisare che, ai fini del diritto internazionale
237
MICHELI, Significato e limiti della giurisdizione volontaria, in «Riv. dir. proc. civ.», (1957), p.
526.
238
SANTARCANGELO G., La volontaria giurisdizione, I, Milano, 2003.
239
SANTARCANGELO G., cit., p. 43.
240
SANTARCANGELO G., cit., p. 44.
241
MAZZACANE, La giurisdizione volontaria nell’attività notarile, Roma, 1980, p. 20.
242
FERRARA Sen., Diritto delle persone e di famiglia, Napoli, 1941.
120
121
privato, ai sensi dell’art. 9 della Legge 31 maggio 1995, n. 218, “in materia di
volontaria giurisdizione, la giurisdizione sussiste, oltre che nei casi specificamente
contemplati dalla presente legge e in quelli in cui è prevista la competenza per
territorio di un giudice italiano, quando il provvedimento richiesto concerne un
cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o
rapporti ai quali è applicabile la legge italiana”. Uno dei casi specificamente previsti
dalla Legge citata è quello dell’art. 42, sulla protezione dei minori, che rinvia alla
Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva con la Legge 24 ottobre
1980, n. 742. L’art. 36 prevede che “i rapporti personali e patrimoniali tra genitori e
figli, compresa la potestà dei genitori, sono regolati dalla legge nazionale del figlio”.
3. AMMINISTRAZIONE DI PATRIMONI
Gli atti di amministrazione consistono nella “attività di buon governo di un
patrimonio, diretta alla conservazione dell’integrità e dell’efficienza produttiva dei
beni che lo compongono, avuto riguardo alla loro consistenza economica
complessiva, anziché all’entità numerica e qualitativa”.243 Si riferisce, la dottrina, alle
“varie ipotesi legislative di amministrazione controllata di un patrimonio”, distinte in
alcune grandi categorie, in relazione alla ratio a ciascuna sottesa. Fra queste, per
esempio: la curatela dello scomparso (art. 48 c.c.); l’amministrazione dei beni del
figlio da parte dei genitori o dei beni del minore o dell’interdetto da parte del tutore;
l’amministrazione del curatore speciale ex art. 356 c.c.; la curatela dell’eredità
giacente; l’istituzione di erede sotto condizione sospensiva (art. 642 c.c.) o di
nascituri (art. 643 c.c.); l’amministrazione dell’esecutore testamentario (art. 703 c.c.);
l’amministrazione dei beni dell’emancipato e dell’inabilitato (artt. 394, 397 e 424
c.c.); l’amministrazione dell’immesso nel possesso temporaneo dei beni dell’assente
(artt. 52 e ss.), del chiamato all’eredità prima dell’accettazione (art. 460 c.c.),
dell’erede che ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario (art. 486 ss. c.c.),
dell’istituito sotto condizione risolutiva (art. 639 c.c.), dell’istituito fedecommissorio
(art. 693 c.c.); l’amministrazione di beni in comunione, quella dell’art. 1105 c.c. e
quella del condominio degli edifici ex artt. 1129 e ss; l’amministrazione dei beni dei
coniugi (artt. 184 ss. c.c.) o del patrimonio di una società di capitali (art. 2409 c.c.).
243
JANNUZZI A., Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1995, p. 255
121
122
4. ATTI DI ORDINARIA E DI STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE 244
Questione preliminare della volontaria giurisdizione è stabilire un criterio distintivo
tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione. Secondo un primo
orientamento giurisprudenziale, la distinzione dipenderebbe dalla minore o maggiore
incisività dell’atto sul patrimonio amministrato, secondo un criterio di merito di
natura quantitativo- economica.245 Secondo un altro orientamento, rileverebbe
l’aspetto della mera conservazione o della trasformazione del patrimonio.246 Un
indice verrebbe individuato, in ogni caso, nella casistica, ritenuta soltanto
esemplificativa, dettata da alcune norme, come l’art. 320 c.c.. Ciononostante il
problema della valutazione di un atto, come dell’uno o dell’altro tipo e, quindi,
dell’applicazione del relativo regime giuridico, permane con riguardo a diverse
fattispecie.247 Ma qualche autore ha revocato in dubbio la stessa necessità di
enucleare un criterio legislativo di distinzione, che non sussisterebbe, dovendosi
soltanto rilevare dalla Legge quando un atto debba essere autorizzato dal giudice e
quando, invece, possa essere compiuto in forma libera.248 Sicché sarebbero, ex artt.
320, 375 e 394 c.c., atti di straordinaria amministrazione quelli che richiedono
un’autorizzazione, di ordinaria amministrazione quelli per cui non è richiesta.249
5. POTESTA’ DEI GENITORI
La potestà dei genitori sui figli legittimi è un potere attribuito ope legis al genitore
legittimo, naturale ed adottivo in virtù del rapporto di famiglia costituito con i minori
non emancipati; ovvero una funzione o un officium, di cui sono titolari entrambi i
genitori e destinatari i figli, avente per contenuto la cura della persona, la
rappresentanza negli atti civili del minore e l’amministrazione dei suoi beni. Titolari
della potestà sono entrambi i genitori. Presupposto dell’esercizio comune è l’accordo
tra i genitori (art. 316, 2° co., c.c.).250 La potestà dei genitori si sostanzia in tre
244
FERRARA A., Amministrazione (atti di), in «Nuovo Dig. It. », I, 393.
Cass., 13 novembre 1957, n. 4375, in «Rep. Foro. It.».,(1957), voce Minore d’età agli effetti civili,
c. 1648, n. 24.
246
Cass., 10 agosto 1966, n. 2173, in Rep. Foro. It., 1966, voce Minore d’età agli effetti civili, c.
1758, n. 9- 10; Cass. 30 gennaio 1982, n. 599, in Giust. civ., 1982, II, 2147.
247
Così, per esempio, per il negozio di transazione. Per la necessità dell’autorizzazione, per esempio,
PUGLIATTI, La transazione, p. 466.
248
BERGAMINI, Alcuni rilievi sulla tutela patrimoniale del minore, in Dir. fam., 1975, 972, n. 2.
249
Così JANNUZZI, loc. ult. cit., p. 266.
250
Ma il Notaio deve fare attenzione perché l’esercizio della potestà può essere esclusivo di un
genitore. Infatti ciascuno dei genitori, in caso di disaccordo, può presentare un ricorso al tribunale per
245
122
123
attribuzioni: a) cura della persona del minore intesa come mantenimento, istruzione,
educazione (artt 30 Cost. e 147 c.c.); b) rappresentanza e amministrazione; c)
usufrutto legale. Sul piano sociologico, la potestà riveste notevole importanza. Le
problematiche ad essa sottese, vengono esaltate però più in sede di contenzioso
(separazione e divorzio) tra i coniugi genitori che non dinanzi al Notaio. La
Legislazione che ha consentito il divorzio è piuttosto recente e la giurisprudenza ha
ormai trovato assetti stabili in una materia ricca di tensioni. L’importanza dell’istituto
viene in considerazione sotto il profilo dell’organizzazione giudiziaria: una Sezione
ad hoc presso i Tribunali si occupa precipuamente dei minorenni, soggetti a potestà o
tutela. Circostanza questa sintomatica dell’importanza dedicata dal Legislatore ai
minori. Poiché il figlio minore è incapace di agire, la Legge attribuisce ai genitori la
sua rappresentanza, in tutti gli atti civili e l’amministrazione dei suoi beni. Ai sensi
dell’art. 320 c.c., infatti, “i genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in
via esclusiva la potestà,251 rappresentano i figli nati e nascituri 252 in tutti gli atti civili
253
e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti
con i quali si concedono o di acquistano diritti personali di godimento, possono
essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore. Si applicano, in caso di
disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell’art.
316”. Si tratta di rappresentanza legale, che attribuisce un vero e proprio potere
sostitutivo, e si estende anche ai diritti di natura personale (con la sola eccezione di
i minori del luogo di residenza del minore (artt. 316, 3° co., e 38, 1° co., disp. att.) tendente a stabilire
chi dei due debba esercitare la potestà nel caso concreto. Avverso il provvedimento è concesso
reclamo alla corte d’appello dei minori nei modi e termini di cui all’art. 739 c.p.c. Inoltre la potestà è
esercitata in modo esclusivo ipso iure in caso di impedimento di uno dei genitori (art. 317 c.c.) per
lontananza o per incapacità o altro impedimento. L’impedimento, per la dottrina, deve avere natura
oggettiva. La potestà, in caso di separazione, scioglimento, di annullamento o di cessazione degli
effetti civili del matrimonio è esercitata di diritto – in modo esclusivo – dal coniuge cui sono affidati i
figli (artt 317, 2° co., 155 c.c.). Le decisioni di maggiore rilevanza sono adottate però da entrambi i
coniugi. La disciplina, secondo la dottrina, può estendersi al caso non menzionato della separazione
consensuale. In caso di disaccordo sulle decisioni più importanti si applica l’art. 155, 3° co., laddove è
previsto il ricorso al tribunale ordinario.
251
Nella prassi i terzi, nel dubbio sulla legittimazione del singolo genitore e per ovviare al pericolo di
annullamento dell’atto, esigono la presenza di entrambi i genitori. Si discute se sia delegabile la
potestà dei genitori, in tutto o in parte. In senso affermativo Cass., 10 luglio 1945, n. 537, in Rep.
Foro. It., 1943- 1945, voce Minore d’età agli effetti civili, c. 1055, n. 4 e FINOCCHIARO A.e M.,
Riforma, II, 2, p. 154. In senso negativo, oggi prevalente, dottrina e giurisprudenza maggioritaria
252
Si discute se nel termine “nascituri” rientrino anche quelli non ancora concepiti. In senso
affermativo l’orientamento dominante. In tal senso Cass., 8 settembre 1952, n. 2864, in Rep. Foro it.,
1963, voce patria potestà, n. 20.
253
Si discute se il precetto riguardi i soli atti patrimoniali o anche quelli di natura personale. In
quest’ultimo senso l’orientamento prevalente.
123
124
quelli personalissimi). Ma, a parte queste connotazioni, per il resto si atteggia al pari
della rappresentanza volontaria: identici sono gli effetti e le conseguenze in caso di
abuso, eccesso, di difetto di potere.254 Il potere di amministrazione si sostanzia
nell’esercizio di tutti gli atti necessari per la gestione ordinaria e straordinaria del
patrimonio. E’ un potere- dovere sottoposto al controllo giudiziale garantito con
l’applicazione di sanzioni (artt. 330 e 334 c.c.). Oggetto di tale potere sono tutti i
beni pervenuti al figlio, a qualsiasi titolo, tranne i beni donati o lasciati al figlio
minore per l’amministrazione dei quali sia nominato un curatore speciale ex art. 356
c.c. ed i beni pervenuti al figlio in luogo del genitore indegno (art. 475 c.c.).
6. AUTORIZZAZIONE DEL GIUDICE TUTELARE
Ai sensi del 2° co. dell’art. 320 c.c., “i genitori non possono alienare, ipotecare o
dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte,
accettare o rinunziare ad eredità o legati, accettare donazioni, procedere allo
scioglimento di comunioni, contrarre mutui o locazioni ultranovennali o compiere
altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione né promuovere, transigere o
compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità
evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare. I capitali non possono
essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne determina
l’impiego”. Evidente la ratio della norma: quella di assicurare il controllo da parte
del Giudice, nell’interesse dell’incapace. Sul piano sociologico si tratta di una forma
surrettizia di tutela del figlio minore, in circostanze ove la scelta dei genitori è
ritenuta dal Legislatore insufficiente a proteggere gli interessi patrimoniali dei
minori. Lo Stato (il Giudice) viene prima ancora del genitore. Questo è sintomatico
di un altro dato socio-giuridico: la tutela del patrimonio del minore costituisce
interesse superiore della collettività. Per quanto riguarda l’acquisto di legati, per
esempio, secondo l’art. 649 c.c., essi non avrebbero bisogno di accettazione e
dovrebbero, quindi, acquistarsi ipso iure; ma, per il dettato dell’art. 320 c.c., si ritiene
che la norma sia derogata dalle maggiori ragioni di tutela del minore, con il risultato
254
L’abuso di potere, che si configura quando, ricorrendo un conflitto di interessi tra rappresentante e
rappresentato, non venga nominato un curatore speciale, implica, anche qui come nella rappresentanza
volontaria (art. 1394 c.c.), l’annullabilità dell’atto; l’eccesso di potere comporta, anche qui, la nullità
(art. 777) o l’inefficacia o l’inopponibilità, a seconda dell’orientamento che si accoglie, proprio come
nella rappresentanza volontaria (artt. 1398, 1399); il difetto di potere, cioè l’atto compiuto da chi non
è rappresentante, comporta l’inefficacia dell’atto, come nella rappresentanza volontaria.
124
125
che il legato si acquista soltanto soddisfatta la condicio iuris dell’autorizzazione del
giudice tutelare.255 Contro il provvedimento negativo del Giudice tutelare, il legale
rappresentante può proporre reclamo al Tribunale (artt. 739 c.p.c. e 45 disp. att. c.c.).
7. RAPPORTI TRA L’ART. 320 C.C. E L’ART. 747 C.P.C.
Quando si tratta di beni pervenuti al figlio per causa di morte, la norma dell’art. 320
c.c. sembrerebbe collidere con quella dell’art. 747, 2° co., c.p.c. che prevede, per la
vendita dei beni ereditari, invece, l’autorizzazione del Tribunale del luogo in cui si è
aperta la successione, sentito il Giudice tutelare. Secondo alcuni sarebbe sufficiente
l’applicazione del solo art. 320 c.c.256 E ciò per l’espresso riferimento dell’art. 320
c.c. ai beni del figlio a qualsiasi titolo pervenuti,“anche a causa di morte”. Ma la
giurisprudenza sembra di contrario avviso, ritenendo che le due autorizzazioni
abbiano valenza giuridica diversa: meramente interna l’una, esterna l’altra.257 Altri
ritengono invece applicabile l’art. 320 c.c., quando il bene non è più ereditario, per
essere già passato nel patrimonio del minore in modo definitivo, dovendosi altrimenti
applicare l’art. 747 c.p.c.
8. ESERCIZIO DI IMPRESA COMMERCIALE DA PARTE DI MINORE
Ai sensi del co. 5° dell’art. 320 c.c. “l’esercizio di una impresa commerciale non può
essere continuato se non con l’autorizzazione del tribunale su parere del giudice
tutelare. Questi può consentire l’esercizio provvisorio dell’impresa, fino a quando il
tribunale abbia deliberato sulla istanza”. Dal termine “continuare” e per estensione
analogica dell’art. 371 c.c., dove è specificato, si desume che il minore non possa
acquistare aziende a titolo oneroso ma solo riceverle a titolo gratuito.258
Nell’autorizzazione rientrano, per giurisprudenza consolidata, tutti gli atti gestori, di
stretta pertinenza dell’azienda.259 Ai sensi dell’art. 230 bis c.c. - Impresa familiare -,
inoltre, “i familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire
sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi”.
255
JANNUZZI, cit., p. 301.
FERRARIO, Regime giuridico dei beni donati a nascituri, in « Riv. Not. », (1957), p. 126.
257
Così Cass., 29 giugno 1981, n. 4211, in « Riv. Not. » «Giust.civ.», (1981), I, p. 1888.
258
Così PELOSI, La patria potestà, p. 272 e ss.; contra JANNUZZI, Autorizzazione alla vendita di
beni pervenuti per successione all’incapace, in «Giust. civ.», (1965), I, p. 407 e CAPOZZI, Incapaci
e impresa, Milano, 1992, p. 6- 7.
259
Cass., 27 maggio 1977, n. 2178, in «Giust.civ.», (1977), I, p. 1078.
256
125
126
9. CURATORE SPECIALE
E’ previsto l’intervento del curatore speciale per il compimento di particolari atti,
nell’interesse del minore, dall’art. 320 ult. co. e 321 c.c. L’ult.co. dell’art. 320 c.c.
prevede che, “se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa
potestà, o tra essi e i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, il
giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli e
uno solo dei genitori esercenti la potestà, la rappresentanza dei figli spetta
esclusivamente all’altro genitore”. E’ il c.d. conflitto di interessi che comporta,
appunto, la nomina di un curatore speciale. Per la dottrina il conflitto di interessi è
soltanto di natura patrimoniale. Esso deve, inoltre, essere attuale ed effettivo, e non
meramente potenziale, malgrado alcune pronunce in tal senso. Mentre l’interesse
tutelato può anche essere futuro. Si tratta, in ogni caso, di una valutazione di merito.
Sul piano sociologico preme sottolineare che le ipotesi di conflitto costituiscono una
fattispecie tutt’altro che rara in giurisprudenza e non priva di tensioni che sfociano
nelle aule giudiziarie. Si discute, per esempio, se dia luogo a conflitto d’interessi, la
donazione dai genitori al figlio minore. In senso affermativo, la giurisprudenza, in
ragione dell’obbligo alimentare ex art. 437 c.c., cui è tenuto il donatario. Il Notaio, in
forza dell’art. 1 l.not., predispone e produce il relativo ricorso di volontaria
giurisdizione. Quando vi sia da compiere un atto di straordinaria amministrazione
nell’interesse del minore e i genitori o quello che esercita in via esclusiva la potestà
temporaneamente non voglia o non possa esercitarla, il tribunale ordinario (art. 338,
2° co., disp. att., c.c.) provvede alla nomina di un curatore speciale (art. 321 c.c.),
autorizzandolo al compimento dell’atto. A differenza della ipotesi di conflitto di
interessi ex art. 320 ult. co., ove la competenza è del Giudice tutelare e dove il
curatore speciale così nominato deve essere ulteriormente autorizzato al compimento
dell’atto, ivi si ritiene che l’autorizzazione sia contenuta nell’unico atto di nomina. Il
Notaio scriverà, ai sensi dell’art. 320 c.c., che “è presente il signor …, condizione
…, nato a …, il …., residente a …, via …, n. …, il quale interviene in qualità di
curatore giusto decreto di nomina del giudice tutelare di …, in data …, e giusta
autorizzazione rilasciata dal Giudice tutelare (ovvero dal Tribunale) di …, ai sensi
degli artt. 374 ( o 375) c.c., e che in copia autentica si allega al presente atto sotto la
126
127
lettera A”.
260
L’art. 321 c.c. prevede, invece, che « in tutti i casi in cui i genitori
congiuntamente o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà non possono o
non vogliono compiere uno o più atti di interesse del figlio, eccedente l’ordinaria
amministrazione, il giudice, su richiesta del figlio stesso, del pubblico ministero o di
uno dei parenti che vi abbia interesse, e sentiti i genitori, può nominare al figlio un
curatore speciale autorizzandolo al compimento di tali atti”. Ai sensi dell’art. 321
c.c., il Notaio scriverà che “è presente il signor …, condizione …, nato a …, il ….,
residente a …, via …, n. …, il quale interviene in qualità di curatore giusto decreto di
nomina del giudice tutelare di …, in data …, e giusta autorizzazione rilasciata dal
Tribunale ordinario di …, e giusta autorizzazione rilasciata dallo stesso che in copia
autentica si allega al presente atto sotto la lettera A”. 261
10. USUFRUTTO LEGALE DEI GENITORI SUI BENI DEI FIGLI MINORI
La ratio dell’istituto, oggetto di dibattito dottrinale, è ora individuata nella garanzia
del libero esercizio della potestà dei genitori e, contestualmente, nella solidarietà
familiare cui partecipa il minore (art. 324, 2° co., c.c.). Si tratta di un diritto
indisponibile, non assoggettabile a pegno, ipoteca o esecuzione forzata (art. 326 c.c.).
Oggetto del diritto sono i beni del figlio, eccettuati i beni acquistati con i proventi del
proprio lavoro, i beni lasciatigli o donatigli per intraprendere una carriera, un’arte o
una professione, i beni lasciatigli o donatigli sotto condizione della non soggezione
all’usufrutto legale, i beni lasciati, donati o legati e non accettati dai genitori (artt.
324 e 465 c.c.). Le cause di estinzione dell’usufrutto legale sono la morte, il
raggiungimento della maggiore età, l’emancipazione. La titolarità spetta ad entrambi
i genitori o a quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, perché nel
testamento o nella donazione è stata apposta la condizione di esclusione
dell’usufrutto per uno dei genitori, perché uno dei genitori non ha accettato i beni
lasciati, legati o donati, per separazione o divorzio, per privazione del potere di
amministrazione ex art. 334 c.c.
11. EREDITA’ DEVOLUTE A MINORI O INTERDETTI.
260
261
FALZONE- CANNIZZO, cit., p. 84.
FALZONE- CANNIZZO, cit., p. 84.
127
128
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 471 c.c., “non si possono accettare le eredità
devolute ai minori e agli interdetti se non col beneficio d’inventario, osservate le
disposizioni degli artt. 321 e 374”. Ed, ai sensi del successivo art. 489 c.c., essi non
decadono dal beneficio d’inventario, se non al compimento di un anno dalla
cessazione della causa d’incapacità, quando non si siano conformati alle norme
sull’istituto. La particolare tutela si spiega con l’esigenza di evitare al minore di
rispondere ultra vires per i debiti ereditari. Pertanto la dottrina ritiene di poter
escludere l’accettazione pura e semplice o quella tacita.262 Si ritiene, inoltre, che i
termini di cui agli artt. 485 e 487 c.c. s’intendono prorogati di un anno per gli
incapaci (ma non sono derogate né la perdita del diritto di accettare per il maturarsi
della prescrizione decennale né per la mancata accettazione nel termine fissato dal
giudice).263
12. REGIME AGEVOLATIVO DELL’ART. 489 C.C.
La dottrina ritiene che, se l’incapace non è nel possesso dei beni ed il suo
rappresentante legale non compie l’inventario nel termine di tre mesi ex art. 485 c.c.,
non è considerato erede puro e semplice, bensì ha ancora un anno dall’acquisto della
capacità ex art. 489 c.c. per farlo, soltanto trascorso il quale è da ritenersi erede puro
e semplice. 264 Sia che l’incapace sia nel possesso dei beni ereditari ex art. 485 oppure
no ex art. 487 c.c., se il suo rappresentante legale fa dichiarazione di accettazione
con beneficio d’inventario, ma non procede all’inventario nel termine di tre mesi,
l’incapace sarebbe considerato erede con beneficio d’inventario; ma, ex art. 489 c.c.,
solo per un anno ancora dal riacquisto della capacità, trascorso il quale, se non
procede all’inventario, decadrebbe dal beneficio e sarebbe considerato erede puro e
semplice. Infine se l’incapace non è nel possesso dei beni ereditari ex art. 487 c.c. ed
il rappresentante legale fa l’inventario, ma non la dichiarazione di accettazione con il
beneficio d’inventario nei quaranta giorni successivi, l’incapace rimarrebbe nella
posizione di chiamato ancora per un anno, ex art. 489 c.c., dalla cessazione
262
FERRI, Disposizioni generali sulle successioni, in Commentario Scialoja- Branca, BolognaRoma, II ed. , 231. Contra BUTERA, Eredità devolute ad incapaci e beneficio d’inventario, in « Foro
it.», ( 1937), I, 621, che si baserebbe sul dettato dell’art. 489 c.c.
263
Cass. 12 maggio 1974, n. 2091, in «Giust.civ.», (1974), I, 1558.
264
JANNUZZI, cit., p. 294 e ss.
128
129
dell’incapacità, soltanto trascorso il quale perderebbe la facoltà di accettare
l’eredità.265 Questa ricostruzione tenta di coordinare le norme citate nella maniera
migliore possibile. E bene avrebbe fatto il Legislatore a farlo egli stesso direttamente,
evitando agli operatori queste peripezie interpretative. Chiara però è la ratio legis
dell’art. 489 c.c.: quella di dare un’ulteriore chance all’incapace. Lo schema
disegnato dal Legislatore è molto complesso ed è sociologicamente rilevante sotto un
altro profilo: quello del bizantinismo spesso eccessivo del Legislatore, che trova in
questa norma il suo stato sublime.
13. EMANCIPAZIONE E INABILITAZIONE
Il minore emancipato può senz’altro compiere gli atti di ordinaria amministrazione.
Ma, per quelli di straordinaria amministrazione, occorre l’assistenza del curatore e
l’autorizzazione del Giudice tutelare. Se poi si tratta di uno degli atti di cui all’art.
375 c.c. e se curatore non è il genitore, occorre l’autorizzazione del Tribunale, su
parere del Giudice tutelare (art. 394 c.c.). In atto si dirà, per l’emancipato, che “sono
presenti il signor …, condizione …, nato a …, il …, residente in …, via …, n. …,
codice fiscale …, minore emancipato per matrimonio celebrato in …, il …, con la
signora …, assistito dal curatore signor …(il coniuge se maggiorenne), condizione
…, nato a …, il …, residente in …, via …, n. …, al presente atto autorizzato dal
giudice tutelare di … (ovvero Tribunale di …, su parere del giudice tutelare di …, ex
art. 375 c.c.), con decr. del …, che in copia autentica si allega al presente atto sub A”.
In atto si dirà, per l’inabilitato, che “è presente il signor …, disoccupato, nato a …, il
…, residente in …, via …, n. …, codice fiscale …, inabilitato con sentenza del
Tribunale di …, del … , assistito dal curatore signor …, condizione …, nato a …, il
…, residente in …, via …, n. …, al presente atto autorizzato dal giudice tutelare di
… (ovvero Tribunale di …, su parere del giudice tutelare di …, ex art. 375 c.c.), con
decr. del …, che in copia autentica si allega al presente atto sub A”.
14. EREDITA’ DEVOLUTE A MINORI EMANCIPATI O A INABILITATI
265
DE ROSA, Mancata accettazione con beneficio d’inventario di eredità devoluta ad incapaci ed
autorizzazione alla vendita dei beni ereditari, in «Giust.civ.», (1962), I, 663 che, in ragione della
diversità di sanzione nell’ultima ipotesi, perdita del diritto di accettare l’eredità anziché decadenza dal
beneficio d’inventario, escluderebbe l’applicabilità dell’art. 489 c.c.
129
130
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 472 c.c., “i minori emancipati e gli inabilitati non
possono accettare le eredità, se non col beneficio d’inventario, osservate le
disposizioni dell’ art. 394”. Valgono le osservazioni già riportate per l’eredità
devolute ai minori e agli interdetti ex art. 471 c.c. di cui sopra, cui si rinvia.
15. MINORE COMMERCIANTE AUTORIZZATO
Se il minore emancipato è commerciante autorizzato, ai sensi dell’art. 397, 3° co.,
c.c., può compiere da solo anche gli atti di straordinaria amministrazione. In atto si
dirà, per l’emancipato commerciante, che “sono comparsi i signori …, e il signor …,
condizione …, nato a …, il …, residente in …, via …, n. …, codice fiscale …,
quest’ultimo minore emancipato per matrimonio celebrato in …, il …, con la signora
…, e autorizzato all’esercizio di impresa commerciale senza assistenza del curatore
dal Tribunale di …, su parere del giudice tutelare di …, ex art. 397 c.c., con decr. del
…, che in copia autentica si allega al presente atto sub A”.
16. TUTELA DEI MINORI E DEGLI INTERDETTI
Ai sensi dell’art. 343 c.c. (modif. dall’art. 139 D.Lgs 19 febbraio 1998, n. 51) “se
entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà dei
genitori, si apre la tutela presso il tribunale del circondario dove è la sede principale
degli affari e interessi del minore”. Quando, dunque, entrambi i genitori sono morti o
per qualsiasi causa non vogliono esercitare la potestà sui figli, la cura della persona
del minore e l’amministrazione dei suoi beni sono affidate a terzi. E’ un istituto che
trova fondamento nella stessa Costituzione (art. 30, 2° co., Cost.). La tutela ha
carattere surrogatorio rispetto alla potestà dei genitori nonché carattere pubblicistico,
come si evince dall’inderogabilità delle sue norme. E’ ufficio non rinunziabile.
Inoltre non tollera l’apposizione di termini e condizioni. Né tollera l’applicazione
dell’istituto della rappresentanza. Organi esecutivi della tutela sono il tutore ed il
protutore. Organo di controllo è il Giudice tutelare. Ai sensi dell’art. 344 c.c. “presso
ogni tribunale il giudice tutelare soprintende alle tutele e alle curatele ed esercita le
altre funzioni affidategli dalla legge”.266 Quando si tratta di stipulare uno degli atti di
cui all’art. 374 c.c., l’autorizzazione sarà data dal Giudice tutelare. Per quelli dell’art.
375 c.c. l’autorizzazione spetta al Tribunale. La formula sarà la seguente “è presente
266
Come modif. dall’art. 139 cit.
130
131
il signor …, condizione …, nato a …, il …, residente a …, in via …, n. …., il quale
interviene in qualità di tutore e legale rappresentante del minore (o interdetto) signor
…, nato a …, il …, (e con lui domiciliato), giusto provvedimento di nomina del
giudice tutelare di …, decr. del …, al presente atto autorizzato dal giudice tutelare
(Tribunale di …) di …, decr. del …, e che in copia autentica si allega al presente atto
sub A”.
BIBLIOGRAFIA
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1975, 972, n. 2.
BUTERA, Eredità devolute ad incapaci e beneficio d’inventario, in « Foro it.»,
( 1937), I, 621.
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MAZZACANE, La giurisdizione volontaria nell’attività notarile, Roma, 1980, p. 20.
MICHELI, Significato e limiti della giurisdizione volontaria, in «Riv. dir. proc. civ.»,
(1957), p. 526.
SANTARCANGELO G., La volontaria giurisdizione, I, Milano, 2003.
131
132
PARTE TERZA
132
133
CAPITOLO OTTAVO
IL NOTAIO E I DIRITTI REALI
1. Nozione. 2. Caratteristiche generali dei diritti reali. 3. Questione della tipicità o del
numerus clausus. Multiproprietà. Cessione di cubatura. 4. Giurisdizione. 5. Diritto di
proprietà. Limiti al diritto di proprietà. Proprietà edilizia. Convenzioni urbanistiche.
Edilizia residenziale pubblica. Proprietà fondiaria. Minima unità culturale. 6. Diritto
di usufrutto. Problema della derogabilità della destinazione d’uso. Costituzione di
diritti reali minori. Cessione di usufrutto. Usufrutto successivo. Usufrutto
congiuntivo. 7. Diritto di superficie. 8. Diritto d’uso e di abitazione. 9. Servitù
prediali. 10. Problema dell’ammissibilità della comunione di diritti reali. 11.
Costituzione di diritti reali minori. 12. Dell’ammissibilità di una ricognizione
unilaterale costitutiva di diritto reale altrui. 13. Garanzie reali: pegno e ipoteca. Tipi
di ipoteca. Oggetto dell’ipoteca. Problema della mutabilità dell’oggetto dell’ipoteca.
Costituzione di ipoteca volontaria. Problema dell’autonoma cedibilità dell’ipoteca.
Pegno: problemi. Contratti traslativi a scopo di garanzia. 14. Costituzione per
ricognizione di diritti reali. 15. Trusts in funzione di garanzia.
***
1. NOZIONE
La Legge parla di “diritti reali” all’art. 813 c.c., subito dopo la distinzione tra beni
immobili e beni mobili di cui all’art. 812 c.c., sancendo che,“salvo che dalla
legge risulti diversamente, le disposizioni concernenti i beni immobili si
applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e alle azioni
133
134
relative; le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri
diritti”. Ancora, per esempio, all’art. 817, 2° co., c.c., sulla destinazione delle
pertinenze.267 “L’espressione «diritti reali» indica quella categoria di diritti
patrimoniali, che è caratterizzata, secondo l’opinione comune, da un potere
immediato del titolare su una cosa: «diritti reali» (res = cosa) vuol dire appunto,
sempre secondo tale opinione, «diritti sulle cose» Vi si annoverano, da un lato, la
proprietà, dall’altro i diritti su cosa altrui, distinti, a loro volta, in diritti di
godimento (usufrutto, uso, abitazione, servitù, superficie, enfiteusi) e diritti di
garanzia (pegno, ipoteca)”.268 I diritti soggettivi, come noto, sono classificati,
dalla dottrina, in diverse categorie. Una di queste classificazioni tradizionali, è
quella tra diritti reali e diritti personali. I diritti reali, dal latino, sono quelli che
riguardano, abbiamo visto, una res. I diritti personali (o di credito) sono quelli
che si caratterizzano per il fatto di richiedere, per la loro realizzazione, l’opera
della persona obbligata. Sul Notaio si riversano, quindi, tutte le tensioni sociali,
specie di tipo processuale (e antiprocessuale) proprie della categoria. Il diritto
reale, rispetto al diritto di credito, è di solito preferito da chi si rivolge al Notaio
per richiedergli, nell’ambito dell’incarico demandatogli, la maggior tutela
possibile per una particolare situazione giuridica. E, quindi, in ultima istanza, per
le maggiori possibilità che esso assicura sotto il profilo della azionabilità in sede
giudiziaria (anche se, spesso, può essere sufficiente un buon equilibrio delle
prestazioni personali reciproche, ben congegnato dal Notaio, per assicurare uno
stabile risultato).
2. CARATTERISTICHE GENERALI DEI DIRITTI REALI
La dottrina giuridica individua alcune caratteristiche omogenee dei diritti reali, per la
verità, non universalmente riconosciute, ed anzi oggetto di ripetuti attacchi nella
storia della letteratura giuridica.269 Si legge in dottrina che “già in passato era
accaduto che l’autonomia dei diritti reali come categoria dogmatica venisse discussa,
sia in quanto si riducessero questi diritti ai diritti di obbligazione, secondo le vedute
267
Tuttavia il libro terzo del Codice civile, anziché essere rubricato “dei diritti reali”, è rubricato
“della proprietà”.
268
PUGLIESE G., voce Diritti reali, in “Enc.D.”, XII, 1964, p. 755 ss.. Ancora GIORGIANNI, voce
Diritti reali, in “Noviss.Dig.It.”, V, 1960, p. 750 ss.
269
Revoca in dubbio queste categorie GIORGIANNI, Contributo ad una teoria dei diritti di
godimento su cosa altrui, Milano, 1940; BIGLIAZZI GERI, Diritti reali, 2, Torino, 1988, p. 35.
134
135
del Planiol e del Demogue, sia all’opposto in quanto si assimilassero tutti i diritti a
quelli reali, secondo la tesi che ne scorgeva l’essenza nell’agere licere. Recentemente
altri attacchi, forse più agguerriti, sono stati mossi alla configurazione tradizionale
dal Ginossar in Francia e dal Giorgianni in Italia”.270 Si parla, così, di immediatezza,
con riguardo al fatto che il diritto attiene immediatamente alla res, senza cioè
l’intervento di alcuno. Si parla di assolutezza (c.d. diritti assoluti), con riguardo al
fatto che questi diritti sono dotati di efficacia erga omnes, sono cioè validi ed efficaci
nei confronti di chiunque entri nell’orbita della cosa, oggetto del diritto. Si parla di
opponibilità ai terzi con riguardo alla possibilità, del titolare del diritto, di paralizzare
qualsiasi eventuale pretesa altrui, materiale o giuridica. Si parla di diritto di seguito
(o di sequela), con riguardo al fatto che le facoltà, i poteri, le potestà accessorie,
collegate alla titolarità del diritto, seguono la sorte della cosa, ogni volta che dovesse
mutare il titolare. Ma sono, com’è evidente, tutti aspetti consequenziali della
relazione con la cosa, che qualche autore chiama, più semplicemente, inerenza alla
cosa.
3. QUESTIONE DELLA TIPICITA’ O DEL NUMERUS CLAUSUS.
271
MULTIPROPRIETA’. CESSIONE DI CUBATURA. E’ questione assai risalente in
letteratura (ed ancora non definita) quella se, la categoria dei diritti reali, sia “chiusa”,
cioè ristretta a quelli tipici previsti espressamente dal codice civile,272 o se sia, invece,
“aperta”, cioè suscettibile di includere nuovi diritti reali, non tipizzati dal
legislatore.273 In passato si era discusso con riguardo alle obbligazioni propter rem ed
agli oneri reali, nonché con riguardo all’ipoteca o al diritto del conduttore. A
proposito di quest’ultimo, si legge, in dottrina, che “si deve resistere alla tentazione
di riconoscere natura reale al diritto del conduttore, sia pure di quello derivante da
una locazione immobiliare ultranovennale trascritta. Senza dubbio il regime della
locazione è notevolmente mutato da quello romano classico e, attraverso la quasi
integrale applicazione del principio emptio non tollit locatum, l’efficacia della
trascrizione, la tutela possessoria accordata parzialmente al conduttore con l’azione
270
G. PUGLIESE, loc. ult. cit., p. 769.
GIORGIANNI, voce Diritti reali, cit., p. 750 ss.
272
MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, II, Milano, 1965, p. 320.
273
COMPORTI, Diritti reali in generale, in Tratt. CICU- MESSINEO- MENGONI, VIII, Milano,
1980, p. 290.
271
135
136
di reintegrazione, la norma dell’art. 1585 comma 2 c.c. circa le molestie di fatto, il
conduttore si trova posto in rapporto non più soltanto col locatore originario, ma
anche con certi terzi. Forse sta svolgendosi sotto i nostri occhi un processo storico,
che sfocerà nell’attribuzione della natura reale al diritto del conduttore, risultato a cui
per vie indipendenti sono da lungo pervenuti i Paesi di common law. Ma oggi questo
sviluppo non sembra essersi ancora compiuto e bisogna tenere ferma la distinzione
tra diritto del conduttore e diritti reali”.274 Si richiamano, oggi, gli esempi della
multiproprietà o della cessione di cubatura. La multiproprietà275 è una figura nuova
dell’ordinamento, invalsa nell’uso commerciale, particolarmente nel settore turisticoalberghiero. Si caratterizza per essere un diritto condiviso, tra più titolari, in ragione
di periodi di tempo predeterminati. Si discute, appunto, della sua natura giuridica e,
conseguentemente, se costituisca un diritto reale tipico, ovvero atipico, con ciò
dovendosi derogare al principio del numerus clausus dei diritti reali, o qualcosa di
diverso ancora. Si rilevano diversi orientamenti in dottrina.276 Ma quello che ci pare
condivisibile e prevalente è nel senso di una mera species di diritto di proprietà. La
cessione di cubatura si è affermata, a nostro avviso impropriamente, nella prassi
commerciale, al fine di consentire di edificare laddove vi fossero dei limiti di misura
nella cubatura (la misura di espansione nello spazio di un edificio). Malgrado ciò si
discute, piuttosto che sulla stessa ammissibilità della figura, ormai malauguratamente
affermatasi nella prassi, sulla sua natura giuridica e sul meccanismo tecnico di
perfezionamento adoperabile. Sotto il profilo sociologico la questione nasconde
aspetti di rilievo. E’ chiaro che sono in lizza interessi generali contrapposti: da un
lato, c’è il bene della certezza del diritto, assicurato dalle categorie tipiche volute
dalla legge; dall’altra, l’esigenza paventata da alcuni, di tutelare situazioni giuridiche
soggettive nuove, non previste dal Legislatore, ma parimenti suscettibili di tutela
reale da parte dell’ordinamento.
4. GIURISDIZIONE
274
PUGLIESE, loc. ult. cit., p. 772.
C.N.N. Prime osservazioni sulla nuova normativa in tema di multiproprietà - Studio del 25
febbraio ’99; BULGARELLI, Contratti relativi all’acquisto di un diritto di godimento a tempo
parziale di beni immobil: note in tema di tutela dell’acquirente, in “Riv Not.”, (2000), p. 536 ss.
276
Scrive GAZZONI, Manuale, cit.,p. 271, che“ […] deve negarsi che si tratti di un vero diritto di
proprietà, attesi i limiti e i vincoli che il diritto del multiproprietario incontra […]si tende ad
avvicinare la multiproprietà alla comunione”.
275
136
137
Ai sensi dell’art. 51 L. 218/1995, “il possesso, la proprietà e gli altri diritti reali sui
beni mobili e immobili sono regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano.
La stessa legge ne regola l’acquisto e la perdita, salvo che in materia successoria e
nei casi in cui l’attribuzione di un diritto reale dipenda da un rapporto di famiglia o
da un contratto”. Il Notaio, come il Giudice, deve tener presente questa norma,
perché essa incide, radicalmente, sui rapporti giuridici concernenti i diritti reali.
5. DIRITTO DI PROPRIETA’277
Il diritto reale per eccellenza è il diritto di proprietà. Quello che dà il nome al libro
terzo del codice civile. Cos’è la proprietà? Sull’argomento la letteratura è
ricchissima. Vi hanno scritto giuristi, economisti, storici, filosofi, sociologici e tanti
altri. Da sempre l’uomo ha sentito il bisogno di possedere, di avere per sé, in modo
esclusivo, un oggetto, uno spazio, una idea. Un qualcosa. di personale, distinto
rispetto ai beni comuni o di tutti: si pensi ai primi uomini, dell’età della pietra.
Un’arma per cacciare, un giaciglio per riposare, e poi un fondo da coltivare o delle
bestie da allevare. Il concetto di proprietà si può dire che sia nato con l’uomo. Oggi il
diritto si è evoluto. La proprietà che originariamente si immaginava legata alla res
materiale (il libro, la casa, il fondo), si è evoluta in figure nuove, su beni non
suscettibili di appropriazione fisica. Si pensi alle nuove frontiere informatiche, con la
proprietà dei domini (spazi informatici all’interno della rete riconducibili a un ente o
una persona fisica) ed il nuovo contenzioso che ne deriva. La proprietà, da sempre,
dunque, è stata oggetto di elaborazione dogmatica. E, ancor prima, a problematiche
sociali. Perché un uomo deve possedere più di un altro? Non sembrerebbe
obiettivamente giusto. Non sarebbe possibile mettere tutto in comune, assicurandone
a tutti la parità nel goderne. Di qui ideologie che hanno disconosciuto il diritto, come
quella comunista dell’ex U.R.S.S. Di qui orientamenti politici che hanno tentato di
mitigarne gli effetti peggiori. O altri, invece, che ne hanno accentuato i caratteri. Sta
di fatto che oggi la proprietà esiste, in fatto e in diritto. In Italia è menzionata
espressamente dall’art. 42 della Costituzione, che ne riconosce la “funzione sociale”.
La Costituente, punto di incontro e sintesi di ideologie allora divergenti, ha
sottolineato la capacità del diritto di proprietà, di costituire forma di estrinsecazione
277
SACCO, La proprietà, Torino, 1968; COSTANTINO, La proprietà in generale, in Tratt. Rescigno,
7, 1, 1985, 207 ss.
137
138
della personalità dell’individuo. E’ innegabile che per alcune professioni (tra cui
anche il Notaio), infatti, l’accumulo di ricchezza diventa modo privilegiato e spesso
esclusivo di manifestazione all’esterno delle capacità dell’individuo, diversamente da
quei lavori, mestieri, occupazioni, dove c’è invece avanzamento di carriera o di
assegnazione di privilegi o riconoscimenti. Si pensi all’imprenditore, figura che, di
questi tempi, va molto di moda. Il diritto di proprietà viene definito, dall’art. 832 c.c.,
come sommatoria dei poteri di godimento e di disposizione della cosa. Potere di
godimento, perché il proprietario può fare, con la cosa e della cosa, quello che vuole,
finché non danneggi il terzo. Potere di disposizione, perché tale libertà arriva fino al
potere di disfarsene a vantaggio di altri, alienando il diritto o comprimendolo a
vantaggio di terzi. Il diritto di proprietà, pur essendo il più ampio tra tutti i diritti
reali, conosce dei limiti. In generale si può dire che il diritto di proprietà incontra
spesso l’interesse pubblico, che prevale e può arrivare persino a svuotarlo del tutto,
come nel caso dell’espropriazione per pubblica utilità.278 Ma, più spesso, si tratta di
mera compressione del diritto. Come quelle attuate per tutelare l’ambiente, le
testimonianze storico- culturali, gli equilibri idrogeologici, la vivibilità delle città e
altro ancora. Tali compressioni si estrinsecano nell’ordinamento, in diversi modi,
anche a mezzo di presunzioni. L’art. 880 c.c. pone, per esempio, la presunzione di
comunione del muro divisorio: “il muro che serve di divisione tra edifici si presume
comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno
degli edifici comincia ad essere più alto”. Il Legislatore distingue la proprietà
fondiaria da quella edilizia. Maggiore è visibile l’influenza del diritto pubblico su
quest’ultima, dalla quale, quindi, cominciamo. La Legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150 (modif. dalla c.d. Legge Ponte n. 765/1967 e dalla Legge Bucalossi n.
10/1977, che ha introdotto l’onerosità della concessione) ha introdotto due novità: i
c.d. piani regolatori comunali (artt. 4 e 7 e ss.) e la licenza di costruzione, oggi
rinominata concessione edilizia (art. 31).279 La Legge 5 agosto 1978 n. 457, ha
invertito la politica edilizia sino ad allora vigente, volgendosi in senso liberale,
assoggettando, cioè, l’edificazione, ad una mera autorizzazione gratuita, le opere di
278
Vedi D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
L’importanza sociale dell’istituto della concessione edilizia non necessita di dimostrazione alcuna.
Tuttavia si consideri che la Corte di Cassazione, con la storica sentenza 500/99 pronunciata a Sezioni
Unite contro il Comune di Fiesole, colpevole di non aver inserito nel P.R.G. l’area di proprietà di un
privato oggetto di convenzione di lottizzazione precedentemente stipulata, ha approfittato per
cambiare il proprio orientamento sulla non risarcibilità degli interessi legittimi.
279
138
139
manutenzione straordinaria. Politica proseguita con la Legge 25 marzo 1982 n. 94,
che ha sottratto al controllo pubblico gli interventi di restauro e delle pertinenze. La
successiva Legge sul condono edilizio 28 febbraio 1985, n. 47, contro l’abusivismo
edilizio, ha introdotto alcune menzioni da apporsi a cura del Notaio, pena la nullità
degli atti di queste carenti. L’art. 17 prevede, infatti, che “gli atti tra vivi, sia in forma
pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o
scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui
costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non
possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli
estremi della concessione edilizia o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi
dell’art. 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o
estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù […]”. In sintesi, per gli edifici costruiti
successivamente al 1967, sono necessari gli estremi della concessione edilizia. Uno
strumento misto, di diritto privato e diritto pubblico, per la soluzione di
problematiche edilizie e la ponderazione di interessi pubblici e privati, è quello delle
convenzioni urbanistiche. Si tratta di atti che intervengono tra l’ente territoriale ed il
privato con i quali, quest’ultimo, si accolla gli oneri di urbanizzazione, a fronte della
concessione che ottiene dall’ente. Lo Stato interviene, con la legislazione in materia
di edilizia residenziale pubblica, per consentire anche ai meno abbienti di conseguire
il bene casa. E il Notaio è spesso chiamato a confrontarsi con questa normativa di
stampo prettamente pubblicistico. La Legislazione in materia ha subito una rapida
evoluzione. Il bene dato in concessione, in un primo periodo, poteva essere riscattato
dal privato, dopo un periodo minimo di locazione (T.U. 1165/1938). Poi è
intervenuta la libera riscattabilità (D.P.R. n. 2/1959). Quindi è tornato il regime di
intrasferibilità relativa (Legge n. 513/1977). Infine, è intervenuto il regime di
trasferibilità limitata (Legge 560/1993). Con riguardo alla proprietà fondiaria, l’art.
18, co. 2° della L. 47/85, prevede, in modo simmetrico rispetto alla proprietà edilizia
(vedi supra), che “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi
per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti
reali, relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei
pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di
destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area
interessata. Le disposizioni non si applicano quando i terreni costituiscano pertinenze
139
140
di edifici censiti nel nuovo catasto edilizio urbano, purché la superficie complessiva
dell’area sia inferiore a 5.000 mq […]”. Per i terreni, dunque, è necessaria
l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica (tra gli operatori noto come
c.d.u.) e la dichiarazione dell’alienante, di non intervenuta modificazione degli
strumenti urbanistici. Un istituto ormai desueto, per volontà della Suprema Corte di
cassazione, che con propria sentenza ne ha sancito la totale disapplicazione, è quello
della minima unità culturale. Si tratta, in sostanza, di un divieto di frazionamento. Il
Notaio che è chiamato a rogare un atto traslativo di fondi agricoli, che comporti
frazionamento dell’intero fondo in parti più piccole, dovrebbe assicurarsi che le
porzioni risultanti non siano inferiori a questa misura minima. Il problema era che la
Legge affidava alla pubblica amministrazione la determinazione di questa misura
minima. Ma detta misura minima non è mai arrivata (salvo aree geografiche,
talmente all’avanguardia, da non fare testo nella media nazionale). Di conseguenza la
Suprema Corte ha ritenuto che il divieto non fosse applicabile. Sicché un Notaio,
intervistato sull’argomento, ha dichiarato candidamente di aver rogato personalmente
atti da cui risultavano fondi di un solo metro quadrato.280 Riteniamo che la Suprema
Corte forse avrebbe dovuto meglio considerare la ratio della norma (che oggi il
Legislatore comunitario si sta affaticando a reintrodurre) nonché il fatto che la Legge
stessa fornisce, comunque, un parametro di misura, che è quello di quanto è
sufficiente ad una intera famiglia, dedita all’attività agricola, per vivere. Una
valutazione di merito, che ricadrebbe sul Notaio, in primis, foriera di questioni e
forse di contenzioso, ma pur sempre un parametro legale.
5. DIRITTO DI USUFRUTTO
Un diritto assai vicino alla proprietà, è il diritto di usufrutto. La legge non ne dà una
definizione diretta. In estrema sintesi, esso si sostanzia nel godimento della cosa,
però manca dell’altro contenuto tipico della proprietà, e cioè del potere di
disposizione, che è estremamente ridotto, rimanendo, per la gran parte, in capo al
proprietario. L’essenza del diritto di usufrutto può cogliersi considerandosi tre
elementi: 1) Ai sensi dell’art. 981 c.c., - Contenuto del diritto di usufrutto“l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione
economica. Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti
280
Così il Notaio dott. C.A.B., di Padova, in una breve intervista, per la quale lo si ringrazia.
140
141
stabiliti in questo capo”. Ai sensi del successivo art. 1001, 1° co., c.c. “l’usufruttuario
deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al termine dell’usufrutto,
salvo quanto è disposto dall’art. 995 (sulle cose consumabili)”. Le norme citate
riprendono la nozione romanistica dell’istituto: “ius alienis rebus utendi fruendi
salva rerum substantia”.281 La ratio originaria era quella di consentire alla vedova di
sostenersi sfruttando i beni ereditari destinati ai figli. L’usufrutto si estende alle
accessioni (art. 983 c.c.) nonché ai frutti naturali ed ai frutti civili (art. 984 c.c.),
mentre “l’usufruttuario ha diritto a un’indennità282 per i miglioramenti che sussistono
al momento della restituzione della cosa” (art. 985 c.c.) nonché per le addizioni che il
proprietario preferisca ritenere (art. 986 c.c.). Si discute, in dottrina, se l’usufruttuario
possa in qualche modo modificare la destinazione d’uso della cosa. La Legge
sembrerebbe non consentirlo, mentre le esigenze commerciali spingono in senso
contrario. Sicuramente non si può ammettere una modifica della destinazione d’uso
di tipo permanente, perché il bene deve essere riconsegnato, al nudo proprietario,
così come era stato concesso. Se ne può forse ammettere una provvisoria. Dipende,
in ultima istanza, dalla volontà delle parti. Una destinazione d’uso non consentita dal
proprietario è sicuramente da escludersi. Una modifica pattuita tra le parti,
sembrerebbe, invece, ammissibile. 2) E’, quindi, un diritto, rispetto alla proprietà,
limitato nel tempo. Infatti, ai sensi dell’art. 979 c.c., “la durata dell’usufrutto non può
eccedere la vita dell’usufruttuario. L’usufrutto costituito a favore di una persona
giuridica non può durare più di trent’anni”. 3) Ancora, ai sensi dell’art. 1014 c.c.,
“oltre quanto è stabilito dall’art. 979, l’usufrutto si estingue: 1) per prescrizione per
effetto del non uso durato per vent’anni; 2) per la riunione dell’usufrutto e della
proprietà nella stessa persona; 3) per il totale perimento della cosa su cui è
costituito”.283 Ci si chiede, ancora, se l’usufruttuario possa costituire un diritto di
superficie a favore di terzi. E’ il c.d. problema generale (cui si rinvia) della possibilità
di costituire diritti reali minori. La soluzione è generalmente favorevole. In virtù del
principio c.d. dei diritti su diritti, secondo il quale la costituzione è ammessa nella
281
Conseguenza logica e giuridica del diritto di godere della cosa, è il diritto di possedere la cosa (art.
982 c.c.). Il suo conseguimento, tuttavia, è subordinato al compimento, da parte dell’usufruttuario,
dell’inventario ed alla prestazione della garanzia, salvo dispensa (art. 1002 c.c.).
282
“L’indennità si deve corrispondere nella minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di
valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti”.
283
“Se una sola parte della cosa soggetta all’usufrutto perisce, l’usufrutto si conserva sopra ciò che
rimane” (art. 1016 c.c.).
141
142
misura in cui il diritto maggiore sia sufficientemente capiente per sopportare il diritto
minore. Una caso di limitata disposizione del bene, da parte dell’usufruttuario, è
quella legale della cessione del proprio diritto. Ai sensi dell’art. 980 c.c.,
“l’usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua
durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo. La cessione deve essere notificata al
proprietario; finché non sia stata notificata, l’usufruttuario è solidalmente obbligato
con il cessionario verso il proprietario”. E’ ammesso, dalla prassi, l’usufrutto
successivo, quello per cui alla morte di un beneficiario, l’usufrutto passa
automaticamente ad un altro, ma, sottolinea parte della dottrina, solo a titolo oneroso
e per atto tra vivi, e ciò in forza dei divieti disposti in materia di donazioni (art. 795
c.c.) e di successioni (art. 698 c.c. secondo il quale “la disposizione con la quale è
lasciato a più persone successivamente l’usufrutto, la rendita o un’annualità, ha
valore soltanto a favore di quelli che alla morte del testatore si trovano primi
chiamati a goderne”).284 L’usufrutto congiuntivo, invece, è previsto dall’art. 678 c.c.,
in materia successoria, laddove si dice che “quando a più persone è legato un
usufrutto in modo che tra di loro vi sia il diritto di accrescimento, l’accrescimento ha
luogo anche quando una di esse viene a mancare dopo conseguito il possesso della
cosa su sui cade l’usufrutto. Se non vi è diritto di accrescimento, la porzione del
legatario mancante si consolida con la proprietà”.
6. DIRITTO DI SUPERFICIE 285
Nato nel diritto romano, quando tutto il suolo era pubblico e veniva concesso solo in
godimento ai privati, il diritto di superficie è rimasto fino a noi. Assai vicino al diritto
di proprietà,286 il diritto di superficie se ne distingue perché, anziché riguardare il
fondo nella sua interezza, esso riguarda soltanto la superficie, appunto. Prima del ’42
era considerato, quindi, come un limite legale al diritto di proprietà. Altra
ricostruzione dogmatica, ne faceva, invece, una servitù di appoggio. Infine la
ricostruzione dottrinale dominante, che lo considerava un diritto a sé stante, è stata
284
GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1998, p. 246.
Quasi desueto è il diritto di enfiteusi. Tra le norme che occorre ricordare, d’interesse notarile, è
l’art. 965 c.c. secondo cui “l’enfiteuta può disporre del proprio diritto, sia per atto tra vivi, sia per atto
di ultima volontà. […] nell’atto costitutivo può essere vietato all’enfiteuta di disporre per atto tra vivi,
in tutto o in parte, del proprio diritto, per un tempo non maggiore di venti anni”.
286
Il superficiario può costituire diritti reali minori, che si estinguono all’estinguersi della superficie
(art. 954 c.c.).
285
142
143
poi recepita dal codice civile moderno. La Legge - art. 952 c.c.- Costituzione del
diritto di superficie- indicherebbe, per la dottrina, due tipi distinti di diritto: A) il vero
e proprio diritto di superficie o ius aedificandi, che consente al suo titolare di
edificare sul suolo su cui insiste il proprio diritto (“di fare e mantenere al di sopra del
suolo una costruzione”); B) la proprietà separata (o superficiaria), cioè la proprietà di
quanto già eretto sul fondo. Secondo la norma, “il proprietario può costituire il diritto
di fare e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne
acquista la proprietà. Del pari può alienare la proprietà della costruzione già
esistente, separatamente dalla proprietà del suolo”.287 Per la verità, in dottrina, non è
così pacifico, se si tratti dello stesso diritto o di due tipi diversi. Parte della dottrina vi
riconosce addirittura tre tipi distinti. E la soluzione non è senza effetti, perché incide
sul regime normativo del diritto. Soltanto il diritto di superficie del primo tipo
assicurerebbe il diritto di riedificare (in caso di perimento della cosa edificata) ex art.
954 c.c., nonché sarebbe usucapibile e suscettibile di ipoteca ex art. 2816 c.c. Il
diritto di superficie, per Legge, può essere costituito a tempo determinato (art. 953
c.c.)288 e, quindi, anche a tempo indeterminato. Si discute, invece, se, il diritto sulla
costruzione, abbia natura originaria o derivativa. Secondo la giurisprudenza avrebbe
carattere di acquisto a titolo originario, libero da pesi o condizioni.289 Così pure la
dottrina maggioritaria che evidenzia, ora l’analogia con l’accessione, ora l’analogia
con la specificazione (o richiama il contenuto dell’art. 922 c.c.). Dalla soluzione della
prima questione deriva la soluzione per la seguente. Si discute, cioè, se il diritto di
superficie sia usucapibile. La risposta, alla luce di quanto esposto (acquisto a titolo
originario), non può che essere affermativa; per esempio, nel caso dell’art. 1159 c.c.,
di esistenza di un titolo astrattamente idoneo che lo preveda.
Legittimati a costituire il diritto sono il proprietario (ma non l’enfiteuta) e
l’usufruttuario, purché i due diritti siano, in qualche modo, compatibili, in virtù del
principio c.d. del diritto su diritto. Anche se un Notaio che si trovò a rogare un atto di
costituzione di un diritto di superficie da parte di un usufruttuario, fu sospeso
dall’esercizio delle funzioni, a titolo sanzionatorio. Il diritto di sopraelevazione è una
variante del diritto di superficie, perché funziona in modo analogo, salvo per il fatto
287
In materia di edilizia economica e popolare vedi la L. 22 ottobre 1971, n. 865.
“allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa
proprietario della costruzione”.
289
Cass. 4 maggio 1989, n. 2084.
288
143
144
che la superficie in oggetto è quella del tetto di un edificio. Il diritto consiste nella
possibilità di costruire sopra il tetto (entro certi limiti, naturalmente!). Sotto il profilo
urbanistico si discute se si necessaria la semplice concessione edilizia o sia
necessario invece il c.d.u. La costituzione del diritto comporta il pagamento di un
indennizzo agli altri condomini, quale riparazione per il depauperamento in millesimi
condominiali e per l’aggravio nell’utilizzo delle parti comuni.
7. DIRITTO D’USO E DI ABITAZIONE
Il diritto d’uso attiene ai beni mobili, di solito arredi accessori di beni immobili, ma
non necessariamente. Il diritto di abitazione riguarda invece il diritto di abitare una
determinata unità immobiliare. Una figura particolare di diritto di abitazione è quella
che nasce in sede di separazione o divorzio. L’abitazione di per sé è un bene
rilevante. Lo diventa, ancora di più, quando è oggetto del contendere tra due coniugi
in lite. La Legge prevede che sia il giudice ad attribuire il diritto, con sentenza.
8. SERVITU’ PREDIALI
Ai sensi dell’art. 1027, “la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo
per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario”. Ciò che viene in
considerazione, in base alla formulazione letterale della norma, sono il carattere
“prediale” della servitù, cioè l’attinenza al fondo, il “peso” in cui si sostanzia, cioè il
sacrificio, materiale e/o giuridico per un fondo, l’utilitas, cioè il vantaggio, materiale
e/o giuridico, che ne discende, in capo ad un altro fondo; quest’altro fondo deve
appartenere a diverso proprietario: è il principio del nemini sua res servit. La servitù
cioè implica dualità di fondi: fondo dominante- fondo servente.290 Il rapporto di
servitù è unilaterale o unidirezionale. Ma può anche accadere che i due fondi siano
tra loro in un rapporto di reciproco servizio per cui sia l’uno che l’altro siano servente
e servito al contempo. Ma si tratta comunque di servitù distinte e separate.
La stessa realità del diritto è però vacillante in alcune fattispecie. Quella dell’art.
1059 c.c. per esempio, laddove è detto che “la servitù concessa da uno dei
comproprietari di un fondo indiviso non è costituita se non quando gli altri l’hanno
290
Un caso particolare è quello dell’appartamento in condominio a cui favore è stabilito un uso più
favorevole. Sul punto la giurisprudenza ha cambiato orientamento ed attualmente non dubita sulla
sussistenza di una servitù in senso proprio se l’uso anomalo comporta modificazione della
destinazione d’uso del bene condominiale. Così Cass. 15 aprile 1999, n. 3749.
144
145
anch’essi concessa unitamente o separatamente. La concessione però fatta da uno dei
comproprietari obbliga il concedente e i suoi eredi o aventi causa a non porre
impedimento all’esercizio del diritto concesso”. Ivi la giurisprudenza di legittimità
ritiene trattarsi di un vincolo di natura obbligatoria,291 anche se non manca qualche
pronuncia che vi riconosce un diritto reale sui generis,292 trascrivibile ai sensi dell’art.
2465 c.c. Quella dell’art. 1029, 2° co., c.c. (c.d. servitù per vantaggio futuro) secondo
cui “è ammessa la costituzione di una servitù per assicurare a un fondo un vantaggio
futuro. E’ ammessa altresì a favore o a carico di un edificio da costruire o di un
fondo da acquistare; ma in questo caso la costituzione non ha effetto se non dal
giorno in cui l’edificio è costruito o il fondo è acquistato”. Si ritiene che anche questa
servitù sia trascrivibile perché l’utilità sarebbe comunque attuale. Il diritto di servitù
è un diritto parziale o speciale: non può depauperare completamente il fondo su cui
insiste ma può incidere solo parzialmente riducendone il godimento in capo al
proprietario.293 Un caso realmente verificatosi riguardava una cessione temporanea di
un fondo da fratello a sorella. Il fratello, per assicurarsi che il fondo potesse tornargli
libero così come ceduto chiedeva al notaio di costituire una servitù di non edificare
per l’intera superficie del fondo. Richiesta che il Notaio non ha potuto accogliere. Un
altro carattere è quello della determinatezza o determinabilità dell’oggetto. La
clausola di stile secondo cui il fondo passa in proprietà “con tutte le servitù attive e
passive” che si ritrova in molti atti notarili lascia qualche dubbio. Così come può dar
luogo ad incertezze l’individuazione per relationem.294 La giurisprudenza fornisce dei
criteri d’ausilio per il notaio: come lo specificare se si tratti di servitù di passaggio di
tipo pedonale o carraia,295 la larghezza, il tipo di veicoli che vi possono transitare, la
qualità del fondo servente e di quello servito.296 Ricordiamo che il diritto di servitù
segue il fondo (c.d. diritto di seguito o di sequela), nel senso che la sua cessione
comporta cessione automatica anche della servitù, attiva o passiva. Si discute in
dottrina e giurisprudenza della sostituibilità di servitù prediali a favore di un terzo
291
Cass., 22 marzo 1975, n. 1091 e più di recente Cass. 18 maggio 2000, n. 6450.
Cass., 11 luglio 1987, n. 3479.
293
Sul punto Cass. 22 aprile 1966, n. 1037.
294
Cass. 5 settembre 2000, n. 11674; Cass. 11 febbraio 2000, n. 1516; Cass. 28 giugno 2000, n. 8802;
Cass. 3 luglio 2000, n. 8885.
295
Cass. 30 marzo 2000, n. 3906.
296
Cass. 3 febbraio 1973, n. 349.
292
145
146
con il meccanismo dell’art. 1411 c.c.297 La giurisprudenza 298 ritiene che non sussista
una generica impossibilità del contratto a favore di terzi a costituire servitù prediali.
Non si possono porre limiti alla quantità e al contenuto della prestazione da farsi al
terzo; può trattarsi di un dare, un facere o un non facere, presente o futuro, o anche la
costituzione di un diritto reale quale un diritto di servitù. Diffusa solo in dottrina
l’opinione negativa, fondata su diversi argomenti: la legge sembrerebbe fare
riferimento, letteralmente, (art. 1411 c.c. e seg.) ad effetti relativi od obbligatori
contro il solo promittente e non ad effetti erga omnes; la legge presuppone, all’art.
1376 c.c., nel contratto con effetti reali, il consenso delle parti legittimamente
manifestato e dunque la partecipazione di tutte le parti che, invece, mancherebbe nel
contratto in favore di terzi; lo stesso argomento storico con cui si negherebbe al
contratto con obbligazioni del solo proponente, ex art. 1333, 2° c.c., effetti reali.
11. PROBLEMA DELL’AMMISSIBILITA’ DELLA COMUNIONE DI DIRITTI
REALI. Si discute in dottrina e in giurisprudenza di una comunione di diritti reali, se
cioè sullo stesso bene possano insistere più diritti reali appartenenti a diversi titolari.
Se, per esempio, sullo stesso bene possano coesistere un diritto di piena proprietà e
un diritto di usufrutto. O, ancora, due distinti diritti di usufrutto, ipotesi che non va
confusa con l’usufrutto congiuntivo di cui all’art. 678 c.c., cui si rinvia. Si discute se
sia ammissibile la comunione di un diritto di servitù, cioè in comune tra titolari di più
fondi dominanti. Prevale l’orientamento favorevole che fa leva sull’art. 1100 c.c., in
materia di comunione. La norma fa un riferimento non limitato alla proprietà, ma
anche ad “altro diritto reale”. In senso contrario si richiama l’art. 1073 c.c. il cui
tenore letterale farebbe desumere la sola esistenza di una comunione della proprietà
escludendo quella di un diritto di servitù.
12. COSTITUZIONE DI DIRITTI REALI MINORI
E’ il c.d. problema generale della possibilità di costituire diritti reali minori. La
soluzione è generalmente favorevole. In virtù del principio c.d. dei diritti su diritti,
secondo il quale la costituzione è ammessa nella misura in cui il diritto maggiore sia
sufficientemente capiente per sopportare il diritto minore. Così, mentre la proprietà
297
GUARNIERI, Costituzione di…, in “Riv. dir. comm.”, (1980), II, p. 339 ss. nota a Cass. 25
febbraio 1980, n. 1317.
298
Cass., 9 luglio 1966, n. 1807
146
147
tollera tutti gli altri diritti reali, la tollerabilità va verificata in concreto per tutti gli
altri diritti reali.
13.
DELL’AMMISSIBILITA’
DI
UNA
RICOGNIZIONE
UNILATERALE
COSTITUIVA DI DIRITTO REALE ALTRUI. Ci si chiede nella prassi se, in
mancanza di un atto pubblico o di un scrittura privata da cui ricostruire l’esistenza di
un diritto reale altrui, sia sufficiente una dichiarazione ricognitiva del titolare del
bene gravato per costituire il diritto. La soluzione sarebbe stata certamente
affermativa in vigenza del codice 1865 che lo prevedeva espressamente all’art. 634
con riguardo al diritto di servitù. Ma non avendo il legislatore del ’42 confermato la
norma, sembrerebbe doversene negare l’ammissibilità nell’ordinamento attuale. Di
questo avviso pure la giurisprudenza, che nega pure l’estensibilità analogica
dell’istituto previsto in materia di debito (art. 1988 c.c.).299 Parte della dottrina
sostiene tuttavia che il legislatore se ne sarebbe semplicemente dimenticato,
conseguendone la possibilità di applicare analogicamente il principio dell’art. 1988
c.c.300
14. GARANZIE REALI: PEGNO E IPOTECA
Le garanzie c.d. reali sono costituite dai privilegi, dal pegno e dall’ipoteca. Il
privilegio ed il pegno sono però istituti di minore rilevanza notarile. Fondamentale
invece l’ipoteca. Ai sensi dell’art. 2808 c.c., Costituzione ed effetti dell’ipoteca,
questa “attribuisce al creditore il diritto di espropriare, anche in confronto del terzo
acquirente, i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatto con
preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione”. Quanto agli aspetti suoi propri
l’istituto è assai vicino alla trascrizione. Come la trascrizione, infatti, essa è
finalizzata alla tutela dei diritti. Analoga, infatti, è la collocazione all’interno del
codice civile: libro VI della tutela dei diritti. L’ipoteca, però, ha caratteri suoi propri.
Per esempio, “si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari” (art. 2808,
2° co., c.c.). l’iscrizione quindi ha efficacia costitutiva dell’ipoteca. La stessa legge
parla poi di specialità (art. 2809 c.c.) con riguardo al fatto che essa “deve essere
iscritta su beni specialmente indicati e per una somma determinata in danaro”. E di
299
300
Cass., SS.UU., 31 marzo 1971, n. 936.
GRANELLI, La dichiarazione ricognitiva di diritti reali, Milano, 1983.
147
148
indivisibilità (art. cit., 2° co.), nel senso che “sussiste per intero sopra tutti i beni
vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte”. L’ipoteca è di fonte legale,
giudiziale o volontaria (art. 2808, 3° co., c.c.). Ivi viene in considerazione soprattutto
quest’ultima, perché il notaio stipula convenzioni tra privati. Ma spesso il notaio è
chiamato a confrontarsi con le ipoteche di fonte legale e giudiziale. L’ipoteca legale,
per esempio, spetta “all’alienante sopra gli immobili alienati per l’adempimento degli
obblighi che derivano dall’atto di alienazione” (art. 2817, n.1, c.c.). E, ancora, ai
“coeredi, i soci e altri condividenti per il pagamento dei conguagli sopra gli immobili
assegnati ai condividenti ai quali incombe tale obbligo” (art. cit., n. 2), c.c.).
L’ipoteca insiste su “1) beni immobili che sono in commercio con le loro pertinenze;
2) l’usufrutto dei beni stessi; 3) il diritto di superficie; 4) il diritto dell’enfiteuta e
quello del concedente sul fondo enfiteutico” (art. 2810 c.c.). Ognuna di queste
ipoteche ha un proprio regime normativo. E, continua la norma citata, “le rendite
dello Stato […] le navi, gli aeromobili e gli autoveicoli secondo le leggi che li
riguardano”. Per l’ipoteca su cosa altrui (art. 2822 c.c.) e su beni futuri (art. 2823
c.c.) valgono i principi in materia di vendita, cui si rinvia. Piuttosto complessa è la
norma (art. 2825 c.c.) in materia di ipoteca di beni indivisi. Diverse sono infatti le
ipotesi contemplate. Una norma fondamentale per l’ufficio del notaio e che
riportiamo per intero è quella dell’art. 2826 c.c. sulle indicazioni: “nell’atto di
concessione dell’ipoteca l’immobile deve essere specificatamente designato con
l’indicazione della sua natura, del comune in cui si trova nonché dei dati di
identificazione catastale” . E continua con una previsione utilizzata dagli interpreti
per risolvere la questione della trascrivibilità dei contratti di vendita di cosa futura e
preliminari di vendita, cui si rinvia, prima dell’intervento della legge di riforma sulla
trascrizione del preliminare. “Per i fabbricati in corso di costruzione devono essere
indicati i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono”. Una questione
posta in tema di oggetto dell’ipoteca è quella della sua mutabilità in itinere, se cioè il
debitore possa, con il consenso del creditore, trasferire il vincolo ipotecario su un suo
diverso bene rispetto a quello originario. Nel silenzio della legge, la soluzione
prevalente in dottrina è in senso contrario, in ragione del carattere di specialità
proprio dell’ipoteca. La tesi opposta richiama l’art. 2825 c.c. che prevede la
trasferibilità dell’ipoteca al diverso bene successivamente assegnato al condividente
debitore in sede di assegnazione divisoria. E l’art. 2866, 2° co., che prevede la
148
149
surrogazione dell’acquirente di immobile ipotecato nelle ragioni dei creditori
soddisfatti. L’ipoteca, ai sensi dell’art. 2821 c.c., prevede che la concessione
d’ipoteca “deve farsi per atto pubblico o per scrittura privata sotto pena di nullità”.
Prevede, ancora, che “può essere concessa anche mediante dichiarazione unilaterale”.
Però chiarisce, infine, che “non può essere concessa per testamento”. L’ipoteca si
iscrive “nell’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si trova l’immobile” (art.
2827 c.c.). Ai sensi dell’art. 2839 c.c., Formalità per l’iscrizione dell’ipoteca, “per
eseguire l’iscrizione deve presentarsi il titolo costitutivo insieme con una nota
sottoscritta dal richiedente in doppio originale”. La nota deve indicare una serie di
elementi identificativi del rapporto giuridico sottostante e di quello che va ad
instaurarsi. Generalmente si discute in dottrina se l’ipoteca possa circolare, al di là
dell’ipotesi espressamente prevista tra creditori ipotecari (art. 2843 c.c.), come altri
beni in commercio. La risposta è prevalentemente di rifiuto, avuto riguardo
all’interesse del debitore ad estinguere quel particolare credito garantito piuttosto che
un altro.301 Ma l’accessorietà che caratterizza la garanzia ipotecaria, secondo altro
orientamento, è un dato genetico e non eternamente rimovibile. La figura del pegno
dà luogo a diverse questioni. La prima riguarda la ricerca di soluzioni che permettano
la costituzione di garanzie pignoratizie più elastiche. Per esempio in punto di validità
di un pegno costituito a garanzia di crediti futuri e indeterminati, sul quale prevale
però l’orientamento negativo in generale. Mentre si ammette, in particolare, che
venga costituito un pegno a garanzia di crediti condizionali, a termine o che possano
eventualmente nascere in dipendenza di un rapporto già esistente.
302
Un problema
diverso è quello delle clausole che mirano a far rientrare nell’oggetto della garanzia
pignoratizia beni futuri o diversi rispetto a quelli oggetto della prelazione originaria.
Anche se si ammettono tali possibilità, esse sono però condizionate dalla dottrina alla
rinnovazione dell’atto costitutivo con l’indicazione del credito garantito e dei beni
costituiti in pegno.303 I problemi creati dal sistema delle garanzie reali hanno portato
la prassi a ricercare nuovi strumenti di garanzia. Come, per esempio, la cessione dei
crediti in garanzia, cui si rinvia. Come veri e propri trasferimenti di beni a scopo di
garanzia. Problema generale che riguarda tutti questi negozi è la loro tollerabilità per
301
GORLA- ZANELLI, Del pegno. Delle ipoteche, Artt. 2784- 2899, quarta ed., in Comm. Cod. civ.
Scialoja- Branca, a cura di Galgano, Bologna- Roma, 1992, p. 24 e ss.
302
GORLA- ZANELLI, cit., p. 368 e ss.
303
REALMONTE, Il pegno, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, 19, Torino, 1965, p. 657 e ss.
149
150
l’ordinamento alla luce del divieto di patto commissorio previsto dall’art. 2744 c.c.
cui si rinvia.
15. TRUSTS IN FUNZIONE DI GARANZIA
L’istituto del trust, già analizzato in altri contesti, ha un suo possibile impiego anche
in materia di garanzie. Valgono le considerazioni generali circa l’ammissibilità o
meno del trust nel nostro ordinamento, cui si rinvia. Ivi, soltanto, la figura si
specifica per lo scopo particolare che la contraddistinguerebbe, quello di garanzia
appunto.
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150
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CAPITOLO NONO
IL NOTAIO E LA COMPRAVENDITA
1. Premesse. 2. Origini storiche. 3. Nozione e caratteri. 4. Oggetto. 5. Vendita di
cose future. 6. Obbligazioni del compratore. Il prezzo. 7. Obbligazioni del
152
153
venditore. 8. Garanzie dall’evizione. 9. Vendita di cosa altrui e di cosa
parzialmente altrui. 10. Garanzia per vizi. 11. Vendita con patto di riscatto.
12. Vendita con patto di riservato dominio. 13. Prelazione urbana. 14.
Prelazione agraria. 15. Preliminare di vendita. 16. Permuta. 17. Datio in
solutum
1. PREMESSE
La compravendita, quella di beni immobili in particolare, è uno dei contratti che il
Notaio è chiamato a stipulare più di frequente.304 La vendita è il primo dei contratti
tipici previsti dal codice civile (capo I del titolo III - dei singoli contratti - del libro
quarto) ed il prototipo dei contratti traslativi. Sotto il profilo sociologico ciò si spiega
per l’importanza che il bene- casa rappresenta. La possibile presenza del notaio,
richiesta dalla legge ai sensi dell’art. 1350 c.c., s’inquadra nell’ambito della funzione
certificativa e di garanzia del Notaio. E in ragione dell’alto valore economico
normalmente associato al bene immobile in sé ed all’operazione commerciale che lo
riguarda.
2. ORIGINI STORICHE
Il contratto di compravendita è antico quanto l’uomo. Dopo la prima forma di
scambio, il baratto, con la nascita dei primi sistemi di valore, le monete, si affermò lo
scambio di un bene a fronte di un prezzo: la vendita. L’istituto attuale trae le sue
origini da quello latino della emptio venditio. Si legge in dottrina che “la
compravendita obbligatoria meramente consensuale è da presumere sorta nel terzo
secolo a.C. nell’ambito del commercio internazionale, e quindi nei rapporti tra
Romani e stranieri, ed estesa nel corso del II secolo a.C. anche ai rapporti tra cittadini
[…] storicamente preceduta da un primo stadio di semplice baratto […] poi da uno
stadio di vendita reale […] e infine da uno stadio di vendita obbligatoria attuata con
ricorso a una duplice stipulatio”. 305
3. NOZIONE E CARATTERI
304
305
CAPOZZI, La compravendita, Milano, 1988.
BURDESE, Manuale di diritto privato romano, III ediz., Torino, 1987, p. 451 e ss.
153
154
Per la legge la vendita è “il contratto che ha per oggetto il trasferimento della
proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto306 verso il corrispettivo di un
prezzo” (art. 1470 c.c.). La vendita è un contratto traslativo: trasferisce la proprietà di
una cosa o altro diritto. E’ un contratto sinallagmatico perché il trasferimento avviene
a fronte del versamento di un prezzo. E’ a titolo oneroso. E’ un contratto
normalmente ad effetti reali. Ma non mancano forme di vendita ad effetti obbligatori
ed anche effetti obbligatori accessori alla vendita ad effetti reali tipica. E’ un
contratto consensuale ex art. 1376 c.c. perché l’effetto si produce per effetto della
prestazione del mero consenso.
4. OGGETTO. BENI IMMOBILI E MOBILI. UNIVERSALITA’ DI
MOBILI.
La disciplina codicistica tiene conto in primo luogo dell’oggetto della vendita: una
cosa mobile o immobile. Ai sensi dell’art. 812 c.c. – distinzione dei beni - “sono beni
immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre
costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che
naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati immobili i
mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla
riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro
utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni”. I beni mobili possono essere “iscritti in
pubblici registri” 8art. 815 c.c.). Inoltre possono essere raccolti in universalità di
mobili (art. 816 c.c.): “la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e
hanno una destinazione unitaria”. Ma può essere oggetto di compravendita anche la
cosa futura, la cosa altrui, la cosa parzialmente altrui. Queste ultime hanno una
disciplina loro propria e per il momento ci limitiamo, conservando l’impostazione
codicistica, a parlare della vendita di cose future, facendo un mero rinvio per le altre,
perché preme prima parlare del regime ordinario o tipico della vendita e, quindi, delle
obbligazioni derivanti dal contratto a carico del venditore e del compratore.
5. VENDITA DI COSE FUTURE
306
Il codice civile del 1865 aveva ad oggetto soltanto il trasferimento di una cosa. Il codice del ’42
l’ha estesa ai diritti.
154
155
Una tipologia di vendita frequente e problematica nella prassi è quella di cosa futura;
in particolare è diffusa nella prassi quella dell’immobile ancora da edificare. La legge
regola l’istituto per quanto concerne il momento in cui si verifica l’acquisto della
proprietà: “non appena la cosa viene ad esistenza” (art. 1472 c.c.). E aggiunge che “la
vendita è nulla se la cosa non viene ad esistenza”. La quaestio iuris verte sul modo di
qualificare questo schema di vendita e, quindi, sulla sua natura giuridica.
L’orientamento prevalente in giurisprudenza l’inquadra nell’ambito delle vendite
obbligatorie. Come accade per altre tipologie di vendita come la vendita di cosa
altrui, la vendita di genere, la vendita alternativa.307 Altra dottrina però ritiene trattarsi
di una fattispecie a formazione progressiva, in cui il negozio può dirsi perfetto solo
con la venuta ad esistenza della cosa. Altri ancora parlano di contratto condizionato
nell’efficacia alla venuta all’esistenza dell’immobile. Il fatto è che lo schema altera il
meccanismo naturale della vendita, sia sotto il profilo dell’oggetto, che non esiste
ancora, sia sotto il profilo temporale, perché l’effetto reale non è immediato, com’è
normale nel contratto di compravendita, ma differito nel tempo. “L’art. 217 ammette
che la comunione tra coniugi possa avere come obietto il godimento dei beni mobili
ed immobili presenti e futuri. Tanto l’ipoteca (art. 2823) che la servitù (art. 1029)
possono avere come obietto beni futuri. In generale l’art. 1348 ammette che la
prestazione di cose future può essere dedotta in contratto salvi i particolari divieti
stabiliti dalla legge. […] E’ consentita la costituzione di servitù a favore od a carico
di edificio futuro (art. 1029, 2° co.). Invece la donazione di beni futuri è nulla, salvo
che si tratti di frutti non ancora separati (art. 771). Discussa è la questione circa la
vendita giudiziale. I patti successori dispositivi e rinunciativi sono vietati (art. 458)
[…]”.308 Una particolare forma di vendita di cosa futura già citata consiste nel mettere
a disposizione dell’imprenditore il terreno, salvo avere successivamente la proprietà
di una quota di ciò che viene edificato. Schema anche questo molto diffuso che dà
però problemi di qualificazione dogmatica309 e crea parecchio contenzioso. E’
accaduto, per esempio, che degli acquirenti di appartamenti ancora da edificare si
siano visti demolire gli immobili acquistati da un imprenditore edile perché la Corte
307
In tal senso, per tutte, Cass. 10 marzo 1997, n. 2126
BIONDI, voce Cosa futura, in “Noviss. Dig. It.”, p. 1021 che richiama a sua volta, tra gli altri,
SALIS, La compravendita di cose future, Padova, 1935 sottolinea, in una breve ed utile rassegna,
come.
309
La giurisprudenza parla di permuta di cosa presente con cosa futura.
308
155
156
d’Appello di Napoli, con sentenza n. 433 del 1988, aveva condannato il loro
venditore a demolire quella parte di fabbricato (in cui si sostanziavano i due
appartamenti, appunto) che insisteva su un’area che, secondo il contratto di vendita
futura stipulato con i proprietari del fondo, in cambio di altri appartamenti dello
stesso fabbricato, avrebbe dovuto invece rimanere sgombra per essere destinata ad
area condominiale per uso di parcheggio.310
6. OBBLIGAZIONI DEL COMPRATORE. IL PREZZO.
La prima obbligazione del compratore è quella di pagare il prezzo della cosa
acquistata (art. 1498 c.c.). Il prezzo è di solito determinato dalle stesse parti, in
seguito a contrattazione o perché prefissato dal venditore, dagli usi o da altre
circostanze esterne ai contraenti (es. prezzi calmierati dallo Stato o da altri enti); ma
la determinazione del prezzo può anche essere affidata ad un terzo c.d. arbitratore
(artt. 1473, 1474, 1349, 1373 c.c.). Se il prezzo non è determinato o determinabile in
alcuno dei modi previsti dalla legge, la vendita è nulla.
7. OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE.
Il venditore è obbligato principalmente (art. 1476 c.c.) a far conseguire la titolarità
del diritto di proprietà della cosa al compratore nonché a consegnare la cosa al
proprietario (art. 1477 c.c.). Inoltre egli deve garantire il compratore dalla evizione e
dai vizi (art.1476, n. 3), c.c.).
8. GARANZIA DALL’EVIZIONE
L’obbligazione di garanzia in capo al venditore, a vantaggio del compratore, è un
effetto naturale del negozio perché prevista dalla legge (art. 1476, n. 3 c.c.): garanzia
dall’evizione e dai vizi. Tale garanzia ha lo scopo di rafforzare il contratto,
assicurandone il risultato. Tuttavia la garanzia può anche essere modificata o
addirittura esclusa (art. 1488 c.c.). Quale ruolo ha il notaio nell’equilibrio delle
garanzie tra le parti? E’ certamente compito del notaio illustrare natura ed effetti
delle clausole di garanzia. Ma non sembra che egli possa spingersi troppo oltre e
senza cautele nell’aumentare o diminuire tali garanzie. Una particolare forma di
garanzia che si realizza nella prassi è quella sul prezzo. Accade spesso che
310
Cass. 10 marzo 1997, n. 2126.
156
157
l’acquirente, anziché versare il prezzo, lo consegni al notaio con l’incarico di
rimetterlo al venditore o ad un terzo soltanto dopo che si verifichi un determinato
evento dedotto in contratto. Il deposito di somme è istituto previsto esso pure dalla
legge notarile che in questo caso s’incrocia con quello della compravendita.311
9. VENDITA DI COSA ALTRUI
Il tema della vendita di cosa altrui viene ivi trattato, nell’ambito delle garanzie,
seguendo il criterio sistematico del legislatore. Ed il tenore delle norme è tale che ci
pare che il Legislatore abbia voluto trattarne come un tipo legale da evitare, per
quanto possibile, regolandolo in funzione patologica piuttosto che fisiologica.
Altrimenti sarebbe trattabile come un mero tipo legale di vendita (art. 1478 c.c.).
Essa è generalmente fatta rientrare nella categoria delle vendite obbligatorie (Cass.
1013/67), assieme alla vendita di cosa futura, alla vendita alternativa ed alla vendita
di cosa di genere nonché alla vendita con riserva della proprietà. Ma la sua natura
giuridica non è così pacifica. Parte della dottrina vi ravvisa una “vendita soggetta a
condizione”, priva però di retroattività. Altri parla di mero “negozio atipico” rispetto
al modello base di vendita. Particolare è la teoria del doppio negozio, secondo cui la
vendita di cosa altrui sarebbe composta di un obbligo di trasferire e del vero e proprio
trasferimento. L’art. 1478 c.c. dice espressamente che il venditore è obbligato a
procurare l’acquisto della proprietà della cosa venduta al compratore se al momento
del contratto non gli apparteneva. E precisa, in merito agli effetti della vendita, al co.
2°, che il “il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista
la proprietà dal titolare di essa”. L’effetto tipico della vendita è pertanto differito.
Nella prassi notarile si usa apporre un termine all’obbligazione del venditore di
assicurare l’acquisto o comunque si usa regolamentare la fase transitoria ed anche
l’eventuale inadempimento per causa imputabile al venditore, per esempio con una
clausola risolutiva espressa ex art. 1456 ovvero una clausola penale ex art. 1382, a
seconda della volontà delle parti e delle circostanze del contratto. Ai sensi dell’art.
1479 c.c. rubricato - Buona fede del compratore - , “1. Il compratore può chiedere la
risoluzione del contratto se, quando l’ha concluso, ignorava che la cosa non era di
proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la
proprietà. 2. Salvo il disposto dell’art. 1223, il venditore è tenuto a restituire
311
Così il Notaio A.R., nell’intervista in Trento del 4 dicembre 2002.
157
158
all’acquirente il prezzo pagato, anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata;
deve inoltre rimborsargli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto.
Se la diminuzione di valore o il deterioramento derivano da un fatto del compratore,
dall’ammontare suddetto si deve detrarre l’utile che il compratore ne ha ricavato. 3. Il
venditore è inoltre tenuto a rimborsare al compratore le spese necessarie e utili fatte
per la cosa, e, se era in mala fede, anche quelle voluttuarie”. Dunque il legislatore
punisce gravemente il venditore che abusi della buona fede del compratore ed è bene
che il notaio avverta il venditore delle conseguenze cui andrebbe incontro a voler
profittare della buona fede altrui. La giurisprudenza ha sottolineato la differenza
dell’istituto rispetto alla promessa del fatto del terzo ex art. 1381 c.c. (Cass. n.
81/2363). Diverso sarebbe l’oggetto stesso dell’obbligazione. In quest’ultima, infatti,
rispetto alla vendita di cosa altrui, il promittente non si obbliga direttamente al
trasferimento ma al facere del terzo e il trasferimento è perciò mediato e successivo.
Inoltre in punto di sanzione per l’inadempimento. La norma dell’art. 1381 c.c.
sanziona la promessa mancata con un mero indennizzo. Mentre il mancato acquisto
nella vendita di cosa altrui costituisce vero e proprio inadempimento. Ciò perché la
promessa del fatto del terzo è notoriamente più rischiosa e, altrimenti, anche l’aver
fatto tutto il possibile costituirebbe comunque e sempre inadempimento. La vendita
di cosa altrui, che postula la consapevolezza dell’altruità della cosa in capo ai
contraenti (Cass. 80/4776), non configura, secondo la giurisprudenza, patto
successorio vietato, quando abbia ad oggetto beni di proprietà di una persona ancora
vivente prima della sua morte qualora il contratto, secondo la comune intenzione
delle parti, abbia l’effetto obbligatorio tipico del procurare l’acquisto senza
considerare il bene quale compreso in una possibile successione, altrimenti nullo
(Cass. 74/527). Una norma che va coordinata con gli artt. 1478 e 1479 c.c., è quella
immediamente seguente sulla – Vendita di cosa parzialmente altrui -. Dice l’art. 1480
c.c. che “se la cosa che il compratore riteneva di proprietà del venditore era solo in
parte di proprietà altrui, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto e il
risarcimento del danno a norma dell’articolo precedente, quando deve ritenersi,
secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui
non è divenuto proprietario; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo,
oltre al risarcimento del danno”. E’, dal diritto romano, la c.d. actio quanti minoris.
158
159
Si discute in dottrina se la norma possa applicarsi soltanto alle cose materiali od
anche alle cose non materiali, come una quota indivisa.
10. GARANZIA PER VIZI
La garanzia per vizi è dovuta quando la cosa venduta risulti inidonea all’uso per il
quale era stato acquistato o di valore inferiore a quello iniziale. Il tal caso il
compratore può restituirla al venditore in cambio del prezzo versato o ottenere una
riduzione di prezzo (artt. 1490, 1492 c.c.), salvo sempre il risarcimento del danno.312
La garanzia per evizione consiste nel tenere indenne il compratore che sia stato
chiamato in giudizio e spogliato del bene per condanna dell’autorità giudiziaria su
rei vindicatio promossa da un terzo. 313 Se l’evizione è soltanto parziale il compratore
ha diritto alla risoluzione del contratto se così ridotto il bene acquistato egli non
avrebbe stipulato (art. 1484 c.c.). Oppure una riduzione del prezzo, oltre al
risarcimento del danno, se la cosa risultò gravata da oneri o diritti di godimento da
parte di terzi (art. 1489 c.c.). Si discute se rientri in questo ambito la vendita di
immobile edificabile soggetto invece a vincoli di inedificabilità dal piano
regolatore.314
11. VENDITA CON PATTO DI RISCATTO315
La vendita con patto di riscatto è una vendita sottoposta a condizione risolutiva
potestativa (artt. 1500- 1509 c.c.): il venditore si riserva il diritto di riavere la cosa
venduta mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalla legge. La
dottrina individua nella vendita de quo uno strumento di natura finanziaria: vendo per
avere liquidità con la speranza di ricomprare non appena possibile. Con la
dichiarazione di riscatto gli effetti della vendita vengono meno e la cosa rientra di
diritto nella sfera patrimoniale del riscattante con effetto retroattivo (art. 1360 c.c.). E
i terzi che nel frattempo l’abbiano acquistata, non possono che rilasciare la cosa (art.
1504 c.c.). L’esercizio del diritto di riscatto è soggetto a termine di decadenza (art.
1501 c.c.) al fine di evitare incertezza sulla sorte del bene troppo protratta nel tempo.
312
TERRANOVA, La garanzia per vizi della cosa venduta, in “Riv Trim.dir.proc.civ.”, (1989), p. 69.
CUBEDDU, La garanzia per evizione nella vendita, in “N.G.C.C.”, 1987, II, 282 ss.
314
Cass. 16 dicembre 1982, n. 6935 in “Giur.it.”, 1984, I, 1, 366; Cass. 11 maggio 1983, n. 3263, in
“Giur.it.”, 1983, I, 1, 1366.
315
LUMINOSO, La vendita con patto di riscatto (artt. 1500- 1509), in Cod.Civ.- Comm. Schlesinger,
Milano, 1987.
313
159
160
Si distingue dal patto di retrovendita che ha effetti meramente obbligatori ed obbliga
il compratore a stipulare un nuovo contratto di vendita in senso inverso.
12. VENDITA CON PATTO DI RISERVATO DOMINIO316
Nella vendita a rate o vendita con riserva della proprietà, molto diffusa nella prassi, si
conviene che il prezzo sia pagato in modo frazionato in cambio però della riserva
della proprietà, donec praetium solvitur cioè finché non sia pagato per intero il
prezzo al proprietario venditore (art. 1523 c.c.). L’effetto reale della vendita è perciò
sospensivamente condizionato al pagamento dell’intero. Gli altri effetti della vendita
si verificano immediatamente, in ragione del consenso prestato.
13. PRELAZIONE URBANA
Durante il rapporto di locazione non abitativa la tutela diretta dell’avviamento viene
attuata attraverso l’attribuzione al conduttore di una prelazione legale per l’acquisto
dell’immobile locato 317 che il locatore intenda trasferire a titolo oneroso (art. 38 l. 27
luglio 1978, n. 392). Presupposto per il diritto di prelazione urbana è che il
conduttore sia imprenditore commerciale la cui attività comporti contatti diretti con il
pubblico degli utenti e dei consumatori. Mentre ai sensi dell’art. 35 della stessa legge
il diritto è escluso con riguardo ai conduttori esercenti nell’immobile locato attività
professionali. “Tale regola si giustifica per il carattere strettamente personale della
prestazione del professionista (art. 2232 c.c.), che fa venire meno, per definizione,
l’avviamento da tutelare in relazione all’immobile nel quale l’attività viene svolta”.318
In dottrina si è sostenuto che la ratio dell’istituto è quella di riunificare la titolarità
dell’immobile e l’impresa in capo all’imprenditore.319 Secondo altri invece la ratio è
quella più specifica di tutelare l’avviamento commerciale, altrimenti non si spiega
perché non sia riconosciuta in altre ipotesi analoghe.320 Secondo la giurisprudenza va
escluso il diritto di prelazione nel caso di vendita in blocco dell’edificio di cui faccia
parte l’immobile locato perché l’intero edificio rappresenta un bene diverso dalle
316
STRADELLA, La vendita con riserva della proprietà, in “N.G.C.C.”, 1987, II, 321 ss.
Per Cass. 12 giugno 1987, n. 5158 in “Arch. loc. cond”., 1989, p. 39, la prelazione deve estendersi
alle superfici inedificate o aree nude.
318
GABRIELLI- PADOVINI, La locazione di immobili urbani, Padova, 1994, p. 371.
319
CERVELLI, La prelazione nell’ipotesi di vendita dell’intero edificio, in “Giust. civ.”, (1982), I,
2835.
320
Corte Cost. 5 maggio 1983, n. 128, in “Foro it.”,(1983), I, 1497.
317
160
161
singole unità abitative, e per valore economico e per gli aspetti accessori che esso
comporta.321
14. PRELAZIONE AGRARIA
L’art. 8, 1° co., legge 26 maggio 1965, n. 590 riconosce il diritto di prelazione in
favore di determinati coltivatori diretti del fondo offerto in vendita, qualora lo stesso,
in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi, non superi il
triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa del titolare del rapporto
agrario. Il diritto di prelazione è subordinato alla pregressa coltivazione biennale del
fondo ed alla mancata alienazione di fondi nel biennio. Requisiti che per la
giurisprudenza vanno dimostrati da chi vanta il diritto.322 Il successivo art. 31, 1° co.,
stabilisce che sono coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si
dedicano alla coltivazione dei fondi ed al governo del bestiame, sempre che la forza
lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per
le normali necessità della coltivazione ed il governo del bestiame. L’art. 8, 2° co., l.
590/1965 esclude il diritto di prelazione quando il fondo sia destinato ad
utilizzazione edilizia, industriale o turistica in base a piani regolatori,323 anche se non
ancora approvati. La ratio di tale esclusione va individuata nella volontà del
legislatore di incentivare la proprietà agraria e di scoraggiare speculazioni edilizie.324
L’art. 7, 2° co., legge 14 agosto 1971, n. 817 riconosce il diritto di prelazione al
proprietario di terreni confinanti. L’art. 7, 3° co., legge 14 agosto 1971, n. 817
stabilisce inoltre che, nel caso di vendita di più fondi, ogni affittuario, mezzadro o
colono può esercitare singolarmente o congiuntamente il diritto di prelazione
rispettivamente del fondo coltivato o dell’intero complesso di fondi.
15. PRELIMINARE DI VENDITA
Il contratto preliminare in generale consiste nell’assunzione di un obbligo di stipulare
un contratto futuro; tale obbligo può anche essere unilaterale (anche se certa dottrina
321
Cass. 24 ottobre 1983, n. 6256, in “Giust. civ.”, (1984), I, 787.
Cass. 4 maggio 1989, n. 2064, in “Giust. civ. Mass”., (1989).
323
La Cass. 6 gennaio 1983, n. 80, in “Giust. civ. Mass.”, (1987), tra le tante, intende in senso ampio il
riferimento ai piani regolatori come relativo a qualsiasi tipo di strumenti urbanistici che fissino la
destinazione agricola.
324
VALLE, Destinazione edilizia della proprietà immobiliare negli strumenti urbanistici e
interpretazione delle norme sulla prelazione agraria nella giurisprudenza, in “Nuovo dir. agr”.,
(1988), p. 291.
322
161
162
lo nega includendo tale figura nel patto di opzione). Si discute in dottrina
dell’ammissibilità di un contratto preliminare di un contratto reale (es. mutuo). La
tesi dell’ammissibilità si basa sul fatto che esiste la promessa di mutuo ex art. 1822
c.c.;si replica in senso contrario che si tratterebbe di una figura atipica di mutuo
consensuale. La tesi dell’inammissibilità si basa sull’argomento che a tale
preliminare non sarebbe applicabile l’art. 2932 c.c. tipica tutela del preliminare; si
replica in senso contrario che non necessariamente deve ricorrere la tutela ex art.
2932 c.c. per potersi configurare un contratto preliminare. Secondo alcuni autori però
sarebbe applicabile sia l’art. 2932 c.c. sia l’art. 2930 c.c. Si discute ancora
dell’ammissibilità del contratto preliminare unilaterale. La tesi dell’ammissibilità è
finalizzata ad estendere al patto di opzione la stessa tutela approntata per il contratto
preliminare. In senso contrario però si sostiene che il preliminare unilaterale sarebbe
un vero e proprio diritto nascente dal contratto di opzione (art. 1331 c.c.): la proposta
rimane ferma per un certo periodo mentre l’altra parte perfeziona con l’attività
negoziale. Circa la forma del preliminare si discute se la forma per relationem sia
richiesta ad substantiam o ad probationem. E ancora della forma del contratto
risolutorio di preliminare avente ad oggetto diritti immobiliari. Alla tesi della stessa
forma del contratto da risolvere, ad substantiam, si contrappone la tesi della forma
libera del mutuo consenso delle parti, anche per facta concludentia. Si discute della
forma delle integrazioni al preliminare: dipende se incidono o meno sulla sostanza
del preliminare. Si discute della sorte del preliminare di vendita della nuda proprietà
con riserva di usufrutto cui segua la morte del cedente prima della stipula del
definitivo. Alla tesi dello scioglimento del contratto per diversità dell’oggetto si
contrappone la tesi della stipulabilità del definitivo con gli eredi; il promissario
avrebbe azione ex art. 2932 c.c. Si discute della ammissibilità del preliminare di
donazione. Alla tesi dell’ammissibilità, basata sul fatto che la coercibilità va vista
con riferimento al preliminare e non alla donazione, si contrappone la tesi prevalente
e tradizionale dell’inammissibilità: sarebbe frustrato il carattere della liberalità. Si
discute dell’ammissibilità del preliminare di società. L’orientamento prevalente è in
senso affermativo; si discute però dell’esperibilità dell’azione ex art. 2932 c.c. Alla
tesi dell’ammissibilità, basata sul fatto che la mancanza dell’affectio societatis non
sarebbe di impedimento, si contrappone la tesi dell’inammissibilità assoluta: anche
nelle società di capitali rilevebbe l’affectio societatis (es. clausole di gradimento). In
162
163
mezzo la tesi intermedia che fa distinzione tra società di persone e società di capitali;
mentre nelle prime rileverebbe l’affectio societatis e sarebbe pertanto inammissibile
la coercizione del consenso; diverso nelle società di capitali dove perciò sarebbe
ammissibile. Si discute delle conseguenze della mancata previsione del termine di
adempimento del preliminare. Alcuni sostengono la tesi della configurabilità di una
proposta irrevocabile ex art. 1331 (rimedio dell’actio interrogatoria). Altri la tesi
dell’immediato adempimento. Si discute della capacità necessaria per la stipula del
definitivo e conseguentemente del collegamento o dell’autonomia tra le due figure.
La tesi della necessaria integrazione preliminare- definitivo e secondo cui la capacità
richiesta per quest’ultimo è la stessa richiesta per il preliminare. La tesi del definitivo
come negozio vero e proprio che richiede un autonoma capacità negoziale. La tesi del
definitivo come atto dovuto che non richiede una capacità negoziale autonoma. Si
discute circa gli effetti dell’invalidità del preliminare sul definitivo. Alla tesi
dell’intangibilità del definitivo si contrappone la tesi dell’invalidazione del definitivo
per il collegamento negoziale. Si discute circa gli effetti dell’invalidità del definitivo
sul preliminare. La tesi della invalidità per collegamento si scontra con quella
contraria della validità del preliminare e con quella della ammissibilità di
stipulazione di un nuovo definitivo valido. Si discute sul momento del decorso del
termine per l’azione di rescissione per lesione. In dottrina sono presenti diverse
posizioni. La tesi del decorso dal preliminare. La tesi del decorso dal definitivo. La
tesi dell’impugnabilità autonoma dell’uno e dell’altro.
16. PERMUTA
L’art. 8, 2° co., legge 26 maggio 1965, n. 590 esclude espressamente la prelazione
agraria in caso di permuta. La giurisprudenza esclude la prelazione urbana con
riguardo alla permuta, non consentendo l’estensione analogica dell’art. 38 l. 372/78,
una norma ritenuta eccezionale.325
325
Cass. 14 gennaio 1988, n. 205, in “Giust.civ”., 1988, I, 1226.
163
164
17. DATIO IN SOLUTUM 326
Per quanto la datio in solutum costituisca una alienazione a titolo oneroso, è un
contratto dalla struttura e lo scopo peculiari, sicché è da escludere che tale negozio
sia compatibile con l’esercizio del diritto di prelazione.327
BIBLOGRAFIA
BIANCA, La vendita e la permuta, in “Tratt. Vassalli”, Torino, 1993, II ed., I, 391.
BIONDI, voce Cosa futura, in “Noviss. Dig. It.”, p. 1021.
BURDESE, Manuale di diritto privato romano, III ediz., Torino, 1987, p. 451 e ss.
CAPOZZI, La compravendita, Milano, 1988.
326
327
GRASSETTI, voce Datio in solutum, in “Noviss.Dig.It.”, Torino, 1960, p. 174.
TRIOLA, La prelazione urbana, Milano, 1990, p. 61.
164
165
CERVELLI, La prelazione nell’ipotesi di vendita dell’intero edificio, in “Giust.
civ.”, (1982), I, 2835.
COSTANZA, Sulla cessione del patto di riscatto, in “Giust. civ.”, 1980, I, 665.
CUBEDDU, La garanzia per evizione nella vendita, in “N.G.C.C.”, 1987, II, 282 ss.
GABRIELLI- PADOVINI, La locazione di immobili urbani, Padova, 1994, p. 371.
GRASSETTI, voce Datio in solutum, in “Noviss. Dig. It.”, Torino, 1960, p. 174.
LUMINOSO, La vendita con patto di riscatto (artt. 1500- 1509), in Cod.Civ.Comm. Schlesinger, Milano, 1987.
SALIS, La compravendita di cose future, Padova, 1935.
STRADELLA, La vendita con riserva della proprietà, in “N.G.C.C.”, 1987, II, 321
ss.
TERRANOVA, La garanzia per vizi della cosa venduta, in “Riv Trim. dir. proc.
civ.”, 1989, p. 69 e ss.
TRIOLA, La prelazione urbana, Milano, 1990, p. 61.
VALLE, Destinazione edilizia della proprietà immobiliare negli strumenti
urbanistici e interpretazione delle norme sulla prelazione agraria nella
giurisprudenza, in “Nuovo dir. agr”., (1988), p. 291.
CAPITOLO DECIMO
IL NOTAIO E LA TRASCRIZIONE
1. Pubblicità in generale. 2. Trascrizione. 3. Fattispecie trascrivibili. Atti
soggetti a trascrizione. Trascrizione del preliminare. Trascrivibilità della
donazione obnuziale. Trascrivibilità della vendita con patto di riscatto.
Trascrivibilità della vendita con patto di riservato dominio. Espropriazione
165
166
immobiliare. Contratto di anticresi. 4. Effetti della trascrizione ex artt. 2644
c.c. 5. Trascrizione di domande giudiziali. Domande giudiziali dirette ad
ottenere l’accertamento giudiziale di scritture private ex art. 2652 . 3 c.c.
Domande di accertamento della simulazione ex art. 2652 n. 4 c.c. Domande
per annullamento o nullità ex art. 2652 n. 6 c.c. 6. Convenzioni matrimoniali.
1. PUBBLICITA’ IN GENERALE
La pubblicità è un istituto di carattere generale.328 Si pensi al Registro delle Imprese
ed alla sua disciplina, per esempio, cui si rinvia. Proprio in quel campo anzi si può
constatare una evoluzione nel senso della onnicomprensività della pubblicità. I tipi di
pubblicità censiti dalla dottrina sono tre: costitutiva, dichiarativa e la pubblicità
notizia. La pubblicità costitutiva, per esempio, è quella tipica dell’ipoteca: essa non
esplica alcun effetto prima della sua iscrizione. La pubblicità dichiarativa ha lo scopo
di rendere opponibile ai terzi un atto che, di per sé, è già efficace e vincolante tra le
parti. Questa è la pubblicità tipica posta in essere con la trascrizione. La pubblicitànotizia è quella che ha il mero scopo di informare i terzi di una certa situazione
giuridicamente rilevante, “senza peraltro che il mancato rispetto delle procedure
fissate a tal fine possa influire sulla sua validità o efficacia”.329
2. TRASCRIZIONE
La trascrizione è lo strumento principe di tutela dei diritti (libro VI del codice civile).
La sua funzione è quella di rendere pubblica la titolarità dei diritti di modo che non
possano sorgere contestazioni di sorta tra gli individui. E’ dunque un sistema
giuridico di pubblicità in virtù del quale risulta titolare chi abbia il proprio diritto
regolarmente trascritto. Questo sistema dà luogo però ad una prima osservazione
circa il coordinamento con il principio con sensualistico (art. 1376 c.c.) che presiede
328
Sull’argomento, tra gli altri, DE LISE, voce Trascrizione (in generale), in “Enc. D”., XXXI, Roma,
1994; TRIOLA, voce Trascrizione, in “Enc.D.”, XLIV, Milano, 1992, 937 e ss.; SICCHIERO, La
trascrizione e l’intavolazione, Torino, 1993; PUGLIATTI, La trascrizione, in Tratt Cicu- Messineo,
XIV, tomo 2, Milano, 1989; MARICONDA, La trascrizione, in Tratt. Rescigno, 19, tomo 1, Torino,
1985, p. 65 e ss.; NICOLO’, La trascrizione, Appunti dal corso di diritto civile a.a. 1971- 72 e 197273, I- II- III, Milano, 1973.
329
SICCHIERO, cit., p. 20.
166
167
alla legislazione contrattualistica. La dottrina la definisce come una delle “questioni
che maggiormente interessano la letteratura”.330 Si parla di prevalenza dell’aspetto
processuale su quello sostanziale. Sicché occorre distinguere due piani: quello
interno tra le parti, per cui i diritti si trasferiscono tra le parti in virtù del semplice
consenso reciprocamente prestato (principio consensualistico) e quello esterno, dei
terzi, tra i quali l’eventuale il secondo avente causa dallo stesso dante causa, cui il
risultato oggettivo del contratto è giuridicamente opponibile nella misura in cui sia
regolarmente
pubblicizzato.
L’ordinamento
germanico
risolve
il
problema
subordinando gli effetti costitutivi dei diritti alla registrazione. E’ il sistema tavolare,
in uso a Trento e Trieste, a base c.d. reale, secondo cui il diritto passa solo con
l’inscrizione nei registri tavolari. Recentemente la Corte di Cassazione ha riaffermato
che “la trascrizione non è costitutiva del diritto di proprietà ma ha solo la funzione
legale di assicurare la priorità di un diritto effettivamente trasmesso e acquistato”.331
La dottrina assegna all’istituto della trascrizione una funzione generale di pubblicità
che si frantuma in tre funzioni di dettaglio: a) dare la situazione attuale relativa alle
vicende immobiliari; b) funzione conservativa; c) funzione sanante. E, in
conclusione, di dirimere i possibili conflitti tra una pluralità di soggetti.332 A quelle
funzioni oggi bisogna aggiungerne altre individuate in dottrina. La trascrizione del
preliminare è infatti generalmente ricondotta nell’alveo di una funzione di
prenotazione. Si parla, invece, di pubblicità con valore di notifica collettiva con
riguardo alla pubblicità richiesta dall’art. 184, 2° co. c.c., per la trascrizione dell’atto
compiuto dal coniuge senza il necessario consenso dell’altro in comunione legale,
con riguardo alla prelazione agraria ed alla prelazione urbana. Si parla di pubblicità
descrittiva con riguardo al vincolo sui beni delle belle arti.
330
SICCHIERO, cit., nella Presentazione.
“Essa quindi non è di ostacolo alla dimostrazione della portata e del contenuto del contratto
trascritto, al fine di stabilire se il diritto a cui il contratto si riferisce è effettivamente venuto ad
esistenza”. Si trattava del contratto tra le quattro sorelle Belleggia che, davanti al Notaio, cedettero al
fratello, a titolo di divisione irrevocabile, un negozio e l’area antistante nonché, a titolo di
assegnazione integrativa della quota, a tacitazione d’ogni ulteriore pretesa, l’area retrostante al
negozio, sospensivamente condizionata però all’esproprio, già previsto dal P.R.G. del Comune di
Roma in approvazione, che però non avvenne mai. Il fratello, cionostante, sosteneva di essere
proprietario di tutto. E perse la causa davanti al Tribunale di Roma, davanti alla Corte d’Appello e,
infine, davanti alla Cass., 19 agosto 2002, n. 12236, in “Il Corr. Giur.”, fasc. n. 11, (2002), p. 1412.
332
LORENZETTO PESERICO, Lezione presso la Scuola di Notariato di Padova del 15 novembre
1996 sulla trascrizione nei registri immobiliari.
331
167
168
3. FATTISPECIE TRASCRIVIBILI. ATTI SOGGETTI A TRASCRIZIONE 333
La dottrina divide la categoria delle trascrizioni possibili in due categorie: a) quella
degli atti, la cui efficacia è regolata unitariamente dall’art. 2644 c.c.; b) quella delle
domande, la cui efficacia è regolata specificamente dagli artt. 2652 e 2653 c.c., di
notevole estensione. Si discute se oggetto della trascrizione sia l’atto giuridico o se
siano gli effetti propri che da quell’atto derivano.334 Autorevole dottrina ritiene
trattarsi di un falso problema: il Legislatore si sarebbe riferito all’atto per renderne
conoscibile l’effetto. Il primo sarebbe l’oggetto immediato, il secondo l’oggetto
mediato. Il legame funzionale è evidenziato dalla stessa Suprema Corte.335 I diritti cui
gli atti fanno riferimento costituiscono una categoria disomogenea. Vi sono
ricompresi diritti reali ma anche diritti personali di godimento, anche se relativi ad
immobili (es. locazione ultranovennale, laddove il locatario è tutelato nei confronti
dell’acquirente dell’immobile locato per tutta la durata del contratto solo se questo è
trascritto). Non rileva che l’atto di trasferimento sia a titolo oneroso o gratuito (es.
donazione), dovendo comunque essere trascritto. Gli atti soggetti a trascrizione sono
quelli perfetti, dotati cioè di efficacia traslativa. Con riguardo alla donazione, per
esempio, occorre l’accettazione perché il trasferimento possa essere trascritto, perché
solo con essa si realizza l’efficacia traslativa. Gli atti soggetti a trascrizione sono
quelli tassativamente elencati dalla legge tanto che il Conservatore rifiuta, sotto la
propria responsabilità, la trascrizione di atti non rientranti nelle categorie di legge. Ai
sensi dell’art. 2663, “la trascrizione deve essere fatta presso ciascun ufficio dei
registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni”. Sulla trascrizione del
contratto preliminare è intervenuta la La legge 28 febbraio 1997, n. 30, che ha
introdotto l’art. 2645 bis c.c.: “1. I contratti preliminari aventi ad oggetto la
conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1) 2) 3) 4) dell’art. 2643, anche se
sottoposti a condizione o relativi ad edifici da costruire o in corso di costruzione,
devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con
sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. 2. La trascrizione del contratto
definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti
preliminari di cui al comma 1° ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta
ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale
333
LORENZETTO PESERICO, cit.
In quest’ultimo senso GAZZONI, Ripetizione negoziale e trascrizione, in “Riv.Not”., 1990, I, 278.
335
Cass. 15 dicembre 1984, n. 6576, in “Giur it.”, (1985), I, 1, 1061.
334
168
169
sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promettente alienante dopo la
trascrizione del contratto preliminare. 3. Gli effetti della trascrizione del contratto
preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data
convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro
tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto
definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto
preliminare o della domanda giudiziale di cui all’art. 2652, 1° co., n. 2).[…]”. Si è
così concluso dunque quel processo definito dalla dottrina di “normalizzazione del
contratto preliminare” che ha condotto, tra l’altro, al riconoscimento espresso della
sua trascrivibilità.336 Sulle modalità della trascrizione ha previsto la stessa legge
(comma 4° e 5°). Si discute in dottrina se sia trascrivibile la donazione obnuziale
prima del matrimonio. E’ noto che la donazione obnuziale non necessita di
accettazione ad hoc producendo comunque i suoi effetti con la celebrazione del
matrimonio. La soluzione dipende da come si ricostruisce l’istituto. Per coloro che
considerano il matrimonio come condizione di fatto, poiché gli atti sottoposti a
condizione di fatto sono trascrivibili, sarà essa stessa trascrivibile. Se, come ritiene
altra parte della dottrina, si tratta di una fattispecie a formazione progressiva o di una
condizione di diritto, la soluzione sarebbe quella opposta.337 Si discute, ancora, della
trascrizione del contratto di vendita con patto di riscatto. Il problema nasce laddove
l’acquirente con patto di riscatto, a sua volta, trasferisca a terzi il bene acquistato. In
tal caso l’esercizio del diritto di riscatto da parte del venditore sarebbe opponibile al
subacquirente soltanto se la vendita sia stata trascritta (art. 1504 c.c.).338 Si discute,
parimenti, della vendita con patto di riservato dominio. La vicenda negoziale è
opposta rispetto alla vendita con patto di riservato dominio. Ivi il venditore rimane
proprietario fino al pagamento dell’ultima rata. Ma se, in caso di inadempimento che
dia diritto a recuperare la cosa, il compratore nel frattempo l’abbia alienata, il
riservato dominio è opponibile ai subacquirenti soltanto se la vendita sia stata
regolarmente trascritta.339 Nel procedimento di espropriazione immobiliare, il
provvedimento finale ha efficacia traslativa del bene esecutato e pertanto va
336
Cosi di MAJO A., La trascrizione del contratto preliminare e regole di conflitto, in “Il Corr Giur.”,
fasc. n. 5, (1997), p. 512.
337
LORENZETTO PESERICO, cit.
338
LORENZETTO PESERICO, cit.
339
LORENZETTO PESERICO, cit.
169
170
regolarmente trascritto. Il problema è il momento in cui si produce l’effetto
traslativo: con il provvedimento di assegnazione o di aggiudicazione o con il
successivo decreto di trasferimento emesso successivamente al pagamento. La
rilevanza pratica risiede nel fatto che nell’intervallo tra le due fasi il procedimento
potrebbe estinguersi. Se si accetta la prima soluzione l’estinzione non travolge
l’effetto traslativo già prodottosi. Se si accetta la seconda, invece, il debitore
esecutato potrebbe non perdere il bene.340 Con l’anticresi il debitore cede il fondo al
creditore non in proprietà bensì nel possesso di modo che questi possa soddisfare il
proprio credito con la percezione dei frutti del fondo. Si tratta di un vero e proprio
svuotamento della capacità economica del bene. Pertanto occorre tutelare l’eventuale
acquirente del fondo dal proprietario debitore. E questo risultato si raggiunge con la
trascrizione.341
4. EFFETTI DELLA TRASCRIZIONE EX ART. 2644 C.C.
L’effetto è duplice: a) tutela dell’atto di acquisto trascritto anteriormente (art. 2644,
1° co., c.c.; es. il pignoramento del bene del debitore esecutato rispetto ad atti
dispositivi successivi); b) regola il conflitto di interessi di più aventi causa dallo
stesso alienante (art. 2644, 2° co., c.c.). In caso di doppia alienazione dello stesso
bene a più acquirenti non si guarda alla conclusione del contratto bensì al momento
della trascrizione: prevale chi, anche se ha concluso successivamente il contratto, lo
ha trascritto per primo. Perde rilevanza persino il fatto che, in astratto, il secondo
avrebbe acquistato da chi non è proprietario. Per risolvere problemi di natura pratica
il Legislatore ha sacrificato principi altrove prevalenti. L’acquirente pregiudicato
però trova tutela in sede di riparazione, di risarcimento del danno extracontrattuale
(si tende ad escludere invece il rimedio della garanzia per evizione).342 Si consideri,
tuttavia, il caso di una doppia alienazione, una posta in essere dal de cuius ed una,
trascritta per prima, dall’erede. In questo caso l’art. 2644 c.c. non trova applicazione
perché alienante non è la medesima persona. Avendo il de cuius fatto uscire il bene
dal proprio patrimonio, l’erede si trova a disporre di un bene che non esiste più nel
340
LORENZETTO PESERICO, cit.
LORENZETTO PESERICO, cit.
342
Per il caso di un consilium fraudis tra venditore e secondo acquirente- primo trascrivente in cui il
giudice ha tutelato le ragioni del primo acquirente- secondo trascrivente ma in buona fede e frodato,
vedasi Cass. n. 76/1982.
341
170
171
patrimonio ereditario.343 In generale si discute circa la sorte del primo negozio non
utilmente trascritto. L’orientamento prevalente è che questo negozio si risolva, venga
meno dall’ordinamento giuridico. Ma non manca chi ritiene invece che il negozio
rimanga in uno stato di quiescenza, potendo recuperare i propri effetti. Il Notaio, ai
sensi dell’art. 2671, ha l’obbligo di trascrivere il negozio nel più breve tempo
possibile ed, in ogni caso, entro trenta giorni dalla stipulazione. Il doppio termine è
giustificato sulla base del doppio interesse sottostante all’ufficio del Notaio:
l’interesse privato degli stipulanti che trova fondamento nel mandato professionale;
l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici che trova fondamento
nell’ufficio di legge. Si discute se il Notaio possa essere dispensato dall’osservanza
del termine. Si richiama l’art. 555 c.p.c. sul pignoramento dov’è espressamente
prevista. La presenza però di un secondo termine non derogabile sembrerebbe far
propendere per la negativa. Un problema analogo si pone quando il Notaio è richiesto
soltanto di autenticare una scrittura privata ex art. 72 l.not. che rimane in originale
alla parte.
5. TRASCRIZIONE DI DOMANDE GIUDIZIALI
La legge parla a volte di trascrizione di sentenze (es. trascrizione della sentenza di
accertamento di intervenuta usucapione), a volte invece già delle domande giudiziali,
questo perché per l’istante potrebbe risultare pregiudizievole attendere l’esito del
processo. Per esempio è trascrivibile la domanda di esecuzione ex art. 2932 c.c.
contro il promettente infedele o a tutela del creditore che aggredisca il patrimonio
stesso del promettente. La sentenza va trascritta quando è definitiva perché altrimenti
nulla aggiungerebbe rispetto all’efficacia della domanda giudiziale. La sentenza ex
art. 2932 c.c., per esempio, una volta emessa, retroagisce al momento della
trascrizione della domanda. Ed anzi, prima della legge 28 febbraio 1997, n. 30 che ha
introdotto l’art. 2645 bis c.c. sulla ammissibilità della trascrizione del preliminare di
vendita, l’acquirente poteva essere tutelato soltanto per questa strada.344 Vediamo le
domande giudiziali dirette ad ottenere l’accertamento giudiziale di scritture private
ex art. 2652 n. 3) c.c. Si pensi ad una compravendita stipulata in forma scritta ma non
suscettibile di trascrizione per mancanza dei requisiti di forma ed una parte si rifiuti
343
344
LORENZETTO PESERICO, cit.
LORENZETTO PESERICO, cit.
171
172
di collaborare per ottenere la trascrizione. L’altra parte adisce le vie giudiziarie per
ottenere la verificazione della scrittura privata. La domanda va trascritta perché
altrimenti l’altra parte, nelle more del processo di verificazione, potrebbe
validamente trasferire la stessa cosa con atto pubblico regolarmente trascritto.345
Quanto alle domande di accertamento della simulazione ex art. 2652 n. 4) c.c., il
Legislatore ha ritenuto qui di tutelare l’acquirente in buona fede dall’avente causa
apparente il quale può bloccare il bene nelle more del processo di accertamento della
simulazione comunque configuratesi. Il Legislatore ha voluto tutelare l’interesse
concreto dell’affidamento del terzo e quello generale della certezza dei rapporti
giuridici.346 Per le domande per annullamento o nullita’ ex art. 2652 n. 6) c.c., si pensi
all’atto di trasferimento nullo per violenza assoluta. Il venditore può ottenere indietro
il bene per nullità della vendita. Ma quid se l’acquirente nel frattempo aliena il bene a
terzi ? l’efficacia del recupero del bene dipende allora dal momento della trascrizione
della domanda giudiziale.347
6. CONVENZIONI MATRIMONIALI
Le convenzioni matrimoniali vanno annotate a margine dell’atto di matrimonio. Ma
come si concilia questa forma di pubblicità con quella della trascrizione sui registri
immobiliari? se ci sono entrambe nulla quaestio. Ma se manca la trascrizione
immobiliare? La dottrina propende per la rilevanza dell’art. 162 c.c., relegandosi la
trascrizione a mera pubblicità notizia.348 Il Notaio ha obbligo di trasmettere entro
trenta giorni la convenzione matrimoniale al comune di celebrazione del matrimonio
per l’annotazione, alla quale provvede su autorizzazione della procura della
repubblica.
345
LORENZETTO PESERICO, cit.
LORENZETTO PESERICO, cit.
347
LORENZETTO PESERICO, cit.
348
LORENZETTO PESERICO, cit; si rinvia a quanto già esposto in sede di regime patrimoniale dei
coniugi ed alla giurisprudenza colà citata..
346
172
173
BIBLIOGRAFIA
DE LISE P., voce Trascrizione (in generale), in “Enc. D”., XXXI, Roma, 1994.
di MAJO A., La trascrizione del contratto preliminare e regole di conflitto, in “Il
Corr Giur.”, fasc. n. 5, (1997), p. 512.
GAZZONI, Ripetizione negoziale e trascrizione, in “Riv.Not”., 1990, I, 278.
LORENZETTO PESERICO, Lezione presso la Scuola di Notariato in Padova del 15
novembre 1996 sulla trascrizione nei registri immobiliari.
MARICONDA, La trascrizione, in Tratt. Rescigno, 19, tomo 1, Torino, 1985, p. 65 e
ss.
NICOLO’, La trascrizione, Appunti dal corso di diritto civile a.a. 1971- 72 e 197273, I- II- III, Milano, 1973.
173
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PUGLIATTI, La trascrizione, in Tratt Cicu- Messineo, XIV, tomo 2, Milano, 1989.
SICCHIERO, La trascrizione e l’intavolazione, Torino, 1993.
TRIOLA, voce Trascrizione, in “Enc.D.”, XLIV, Milano, 1992, 937 e ss.
PARTE QUARTA
174
175
CAPITOLO UNDICESIMO
IL NOTAIO E IL CONTRATTO
1. Premessa. 2. Delle obbligazioni in generale. 3. La cessione dei crediti. 4.
Delegazione, espromissione e accollo. 5. Alcune specie di obbligazioni. 6. Il
contratto in generale. 7. La formazione del contratto. Il contratto con obbligazioni del
solo proponente. Opzione. 8. Requisiti del contratto. Accordo delle parti. Trattative e
responsabilità de contraendo. Causa del contratto. Causa illecita. Contratto in frode
alla legge. Motivo illecito. Oggetto del contratto. Forma del contratto. 9. Contratto
condizionale. Condizione meramente potestativa. Pendenza della condizione. Effetti
principali della condizione. Casistica. 10. Termine e Modus. 11. Effetti del contratto.
Mutuo dissenso. Recesso unilaterale. Ipotesi di recesso legale. 12. Rappresentanza
nel contratto. Procura. Mandato. Rappresentanza senza potere. Gestione di affari
altrui. 13. Contratto per persona da nominare. 14. Cessione del contratto. 15.
175
176
Contratto a favore del terzo. 16. Simulazione. 17. Invalidità del contratto. 18. Mutuo.
19. Transazione. 20. Rendita. Contratti aleatori. 21. Cessio bonorum 22. Leasing
1. PREMESSA
Compito precipuo del Notaio, lo abbiamo visto nella prima parte, tra l’altro, è quello
di presiedere alla stipulazione dei contratti nell’interesse delle parti. Il contratto,
assieme al testamento, è il prodotto finito tipico del servizio notarile. Quando si
chiama uno studio notarile chiedendo di parlare col Notaio, spesso la risposta della
segretaria al telefono è “il Notaio sta stipulando”. La disciplina normativa dei
contratti è estremamente complessa ed è stata assai studiata ed approfondita
attraverso le diverse epoche storiche del diritto. Ed impegna non poco il notaio
ancora oggi, specie con riguardo agli istituti nuovi o con il dover adeguare quelli
vecchi ai mutamenti della società. Già dire cosa sia un contratto è dogmaticamente
impegnativo. Scrive un autore che “lo strumento contrattuale […] rappresenta il
mezzo più adatto per raggiungere l’ideale della collaborazione volontaria”.
349
Ci
rimettiamo ancora una volta al dettato normativo. Partendo – però - dal mattone dei
contratti, l’obbligazione.
2. DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
L’obbligazione è “un […] vincolo giuridico che impone ad un determinato soggetto
(il debitore) di tenere un dato comportamento (cioè di compiere una data prestazione)
al fine di soddisfare un interesse proprio di altra persona determinata”.350 Chiarito
dalla dottrina cosa sia un’obbligazione, in generale, la legge precisa, a proposito delle
fonti dell’obbligazione, – all’art. 1173 c.c. - che essa nasce “da contratto, da fatto
illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento
giuridico”. Uno di questi altri atti idonei è, per esempio, la sentenza. L’art. 2908 c.c.
prevede che “nei casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire,
modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi
causa”. Ai sensi dell’art. 1174 c.c. l’obbligazione “deve essere suscettibile di
valutazione economica e deve corrispondere a un interesse anche non patrimoniale
del creditore”. L’art. 1182 c.c. regola il luogo dell’adempimento per il caso che
questo non sia stato deciso. La stessa cosa fa l’art. 1183 c.c. con riguardo al tempo
349
350
TRABUCCHI, Istituzioni di diritto privato, 1990, Padova, XXXI ed., p. 590.
GAZZONI, Manuale di diritto privato, Milano, 1998, p. 527.
176
177
dell’adempimento. Gli artt. 1184- 1187 c.c. regolano il caso che sia fissato un
termine per l’adempimento. Gli artt. 1188- 1196 c.c. si occupano del pagamento. Per
la datio in solutum si rinvia al capitolo sulla compravendita, in collegamento con la
quale è stata trattata. Il modo di estinzione naturale delle obbligazioni è
l’adempimento. Ma ve ne sono altri diversi dall’adempimento. Il primo che viene in
considerazione è la novazione. Lo dice lo stesso nomen iuris che il fenomeno si
sostanzia nella sostituzione della vecchia obbligazione con una nuova. La novazione,
per la stessa legge, è di due tipi: oggettiva e soggettiva, a seconda che venga a
cambiare l’oggetto o il titolo dell’obbligazione (art. 1230 c.c. ) piuttosto che le parti
della stessa (il debitore ex art. 1235 c.c.). Un altro modo di estinzione
dell’obbligazione diverso dall’adempimento è la remissione del debito (artt. 1236 e
ss. c.c.). Abbiamo, ancora, la compensazione (art. 1241 e ss. c.c.), che si ha quando
due persone sono obbligate reciprocamente l’una all’altra, salvo alcuni casi in cui la
compensazione non è possibile. Infine la confusione, che si ha quando la qualità di
creditore e di debitore si concentrano in capo ad un’unica persona.
3. CESSIONE DEI CREDITI
“Il creditore può trasferire […] il suo credito” esordisce l’art. 1260 c.c. E aggiunge
“purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non
sia vietato dalla legge”. Il credito può costituire, dunque, entro certi limiti, bene
autonomo suscettibile di essere oggetto di atti traslativi. Il 2° co. pone ulteriori limiti,
precisando che “le parti possono escludere la cedibilità del credito”.351 E l’art. 1261
c.c pone addirittura alcuni divieti di cessione. Si discute in dottrina e giurisprudenza
della natura giuridica dell’istituto. Si discute in particolare se si tratti di un negozio
dotato di propria causa e quindi con dignità autonoma. Se si tratti invece di un
negozio complesso con duplicità o molteplicità di cause; secondo un orientamento
giurisprudenziale “è un negozio a causa variabile, potendo questa consistere in
qualsiasi causa tipica degli atti traslativi”.352 O se, ancora, come riteniamo, si tratti di
un mero schema negoziale che si adatta ad altri negozi sottostanti. E questo
spiegherebbe, per esempio, la sua collocazione tra istituti giuridici “di servizio” e non
351
Ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della
cessione”.
352
Corte d’App. Reggio Calabria 14 giugno 1990, in “Riv.Not”., 1991, 170.
177
178
tra i singoli tipi di contratto. La cessione può essere fatta a “a titolo oneroso o
gratuito”. Quando è fatta “a titolo oneroso il cedente è tenuto a garantire l’esistenza
del credito al tempo della cessione” ai sensi dell’art. 1266 c.c. “La garanzia può
essere esclusa per patto ma il cedente resta sempre obbligato per il fatto proprio”. “Se
la cessione è a titolo gratuito, la garanzia è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la
legge pone a carico del donante la garanzia per l’evizione”. La cessione può avvenire
“anche senza il consenso del debitore” prosegue l’art. 1260 c.c. Tuttavia la
successiva norma dell’art. 1264 prevede che ”la cessione ha effetto nei confronti del
debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata”. Gli
interessi contrapposti della circolazione dei crediti e quello della certezza
dell’identità del proprio creditore in capo al debitore vedono prevalere il primo, nella
logica del legislatore, nell’ottica del favor commerci. Ai sensi dell’art. 1267 c.c. “il
cedente non risponde della solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la
garanzia”. La dottrina in proposito, sul piano terminologico, distingue la cessio pro
solvendo e la cessio pro soluto.
4. DELEGAZIONE, ESPROMISSIONE E ACCOLLO
La delegazione si verifica “se il debitore assegna al creditore un nuovo debitore, il
quale si obbliga verso il creditore” (art. 1268 c.c.). E’ quello che si verifica quando
utilizziamo la carta di credito per acquistare un bene. Il nostro dante causa riceverà il
pagamento dalla banca che pagherà in virtù del rapporto di provvista instaurato
all’atto dell’apertura del conto corrente bancario. L’espromissione si verifica quando
“il terzo che, senza delegazione del debitore, ne assume verso il creditore il debito”
(art. 1272 c.c.). E’ il caso del padre che paga il debito contratto dal figlio. L’accollo
si verifica “se il debitore e un terzo convengono che questi assuma il debito
dell’altro” (art. 1273 c.c.). E’ il caso del garante che interviene e paga per il debitore,
salvo successiva rivalsa.
5. ALCUNE SPECIE DI OBBLIGAZIONI
La Legge dedica infine particolare attenzione ad alcune specie di obbligazioni come
le obbligazioni pecuniarie, le obbligazioni alternative, le obbligazioni solidali, le
obbligazioni naturali. Le obbligazioni naturali si caratterizzano per essere sprovviste
di tutela giudiziaria, sicché l’adempimento è rimesso alla spontanea volontà del
178
179
debitore, il quale, tuttavia, una volta che abbia adempiuto, non può chiedere indietro
quanto prestato.
6. IL CONTRATTO IN GENERALE
La centralità del contratto nel sistema del diritto privato deriva dal fatto che esso
rappresenta la fonte delle obbligazioni per eccellenza (ex art. 1173 c.c.), idoneo a
creare effetti obbligatori ma anche effetti reali. Non tutti gli ordinamenti riconoscono
alla fattispecie “contratto” una sfera di operatività così ampia. Nello stesso sistema di
civil law il ceppo di tipo germanico nega il trasferimento diretto del diritto di
proprietà per contratto, essendo necessaria la consegna del bene venduto. Si consideri
la legge sui libri fondiari vigente in Alto Adige ed in Friuli Venezia Giulia che
conserva ancora quel tipo di meccanismo. In senso contrario l’ordinamento italiano,
francese e spagnolo che hanno avuto origine dal ceppo di natura romanza.353 Le
norme sul contratto in generale si applicano a tutte le specie di contratto, tipiche e
atipiche. Per l’art. 1324 c.c. la disciplina del contratto si estende agli atti unilaterali
tra vivi aventi contenuto patrimoniale, esorbitando dall’incontro di due volontà e
regolando fattispecie più semplici strutturalmente per la presenza di un’unica
volontà.354 La normativa si dipana attraverso la previsione dei requisiti, degli
elementi strutturali, degli elementi accidentali, dei meccanismi di funzionamento,
dalla sua formazione alla sua efficacia, nelle sue diverse specie, compresa l’eventuale
fase patologica di rimozione del contratto invalido. La definizione legale dell’art.
1321 c.c. è composta da un profilo strutturale (“accordo di due o più parti”) ed uno
funzionale (“diretto a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico e
patrimoniale”).355
7. LA FORMAZIONE DEL CONTRATTO
I meccanismi di conclusione del contratto che il Legislatore avrebbe potuto adottare,
come evidenziato dalla dottrina, sono diverse.356 Numerose sono già quelle
contemplate dalla stessa legge. Tutte si basano sull’avvicinamento progressivo delle
353
Così il prof. GABRIELLI alla lezione di diritto civile del 13 gennaio 1992 presso l’Università di
Trieste.
354
Così GABRIELLI ult. cit.
355
Così GABRIELLI ult. cit.
356
GORLA, “Ratio decidendi”, principio di diritto e “obiter dictum”. A proposito di alcune sentenze
in tema di revoca dell’offerta contrattuale, in “Foro it.”, 1964, V, c. 89 ss.
179
180
volontà fino alla loro fusione, in un’unica volontà, quella contrattuale, secondo un
vero e proprio iter procedimentale.357 Il modello base di formazione del contratto è
quello dell’art. 1326 c.c., basato, anch’esso, su un meccanismo di stratificazione
progressiva di manifestazioni di volontà delle parti fino a raggiungere un’unica
volontà che si sostanzia nel contratto. Infatti, per la Legge, “il contratto è concluso
nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra
parte” . E, soprattutto, “un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova
proposta”. La Legge pone una regola precisa in merito a proposta e accettazione,358
attribuendo loro natura di veri e propri atti recettizi359 (e superando così la diversa
teoria della mera cognizione). Per l’art. 1335 c.c.- presunzione di conoscenza -,
infatti, “la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a
una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono
all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa,
nell’impossibilità di averne notizia”. La questione generale di stabilire quando possa
considerarsi formato il contratto o meno non è però così semplice, tanto che la
giurisprudenza di merito fatica non poco a stabilire a posteriori quando esiste un
contratto o meno.360 Le modalità di conclusione tipiche del contratto, come
anticipato, sono diverse. L’art. 1327 c.c. rubricato “esecuzione prima della risposta
dell’accettante” prevede che “qualora, (...), la prestazione debba eseguirsi senza una
preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto
inizio l’esecuzione. L’accettante deve dare prontamente avviso all’altra parte della
iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento del danno”. Sia la
proposta che l’accettazione normalmente sono revocabili. Per l’art. 1328 c.c.
rubricato “revoca della proposta e dell’accettazione” “la proposta può essere revocata
finché il contratto non sia concluso. Tuttavia, se l’accettante ne ha intrapreso in
buona fede l’esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a
indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto.
L’accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del
357
SCHLESINGER, Complessità del procedimento di formazione del consenso e unità del negozio
contrattuale, in “Riv. trim. dir. proc. civ.”, 1964, p. 1345 ss.
358
Si discute se siano meri atti giuridici o negozi avendo una loro autonoma rilevanza ed effetti. In
quest’ultimo senso, attribuendovi la qualifica di negozi preparatori, cioè finalizzati alla conclusione
del contratto, GABRIELLI, Il rapporto giuridico preparatorio, Milano, 1974.
359
GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959.
360
Cass., Sez. I, 3 luglio 1968, n. 2211, in “Foro pad.”, fasc. 2, (1969).
180
181
proponente prima dell’accettazione”. Il proponente può obbligarsi anche soltanto
tenendo ferma la sua proposta. Ai sensi dell’art. 1329 c.c., rubricato appunto
“proposta irrevocabile”, “se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la
proposta per un certo tempo, la revoca è senza effetto. Nell’ipotesi prevista dal
comma precedente, la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie
efficacia alla proposta, salvo che la natura dell’affare o altre circostanze escludano
tale efficacia”. L’impegno unilaterale è la proposta ferma di una delle parti. E’
previsto però anche un contratto – il patto di opzione361 – con cui le parti convengono
che l’una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e che l’altra abbia
facoltà di accettarla o meno. Art. 1331- opzione “quando le parti convengono che una
di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia facoltà di
accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta
irrevocabile per gli effetti previsti dall’art. 1329. Se per l’accettazione non è stato
fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice”.362 La proposta, nel
contratto con obbligazioni del solo proponente, è irrevocabile appena ricevuta dal
destinatario. Il rapporto si costituisce con il mancato rifiuto da parte del destinatario
(art. 1333 c.c.). La dottrina vi include i contratti a titolo gratuito, con l’eccezione
della donazione, che richiede la forma dell’atto pubblico. La ratio dell’istituto è
individuata “nell’esigenza di semplificare la costituzione del rapporto quando il
destinatario dell’atto del dichiarante non è esposto a pregiudizio dall’efficacia
dell’atto”.
363
Ci sono però diverse questioni dogmatiche sull’istituto de quo. E’
revocato in dubbio dalla dottrina se per la fattispecie de quo possa parlarsi di
contratto in senso stretto, essendo questo basato su un accordo che qui sembra
mancare. In senso affermativo si deduce che il mancato rifiuto non sarebbe altro che
una accettazione tacita.364 Si discute in dottrina se sia possibile all’oblato provare che
nel caso concreto il silenzio non realizzi accettazione. La dottrina prevalente è in
361
CESARO, Il contratto e l’opzione, Napoli, 1969; FORCHIELLI, Patto d’opzione e condizione
potestativa, in “Riv. trim. dir. proc. civ.”, 1948.
362
Altra forma di perfezionamento del contratto è l’offerta al pubblico (art. 1336 c.c.) secondo cui
“l’offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è
diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi. La revoca
dell’offerta, se è fatta nella stessa forma dell’offerta o in forma equipollente, è efficace anche in
confronto di chi non ne ha avuto notizia”.
363
BIANCA, Il contratto, 3, Milano, 1998, p. 263.
364
SEGNI, Autonomia privata e valutazione legale tipica, Padova, 1972, segnalato da BIANCA, cit.,
p. 265, nota 333.
181
182
senso favorevole individuando nel silenzio una mera presunzione di accettazione.365
Si discute ancora se l’istituto della formazione del contratto mediante mancato rifiuto
possa applicarsi ai negozi traslativi di diritti reali. La dottrina è in senso negativo.366
La giurisprudenza ha ammesso la sua applicabilità con riguardo al contratto di
fideiussione.367
8. REQUISITI DEL CONTRATTO
Gli elementi strutturali del contratto sono quattro (art. 1321 c.c.): l’accordo delle
parti, la causa, l’oggetto, la forma quando richiesta dalla legge. Prima di vederli
analiticamente, occorre precisare che è compito del notaio, in sede di controllo di
legalità e di adeguamento, come descritti nella prima parte, far sì che ricorrano i
requisiti utili per configurare un contratto valido o, rectius, il contratto richiesto dalle
parti in conformità della legge. L’accordo delle parti è l’essenza nucleare del
contratto. Ma questo dato non sempre, come anticipato, è così facile da rilevare. In
primo luogo la stessa legge pone alcuni dubbi. Uno degli istituti problematicità in
punto di accordo è il contratto con sé stesso (art. 1395 c.c.)368, che può verificarsi
quando un soggetto si trovi a rappresentare entrambe le parti contrapposte. C’é un
accordo nel contratto con sé stesso? Si tratta di un vero e proprio contratto? e’
applicabile la disciplina generale sui contratti oppure no? In dottrina si rilevano tre
posizioni: quella del mero atto unilaterale, quella dell’accordo con iter formativo
particolare, quella dell’accordo a formazione unilaterale. La rilevanza della questione
sarebbe legata alla necessità di escludere l’applicabilità di alcuni istituti propri del
contratto.369 In secondo luogo anche la giurisprudenza, nelle fattispecie concrete,
fatica a rilevare l’esistenza o meno di un accordo e sull’argomento spesso è divisa. E
dice, in generale, che il contratto è formato quando le parti abbiano manifestato le
loro volontà in modo definitivo sui punti fondamentali del contratto. La Legge
365
Così GABRIELLI alla lezione di diritto civile presso l’Università degli studi di Trieste, anno
accademico 1991-92 che faceva il caso dei soci di una s.n.c. che non facciano in tempo ad accordarsi
per il rifiuto di una prestazione e dei coniugi in disaccordo in merito all’accettazione o meno di una
donazione obnuziale.
366
Così GABRIELLI, ult. cit.
367
Cass. 19 gennaio 1979, n. 424 segnalata da BIANCA, cit., p. 264, nota 331.
368
BALBI, Il contratto con se stesso, in “Noviss. Dig. It.”, IV, p. 591.
369
Così il prof. GABRIELLI alla lezione di diritto civile del 14 gennaio 1992 presso l’Università di
Trieste che faceva propria l’ultima delle tre posizioni. E richiamava il BIANCA, Il contratto, vol. 3°,
Milano, 1998, p. 262, secondo il quale il contratto è possibile quando vi sia sfasatura temporale tra le
dichiarazioni di proposta e quella di accettazione.
182
183
interviene spesso a integrare le lacune di disciplina dei contratti. Ma alcuni elementi
sono irrinunciabili. In quel caso il contratto è inesistente, mai venuto ad esistenza nel
mondo giuridico e privo di forza precettiva. Alcune osservazioni in tema di trattative
e responsabilità de contraendo, perché il momento che precede il perfezionamento
del contratto, poiché è comunque suscettibile di creare affidamenti, è parimenti
rilevante per la Legge. Infatti, ai sensi dell’art. 1337 c.c. “trattative e responsabilità
precontrattuale”, “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del
contratto, devono comportarsi secondo buona fede”. Si tratta di un generale obbligo
di correttezza che è sanzionato con la c.d. responsabilità de contraendo.370 Nello
stesso solco la norma successiva dell’art. 1338 “conoscenza delle cause d’invalidità”
ove si afferma che “la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una
causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte, è tenuta a
risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua colpa, nella validità
del contratto”. La Legge chiarisce espressamente un tipo di responsabilità per la mala
fede, provata s’intende, di uno dei contraenti a danno dell’altro. Il Notaio, in quanto
dominus della trattativa che si svolge davanti a lui, ha quella funzione di
adeguamento che abbiamo ampiamente descritto nella prima parte ed esercita
conseguentemente la diversa funzione, quella di controllo, parimenti trattata. E
pertanto non dovrebbero mai trovare applicazione, per i contratti stipulati presso di
lui, forma alcuna di responsabilità siffatta. Ed anzi occasioni del genere dovrebbero
essere dal notaio sapientemente evitate, in funzione antiprocessuale. Anche se la
dottrina, quella notarile in particolare, tenta di resistere all’imputazione in capo al
Notaio di questo tipo di indagine, argomentando dalla mancanza di discrezionalità in
capo al Notaio.
La causa del contratto dà problemi con riguardo alla sua stessa nozione. Non siè
ancora compreso cosa essa sia veramente. Secondo la concezione soggettiva è lo
scopo che ciascuna parte persegue con l’assumere il vincolo; in contrario si sostiene
che si farebbe confusione tra due aspetti diversi quali il regolamento di interessi
disposto dalle parti, cioè il contenuto del contratto, basato sulle ragioni soggettive
(motivi) delle parti, e la funzione del contratto, che deve invece necessariamente
assumere carattere oggettivo e tipico. In altri termini la volontà delle parti sarebbe
assorbita dalla causa del contratto perdendo autonoma rilevanza. Secondo questa
370
BIANCA, Il contratto, cit.,p. 159.
183
184
diversa concezione oggettiva la causa è “la funzione o ragione di essere del negozio
in generale”, “la funzione economico-sociale di un tipo di negozio riconosciuto dal
diritto”. Altra parte della dottrina invece distingue “causa” e “tipo” laddove la prima
consisterebbe nella realizzazione di “interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento” ex art. 1322 c.c., una sorta di parametro di controllo di ammissibilità,
mentre il “tipo” si riferirebbe al momento della qualificazione, agli effetti che
struttura e regole possono produrre. Ma in contrario ci si chiede quando si
verificherebbero allora le ipotesi di mancanza (art. 1325 c.c.) o di illiceità della causa
(art. 1418 c.c.). Premesso che, ai sensi dell’art. 1418, 2° co., c.c. l’illiceità della causa
produce nullità del contratto, essa si avrebbe quando la determinazione causale “è
rivolta ad un obiettivo pratico oggettivamente contrario alla norma imperativa di
legge o all’ordine pubblico; e l’illiceità dello scopo pratico, e cioè dell’interesse
concreto sottostante al negozio, si riverbera su di esso, dando luogo ad un “abuso
della funzione strumentale del negozio”. Si risolve nella “mancanza della funzione
negoziale” contemplata dalla legge, nella “non rispondenza del negozio alla causa”
ma che non coincide né con il raggiungimento di un risultato illecito né con
l’esistenza di un motivo illecito comune e determinante delle parti, autonomamente
rilevante. Si discute se dia luogo a causa illecita ogni contrarietà a norme imperative
proibitive o soltanto a quelle munite di sanzione civile e penale (plus quam
perfectae), o solo civile (perfectae) con esclusione di quelle munite di sola sanzione
penale (minus quam perfectae) o non munite di sanzione alcuna (imperfectae). La
questione pare superata dall’art.1418 che sancisce la nullità del contratto a
prescindere dalla comminazione espressa della sanzione. Certo è che a certe sanzioni
penali non corrisponde l’invalidità del negozio (art. 2126 II cod.civ.). In linea di
massima si può dire che dà luogo a illiceità quella contrarietà che conduce le parti
all’obiettivo che invece il Legislatore ha voluto proibire. Ordine pubblico
internazionale, inteso quel sistema di norme che impedisce l’applicazione nel
territorio di norme straniere contrarie agli interessi fondamentali dello Stato italiano e
ordine pubblico interno, inteso come compendio di principi normativi che, secondo
gli indirizzi seguiti dal vigente ordinamento, non possono cedere all’ordine privato
che le parti intendono instaurare mediante gli atti di autoregolamento dei propri
interessi. In questo senso l’ordine pubblico comprende anche norme di diritto privato
(art. 5 c.c., atti di disposizione del proprio corpo). Ci si trova di fronte ad un criterio
184
185
sensibile all’evolversi dei tempi perciò elastico ed approssimativo e che fa
riferimento alle “norme sociali” vigenti in un determinato contesto storico e
geografico. Casi emblematici sono i negozi compiuti in violazione della morale
sessuale, i negozi legati al gioco d’azzardo, i negozi che incidono sulle libertà
fondamentali della persona, i patti per il compimento, contro un prezzo, di una
prestazione che si ha il dovere di compiere o l’astensione da un dovere di fare. Qui
giova ricordare la regola della irripetibilita’ del pagato sancita dall’art. 2035 per cui
chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisce
offesa al buon costume, non può ripetere quanto ha pagato. “Nemo auditur
turpitudinem suam allegans”.
Ai sensi dell’art. 1344 c.c., - contratto in frode alla legge- “Si reputa altresì illecita la
causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma
imperativa”. Ai sensi dell’art. 1345 c.c. - motivo illecito - “il contratto è illecito quando
le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito
comune ad entrambe. Malgrado la distinta previsione normativa, certa dottrina nega
l’autonomia concettuale di questa figura identificandola con la causa illecita
presupponendo un dato egualmente oggettivo.
Quanto alla forma, essa è definita dalla dottrina come quell’insieme di simboli di tipo
linguistico cui si attribuisce un particolare significato convenzionale attraverso i quali
la dichiarazione di volontà acquisisce rilevanza. Il principio generale dell’ordinamento
giuridico nazionale è quello della libertà delle forme, che deriva già dall’ordinamento
francese napoleonico. La forma richiesta ad substantiam, cioè per la validità stessa
dell’atto, o ad probationem, cioè soltanto a fini probatori, rappresentano delle vere e
proprie eccezioni. Lo si desume per quanto espressamente previsto dall’art. 1325, n.
4) c.c. sui requisiti del contratto (sicché parte della dottrina distingue le fattispecie
contrattuali in due categorie: quelle a quattro requisiti e quelle a tre requisiti) nonché
dall’art. 1350 n. 13) c.c. sulla forma per iscritto, norma eccezionale non estensibile
analogicamente. La forma può essere imposta dalla Legge anche ad altri fini. Si pensi
all’efficacia dei titoli esecutivi ex art. 474, 2° co., c.p.c. o alle regole in materia di
pubblicità. Nella maggior parte dei casi però si ricorre alla forma scritta, sicché il
rapporto regola- eccezione è praticamente invertito.371 La ragione del ricorso alla
371
L’art. 1352 c.c. rubricato - forme convenzionali - prevede, tra l’altro, che “se le parti hanno
convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si
presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo”.
185
186
forma scritta risiede spesso nella necessità di tutelare le stesse parti del contratto, sia
in caso di equilibrio contrattuale sia quando l’una è più esposta alle ragioni dell’altra,
sotto il duplice aspetto della maggiore attenzione che in tal modo ripongono sugli
effetti del contratto e della possibilità di dimostrare successivamente il contenuto
dell’impegno contrattuale proprio o della controparte. Inoltre perché l’ordinamento
pone limiti non indifferenti in materia di prove.372 Ai sensi dell’art. 2721 c.c., per
esempio, “la prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore
dell’oggetto eccede le lire cinquemila. Tuttavia l’autorità giudiziaria può consentire la
prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del
contratto e di ogni altra circostanza”. E la giurisprudenza non è da meno. Si ricordi, a
titolo esemplificativo, quel caso deciso dalla sentenza della Cassazione che ha ritenuto
sussistente il divieto del mezzo testimoniale per la stessa individuazione di una delle
parti del contratto.373 La forma può avere ad oggetto gli effetti del contratto. Si pensi
all’ipoteca o alla compravendita immobiliare, cui si rinvia. Può avere ad oggetto i
soggetti, come nel caso degli appalti conclusi dalla pubblica amministrazione. Può
riguardare le singole clausole contrattuali. Non si possono non menzionare le regole in
materia di condizioni generali di contratto ex art. 1341 c.c., di recesso dalla locazione,
di assunzione in prova nei contratti di lavoro. Ai sensi dell’art. 1351 c.c. - atti che
devono farsi per iscritto - , “1. Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata,
sotto pena di nullità: 1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili; 2) i
contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni
immobili, il diritto di superficie, il diritto del concedente e dell’enfiteuta; 3) i contratti
che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti; 4) i contratti
che costituiscono o modificano le servitù prediali, il diritto di uso su beni immobili e
il diritto di abitazione; 5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati ai numeri precedenti; 6) i
contratti di affrancazione del fondo enfiteutico; 7) i contratti di anticresi; 8) i contratti
di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni; 9) i contratti di
società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di
altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo
indeterminato; 10) gli atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie salve le
372
Ed anzi si assiste ultimamente ad una proliferazione di leggi e sentenze che ampliano sempre di più
il ricorso alla forma scritta ad substantiam (c.d. contratti di viaggio ex L. 111/95; contratti di
concessione di crediti al consumo ex L. 142/92). In tal senso GRANELLI, cit..
373
Cass., 3 novembre 1992, n. 11888, in “Giur.it.”, 1993, I, 1, 2302.
186
187
disposizioni relative alle rendite dello Stato; 11) gli atti di divisione di beni immobili
e di altri diritti reali immobiliari; 12) le transazioni che hanno per oggetto controversie
relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti; 13) gli altri atti
specialmente indicati dalla legge”. Una rara elencazione a carattere tassativo e non
estensibile analogicamente. Diversi sono i casi in cui la giurisprudenza si è
pronunciata per escludere o includere fattispecie contrattuali nell’ambito di
applicazione della norma.374 Ai sensi dell’art. 1351 c.c., “il contratto preliminare è
nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto
definitivo”. Si rinvia sull’argomento alla trattazione del contratto preliminare in
generale.
9. CONTRATTO CONDIZIONALE 375
L’autonomia contrattuale delle parti conosce uno strumento utilissimo, duttile, che
consente alle parti di modulare l’efficacia voluta per il contratto nel modo più
preciso e aderente alle esigenze sottese al contratto che si va a stipulare. Uno
scalpello insomma per il notaio. 376 L’istituto, però, proprio per le sue caratteristiche,
deve fare i conti con il principio della certezza del diritto. Ai sensi dell’art. 1353 c.c.,
“le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo
patto a un avvenimento futuro e incerto”. La condizione contrattuale è costruita dalla
norma riportata come una “possibilità” delle parti. In realtà, leggendo analiticamente
il dettato della legge, sono quattro le possibilità: a) subordinare “l’efficacia del
contratto a un avvenimento futuro e incerto” (quella che la stessa legge, all’articolo
successivo – art. 1354 – definisce sospensiva del contratto); b) subordinare “la
risoluzione del contratto a un avvenimento futuro e incerto”. (quella che la
condizione che la legge, allo stesso articolo – art. 1354 – definisce risolutiva del
contratto); c) subordinare “l’efficacia di un singolo patto a un avvenimento futuro e
incerto”; dunque sospensiva relativamente ad una semplice clausola; d) subordinare
374
I casi controversi sono numerosi. Riguardano la cessione di quota pro indiviso di immobile,
l’accordo per la ricostruzione di complesso immobiliare distrutto con ripartizione dei piani, la rinunzia
al diritto di proprietà, il mandato a transigere, la clausola compromissoria irrituale, il riconoscimento
di un diritto altrui, la regolamentazione di confini, il comodato ultranovennale, i contratti modificativi
di contratti formali, il mandato ad acquistare o a vendere senza rappresentanza.
375
LENZI, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela, Milano, 1996; MAIORCA, voce
Condizione, in “Dig. Disc. Priv.”, Torino, 1987, p. 28 1 e ss.; RESCIGNO, voce Condizione, in
“Enc.D”., VIII, Milano, 1061, p. 768 e ss..
376
Si pensi all’uso che se ne fa per l’attuazione del discusso istituto della cessione di cubatura.
187
188
“la risoluzione di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto”; dunque
risolutiva relativamente ad una semplice clausola. Si pone il problema dogmatico e
pratico di stabilire cos’è “un avvenimento futuro e incerto”. Qui però la categoria
giuridica coincide con quella comune. Si tratta di un avvenimento che è ancora da
venire ma del quale non può sapersi ancora se si verificherà davvero o meno. Questo
strumento a disposizione delle parti deve fare i conti con i limiti di legge e con quelli
della possibilità materiale e giuridica. Limiti che il notaio non può e non deve
dimenticare. Per quanto riguarda i primi, quelli della inviolabilità di norme
imperative, ordine pubblico e buon costume, sono categorie che appartengono anche
ad altri settori del diritto privato ed alla teoria generale del diritto, cui si rinvia. Lo
stesso dicasi per l’impossibilità.377 La sorte per le disposizioni contrattuali che
oltrepassino i limiti legali è, in ogni caso, quella della nullità. La sorte per le
disposizioni impossibili invece dipende dalla natura della condizione: a) la
condizione sospensiva rende nullo l’intero contratto; b) la condizione risolutiva è
oggetto di una fictio iuris per cui si considera non apposta ed il contratto rimane
valido ed efficace. Le stesse regole valgono per le condizioni apposte a singole
clausole. Ma è fatta salva l’applicazione dell’art. 1419 c.c., che quindi prevale e che
prevede due regole: a) (1° comma) che il contratto è comunque nullo quando la
clausola sospetta è essenziale nella rappresentazione delle parti del contratto sicché
queste in mancanza non lo avrebbero concluso; b) (2° comma) che il contratto è
invece valido qualora la clausola possa essere sostituita da una norma imperativa.
Un particolare tipo di condizione, che però il legislatore ha inteso escludere
dall’ordinamento giuridico civile, è la condizione sospensiva c.d. meramente
potestativa, nella quale l’avvenimento futuro e incerto dedotto in condizione ed al
quale subordinare l’efficacia del contratto, è la mera volontà di una delle parti. Ai
sensi dell’art. 1355 c.c., “è nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un
obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera
volontà dell’alienante o, rispettivamente, da quella del debitore”. La mancata
377
Ai sensi dell’art. 1354 c.c. “E’ nullo il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o
risolutiva, contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. 2. La condizione
impossibile rende nullo il contratto se è sospensiva; se è risolutiva, si ha come non apposta. 3. Se la
condizione illecita o impossibile è apposta a un patto singolo del contratto, si osservano, riguardo
all’efficacia del patto, le disposizioni dei commi precedenti, fermo quanto è disposto dall’art. 1419”.
188
189
menzione nel divieto normativo fa sì che possa invece considerarsi lecita la
condizione risolutiva meramente potestativa. I primi effetti che scaturiscono
dall’apposizione di una condizione sono quelli interinali, cioè quelli intermedi tra la
nascita della regolamentazione contrattuale ed il momento futuro e incerto del
verificarsi dell’evento dedotto in condizione ed accessori, perché si pongono a
margine del contratto. Il primo effetto interinale è quello di legittimare le parti al
compimento di atti conservativi, quegli atti cioè diretti ad evitare conseguenze
pregiudizievoli delle ragioni contrattuali. Altro effetto interinale è quello di
legittimare all’esercizio del diritto acquistato risolutivamente condizionato.
378
Ancora, la Legge consente durante lo stato di pendenza dalla condizione, la
disposizione del diritto, nel senso di farne a sua volta oggetto di contratti successivi
e diversi, diretti per esempio a trasferire il diritto condizionato.
379
Gli effetti
principali sono collegati al momento del verificarsi o meno dell’evento.380 La legge
prevede che normalmente gli effetti si producano a partire dal momento della
regolamentazione. Ma è fatta salva la volontà delle parti o esigenze collegate alla
natura del contratto che rendono tale regola soltanto dispositiva e tendenziale. Ai
sensi
dell’art.
1360
c.c.,
-
retroattivita’
della
condizione-,
“gli
effetti
dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il
contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del
contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso. Se però
la condizione risolutiva è apposta a un contratto ad esecuzione continuata o
periodica, l’avveramento di essa, in mancanza di patto contrario, non ha effetto
riguardo alle prestazioni già eseguite”. L’unica precisazione attiene a quei particolari
contratti che di per sé non tollererebbero tale regola. E cioè i contratti ad esecuzione
continuata o periodica, per i quali la regola è opposta, ma solo con riguardo alla
378
Ai sensi dell’art. 1356 c.c. - pendenza della condizione - , è previsto che “in pendenza della
condizione sospensiva l’acquirente di un diritto può compiere atti conservativi. L’acquirente di un
diritto sotto condizione risolutiva può, in pendenza di questa, esercitarlo, ma l’altro contraente può
compiere atti conservativi”.
379
Ai sensi dell’art. 1357 c.c., - atti di disposizione in pendenza della condizione - , “chi ha un diritto
subordinato a condizione sospensiva o risolutiva può disporne in pendenza di questa; ma gli effetti di
ogni atto di disposizione sono subordinati alla stessa condizione”.
380
Ai quali la Legge parifica, con una fictio iuris, situazioni similari, come il mancato verificarsi
dell’evento causato dal controinteressato. Ai sensi dell’art. 1359 c.c., - avveramento della condizione, “la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva
interesse contrario all’avveramento di essa”.
189
190
clausola risolutiva. Ai sensi dell’art. 1361 c.c., - atti di amministrazione-,
“l’avveramento della condizione non pregiudica la validità degli atti di
amministrazione compiuti dalla parte a cui, in pendenza della condizione stessa,
spettava l’esercizio del diritto. 2. Salvo diverse disposizioni di legge o diversa
pattuizione, i frutti percepiti sono dovuti dal giorno in cui la condizione si è
avverata”. Questa norma fa salvi gli atti di mera gestione e conservazione compiuti
dalla parte legittimata durante la pendenza ad esercitare il diritto. Ciò al fine di
evitare incertezza nel diritto. Una applicazione della condizione che si rileva nella
prassi è quella del cambiamento del prezzo di vendita in funzione di vicende relative
al bene oggetto del contratto successive alla stipula dell’atto ed incerte. E’ accaduto
che di un terreno non edificabile si stipulasse un prezzo e che se ne fissasse un altro
per il caso in cui il terreno fosse nel frattempo divenuto edificabile, a partire
dall’eventuale provvedimento della pubblica amministrazione. Ancora è accaduto
che l’acquisto di azioni da parte di un grosso gruppo societario fosse fissato ad un
prezzo ma, qualora più favorevole, da riportarsi a quel diverso prezzo risultante dalla
successiva revisione come da approvazione del bilancio della società le cui azioni
erano acquistate ad una certa data.381
10. TERMINE E MODUS
Un’applicazione specifica dei principi enunciati in materia di termine e modus, o
onere, si ha in materia successoria, dove abbiamo trattato ampiamente l’istituto. Ed a
quella sede, pertanto, si rinvia.
11. EFFETTI DEL CONTRATTO.
Ai sensi dell’art. 1372 c.c.,“1. Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può
essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. 2. Il
contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”. La
norma è fondamentale: il contratto è legge per gli stipulanti. Ecco il cuore del diritto
privato. Pone, quindi, il principio di relatività degli effetti contrattuali, per cui non si
danno contratti che abbiano effetti nei confronti di terzi estranei al contratto, se non
nei casi espressamente previsti dalla legge. In questo caso, quindi, il principio
dell’autonomia contrattuale è limitato. Ma – in ultima analisi – si tratta di un limite
381
Entrambi occorsi al Notaio A.R. di Trento, intervistato.
190
191
che invece ne assicura la sopravvivenza. Perché in tanto esiste libertà contrattuale
individuale in quanto ciascuno non subisca vincoli da terzi. Un caso di deroga
previsto dalla legge è, per esempio, il contratto in favore di terzo; o, ancora, il
contratto per persona da nominare, cui si rinvia. Il mutuo consenso o dissenso, come
rinominato dalla dottrina, ha effetto opposto rispetto al contratto in quanto è volto a
rimuovere gli effetti con quello voluti. E’ un nuovo accordo delle stesse parti
finalisticamente diretto a sciogliere il precedente contratto. Lo scioglimento del
contratto è una possibilità negativa intrinseca alla stessa autonomia contrattuale. Se
le parti hanno il potere di perfezionare un contratto, devono pure avere il potere di
scioglierlo. La legge però vede con sfavore questa possibilità perché è un dato
sociologico che chiunque sia vincolato tenda a liberarsi. Perciò instrada il potere di
scioglimento delle parti sulle “cause ammesse dalla legge”. E’ difficile però che si
presentino al notaio le parti del contratto per lo scioglimento per mutuo dissenso. Più
facile che il pentimento si verifichi prima delle sottoscrizioni finali.382 Occorre dare
atto, infine, del recesso (unilaterale).383 Ai sensi dell’art. 1372 c.c., “il contratto ha
forza di legge tra le parti”. Ne consegue che, una volta perfezionato, non è ammesso
recedere dal contratto. Altrimenti sarebbe facile per chiunque stipuli un contratto
troppo oneroso venir poi meno ai propri impegni. Il contratto può essere sciolto o
per accordo tra le stesse parti (c.d. mutuo dissenso, cui si rinvia) o per le cause
ammesse dalla Legge. La stessa Legge consente però che nel contratto sia prevista,
per una delle parti, la facoltà di recesso, cioè di sciogliere il contratto per
determinazione volontaria unilaterale, a cui l’altra è tenuta, per essersi sin dall’inizio
in tal senso obbligata, ad aderire. Tale facoltà non è però illimitata, per lo sfavore
legislativo nei confronti di quelle situazioni che possono creare incertezze nei
rapporti giuridici. Ai sensi dell’art. 1373 c.c., “1. Se a una delle parti è attribuita la
facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto
non abbia avuto un principio di esecuzione. 2. Nei contratti a esecuzione continuata
o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso
non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. 3. Qualora sia
382
Così il Notaio A.R., intervistato il 4 dicembre 2002, il quale riporta però il caso di due fidanzati
che, in vista del matrimonio, dopo aver stipulato un contratto di acquisto di un immobile, con mutuo
annesso, hanno litigato, costringendo il notaio ad intervenire sulla cointestazione dell’immobile, con
notevole aggravio di spese.
383
GABRIELLI- PADOVINI, voce Recesso, in “Enc.D.”, XXXIX, Milano, 1988, 27 e ss.
191
192
stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto
quando la prestazione è eseguita. 4. E’ salvo in ogni caso il patto contrario”. Il
recesso conosce dunque alcuni limiti di legge. Un primo limite, di natura temporale,
valido per i contratti istantanei, è quello del principio di esecuzione. Conosce un
ulteriore limite, valido per i contratti a esecuzione continuata o periodica; questi non
tollerano che si rimettano in discussione le prestazioni già eseguite, per un evidente
ragione di certezza del diritto. Inoltre, quando questa facoltà sia concessa a titolo
oneroso, può essere esercitata solo dopo aver adempiuto al pagamento del
corrispettivo. Si legge in dottrina a proposito dell’onerosità e della distinzione
rispetto alla figura della clausola penale, che un“corrispettivo per il recesso […] può
essere versato anticipatamente (c.d. caparra penitenziale) (art. 1386) o al momento
del recesso stesso (c.d. multa penitenziale) (art. 1373, 3° co.). In quanto corrispettive
del recesso, caparra e multa nulla hanno a che vedere con la clausola penale, la quale
presuppone un inadempimento, che nel caso di specie è escluso in radice perché
recedendo si esercita un diritto potestativo”.384 Il recesso unilaterale è però, oltre che
convenzionale, anche di tipo legale, previsto cioè direttamente dalla legge. Spesso è
subordinato alla esistenza di determinati presupposti indicati dalla stessa legge. Per
esempio, nella vendita di immobili a misura, “qualora l’eccedenza oltrepassi la
ventesima parte della misura dichiarata” (art. 1537 c.c.). Ancora nell’appalto, se
l’importo delle variazioni necessarie del progetto supera il sesto del prezzo
complessivo convenuto (art. 1660 c.c.). Sempre nell’appalto, per morte
dell’appaltatore, se gli eredi non danno affidamento per la buona esecuzione
dell’opera (art. 1674 c.c.). Può essere previsto un onere di preavviso, come nei
contratti di durata a tempo indeterminato. Per esempio l’art. 1569 c.c. prevede il
preavviso in materia di somministrazione. Ancora l’art. 1750 c.c. lo prevede nel
contratto di agenzia. E l’art. 1810 c.c. in materia di comodato. Infine è previsto il
preavviso nel contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il recesso, infine, può essere
previsto dalla legge in presenza di giusta causa. E’ quanto accade nel contratto di
lavoro autonomo per il professionista (art. 2237, 2° co., c.c.). Ovvero nella società
semplice a tempo indeterminato, per il socio (art. 2285, 2° co., c.c.). La legge può
altresì prevedere il recesso in qualsiasi momento e per una sola delle parti (c.d. ad
nutum), un recesso della massima portata. Così è nell’appalto, a favore del
384
GAZZONI, Manuale, cit., p. 966.
192
193
committente (art. 1671 c.c.) o nel contratto di lavoro autonomo, a favore del
committente (art. 2227 c.c.) o nel contratto con il professionista, a favore del cliente
(art. 2237 c.c.).
12. RAPPRESENTANZA NEL CONTRATTO 385
La rappresentanza è la legittimazione attribuita ad un soggetto (rappresentante) a
compiere un negozio giuridico per conto di altri (rappresentato). La ratio dell'istituto
è quella di facilitare le relazioni giuridiche, in mancanza del titolare della situazione
giuridica su cui incidere e senza dover aspettare di reperire la sua presenza fisica. La
rappresentanza può essere: A) diretta o propria: gli effetti giuridici si verificano
direttamente ed esclusivamente nella sfera giuridica del rappresentato. Ai sensi
dell’art. art. 1388 c.c., “il contratto concluso col rappresentante in nome e
nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce
direttamente effetto nei confronti del rappresentato”. Si dice che il rappresentato
agisce in nome e per conto del rappresentato, nel senso che la sua qualità di rappresentante è nota o comunque è conoscibile al terzo; B) indiretta o impropria o
mediata: gli effetti giuridici si producono nella sfera giuridica del rappresentato che
comunque è tenuto a trasferirli in quella del rappresentato con un ulteriore negozio.
A seconda della fonte del potere di rappresentanza,386 (art. 1387 c.c. - fonti della
rappresentanza - «Il potere di rappresentanza è conferito dalla legge ovvero
385
NATOLI, voce Rappresentanza (dir.priv.), in “Enc.D”. XXXVIII, Milano, 1987, 463 ss.; DE
NOVA, La rappresentanza, in Tratt. Rescigno, vol. 10, 1995, p. 424; BIGLIAZZI GERI, voce
Procura )diritto privato), in “Enc. D.”, vol. XXXVII, 1987, p. 995 e ss.; CARNEVALI U., voce
Mandato, I) diritto civile, in “Enc.Giur.Treccani”.
386
Art. 1388 c.c. contratto concluso dal rappresentante« il contratto concluso col rappresentante in
nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente
effetto nei confronti del rappresentato ». art. 1389 c.c. capacita' del rappresentante e del rappresentato
«1. quando la rappresentanza è conferita dall'interessato, per la validità del contratto concluso dal
rappresentante basta che questi abbia la capacità di intendere e di volere, avuto riguardo alla natura e
al contenuto del contratto stesso, sempre che sia legalmente capace il rappresentato.2. in ogni caso, per
la validità del contratto concluso dal rappresentante, è necessario che il contratto non sia vietato al
rappresentato ». art. 1392 c.c. forma della procura « la procura non ha effetto se non è conferita con le
forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere». art. 1393 c.c. giustificazione
dei poteri del rappresentante «il terzo che contragga col rappresentante può sempre esigere che questi
giustifichi i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da un atto scritto, che gliene dia una copia da lui
firmata ». art. 1396 c.c. modificazione ed estinzione della procura «1. le modificazioni e la revoca
della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. in mancanza esse non
sono opponibili ai terzi se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione del
contratto. 2. le altre cause di estinzione del potere di rappresentanza conferito dall'interessato non sono
opponibili ai terzi che le hanno senza colpa ignorate».
193
194
dall'interessato »), si distingue
A) legale: quando deriva dalla legge: a')
rappresentanza del minore affidata ai genitori o al tutore ex artt. 320/343/357 cod.
civ.; a'') rappresentanza dell'interdetto affidata al tutore ex art. 424 c.c.; B) volontaria:
quando è l'interessato che la conferisce; mediante b) atto di procura, in virtù di
contratto di mandato, b¹) la negotiorum gestio, b²) la ratifica al falsus procurator
ecc.; b³) delibera societaria (artt. 2266, 2298, 2384 cod.civ.). Le differenze sono da
rilevare nella "fisiologia" dell'istituto: 1. fondamento: legale da un lato, autonomia
privata dall'altro; 2. oggetto: limitato e predeterminato alle attività giuridiche
demandate dal soggetto capace da un lato, attinente all'esercizio di diritti e cura di
interessi di un soggetto incapace dall'altro; 3. revocabilità e rinunciabilità: ammesse
da un lato, non ammesse, in virtù dell'elemento pubblicistico che caratterizza
l'officium, dall'altro; 4. potere: mera attuazione delle direttive del dominus da un lato,
vera e propria sostituzione al soggetto incapace, anche nelle determinazioni di
volontà, dall'altro. Altre differenze sono da rilevarsi nella "patologia" dell'istituto: 1.
l'abuso di potere, derivante da conflitto di interessi ricorrente nel negozio concluso,
dà luogo, in entrambi i casi, ad annullabilità del negozio (artt. 1394, 320 VI comma
cod.civ.) dovendosi passare, nel primo caso attraverso la conoscibilità o
riconoscibilità del conflitto, nel secondo caso, per l'inosservanza della norma che
prescrive la nomina del curatore speciale; 2. l'eccesso di potere è sanzionato con
l'inefficacia del contratto e la relativa opponibilità nei confronti del dominus, che può
tuttavia ratificare il negozio (artt. 1398,1399 c.c.); 3. il difetto di potere, atto
compiuto da non rappresentante legale, in entrambi i casi, rende l'atto inefficace. La
procura è il negozio unilaterale con il quale una persona conferisce ad un'altra il
potere di rappresentanza. Riguarda il lato esterno del rapporto tra rappresentante e
rappresentato, a prescindere dal rapporto sottostante (c.d. rapporto di gestione: es.
mandato,387 contratto di lavoro, contratto di società) che è a fondamento della
rappresentanza. La ratio, infatti, è quella di rendere edotti i terzi che il rappresentante
è autorizzato dal rappresentato a compiere quel determinato negozio. La procura può
387
In dottrina si discute del problema della distinzione tra procura e mandato. L'atto di procura
riguarda l'aspetto esterno della rappresentanza, manifestando ai terzi, mediante un atto formale, la
sussistenza del relativo potere in capo al rappresentante, a prescindere dal tipo di rapporto interno tra
rappresentante e rappresentato, che può essere di diversi tipi, tra cui anche il mandato. La procura è
atto unilaterale di conferimento della rappresentanza, il mandato è un contratto bilaterale da cui
derivano obbligazioni e diritti reciproci.
194
195
essere: a) generale, conferita cioé perché tutti gli affari del rappresentato siano curati
dal rappresentato b) speciale, conferita perché la cura sia prestata per un determinato
affare (D.3.3.1.1. “procurator autem vel omnium rerum vel unius rei esse potest...”).
Ancora, può essere a) espressa; b) tacita, risultante da fatti concludenti. L'atto di per
sè non richiede forma alcuna. Tuttavia si richiede quella prevista per l'atto che il
rappresentante deve concludere (art. 1392 c.c.). La procura a vendere o ad acquistare
immobili richiede la scrittura privata o l’atto pubblico (art. 1350 n. 1 c.c.). La revoca
della procura è anch'essa negozio unilaterale essendo sufficiente una mera
dichiarazione del rappresentato. La procura invece non è revocabile se conferita
anche nell'interesse di terzi o dello stesso procuratore (procura in rem suam). Il
mandato, ivece, è un vero e proprio contratto, in virtù del quale un soggetto incarica
un altro, che a sua volta si obbliga, per il compimento di determinati affari. Come la
procura, il mandato può essere generale o speciale. In ogni caso consente il
compimento degli atti strumentali (art. 1708 c.c.). Come la procura, può essere con
rappresentanza (art. 1704 c.c.) o senza rappresentanza (art. 1705 c.c.). In quest'ultimo
caso però sono riconosciute prerogative al mandante che vanno al di là della mancata
spendita del suo nome, derogando al principio della sua estraneità al negozio
compiuto dal rappresentante: 1. azione surrogatoria per i crediti derivanti
dall'esecuzione del mandato salvo i diritti del mandatario (art. 1705 comma 2° c.c.);
2. intangibilità da parte dei creditori del mandatario dei beni acquistati in esecuzione
del mandato salvo anteriorità rispetto al pignoramento della scrittura avente data
certa (beni mobili) o della trascrizione dell'atto di ritrasferimento o della relativa
domanda giudiziale (beni immobili o mobili registrati). Il mandante che abbia
conferito mandato con rappresentanza ha: a) azione di rivendica delle cose mobili
acquistate dal mandatario salvo il possesso di buona fede dei terzi (art. 1706 comma
1° c.c.); b) azione di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di ritrasferimento dei
beni immobili o mobili registrati nei confronti del mandatario (art. 1706, co. 2°, c.c.).
Secondo una ripartizione scolastica, il mandato può essere: 1) nell'interesse del
mandante (mandatum mea gratia); 2) nell'interesse del terzo (mandatum aliena
gratia); 3) nell'interesse del mandatario (mandatum tua gratia). Contro tradizione
romanistica, la legge prevede la presunzione di onerosità (art. 1709 c.c.).
Obbligazioni del mandatario sono: A. diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710
c.c.); B. comunicazione al mandante delle circostanze sopravvenute che possono
195
196
determinare la revoca o la modificazione del mandato (art. 1710, co. 2°, c.c.); C.
comunicazione dell'eseguito mandato (art. 1712 c.c.); D. attenersi ai limiti del
mandato (art. 1711 c.c.); E. rendiconto salvo dispensa (art. 1713 c.c.); F. interessi
sulle somme riscosse (art. 1714 c.c.); G. responsabilità per l'operato del sostituto non
autorizzato (art. 1717 c.c.). Obbligazioni del mandante sono: A. assunzione di tutte le
conseguenze
giuridiche
del
mandato
nella
propria
sfera
giuridica;
B.
somministrazione dei mezzi necessari per l'esecuzione, salvo patto contrario (art.
1719 c.c.); C. rimborso delle spese con gli interessi legali (art. 1720 c.c.); D.
pagamento del compenso (art. 1720 c.c.); E. risarcimento danni dovuti al mandato
(art. 1720, co. 2°, c.c.). Il mandato si estingue (art. 1722 c.c.): 1) per scadenza del
termine o per il compimento dell’affare; 2) per recesso unilaterale della parti
(“revoca” da parte del mandante, “rinunzia” da parte del mandatario); 3) morte o
sopravvenuta incapacità d'agire di una delle parti (salvo che il mandato abbia per
oggetto l'esercizio d'impresa e non sia previsto il diritto di recesso delle parti o degli
eredi; art. 1722 ult. parte c.c.). Il mandato è revocabile (art. 1723 c.c.), espressamente
o tacitamente (art. 1724 c.c.). E' irrevocabile: - in presenza di apposita clausola che
dà luogo, in caso d'inosservanza, a risarcimento danni se la revoca non dipende da
giusta causa (art. 1723 c.c.); - se conferito nell'interesse del mandatario o di terzi,
salvo che sia pattuito diversamente o ricorra una giusta causa di revoca, tornandosi in
questo caso alla regola generale della revocabilità (art. 1723 comma 2° c.c.). Per
rinunziare occorre un congruo preavviso ed una giusta causa (art. 1727 c.c.) a pena
del risarcimento dei danni. Accanto all'ipotesi normale dell'esercizio della rappresentanza in seguito a specifico incarico, l'ordinamento conosce istituti di
rappresentanza che prescindono da uno specifico incarico. Il negozio compiuto in
difetto di potere o per eccesso di potere non produce alcun effetto nella sfera giuridica dell'interessato, a meno che non sia quest'ultimo a sanare l'inefficacia con
successiva ratifica, fatta con le forme previste per il contratto ratificato ("ratihabitio
mandato comparatur" art. 1399 c.c.). La ratifica è una procura successiva. Essa ha
efficacia retroattiva: il negozio si considera come se fosse stato originariamente posto
in essere dall'interessato o da persona fornita di procura. Restano salvi i diritti dei
terzi. Il terzo detiene pure un'actio interrogatoria nei confronti dell'interessato, la cui
facoltà di ratifica si trasmette agli eredi (artt. 1398-1399 cod.civ.). In mancanza di
ratifica, colui che ha agito (c.d. falsus procurator) è responsabile nei confronti del
196
197
terzo contraente, a meno che non pattuiscano concordemente lo scioglimento del
contratto prima della ratifica. E' necessario però che il terzo abbia confidato “senza
sua colpa” nella validità del contratto. In alcune circostanze l'occuparsi delle cose
altrui può essere utile dal punto di vista sociale. Per questo la Legge, nel caso in cui
taluno senza esservi obbligato e, quindi, spontaneamente, ma scientemente, assume
la gestione di affari altrui, stabilisce che, qualora la gestione sia stata utilmente
iniziata (utiliter coeptum), l'interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore
ha assunto in suo nome (art. 2031 c.c.). Si tratta di uno dei casi di obbligazioni
nascenti dalla legge. La negotiorum gestio conosceva in diritto romano una tutela
specifica molto forte alla quale tuttavia si accedeva in presenza di severi presupposti:
1. la effettiva gestione o inizio di gestione di un affare; 2. l’altruità dell’affare gestito
o iniziato a gestire; 3. il c.d. animus alieni negotii gerendi ovvero l'intento di gestire
un affare non proprio; 4. l'affare deve essere utiliter coeptum, ovvero deve presentare,
al momento in cui è intrapreso, una obiettiva utilità per il dominus negotii, a
prescindere dal fatto che l'affare si risolva effettivamente in un vantaggio per
l'interessato. La normativa non è applicabile in presenza di espresso divieto
dell'interessato (c.d. prohibitio domini).
13. CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE 388
Ai sensi dell’art. 1372 c.c., abbiamo visto, “il contratto ha forza di legge tra le parti.
[…] 2. Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla
legge”. E’ il principio di relatività degli effetti contrattuali, per cui non si danno
contratti che abbiano effetti nei confronti di terzi estranei al contratto, se non nei casi
espressamente previsti dalla legge. Un caso di deroga previsto dalla legge è proprio
il contratto per persona da nominare, assieme al contratto in favore di terzo. Il
contratto per persona da nominare si ha quando una parte, nella conclusione
dell’accordo, si riserva la facoltà di nominare successivamente la persona destinata
ad acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto (art. 1401 c.c.).
Viene concluso con la speranza di riservarne gli effetti al terzo senza le spese e gli
oneri di un duplice trapasso. Se la dichiarazione di nomina del contratto definitivo
388
CARRESI, voce Contratto per persona da nominare, in “Enc.D.”, X, p. 129; DOLZANI- CORSO,
La predisposizione di un termine diverso per la electio amici e per la comunicazione della
dichiarazione di nomina nel contratto per persona da nominare; disciplina applicabile, in “Riv.
Not.”, 1993, p. 919; ENRIETTI, Il contratto per persona da nominare, Torino, 1950.
197
198
(c.d. electio amici) non avviene entro il termine fissato dalle parti e, in mancanza,
entro tre giorni, o se tale dichiarazione non è accompagnata dall’accettazione
dell’interessato, questo produce i suoi effetti tra i contraenti originari (art. 1405 c.c.).
Fatta validamente la dichiarazione di nomina, la persona acquista tutti i diritti e
assume gli obblighi con effetto retroattivo, dal momento in cui il contratto fu
concluso (art. 1404 c.c.). Dichiarazione di nomina, procura o accettazione devono
avere la stessa forma del contratto usata dalle parti, compresa l’eventuale pubblicità
(art. 1403 c.c.). In dottrina è incerta la natura giuridica dell’istituto. La ricostruzione
più frequente è quella che lo considera un mero schema contrattuale, trattandosi di
una fattispecie complessa sotto il profilo soggettivo. Detto schema sembra attagliarsi
a qualsiasi tipo di contratto, salvo alcune eccezioni. Fra queste la dottrina evidenzia i
c.d. contratti di secondo grado ed i contratti stipulati intuitu personae. L’istituto va
tenuto distinto da altre figure affini. Rispetto alla cessione del contratto, per esempio,
cui si rinvia. Nel contratto per persona da nominare, infatti, l’eletto è da considerarsi
parte del contratto originario, avendo l’elezione efficacia retroattiva al momento della
stipulazione del contratto; mentre nella cessione del contratto, cui si rinvia, la
sostituzione ha effetto nel momento della notifica o dell’accettazione del ceduto. Si
avvicina pure alla rappresentanza c.d. in incertam personam ma da quella si distingue
perché, diversamente dal contratto per persona da nominare, nella rappresentanza
citata il rappresentante giammai entra a far parte del contratto. Infine si distingue dal
contratto in favore di terzo indeterminato perché il terzo non è mai parte del
contratto, anche se acquista i diritti che dal contratto scaturiscono. Il contratto per
persona da nominare, per chi scrive, non può essere rogato da un notaio per atto
pubblico. Questo perché la legge notarile richiede che il notaio riceva l’atto in
presenza delle parti. Poiché però la persona da nominare, per definizione, non è
presente, e questa è destinata ad essere parte del contratto, con effetto retroattivo, a
partire dalla stipula del contratto, ecco che il contratto non sarebbe ricevibile.
14. CESSIONE DEL CONTRATTO
Nei contratti sinallagmatici “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo” cedendogli la
complessa posizione, obblighi e diritti, sempre che le relative prestazioni non siano
ancora state eseguite (art. 1406 c.c.). Contratti corrispettivi perché negli altri rapporti
si cede la sola posizione di creditore oppure eventualmente si provvede alla
198
199
sostituzione del debitore. Quanto al consenso del contraente ceduto, data
l’importanza che ha la determinazione della persona nell’ambito del contratto, la
legge richiede l’assenso preventivo, e in tal caso la sostituzione si perfeziona con la
notifica al contraente ceduto, ovvero la vera e propria sua accettazione (art. 1407
c.c.). Salvo patto contrario (art. 1408, 2° co., c.c.), la cessione del contratto implica
liberazione del cedente nei confronti del contraente ceduto (art. 1408, 1° co., c.c.). Il
contraente ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto
ma non quelle fondate su altri rapporti col cedente, salvo riserva espressa (art. 1409
c.c.). Il cedente è tenuto a garantire al cessionario la validità del contratto (art. 1410
c.c.). Il cedente può assumere la garanzia dell’adempimento del contraente ceduto
(art. 1410, 2° co., c.c.) a titolo di fideiussione e, se così pattuito col contraente ceduto
(art. 1408, 2 co., c.c.), quelle del cessionario.
15. CONTRATTO A FAVORE DEL TERZO 389
Ai sensi dell’art. 1372 c.c., abbiamo visto, “Il contratto ha forza di legge tra le parti.
[…] 2. Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla
legge”. E’ il principio di relatività degli effetti del contratto, per cui normalmente nel
nostro ordinamento i contratti non hanno effetto che tra coloro che lo hanno stipulato.
Però, in alcuni casi, previsti spesso dalla stessa legge, è possibile che il contratto
possa produrre effetti nei confronti dei terzi. Un caso di deroga, espressamente
previsto dalla legge, è il contratto in favore del terzo (assieme al contratto per
persona da nominare, già esaminato). La prima questione è quella della natura
giuridica dell’istituto, in particolare se il contratto a favore del terzo costituisca un
contratto a sé, una figura autonoma con causa propria o un mero schema contrattuale.
In dottrina e giurisprudenza si riscontrano diversi e orientamenti. L’orientamento da
chi scrive ritenuto preferibile è quello dello schema generale astratto, espresso dalla
giurisprudenza prevalente. L’argomento fondante per chi scrive, oltre alla struttura
stessa dell’istituto, sarebbe quello della sedes materiae: il codice civile lo colloca tra
gli istituti generali del contratto e non tra i singoli tipi di contratto. Anche se la
diversa teoria della doppia causa ha il pregio di evidenziare l’esistenza di una causa
interna, consistente nella traslazione degli effetti, e di una esterna, corrispondente al
389
BRIGANTI, voce Cessione del contratto, I, in “Enc.giur. Treccani”, VIII, 1988, 1; LEPRI, La
forma della cessione del contratto, Padova, 1993.
199
200
rapporto giuridico sottostante. E’ un contratto la cui validità è subordinata dalla legge
all’esistenza di un interesse dello stipulante (art. 1411, 1° co., c.c.) a destinare gli
effetti al terzo. Per la dottrina tale interesse può essere anche solo morale. E si discute
sulla sanzione per il caso di carenza di interesse, se cioè possa essere il contratto
comunque valido.390 Se il terzo dichiara alle parti del contratto, stipulante e
promittente, di volerne profittare, l’acquisto dei diritti a suo favore diviene
irrevocabile; fino alla sua accettazione, però, lo stipulante può revocare il proprio
atto. Il terzo può, anziché accettare, rifiutare la prestazione, che rimane così a
beneficio dello stipulante (art. 1411, 2° e 3° co., c.c.). E il rapporto diviene in tal
modo definitivo. Costituiscono esempi di contratto in favore del terzo il contratto di
assicurazione in favore di terzi ed il contratto di trasporto a favore di destinatario
diverso dal mittente. E, ancora, la costituzione di rendita vitalizia a favore di un terzo
(art. 1875 c.c.). Si discute se sia ammissibile la costituzione di un diritto reale in
favore del terzo. La giurisprudenza arriva a consentirlo; con riguardo alla
costituzione di servitù in favore del terzo la Corte di Cassazione lo ha precisato
espressamente,“non sussistendo nel contratto a favore di terzo limiti in ordine alla
qualità ed al contenuto della prestazione da rendersi al terzo, la quale può consistere
in un dare, in un facere o in un non facere presente o futuro ed anche nella
costituzione di un diritto reale, purché tale costituzione corrisponda ad un interesse
anche non patrimoniale dello stipulante”.391 E ciò nonostante qualche autorevole
orientamento contrario della dottrina, secondo il quale gli effetti reali mal si
concilierebbero con la possibilità di rifiutare l’acquisto. Il contratto a favore del terzo
presenta aspetti analoghi ad altri istituti, dai quali però va tenuto distinto. Rispetto
alla donazione, per esempio, si distingue perché il contratto a favore del terzo è un
meccanismo che si innesta su un contratto sottostante, che può essere a titolo gratuito
ma può essere anche a prestazioni corrispettive. E qualora sia con prestazioni a carico
del solo promittente, la prestazione, nel contratto a favore del terzo è revocabile,
mentre nella donazione lo è soltanto in particolari casi espressamente previsti dalla
legge.
390
391
Nel senso della nullità GAZZONI, Manuale, cit., p. 893.
Cass., 13 febbraio 1992, in “Rep.Foro it.”,(1993), c. 192.
200
201
16. SIMULAZIONE
L’istituto della simulazione rileva sotto il profilo notarile per diversi aspetti. Il grado
di partecipazione del Notaio alla simulazione sortisce diversi effetti. Si va dalla
responsabilità professionale del Notaio, penale o civile, alla sua totale non
conoscenza dell’apparato simulatorio. In tal caso il Notaio va esente da qualsiasi
responsabilità. Certo è che il buon Notaio deve prestare la massima attenzione per
sottrarsi a truffe ed inganni, cui il diritto, di per sé strumento neutrale, pur si presta.
Ma non è facile rilevare quando una volontà negoziale sia viziata da fini illeciti e
fraudolenti.
17. INVALIDITA’ DEL CONTRATTO
Tra le norme d’interesse notarile preme ricordare l’art. 1423 c.c., ai sensi del quale “il
contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente”.
Per il resto vale quanto detto nella prima parte di questo lavoro, a proposito delle
nullità degli atti notarili, espressamente previste dalla legge notarile, cui si rinvia.
18. MUTUO 392
“Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata
quantità di denaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante
cose della stessa specie e qualità” (art. 1813 c.c.). E’ quello che nel linguaggio
comune si chiama prestito. Il contratto ha carattere reale perché si perfeziona con la
consegna. Un’isolata sentenza ha ammesso l’ipotesi di un contratto atipico di mutuo
consensuale.393 E a tal proposito si richiama l’art. 1822 c.c., che costituirebbe ipotesi
legale di mutuo consensuale.394 Ai sensi dell’art. 1814 c.c., “le cose date a mutuo
passano in proprietà del mutuatario”. Generalmente s’inquadra tale disposizione
nell’ambito della ratio dell’istituto, di fornire al mutuatario il più ampio potere di
disposizione della cosa mutuata. La Legge pone una presunzione di onerosità del
mutuo. Per l’art. 1815 c.c. “salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve
392
FRAGALI, Del mutuo, in Comm. Scialoja- Branca, VI, Bologna- Roma, 1966; CARRESI, Il
comodato e il mutuo, in Tratt. Vassalli, VIII, Torino, 1950; GIAMPICCOLO, voce Mutuo, in “Enc.
D.”., XXVII, Milano, 1977, p. 444.
393
Trib. Napoli, 8 agosto 1962, in TN, 1963, I, p. 458.
394
Art. 1822 c.c. - Promessa di mutuo -“Chi ha promesso di dare a mutuo può rifiutare l’adempimento
della sua obbligazione, se le condizioni patrimoniali dell’altro contraente sono divenute tali da rendere
notevolmente difficile le restituzione, e non gli sono offerte idonee garanzie”.
201
202
corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si
osservano le disposizioni dell’art. 1284 […]”. Quest’ultima norma richiede al n. 3) la
forma scritta per la pattuizione in misura superiore al tasso d’interesse legale a pena
di nullità. Si discute in dottrina se l’omissione della forma scritta dai luogo a nullità
parziale395 o a nullità dell’intero negozio.396 Si consideri il disposto dell’art. 1820 c.c.,
secondo cui “se il mutuatario non adempie l’obbligo del pagamento degli interessi, il
mutuante può chiedere la risoluzione del contratto”. Essenziale al contratto è la
previsione di un termine per la restituzione. In mancanza si provvede secondo le
norme dispositive degli artt. 1816 e 1817 c.c., ricorrendo alla pronuncia del giudice.
19. TRANSAZIONE
La transazione è un contratto tipico, previsto cioè dal codice civile. E', rispetto alla
compravendita o al mutuo o ad altri contratti di maggior diffusione, poco noto ai non
addetti ai lavori. Ciò fa sì che sia poco utilizzato per mancanza di conoscenza, forse.
E' tuttavia molto diffuso, per esempio, in ambito assicurativo. La sua utilità, però,
soprattutto in funzione deflattiva dell'attuale carico di lavoro dei tribunali civili, è
indubbia. Certo non può guardarsi al contratto di transazione solo in chiave
patologica; verosimilmente, però, un uso più accorto di tale strumento potrebbe
davvero ridurre il carico dei tribunali. Vediamo allora cos'é il contratto di
transazione. La legge stessa ci dà la definizione. Per l'art. 1965 cod. civ. la
transazione è "il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni,
pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra
loro". Guardando sin da subito all'aspetto teleologico, questo contratto è diretto a
porre fine o a prevenire una lite. Guardando all'aspetto strutturale, il presupposto del
contratto è la res litigiosa. Lo strumento di risoluzione della lite in atto o in potenza è
dato dalle reciproche concessioni. Questo presuppone che tra le parti sia possibile un
dialogo, altrimenti meglio rinunciare. Il rimedio potrebbe essere peggiore del male.
Le parti devono essere disposte - infatti - a cedere qualcosa in cambio alla
controparte, anche se ritengono di aver ragione su tutta la linea. E ciò anche in
considerazione del fatto che possono risparmiarsi i tempi lunghi del processo. Gli
esempi di transazione possono essere molteplici. Non bisogna dimenticare che le
395
FRAGALI, Del mutuo, cit., p. 368; GIAMPICCOLO, Mutuo, p. 464.
CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico, p. 370; CRISCUOLI, La nullità parziale del negozio
giuridico, p. 91.
396
202
203
parti, per transigere, devono poter disporre dei diritti. E cioè che siano titolari dei
diritti medesimi e che si tratti di diritti non sottratti dalla legge alla negoziabilità tra
privati. (art. 1966 c.c.). Non possono essere oggetto di transazione, per esempio, gli
alimenti e cioè quei diritti di mantenimento derivanti da legami di coniugio o di
parentela (artt. 433 ss. c.c.). La potenzialità di questo istituto emerge soprattutto dalla
lettura del comma 2° dell'art. 1965, laddove si dice che "con le reciproche
concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da
quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti". Questo
significa che, in seguito alla transazione, può, per esempio, persino trasferirsi la
proprietà di un immobile senza ricorrere ad un vero e proprio atto di compravendita.
Gli effetti però sono quelli propri di una vendita immobiliare. La forma del contratto,
in questo caso, deve essere quella prevista dall'art. 1350 n. 12) c.c.: atto pubblico o
scrittura privata sotto pena di nullità. Ed ai fini dell'opponibilità ai terzi, cioè della
riconoscibilità
del
contratto
dinanzi
ai
terzi
controinteressati,
l'atto
va
successivamente trascritto, ai sensi degli artt. 2643 ss. c.c., nei registri immobiliari. Il
negozio transattivo impedisce l'impugnazione del contratto stesso dinanzi all'Autorità
giudiziaria per errore di diritto e per lesione (artt. 1969 e 1970 c.c.). Ciò perché
sarebbe facile pentirsi adducendo successivamente di essersi sbagliati o di aver
concesso troppo. Il contratto può tuttavia essere annullato, ma in casi specificamente
previsti dalla legge. Per esempio: se fatto relativamente a un titolo nullo di cui si
ignorava la causa di nullità; per falsità di documenti; per scoperta di documenti
occultati dall'altra parte; per la consapevole temerarietà (dimostrata) dell'altra parte e
in altri casi limitati. Un caso diffuso è quello delle divisioni di eredità, in cui taluno
dei coeredi non abbia ricevuto la parte di legittima riservatagli dalla legge. In questo
caso la parte cui viene riconosciuto transattivamente il proprio diritto ereditario
rinunzia a proporre l'azione di riduzione nei confronti degli altri eredi. Per un altro
caso di transazione divisoria si rinvia al paragrafo sul testamento impossibile in
materia si successioni. Un altro caso è quello della regolamentazione convenzionale
di confini che siano divenuti incerti col trascorrere del tempo. Un caso realmente
accaduto è quello di una divisione di cosa futura poi venuta ad esistenza in modo
difforme rispetto al progetto, con elementi in più non previsti originariamente. In
quel caso le parti dovettero accordarsi con un contratto di transazione.397
397
Così racconta il notaio nell’intervista del 4 dicembre 2002.
203
204
20. RENDITA
Esistono due tipi di contratto di rendita: quella perpetua e quella vitalizia. Con il
contratto di rendita perpetua una parte conferisce all’altra il diritto di avere in
perpetuo una prestazione periodica avente per oggetto denaro o una certa quantità di
cose fungibili, quale corrispettivo per l’alienazione di un immobile (rendita
fondiaria) o della cessione di un capitale (rendita semplice) o, se queste sono fatte a
titolo gratuito, quale onere accessorio (art. 1861 c.c.). La legge consente però di
liberarsi dal vincolo col riscatto (art. 1866 c.c.) che la dottrina configura come diritto
potestativo mediante pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione della
rendita. La rendita vitalizia si caratterizza per durare398 quanto la vita del beneficiario
o di un terzo (art. 1872 c.c.). Per questo motivo la dottrina include questo contratto
tra quelli c.d. aleatori, perché non si sa quando interverrà la morte di quella persona e
può perciò essere più o meno conveniente. La Corte d’Appello di Catania, 17
gennaio 1957, per esempio, nel caso di un usufrutto attribuito quale rendita vitalizia,
escludeva la corrispettività fra le singole prestazioni.399 Per la dottrina “la figura […]
è svincolata dal titolo dell’attribuzione […] la disciplina del rapporto di rendita
vitalizia dettata nel capo XIX è direttamente applicabile ad ogni rendita vitalizia,
comunque costituita, che non sia assoggettata ad una disciplina speciale”.
400
E,
infatti, si parla a tal proposito di c.d. rendite atipiche.401 Particolare quanto
all’oggetto, che non è tipico, è il c.d. vitalizio alimentare, consistente nell’erogazione
del mantenimento in natura: vitto, vestiario, alloggio, cure mediche ecc. Più che per
la periodicità di singole prestazioni esso si caratterizza per la continuità della
prestazione consistente essenzialmente in un facere piuttosto che in un dare.402 La
rendita fa parte dei contratti aleatori, sui quali è opportuno soffermarci in questa sede.
I contratti aleatori non trovano una definizione nel codice civile. La dottrina ha
ricostruito la nozione partendo dalla disciplina normativa disponibile. La categoria si
398
La durata del contratto è aspetto strutturale caratterizzante come rilevato, tra gli altri, da OPPO,
Contratti di durata, in “Riv.dir.comm.”, 1944, I, 44.
399
In “Foro it.”, 1957, I, 1069, con nota di TORRENTE.
400
LENER, voce Vitalizio, in “Noviss. Dig. It.”, 1975, XX, p. 1018.
401
TORRENTE, Della rendita vitalizia, in Comm. Cod. civ. Scialoja- Branca, libro IV, 1966, pag.
109 e ss. che vi fa rientrare, per esempio, la rendita liquidata a titolo di risarcimento per danno
permanente alla persona (art. 2057 c.c.). LENER, loc.ult.cit., vi fa rientrare le forme di previdenza
sociale come le pensioni.
402
LUMINOSO, Vitalizio alimentare e clausole risolutive per inadempimento, in “Riv. dir. civ.”,
1966, II, 482.
204
205
contrappone a quella dei contratti commutativi. Ai sensi dell’art. 1448, 4° co., “Non
possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori”. Ai sensi dell’art.
1469 c.c. “Le norme degli articoli precedenti (sez. III dell’eccessiva onerosità capo
XIV della risoluzione dei contratti) non si applicano ai contratti aleatori per loro
natura o per volontà delle parti”. Ai sensi dell’art. 1467, 2° co., c.c. “La risoluzione
non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del
contratto”. Ai sensi dell’art. 1472 c.c. sulla vendita di cose future, 2° co., “Qualora le
parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio, la vendita è nulla, se la
cosa non viene ad esistenza”.
21. CESSIO BONORUM 403
Ai sensi dell’art. 1977 c.c. “la cessione dei beni dei creditori è il contratto col quale il
debitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di liquidare tutte o alcune sue attività
e di ripartirne tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti”. E’ un contratto
tipico di assoggettamento volontario alla responsabilità patrimoniale e che richiede la
forma scritta ad substantiam (art. 1978 c.c.). Scrive autorevole dottrina della ratio
dell’istituto che “l’esecuzione forzata è un procedimento costoso, le cui spese in
definitiva vengono a danneggiare i creditori. E’ noto inoltre che la vendita all’asta
non è la forma migliore per ricavare dal bene il più alto prezzo. Pertanto in qualche
caso vale meglio per gli interessati sostituire alla procedura esecutiva una cessione
volontaria dei beni ai creditori”.404 In realtà, come sottolinea la dottrina richiamata,
non si tratterebbe di una vera cessione, perché non vi è alcun trasferimento dei beni, i
quali vengono trasformati in liquidità. Ed anzi, assieme al rilascio dell’eredità
accettata con beneficio d’inventario e al rilascio del bene ipotecato, viene inclusa
nella categoria delle c.d. cessioni liquidative.405 Ai sensi dell’art. 1984 c.c. “se non vi
è patto contrario, il debitore è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi
ricevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione e nei limiti di quanto
hanno ricevuto”.
22. LEASING
403
GHIDINI, La cessione dei beni dei creditori, Milano, 1956.
TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, XXXI, p. 566.
405
SPINELLI, Le cessioni liquidative, 2° vol., Napoli, 1959- 1962.
404
205
206
“Il contratto di leasing o locazione finanziaria non ha una disciplina legale ma è
definito dall’art. 17 legge 2 maggio 1976, n. 183, secondo il quale per operazioni di
locazione finanziaria si intendono le operazioni di locazione di beni mobili o
immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del
conduttore che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest’ultimo di divenire
proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo
prestabilito”. Il contratto “ha una propria causa unitaria assolutamente autonoma
caratterizzata dalla funzione creditizia”.406 “Dal leasing tradizionale con funzione di
finanziamento occorre distinguere la diversa figura del leasing “traslativo”, il quale
viene utilizzato in previsione dell’alienazione finale del bene e nel quale
l’ammontare dei canoni non sconta solo il godimento del bene ma costituisce
un’anticipazione del prezzo onde non è un negozio ad esecuzione continuata o
periodica e ad esso, in caso di risoluzione, non si applica l’art. 1458 c.c. che prevede
l’irretroattività degli effetti, bensì l’art. 1526 c.c. che impone al venditore di restituire
le rate già riscosse”. 407 A fianco della locazione finanziaria vi è il c.d. sale and leaseback con il quale però è lo stesso conduttore che vende il bene al locatore, dal quale
poi lo riceve in locazione finanziaria.
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206
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TRABUCCHI A., Istituzioni di diritto privato, Padova, XXXI ed., 1990.
TRIMARCHI, voce Accordo, in “Enc.D.”, Milano, p. 297.
CAPITOLO DODICESIMO
IL NOTAIO E LE SOCIETA’
1. Riforma del diritto societario. 2. Tipi di società. Società occasionali. Società
occulte. 3. Contratto di società. Società e impresa. Patrimonio e capitale sociale. 4.
Società semplici. 5. Società in nome collettivo. Atto costitutivo. Socio d’opera.
Partecipazioni d’incapaci. Modificazioni dell’atto costitutivo. Riduzione di capitale.
6. Società in accomandita semplice. 7. Società di capitali. Atto costitutivo. Omologa.
Iscrizione nel registro delle imprese. Conferimenti. Assemblea. Amministratori.
208
209
Modificazione dell’atto costitutivo. Aumento di capitale. Diritto di opzione.
Scioglimento della società. 8. Società a responsabilità limitata. 9. Società in
accomandita per azioni. 10. Società cooperative. 11. Trasformazione delle società.
12. Associazione in partecipazione.
1. RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO
Il diritto commerciale ha radici molto antiche. La sua evoluzione storica
richiederebbe una trattazione a sé.408 Il periodo attuale, tra l’altro, non è il più
propizio per una riflessione sociologica sul notariato, in rapporto agli istituti di diritto
commerciale. Con il fermento legislativo e dottrinale provocato dalla riforma del
diritto societario,409 la cui entrata in vigore è prevista per il 1° gennaio 2004, sono
numerose le incertezze che hanno invaso il settore;410 ed - in particolare - con
l’abrogazione della procedura di omologa per la costituzione delle società e la
riduzione per le modifiche statutarie, cui si rinvia.411 Si legge in dottrina che “la lunga
vacatio legis, cui la riforma del diritto societario è stata assoggettata rischia di non
accontentare nessuno. Infatti:
-
non accontenta le società, che scalpitano per l’utilizzo delle nuove regole;
-
non accontenta i professionisti che abitualmente curano la predisposizione
degli statuti societari, che improvvisamente si troveranno a dover applicare le
nuove norme fin dal giorno della loro pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale”;
-
non accontenta nemmeno chi voglia effettuare un ragionamento di natura
sistematica, con riguardo alla congruenza della riforma del diritto societario
con il complessivo ordinamento nel quale essa va ad inserirsi”.412
E si porta l’esempio del nuovo art. 223 bis disp. att. c.c., secondo il quale “le società
costituite anteriormente al 1° gennaio 2004 possono, in sede di costituzione o di
modificazione dello statuto, adottare clausole statutarie conformi ai decreti legislativi
408
GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001.
Legge delega 3 ottobre 2001 n. 366 “Delega al Governo per la riforma del diritto societario”.
Veggasi di recente MEAZZA- VITALI, Riordino continuo per le imprese. Dopo le modifiche al
Codice, cambiano anche Fisco e contabilità, in “Il sole 24 ore”, 12 gennaio 2003, p. 2; ivi pure il
calendario per l’attuazione e la storia della riforma.
410
BUSANI, Professionisti, decorrenza anticipata, in “Il sole 24 ore”, 12 gennaio 2003, p. 2.
411
Art. 32 L. 340/2000. L’omologa consisteva nel controllo e nulla osta da parte dell’Autorità
Giudiziaria sugli atti sociali rogati dal notaio. Spesso si chiudeva con il rigetto. Sull’argomento si è
sviluppata una copiosa giurisprudenza e dottrina. La ripartizione di competenze notaio- giudice è
venuta meno. Ora fa tutto il notaio. Il Legislatore si è accollato il prezzo di una minor qualità per aver
maggior snellezza nelle procedure e liberare i tribunali dal gravoso carico di lavoro.
412
BUSANI, cit..
409
209
210
attuativi della legge n. 366 del 2001; tali clausole avranno efficacia a decorrere dal
momento, successivo alla data del 1° gennaio 2004, in cui saranno iscritte nel
registro imprese con contestuale deposito dello statuto nella sua nuova versione”.
Quanto al contenuto complessivo della riforma, occorre fare riferimento alla Legge
delega 366/2001, che l’ha ispirata. “Obiettivo primario della riforma è quello di
favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro
accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali”.413 Si legge, sotto il profilo
forse più politico che sociologico, che “grazie alle novità della Riforma, a un sistema
normativo rigido, dirigistico, burocratico, che risentiva ancora dell’autoritarismo
fascista e che poneva il Tribunale al centro della vita societaria, subentra –
nonostante i limiti derivanti da direttive europee ormai rapidamente invecchiate e che
hanno pesantemente condizionato ulteriori sviluppi – un sistema che pone al suo
centro le scelte del privato imprenditore, che lo responsabilizza, dandogli maggiori
possibilità”.414 Nel diritto societario l’intervento del Notaio non si discosta da quello
che è il suo ruolo tipico in materia contrattuale. Egli dunque è terzo, imparziale e
tecnico. In generale si può dire che si va dal Notaio, principalmente, per costituire le
società, ma non solo, come vedremo. Il Notaio è sempre più colui che accompagna
l’intera vita della società, seppure dall’esterno. Egli dà pubblica fede ad alcuni atti
interni della società che hanno rilevanza esterna, come i verbali delle assemblee.
2. TIPI DI SOCIETA’
Ai sensi dell’art. 2249 c.c. “le società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività
commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti di
questo titolo”. Norma di chiusura del sistema: le parti non possono dar vita a tipi di
società diversi da quelli espressamente previsti. E’ il principio di tipicità, il cui
rovescio della medaglia è l’inammissibilità di società atipiche, diverse cioè da quelle
previste dalla legge. Viene così derogato il principio generale di autonomia
contrattuale. Il problema della tipicità si propone anche con riguardo alle c.d.
clausole atipiche. Sono ammesse quando non siano in contrasto con norme
imperative e che non modifichino gli elementi essenziali del tipo prescelto.
413
414
SANTOSUOSSO D. U. , Il nuovo diritto societario, suppl. al fasc. 9, “Diritto e Giustizia”, 2003.
CASTELLI, Un primo passo per la governance, in “Il sole 24 ore”, 12 gennaio 2003, p. 3.
210
211
Altrimenti, ai sensi dell’art. 1419 c.c., la clausola sarà nulla o potrà addirittura
rendere nullo l’intero contratto. Ovvero potrà darsi luogo ad una riqualificazione del
rapporto sociale.
2.1. Società occasionali. Si discute della loro natura giuridica e conseguente del
regime normativo cui assoggettarle. Secondo certa dottrina si tratterebbe di vere e
proprie società atipiche. Si tratterebbe, secondo altro orientamento, di un modo di
essere delle società- tipo, caratterizzate però dalla mancanza del requisito della
“professionalità”, cioè non connotate dallo svolgimento in modo durevole
dell’attività economica.
2.2. Società occulte. Certa dottrina le considera società atipiche. Anche in questo
caso, secondo altro orientamento, si tratterebbe di un modo di essere di societàtipo, caratterizzate però dalla mancanza di esteriorizzazione dei soci all’esterno.
2.3. Riforma. “Il legislatore non ha stravolto la società per azioni come tipo di
società di capitali: la linea di riforma ha seguito una prospettiva volta a
diversificare le subfattispecie (s.p.a. chiusa, e tra le società aperte, quelle quotate e
quelle con titoli diffusi), tendenzialmente prevedendo per le società chiuse una
maggiore personalizzazione nel senso del riconoscimento dell’autonomia privata,
e, per tutte, norme più precise a tutela della correttezza dell’attività e dei
procedimenti. Diversamente è avvenuto per le s.r.l.: in linea con la legge delega
(articolo 3), il decreto delegato costruisce (all’articolo 3) la società a responsabilità
limitata come un nuovo tipo di società, con caratteristiche del tutto peculiari
rispetto alla sua tradizionale fisionomia di piccola società per azioni”.415
3. CONTRATTO DI SOCIETA’
Ai sensi dell’art. 2247 c.c., “con il contratto di società due o più persone
conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo
scopo di dividerne gli utili”. L’art. 2247 c.c., norma fondamentale del sistema
società, pone i presupposti necessari perché i privati possano ricorrere ai diversi tipi
di società riconosciuti dal nostro ordinamento.416 In primo luogo si applicano alle
società tutte quelle norme sui contratti in generale (libro IV) che non sono derogate
da specifiche norme contenute nel libro V.417 Così, per esempio, in punto di causa del
415
SANTOSUOSSO D.U., Il nuovo diritto societario, cit., p. 3.
I presupposti ulteriori per accedere ai diversi tipi sono posti dalle norme specifiche.
417
A ciò si deve la collocazione del presente capitolo all’interno della parte dedicata ai contratti.
416
211
212
contratto, essa in generale coincide con l’interesse sociale che certa dottrina distingue
in “preliminare” - trasformare la ricchezza conferita dai soci in un efficiente
organizzazione imprenditoriale-, “intermedio” - quello della massimizzazione del
profitto, “finale” - quello della divisione degli utili. Quest’ultimo, prevalente nelle
società di persone, lascia il posto all’esigenza di autofinanziamento dell’impresa
nelle società di capitali, per cui nelle s.p.a. la maggioranza può deliberare la non
distribuzione degli utili; mentre nelle società di persone il socio ha un vero e proprio
diritto alla distribuzione. Il contratto di società rientra nella categoria dei contratti
potenzialmente plurilaterali o aperti, assieme alle associazioni (artt. 14, 36 ss. c.c.) ed
ai consorzi fra imprenditori (artt. 2602 ss. c.c.). Le prestazioni di ciascuna parte
possono anche essere di diversa natura e di diverso ammontare. Il contratto di società
è stato definito un “contratto di organizzazione di una futura attività”, per cui fra le
parti nascono situazioni strumentali e non finali; per il contratto di società trova
applicazione la speciale disciplina della patologia contrattuale prevista dagli artt.
1420, 1446, 1459 e 1466 c.c. per i contratti associativi. Per essi, infatti, la nullità,
l’annullabilità, la risoluzione per inadempimento o per impossibilità sopravvenuta
che colpiscono il vincolo di una delle parti non comportano rispettivamente nullità,
annullamento o risoluzione dell’intero contratto, salvo che la partecipazione venuta
meno debba considerarsi essenziale. I soci conferiscono beni o servizi. I conferimenti
sono le prestazioni cui le parti del contratto di società si obbligano. La loro funzione
è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale, per lo svolgimento
dell’attività d’impresa. L’oggetto può essere qualsiasi entità suscettibile di
valutazione economica che le parti ritengano utile o necessaria per lo svolgimento
della comune attività d’impresa; l’onnicomprensività, però, deve fare i conti con i tipi
di società: nelle società di capitali e società cooperative, per esempio, non possono
formare oggetto di conferimento le prestazioni d’opera e di servizi (artt. 2342 III).
L’esercizio in comune dell’attività economica, a seconda del tipo di società, può
variare. Tuttavia si possono individuare dei requisiti minimi: predeterminazione
dell’obiettivo del conseguimento di un risultato economico comune; imputazione
dell’attività giuridica al gruppo unitariamente considerato; colui che agisce
all’esterno deve farlo in nome e per conto del gruppo. Questo elemento
rappresenterebbe il discrimen tra contratto di società e contratto di associazione in
212
213
partecipazione (art. 2549 c.c.), cui si rinvia.418 “Allo scopo di dividerne gli utili”, dice
la norma. E’ il c.d. scopo di lucro, che distingue le società dai c.d. enti non profit. Il
lucro è, per la dottrina, oggettivo e soggettivo. Il primo concerne il mero fine
dell’attività economica (scopo-mezzo), il secondo la volontà dei soci di dividere gli
utili conseguiti (scopo-fine).
3.1. Società e impresa. Società e associazione. L’attività della società presenta, di
regola, tutti i caratteri dell’attività d’impresa (art. 2082 cod. civ.). Tuttavia lo scopo
di lucro rappresenta quel carattere in più della società rispetto all’impresa collettiva,
la quale può essere esercitata anche senza scopo di lucro, per scopi di natura ideale o,
comunque, non economici. La società, invece, è sempre costituita per la divisione
degli utili. Si danno, però, casi di società senza impresa: le società occasionali e le
società tra professionisti. Quello dello scopo di lucro e della divisione degli utili è
requisito che, secondo un certo orientamento giurisprudenziale,419 discriminerebbe la
società rispetto all’istituto dell’associazione. Per aversi società, occorre la presenza di
entrambi gli elementi indicati nell’art. 2247 c.c., attività economica e scopo di lucro.
Ci sarebbe, invece, associazione anziché società, laddove manca lo scopo della
divisione degli utili. Ci sarebbe associazione anziché società, quando il gruppo
eserciti un’attività economica per scopi ideali. La società, infatti, sarebbe soltanto
una delle forme di esercizio di un’attività economica, di un’impresa collettiva e non
l’unica. E non osta la circostanza che solo nelle norme sulla società è prevista la
disciplina dell’esercizio collettivo di un’impresa. Né osterebbe la conseguente
impossibilità di dichiarare il fallimento di un gruppo che società non sia perché -ai
sensi dell’art. 1 L. Fall.- sono assoggettabili a fallimento “gli imprenditori che
esercitano una attività commerciale”.420 L’altro orientamento vorrebbe, invece,
cogliere il discrimen nell’esercizio dell’attività economica, tale per cui l’associazione
non svolgerebbe attività economica, mentre ogni gruppo che svolgesse attività
418
de FERRA, Associazione in partecipazione, in Commentario del codice civile, p. 13 ss; si tratta di
contratti distinti, l’uno associativo, l’altro di scambio. Un soggetto, associante, riceve da un altro
soggetto, associato, un determinato apporto e gli attribuisce, in cambio, una partecipazione agli utili
dell’impresa o, più limitatamente, di uno o più affari. Infatti l’apporto entra nel patrimonio del solo
associante, senza costituire un fondo comune. I terzi acquistano diritti e assumono obbligazioni solo
nei confronti dell’associante (art. 2551 cod. civ).
419
Cass., 14 ottobre 1958, n. 3251, in “Foro it.”, 1958, I, c. 1617.
420
tesi a) società = attività economica + scopo di lucro; associazione = attività economica + scopi
ideali.
213
214
economica sarebbe, per ciò solo, una società.421 Tale ricostruzione però pone nel
nulla l’ultima parte dell’art. 2247 c.c.422
3.2. Patrimonio e capitale sociale. Il Patrimonio sociale, inizialmente, è costituito dai
conferimenti dei soci. Successivamente subisce continue variazioni qualitative e
quantitative, in relazione alle vicende economiche della società. La sua consistenza
annuale è accertata periodicamente attraverso il bilancio di esercizio. Il patrimonio
netto è la differenza positiva tra attività e passività. La sua funzione è quella di
garanzia generica dei creditori della società, “principale, se per le obbligazioni sociali
rispondono anche i soci col proprio patrimonio, od esclusiva, se si tratta di un tipo di
società nel quale per le obbligazioni sociali risponde solo la società col proprio
patrimonio”.423
Il capitale sociale è un’entità numerica che esprime il valore “storico” in denaro dei
conferimenti, quale risulta dalla valutazione compiuta nell’atto costitutivo della
società. Esso rimane immutato nel corso della vita della società se non se ne decide
l’aumento o la riduzione con modifica dell’atto costitutivo. Ha una funzione
vincolistica. E’ il valore delle attività patrimoniali che i soci si sono impegnati a non
distrarre dall’attività d’impresa e che perciò non possono liberamente ripartirsi per
tutta la durata della società. Ciò che possono toccare è, invece, il patrimonio netto
che supera il capitale sociale. La cifra del capitale sociale indica la frazione del
patrimonio netto non distribuibile (Es: capitale sociale 100, patrimonio netto 200,
frazione non distribuibile 50 %). Ha una funzione organizzativa ed è termine di
riferimento per accertare periodicamente, tramite il bilancio d’esercizio, se la società
ha conseguito utili o subito perdite (Es: a) 600 (attività) - (300 passività + 100
capitale sociale) = 200 utile o patrimonio netto distribuibile; b) 600- (600 + 100) = 100 perdite). Inoltre nelle società di capitale, il capitale funge da base di misurazione
di alcune fondamentali situazioni soggettive dei soci (diritto di voto, diritto agli utili
e alla quota di liquidazione).
4. SOCIETA’ SEMPLICE
421
Trib. Roma, 11 giugno 1954, in “Dir. fall.”, (1954), II, p. 455 ha dichiarato il fallimento come
società di un’associazione che, per il perseguimento di finalità sociali, esercitava un’attività di natura
commerciale, non avendo rilievo che gli utili ottenuti non fossero divisi tra i soci.
422
tesi b) società = attività economica; associazione = attività non economica.
423
CAMPOBASSO, Diritto, cit., p. 7.
214
215
L’intervento del Notaio per le società semplici è piuttosto limitato. Per l’art. 2251
c.c., infatti, vige, in materia, il principio della libertà delle forme: “il contratto non è
soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti”.
Chiaro il riferimento, nell’ultima parte della norma, ai conferimenti di immobili che,
ai sensi dell’art. 1350 n. 9) c.c., richiedono l’atto pubblico o la scrittura privata, a
pena di nullità.424 Ai sensi dell’art. 2249 c.c., “le società che hanno per oggetto
l’esercizio di un’attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati
nei capi III e ss. di questo capo”, sicché lo schema societario in questione sarà in
generale utilizzabile solo per l’esercizio di attività economiche non commerciali: per
esclusione, quindi, le attività agricole e professionali. Ad ogni buon conto la
disciplina della società semplice è la disciplina generale delle società di persone e di
essa si deve comunque dar conto per la soluzione di problemi relativi agli tipi di
società di persone. La disciplina (artt. 2251- 2290 c.c.) è divisa in cinque sezioni.425
Il Notaio, quando interviene, è chiamato a dar conto in atto, in modo analitico, dei
conferimenti dei soci, rimuovendo, quando necessario, per quanto riguarda la misura
dei conferimenti, la presunzione di uguaglianza di cui all’art. 2253 c.c. Il
conferimento può consistere nel trasferimento della proprietà o della concessione del
mero godimento. Il Notaio dovrebbe pure dar conto alle parti del regime legale delle
garanzie e rischi dei singoli conferimenti ex art. 2254 c.c.: nei conferimenti in
proprietà valgono i principi della vendita, nei conferimenti in godimento valgono
quelli della locazione. E’ ammesso, inoltre, il conferimento di crediti ex art. 2255
c.c., salva la responsabilità della c.d. bonitas (solvibilità). E’ ammesso il
conferimento di servizi da parte del socio d’opera ex art. 2263, 2° co., c.c., il quale
però, per la dottrina, in caso di scioglimento, non ha diritto al rimborso di capitale.
Si discute circa il momento in cui scatta l’obbligo per i soci di conferire “quanto è
necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale”, se cioè il conferimento vada
effettuato
sin
dall’inizio
della
società
o
possa
essere
effettuato
anche
successivamente. Nel secondo senso parte della dottrina rileva che possono darsi
società in cui non siano affatto necessari conferimenti. In questo senso sembra pure
424
Si discute tuttavia della sorte del contratto il cui conferimento sia dichiarato invalido con sentenza
passata in giudicato: il contratto di società è nullo o resta valido anche in mancanza del conferimento
restando lo scopo comunque conseguibile.
425
Sez. I. Disposizioni generali; Sez. II. Dei rapporti tra i soci; Sez. III. Dei rapporti con i terzi; Sez.
IV. Dello scioglimento; Sez. V. Dello scioglimento limitatamente a un socio.
215
216
orientata la Corte di Cassazione, laddove ha precisato che “l’obbligo di conferimento,
assunto dal socio […] integra un debito verso la società, non verso gli altri soci, che
persiste per tutta la durata del rapporto sociale. Ne consegue che il diritto della
società di pretendere l’adempimento di tale debito è soggetto a prescrizione solo a
partire dalla data della cessazione del rapporto sociale”.426 La dottrina sottolinea
come la materia dei conferimenti abbia per lo più una rilevanza interna tra i soci,
nulla mutando per i terzi creditori su come sia ripartito il capitale sociale. Il Notaio
poi dovrebbe regolamentare analiticamente il modo di amministrazione, a meno che
ai soci non vada bene il regime legale, cioè quello di amministrazione disgiuntiva
(artt. 2256- 2257 c.c.). Questo prevede un meccanismo di opposizione, a
maggioranza, prima che l’operazione sia compiuta. Si discute in dottrina, nel silenzio
della Legge, del caso di consultazione dei soci non amministratori su questioni di
rilievo, se questi cioè debbano decidere a maggioranza o all’unanimità. La questione
non è di poco conto perché, in base al secondo orientamento, in mancanza di
realizzazione dell’unanimità, la società sarebbe destinata a sciogliersi ex art. 2272, n.
2) c.c.; ecco allora che sarebbe auspicabile la previsione nell’atto costitutivo di una
clausola ad hoc da parte del Notaio. In sede di costituzione le parti possono già
nominare gli amministratori, che sono necessariamente soci. Questi, a differenza di
quelli nominati con atto separato, che seguono le norme sul mandato, sono revocabili
solo per giusta causa (art. 2259 c.c.). Mentre, per i diritti e gli obblighi, tutti gli
amministratori seguono le regole sul mandato (art. 2260 c.c.). E il Notaio dovrebbe
spiegare alle parti che non lo conoscano il regime di tale contratto, al fine di evitare
inutili liti. Gli amministratori sono tenuti al rendiconto. Si discute, nel silenzio della
Legge, se questo debba essere approvato a maggioranza o all’unanimità.
Sembrerebbe prevalere quell’orientamento che vuole l’approvazione di tutti i soci.
Inoltre, per parte della dottrina, dovrebbe ivi valere il medesimo meccanismo
previsto in tema di approvazione del bilancio di liquidazione di s.n.c.: il bilancio
s’intenderebbe approvato in mancanza di impugnazione entro i termini, salvo porsi
l’ulteriore problema di quali siano questi termini. Il Notaio dovrebbe poi riportare in
atto le regole legali sul controllo dei soci sull’amministrazione della società (art.
2261 c.c.). Per la dottrina esso si estrinseca nel duplice diritto, all’informazione in
generale (1° co.) ed al rendiconto in particolare (2° co.). La responsabilità degli
426
Cass. 5 maggio 1988, n. 3324, in “Fall.”, (1988), 965.
216
217
amministratori, riconosciuta in seguito ad azione promossa dai soci o dai nuovi
amministratori, salvo prova di non responsabilità, è solidale tra gli amministratori,
anche se l’amministrazione è disgiuntiva; il che incentiva pure il controllo reciproco
tra gli amministratori. Una cura particolare merita l’indicazione della partecipazione
dei soci agli utili ed alle perdite (artt. 2262, 2263, 2264 e 2265 c.c), anche se le
norme hanno carattere dispositivo e valgono a colmare eventuali lacune, com’è per la
maggior parte delle norme in materia. In mancanza di previsioni specifiche vale la
presunzione di eguaglianza tra le partecipazioni dei diversi soci, la presunzione di
proporzionalità rispetto ai conferimenti, la presunzione di eguaglianza tra guadagni e
perdite. Il Notaio deve evitare qualsiasi forma di patto leonino, comunque nullo (artt.
1344 e 2265 c.c.). Ed anzi l’inserimento del patto, alla presenza del Notaio, sarebbe
addirittura sanzionabile (art. 28 l.not.). Come accade per l’amministrazione, il Notaio
deve attribuire in atto la rappresentanza della società (art. 2266 c.c.). In mancanza
vale la regola della rappresentanza in capo a ciascun socio amministratore. La
previsione è necessaria anche perché questa incide sul regime di responsabilità per le
obbligazioni sociali (art. 2267 c.c.). In specie quando si preveda espressamente
l’esonero o la limitazione di responsabilità per i soci che non abbiano agito in nome e
per conto di essa. Quando il patrimonio sociale non sia capiente, i soci che hanno
agito rispondono personalmente e solidalmente (art. 2267, 2° co., 2268 c.c.). Così
anche gli altri soci se la loro responsabilità non è esclusa. Le modificazioni e
l’estinzione della rappresentanza devono essere portate a conoscenza dei terzi con
mezzi idonei pena l’inopponibilità ai terzi, salvo che si provi la loro conoscenza. Ai
sensi dell’art. 2252 c.c., circa le modificazioni del contratto sociale, “il contratto
sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è
convenuto diversamente”. In generale però l’unanimità, posta evidentemente a tutela
dell’interesse del singolo socio a non vedersi modificata contro la sua volontà la
struttura della società, può significare anche paralisi e quindi pregiudizio per la stessa
società. Per questo il Legislatore ha posto la clausola che consente di derogare al
criterio dell’unanimità: dipenderà allora dalla volontà manifestata dalle parti al
Notaio. Le modificazioni possono riguardare sia la struttura della società (c.d.
modificazioni oggettive) sia le persone dei soci (c.d. modificazioni soggettive). La
società ha una struttura "aperta" per quanto riguarda le persone dei soci. La
compagine sociale può cioè allargarsi o restringersi. E questo fenomeno incide sul
217
218
regime di responsabilità. Il Legislatore ha previsto, infatti, l'istituto della
responsabilità del nuovo socio all'art. 2269 c.c.. Il principio è quello della
responsabilità - al pari degli altri soci - per le obbligazioni sociali già sorte
anteriormente all'entrata in società. E' una scelta di politica legislativa di favore per le
società di persone perché incoraggia i terzi a stipulare contratti con la società,
laddove le garanzie di solvibilità risultano per legge accresciute ogni volta che entri a
farvi parte un nuovo socio. Il Notaio dovrebbe pure, mettendo d’accordo le parti, le
modalità per la liquidazione della società, una volta avvenuto lo scioglimento della
società (artt. 2275, 2272 c.c.) nonché per la nomina dei liquidatori e per i relativi
obblighi e responsabilità (art. 2276 c.c.). Per esempio, i soci possono stabilire, ai
sensi dell’art. 2278 c.c., che i liquidatori non vendano in blocco i beni sociali o
possono escludere che possano fare transazioni e compromessi. Una questione
particolarmente dibattuta, in dottrina, è quella relativa alla trasmissione della qualità
di socio agli eredi dei soci. Si tratta di contemperare due esigenze: quella dei soci a
non veder modificata la compagine sociale originaria al di fuori dell’accordo
contrattuale iniziale e quella dell’erede a subentrare nel diritto del de cuius. Nella
società semplice l’art. 2284 c.c. risolve la questione rimettendo il tutto al contratto
sociale (“salvo contraria disposizione del contratto”) e, quindi, alle parti. In
mancanza “gli altri (soci) devono liquidare la quota agli eredi, a meno che
preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi
acconsentano”.
5. SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO
La società in nome collettivo è il tipo di società commerciale in cui i soci rischiano
personalmente e con tutto il loro patrimonio (art. 2291 c.c.). Ai sensi dell’art. 2293
c.c. essa è regolata, per quanto non espressamente previsto dalle norme che la
riguardano, da quelle sulla società semplice. Ai sensi dell’art. 2296, 3° co., c.c. la
stipulazione del contratto di s.n.c. può avvenire per atto pubblico. In tal caso “è
obbligato ad eseguire il deposito (dell’atto costitutivo presso l’ufficio del registro
delle imprese) anche il notaio”.427 Il Notaio deve curare, inoltre, quando interviene,
che non manchi, nell’atto costitutivo, alcuno degli elementi di cui all’art. 2295 c.c.
427
Se la s.n.c. non si registra presso l’ufficio del registro, resta assoggettata alla disciplina delle società
semplici.
218
219
Elementi che ritroveremo riprodotti, in parte, negli atti costitutivi delle altre società:
1) i soci; 2) il Notaio chiamato a rogare l’atto costitutivo di una s.n.c. è tenuto a
rispettare e a far rispettare la norma di cui all’art. 2292 c.c., sulla ragione sociale, che
impone la presenza del nome di uno o più soci con l’indicazione del rapporto sociale,
garanzia per i terzi che vengano in contatto con la società;
428
3) i soci che hanno
l’amministrazione e la rappresentanza della società; 4) la sede sociale e le sedi sociali
con rappresentanza stabile; 5) l’oggetto sociale; 6) i conferimenti; 7) gli eventuali
soci d’opera; 8) i meccanismi di ripartizione deli utili; 9) la durata della società. E’
possibile, inoltre, che i soci vogliano limitare la responsabilità illimitata e solidale di
uno dei soci. Il Notaio può inserire la clausola ma la stessa, ex art. 2291, 2° co., c.c.,
avrà effetto solo tra le parti e non nei confronti dei terzi. Altro compito del Notaio è
quello di curare che, nell’atto costitutivo o nella procura, risultino le eventuali
limitazioni al potere di rappresentanza degli amministratori e che queste siano iscritte
nel registro delle imprese (art. 2298 c.c.). Malgrado non sia previsto espressamente
tale obbligo come all’art. 2296, 3° co., si deve ritenere che sia dello stesso tipo, oltre
che discendente dalla stessa funzione del Notaio di evitare le liti future. Ai sensi
dell’art. 2296 c.c. (pubblicazione), l’atto costitutivo della s.n.c. deve essere
depositato per l’iscrizione nel registro delle imprese presso l’ufficio ove è stabilita la
sede sociale. E “se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, è obbligato ad
eseguire il deposito anche il notaio (3° co.)”. In mancanza scatta la responsabilità del
Notaio. Ma i terzi sono fatti salvi perché il Legislatore ha previsto che vale
comunque ed in ogni caso la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci ed il
patto contrario interno vale soltanto se ne è provata la conoscenza diretta in capo al
terzo (art. 2297 c.c.). Si discute in dottrina dell’imputabilità a capitale del
conferimento d’opera. La dottrina prevalente sostiene la tesi negativa, in ragione del
fatto che il conferimento si esaurisce con la prestazione. Come si discute se sia
ammissibile la clausola di continuazione in relazione agli eredi del socio d’opera.
Anche qui prevale la soluzione negativa ed in ragione, ancora una volta, della
peculiarità del suo conferimento. Compito precipuo del Notaio è, inoltre, quello di
assicurare l’osservanza del regime normativo che riguarda la partecipazione di un
incapace alla s.n.c. L’art. 2294 c.c. richiama gli artt. 320, 371, 397, 424 e 425 c.c. Il
428
Se il socio receduto o gli eredi del socio defunto vi consentono, la società può conservare nella
ragione sociale il nome del socio receduto o defunto.
219
220
particolare regime si spiega con l’esigenza di bilanciare due interessi diversi: quello
della responsabilità limitata tipico della s.n.c. e garanzia per i terzi che intrattengono
con essa rapporti commerciali e quello di evitare al minore pregiudizi economici.
Rinviamo la trattazione al capitolo sulla volontaria giurisdizione, sub art. 320 c.c.
Vale per la s.n.c. (art. 2300 c.c.) quanto detto nelle società semplici in merito al
consenso di tutti i soci per le modificazioni del contratto sociale (Cass. 60/652), cui
si rinvia. Così è, per esempio, per il trasferimento della sede sociale o per la cessione,
con effetto verso la società, della quota di un socio, per il recesso di un socio per
giusta causa, per la riduzione di capitale o per l’aumento, per ampliare l’oggetto
sociale o per modificare la ragione sociale. La riduzione del capitale sociale è
possibile in due modi: per “rimborso ai soci delle quote pagate o mediante
liberazione di essi dall’obbligo di ulteriori versamenti” (art. 2306 c.c.). E “la
deliberazione di riduzione del capitale […] può essere eseguita soltanto dopo tre mesi
dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese”. Il termine è stabilito a tutela dei
creditori che possono fare opposizione.
6. SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE
La s.a.s. è ispirata alla s.n.c. e vale, pertanto, quanto ivi descritto (art. 2315 c.c.),
salve le differenze che qui specifichiamo. La prima e fondamentale differenza
strutturale è quella tra soci accomandanti e soci accomandatari. I primi conferiscono
solo capitale. Gli altri amministrano e sono illimitatamente e solidalmente
responsabili. Il Notaio che cura la costituzione di una s.a.s. farà risaltare questa
differenza. E farà attenzione anche che i soci inseriscano nella ragione sociale il
nome di almeno uno dei soci accomandatari e che non compaia quella di alcuno degli
accomandanti (art. 2314 c.c.), perché, altrimenti, perderebbero il beneficio della
responsabilità limitata. Le eventuali modificazioni del contratto sociale, se non è
diversamente disposto, devono avere il consenso di tutti i soci. Mentre per la nomina
degli amministratori, salvo diversa disposizione dei patti sociali, è necessario il
consenso dei soci accomandatari e l’approvazione di tanti soci che rappresentino la
maggioranza del capitale da essi sottoscritto. Analogo quorum, salvo diversa
disposizione dell’atto costitutivo, è necessario per la revoca dell’amministratore
nominato con atto separato (art. 2319 c.c.). Qualora un socio accomandante voglia
cedere la propria quota sociale (art. 2320 c.c.), perché la cessione abbia effetto verso
220
221
la società, è necessario il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del
capitale sociale, salvo diversa disposizione del contratto sociale. La quota di s.a.s. è
trasmissibile per causa di morte (art. 2322 c.c.).
7. SOCIETA’ PER AZIONI 429
Ai sensi dell’art. 2325 c.c., le s.p.a. si caratterizzano per la responsabilità limitata dei
soci. Per le obbligazioni sociali, infatti, «risponde soltanto la società con il suo
patrimonio».430 I soci vengono in considerazione soltanto per le rispettive quote di
partecipazione al capitale, rappresentate da azioni. La società viene ad autonoma
esistenza rispetto ai soci. Si parla in proposito pure di «società anonima». Le s.p.a.
costituiscono l’oggetto più importante della riforma del diritto societario, assieme
alle s.r.l. Dall’art. 2325 c.c., in forza del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, è scomparso il
2° co., che è stato spostato all’art. 2346, 1° co., nella sezione propria dedicata alle
azioni. E’ stato, invece, “introdotto un nuovo comma, dedicato all’insolvenza della
società unipersonale che perde il beneficio della responsabilità limitata allorché non
siano rispettate le disposizioni dell’art. 2342 e 2362, rispettivamente sui conferimenti
e sulla pubblicità”.431 L’art. 2325 bis, neo- introdotto, contiene la definizione di
società che fanno appello al mercato del capitale di rischio, “includendovi oltre le
società con azioni quotate nei mercati regolamentati, anche quelle diffuse fra il
pubblico in misura rilevante”.432 Ai sensi degli artt. 2327- 2345 c.c. la s.p.a., in
quanto garantisce sé stessa col proprio patrimonio, può costituirsi solo in presenza di
un capitale minimo di L. 200.000.000 (duecentomilioni), portato dalla riforma a
120.000 euro, e che varia per le società costituite in settori particolari di mercato.433
La forma dell'atto costitutivo (atto pubblico) ed il contenuto, indicati dall'art. 2328
c.c., sono rimasti pressoché immutati. Al n. 1) dell’art. 2328 è stata aggiunta la
denominazione, in armonia con la possibilità siano società o altri enti. Il n. 2)
prescrive ora l’indicazione del Comune sede della società. Il n. 3) prescrive ora
429
Libro V del lavoro; titolo V delle società; capo V delle s.p.a. artt. 2325-2471 cod.civ.
Ai sensi dell'art. 150 L.f., in caso di fallimento di società a responsabilità limitata, il giudice
delegato può ingiungere ai soci di eseguire i versamenti ancora dovuti, prima della scadenza del
termine.
431
SANTOSUOSSO, cit., p. 7.
432
SANTOSUOSSO, cit., p. 7.
433
a) soc. di assicurazione contro i danni; b) soc. di assicurazione per la vita; c) soc. di gestione di
fondi comuni d'investimento mobiliare (2, 5, 7 miliardi, a seconda che si tratti di fondi di tipo aperto,
chiuso o di entrambi i tipi congiuntamente); d) soc. di intermediazione mobiliare.
430
221
222
l’indicazione dell’attività della società. Al n. 4) è prescritta l’indicazione del capitale
sottoscritto e di quello versato, mentre prima era sufficiente quest’ultima. Al n. 11) è
stata inserita l’attestazione dei primi amministratori e sindaci ed eventualmente del
soggetto al quale è demandato il controllo contabile. Lo statuto è parte integrante
dell'atto costitutivo e va ad esso allegato, anche se fatto con atto separato (art. 2328,
2° c.c.). Ed anzi è stata inserita la nuova norma (ultimo comma), secondo la quale, in
caso di contrasto, prevale quest’ultimo. Il Notaio rogante deve constatare ed allegare
all'atto (art. 2330 c.c.) la documentazione relativa alla esistenza delle condizioni
previste dall'art. 2329 c.c. La costituzione della società, prima della c.d. miniriforma,
Legge 340/2000, era soggetta ad omologazione.434 Questa avveniva per procedimento
di volontaria giurisdizione, precisamente mediante istanza accompagnata dal
deposito dell'atto costitutivo da parte del Notaio rogante, entro trenta giorni, presso
l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della
società. Il Notaio allega i documenti comprovanti: 1) l'avvenuto versamento di
almeno i tre decimi dei conferimenti in danaro; 2) la relazione giurata di un esperto
designato dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 2343 c.c. presentata da chi
conferisce beni in natura o crediti; 3) le eventuali autorizzazioni richieste per la
costituzione della società ai sensi dell'art. 2329 c.c. Con la riforma, a garanzia dei
terzi, al n. 2) dell’art. 2329 c.c., è stata espressamente prevista per la valida
costituzione della società, oltre al versamento dei tre decimi, il rispetto delle norme
degli artt. 2342 e 2343 sui conferimenti. L'iscrizione nel registro delle imprese era
prima disposta dal tribunale con decreto, verificato l'adempimento delle condizioni
stabilite dalla legge e sentito il pubblico ministero (art. 2330, 3° c.c.). Contro il
decreto del tribunale, di omologa o di reiezione, era ammesso reclamo davanti alla
corte d'appello entro trenta giorni dalla comunicazione. Con l'iscrizione nel registro
delle imprese, oggi a cura del Notaio o degli amministratori, da effettuarsi entro venti
giorni (e non più trenta), la società acquista la personalità giuridica. Si parla di
pubblicità ad efficacia costitutiva. Prima di questo momento, (art. 2331 c.c.) tutte le
operazioni, con l'unica eccezione dell'emissione e della vendita di azioni per le quali
434
L' omologazione (vedi Volontaria giurisdizione) era richiesta relativamente all'atto costitutivo di
s.p.a. (art. 2330 III cod.civ.), per le delibere assembleari di emissione di obbligazioni (art. 2411 III
cod.civ.), per le delibere assembleari modificative dell'atto costitutivo (art. 2436 cod.civ.), norme
richiamate dagli artt. 2464 cod.civ. per le s.a.p.a., dagli artt. 2475 II e 2494 cod.civ. per le s.r.l., dagli
artt. 2519 e 2537 c.c. per le imprese cooperative e mutue assicuratrici.
222
223
è comminata la nullità per Legge, compiute in nome della società, si imputano a
coloro che hanno agito, illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi. La
riforma ha regolamentato questa fase transitoria di interregno. “In primo luogo si è
ridotto notevolmente il periodo decorso il quale la mancanza di iscrizione implica il
diritto del sottoscrittore ad ottenere il rimborso dei decimi dalla banca (da un anno a
novanta giorni): periodo che si giustificava con i possibili tempi lunghi
dell’omologazione (2331, quarto comma). Si è poi previsto, per la certezza dei
rapporti giuridici ed in linea con un certo orientamento, che l’atto costitutivo perda
efficacia. Si sono poi precisate le responsabilità”.435 Il nuovo art. 2332, in materia di
nullità, ha ridotto i casi di nullità della società. E' fatto divieto all'istituto di credito di
consegnare le somme depositate agli amministratori prima della iscrizione nel
registro delle imprese debitamente documentata, a pena di responsabilità dello stesso
istituto verso la società e i terzi. Queste, infatti, qualora non intervenga per qualsiasi
motivo l'iscrizione, e la società non possa considerarsi perciò costituita, devono
essere restituite ai sottoscrittori (art. 2329, 2° e 3° c.c.). “Un’altra innovazione è data
dalla iscrizione nel registro delle imprese del dispositivo della sentenza che dichiara
la nullità, a tutela della massima trasparenza nel e per il mercato”.436 La riforma
introduce per la prima volta nel c.c. la disciplina dei patti parasociali (art. 2341 bis,
1° co., c.c.), sul sindacato di voto o sui limiti al trasferimento delle azioni. Non tutti i
tipi, però, vi hanno trovato cittadinanza. Sono rimasti esclusi, per esempio, i patti di
consultazione e quelli di acquisto di azioni. Ai sensi degli artt. 2342-2345 c.c. il
conferimento è l'apporto materiale prestato dal socio per la costituzione e l'esercizio
dell'attività societaria. L'oggetto per eccellenza del conferimento è il danaro.
Tuttavia, purché sia espressamente previsto nell'atto costitutivo, è dato conferire beni
in natura e crediti. Sono, invece, esclusi per legge, i conferimenti di prestazioni
d'opera o di servizi (art. 2342 c.c.). I conferimenti in natura e di crediti danno luogo
ad una disciplina particolare. Gli artt. 2254 e 2255 c.c., situati tra le disposizioni
relative alle società semplici ed espressamente richiamati, impongono un regime di
garanzie piuttosto severo e regolano il passaggio dei rischi. Inoltre le azioni
corrispondenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.
Il conferimento presuppone la presentazione della relazione di stima allegata all'atto
435
436
SANTOSUOSSO, cit., p. 13.
SANTOSUOSSO, cit., p. 15.
223
224
costitutivo, fatta da un esperto designato dal Presidente del Tribunale, giurata. Questa
deve contenere: 1. la descrizione dei beni e dei crediti; 2. il valore attribuito a
ciascuno; 3. i criteri di valutazione seguiti; 4. l'attestazione che il valore attribuito
non è inferiore al valore nominale, aumentato dell'eventuale sovrapprezzo, delle
azioni emesse a fronte del conferimento. La relazione deve essere controllata, entro
sei mesi, da amministratori e sindaci. Fino ad allora le azioni corrispondenti sono
inalienabili e devono rimanere depositate presso la società. Se sussistono fondati
motivi, procedono alla revisione della stima. Se il valore accertato risulta essere di
1/5 inferiore rispetto a quello attribuito, la società deve ridurre il capitale
proporzionalmente, annullando le azioni scoperte, sempre che il socio conferente non
versi la differenza in danaro (questi può recedere dal contratto). “Con riferimento
all’assemblea ordinaria si è toccato uno dei nodi più difficili dei poteri e dei rapporti
tra organi sociali, relativamente alla competenza gestionale dell’assemblea (vecchio
articolo 2364, n. 4). Così si è sottratto agli amministratori il potere (e tanto meno
l’obbligo) di demandare all’assemblea la decisione su ogni atto amministrativo,
ancorché particolarmente rischioso o innovativo; configurando invece tale potere di
competenza assembleare, ma come previsione statutaria e per (riteniamo singoli atti o
categorie di) atti che necessitino di una autorizzazione”.437 La questione era se
l’assemblea potesse avocare a sè competenze di carattere gestionale che normalmente
spetterebbero agli amministratori. A questi spetta – ai sensi degli artt. 2380 cod.civ. e
ss. – l’amministrazione della società. Essi possono compiere tutti gli atti che
rientrano nell’oggetto sociale (art. 2384, 1° co., c.c.). “Altra innovazione da segnalare
è quella relativa all’approvazione da parte dell’assemblea ordinaria del regolamento
dei lavori assembleari, che risponde alla logica di facilitare il funzionamento
dell’organo con regole scritte e approvate più agevolmente dall’assemblea ordinaria
piuttosto che da quella straordinaria, ed al tempo stesso occasionalmente derogabili,
non avendo efficacia statutaria”.438 Ai sensi dell’art. 2390 c.c. – divieto di
concorrenza- “gli amministratori non possono assumere la qualità di soci
illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un’attività
concorrente per conto proprio o di terzi, salvo autorizzazione dell’assemblea”. Per il
caso che venga meno uno degli amministratori la Legge si preoccupa che l’organo
437
438
SANTOSUOSSO, cit., p. 41.
SANTOSUOSSO, cit., p. 42.
224
225
amministrativo possa comunque continuare a funzionare, almeno fino a quando non
può intervenire l’assemblea (artt. 2385, 2386 c.c.). La clausola in questione
sembrerebbe andar contro questa logica della continuità. In realtà è un’antinomia
soltanto apparente. L’ipotesi di automatica decadenza dell’intero consiglio di
amministrazione viene, infatti, ad essere regolato dalla stessa legge che, all’art. 2386,
ult. co., prevede che, se vengono a cessare tutti gli amministratori, l’assemblea, per la
sostituzione, deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può
compiere, nel frattempo, gli atti di ordinaria amministrazione. Per la verità al collegio
sindacale spetta un’altra incombenza. Quella di cui all’art. 2385, ult. co., secondo il
quale, questo organo, deve comunicare al registro delle imprese, per la relativa
iscrizione, la cessazione dall’ufficio degli amministratori.
Quanto all’estensione dei poteri di rappresentanza, per il caso di assenza o di
impedimento del titolare, non sembrano, anche qui, esserci ostacoli normativi. Si
pone soltanto un problema di “limitazioni”, come le definisce il c.c. (art. 2384). In
generale, infatti, vale il principio della onnicomprensività del potere di
rappresentanza. E lo sfavore legislativo per tutte le limitazioni. Questo nell’ottica
della maggior fluidità degli affari. Quando, tuttavia, delle limitazioni sono necessarie,
queste devono risultare (dalla legge) o dall’atto costitutivo. E si deve pure
dimostrare, in caso di controversia, che le stesse sono state volutamente o
fraudolentamente trascurate da chi ha agito in danno della società. Altrimenti, non
sono opponibili. E le mera pubblicazione non basta. Si tratta di un regime
severissimo per la società che vuole essere indotta, dal Legislatore, a limitare meno
possibile i poteri di rappresentanza. Stesso discorso vale per l'art. 2384 bis. Quanto al
quesito circa l’ammissibilità o meno in capo all’organo amministrativo della facoltà
di delega dell’attività gestionale, abbiamo visto l’avocazione a favore dell’assemblea
(rinvio). Ora vediamo la delegabilità a favore di terzi dell’amministrazione. Escluso
che l’organo amministrativo possa spogliarsi interamente delle proprie competenze,
che sarebbe negazione stessa dell’organo, contraria alla logica strutturale della
società (sezione VI artt. 2363 ss.), ci si deve allora chiedere fino a che punto è
possibile delegare. Dalla parte opposta, infatti, non sembra neppure potersi negare la
delegabilità. Gli amministratori che hanno la rappresentanza della società possono
compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, salvo le limitazioni che
risultano dalla legge o dall’atto costitutivo (art. 2384, 1° co.). Quando non è
225
226
espressamente vietato, nel potere gestionale rientrerebbe anche la facoltà di dare
procura a terzi. Fino a che punto? Ricordiamo che gli amministratori sono
responsabili verso la società per la loro attività gestionale (art. 2392 c.c.). La citata
responsabilità è assimilata a quella del mandatario nei confronti del mandante. Si
tratta comunque di una responsabilità personale (art. 2392, 1° e 3° co.). Delegare
l’attività di gestione significa sfilacciare questo collegamento con la responsabilità
verso la società. Perché il procuratore sarebbe responsabile verso l’amministratore
delegante e questi, appena, verso la società. Non mancano gli strumenti giuridici ma
sarebbero certamente più spuntati (litisconsorzio volontario per chiamata del terzo
debitore nell’azione di responsabilità da parte del convenuto). Un ulteriore limite lo
si potrebbe rinvenire nella norma dell’art. 2381 c.c.; ivi si fa riferimento alla
delegabilità di certe attribuzioni al comitato esecutivo ed a singoli amministratori. E’
fatto salvo che l’atto costitutivo o l’assemblea lo consentano e che siano determinati i
limiti della delega. Mentre non possono assolutamente essere delegate certe
attribuzioni. Quelle relative alla redazione del bilancio (art. 2423), all’aumento del
capital (art. 2443), alla riduzione del capitale per perdite (art. 2446, 2447). Se tali
attribuzioni non sono delegabili a organi o soggetti interni alla società, a maggior
ragione non possono essere delegate a terzi estranei. Ma, al di là di queste particolari
materie, da questa norma si evince il principio generale della determinatezza o
determinabilità dei limiti (della delega o) della procura. Questo principio, che si
evince pure dall’art. 1710 in materia di mandato, sembra dunque essere di ostacolo,
assieme alle altre argomentazioni, all’inserimento della clausola. In sede di aumento
di capitale, chi conferisce beni in natura in una s.p.a. deve presentare la relazione
giurata di stima che deve essere allegata all’atto costitutivo. Quando - nella società
per azioni- viene aumentato il capitale sociale (art. 2438 ss. c.c.) mediante nuovi
conferimenti di denaro, le relative nuove azioni439 che lo rappresentano devono essere
collocate sul mercato, devono essere vendute ("liberate" dice le legge). La Legge, per
motivi di tutela del gruppo di soci azionisti già formato rispetto ad elementi esterni,
privilegia chi delle azioni della società è già in possesso, prevedendo - appunto- il
diritto di opzione (art. 2441 - vedi), e cioè che dette azioni siano "offerte in opzione
ai soci in proporzione al numero di azioni possedute". Il diritto di opzione però non
439
E le obbligazioni convertibili in azioni, cioè quei titoli in mano a coloro che abbiano solo prestato
denaro alla società e che al momento della restituzione di quanto prestato, rinunziando alla
restituzione e conferendo il capitale prestato, possono diventare soci.
226
227
spetta a fronte di conferimenti in natura (4° co.). E può essere escluso o limitato
"quando l'interesse della società lo esige" (5° co.) con il voto di "tanti soci che
rappresentino oltre la metà del capitale sociale". Può essere escluso, altresì, (8° co.)
"limitatamente a un quarto delle azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in
sottoscrizione ai dipendenti della società". L'esclusione è soggetta - però - ad alcune
garanzie a favore dei soci. Ed è anche tutelata penalmente.440 Le ragioni
dell'esclusione (6° co.) "devono essere illustrate dagli amministratori con apposita
relazione". "La relazione deve essere comunicata dagli amministratori al collegio
sindacale almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea". Tutta la
documentazione inerente l'esclusione del diritto di opzione deve restare in visione per
almeno quindici giorni prima del giorno fissato per l'assemblea. Quanto alla
procedura di riduzione del capitale sociale per esuberanza in caso di perdite, la
disciplina normativa è quella di cui all’art. 2445.
441
La questione, piuttosto “calda”,
riguarda - più precisamente- i presupposti per poter procedere alla procedura di
riduzione del capitale per esuberanza. La loro affermata tassatività. Quindi la
possibilità di ricorrere alla procedura anche in caso di perdite. E le critiche
all’orientamento giurisprudenziale consolidato. Prima ancora, però, occorre chiedersi
la quale sia la ratio della norma, quali gli interessi tutelati. Secondo alcuni è la tutela
della minoranza nei confronti della maggioranza: evitare forme di abuso di potere
dell’una nei confronti dell’altra; alla riduzione deliberata in sede di assemblea dalla
maggioranza non potrebbe resistere la minoranza; il Legislatore avrebbe pertanto
previsto un controllo giurisdizionale severo; secondo altri è la tutela del patrimonio
sociale quale garanzia per gli stessi soci e per i terzi in generale; secondo altri, in
particolare, per i creditori sociali; e chi, infine, sostiene che l’unico interesse tutelato
sia quello del socio a non veder intaccato il patrimonio per il conseguimento
dell’oggetto sociale. Si parla di “esuberanza”. Tale è nel linguaggio comune la
440
Art. 13, ult. co., D.L. 74/95.
Si riporta il testo dell’articolo in questione. Art. 2445 c.c. “1. La riduzione del capitale, quando
questo risulta esuberante per il conseguimento dell’oggetto sociale, può aver luogo sia mediante
liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, sia mediante rimborso del capitale ai
soci, nei limiti ammessi dagli artt. 2327 e 2412. 2. L’avviso della convocazione deve indicare le
ragioni e le modalità della riduzione. La riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che le
azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la decima parte del capitale.
3. La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo tre mesi dal giorno dell’iscrizione nel registro
delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto
opposizione. 4. Il tribunale, nonostante l’opposizione, può disporre che la riduzione abbia luogo,
previa prestazione da parte della società di un’idonea garanzia.”
441
227
228
sovrabbondanza, il superfluo, il di più, rispetto ad una certa misura che sarebbe
quella proporzionata, adeguata, giusta. Nel linguaggio giuridico non deve ricercarsi
un significato diverso. Capitale esuberante sarà quello superiore alle effettive
esigenze della società. E’ sicuramente una valutazione di merito. Essa spetta in primo
luogo agli organi sociali. In secondo luogo – in sede di controllo- a quelli
giurisdizionali. Il parametro è dato, per alcuni autori, dall’oggetto sociale, quello di
cui allo statuto, per altri, dall’attività effettivamente svolta. Prevale, tuttavia, questo
secondo orientamento. La valutazione andrà fatta, in ogni caso, sulla base delle
scritture contabili della società. Le ragioni economiche che inducono la società a
deliberare la riduzione per esuberanza devono essere esplicitate già nell’avviso di
convocazione; la mancanza, per orientamento consolidato della giurisprudenza di
merito, non consente l’omologazione.442 Ed è questo - secondo la dottrina- uno dei
pochi casi, assieme all’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, in
cui è richiesta la motivazione; negli altri casi si ritiene non essere necessaria. La
questione riveste quindi una certa complessità ed interdisciplinarietà. Si intersecano
aspetti sì civilistici, ma anche economico- aziendali. Vi è un ulteriore questione alla
base. I poteri di sindacato degli organi giurisdizionali: controllo di legittimità o di
merito. Nell’un caso intendendosi quel controllo di mera regolarità avente ad oggetto
il rispetto della legge; nell’altro intendendosi un controllo che si spinge fino
all’esame dell’opportunità o meno della deliberazione, quasi sostituendosi agli
amministratori ed ai soci. E fin dove si spingerebbe il sindacato di merito.443 Diamo
per risolta la questione, per evidenti esigenze di trattazione, registrandosi soltanto
che, sebbene le affermazioni dei tribunali siano nel senso dell’ammissibilità di un
mero sindacato di legittimità,444 in concreto questo si spinge spesso e
necessariamente al merito. Spesso le società deliberano la riduzione del capitale
sociale, non proprio per esuberanza, ma per altri motivi che comunque vorrebbero far
ricadere nella procedura in questione. Molti Tribunali negano nettamente l’omologa
442
Corte App. Palermo, 15 marzo 1990 in “Riv. Dir. Comm”,(1991), II, 335 con nota.; Trib. Lucca 25
ottobre 1994 in “Riv. dir. comm.”, (1996), II, 531 con nota di CHIOMENTI; che non ha omologato la
deliberazione che non esponeva “chiaramente i fatti specifici economico-aziendali in base ai quali
valutare oggettivamente la ricorrenza di una sproporzione tra ammontare del capitale e attività
economica esercitata”; Trib. Cassino 6 maggio 1997 in “Le società”,(1997), 1176 con nota di
FABRIZIO; che richiede l’esposizione chiara delle ragioni già nell’avviso di convocazione; Trib.
Roma 16 dicembre 1996 in “Foro it.”, (1997), I, 3036.
443
Trib. Roma 28 settembre 1989 in “Riv. Dir. Comm.”, (1990), II, 179 che ha negato l’omologa
ritenendo i mezzi finanziari della società “in concreto” non esuberanti rispetto all’oggetto perseguito.
444
Trib. Cassino, cit.
228
229
di tali deliberazioni.445 La Legge prevede casi circoscritti di riduzione del capitale
sociale: a) per esuberanza (art. 2445 c.c.); b) per perdite (art. 2446 c.c.); c) per perdite
al di sotto del limite legale (art. 2447 c.c.). Sono ipotesi tassative. Non è presente
alcuna clausola di chiusura che consenta altro tipo di riduzione. La ragione si
rinviene nell’interesse protetto dalla norma di cui abbiamo trattato sopra. E,
soprattutto, i Tribunali negano l’omologa della deliberazione di riduzione del capitale
per esuberanza in presenza di perdite.446 Si ritiene infatti che l’accumulo di perdite,
sebbene imponga la riduzione del capitale sociale, sia incompatibile con l’esuberanza
di capitale. Risulta carente il presupposto di legge. Le perdite già accertate
manifestano l’esigenza che venga mantenuta intatta la garanzia apprestata dal
capitale. 447 Sembrerebbe potersi desumere, dunque, un principio generale: la società
può erodere il capitale sociale solo e soltanto nei casi e con le forme previste dalla
legge. Ed è il principio che è alla base delle decisioni di merito citate. La ratio è la
tutela dei creditori sociali per i quali il capitale sociale è garanzia di solvibilità.448 A
rigore la Legge, mentre prevede espressamente il passaggio di riserve a capitale (art.
2442 co. 1° c.c.), non prevede affatto il passaggio di capitale a riserve. Ed anche
questo argomento farebbe propendere per l’inammissibilità. Ubi lex dicit voluit, ubi
noluit tacuit. Sennonché questo baluardo agli operatori continua a sembrare
eccessivo. Per una serie di motivi: le società raggiungerebbero comunque lo scopo
ricorrendo alla trasformazione del tipo societario, anche se più lunga e complessa,
ma necessitata da esigenze economico- aziendali di ridimensionamento. La procedura
della riduzione per esuberanza è certamente rigorosa ma proprio per questo sarebbe
garanzia sufficiente per i creditori; ai commi 3° e 4° dell’art. 2445 sono
espressamente previste delle garanzie: ai creditori è data facoltà di opposizione alla
riduzione; ed il Tribunale può imporre una cauzione. Il passaggio di capitale a
riserve, in linea di massima, non sottrarrebbe capitale ai creditori perché in caso di
liquidazione vanno consumate anche quelle; seguendo un ordine preciso, ma senza
445
Trib. Trieste, 3 ottobre 1997, in “Le Società”, (1998), 198 con nota di CREMASCHINI;
Trib. Udine 8 gennaio 1990 in “Dir. Fall.”, (1990), II, 815; Trib. Udine 5 agosto 1996 in “Dir.
Fall.” (1996), II, 1142; Trib. Roma 7 luglio 1997 in “Riv. Not.”, (1997), fasc. 6.
447
Trib. Padova 23 febbraio 2000 (non pubbl.) che ha negato l’omologa della delibera di riduzione
per esuberanza e collocazione della quota di capitale esuberante in una riserva indisponibile
denominata “riserva conto copertura future perdite capitale sociale”; nello stesso senso già Trib.
Milano 26 giugno 1984, in “Riv. Not.”, (1985), 705 e Trib. Milano 11 giugno 1984, in “Giur.comm.”,
(1985), II, 659 con nota.
448
Trib. Udine 6 ottobre 1993, in “Le società”, (1994), 501 con nota di FABRIZIO.
446
229
230
poter sfuggire alle pretese dei creditori sociali. Piuttosto, così stando le cose, si
imporrebbe alla società la riduzione di capitale con la procedura prevista per il caso
di perdite (artt. 2446- 2447) o il ridimensionamento ma nell’esercizio successivo,
forse postergando ma aumentando la situazione di rischio. Le istanze riportate, allo
stato attuale, nel rigore della formulazione letterale della norma e della stringente
interpretazione giudiziaria, non sono recepite. L’atto di attribuzione con il quale,
nella delibera di scioglimento della società, si proceda all’assegnazione di beni
sociali ai soci, ha natura divisionale o si tratta di un mero atto traslativo. La
giurisprudenza dominante ha sempre ritenuto che la procedura di liquidazione sia
inderogabile a tutela dei creditori sociali e degli stessi soci, con ciò rinnegando che
sia possibile configurare un contratto di divisione alternativo alla liquidazione
ordinaria.449
8. SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA
“Sul piano della tipologia societaria, la Srl rappresenta la vera novità della riforma
[…] risulta una fattispecie con una doppia anima, quella classica di società di
capitali, cui si aggiunge quella, non certo secondaria, ma anzi qualificante, di società
personale […] Capitalistica è la società in relazione all’acquisto – formale – della
personalità giuridica e alla limitata responsabilità per le obbligazioni sociali […] La
nuova società è però anche “personale” per ciò che riguarda la rilevanza centrale del
socio, soprattutto nei profili organizzativi e dei rapporti tra soci; il che rende
possibile una vasta gamma di concrete fattispecie che i pratici potranno inventare
[…] Tali scelte saranno fondate sull’accordo tra soci, rinviando alla negoziazione –
con i relativi benefici “costi transattivi” l’origine regolamentare dell’assetto
societario. In linea di massima tutta la materia parasociale potrebbe essere trasfusa
nell’atto costitutivo”.450 Sin qui le riflessioni sulla nuova s.r.l. Fino all’entrata in
vigore della riforma, però, valgono ancora i vecchi principi.
449
Contra MARICONDA, Ricerca e professione, Napoli, 2000, p. 164.
SANTOSUOSSO D.U., Parte la nuova Srl dalle due anime, in “Il sole 24 ore”, 14 gennaio 2003,
p. 23.
450
230
231
La s.r.l., come noto, si caratterizza per essere una società di capitale a rischio limitato
(art. 2472, 1° co., c.c.). Il capitale sociale è diviso in quote sociali ed è assai meno
economicamente rilevante rispetto a quello delle s.p.a. (art. 2472, 2° co., cc.).
Una delle condizioni per procedere alla costituzione di una s.r.l. con pluralità di soci
è che siano stati versati, presso un istituto di credito, i tre decimi dei conferimenti in
denaro (artt. 2329 n. 1, 2475 c.c.). La s.r.l. acquista la personalità giuridica al
momento dell’iscrizione nel registro delle imprese (artt. 2331, 2475 c.c.). Sulla
natura giuridica della quota sociale dottrina e giurisprudenza sono divise. Secondo
una sentenza del Tribunale di Milano “la quota di partecipazione ad una s.r.l. è
costituita da una molteplicità di diritti, di poteri e di obblighi, non riconducibile agli
schemi del diritto di credito o del diritto reale sui beni facenti parte del patrimonio
sociale”.451 L’art. 2479 c.c. specifica che “le quote sono trasferibili per atto tra vivi e
per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”.
Una norma controversa che pone la nota questione della circolazione delle
partecipazione sociale cui si rinvia. La nascita della s.r.l. avviene per atto pubblico
(art. 2475, 1° co., c.c.), in un procedimento simile a quello delle altre società. Il
Notaio redige l’atto costitutivo e lo statuto. Quest’ultimo contiene la parte degli
accordi relativa al funzionamento della società. Il Notaio è pure incaricato di redigere
il verbale delle assemblee straordinarie modificative dell’atto costitutivo, come nel
caso di aumenti o riduzioni di capitale o trasformazione delle società. La XII
Direttiva CE ha introdotto, nel nostro ordinamento, le società a responsabilità
limitata unipersonali. Precedentemente detto istituto non aveva cittadinanza nel
nostro ordinamento. La ratio della Direttiva comunitaria, attuata con il D.P.R. 3
marzo 1993, n. 88, è quella di incentivare il ricorso alla forma della società a
responsabilità limitata che ha consentito di ricorrere allo schermo della responsabilità
anche al singolo fondatore. Si tratta però di monstrum logico prima ancora che
giuridico. Il concetto di “società unipersonale” è assurdo. Il termine “società” prima
d’oggi sembrava postulare una pluralità di persone, due o più. L’ “unipersonalità”,
con quello che ne consegue sul piano giuridico, sembrerebbe negare detto postulato.
O siamo di fronte ad una impresa individuale o ad una società, altro non è
fenomenologicamente possibile. La Legge impone soltanto che all’atto della
costituzione il capitale sociale sia integralmente sottoscritto e versato.
451
Trib. Milano, 5 luglio 1990, in “Giur. it.”,I, 2, 396.
231
232
9. S.A.P.A.
La s.a.p.a. deve costituirsi con un capitale non inferiore a centomila euro (artt. 2327,
2464 c.c.). Il Notaio non può costituire la s.a.p.a. se non risultano versati presso un
istituto di credito almeno i tre decimi dei conferimenti in denaro e sottoscritto per
intero il capitale sociale (artt. 2329, 1° co., 2464 c.c.). Il Notaio che ha ricevuto l’atto
costitutivo di una s.a.p.a. entro trenta giorni dal ricevimento dell’atto ha l’obbligo di
depositarlo presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è
stabilita la sede della società (artt. 2330, 1° co., 2464 c.c.). La s.a.p.a. acquista la
personalità giuridica al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese (art. 2331,
2464 c.c.).
10. LE SOCIETA’ COOPERATIVE
Ai sensi dell’art. 2511 c.c. “le imprese che hanno scopo mutualistico possono
costituirsi come società cooperative a responsabilità illimitata o limitata […]”. L’atto
costitutivo o lo statuto delle società cooperative devono, fra l’altro, indicare
l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a
carico della società (artt. 2518, 2328, n. 12 c.c.). La società cooperativa nel sistema
del codice civile acquista la personalità giuridica al momento dell’iscrizione nel
registro delle imprese (artt. 2331, 2519 c.c.). Le società cooperative che hanno per
oggetto un’attività commerciale sono soggette a fallimento, salve le disposizioni
delle leggi speciali (art. 2540, 2° co. c.c.).
11. TRASFORMAZIONE DELLE SOCIETA'
La trasformazione di una società452 è, secondo la dottrina più autorevole, "il
cambiamento del tipo di società".453 La questione principale posta dagli operatori è la
seguente, così già risolta da autorevole dottrina. Essa "non comporta [...] estinzione
della società preesistente e nascita di una nuova società; è la stessa società che
continua a vivere in una rinnovata veste giuridica [...]".454 Secondo la tesi più
risalente si tratterebbe dunque di una conversione formale del negozio costitutivo
452
L'istituto è quello regolato dagli artt. 2498 ss. cod. civ. (libro V titolo V capo VIII sezione I ).
CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, 3 ediz., Torino, 1995, p. 542.
454
CAMPOBASSO, cit..
453
232
233
precedente. In senso contrario si argomenta che detto istituto opera di diritto, cioè
automaticamente ed indipendentemente dall'iniziativa delle parti. E presuppone che il
precedente atto sia nullo. Mentre nel caso in questione il precedente atto è
pienamente valido. Secondo un'altra tesi si tratterebbe di una novazione soggettiva
del precedente rapporto laddove ad una società priva di personalità giuridica se ne
sostituirebbe una con personalità giuridica. A questa ricostruzione sarebbe di
ostacolo il riferimento all'estinzione del precedente rapporto che nel caso della
trasformazione è generalmente esclusa. La ricostruzione ultima accreditata dalla
giurisprudenza è quella del "mutamento formale dell'organizzazione esistente" e
"non la crezione di un nuovo ente".455 La dottrina enuclea i seguenti tipi di
trasformazione: a) la trasformazione tra società lucrative: all’interno della cui
categoria si distingue ulteriormente tra: 1.) omogenea; 2) eterogenea progressiva; 3)
eterogenea regressiva; b) tra società non lucrative e c) tra società lucrative e non
lucrative. L'art. 2498 cod. civ, rubricato "Trasformazione in società aventi personalità
giuridica", contempla il solo caso delle trasformazioni di una società in nome
collettivo o di una società in accomandita semplice in società per azioni, in società in
accomandita per azioni ed in società a responsabilità limitata. Si tratta di quella che
la dottrina chiama "trasformazione eterogenea progressiva" per distinguerla dagli altri
tipi di trasformazione che, non essendo contemplati dal codice civile, costituiscono
oggetto di un vivace dibattito circa la possibilità di ammetterne o meno cittadinanza
nel nostro ordinamento. Si discute se sia parimenti ammissibile la trasformazione
inversa, cioè da società di capitali a società di persone. Il problema immediatamente
collegato è quello del diverso regime di responsabilità. La giurisprudenza di
legittimità è in senso affermativo456 anche se ciò comporta il sorgere della
responsabilità personale dei soci per le obbligazioni sorte in capo alla società con
personalità giuridica. Parimenti ammessa dalla giurisprudenza, nonostante qualche
autorevole voce contraria in dottrina, è la trasformazione all'interno delle due
categorie, società di persone e società di capitali. Ciò perché: a) rimarrebbe inalterata
la causa lucrativa; b) rimarrebbe inalterato il regime di responsabilità dei soci; c)
rimarrebbe inalterata la garanzia dei creditori sociali. E’, invece, vietata la
455
Cass., sez. I, 13 luglio 1990, nr. 7258.
Cass. 7258/90, cit.; vedi pure App. Venezia, 30 gennaio 1992, in Riv.dir.comm., 1992, II, p. 317
per il caso di trasformazione da s.r.l. a società semplice; e App. Bologna, 31 marzo 1989, in
Giur.comm., 1990. II, p. 255.
456
233
234
trasformazione da società cooperativa a società lucrativa.457 Si discute in dottrina
circa l'ammissibilità dell'ipotesi inversa, da società lucrativa a società cooperativa.
Parte della dottrina è contraria; parte invece è, con la giurisprudenza,458 favorevole.
Ancora, la giurisprudenza, malgrado qualche autorevole voce contraria in dottrina,
ammette la trasformazione da società cooperativa a società consortile459 e viceversa.
Ammette, pure, la trasformazione da società consortile a società lucrativa,
imponendo però la deliberazione all'unanimità dei soci. Mentre è pacificamente
escluso che possa trasformarsi la società che abbia in corso un prestito
obbligazionario,460 un'ulteriore profilo dibattuto in dottrina è se possa trasformarsi la
società in stato di liquidazione. La giurisprudenza è però divisa rinvenendosi sia
decisioni favorevoli che decisioni contrarie.461 Circa la relazione di stima del
patrimonio sociale, a norma dell'art. 2343, la formula è quella dell'art. 2498 c. c.
Tuttavia si pongono alcune questioni. Una di queste è quella dei criteri di redazione
da utilizzare. All'orientamento di quella dottrina e giurisprudenza che estende a detta
relazione gli stessi criteri previsti per la redazione del bilancio, si oppone l'altro
orientamento, che qui si condivide, secondo il quale detta relazione sarebbe qualcosa
di diverso. Non si vede altrimenti per quale ragione il legislatore avrebbe dovuto
usare una terminologia diversa dal "bilancio" in senso tecnico.462
Quanto alla fusione, rilevante ricordare che, ai sensi dell’art. 2501 bis – progetto di
fusione – gli amministratori vi devono far risultare obbligatoriamente alcune notizie
rilevanti. Ai sensi dell’art. 2501 quater gli amministratori devono redigere una
relazione illustrativa e giustificativa dei motivi economico giuridici dell’operazione e
il rapporto di cambio. Ai sensi dell’art. 2501 quinquies è pure richiesta una relazione
di esperti. Tuttavia, ai sensi dell’art. 2504 quinquies, c.c. “alla fusione per
457
Art. 14 della Legge 17 febbraio 1971, nr. 127.
App. Trieste, 6 novembre 1978, in Giur. comm., 19981, II, p. 690. Si discute, ulteriormente, se la
deliberazione vada presa all'unanimità dei soci o se sia sufficiente una deliberazione a maggioranza.
Così Trib. Roma, 4 luglio 1984, in Giur. comm., 1985, II, 202. La questione dei quorum deliberativi è
molto controversa, in tutti i casi di trasformazione, soprattutto per il profilo della tutela dei soci di
minoranza, assenti o dissenzienti. E meriterebbe una trattazione separata. In questa sede si può dire
che l'orientamento prevalente è quello che ritiene sufficiente la maggioranza, salvo riconoscere ai soci
assenti o dissenzienti il diritto di recesso, come espressamente previsto per le società di persone ai
sensi dell'art. 2252 cod.civ.
459
Art. 2615 ter cod. civ.
460
Cass., sez. I, 14 febbraio 1995 nr. 1574, in Giur. comm., 1997, II, 279.
461
Trib. Roma, 3 novembre 1986.
462
Altra questione è se detta procedura debba essere seguita anche nelle ipotesi di trasformazione non
contemplate dalla legge. In senso negativo Cass. 21 novembre 1981, nr. 6209, in “Riv.notar.”, (1982),
123.
458
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235
incorporazione di una società in un’altra che possiede tutte le azioni o le quote della
prima non si applicano le disposizioni dell’art. 2501 bis, primo comma, numeri 3) 4)
5) e degli artt. 2501 quater e 2501 quinquies”. L’atto di fusione tra società che
trasferisce i beni immobili dall’incorporata all’incorporante, per la giurisprudenza di
merito, ha efficacia obbligatoria e non reale.463 Ai sensi dell’art. 2504 bis, 1° co. , c.c.
– effetti della fusione – “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante
assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte”.
12. ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
Ai sensi dell’art. 2549 c.c. “1. Con il contratto di associazione in partecipazione
l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o
di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”. La norma pone
una prima distinzione terminologica: associante è colui che, titolare di una impresa,
attribuisce una partecipazione agli utili ad altro soggetto, l’ associato, che gli fornisce
– in cambio- un determinato apporto. La prima questione che si pone è la distinzione
rispetto al contratto di società (vedi contratto di società). Si tratta di contratti diversi
per natura, l’uno è associativo, l’altro di scambio. Infatti l’apporto dell’associato
entra nel patrimonio del solo associante, senza costituire un fondo comune. Né
l’inclusione dell’associato va al di là dell’aspetto capitalistico, essendo escluso dalla
responsabilità d’impresa e dalla gestione d’impresa. Infatti, ai sensi dell’art. 2551
c.c., “1. I terzi acquistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso
l’associante”. E, ancora, ai sensi dell’art. 2552 c.c. “1. La gestione dell’impresa o
dell’affare spetta all’associante.2. Il contratto può determinare quale controllo possa
esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui
l’associazione è stata contratta. 3. In ogni caso l’associato ha diritto al rendiconto
dell’affare compiuto, o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di
un anno”. L’associato quindi ha, da parte sua, un diritto di vigilare sull’attività
dell’impresa che è limitato però al mero rendiconto, salvo che il contratto non gli
attribuisca diritti di controllo ulteriori, come l’esame diretto dei documenti e delle
scritture contabili. L’associato in partecipazione è dunque un finanziatore esterno che
espone il proprio apporto al rischio dell’impresa (art. 2553 c.c.).464 Lo si evince
463
Trib. Roma, decr. 15 dicembre 1994.
Per ricorso all’istituto come strumento di finanziamento di massa vedi Trib. Genova, 7 gennaio
1987, in “Nuova giur. civ. comm.”, (1987), p. 387 con nota di DE ACUTIS.
464
235
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ancora meglio dalla norma dell’art. 2553 c.c., “1. Salvo patto contrario, l’associato
partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che
colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto”. Il patto
contrario è dunque ammissibile solo per prevedere una diversa percentuale di
partecipazione alle perdite rispetto alla partecipazione agli utili. Si deve invece
escludere la validità di un patto che esponga l’associato ad un rischio illimitato o
comunque superiore all’apporto pattuito. Circa la natura dell’apporto, esso può
consistere, oltre alla classica somma di danaro, pure nel godimento di un bene o in
una prestazione di lavoro. In quest’ultimo caso, il rischio cui il lavoratore è esposto è
quello di lavorare senza retribuzione. Inoltre la legge prevede delle varianti:
l’attribuzione di partecipazione senza corrispettivo o senza partecipazione alle
perdite, per le quali si pongono questioni di collegamento con le donazioni e le
liberalità in genere. Infine chiude il sistema l’art. 2554 c.c., secondo cui “1. Le
disposizioni degli articoli 2551 e 2552 si applicano anche al contratto di
cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite e al contratto
con il quale un contraente attribuisce la partecipazione agli utili e alle perdite della
sua impresa, senza il corrispettivo di un determinato apporto.2. Per le partecipazioni
agli utili attribuite ai prestatori di lavoro resta salva la disposizione dell’art. 2102”.
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