APRI PDF - Processo Penale e Giustizia

Transcript

APRI PDF - Processo Penale e Giustizia
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
92
Processo penale e giustizia n. 1| 2016
Dibattiti tra norme e prassi
Debates: Law and Praxis
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
93
MARIA MONTELEONE
Procuratrice aggiunta presso la Procura della Repubblica di Roma, Coordinatrice del “Gruppo specializzato di
magistrati per i delitti contro la libertà sessuale, la famiglia ed i soggetti vulnerabili”
VERA CUZZOCREA
Psicologa giuridica
Le dichiarazioni delle vittime vulnerabili nei procedimenti
penali
The collection of statements of vulnerable victims in criminal
proceedings
L’assunzione delle dichiarazioni delle c.d. vittime vulnerabili nell’ambito dei procedimenti penali, soprattutto in riferimento ad alcune tipologie di reato (e di vittime), è stata caratterizzata negli ultimi vent’anni da un complessivo
miglioramento del sistema di protezione dei soggetti interessati, anche per effetto delle sollecitazioni sovranazionali e del conseguente mutamento del quadro normativo nazionale. Tali evoluzioni hanno non solo prodotto un rafforzamento delle misure di tutela dei diritti delle vittime attraverso l’incontro tra diversi saperi (giuridico, investigativo e psicologico), funzioni e competenze professionali, ma stanno anche modificando gli scenari operativi (ambiti
e procedure di intervento) sin dalla acquisizione della notizia di reato.
The taking of statements from c.d. ’vulnerable victims’ in criminal cases, particularly in relation to certain types of
offenses (and victims), has been characterized in recent decades by an overall improvement of the protection system, also due to the stress and supranational shifts in the national legal. These developments not only produced a
strengthening of measures to protect the rights of the victims, but are also changing, through the meeting of different knowledge (legal, investigative and psychological).
LA VITTIMA NELL’IMPATTO CON IL SISTEMA GIUDIZIARIO: VULNERABILITÀ E RISCHI DI VITTIMIZZAZIONE
SECONDARIA
Si potrebbe analizzare la nozione di “vittima” attraverso differenti prospettive di osservazione (storica,
sociologica, giuridica, psicologica, etc.) e in considerazione di diversi ambiti di intervento (sociale, scolastico, giudiziario) che implicano o meno un’azione penale in risposta al danno (relazionale, emotivo,
economico, fisico e/o sessuale) subìto. In questa sede, l’interesse è circoscritto ad alcune riflessioni sulla
posizione che la vittima può rivestire nell’ambito di un procedimento penale in qualità di persona offesa,
e alla analisi delle procedure che devono essere osservate per la raccolta delle sue dichiarazioni, in ragione delle condizioni di particolare vulnerabilità che possono caratterizzare tale soggetto.
Negli ultimi anni si è assistito, a livello internazionale, ad un impegno normativo, istituzionale e operativo orientato ad «una crescente e sempre più specifica attenzione alle vittime dei reati, alla necessità di
definirne le caratteristiche e i diritti, sia per promuovere attività e politiche di prevenzione dei rischi di
vittimizzazione, sia, ed in particolare, per individuare e diffondere regole minime e prassi operative per la
protezione e l’assistenza […] anche in rapporto alle funzioni e alle procedure della giustizia penale» 1. Da
1
G. De Leo, Vulnerabilità e risorse nell’incontro tra le vittime del crimine ed il mondo della giustizia, con particolare riguardo alle vit-
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
94
una parte, il sapere psicologico ha approfondito le conoscenze sulle conseguenze (psicologiche, economiche e sociali) prodotte da quanto vissuto; dall’altra, il legislatore ha rafforzato il sistema degli strumenti di protezione proprio in considerazione del danno prodotto dal reato in termini di violazione dei
diritti individuali 2.
Alcuni studi criminologici hanno peraltro consentito di evidenziare le differenze tra i danni causati
dall’offesa subita e quelli derivanti invece dalla risposta ricevuta dalle istituzioni 3. Questi ultimi – correlati all’impatto «con le regole e la modalità di funzionamento tipiche della giustizia penale, (rendono)
possibile l’emergere di nuovi rischi di amplificazione e nuclearizzazione della vulnerabilità della vittima» 4. Le ricerche che si sono concentrate su questo “terzo livello di vulnerabilità” 5 sono state particolarmente utili per guidare gli interventi da intraprendere orientando le procedure necessarie al fine di
migliorare il sistema di risposte fornite alla vittima una volta “entrata” nel sistema giustizia, alleviandone i disagi e migliorando, al contempo, l’efficacia (in termini di attendibilità) del suo contributo conoscitivo.
In un noto studio degli anni settanta sulla “vittimizzazione secondaria” 6 conseguente ad una violenza sessuale 7, vengono evidenziati alcuni aspetti che inciderebbero fortemente in tal senso, e in particolare: a. la durata dell’azione penale (con riguardo al tempo che trascorre tra la denuncia, la fase delle
indagini preliminari e l’eventuale processo); b. la pubblicità delle udienze (la possibilità cioè per la vittima di trovarsi a dover dichiarare le proprie generalità, descrivere i dettagli dell’accaduto e riferire sulla sua vita privata in presenza di estranei 8; c. il coinvolgimento delle vittime durante il procedimento/
time minorenni, in A.M. Giannini-J.M. Levin-B. Nardi (a cura di), L’intervento per le vittime del crimine, Roma, 2006, p. 21; sia consentito il rinvio a V. Cuzzocrea, L’ascolto protetto delle persone minorenni prima e dopo la ratifica della Convenzione di Lanzarote, in
questa Rivista, 2013, 2, p. 111 s.
2
Si è espressa in tal senso la Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che (nel sostituire la decisione quadro 2001/220/GAI) istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e
che al punto n. 9 delle considerazioni preliminari recita: «Un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei
diritti individuali delle vittime. Come tali, le vittime di reato dovrebbero essere riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile e professionale, senza discriminazioni di sorta fondate su motivi quali razza, colore della pelle, origine etnica o sociale,
caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a
una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età, genere, espressione di genere, identità di genere, orientamento
sessuale, status in materia di soggiorno o salute. In tutti i contatti con un’autorità competente operante nell’ambito di un procedimento penale e con qualsiasi servizio che entri in contatto con le vittime, […] Le vittime di reato dovrebbero essere protette
dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta, dall’intimidazione e dalle ritorsioni, dovrebbero ricevere adeguata assistenza per
facilitarne il recupero e dovrebbe essere garantito loro un adeguato accesso alla giustizia».
3
J. Goodey, Victims and Victimology, Research, Policy and Practice, Harrow, 2005; S. Walklate, Handbook on Victimis and Victimology, Cullompton, Devon, 2007.
4
Si ricorda a tal proposito il contributo di G. De Leo, Vulnerabilità e risorse nell’incontro tra le vittime del crimine, cit., p. 21 ss.
che, nell’affrontare il problema delle vittime, sollecita a considerare: «tre livelli basilari di vulnerabilità della vittima, per come è
possibile rilevarli e analizzarli separatamente e soprattutto per come interagiscono e si combinano fra loro: a. – la vulnerabilità
riscontrabile prima che il reato si verifichi, ossia come rischio differenziale di vittimizzazione, in relazione ai fattori come età,
sesso, marginalità, condizioni psicologiche, familiari, economiche, sociali, etc. b. – la vulnerabilità come conseguenza di un reato, ossia derivante dall’impatto di uno specifico reato (contro la persona, la proprietà, ecc.) sulle specifiche caratteristiche di una
persona, in una specifica situazione. c. – la vulnerabilità emergente nell’impatto tra una vittima di reato (dove già la vulnerabilità a. – interagisce e “si moltiplica” con la vulnerabilità b. –) con le regole e la modalità di funzionamento tipiche della giustizia
penale, rendendo possibile l’emergere di nuovi rischi di amplificazione e nuclearizzazione della vulnerabilità della vittima».
5
Cfr. nota precedente.
6
Per “vittimizzazione secondaria” si intende una condizione di sofferenza psicologica vissuta dalla vittima di un reato durante l’iter giudiziario, non derivante direttamente dall’offesa subita bensì dalla risposta formale, conseguente al reato, agita delle istituzioni (quali ad esempio procure, tribunali, uffici di polizia e servizi territoriali). Per un approfondimento in tal senso si
veda: G. Scardaccione, Autori e vittime di violenza sessuale, Roma, 1992; C. Calabrese-M.C. Biscione, La vittimizzazione secondaria:
un’indagine esplorativa sugli interventi istituzionali a seguito di una segnalazione di abuso, in Maltrattamento e abuso dell’infanzia, Milano, 2003.
7
L.L. Holmstrom-A.W. Burgess, Rape. The victim and the criminal justice system, International Journal of Criminology and Penology, 1975, 3, p. 101 ss. Per un approfondimento si veda: U. Gatti, Il contributo della criminologia allo studio delle vittime, A.G.
Giannini-B. Nardi (a cura di), Le vittime del crimine. Nuove prospettive di ricerca e di intervento, Torino, 2009.
8
Nella Direttiva 2012/29/UE il punto n. 54 delle considerazioni preliminari sollecita a: «Proteggere la vita privata della vittima può essere un mezzo importante per evitare la vittimizzazione secondaria e ripetuta, l’intimidazione e le ritorsioni, e a tal
fine è possibile avvalersi di una serie di provvedimenti fra cui, ad esempio, la non divulgazione, o la divulgazione limitata, di
informazioni riguardanti la sua identità e il luogo in cui si trova. Tale protezione è particolarmente importante in caso di vittime
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
95
processo ai fini dell’accertamento del reato, della valutazione della sua credibilità e della raccolta di fonti
di prova. Ove ritenuto necessario, investigatori e magistrati possono anche indagare sull’eventuale consenso della vittima, sulla sua reputazione, sul suo stile di vita, sul suo carattere, etc. talvolta in modo
anche “invasivo” e non tutelante, così da esporre la stessa vittima a ulteriori rischi di vittimizzazione 9.
Per tali ragioni, soprattutto in riferimento ai reati di natura sessuale, c’è anche chi sostiene che questo
tipo di offesa comporti una “quadrupla vittimizzazione” in quanto alla violenza sessuale seguirebbero
altre forme di aggressione psicologica da parte delle forze dell’ordine, del sistema giudiziario e dell’apparato socio-sanitario 10.
Sulla scia di quanto descritto si è sviluppato un ampio filone di ricerche, volte ad indagare il ruolo
svolto dalla vittima nell’ambito del processo penale e ad analizzare in dettaglio le sue esigenze, le sue
aspettative, le sue opinioni. In particolare, l’attenzione si è concentrata sui processi di vittimizzazione
che interessano alcune categorie di persone – minorenni, anziani e donne – che per una serie di caratteristiche individuali (fisiche, psicologiche, culturali o sociali) e/o situazionali (tipologia di offesa subita,
durata e livello di intensità della vittimizzazione, etc.) risultano in particolar modo vulnerabili 11 e rispetto alle quali si ritiene che le conseguenze del reato si possano manifestare in misura maggiore rispetto
ad altri soggetti 12.
Ad esempio, riguardo alle vittime minorenni, parallelamente ad un’evoluzione storica e scientifica
delle conoscenze sul fenomeno del c.d. child abuse – dall’abuso fisico a definizioni più allargate di maltrattamento all’infanzia (che comprendono anche l’abuso sessuale, la patologia delle cure e l’abuso psicologico) 13 – si è assistito, negli anni, anche ad una maggiore attenzione ai bisogni evolutivi e all’indiminorenni e include la non divulgazione dei nomi […]». La stessa direttiva, all’art. 21 sul “Diritto alla protezione della vita privata” sollecita gli Stati membri affinché «1. […] possano adottare, nell’ambito del procedimento penale, misure atte a proteggere
la vita privata, comprese le caratteristiche personali della vittima rilevate nella valutazione individuale di cui all’articolo 22, e
l’immagine della vittima e dei suoi familiari. Gli Stati membri provvedono altresì affinché le autorità competenti possano adottare tutte le misure legali intese ad impedire la diffusione pubblica di qualsiasi informazione che permetta l’identificazione di
una vittima minorenne. 2. Per proteggere la vita privata, l’integrità personale e i dati personali della vittima, gli Stati membri,
nel rispetto della libertà d’espressione e di informazione e della libertà e del pluralismo dei media, incoraggiano i media ad
adottare misure di autoregolamentazione».
9
Interviene in tal senso la Direttiva 2012/29/UE che al principio n. 53 sottolinea l’opportunità di: «limitare il rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni – da parte dell’autore del reato o a seguito della partecipazione al procedimento penale – svolgendo il procedimento in un modo coordinato e rispettoso, che consenta alle vittime di stabilire un clima di fiducia con le autorità. È opportuno che l’interazione con le autorità competenti avvenga nel modo più agevole possibile ma che si limiti al tempo stesso il numero di contatti non necessari fra queste e la vittima, ricorrendo ad esempio a
registrazioni video delle audizioni e consentendone l’uso nei procedimenti giudiziari. È opportuno che gli operatori della giustizia abbiano a disposizione una gamma quanto più varia possibile di misure per evitare sofferenza alle vittime durante il procedimento giudiziario […]. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero, nella misura del possibile, organizzare il procedimento penale
in modo da evitare i contatti tra la vittima e i suoi familiari e l’autore del reato, ad esempio convocando la vittima e l’autore del
reato alle udienze in orari diversi».
10
A. Mills, One Hundred Years of Fear. Rape and the Medical Profession, Rafter-Sanko, Judge, Lauyer, Victim, Thief. Women, Gender
Roles, and Criminal Justice, Boston (Mass.), 1982.
11
Ad oggi, la considerazione di vulnerabilità è estesa anche ad altre tipologie di persone e situazioni, come espresso al punto n.
38 della Direttiva 2012/29/UE: «Alle persone particolarmente vulnerabili o in situazioni che le espongono particolarmente a un
rischio elevato di danno, quali le persone vittime di violenze reiterate nelle relazioni strette, le vittime della violenza di genere o le
persone vittime di altre forme di reato in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza o in cui non risiedono dovrebbero essere fornite assistenza specialistica e protezione giuridica […]»Tale estensione è stata recepita anche a livello nazionale, come riscontrabile, dapprima, nel d.lgs. 4 marzo 2014, n. 24 che recita: «Art. 1. Principi generali. Nell’attuazione delle disposizioni del presente decreto legislativo, si tiene conto, sulla base di una valutazione individuale della vittima, della specifica situazione delle persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, gli anziani, i disabili, le donne, in particolare se in stato di gravidanza, i
genitori singoli con figli minori, le persone con disturbi psichici, le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di
violenza psicologica, fisica, sessuale o di genere» e, recentemente, come espressamente previsto nell’art. 90-quater c.p.p, così come
introdotto dal d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 che definisce normativamente la “condizione di particolare vulnerabilità”.
12
U. Gatti, Il contributo della criminologia allo studio delle vittime, cit., pp. 22-25 ss.
13
Si ricordano i primi studi e riferimenti della letteratura medico-legale di Tardieu del 1960 e soprattutto di Kempe sulla c.d.
“sindrome del bambino maltrattato” (C.H. Kempe-F.N. Silverman-B.F. Steele-W. Droegmueller-H.K. Silver, The Battered Child
Syndrome, Journal of the American Medical Association, 1962, 181, pp. 17-24) fino alle più recenti teorizzazioni sull’abuso sessuale e
psicologico che hanno orientato la considerazioni circa l’opportunità di un’estensione dell’espressione in child abuse and neglect
(come sollecitata dalla stesso Kempe nel 1980) e di considerare che non si possa più parlare di singole tipologie di abuso bensì di
forme miste come evidenziato in D.M. Fergusson-P.E. Mullen, Childhood Sexual Abuse: An Evidence Based Perspective, USA, UK,
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
96
viduazione di interventi in grado di ridurre i possibili rischi – sul piano del disagio emotivo e sociale –
derivanti dall’impatto con il sistema giudiziario.
Tale esigenza è stata evidenziata dal sapere psicologico 14 ed è riconosciuta anche a livello normativo. Si pensi ai diversi programmi di protezione delle vittime attivati in molti Paesi e sollecitati a livello
sovranazionale attraverso Convenzioni, Raccomandazioni e Direttive 15. Significativa in tal senso la Decisione-quadro 15 marzo 2001 (2001/220/GAI) del Consiglio dell’Unione Europea sulla Posizione della
vittima nel procedimento penale che ha rappresentato un importante strumento internazionale di complessivo e articolato rafforzamento dello stato di protezione delle vittime dei reati, a cui ha fatto seguito
l’importante Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 (2012/29/UE), recante Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.
L’obiettivo perseguito dal legislatore europeo con la Decisione-quadro del 2001è stato quello di realizzare un sistema di «misure di assistenza alle vittime del reato prima, durante e dopo il procedimento
penale, individuando uno standard minimo di diritti che ogni Stato deve garantire alle vittime dei reati
[…] al fine di offrire alle vittime della criminalità un ruolo effettivo e appropriato rispettoso della loro dignità personale (art. 2, comma 1) indipendentemente dallo Stato in cui il reato in cui il reato è commesso. Più specificamente, la decisione-quadro, si propone di realizzare tre obiettivi fondamentali: 1) potenziare le garanzie della vittima fin dal primissimo stadio in cui avviene il contatto tra essa e le istituzioni, assicurandole un’informazione il più possibile tempestiva, completa e capillare dei diritti e delle
opportunità che le spettano sia in sede giudiziaria sia in sede amministrativa (art. 4); 2) ampliare la
gamma dei diritti e delle facoltà di cui la vittima può usufruire all’interno del processo penale, così da
assicurarle una più attiva partecipazione alla vicenda giudiziaria che la riguarda, soprattutto sotto il
profilo del contributo probatorio che essa può dare all’accertamento dei fatti e all’individuazione dei
colpevoli (art. 3). A tal fine […] le attribuisce un’adeguata protezione per evitare di esporsi ai rischi inerenti alla sua funzione di testimone in pubblica udienza (art. 8)[…];3) ricercare soluzioni per la composizione del conflitto con l’autore del reato, promuovendo la mediazione tra la vittima e il reo riguardo
ai reati che ogni Stato membro ritiene idonei per questo tipo di negoziazione (art.10)» 16.
La citata Direttiva 2012/29/UE ha ampliato la portata del sistema delle protezioni già previste dalla
Decisione – quadro del 2001, definendo un nuovo panorama che regola il riconoscimento e il sostegno
delle vittime e il loro accesso alla giustizia. La Direttiva delinea, infatti, i principi cui devono essere ispirati i servizi offerti alle vittime: dalla valutazione individuale del bisogno di protezione, necessaria per
la definizione di un trattamento mirato, alla complessiva articolazione di misure di protezione globale
durante tutte le fasi del procedimento penale 17.
India, 1999 (edizione italiana: E. Caffo (a cura di), Abusi sessuali sui minori. Un approccio basato sulle evidenze scientifiche, Torino,
2004). Si veda in tal senso per un approfondimento il contributo di F. Petruccelli, V. Cuzzocrea, Strumenti per capire, valutare, intervenire nei casi di abuso, P. Patrizi (a cura di), Manuale di Psicologia Giuridica Minorile, Roma, 2012. E. Caffo-G.B. Camerini-G. Florit, Criteri di valutazione nell’abuso all’infanzia. Elementi clinici e forensi, seconda edizione, Milano, 2004; D. Déttore-C. Fuligni,
L’abuso sessuale sui minori, seconda edizione, Milano, 2008.
14
Si veda per un approfondimento G. Mazzoni, E. Rotriquenz (a cura di), La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori,
Milano, 2012.
15
Si fa riferimento, ad esempio alla Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati di violenza, elaborata
dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 24 novembre 1983 che obbliga le Parti a prevedere nelle loro legislazioni o pratiche amministrative, un sistema di compensazione per risarcire, con fondi pubblici, le vittime di infrazioni violente e dolose che hanno causato gravi lesioni
fisiche o la morte; il documento dal titolo “Verso un’unione di libertà, sicurezza e giustizia” elaborato dal Consiglio europeo di
Tampere nell’ottobre del 1999 che rafforza quanto precedentemente espresso sul risarcimento del danno subito dalle vittime di
un reato violento e che, al punto 32, fa riferimento al fatto che «[…] dovrebbero essere elaborate norme minime sulla tutela delle vittime
della criminalità, in particolare sull’accesso delle vittime alla giustizia e sui loro diritti al risarcimento dei danni, comprese le spese legali»
sollecitando inoltre la creazione di «[…] programmi nazionali di finanziamento delle iniziative, sia statali che non governative, per
l’assistenza alle vittime e la loro tutela»; le diverse Raccomandazioni del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio
d’Europa tra cui: la Raccomandazione n. R (85) 11 sulla posizione delle vittime nel quadro del diritto penale e della procedura
penale; Raccomandazione n. R (87) 21 sull’assistenza alle vittime e la prevenzione della vittimizzazione, Raccomandazione n. R
(90) 2 sulle misure sociali concernenti la violenza contro la famiglia; Raccomandazione n. R (91) 11 sullo sfruttamento sessuale,
la pornografia, la prostituzione, il commercio di bambini e di giovani adulti; Raccomandazione n. R (93) 2 sugli aspetti medicosociali del maltrattamento dei bambini; Raccomandazione n. R (2000) 11 sulla lotta contro la tratta degli esseri umani al fin di
sfruttamento sessuale e Raccomandazione Rec (2001) 16 sulla difesa dei bambini dallo sfruttamento sessuale.
16
G. Santacroce, Prefazione, in A.M. Giannini-B. Nardi (a cura di), Le vittime del crimine, cit., p. 27 ss.
17
In argomento, si veda quanto espresso all’art. 8 (Diritto di accesso ai servizi di assistenza alle vittime) della Direttiva: «1.
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
97
LA VITTIMA COME TESTIMONE VULNERABILE: RISCHI E CRITICITÀ
La figura della “persona informata sui fatti” 18 riveste indiscutibilmente un ruolo centrale nello svolgimento delle indagini e spesso ne determina l’esito soprattutto nei procedimenti relativi a reati nei quali
tale figura coincide con quella della vittima (come accade nei reati di abuso e sfruttamento sessuale, di
maltrattamento infantile e violenza intrafamiliare).
In tutti questi casi l’impalcatura investigativa (fonti di prova) delle indagini e, successivamente, il
perno della verità processuale (prove), sono costituiti, talvolta quasi esclusivamente, dalle dichiarazioni
fornite dalla vittima/testimone 19, di modo che grande rilevanza assume la questione della attendibilità
di tali dichiarazioni: «la testimonianza della persona offesa costituisce una vera e propria fonte di prova
sulla quale può essere anche esclusivamente fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, a
condizione che sia intrinsecamente attendibile e che di ciò si dia adeguata motivazione» 20.
Particolarmente significative, soprattutto tra gli studi condotti sul tema della testimonianza, le ricerche prodotte dalle scienze psicologiche sulle capacità cognitive (percezione, attenzione, pensiero, linguaggio e memoria) ovvero sui processi che permettono alle persone di vedere, di prestare attenzione,
di capire, di parlare, di interpretare le situazioni, di decidere, di pianificare e, infine, di ricordare 21.
Con specifico riguardo alla testimonianza delle persone in età evolutiva, si è registrato nel corso degli ultimi decenni una progressiva attenzione al problema della attendibilità della testimonianza dei
bambini, come evidenziato a livello scientifico dai numerosi contributi presenti in letteratura (che hanno consentito di evidenziarne caratteristiche specifiche e variabili in grado di influenzarla), dagli orientamenti della giurisprudenza (che hanno indirizzato le prassi giudiziarie) e dalle linee guida prodotte a
livello internazionale, che hanno tracciato i binari procedurali volti a rafforzare il grado di attendibilità
delle dichiarazioni rese da tali particolari soggetti.
In sintesi, le ricerche prodotte hanno sottolineato come l’attendibilità dipenda sia dalle caratteristiche personali e cognitive della persona 22 sia da fatto riesterni, relazionali e comunicativi, relativi al conGli Stati membri provvedono a che la vittima, in funzione delle sue esigenze, abbia accesso a specifici servizi di assistenza riservati, gratuiti e operanti nell’interesse della vittima, prima, durante e per un congruo periodo di tempo dopo il procedimento
penale. I familiari hanno accesso ai servizi di assistenza alle vittime in conformità delle loro esigenze e dell’entità del danno subito a seguito del reato commesso nei confronti della vittima. 2. Gli Stati membri agevolano l’indirizzamento delle vittime da
parte dell’autorità competente che ha ricevuto la denuncia e delle altre entità pertinenti verso gli specifici servizi di assistenza. 3.
Gli Stati membri adottano misure per istituire servizi di assistenza specialistica gratuiti e riservati in aggiunta a, o come parte
integrante di, servizi generali di assistenza alle vittime, o per consentire alle organizzazioni di assistenza alle vittime di avvalersi di entità specializzate già in attività che forniscono siffatta assistenza specialistica. In funzione delle sue esigenze specifiche, la
vittima ha accesso a siffatti servizi e i familiari vi hanno accesso in funzione delle loro esigenze specifiche e dell’entità del danno
subito a seguito del reato commesso nei confronti della vittima […]» e all’art. 9(Assistenza prestata dai servizi di assistenza alle
vittime): «1. I servizi di assistenza alle vittime, di cui all’art. 8, paragrafo 1, forniscono almeno: a) informazioni, consigli e assistenza in materia di diritti delle vittime, fra cui le possibilità di accesso ai sistemi nazionali di risarcimento delle vittime di reato,
e in relazione al loro ruolo nel procedimento penale, compresa la preparazione in vista della partecipazione al processo; b) informazioni su eventuali pertinenti servizi specialistici di assistenza in attività o il rinvio diretto a tali servizi; c) sostegno emotivo
e, ove disponibile, psicologico; d) consigli relativi ad aspetti finanziari e pratici derivanti dal reato; e) […] consigli relativi al rischio e alla prevenzione di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni […]».
18
Tale è la denominazione che assume il teste prima del giudizio e cioè nella fase delle indagini preliminari.
19
«Nei reati di violenza sessuale, la dichiarazione testimoniale della parte offesa è, se non sempre in un’altissima percentuale
dei casi, decisiva, per la tipologia della condotta criminosa, sia sotto il profilo della sua consumazione che generalmente non avviene in presenza di terzi, sia sotto il profilo dell’esistenza o meno del consenso all’atto sessuale»: Cass., sez III, 5 giugno 2013, n. 32798.
20
Cass., sez. III, 3 maggio 2011,n. 28913.
21
L. De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, Milano, 1988; G. Mazzoni-E. Rotriquenz, La testimonianza, cit.; G.Mazzoni-E. Rotriquenz, La psicologia della testimonianza, S. Ciappi-S. Pezzuolo, Psicologia giuridica. La teoria, le
tecniche, la valutazione, Firenze, 2014; U. Fornari, Trattato di psichiatria forense, Milano, 2010; G. Gulotta e coll., Elementi di psicologia
giuridica e di diritto psicologico, Milano, 2000. Per un approfondimento si veda anche: A. Kapardis, Psychology and law. A critical
introduction, 2014, Cambridge.
22
M. Bruck-S.J. Ceci, The suggestibility of children’s memory, in Annual Review of Psychology, 1999, 50, pp. 419-439; M. Bruck-L.
Melnyk, Individual differences in children’s suggestibility: A review and synthesis. AppliedCognitivePsychology,2004, 18, pp. 947-996;
C.A. Carter-B.L. Bottoms-M. Levine, Linguistic and socio emotional influence son the accuracy of children’s reports, Lawand Human
Behavior, 1996, 20,pp. 335-358; S.J. Ceci-D.F. Ross-M.P. Toglia, Suggestibility of children’s memory: Psycho legal implications, JournalofExperimentalPsychology:General,1987, 116,p. 38 ss.; G. De Leo-M. Scali-L. Caso, La Testimonianza. Problemi, metodi e strumenti nella
valutazione dei testimoni, Bologna, 2005; Goodman, Children’s eye witness memory: A modern history and contemporary commentary, in
Journal of Social Issues, 2006, 62, p. 811 ss.
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
98
testo e alla situazione in cui vengono raccolte le dichiarazioni. Le evidenze scientifiche hanno consentito di rilevare i fattori in grado di influenzare la capacità di rievocazione, la suggestionabilità 23 e la distorsione del ricordo e di comprendere come questi elementi possano essere legati all’età (della persona
da ascoltare), alla tipologia di domande poste durante il colloquio e al tempo trascorso tra il presunto
fatto e la testimonianza.
Alcuni studi, neltentativodiindividuareloscartotralecompetenzetestimonialiproprie della persona in
età evolutiva e le influenze legate al metodo di raccolta delle dichiarazioni, hanno rilevato nella suggestionabilità una fonte cruciale di distorsione dell’attendibilità della testimonianza 24.
Lericerchechehannoconsideratol’andamentodellasuggestionabilitànell’arcodivitahannorilevatoche
essa è maggiore nei bambini; che è molto variabile in funzione dell’età e delle competenze cognitive,
sociali e comunicative possedute; e che tende a diminuire nel tempo.
Un altro aspetto osservato è il fenomeno della distorsione del resoconto di un evento vissuto all’aumentare del numero di volte che il medesimo è ripetuto. È stato infatti dimostrato sperimentalmente sia
nel testimone adulto e, particolarmente, nella persona minorenne che l’effetto della ripetizione sulla
qualità e accuratezza della narrazione sia molto significativo. Tali le ragioni che hanno indotto alcune
società scientifiche a raccogliere queste evidenze per trasformarle in linee guida, utili per orientare il lavoro degli esperti incaricati di ascoltare o effettuare delle valutazioni (ad esempio sull’idoneità a testimoniare) delle vittime minorenni 25.
Le dichiarazioni maggiormente attendibili sono quelle raccolte per la prima volta in un tempo ravvicinato al fatto, sempre che siano state acquisite con metodologie appropriate. Non stupisce pertanto che, sul
ruolo della ripetizione del ricordo, in una sentenza si legga che: «le primissime dichiarazioni spontanee sono quelle maggiormente attendibili proprio perché non inquinate da interventi esterni che possono alterare
la memoria dell’evento. L’indagine sulla genesi della testimonianza è sempre opportuna per escludere la
presenza di falsi ricordi» 26; ed altresì, che: «risulta sperimentalmente dimostrato che un bambino, quando è
incoraggiato e sollecitato a raccontare un episodio da persone che esercitano una certa influenza su di lui
(ogni adulto è, per un bambino, un soggetto autorevole) tende a fornire la risposta compiacente che
l’interrogante si attende la quale dipende, in buona parte, dalla formulazione della domanda), e che lo stesso, addirittura, se reiteramente sollecitato con inappropriati metodi di intervista, può introitare le informazioni che hanno condizionato le sue risposte sino al radicarsi in lui di falsi ricordi autobiografici, i quali si
potranno innestare nella memoria come ricordi di fatti realmente vissuti, ingannando l’interlocutore» 27.
Si comprendono, pertanto, le ragioni per le quali – in considerazione delle problematiche connesse
23
La suggestionabilità può essere definita come il fenomeno per cui le persone giungono ad accettare e successivamente ad
incorporare informazioni post evento all’interno del loro sistema menestico (G.H. Gudjonsson, Suggestibility, intelligence, memory
recall and personality: an experimental study, British Journal of Psychiatry, 1983, 142, p. 35 ss.) e considerata come variabile di tratto
individuale, come predisposizione della persona o vulnerabilità alle influenze suggestive.
24
L. Caso-F. Soardi-F. Paccanelli, La suggestionabilità interrogativa nei bambini: una ricerca sperimentale sull’influenza dell’età e dell’autorevolezza dell’intervistatore, in Giornale Italiano di Psicologia, 2013,40, p. 313 ss. L’analisi rileva che l’autorevolezza dell’intervistatore influisce in modo debole sulla suggestionabilità del minore, mentre l’età mostra avere influenza sulla tendenza a cedere
alle domande suggestive e sul punteggio generale della suggestionabilità.
25
In argomento, si vedano le Linee Guida Nazionali del 2010: «2.25 Il ricordo di ogni persona, adulto o bambino, è suscettibile
di modifiche dovute a suggerimenti. Alcuni individui sono più suscettibili di altri all’influenza di suggerimenti; ciò è definito
suggestionabilità. 2.26 Il livello di suggestionabilità nelle fasi dello sviluppo è inversamente proporzionale all’età. La suggestionabilità non rende di per sé il bambino incapace di rendere testimonianza, costituendo solo un fattore di rischio. Pur in presenza
di suggestionabilità, se le domande sono poste correttamente il bambino può fornire risposte coerenti ai suoi contenuti di memoria. 2.27 La vulnerabilità alle domande suggestive aumenta col diminuire dell’età del testimone. Secondo alcune ricerche a 4
anni le domande suggestive inducono risposte errate in percentuale pressoché doppia rispetto a 10 anni e pressoché tripla rispetto all’adulto. 2.28 È frequente che l’adulto significativo intervenga per aiutare il bambino a selezionare certi ricordi ed a organizzarli. Questa influenza però non solo favorisce l’organizzazione e la coesione dei ricordi ma può talvolta modificarli o deformarli. […] 2.31 Molteplici fattori sono in grado di modulare la possibilità di un bambino di riferire adeguatamente circa fatti
di cui è stato testimone o protagonista, fra cui i più importanti sono: a) l’abilità dell’intervistatore nell’ottenere informazioni; b)
l’abilità del bambino non tanto (o solo) nel ricordare, quanto nel saper esprimere ciò che ricorda. Svolge ruolo importante anche
l’assetto cognitivo del minore, con particolare riguardo a: c) livello intellettivo; e) capacità attentive; f) capacità di giudizio morale (es. distinguere tra bene e male, tra bugia e verità); Particolare attenzione dovrà essere prestata poi in caso di veri e propri disturbi mentali dell’infanzia o dell’adolescenza» (AA.VV., L’ascolto del minore testimone. Linee Guida Nazionali, Roma, 2010, p. 5 ss.).
26
Cass., sez. III, 8 marzo 2007, n. 127.
27
S. Codognotto-T. Magro, La testimonianza del minore. Strumenti e protocolli operativi, Santarcangelo di Romagna, 2012, p. 8.
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
99
soprattutto al ruolo di testimone che la vittima riveste nel processo penale 28 – nel panorama normativo
internazionale si ponga sempre più l’accento sulla vulnerabilità di alcune categorie di soggetti, e, quindi,
sulla necessità di una loro specifica “protezione”: in tutte le fasi del procedimento occorre ricercare un
punto di equilibrio tra la necessità derivante dal dovere di accertamento dei fatti, la tutela dell’integrità
psicofisica del dichiarante ed il rispetto delle garanzie dell’imputato 29.
È utile ricordare come in una sentenza della Corte di Giustizia del 2005 30 – nota come la c.d. “sentenza Pupino” – sia stata significativamente rinforzata la strada già delineata da altre indicazioni normative rispetto all’audizione protetta delle vittime vulnerabili, sottolineando l’esigenza di predisporre
modalità di raccolta della testimonianza adeguate alla sua condizione, parallelamente al rispetto delle
esigenze di garanzia del giusto processo: «Gli artt. 2, 3 e 8, n. 4, della decisione quadro 31 devono essere
interpretati nel senso che il giudice nazionale deve avere la possibilità di autorizzare bambini in età infantile che, come nella causa principale, sostengano di essere stati vittime di maltrattamenti a rendere la
loro deposizione secondo modalità che permettano di garantire a tali bambini un livello di tutela adeguato, ad esempio al di fuori dell’udienza e prima della tenuta di quest’ultima. Il giudice nazionale è
tenuto a prendere in considerazione le norme dell’ordinamento nazionale nel loro complesso e ad interpretarle, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della detta decisione quadro» 32.
È altresì importante considerare le problematiche che gli investigatori e l’autorità giudiziaria devono
affrontare nei procedimenti penali che coinvolgono le c.d. “vittime vulnerabili”; esse investono spesso,
preliminarmente, l’accertamento della idoneità a testimoniare (soprattutto nei casi di vittime minori);
riguardano i tempi e le modalità di assunzione delle dichiarazioni nelle varie fasi procedimentali; implicano l’assistenza affettiva e psicologica del dichiarante; richiedono la corretta valutazione della rilevanza probatoria delle dichiarazioni acquisite.
LA CORNICE NORMATIVA
In tema di protezione del “dichiarante vulnerabile” nel processo penale, il legislatore italiano è intervenuto, di recente, con importanti modifiche, anche sotto lo stimolo di Convenzioni internazionali, di Direttive Europee e di significative pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo
(come richiamate anche nella nota 28).
28
La Corte di giustizia delle Comunità Europee nella sentenza del 16 giugno 2005 n.105 ha in tal senso rivolto una particolare
attenzione a «due tipologie probatorie caratterizzate da significative decisioni rispetto al modello tipico, imperniato sul principio
del contraddittorio; si tratta, precisamente, delle dichiarazioni rese dai testimoni anonimi e dai testi vulnerabili». Si veda, per un
approfondimento: A. Balsamo-S. Recchione, La protezione della persona offesa tra Corte europea, Corte di giustizia delle comunità europee e
carenze del nostro ordinamento, Balsamo-Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano, Torino, 2008, p. 317. Vanno in questa direzione anche le due Convenzioni europee sottoscritte e ratificate dall’Italia: la Convenzione del Consiglio d’Europa
sulla Protezione dei bambini contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale, firmata a Lanzarote il 25 ottobre 2007 e la Convenzione del
Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad
Istanbul l’11 maggio 2011, che contiene anche indicazioni sul tema dell’assunzione della testimonianza da soggetti vittime di violenza di genere o domestica. Rispetto a quest’ultima, l’art. 56 (sulle misure di protezione) impegna le parti ad adottare le misure
legislative o di altro tipo destinate a proteggere «i diritti e gli interessi delle vittime compresi i loro particolari bisogni in quanto testimoni in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti giudiziari» e quindi specifica quali possano essere dette misure, tra cui: a)
garantire che siano protette, insieme alle loro famiglie e ai testimoni; b) consentire alle vittime di testimoniare in aula, secondo le
norme previste dal diritto interno, senza essere fisicamente presenti, o almeno senza la presenza del presunto autore del reato, grazie in particolare al ricorso a tecnologie di comunicazione adeguate, se sono disponibili. Quanto al teste minorenne, la Convenzione
richiede (art. 56, comma 2) che «un bambino vittima e testimone di violenza contro le donne e di violenza domestica, deve, se necessario, usufruire di misure di protezione specifiche, che prendano in considerazione il suo interesse superiore».
29
Si è espressa in tal senso una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha affermato che «il nostro sistema normativo
è votato alla ricerca di un punto di equilibrio tra la necessità derivante dal dovere di accertamento dei fatti e quella di tutela
dell’integrità psicofisica del minore» ed ha ribadito come l’esame del minore riveste aspetti di particolare delicatezza, poiché è
necessario preservare l’integrità psichica di tale soggetto che rileva non solo nel suo sviluppo, ma ha diretto riflesso sulla genuinità dell’apporto che il teste può fornire alla ricostruzione dei fatti (Cass., sez. III, 29 novembre 2012, n. 5854).
30
La causa (C-105/03) aveva ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 35
UE, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze con decisione 3 febbraio 2003, pervenuta in cancelleria
il 5 marzo 2003, nel procedimento penale a carico della sig.ra Maria Pupino. La sentenza è del 16 giugno 2005.
31
Il riferimento è alla già citata Decisione-quadro 2001/220/GAI.
32
Il testo citato fa riferimento al punto 61 della sentenza indicata nella nota 30.
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
100
Le prime disposizioni sul tema sono quelle introdotte con la legge di ratifica della Convenzione di
Lanzarote (la l. n. 172 del 2012) ed hanno riguardo all’assunzione di informazioni da persone minorenni, in procedimenti analiticamente indicati dal legislatore, tra i quali anche quelli per prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia.
Più nel dettaglio, l’intervento normativo ha riguardato innanzi tutto la fase delle indagini preliminari attraverso la modifica dell’articolo 351 comma 1-ter, sull’assunzione di informazioni da parte della
polizia giudiziaria, dell’articolo 362 comma 1-bis relativa alle dichiarazioni rese al pubblico ministero –
e 391-bis c.p.p., che contempla l’ipotesi delle dichiarazioni rese ai difensori in sede di investigazioni difensive. La novità sta nella previsione che dette dichiarazioni rese da soggetto minore, sia esso persona
offesa o solo informata sui fatti, devono essere assunte con “l’ausilio” di un “esperto in psicologia o psichiatria infantile”, nominato – nelle prime due ipotesi – dal pubblico ministero 33.
Le “condizioni di particolare vulnerabilità” della persona offesa, che aveva assunto rilievo nel nostro
sistema processuale per la prima volta con la novella del comma 4-quater all’art. 498 c.p.p. sull’esame diretto e controesame dei testimoni nel dibattimento ad opera della l. n. 119 del 2013 (in esecuzione alla Convenzione di Istanbul), ha fatto ingresso nel nostro sistema processuale a seguito dell’entrata in vigore
del d.lgs 15 dicembre 2015, n. 212 34, attuativo proprio della più volte citata Direttiva europea in materia
di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.
Il primo aspetto rilevante è che il legislatore del 2015 ha normativamente definito la figura della persona offesa dal reato “in condizione di particolare vulnerabilità” con l’introduzione dell’articolo 90quater c.p.p. nel quale si afferma che: «[…] la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle
modalità e circostanze del fatto per cui si procede» e precisando anche che, a tale fine: «[…] si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti
di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o
economicamente dipendente dall'autore del reato».
Tanto premesso si evidenzia che le recenti modifiche normative sono intervenute, innanzi tutto, sulle disposizioni che disciplinano l’esame della persona offesa, in condizione di particolare vulnerabilità,
già nella fase delle indagini preliminari.
Sono infatti state modificate le disposizioni degli artt. 351 e 362 c.p.p. sui minori estendendole anche
alle sommarie informazioni da assumere da «persona offesa, anche maggiorenne, in condizione di particolare vulnerabilità».
Nell’evidenziare che ai fini di detta qualificazione occorre fare riferimento al disposto del citato articolo 90 quater c.p.p., è necessario precisare che non solo detto esame deve svolgersi con “l’ausilio” di
un “esperto in psicologia o psichiatria infantile”, nominato dal pubblico ministero ma che, per espressa
disposizione del legislatore, chi procede al compimento dell’atto «in ogni caso assicura che la persona
offesa particolarmente vulnerabile in occasione della richiesta di sommarie informazioni non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e che non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini».
La condizione di “particolare vulnerabilità della persona offesa” rileva anche sotto altri profili ed in
diverse altre fasi processuali.
Attraverso la modifica dell’art. 392 c.p.p. è, infatti, previsto che la sua testimonianza possa sempre
essere assunta con le modalità dell’incidente probatorio a prescindere dall’esistenza di particolari ragioni che la giustificano, purché ne faccia richiesta il pubblico ministero, la stessa persona o l’indagato;
in detta ipotesi, il giudice può disporre anche modalità protette, sempre che vi sia richiesta in tal senso
della persona offesa o del suo difensore.
Completa il quadro normativo riferibile al dichiarante vulnerabile il nuovo disposto degli art. 398,
comma 5-quater e 498 comma 4-quater c.p.p., così come modificati dal citato d.lgs del 2015, secondo cui,
ove debba essere assunta la loro testimonianza, il giudice «dispone l’adozione di modalità protette», se
vi è richiesta in tal senso della persona offesa o del suo difensore.
33
Si veda, per un approfondimento: M. Monteleone, Ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote parte III: le modifiche al
codice di procedura penale, Giurisprudenza di Merito, 7/8, 2013 e il già citato articolo di V. Cuzzocrea, L’ascolto protetto delle persone
minorenni prima e dopo la ratifica della Convenzione di Lanzarote, cit.
34
Il d.lgs. n. 212 del 2015 è entrato in vigore il 20 gennaio 2016.
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
101
Vi sono alcuni aspetti di interesse nelle disposizioni in esame che non possono essere trascurati, atteso che certamente spetta al giudice riscontrare la condizione di particolare vulnerabilità della vittimatestimone ed anche individuare nel concreto “le modalità protette” più idonee nella fattispecie, al fine
di garantire la tutela più adeguata alla vittima, tuttavia se vi è richiesta dei soggetti legittimati (persona
offesa o difensore) il giudice deve disporle.
Nell’esercitare detta discrezionalità al prudente apprezzamento del giudice è affidata non solo la
salvaguardia delle esigenze di protezione della parte offesa ma anche delle garanzie della difesa dell’imputato e, non da meno, l’assicurazione del contraddittorio (che trova la sua espressione più qualificata nel rispetto della oralità e della immediatezza nell’assunzione della prova).
Le modalità concrete, quindi, vanno individuate dal giudice, anche su indicazione delle stesse parti
e possono essere da quelle più semplici di consentire l’assunzione delle dichiarazioni senza che il teste
debba “vedere” l’imputato eventualmente presente in aula (ad esempio facendo ricorso ad un “paravento”), fino anche al ricorso alla videoconferenza, secondo le indicazioni delle citate Convenzioni internazionali.
PROCEDURE OPERATIVE E BUONE PRASSI (LOCALI)
Quanto alle modalità di svolgimento dell’atto ed in particolare alla raccolta delle dichiarazioni del minore e
alle misure di protezione adottabili, si ritiene che non si possa prescindere dalle stesse disposizioni della Convenzione di Lanzarote ed in particolare dal contenuto dell’art. 35. In base a quest’ultima disposizione è necessario che i “colloqui con il minore”: a) abbiano luogo senza alcun ritardo ingiustificato dopo
che i fatti siano stati segnalati alle autorità competenti; b) abbiano luogo, ove opportuno, presso locali
concepiti o adattati a tale scopo; c) vengano condotti da professionisti addestrati a questo scopo; d) nel limite del possibile e, ove opportuno, la persona minorenne sia sempre sentita dalle stesse persone; e) il numero dei colloqui sia limitato al minimo strettamente necessario al corso del procedimento penale; f) i colloqui
con la vittima, o ove opportuno, con un minore testimone dei fatti, possano essere oggetto di registrazioni audiovisive e tali registrazioni possano essere accettate come prova durante il procedimento penale 35.
Nel solco di tali indicazioni si collocano le modifiche degli artt. 351, comma 1-ter, 362, comma 1-bis e
391-bis, comma 5-bis,c.p.p. e delle altre disposizioni, ispirate alla esigenza – che deve essere necessariamente tenuta in considerazione dagli investigatori, nonché da tutti gli interlocutori coinvolti – che la
persona in età evolutiva sia protetta fin dall’inizio delle indagini e che, pertanto, laddove debba rendere
sommarie informazioni, dovrà essere “ascoltata” con le cautele più adeguate.
Ebbene, secondo gli studi maggiormente accreditati, si ritiene che tale esigenza possa essere garantita dalla presenza di un esperto in psicologia o psichiatria infantile, il quale, essendo chiamato a prestare ausilio all’organo investigativo, assume la veste di consulente tecnico di parte 36.
35
Article 35 – Interviews with the child. 1 Each Party shall take the necessary legislative or other measures to ensure that: a
interviews with the child take place without unjustified delay after the facts have been reported to the competent authorities; b
interviews with the child take place, where necessary, in premises designed or adapted for this purpose; c interviews with the
child are carried out by professionals trained for this purpose; d the same persons, if possible and where appropriate, conduct
all interviews with the child; e the number of interviews is as limited as possible and in so far as strictly necessary for the purpose of criminal proceedings; f the child may be accompanied by his or her legal representative or, where appropriate, an adult
of his or her choice, unless a reasoned decision has been made to the contrary in respect of that person. 2 Each Party shall take
the necessary legislative or other measures to ensure that all interviews with the victim or, where appropriate, those with a
child witness, may be videotaped and that these videotaped interviews may be accepted as evidence during the court proceedings, according to the rules provided by its internal law. 3 When the age of the victim is uncertain and there are reasons to believe that the victim is a child, the measures established in paragraphs 1 and 2 shall be applied pending verification of his or her
age.
36
In argomento, si veda Cass., sez. III, 23 novembre 2011, n. 46769, in CED Cass., n. 251634, secondo cui «non sussiste alcuna
incompatibilità per l’ausiliario, nominato dalla p.g. nella prima fase delle indagini, ad assumere la veste di consulente tecnico
del p.m., in quanto le preclusioni previste dall’art. 225 comma 3 c.p.p. trovano applicazione soltanto per il perito d’ufficio. (Nella specie, trattavasi di psicologo nominato ausiliario di p.g. per assumere le dichiarazioni di un minore abusato, successivamente nominato consulente tecnico del P.M.)». Cfr. Cass., sez. III, 3 dicembre 2010, n. 3845, in Arch. n. proc. pen., 2011, p. 316. In argomento, si veda anche Id., sez. III, 17 gennaio 2008, n. 8377, in CED Cass., n.239282, per la quale «deve escludersi l’incompatibilità con l’ufficio di testimone per il consulente tecnico incaricato dal P.M. non rivestendo costui la qualità di ausiliario
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
102
L’incarico conferito all’esperto – consistente, secondo la terminologia utilizzata dal legislatore, nel
“prestare ausilio” – non si deve ridurre ad una mera assistenza “passiva” all’assunzione di informazioni della persona minorenne da parte della polizia giudiziaria, ovvero limitarsi a fare da tramite nella
formulazione delle domande, ma deve esplicarsi in un’attività ben più pregnante, coerente anche con le
finalità che hanno ispirato la modifica legislativa.
Si intende con ciò sottolineare che l’esperto – da individuarsi tra i professionisti e le professioniste
possibilmente formate in psicologia giuridica con una competenza specialistica e una consolidata esperienza professionale nell’ascolto giudiziario delle vittime vulnerabili – dovrebbe, più significativamente, fornire un supporto qualificato e “attivo” all’organo inquirente in un’ottica di scambio professionale
e di reciproca collaborazione.
È auspicabile, in altri termini, che assista la polizia giudiziaria affinché siano adeguatamente valutati
tempi e modalità della raccolta delle dichiarazioni, tenendo in dovuta considerazione sia le specifiche
esigenze investigative in cui si colloca l’atto previsto dall’art. 351 c.p.p, che quelle di tutela della persona, in considerazione dell’età, delle sue condizioni psico-fisiche (attuali, pregresse e/o conseguenti al
reato) come pure delle caratteristiche del fatto sul quale è chiamata a rendere dichiarazioni 37, proponendo, ove opportuno, anche lo svolgimento del colloquio in uno “spazio neutro”, idoneo ad assicurare
la genuinità e la spontaneità del racconto 38.
Nell’eventualità che il minore sia stato già sentito dalla polizia giudiziaria con l’ausilio di un esperto,
si è dell’avviso che il pubblico ministero debba – tendenzialmente – avvalersi del medesimo specialista, in
conformità con le indicazioni esplicitate nell’art. 35, comma 1, lett. d) della Convenzione di Lanzarote,
dove si prevede che «nel limite del possibile e, ove opportuno, il minore sia sempre sentito dalle stesse
persone».
Rispetto alla finalità dell’atto assunto secondo le indicate modalità, si ritiene importante sottolineare che non si tratta di un intervento valutativo o terapeutico, bensì di un’attività a forte impronta investigativa, essendo essa volta, essenzialmente, alla ricostruzione narrativa e causale del fatto, alla
comprensione della dinamica (relazionale e ambientale) e del contesto in cui sarebbe avvenuto il fatto
e all’eventuale individuazione dell’autore (o degli autori), quindi all’acquisizione di fonti di prova
dell’organo inquirente, in quanto è tale solo l’ausiliario in senso tecnico che appartiene al personale della segreteria o della cancelleria dell’ufficio giudiziario e non già un soggetto estraneo all’amministrazione giudiziaria che si trovi a svolgere, di fatto ed
occasionalmente, determinate funzioni previste dalla legge»; e Id., sez. VI, 26 aprile 2007, n. 33810, in Cass. pen., 2008, p. 3395,
secondo cui «il consulente tecnico nominato dal p.m. non è incompatibile con l’ufficio di testimone, perché non assume la qualità di ausiliario del p.m.».
37
Tra le caratteristiche del fatto da considerare, si pensi, ad esempio alla tipologia di reato (anche) in relazione al legame della presunta vittima con l’indagato, se noto (reato intrafamiliare o extrafamiliare), alla prossimità con il fatto in termini di esposizione – diretta (nel caso si tratti della presunta vittima) o indiretta (nel caso il bambino sia chiamato come testimone, come ad
esempio nei reati di violenza domestica) – e con i tempi di esposizione all’evento (evento cronico o episodico), alla distanza fisica o temporale dal fatto, alla modalità di emersione e rilevazione dello stesso (se ad esempio determinata da dichiarazioni spontanee del bambino/adolescente o se presunte da terzi) e ad eventuali altri fattori che potrebbero rappresentare, ad un esame più
approfondito, dei rischi in termini di suggestionabilità della persona minorenne (legate ad esempio a pregresse e inappropriate
modalità di raccolta delle dichiarazioni in ambiente informale, dai genitori o da terzi, attraverso domande inducenti, incalzanti,
chiuse e suggestive). Rispetto alla tipologia di reato, un altro aspetto da considerare, nella scelta delle modalità da adottare, è
l’eventuale coinvolgimento di altre persone vicine al bambino/adolescente (minorenni e/o adulte): nel caso ad esempio di persone offese o informate sui fatti vicine tra loro (familiari, compagni di classe, minori all’interno di una casa famiglia; etc.) sarebbe opportuno prevedere che l’eventuale ascolto collettivo avvenga nello stesso giorno, così da evitare possibili contaminazioni
delle dichiarazioni da rendere.
38
In tal senso si è determinata la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma che, a seguito dell’entrata
in vigore della legge 172 del 2012, relativamente all’assunzione delle dichiarazioni da persona minore degli anni 18, ha tempestivamente impartito disposizioni alla polizia giudiziaria che hanno consentito, sul piano strettamente operativo, un perfetto
raccordo tra il pubblico ministero, la polizia giudiziaria operante sul territorio e il consulente tecnico individuato con immediatezza rispetto agli specifici obiettivi dell’atto ma anche rispetto ai tempi e al luogo di espletamento dell’ascolto. Tali disposizioni
sono state emesse dalla Procura di Roma in data 30 gennaio 2013 (prot. n. 177 del 2013) e rispetto al “ruolo” affidato dalla legge
al “Consulente” contengono queste indicazioni: «si deve ritenere che questi, informato sommariamente dei fatti per cui si procede e della condizione del minore, non soltanto assisterà all’esame, ma potrà dare indicazioni alla p.g. sulla eventuale necessità
di effettuare l’esame con modalità protette o proporre che l’esame sia effettuato, anziché nei locali della p.g., in uno “spazio neutro”, così da assicurare che l’atto sia rispettoso delle esigenze del minore e, nello stesso tempo, utile ai fini investigativi. Il Consulente, ove ritenuto opportuno, potrà anche svolgere il ruolo di intermediario nella conduzione dell’esame proponendo direttamente al minore le eventuali domande utili ai fini della prosecuzione delle indagini […]».
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
103
utili e necessarie per la più efficace prosecuzione dell’indagini.
La presenza della figura tecnica dell’esperto deve in tal senso rappresentare uno strumento specialistico al fine di massimizzare le “informazioni” da acquisire, limitando al contempo le eventuali fonti di
stress al dichiarante e le possibili contaminazioni nel recupero del ricordo 39; a tal fine, esistono in letteratura, alcune importanti indicazioni metodologiche da utilizzare in questa tipologia di colloqui (protocolli di intervista investigativa 40, così come sollecitato dalla comunità scientifica nell’ambito di diverse
linee guida 41.
Rispetto alle modalità di raccolta delle dichiarazioni dalla persona minorenne ex art. 351 c.p.p. – e in
generale dalle vittime vulnerabili 42 e in “condizioni di particolare vulnerabilità” 43– occorre riflettere sul
39
Come sottolineato dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA, Linee guida in tema di
abuso sui minori, Trento, 2007) le procedure d’intervista devono mirare a massimizzare il ricordo e minimizzare le contaminazioni, evitando le domande “guidate” o comunque suggestive, e combinando le attuali conoscenze sullo sviluppo dei soggetti in
età evolutiva con le tecniche di memoria che possono facilitare il ricordo di particolari episodi. Si veda in tal senso per un approfondimento anche il documento prodotto dalle istituzioni inglesi circa le misure da adottare nella raccolta delle dichiarazioni di
vittime e testimoni: Ministry of Justice, Achieving Best Evidence in CriminalProceedings. Guidance on interviewing victims and witnesses, and guidance on using special measures, 2011.
40
In letteratura esistono diverse tecniche (protocolli di intervista investigativa) riconosciute dalla comunità scientifiche e
utilizzate per la raccolta delle dichiarazioni delle vittime e dei testimoni vulnerabili, con particolare attenzione ai bambini e
agli adolescenti; le linee guida più accreditate a livello nazionale rimandano all’opportunità di fare uso di questi protocolli.
Secondo la SINPIA, Linee guida in tema di abuso sui minori, cit., è preferibile utilizzare, quando possibile, tecniche d’intervista
semi strutturata sufficientemente validate e condivise – quali la Step-Wise Interview di Yuille e colleghi (1993), l’Intervista
Cognitiva di Fisher e colleghi (1987), il protocollo di intervista di Cheung (1997) e l’NICHD di Orbach e colleghi (2000) – e
l’uso di tali tecniche richiede una specifica preparazione e formazione. Per una lettura dei principali documenti prodotti dalla comunità scientifica nazionale (Protocollo di Venezia del 2007, Carta di Noto III e Linee Guida Nazionali del 2010) si veda:
G. Mazzoni, Appendice, G. Mazzoni-E. Rotriquenz, La testimonianza, cit. In argomento, per un approfondimento si v. anche G.
De Leo-M. Scali-L. Caso, La Testimonianza, cit.; L. Caso-A. Vrij, L’interrogatorio giudiziario e l’intervista investigativa, Bologna,
2009. G.B. Camerini-C. Barbieri, R. Vacondio, Bambini vittime e testimoni: manuale operativo, Santarcangelo di Romagna, 2015;
G.B. Camerini-V. Cuzzocrea, P. Roma, La raccolta della testimonianza. Metodi e tecniche d’intervista, G.B. Camerini-E. Di Cori-U.
Sabatello (a cura di), Compendio di psichiatria e psicologia forense dell’età evolutiva, Milano, in press; S. Villani-D. Dèttore, Valutazione in casi di sospetto abuso sessuale su minori in ambito peritale, S. Ciappi-S. Pezzuolo (a cura di), Psicologia giuridica. La teoria, le tecniche, la valutazione, cit.
41
Ad esempio, nel Protocollo di Venezia del 2007 si rimanda all’opportunità di procedere alla raccolta delle dichiarazioni
dopo un’attenta pianificazione dell’attività atta a definire preliminarmente – a seguito di un accordo tra A.G., P.G. e consulente
individuato, in linea con le esigenze investigative e di tutela della o delle persone da sentire – il setting del colloquio ovvero
l’insieme di aspetti organizzativi come il chi condurrà il colloquio, il dove si svolgerà, il come verrà gestito (ad esempio in riferimento agli strumenti di audio e/o video registrazione e alle modalità di contatto dei familiari o di altre persone di riferimento
per la convocazione). Lo stesso documento indica come metodologicamente opportuno organizzare il colloquio per fasi:
«a)Richiesta del racconto libero –Richiesta della narrazione secondo una sequenza cronologica naturale degli eventi –Richiesta della narrazione secondo una sequenza alterata degli eventi; b) Domande investigative (Le domande devono essere poste secondo la sequenza che
segue al fine di non compromettere il racconto del minore) – Domande aperte –Domande specifiche –Domande chiuse –Domande “suggestive” ma mai “fuorvianti” (anche su fatti irrilevanti al fine di valutare la suggestionabilità specifica del minore); c) Contenuto delle domande: scelta dei temi da approfondire tra cui ineludibili: –Analisi relative al tipo di relazione tra i minori coinvolti – Analisi delle
relazioni tra i minori e gli adulti coinvolti; d) Congedo del bambino-Dare la possibilità al minore di porre delle domande alle quali rispondere –Tornare ad un livello di comunicazione neutra – Chiusura dell’intervista; e) Riassunto degli elementi emersi-Riassumere gli elementi più importanti emersi –Suggerire eventuali percorsi di sostegno psicologico, di accompagnamento processuale, sia sul minore che sulla
famiglia. Per un approfondimento si veda anche R. Bull, Una corretta modalità di intervista con minori nel processo penale, MazzoniRotriquenz, La testimonianza, op. cit.
42
Con “vittime vulnerabili” si fa riferimento in questa sede a quelle persone che sono coinvolte come persone offese in un procedimento penale e che per caratteristiche personali legate a fattori come età, sesso, marginalità, condizioni psicologiche, familiari, economiche e sociali (ad esempio: minori, minori non accompagnati, anziani, disabili, donne, in particolare se in stato di
gravidanza, genitori singoli con figli minori, le persone con disturbi psichici, etc.) o poiché vicine a situazioni che le espongono
ad un rischio elevato di danno (come ad esempio coloro che hanno subito delle violenze reiterate nelle relazioni strette o altre
forme di reato come torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica, sessuale o di genere) possono essere considerate “vulnerabili”. Per un approfondimento si vedano le note 4 e 11.
43
L’espressione fa riferimento a quanto contenuto nel nuovo comma 5-ter introdotto nell’art. 398 c.p.p. dal già citato d.lgs. n.
24 del 2014, in cui è prevista: l’ammissione della testimonianza degli offesi maggiorenni rispetto ai reati indicati dall’art. 392,
comma 1bis,c.p.p.(artt. 572, 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater c.p., anche se relativi al materiale pornografico di cui agli artt. 600quater, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis, c.p.); la norma indica inoltre,
come unica condizione necessaria per la concessione della protezione, il riconoscimento della esistenza di una condizione di
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
104
fatto che, malgrado il legislatore del 2012 abbia omesso qualsiasi indicazione circa la metodologia e gli
strumenti adottabili in detta fase, si ritengono analogicamente applicabili le disposizioni processuali
che regolano l’incidente probatorio e l’esame nel dibattimento.
In merito alla conduzione del colloquio – con riguardo a quanto precedentemente evidenziato, ovvero all’attenzione da porre nella formulazione delle domande e alle finalità dell’atto – il riferimento principale è costituito dall’art. 499 c.p.p. (regole per l’esame testimoniale) e ad alcune utili indicazioni: «1.
L’esame testimoniale si svolge mediante domande su fatti specifici. 2. Nel corso dell’esame sono vietate
le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte. 3. nell’esame condotto dalla parte che ha
chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che
tendono a suggerire le risposte. 4. Il presidente cura che l’esame del testimone sia condotto senza ledere
il rispetto della persona […]».
Rispetto alla documentazione dell’atto, si trova un’utile indicazione nell’art. 398, comma 5-bis, c.p.p.
ove è previsto espressamente che avvenga attraverso mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva e con
la conseguente redazione del verbale in forma riassuntiva.
Per quanto concerne l’aspetto dei tempi di svolgimento dell’atto, in ragione anche delle finalità immediatamente investigative che lo rendono necessario, è auspicabile che venga posto in essere in tempi
quanto più ravvicinati all’acquisizione della notizia di reato; a tal fine, è quanto mai auspicabile che
siano predisposti dei turni di reperibilità di psicologi o psichiatri infantili esperti particolarmente nell’ascolto dei minori 44 che assicurino il compimento dell’atto, previa nomina da parte del P.M. (che può
essere anche orale, salvo conferma scritta successiva), laddove si ritenga che la raccolta delle dichiarazioni abbia un carattere di urgenza 45.
Quanto evidenziato, nel complesso, in termini di regole per la conduzione dell’ascolto, della metodologia e della strumentazione tecnica da utilizzare per “fotografare” le informazioni raccolte, dovrebbe divenire – tendenzialmente – il modo ordinario di operare fin dalle prime fasi del procedimento 46.
In tale contesto assume particolare rilievo la modifica legislativa introdotta dal d.lgs. n. 212 del
2015 che intervenendo sull’art. 134 c.p.p. che riguarda la documentazione degli atti consente sempre,
anche al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità, la videoripresa delle dichiarazioni della
persona offesa “in condizione di particolare vulnerabilità”.
Con riguardo alle modalità di assunzione delle dichiarazioni della persona offesa maggiorenne
“particolare vulnerabilità” consentendo, pertanto, l’accesso alle modalità speciali anche nel caso di dichiarazioni rese da un soggetto vulnerabile non offeso, e soprattutto, di estendere la protezione oltre il perimetro tracciato dall’elenco di reati indicato
nell’art. 398, comma 5-bis,c.p.p. (artt. 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies c.p.) attraverso le modalità indicate nell’ambito dello
stesso articolo. Il legislatore, in sintesi, ha previsto un’estensione delle modalità di protezione delle vittime rispetto alla “condizione di particolare vulnerabilità” in cui si troverebbero; tale condizione prescinde dall’età delle vittime, tiene in considerazione
maggiori tipologie di reati e si estende anche ai testimoni.
44
Nelle Disposizioni suindicate (nota 33) si fa riferimento alla predisposizione da parte della Procura di Roma di «turni di
reperibilità urgente di Consulenti del P.M. che saranno disponibili nell’arco delle 24 ore di tutti i giorni (anche festivi) e che interverranno al compimento dell’atto a seguito della nomina da parte del P.M. di turno».
45
Si pensi ad esempio al caso – realmente verificatosi – di un adolescente che si reca autonomamente presso un ufficio di polizia per denunciare una situazione di grave maltrattamento intrafamiliare, magari dopo essere scappato di casa, o anche al caso
di un’aggressione sessuale appena avvenuta e operata da estranei per cui è necessario procedere all’identificazione degli autori.
Si pensi anche all’esposizione di bambini ad eventi traumatici quali l’omicidio di uno o più familiari. Rispetto al carattere di urgenza e tempestività dell’intervento, si cita quanto sollecitato nella Convenzione di Istanbul che all’articolo 27 (Risposta immediata prevenzione e protezione) sollecita le Parti ad adottare «le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le autorità incaricate dell’applicazione della legge affrontino in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza che rientrano
nel campo di applicazione della presente Convenzione, offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime» e «operino
in modo tempestivo e adeguato in materia di prevenzione e protezione contro ogni forma di violenza […] ivi compreso utilizzando misure operative di prevenzione e la raccolta delle prove».
46
Si consideri, al riguardo, che il già citato art. 35 (colloqui con il minore) della Convenzione di Lanzarote al comma 2 prevede
che: «ciascuna Parte adotterà i necessari provvedimenti legislativi o di altro genere affinché i colloqui con la vittima, o ove opportuno, con un minore testimone dei fatti, possano essere oggetto di registrazioni audiovisive e che tali registrazioni possano
essere accettate come prova durante il procedimento penale, in accordo con le norme previste dalla legislazione interna». Pare,
al riguardo, utile ricordare che l’art. 134, comma 4, c.p.p., quanto alle modalità di documentazione degli atti, prevede che ove le
modalità ordinarie di documentazione siano «ritenute insufficienti, può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva se assolutamente indispensabile».
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
105
che si trovi, appunto, nelle citate condizioni, deve ritenersi che le modalità operative siano sostanzialmente quelle previste per le persone minorenni; in tal senso, depone il nuovo disposto degli
artt. 351 e 362 c.p.p., laddove contemplano che: «si procede allo stesso modo». Ciò sta a significare
che anche l’esame della vittima vulnerabile maggiorenne debba svolgersi con l’ausilio di un esperto
in psicologia nominato dal pubblico ministero. Tuttavia, va evidenziato che la normativa del 2015
contempla ulteriori spazi di protezione nell’acquisizione di detta fonte dichiarativa disponendo
espressamente che: «in ogni caso assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona sottoposta ad
indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salvo l’assoluta necessità
per le indagini».
Merita anche una breve riflessione quella particolare modalità di assunzione delle dichiarazioni in
sede processuale rappresentata dalla videoconferenza, modalità espressamente prevista dalla normativa convenzionale, che garantisce la più efficace tutela della vittima vulnerabile e, nello stesso tempo,
consente di assicurare la formazione della prova nelle migliori condizioni possibili.
È opportuno ricordare che già la Convenzione di Lanzarote all’art. 36 sui procedimenti giudiziari al
comma 2, lett. b) afferma che: «Ciascuna Parte adotterà i necessari provvedimenti legislativi o di altro
genere affinché, nell’ambito delle norme previste dalla legislazione interna […] la vittima possa venire
ascoltata in udienza senza esservi presente specie mediante il ricorso di appropriate tecnologie di comunicazione».
Analoghe sono le disposizioni della Direttiva del Parlamento Europeo 2012/29/UE che all’articolo
23 regola il diritto alla protezione delle vittime con esigenze particolari di protezione, prevedendo che:
«durante le indagini penali ...possono avvalersi delle seguenti speciali misure: audizione della vittima
in locali appositi […], misure per evitare il contatto visivo tra le vittime e gli autori dei reati, anche durante le deposizioni, ricorrendo a mezzi adeguati fra cui l’uso delle tecnologie di comunicazione, –
misure per consentire alla vittima di essere sentita in aula senza essere fisicamente presente, in particolare ricorrendo ad appropriate tecnologie di comunicazione».
Esplicita anche la previsione della Convezione di Istanbul che all’art. 56 richiede che sia consentito
«alle vittime di testimoniare in aula, secondo le norme previste dal diritto interno, senza essere fisicamente presenti, o almeno senza la presenza del presunto autore del reato, grazie in particolare al ricorso
a tecnologie di comunicazione adeguate, se sono disponibili».
Nell’attesa che il legislatore introduca specifiche disposizioni normative, può ritenersi che l’indicata modalità di assunzione delle dichiarazioni sia comunque già consentita nel nostro sistema
processuale.
Al riguardo, occorre riflettere sul fatto che si tratta di una modalità di assunzione della testimonianza già disciplinata in casi determinati e che la sua applicazione al di fuori delle ipotesi espressamente
previste dalla legge, non rende l’atto inutilizzabile, come ha espressamente avuto modo di affermare la
Cassazione in una sentenza del 2007 (Cass.,sez.I, 4 dicembre 1997, n. 2607) la quale, peraltro, ha affermato che: «non solo l’assunzione di dichiarazioni testimoniali attraverso un sistema di impianto audiovisivo a circuito chiuso non è affatto vietato, ma essa è addirittura prevista dalla stessa legge, che la autorizza in presenza di determinati presupposti. L’art.147-bis delle norme di attuazione del codice di
procedura penale prevede infatti la possibilità di disporre che l’esame in dibattimento possa svolgersi
mediante un collegamento audiovisivo, anche a distanza, quando si tratti di persone sottoposte a programmi o misure di protezione, ovvero nel caso di gravi difficoltà ad assicurare la comparizione delle
persone che devono essere sottoposte ad esame».
In tale contesto normativo e alla luce dell’indicato orientamento giurisprudenziale della Cassazione,
si ritiene legittimo, anche in sede di incidente probatorio, il ricorso a detta modalità di assunzione della
prova dichiarativa.
Importante linea guida nel condurre l’esame della persona in età evolutiva è che bisogna sempre tenere presente “il suo interesse superiore” 47, ne consegue l’opportunità di assumerne la testimonianza
47
Si cita a tal proposito quanto sancito dalla Convenzione di Istanbul che all’articolo 56 sulle “misure di protezione” sollecita le Parti ad adottare «le misure legislative o di altro tipo destinate a proteggere i diritti e gli interessi delle vittime,
compresi i loro particolari bisogni in quanto testimoni in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti giudiziari, in particolare [….] d. offrendo alle vittime, in conformità con le procedure del loro diritto nazionale, la possibilità di essere ascoltate,
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
106
solo se indispensabile, ricorrere a modalità adeguate, prestare l’assistenza anche affettiva, secondo le
previsioni dell’art. 609-decies, comma 3, c.p. così come modificato dalla l. n. 172 del 2012 secondo cui:
«l’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne, è assicurata in ogni stato e grado
del procedimento (quindi anche nelle indagini preliminari) dalla presenza dei genitori, o di altre persone idonee indicate dal minorenne, nonché di gruppi, […] associazioni ed organizzazioni non governative di comprovata esperienza nel settore dell’assistenza e del supporto alle vittime dei reati […] con il
consenso del minorenne, e, ammessi dall’autorità giudiziaria che procede».
Come può rilevarsi da detta disposizione, l’assistenza affettiva del minore richiede, sul piano operativo, circostanze ed indicazioni precise, considerato che, comunque, è subordinata anche al consenso
dello stesso soggetto e che le persone chiamate a dare assistenza affettiva devono essere “ammesse”
dall’autorità che procede, che certamente dovrà valutarne la compatibilità con le esigenze investigative
e probatorie 48.
Per dare contenuto concreto a quanto detto ed attesa l’esigenza di operare concretamente perché le
novità normative indicate possano trovare applicazione adeguata, anche alla luce di quanto previsto
dalla Convenzione di Lanzarote e da quella di Istanbul, è auspicabile che siano emanate precise direttive alla polizia giudiziaria e che siano adottate iniziative organizzative degli uffici inquirenti finalizzate,
da un lato, alla massima protezione del dichiarante minorenne (o, comunque, vulnerabile), dall’altro,
che favoriscono un percorso giudiziario tempestivo e, nello stesso tempo, che assicuri il rispetto dei diritti della difesa.
In questo ambito può essere utile il riferimento ad iniziative concrete che sono orientate in tale direttiva e che, ad una prima valutazione, paiono realizzabili senza eccessive difficoltà.
Ci si riferisce, ad esempio, alla disponibilità effettiva da parte della polizia giudiziaria e della magistratura di un “luogo protetto”, dotato degli strumenti necessari all’ascolto dei minori e delle vittime
particolarmente vulnerabili secondo le modalità richieste anche dalla normativa internazionale 49, da
individuarsi in luogo “idoneo” – come rappresentato ad esempio dal c.d. “Spazio Neutro” – che assicuri il compimento dell’indicato atto e la sua documentazione con strumenti tecnici adeguati.
In tal senso, sono confortanti i dati acquisiti a seguito di una prima esperienza maturata presso un
ufficio inquirente 50 che ha operato nel senso indicato rendendo effettive dette disposizioni attraverso la
di fornire elementi di prova e presentare le loro opinioni, esigenze e preoccupazioni, direttamente o tramite un intermediario, e garantendo che i loro pareri siano esaminati e presi in considerazione […]». In argomento, appare di interesse il principio espresso dalla Corte di Cassazione in una sentenza del 2013 (sez. VI, 13 novembre 2013, n.5132) secondo la quale: «in tema di esame testimoniale del minorenne, il presidente può disporre modalità particolari (nella specie, l’uso di un vetro specchio) ai sensi degli artt. 498, comma quarto bis e 398, comma quinto, cod. proc. pen., non solo nei processi relativi a reati sessuali, ma anche nei casi in cui vi sia richiesta di parte ovvero egli lo ritenga necessario, per evitare che l’esame diretto possa
nuocere alla serenità del minore».
48
In argomento, di interesse, la pronuncia della Corte di Cassazione (sez. III,16 ottobre 2013, n.44448) secondo la quale:
«non comporta alcuna nullità né irregolarità e non è comunque deducibile dall’imputato l’audizione di un teste minorenne
effettuata in presenza della madre anziché di un esperto in psicologia infantile, poiché le norme del c.p.p. che prevedono
l’audizione protetta sono dettate nell’interesse esclusivo del minore e riconoscono al giudice, tenuto conto delle peculiarità
del caso concreto, la facoltà di disporla o meno e di determinare le forme più idonee alla realizzazione di un contesto di
ascolto adeguato all’età del testimone. (Fattispecie relativa all’audizione di un bambino di cinque anni, testimone di un fatto
di violenza sessuale)».
49
È bene ricordare che la Convenzione di Lanzarote anche al riguardo contiene già importanti disposizioni, (analoghe a
quelle recepite successivamente dalla Convenzione di Istanbul) nel già citato art. 35 (note 33 e 42). È anche opportuno ricordare
che la citata Direttiva 2012/29/UE all’articolo 24 richiede agli Stati di provvedere affinché: «nell’ambito delle indagini penali
tutte le audizioni del minore vittima di reato possano essere oggetto di registrazione audiovisiva e tali registrazioni possano essere utilizzate come prova nei procedimenti penali», pur precisando che «le norme procedurali per le registrazioni audiovisive e
la loro utilizzazione sono determinate dal diritto nazionale».
50
Il riferimento è alla esperienza operativa presso la Procura della Repubblica di Roma e riguarda i dati relativi ai minorenni
ascoltati con le modalità protette, come previsto dalla l. n. 172 del 2012 e secondo le disposizioni impartite nelle direttive alla
polizia giudiziaria sopra richiamate. Il primo significativo elemento di valutazione è il numero dei minori ascoltati che, nel volgere di un anno, sono raddoppiati passando da 161 nel 2013 a ben 329 nel 2014. Ancora più rilevanti le seguenti osservazioni. Ci
si riferisce, innanzi tutto, ai tempi dell’ascolto: ben 22 minori nel 2013sono stati ascoltati nello stesso giorno di acquisizione della
notizia di reato, mentre nel 2014 il numero passa a 49. Entro 7 giorni sono stati sentiti, il 1° anno 110 bambini e nel 2° 146. I reati
più frequenti che hanno coinvolto minori sono stati quelli attinenti ad ipotesi di violenza sessuale (passate da 93 casi nel 2013 a
189 nel 2014) ed i maltrattamenti contro familiari e conviventi (44 nel 2013 e 124 nel 2014). Circa il ruolo del minore dichiarante è
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
107
sperimentazione di un maggiore coordinamento, adottando nuovi modelli organizzativi degli uffici
giudiziari per assicurare un più stretto raccordo tra strutture e figure specializzate, sia investigative che
giudiziarie.
In questa prospettiva, si è rivelata di grande efficacia anche la formazione di gruppi specializzati di
magistrati in diverse procure d’Italia, e, soprattutto, l’istituzione (attualmente già operativa presso la
Procura della Repubblica di Roma) di turni di reperibilità (24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno) svolti da magistrati specializzati nei delitti contro la libertà sessuale, la famiglia ed i soggetti vulnerabili, in modo da
assicurare un perfetto e tempestivo raccordo tra la polizia giudiziaria operante sul territorio ed il magistrato inquirente.
A ben vedere, si tratta di un modello organizzativo predisposto per assicurare, anche nell’immediatezza dell’intervento delle forze di polizia operanti sul territorio (ed in specie nella flagranza di reato), che siano assunte determinazioni quanto più appropriate possibili, grazie ad un efficace coordinamento con la magistratura inquirente specializzata.
In tale contesto, gli interventi preventivi e repressivi sono stati resi più efficaci anche dalla istituzione di “referenti” specializzati all’interno delle strutture investigative della polizia giudiziaria, ancora
più rilevanti soprattutto dopo l’entrata in vigore della l. n. 119 del 2013 e alle importanti modifiche processuali sull’arresto obbligatorio per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi ed atti persecutori e alla introduzione della nuova misura precautelare dell’allontanamento urgente dalla casa
familiare (art. 384-bis c.p.p.).
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Appare innegabile come l’assunzione di dichiarazioni dalla persona informata sui fatti, ancora più
se particolarmente vulnerabile e se vittima di reati attinenti alla sfera sessuale ed alla violenza domestica, rivesta una importanza determinante, sia ai fini dello svolgimento delle indagini, che della successiva/eventuale fase del giudizio.
Si dovrà anche convenire che le indicate problematiche assumano un non trascurabile rilievo
considerato che, spesso, le dichiarazioni rese dalle vittime vulnerabili, soprattutto nelle prime fasi
delle indagini, sono fondamentali per orientare utilmente la prosecuzione delle indagini ed impostare correttamente il successivo svolgimento del dibattimento (il primo verbale di informazioni,
spesso redatto ex art. 351 c.p.p., assume non di rado rilevanza probatoria in ragione della possibile
irripetibilità dell’atto).
Conclusivamente si può affermare che il tema dell’assunzione delle dichiarazioni del teste “particolarmente vulnerabile” presenta aspetti di significativa complessità e pone problematiche del tutto specifiche, soprattutto con riferimento alle modalità di conduzione dell’atto e ai tempi da rispettare nello
svolgimento dell’atto medesimo.
Per queste ragioni tra le modalità di assunzione di informazioni da vittime (e testimoni) “vulnerabili” – considerati tali sia in rapporto alla minore età che in ragione di altre caratteristiche individuali o per il loro coinvolgimento in fatti/reati di particolare violenza 51 – devono essere privilegiadi notevole rilievo il fatto che egli è vittima (non semplice testimone) nella maggior parte dei casi, e precisamente: nel 2013 in
118 ascolti (su 161 complessivi) e nel 2014 in 246 (su 329 complessivi). Altro elemento di significativo rilievo è chela maggioranza delle vittime restano le bambine: 113 (su 161 ascolti) il 1° anno e200 il 2° anno (su 329 ascolti). Come occorre anche riflettere
circa il presunto autore del fatto: nel 2013 in 161 ascolti in ben 26 l’indagato era il padre del minore esaminato e nel 2014 su 329
ascolti lo era in 108! Non può non rilevarsi l’inquietante circostanza che nel 2014 circa 1/3 dei procedimenti riguarda ipotesi delittuose intrafamiliari addebitabili al genitore del minore e, se si aggiungo 23 ipotesi a carico della madre del minore, registrati
nello stesso periodo, emerge che in 131 casi (su 329 audizioni protette effettuate) la violenza su minori è riconducibile ad uno
dei genitori. Ulteriore elemento di valutazione è l’età dei minori coinvolti in sede giudiziaria (abbiamo già rilevato in grande
prevalenza come vittime): nel 2013 78 minori (su un totale di 161) avevano meno di 14 anni, nel 2014 sono compresi in detta fascia di età ben 160 bambini (su un totale di 329). Una ultima notazione significativa è il luogo di assunzione delle informazioni
dal minorenne, perché circa la metà degli atti si sono svolti presso la “Sala ascolto protetto C. Caputo” istituita negli uffici della
Procura della Repubblica di Roma, dotata di tutta la strumentazione necessaria ed idonea anche a consentire la video conferenza come richiesta dalle Convenzioni Internazionali.
51
In un’ottica di orientamento, si cita il principio espresso nella Direttiva europea del 2012 al punto n. 56: «Le valutazioni
individuali dovrebbero tenere conto delle caratteristiche personali della vittima, quali età, genere, identità o espressione di ge-
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
108
te quelle più idonee ad assicurare una successiva ed eventuale valutazione ad opera di organi giudicanti 52.
Alla luce di ciò, appare inderogabile la necessità che fin dall’inizio delle attività investigative questa
primaria fonte di informazioni sia cristallizzata con modalità e tecniche adeguate, tenendo a mente la
irrinunciabilità delle pur complesse procedure idonee ad assicurare la protezione delle vittime, da una
parte, e a scongiurare, dall’altra, il pericolo concreto che la eventuale condizione di “particolare vulnerabilità” si trasformi in “vulnerabilità della (successiva) testimonianza”, comprimendo inaccettabilmente sia le garanzie della difesa che lo stesso accertamento della verità.
Per queste ragioni si ritiene che un corretto esercizio dell’azione giudiziaria non possa prescindere da una formazione mirata e integrata 53 di tutti gli operatori coinvolti – forze dell’ordine, magistratura, esperti e avvocatura 54 – e dalla promozione di maggiori occasioni concrete e “spazi” condinere, appartenenza etnica, razza, religione, orientamento sessuale, stato di salute, disabilità, status in materia di soggiorno, difficoltà di comunicazione, relazione con la persona indagata o dipendenza da essa e precedente esperienza di reati. Dovrebbero
altresì tenere conto del tipo o della natura e delle circostanze dei reati, ad esempio se si tratti di reati basati sull’odio, generati da
danni o commessi con la discriminazione quale movente, violenza sessuale, violenza in una relazione stretta, se l’autore del reato godesse di una posizione di autorità, se la residenza della vittima sia in una zona ad elevata criminalità o controllata da
gruppi criminali o se il paese d’origine della vittima non sia lo Stato membro in cui è stato commesso il reato» e l’art. 22 della
stessa Direttiva sulla “valutazione individuale delle vittime per individuarne le specifiche esigenze di protezione”: «1. Gli Stati
membri provvedono affinché le vittime siano tempestivamente oggetto di una valutazione individuale, conformemente alle
procedure nazionali, per individuare le specifiche esigenze di protezione e determinare se e in quale misura trarrebbero beneficio da misure speciali nel corso del procedimento penale […] essendo particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni. 2. La valutazione individuale tiene conto, in particolare, degli elementi seguenti: a) le caratteristiche personali della vittima; b) il tipo o la natura del reato; e c) le circostanze del reato. 3. Nell’ambito della valutazione individuale è rivolta particolare attenzione alle vittime che hanno subito un notevole danno a motivo della gravità del reato, alle vittime di reati motivati da pregiudizio o discriminazione che potrebbero essere correlati in particolare alle loro
caratteristiche personali, alle vittime che si trovano particolarmente esposte per la loro relazione e dipendenza nei confronti
dell’autore del reato. In tal senso, sono oggetto di debita considerazione le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata,
della tratta di esseri umani, della violenza di genere, della violenza nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento
sessuale o dei reati basati sull’odio e le vittime con disabilità. 4. Ai fini della presente direttiva si presume che i minori vittime di
reato abbiano specifiche esigenze di protezione essendo particolarmente esposti al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni. […]. 5. La portata della valutazione individuale può essere adattata secondo la gravità del
reato e il grado di danno apparente subito dalla vittima. 6. La valutazione individuale è effettuata con la stretta partecipazione
della vittima e tiene conto dei suoi desideri […]».
52
Si pensi, ad esempio, al caso in cui il giudice di appello ritenga di dovere procedere ad una nuova valutazione delle
dichiarazioni rese dalla persona minorenne nelle fasi precedenti. È, infatti, evidente che nella sua libera attività valutativa
possa anche pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie nella sentenza impugnata anche apprezzando diversamente una prova dichiarativa già assunta (ancor più nei casi in esame nei quali è fisiologico che il tempo trascorso dai
fatti non renda possibile assumere nuovamente la testimonianza). Ove ricorra tale evenienza, il giudice deve potere rivalutare direttamente l’esame del dichiarante già reso in precedenza e ciò è possibile soltanto se l’atto sia stato videoregistrato, come è opportuno che sia, già in sede di informazioni alla p.g. (ex art. 351, comma 1-ter, c.p.p.) o davanti al
P.M. (ai sensi dell’art. 362 c.p.p.), ovvero in incidente probatorio o nel giudizio di primo grado. Si intende con ciò dire che
una tempestiva assunzione delle informazioni, unita ad una adeguata modalità di ascolto, sono imprescindibili anche per
consentire una valutazione “postuma” della testimonianza: così operando, si limitano i rischi connessi alla sua ripetizione, inaccettabili compressioni del diritto di difesa dell’imputato, nonché il pericolo che possa essere pregiudicato
l’accertamento della verità.
53
All’articolo 18 della Convenzione di Istanbul si fa riferimento, tra l’altro, alla necessità di adottare prassi che «siano basate
su un approccio integrato che prenda in considerazione il rapporto tra vittime, autori, bambini e il loro più ampio contesto sociale».
54
Si veda il principio espresso al punto 61 della Direttiva 2012/29/UE: «È opportuno che i funzionari coinvolti in procedimenti penali che possono entrare in contatto personale con le vittime abbiano accesso e ricevano un’adeguata formazione sia
iniziale che continua, di livello appropriato al tipo di contatto che intrattengono con le vittime, cosicché siano in grado di identificare le vittime e le loro esigenze e occuparsene in modo rispettoso, sensibile, professionale e non discriminatorio. È opportuno
che le persone che possono essere implicate nella valutazione individuale per identificare le esigenze specifiche di protezione
delle vittime e determinare la necessità di speciali misure di protezione ricevano una formazione specifica sulle modalità per
procedere a tale valutazione. Gli Stati membri dovrebbero garantire tale formazione per i servizi di polizia e il personale giudiziario. Parimenti, si dovrebbe promuovere una formazione per gli avvocati, i pubblici ministeri e i giudici e per gli operatori che
forniscono alle vittime sostegno o servizi di giustizia riparativa. Tale obbligo dovrebbe comprendere la formazione sugli specifici servizi di sostegno cui indirizzare le vittime o una specializzazione qualora debbano occuparsi di vittime con esigenze particolari e una formazione specifica in campo psicologico, se del caso […]».
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
109
visi di sensibilizzazione, ricerca e scambio di buone prassi 55 in un’ottica interististuzionale 56 e transdisciplinare 57.
55
Nella Direttiva 2012/29/UE il punto 62 delle considerazioni preliminari recita: «Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare
le organizzazioni della società civile, comprese le organizzazioni non governative riconosciute e attive che lavorano con le vittime di reato, e collaborare strettamente con esse, in particolare per quanto riguarda le iniziative politiche, le campagne di informazione e sensibilizzazione, i programmi nel campo della ricerca e dell’istruzione, e la formazione, nonché la verifica e valutazione dell’impatto delle misure di assistenza e di protezione di tali vittime. Per prestare alle vittime di reato assistenza, sostegno e protezione adeguate è opportuno che i servizi pubblici operino in maniera coordinata e intervengano a tutti i livelli amministrativi: a livello dell’Unione e a livello nazionale, regionale e locale. Le vittime andrebbero assistite individuando le autorità competenti e indirizzandole ad esse al fine di evitare la ripetizione di questa pratica. Gli Stati membri dovrebbero prendere in
considerazione lo sviluppo di «punti unici d’accesso» o «sportelli unici», che si occupino dei molteplici bisogni delle vittime allorché sono coinvolte in un procedimento penale, compreso il bisogno di ricevere informazioni, assistenza, sostegno, protezione
e risarcimento». L’art. 26 (Cooperazione e coordinamento dei servizi) della Direttiva suindicata auspica inoltre che «1. Gli Stati
membri adottano azioni adeguate per facilitare la cooperazione tra Stati membri al fine di migliorare l’accesso delle vittime ai
diritti previsti dalla presente direttiva e dal diritto nazionale. Tale cooperazione persegue almeno i seguenti obiettivi: a) scambio
di migliori prassi; b) consultazione in singoli casi; e c) assistenza alle reti europee che lavorano su questioni direttamente pertinenti per i diritti delle vittime. 2. Gli Stati membri adottano azioni adeguate, anche attraverso internet, intese a sensibilizzare
circa i diritti previsti dalla presente direttiva, riducendo il rischio di vittimizzazione e riducendo al minimo gli effetti negativi
del reato e i rischi di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni, in particolare focalizzandosi sui
gruppi a rischio come i minori, le vittime della violenza di genere e della violenza nelle relazioni strette. Tali azioni possono includere campagne di informazione e sensibilizzazione e programmi di ricerca e di istruzione, se del caso in cooperazione con le
pertinenti organizzazioni della società civile e con altri soggetti interessati».
56
All’art. 15, comma 2, della Convenzione di Istanbul si fa riferimento alla necessità di promuovere «dei corsi di formazione
in materia di cooperazione coordinata inter istituzionale, al fine di consentire una gestione globale e adeguata degli orientamenti da seguire».
57
L’interdisciplinarietà è positiva perché permette a persone che lavorano in campi diversi di dialogare, ma occorrerebbe fare
un ulteriore passo in avanti in direzione della transdisciplinarietà, la sola capace di costruire un pensiero globale in grado di articolare i diversi saperi (E. Morin, Il metodo e la conoscenza, Milano, 2007).
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | LE DICHIARAZIONI DELLE VITTIME VULNERABILI NEI PROCEDIMENTI PENALI