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Attualitˆ AFFARI E CRIMINALITÀ Valtur, vacanze con il boss Un’indagine sul patron del tour operator chiama in causa Messina Denaro. E svela affari milionari. Legati alla mafia DI LIRIO ABBATE A 58 | lE ’ spresso | 8 settembre 2011 grazio», risponde il mafioso al suo boss, «ma vede, ’stu discorso di gruppo, di affollamento, manco a parlarne, io voglio stare per i fatti miei...». L’ex mafioso di Caccamo oggi giura di non averci mai messo piede in un villaggio Valtur, ma racconta come il presidente del gruppo alberghiero, il cavaliere Carmelo Patti, originario di Castelvetrano, fosse «nelle mani di Ciccio Messina Denaro», il vecchio boss trapanese deceduto, padre di Matteo, il latitante numero uno di Cosa nostra. E proprio all’uomo più ricercato alcuni collaboratori di giustizia collegano la Valtur: gli investigatori considerano Mister villaggio turistico il «polmone finanziario» del boss che nel 1993, insieme ai fratelli Graviano, ha messo le bombe a Roma, Milano e Firenze. I magistrati di Palermo due anni fa hanno messo sotto inchiesta il patron della Valtur accusandolo di aiutare il superlatiDA SINISTRA: MATTEO MESSINA DENARO; CARMELO PATTI. IN ALTO: UN VILLAGGIO VALTUR tante. L’indagine è ancora aperta e potrebbe avere nuovi sviluppi. In passato il cavalier Patti ha avuto problemi con la giustizia. I pm di Marsala volevano arrestarlo, ma il gip rigettò la richiesta, per una maxi evasione fiscale collegata ad una delle sue aziende impiantate nel trapanese. Ed è stato assolto anche nel processo per associazione per delinquere. Con lui sul banco degli imputati sedeva il cognato di Matteo Messina Denaro, il commercialista Michele Alagna, anche lui assolto in appello. Si direbbe che il cavaliere abbia una predilezione per la famiglia del capomafia trapanese. Rapporto ricambiato, tanto che gli inquirenti sostengono che il boss è intervenuto personalmente per «facilitare» un affare che la Valtur ha concluso alcuni anni fa nel trapanese. E se dunque Provenzano ha riferito a Giuffrè di avere «in pugno» l’azienda dei villaggi vacanze, gli investigatori sono certi che vi sarebbe un link diretto tra il la- titante «e la famiglia di Carmelo Patti». «Tra i due», scrivono i pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo nel capo d’accusa al patron della Valtur, «esistono a prescindere dagli esiti processuali, noti, pregressi rapporti, mediati anche da Michele Alagna, fratello di Franca, madre dell’unica figlia certa del latitante». Le fortune economiche di Messina Denaro sono da sempre un rompicapo per gli investigatori che danno la caccia al suo tesoro. Negli ultimi anni sono stati sequestrati due gruppi di imprese dei trasporti e del settore alimentare, con bilanci a nove zeri: beni che sarebbero frutto degli investimenti del ricercato numero uno. Già nel 2002 gli specialisti dell’antimafia che si occupano della lotta al riciclaggio avevano segnalato i capitali della Valtur nel settore «ad alto rischio di infiltrazioni mafiose». Dai documenti riservati che “l’Espresso” ha potuto visionare emerge «una sperequazione economica fra i beni riconducibili a Carmelo Patti e il suo reddito». Per gli investigatori il grande volume d’affari gestito dal cavaliere e il patrimonio accumulato «non sono giustificati». Fino al 1997 la Valtur era l’eccezione alla regola dello Stato sprecone. L’impresa turistica fondata dalla Cassa del Mezzogiorno era in utile e tutti la volevano acquistare, dagli Agnelli al Club Med. A Il mistero del pizzino ritrovato Foto: S. Oliviero - Imagoeconomica, Olycom, M. D’ottavio lla fine degli anni Novanta Bernardo Provenzano è latitante nelle campagne del palermitano, l’estate è appena iniziata e i mafiosi pensano alle vacanze. Sì, anche i boss devono portare al mare o ai monti mogli e figli, scegliendo luoghi sicuri. Soprattutto nel periodo in cui i latitanti, inseguiti dagli investigatori, erano una schiera numerosa. Ad esempio, il vecchio padrino corleonese se ne sta rintanato in una villetta in compagnia di Nino Giuffré, capomafia di Caccamo. I due, al riparo dall’afa, parlano dell’organizzazione di Cosa nostra e di come gli uomini chiave si siano spostati per le ferie. Giuffrè inizia a elencare i nomi dei “colonnelli” e i posti che hanno scelto per svagarsi. Poi si sofferma su un latitante e rivela a Provenzano che si trova in un villaggio Valtur a Finale di Pollina, al confine fra la provincia di Palermo e Messina. Con il ricercato c’è pure un altro mafioso. Il luogo che hanno scelto è di rara bellezza: uno struttura alberghiera a picco sul mare con una vista unica. Ma Giuffrè è un mafioso all’antica e non ama quei club con animazione, discoteca e piscina: per questo si lascia andare ad apprezzamenti poco lusinghieri sulla scelta che i due mafiosi hanno fatto. Finché a sorpresa Provenzano, come “l’Espresso” è in grado di rivelare, prende la difesa dei villaggi vacanze: «Che problema c’è?», chiede il padrino. E aggiunge: «Se ci vuoi andare non ti devi fare problemi perché ’stu discorso della Valtur lo abbiamo noi nelle mani». Giuffrè è stupito: non sapeva che Cosa nostra avesse legami anche con uno dei principali operatori turistici italiani. «Vi rin- Gli interessi economici della mafia incrociano spesso quelli degli operatori turistici. Cosa nostra non si lascia sfuggire un campo in cui si può riciclare denaro sporco, tentando di aggredire chi ha il coraggio di voltare le spalle ai boss. Resta ancora oggi un mistero, a distanza di 18 anni, il contenuto di un “pizzino” trovato in tasca a Salvatore Biondino, il capomafia di San Lorenzo arrestato insieme a Totò Riina il 15 gennaio 1993. Il biglietto finora inedito, di cui “l’Espresso” è entrato in possesso, riguarda un altro tour operator che insieme alla Valtur è fra i principali in Italia, e numero uno in Sicilia: Aeroviaggi, fondata nel 1973 da Antonio Mangia, che ancora oggi ne è presidente, con soci i figli e la moglie. Sul biglietto è scritto: «Sig. Mangia - Aeroviaggi - fornitura pesce (Sciaccamare)». In alto a destra, in corsivo, compare la parola «nostro». Sul riferimento a Aeroviaggi ora è difficile fare un’analisi. Potrebbe essere un’imposizione della mafia per la fornitura di pesce alle strutture turistiche di Sciacca gestite da Mangia. O una vittima delle estorsioni? Non si sa. Di fatto Biondino camminava con in tasca questo appunto, e fino adesso nessuno ha delegato indagini sul punto. L. A. comprare, invece, fu la Fin Cab, una finanziaria di Carmelo Patti. Quattro anni dopo lo Stato, attraverso Sviluppo Italia, svende la sua partecipazione residua in Valtur che era del 30 per cento. Eppure, nel 1997, quando i Patti sono entrati nella compagnia rilevando la quota del San Paolo di Torino per 304 miliardi di lire, la società era in utile. Il padre e padrone del gruppo, Carmelo Patti, sembrava la persona giusta per far decollare la società. Originario di Castelvetrano, in provincia di Trapani, emigrato a Robbio (Pavia) negli anni Sessanta, agli inizi operaio alla Philco, il cavaliere Patti è stato uno dei principali fornitori di componentistica elettronica della Fiat e oggi guida un impero costituito da circa 40 società che fatturano centinaia di milioni di euro. La gestione di questo gruppo si confonde spesso tra famiglia e impresa. Dalle grandi scelte, come quella di piazzare la figlia Maria Concetta alla guida dell’azienda, e gli altri due rampolli Giovanni e Paola nel consiglio di amministrazione, fino alle piccole operazioni, come far acquistare ai villaggi l’olio extravergine d’oliva di famiglia a un prezzo doppio rispetto a quello dei vecchi fornitori o di inserire fra i sindaci del gruppo il cognato di Messina Denaro. Oggi la Valtur è un colosso alberghiero che gestisce in Italia quasi 10 mila posti letto mentre in Sicilia e Puglia sono in costruzione strutture che ne accoglieranno altri 5 mila. Con il contributo di Stato e Regione nel trapanese sarà inaugurato, su un’area di 31 ettari, un nuovo complesso. Non solo. Valtur ha firmato un contratto di programma con il ministero per lo Sviluppo economico che prevede anche la nascita di altre due strutture sempre in Sicilia. L’investimento complessivo è di oltre 100 milioni di euro, di cui 22 a carico dello Stato e circa 9 per la Regione. Nel 2009 i ricavi sono stati in crescita ed hanno raggiunto la somma di 215 milioni di euro. Conoscendo l’interesse dei boss per i grandi investimenti, Messina Denaro non starà a guardare. ■ 8 settembre 2011 | lE ’ spresso | 59