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Attualitˆ AFFARI E CRIMINALITÀ
Valtur, vacanze
con il boss
Un’indagine sul patron del tour operator chiama in causa
Messina Denaro. E svela affari milionari. Legati alla mafia
DI LIRIO ABBATE
A
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’ spresso | 8 settembre 2011
grazio», risponde il mafioso al suo boss,
«ma vede, ’stu discorso di gruppo, di affollamento, manco a parlarne, io voglio
stare per i fatti miei...».
L’ex mafioso di Caccamo oggi giura di
non averci mai messo piede in un villaggio Valtur, ma racconta come il presidente del gruppo alberghiero, il cavaliere Carmelo Patti, originario di Castelvetrano, fosse «nelle mani di Ciccio Messina Denaro», il vecchio boss trapanese
deceduto, padre di Matteo, il latitante
numero uno di Cosa nostra. E proprio
all’uomo più ricercato alcuni collaboratori di giustizia collegano la Valtur: gli
investigatori considerano Mister villaggio turistico il «polmone finanziario»
del boss che nel 1993, insieme ai fratelli Graviano, ha messo le bombe a Roma,
Milano e Firenze.
I magistrati di Palermo due anni fa hanno messo sotto inchiesta il patron della
Valtur accusandolo di aiutare il superlatiDA SINISTRA: MATTEO MESSINA DENARO;
CARMELO PATTI. IN ALTO: UN VILLAGGIO VALTUR
tante. L’indagine è ancora
aperta e potrebbe avere
nuovi sviluppi. In passato il cavalier Patti ha avuto problemi con la giustizia. I pm di Marsala volevano arrestarlo, ma il
gip rigettò la richiesta, per una maxi evasione fiscale collegata ad una delle sue
aziende impiantate nel trapanese. Ed è
stato assolto anche nel processo per associazione per delinquere. Con lui sul
banco degli imputati sedeva il cognato di
Matteo Messina Denaro, il commercialista Michele Alagna, anche lui assolto in
appello. Si direbbe che il cavaliere abbia
una predilezione per la famiglia del capomafia trapanese. Rapporto ricambiato, tanto che gli inquirenti sostengono
che il boss è intervenuto personalmente
per «facilitare» un affare che la Valtur ha
concluso alcuni anni fa nel trapanese. E
se dunque Provenzano ha riferito a Giuffrè di avere «in pugno» l’azienda dei villaggi vacanze, gli investigatori sono certi che vi sarebbe un link diretto tra il la-
titante «e la famiglia di Carmelo Patti».
«Tra i due», scrivono i pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo nel
capo d’accusa al patron della Valtur,
«esistono a prescindere dagli esiti processuali, noti, pregressi rapporti, mediati anche da Michele Alagna, fratello di
Franca, madre dell’unica figlia certa del
latitante».
Le fortune economiche di Messina Denaro sono da sempre un rompicapo per
gli investigatori che danno la caccia al suo
tesoro. Negli ultimi anni sono stati sequestrati due gruppi di imprese dei trasporti
e del settore alimentare, con bilanci a nove zeri: beni che sarebbero frutto degli investimenti del ricercato numero uno.
Già nel 2002 gli specialisti dell’antimafia che si occupano della lotta al riciclaggio avevano segnalato i capitali della Valtur nel settore «ad alto rischio di infiltrazioni mafiose». Dai documenti riservati che “l’Espresso” ha potuto visionare emerge «una sperequazione economica fra i beni riconducibili a Carmelo
Patti e il suo reddito». Per gli investigatori il grande volume d’affari gestito dal
cavaliere e il patrimonio accumulato
«non sono giustificati».
Fino al 1997 la Valtur era l’eccezione
alla regola dello Stato sprecone. L’impresa turistica fondata dalla Cassa del Mezzogiorno era in utile e tutti la volevano
acquistare, dagli Agnelli al Club Med. A
Il mistero del pizzino ritrovato
Foto: S. Oliviero - Imagoeconomica, Olycom, M. D’ottavio
lla fine degli anni Novanta
Bernardo Provenzano è latitante nelle campagne del palermitano, l’estate è appena
iniziata e i mafiosi pensano
alle vacanze. Sì, anche i boss devono
portare al mare o ai monti mogli e figli,
scegliendo luoghi sicuri. Soprattutto nel
periodo in cui i latitanti, inseguiti dagli
investigatori, erano una schiera numerosa. Ad esempio, il vecchio padrino
corleonese se ne sta rintanato in una villetta in compagnia di Nino Giuffré, capomafia di Caccamo. I due, al riparo
dall’afa, parlano dell’organizzazione di
Cosa nostra e di come gli uomini chiave
si siano spostati per le ferie. Giuffrè inizia a elencare i nomi dei “colonnelli” e i
posti che hanno scelto per svagarsi. Poi
si sofferma su un latitante e rivela a Provenzano che si trova in un villaggio Valtur a Finale di Pollina, al confine fra la
provincia di Palermo e Messina.
Con il ricercato c’è pure un altro mafioso. Il luogo che hanno scelto è di rara
bellezza: uno struttura alberghiera a picco sul mare con una vista unica. Ma
Giuffrè è un mafioso all’antica e non
ama quei club con animazione, discoteca e piscina: per questo si lascia andare
ad apprezzamenti poco lusinghieri sulla
scelta che i due mafiosi hanno fatto. Finché a sorpresa Provenzano, come
“l’Espresso” è in grado di rivelare, prende la difesa dei villaggi vacanze: «Che
problema c’è?», chiede il padrino. E aggiunge: «Se ci vuoi andare non ti devi fare problemi perché ’stu discorso della
Valtur lo abbiamo noi nelle mani». Giuffrè è stupito: non sapeva che Cosa nostra
avesse legami anche con uno dei principali operatori turistici italiani. «Vi rin-
Gli interessi economici della mafia
incrociano spesso quelli degli operatori
turistici. Cosa nostra non si lascia
sfuggire un campo in cui si può riciclare
denaro sporco, tentando di aggredire chi
ha il coraggio di voltare le spalle ai boss.
Resta ancora oggi un mistero, a distanza
di 18 anni, il contenuto di un “pizzino”
trovato in tasca a Salvatore Biondino,
il capomafia di San Lorenzo arrestato
insieme a Totò Riina il 15 gennaio 1993.
Il biglietto finora inedito, di cui
“l’Espresso” è entrato in possesso,
riguarda un altro tour operator che
insieme alla Valtur è fra i principali in
Italia, e numero uno in Sicilia: Aeroviaggi,
fondata nel 1973 da Antonio Mangia,
che ancora oggi ne è presidente, con soci
i figli e la moglie. Sul biglietto è scritto:
«Sig. Mangia - Aeroviaggi - fornitura pesce
(Sciaccamare)». In alto a destra,
in corsivo, compare la parola «nostro».
Sul riferimento a Aeroviaggi ora
è difficile fare un’analisi.
Potrebbe essere un’imposizione
della mafia per la fornitura di pesce
alle strutture turistiche di Sciacca gestite
da Mangia. O una vittima delle estorsioni?
Non si sa. Di fatto Biondino camminava
con in tasca questo appunto, e fino
adesso nessuno ha delegato indagini
sul punto.
L. A.
comprare, invece, fu la Fin Cab,
una finanziaria di Carmelo Patti. Quattro anni dopo lo Stato,
attraverso Sviluppo Italia,
svende la sua partecipazione residua in Valtur che era del 30
per cento. Eppure, nel 1997,
quando i Patti sono entrati nella compagnia rilevando la quota del San Paolo di Torino per
304 miliardi di lire, la società
era in utile.
Il padre e padrone del gruppo, Carmelo Patti, sembrava la
persona giusta per far decollare
la società. Originario di Castelvetrano, in provincia di Trapani, emigrato a Robbio (Pavia)
negli anni Sessanta, agli inizi
operaio alla Philco, il cavaliere
Patti è stato uno dei principali
fornitori di componentistica
elettronica della Fiat e oggi guida un impero costituito da circa 40 società che
fatturano centinaia di milioni di euro. La
gestione di questo gruppo si confonde
spesso tra famiglia e impresa. Dalle grandi scelte, come quella di piazzare la figlia
Maria Concetta alla guida dell’azienda,
e gli altri due rampolli Giovanni e Paola
nel consiglio di amministrazione, fino alle piccole operazioni, come far acquistare ai villaggi l’olio extravergine d’oliva di
famiglia a un prezzo doppio rispetto a
quello dei vecchi fornitori o di inserire
fra i sindaci del gruppo il cognato di
Messina Denaro.
Oggi la Valtur è un colosso alberghiero che gestisce in Italia quasi 10 mila posti letto mentre in Sicilia e Puglia sono in
costruzione strutture che ne accoglieranno altri 5 mila. Con il contributo di
Stato e Regione nel trapanese sarà inaugurato, su un’area di 31 ettari, un nuovo complesso. Non solo. Valtur ha firmato un contratto di programma con il
ministero per lo Sviluppo economico
che prevede anche la nascita di altre due
strutture sempre in Sicilia. L’investimento complessivo è di oltre 100 milioni di
euro, di cui 22 a carico dello Stato e circa 9 per la Regione. Nel 2009 i ricavi sono stati in crescita ed hanno raggiunto
la somma di 215 milioni di euro. Conoscendo l’interesse dei boss per i grandi
investimenti, Messina Denaro non starà
a guardare. ■
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