Volumetto mis. 111 -smallpdf - Distretto Agroenergetico Lombardo

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Volumetto mis. 111 -smallpdf - Distretto Agroenergetico Lombardo
PRESENTAZIONE
Questa pubblicazione è indirizzata agli utenti, perlopiù aziende agricole, interessati alla
valorizzazione delle biomasse residuali e non del settore agricolo-forestale, attraverso la
produzione di addensati di biomasse solide secche idonei per i processi termochimici
(agripellet) e di biogas (quindi anche di biometano), soprattutto di dimensioni più ridotte di
quelle attuali. La pubblicazione, oltre ad una finalità informativa, ha anche lo scopo di
incoraggiare progetti pilota.
Il settore dell’agripellet costituisce, al momento, una nicchia del mercato ma, se
correttamente guidata, potrebbe svilupparsi in modo considerevole. L’addensamento
consente infatti di trasformare le biomasse residuali agricole e forestali in prodotti dotati di
caratteristiche standard ottenendo, di fatto, un biocombustibile solido per caldaie di medie e
grandi dimensioni: la produzione di agripellet rappresenta pertanto un’opportunità per le
aziende del settore rurale. Agli attuali costi dell’energia, inoltre, lo sviluppo dell’agripellet non
richiede necessariamente degli incentivi.
Il settore del biogas, dopo il forte sviluppo negli ultimi anni, è entrato ormai in una fase di
maturità. La sua ulteriore espansione deve quindi convivere con i premi sempre più ridotti
riservati alle energie rinnovabili e con una probabile riduzione delle dimensioni degli impianti,
almeno nel settore agricolo. Un problema ulteriore è la verifica della capacità del settore, nel
medio-lungo termine, di competere con i combustibili fossili ed in particolare con il gas di
rete.
I dati e le informazioni contenute nel documento derivano per gran parte dalle esperienze
maturate dal Comitato Termotecnico Italiano (CTI) nell’ambito del progetto europeo
MixBiopells e dal Laboratorio Biomasse del Dipartimento D3A dell’Università Politecnica
delle Marche (UNIVPM). La parte della pubblicazione che riguarda l’agripellet è stata redatta
dal prof. Giuseppe Toscano (UNIVPM); la parte su biogas e biometano è stata curata dalla
dott.ssa Carla de Carolis (UNIVPM) e dall’Ufficio Centrale del CTI.
Il Presidente del DAEL
SOMMARIO
AGRIPELLET .......................................................................................... 1
1.1
Agripellet in pillole .................................................................................................. 2
1.2
Introduzione ........................................................................................................... 3
1.3
La filiera dell'Agripellet ........................................................................................... 4
1.3.1
Proprietà e produzione delle materie prime .........................................................4
1.3.2
Standard del biocombustibile ..............................................................................7
1.3.3
Tecnologie di pellettizzazione..............................................................................9
1.3.4
Produzioni non energetiche dei cantieri mobili ..................................................14
1.3.5
Tecnologie di combustione e limiti delle emissioni.............................................15
1.4
Valutazioni economiche ........................................................................................17
BIOGAS E BIOMETANO....................................................................... 23
2.1
Biogas e Biometano in pillole ................................................................................24
2.2
Sviluppo del settore ..............................................................................................25
2.3
I sottoprodotti e l'attuale sistema di incentivazione ................................................27
2.4
La digestione anaerobica e le prospettive tecnologiche ........................................32
2.4.1
Richiami sul processo di digestione anaerobica e sugli schemi impiantistici......32
2.4.2
Biomasse utilizzabili e relative rese ...................................................................34
2.5
Prospettive di crescita per la filiera del biogas di piccola taglia e per la produzione
di biometano .....................................................................................................................37
2.6
Biogas e Biomasse - procedure ............................................................................38
2.6.1
Produzione di elettricità con o senza cogenerazione .........................................39
2.6.2
Comunicazione al Comune ...............................................................................39
2.6.3
Procedura abilitativa semplificata (PAS) ............................................................39
2.6.4
Autorizzazione unica .........................................................................................40
2.6.5
Procedure riviste dalla regione Lombardia ........................................................41
2.6.6
Accesso agli incentivi per i nuovi impianti (DM 6.7.2012) ..................................41
2.7
Produzione di energia termica...............................................................................42
2.7.1
Autorizzazioni ed esercizio ................................................................................42
2.7.2
Incentivi.............................................................................................................42
1.1
Agripellet in pillole
Che cos’è?
E’ biomassa vegetale residuale compattata
Sostituisce il pellet di legno?
In linea di principio no. Il pellet di legno è idoneo per i piccoli apparecchi di combustione,
l’agripellet è idoneo per impianti medio-grandi ed è alternativo o integrativo al cippato.
Che vantaggi offre?
Ha caratteristiche standard (ciò tuttavia dipende dal materiale di partenza). Si presta per
lo sviluppo di un mercato dei combustibili solidi. Presenta un’elevata densità energetica
(fino a 4 volte quella del cippato di legno). Indicativamente 1 kg di agripellet sostituisce 2
kg di cippato. E’ stoccabile, facilmente gestibile e trasportabile. E’ economico quindi
competitivo sia con i combustibili fossili che con i biocombustibili tradizionali. I progetti non
devono essere necessariamente incentivati.
Gli svantaggi?
Il tenore di ceneri è generalmente superiore all’1-2% e di questo va tenuto conto così
come della possibile minore temperatura di fusione (specie se l’agripellet è stato ottenuto
da residui agricoli non legnosi).
Quali le migliori applicazioni?
Utenze termiche rurali. Caldaie di media ed elevata potenza.
Impianti di teleriscaldamento (soprattutto come combustibile di soccorso).
Perche non si è sviluppato fino ad ora?
Probabilmente perché non è ancora pienamente avviato un mercato maturo della biomassa
di qualità ma già sussistono le condizioni produttive, la disponibilità di materia prima e le
soluzioni tecniche per il suo sviluppo.
Sono senz’altro necessari anche degli accordi tra potenziali produttori e consumatori.
2
1.2
Introduzione
La produzione di agripellet è ottenuta attraverso una lavorazione di tipo esclusivamente
fisico-meccanico delle biomasse. Il riferimento normativo e legislativo a cui questo prodotto è
soggetto riguarda gli aspetti autorizzativi e l’eventuale forma di incentivazione che dipende
dal tipo e dall'origine della biomassa grezza utilizzata per la sua produzione.
Il quadro normativo relativo alle biomasse utilizzabili come combustibili è costituito dal
Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”. In particolare,
l’allegato X - Parte II - Sezione 4 di tale decreto definisce la tipologia di provenienza delle
biomasse combustibili e le condizioni di utilizzo:
-
-
materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate;
materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni
agricole non dedicate;
materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e
da potatura;
materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di legno
vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno
vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine,
tondelli, non contaminati da inquinanti, aventi le caratteristiche previste per la
commercializzazione e l’impiego;
materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di prodotti
agricoli;
sansa di oliva disoleata;
liquor nero ottenuto nelle cartiere.
La conversione energetica di tali biomasse, cita il decreto, può essere effettuata per
combustione diretta ovvero previa pirolisi o gassificazione.
Le incentivazioni relative all’agripellet ricadono nell’ambito del DM 6 luglio 2012 per la
produzione di energia elettrica e nell'ambito del DM 28 dicembre 2012 per gli incentivi alla
produzione di energia termica.
Il DM 6 luglio 2012 individua per ciascuna fonte, tipologia di impianto e classe di potenza, il
valore delle tariffe incentivanti base di riferimento per gli impianti che entrano in esercizio nel
2013. Il decreto elenca tutte le biomasse utilizzabili negli impianti termici ai fini dell’accesso
ai meccanismi di incentivazione. In particolare, un elenco è riferito esclusivamente ai
sottoprodotti dell’industria agricola, forestale, zootecnica ed agroalimentare; un secondo
elenco si riferisce a colture di campo di origine erbacea, annuali e poliennali, e a specie di
tipo arboreo.
Il DM 28 dicembre 2012 definisce le modalità di incentivazione per interventi di incremento
dell’efficienza energetica e di produzione di energia termica da fonti rinnovabili. Sono
incentivabili la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale o di riscaldamento delle
serre esistenti e dei fabbricati rurali esistenti con impianti di climatizzazione invernale dotati
di generatore di calore alimentato da biomassa. In particolare, l’allegato II definisce i criteri di
3
ammissibilità all’incentivo. Tra le condizioni per accedere all’incentivo, definite nell’allegato II
al paragrafo 1.2 “Generatori di calore alimentati a biomasse”, si richiede l’utilizzo di pellet
conforme alla norma UNI EN 14961-2 classe A1 oppure A2 (la conformità deve essere
attestata da un organismo accreditato). Da questo punto di vista, la tipologia di biomasse di
potenziale interesse per la produzione di agripellet normalmente presenta caratteristiche
qualitative tali da non rientrare nei limiti stabiliti dalle norme, a differenza di alcune tipologie
di pellet di legno senza corteccia, e questo aspetto va sicuramente chiarito dal legislatore.
Comunque la fattibilità dell’utilizzo dell’agripellet non richiede, almeno per la produzione di
calore, necessariamente una incentivazione e ciò costituisce un grande vantaggio.
1.3
La filiera dell'Agripellet
1.3.1 Proprietà e produzione delle materie prime
Le biomasse di potenziale interesse per la produzione di agripellet sono materie prime di
origine vegetale, prevalentemente di tipo ligno-cellulosico, provenienti sia da colture
energetiche dedicate, sia da residui di campo delle colture agricole sia, infine, dalle prime
lavorazioni della loro trasformazione industriale. Il processo di pellettizzazione conferisce a
queste biomasse una più elevata omogeneità e caratteristiche più standardizzabili,
condizioni che consentono di definire una specifica di prodotto.
L’agripellet presenta una serie di vantaggi rispetto alla biomassa grezza di origine. In
particolare:
- elevata densità energetica: la pellettizzazione determina un notevole incremento della
massa volumica della biomassa. Ciò permette di superare uno degli aspetti più critici
attribuiti alle biomasse solide e riguardante la limitata densità energetica (Figura 1).
La maggiore concentrazione energetica dell’agripellet rende molto più efficienti le fasi
di trasporto della biomassa ed agevola lo stoccaggio della stessa, riducendo i volumi
occupati dal materiale. In generale, genera ricadute positive per i diversi aspetti di
carattere tecnico, economico, energetico ed ambientale della produzione;
- stabilità dello stoccaggio: l’agripellet presenta bassi contenuti di umidità, normalmente
inferiore al 10% sul prodotto tal quale. In questa condizione è possibile conservare il
prodotto per lunghi periodi, eliminando il rischio di degradazione della componente
organica della biomassa da parte di agenti microbici e la conseguente perdita
energetica. Questo aspetto offre maggiori possibilità operative nell’uso della
biomassa la quale, in forma di agripellet, può essere meglio gestita nel tempo, prima
di essere immessa sul mercato o utilizzata negli impianti termici;
- efficienza di combustione: le caratteristiche geometriche dell’agripellet, piccole
dimensioni, granulometria omogenea e forme cilindriche regolari, unite alle ottime
proprietà energetiche derivanti anche dal basso contenuto di umidità del materiale,
sono caratteristiche che favoriscono la gestione efficiente della combustione negli
impianti termici. Il prodotto è ottimizzato per essere alimentato nei bruciatori mediante
sistemi modulabili (es. sistemi a coclea) che permettono una regolazione fine della
combustione. Tale condizione è basilare per favorire l’efficienza energetica dei
4
sistemi e per contenere l’impatto ambientale riducendo la produzione di polveri o gas
inquinanti.
Figura 1 - Effetto della pellettizzazione sul contenuto di umidità e sulla densità energetica di biomasse grezze
rispetto ai rispettivi pellet.
La natura ligno-cellulosica delle biomasse considerate nella produzione dell’agripellet
conferisce al prodotto proprietà energetiche simili a quelle di un comune pellet di legno di
origine forestale. Nella Tabella 1 vengono riportati alcuni valori orientativi di potere calorifico
inferiore, uno dei parametri di riferimento per stabilire il valore economico della biomassa.
Tabella 1: valori orientativi di potere calorifico inferiore di alcune biomasse di interesse nella produzione
di agripellet (fonte: Laboratorio Biomasse – Università Politecnica delle Marche).
PCI
Biomassa
(MJ/kg s.s.)
Arundo donax
17,2 - 17,6
Stocchi girasole
15,5 - 16,2
Stocchi mais
16,6 - 17,4
Paglia
15,8 - 16,5
Miscanthus
17,6 - 18,0
Panello di girasole
20,5 - 21,5
Panello di colza
20,8 -21,4
Paglia brassica
16,9 -17,4
Potatura vite
17,5 - 18,4
Potatura frutteti
17,7 - 18,6
Sorgo da fibra
16,3 - 16,8
Sansa esausta
17,4 - 18,0
Vinacce
20,0 - 20,7
Relativamente alle altre proprietà fisiche e chimiche, considerate fondamentali per definire la
qualità delle biomasse solide, l’agripellet presenta differenze significative rispetto al legno
5
vergine che devono essere considerate nella progettazione o nella scelta della tipologia di
impianto termico da utilizzare.
In genere, i valori di questi parametri risultano variabili e ciò può dipendere da una serie di
fattori:
-
-
-
dal tipo di biomassa considerata nella produzione di agripellet: le differenze tra le
biomasse possono essere condizionate dalla diversa composizione della frazione
organica in emicellulosa, cellulosa, lignina e composti organici specifici delle diverse
biomasse (es. resine, oli, ecc.); a ciò si aggiunge anche la variabilità della frazione
inorganica che costituisce le ceneri. In questi termini, possono essere evidenziate
forti differenze tra le proprietà delle biomasse legnose rispetto a quelle delle
biomasse erbacee;
dalla variabilità intra-materiale: diversi fattori possono condizionare le caratteristiche
di una stessa tipologia di biomassa. Ad esempio: l’età della pianta, le condizioni
ambientali di crescita (caratteristiche del terreno, clima, ecc.), la parte di pianta
interessata e le dimensioni (es. diametro del ramo);
dalle condizioni di approvvigionamento della materia prima: in particolare, le diverse
condizioni di raccolta e di stoccaggio possono determinare importanti variazioni nelle
caratteristiche delle biomasse. Durante la fase di raccolta e movimentazione la
biomassa può venire in contatto con inerti o con il terreno (zolle e sassi). Ciò può
accadere anche in fase di stoccaggio durante il quale, a seconda delle condizioni
ambientali, il prodotto può subire dei fenomeni degradativi a carico della frazione
organica e modificare le proprie caratteristiche.
Tabella 2 - Proprietà di alcune biomasse di interesse per la produzione di agripellet (fonte: Laboratorio
Biomasse - Università Politecnica delle Marche).
Biomassa
Ceneri
Azoto
Cloro
Zolfo
(% s.s.)
(% s.s.)
(% s.s.)
(% s.s.)
Arundo donax
4 - 4,6
0,8 - 1,0
0,07 - 0,09
0,03 - 0,05
Stocchi girasole
6 - 10
0,5 - 0,9
0,2-0,3
0,04 - 0,1
Stocchi mais
6-8
0,6 - 0,9
0,2-0,3
0,03 - 0,12
Paglia
6 - 10
0,5 - 1,1
0,2 - 1
0,05 - 0,2
6,5 - 8,0
0,5 - 0,6
0,5 - 0,6
0,4 - 0,6
4-5
0,8 - 0,9
0,02 – 0,05
0,01-0,02
Panello di colza
4,5 - 6
4,5 - 5
0,12 - 0,15
0,02 - 0,04
Paglia brassica
6-7
5 - 5,5
0,04 - 0,06
0,02 - 0,03
3,4 - 4,5
0,4 - 0,8
0,05 - 0,09
0,01 - 0,06
Potatura frutteti
3-6
0,5 - 1,0
0,02 - 0,07
0,01 - 0,08
Sorgo da fibra
8 - 8,5
1,1 - 1,4
0,5 – 0,6
0,04 – 0,06
Sansa esausta
8 - 11
1,2 - 1,3
0,1 - 0,14
0,05 - 0,06
Vinacce
7-9
2,5 - 3
0,02 - 0,04
0,1 - 0,15
Miscanthus
Panello di girasole
Potatura vite
Nella tabella 2 vengono riportati alcuni valori dei principali parametri chimico-fisici delle più
diffuse biomasse di interesse per la produzione di agripellet. Considerando quanto detto
circa la variabilità dei materiali, i dati sono di carattere orientativo.
6
La scelta delle tipologie di biomasse da considerare nella produzione di agripellet si basa,
oltre che su elementi di carattere qualitativo, anche su aspetti inerenti le potenzialità
produttive delle piante, nel caso di coltura energetica, o della disponibilità di prodotto
residuale di campo o di lavorazione industriale. Tali valutazioni, che condizionano
sensibilmente gli aspetti economici della filiera, dipendono dal tipo di biomassa considerata e
variano in misura significativa anche nell’ambito della stessa materia prima.
Tabella 3 - Valori indicativi di produttività di alcune biomasse di interesse per la produzione di agripellet.
Produttività
t/ha s.s.
Classificazione
Riferimenti bibliografici
35
Coltura dedicata
ENAMA - Caratteristiche tecniche delle biomasse e dei
biocombustibili
4,7 – 6,0
Sottoprodotto
Progetto Extravalore
Stocchi mais
4
Sottoprodotto
Giovanni Candolo - Energia dalle biomasse residuali: le
opportunità per le aziende agricole, Agronomica 4/2006.
Paglia
2
Sottoprodotto
ENAMA - Caratteristiche tecniche delle biomasse e dei
biocombustibili
15 - 30
Coltura dedicata
4-5
Sottoprodotto
Progetto Fisica - Filiera Siciliana per l’Agrienergia
1,5
Sottoprodotto
MixBioPells - Intelligent Energy Europe
Potatura frutteti
1 - 1,5
Sottoprodotto
ENAMA - Caratteristiche tecniche delle biomasse e dei
biocombustibili
Sorgo da fibra
20 - 35
Coltura dedicata
Assirelli - Nuova falciacondizionatrice ad hoc per sorgo
da fibra, Informatore Agrario 5/2009
Biomassa
Arundo donax
Stocchi girasole
Miscanthus
Paglia brassica
Potatura vite
Progetto Biocolt - Veneto agricoltura
1.3.2 Standard del biocombustibile
L’introduzione della standardizzazione nel settore delle biomasse ad uso energetico
rappresenta uno dei passaggi chiave per favorire la diffusione di questi prodotti energetici e
per garantire lo sviluppo del mercato dei biocombustibili. Con questo ultimo termine si
intendono i prodotti energetici di origine biogenica che, attraverso la misura di proprietà
fisiche e chimiche standardizzate, vengono classificati in base al livello di qualità. L’insieme
delle informazioni che definiscono le proprietà del prodotto sono racchiuse in un documento
che prende il nome di specifica tecnica.
Allo stato attuale sono disponibili alcune specifiche di prodotto per i pellet prodotti a partire
da biomasse solide. In particolare: la UNI EN 14961-2 “Pellet di legno per usi non industriali”
e la UNI EN 14961-6 “Pellet non legnoso per usi non industriali”. L’origine e la provenienza
delle materie prime che possono entrare nella produzione di un agripellet riguarda sia
materiale di tipo legnoso che prodotti non legnosi.
Pertanto, entrambe le normative citate, che si riferiscono all’utilizzo di tipo non industriale,
sono di interesse per la produzione degli agripellet. La prima delle due norme è già diffusa
nel settore del pellet di legno prodotto da piante forestali (conifere e latifoglie). Nell’ambito di
questo documento vengono specificate le proprietà del pellet anche per le biomasse legnose
derivanti dal settore agricolo quali le potature di vite, di olivo ed in generale di tutte le
arboree. Il secondo documento riguarda specificatamente il pellet prodotto con biomasse
7
erbacee o derivanti da semi e frutti e, più in generale, con miscele delle diverse classi di
biomasse.
Figura 2 - Agripellet prodotti con le potature di vite (sinistra) e confronto con il cippato di potature (destra).
Nelle tabelle 4 e 5 sono riportati, per entrambe le normative, i valori di alcune delle proprietà
con le quali vengono definite le classi di qualità del pellet. I valori limite adottati dallo
standard sono stati definiti basandosi fondamentalmente sulle caratteristiche delle biomasse
legnose di origine forestale (legni di conifere e latifoglie). Pertanto, le biomasse legnose
derivanti da piante arboree, come le potature di vite ed in generale di alberi da frutto, avendo
caratteristiche diverse ed inferiori rispetto al legno di piante forestali, non riescono a rientrare
in tali limiti. Una delle proprietà fisiche più critiche è rappresentata dal contenuto in ceneri il
quale, anche nella classe di qualità inferiore (UNI EN 14961-2, classe B), prevede un valore
limite del 3% su sostanza secca, di fatto più basso del contenuto in ceneri normalmente
presente nel legno di piante arboree.
Tabella 4 - Principali caratteristiche della norma UNI EN 14961-2 Pellet di legno per usi non industriali.
Classi di pellet
A1
Legno senza corteccia,
residui non trattati
chimicamente
dell'industria legno
Diametro (D)
Lunghezza (L) (mm)
A2
B
Legno scortecciato, tronchi
interi senza radice,
cortecce, residui non trattati
chimicamente dell'industria
legno
Legni forestale e legni
vergini in generale,
sottoprodotti dell'industria del
legno, legno usato
D = 6 o 8 mm - L = 3,15 - 40 mm
Umidità (% in peso su
t.q.)
< 10%
Contenuto in ceneri (%
in peso su t.q.)
< 0,7
< 1,5
< 3,0
Potere
calorifico
inferiore (MJ/kg su t.q.)
16,5 - 19
16,3 - 19
16,0 - 19
Azoto (% in peso su
s.s.)
< 0,3
< 0,5
< 1,0
Zolfo (% in peso su s.s.)
< 0,03
< 0,03
< 0,04
Cloro (% in peso sul
s.s.)
< 0,02
< 0,02
< 0,03
8
Tabella 5 - Principali caratteristiche della norma UNI EN 14961-2 Pellet non legnoso per usi non
industriali.
Classi di pellet
Paglia
cereali
Biomasse di partenza
Paglia
Diametro (D) Lunghezza (L) (mm)
Miscanthus
Reed canary
Grass
Erbaceo pianta intera
A
B
Biomasse erbacee, frutti
e semi, miscele e
miscugli
D = 6 - 10 e L = 3,15 - 40 ; D = 12- 25 e L = 3,15 - 50
Umidità (% in peso su t.q.)
< 10
< 12
< 12
< 15
Contenuto in ceneri (% in peso su t.q.)
< 6,0 oppure
se > 6,0 da
indicare
< 6,0
< 8,0 oppure se
> 8,0 da
indicare
< 5,0
< 10,0
Potere calorifico inferiore (MJ/kg su
t.q.)
Da indicare
Da indicare
> 14,5
> 14,1
> 13,2
Azoto (% in peso su s.s.)
< 0,7
< 0,5
< 2,0
< 1,5
< 2,0
Zolfo (% in peso sul s.s.)
< 0,10
< 0,05
< 0,20
< 0,20
< 0,20
Cloro (% in peso su s.s.)
< 0,10
< 0,08
< 0,10
< 0,2
< 0,3
Tuttavia, è importante sottolineare che il mancato rispetto dei limiti della UNI EN 14961-2
non esclude l’uso energetico di queste biomasse e dei pellet prodotti da esse, ma impedisce
di classificare il prodotto secondo una classe di qualità.
Ad ogni modo è attesa l’emanazione di una nuova serie di normative tecniche rivolte all’uso
industriale del pellet. E’ presumibile che nell’ambito di queste specifiche saranno stabilite
delle classi di qualità definite da valori limite più tolleranti, tali da poter comprendere anche i
prodotti del legno di arboree e di altre biomasse alternative al legno.
1.3.3 Tecnologie di pellettizzazione
La pellettizzazione è un processo meccanico che consiste nella compressione di biomassa,
di opportuna granulometria e contenuto di umidità, normalmente mediante il passaggio
forzato della stessa attraverso fori di diametro e lunghezza opportuni disposti in trafile
metalliche (Figura 3).
Le più diffuse macchine pellettizzatrici esercitano la spinta sulla biomassa, preventivamente
macinata, attraverso dei rulli che ruotano sulla superficie della trafila. Nel corso della
compressione le fibre della biomassa tendono a legarsi tra loro. A causa degli attriti che si
generano tra le pareti dei fori e la biomassa, il sistema si riscalda superando livelli di
temperatura di 110-120°C. In queste condizioni, alcune componenti organiche della
biomassa, in particolare la lignina, tendono ad assumere un comportamento meccanico
meno rigido fino a rammollire, così da assumere un comportamento da legante delle diverse
fibre lignocellulosiche.
9
Figura 3 - Trafila orizzontale con rulli interni (sinistra - Fonte: www.makepellets.com); trafila verticale con fori
riempiti di legno di potature di vite (destra).
A livello industriale la produzione del pellet prevede una serie di passaggi. I principali di
questi vengono descritti di seguito:
-
-
-
-
-
stoccaggio della biomassa grezza: in questa fase i volumi a disposizione giocano un
ruolo importante. La disponibilità di spazi dipende dalla materia prima e dal metodo di
raccolta. Alcune tipologie di biomasse possono essere stoccate in forma di cippato o
rametti di dimensione variabile, oppure raccolte in balle cilindriche o parallelepipede.
Per le biomasse residuali di origine agroindustriale normalmente lo stoccaggio
avviene in forma sfusa;
essiccazione: normalmente la biomassa subisce una fase di essiccazione prima di
poter essere pellettizzata. Il contenuto di umidità della biomassa deve essere
compreso tra il 12 ed il 14%. Tuttavia, delle esperienze su alcuni agroresidui, quali le
potature di vite, hanno evidenziato la possibilità di pellettizzare la biomassa anche in
condizioni di umidità leggermente superiori, comunque dopo aver subito una
stagionatura in campo per un periodo di 1-2 mesi dopo la fase di potatura della
coltura. A livello industriale, la fase di essiccazione normalmente viene eseguita in
essiccatoi, con elevati costi energetici. Nell’ambito delle biomasse agricole, specie
quelle residuali, la sola stagionatura in campo è sufficiente a raggiungere bassi valori
di umidità;
macinatura o granulazione della biomassa: questa fase viene realizzata attraverso un
mulino a coltelli o martelli, consente di ridurre le dimensioni ed omogeneizzare la
biomassa prima di essere inviata al processo di pellettizzazione;
vagliatura e deferrizzazione: la prima operazione consente di controllare la
dimensione della biomassa in ingresso alla pellettizzatrice, mentre la deferrizzazione
elimina l'eventuale presenza di impurità metalliche, potenzialmente dannose per
l’impianto;
cubettatura o pressatura: è l’operazione che determina il compattamento del
macinato di biomassa e la produzione del pellet. Esistono diversi modelli di macchine.
La componente più importante è rappresentata dalla trafila, con fori di diametro
variabile e che tende a ridursi passando dal lato di ingresso della biomassa macinata
al lato di uscita del pellet. In genere, la produzione di pellet è standardizzata su
10
-
-
-
diametri di 6 o 8 mm. La trafila può essere di tipo verticale o orizzontale. Nel primo
caso i rulli che generano la pressione sul materiale ruotano all’interno della trafila,
mentre nel modello orizzontale i rulli ruotano al di sopra di essa. Il prodotto
compresso che esce dal foro incontra un coltello disposto ad una prestabilita distanza
dal foro di uscita, regolata in funzione della lunghezza del pellet desiderata. La scelta
del diametro dei fori della trafila è legata soprattutto al sistema di alimentazione e di
combustione a cui il pellet sarà destinato;
raffreddamento: il pellet in uscita dalla trafila presenta un'elevata temperatura come
conseguenza degli attriti interni che si generano dal contatto tra la biomassa e le parti
interne della trafila. Per migliorare le caratteristiche meccaniche del prodotto si cerca
di abbassare rapidamente la sua temperatura mediante un flusso forzato di aria
ambiente prodotto mediante delle ventole;
rimozioni polveri: parte del materiale macinato che entra nella trafila può attraversare
la stessa e non venire pellettizzato. Ciò determina la presenza di polveri frammisto al
pellet, determinandone una riduzione della qualità. Pertanto, gli impianti normalmente
montano dei sistemi che separano il pellet dalla polvere di biomassa residua dalla
pellettizzazione;
insacchettamento e imballaggio: il pellet può essere distribuito in diverse modalità. Le
più diffuse sono rappresentate dai sacchi da 15 kg oppure da big-bag di circa 500 kg.
Per agevolare alcune operazioni di carico e scarico, il prodotto può essere trasportato
sfuso in apposite autobotti.
Nell’insieme tutte le fasi sopra descritte possono comportare elevati costi di produzione,
specie se la produttività annua dell’impianto è limitata. Nel caso della produzione di
agripellet, i margini economici sono ancora più ridotti rispetto al pellet di legno prodotto da
impianti industriali. Per tale ragione andrebbero ricercate delle soluzioni produttive e delle
modalità di lavoro quanto più semplificate possibile.
11
Figura 4 - Passaggi elementari nella produzione dell’agripellet.
Figura 5 - Macchina industriale per la
produzione del pellet.
12
L’alternativa alla produzione di tipo industriale è offerta dai sistemi mobili di pellettizzazione
(Figura 6). Si tratta di cantieri in grado di essere spostati sul territorio alla stregua di una
macchina operatrice agricola. A tal fine l’impianto è costituito dalle componenti meccaniche
essenziali rappresentate dal mulino macinatore, dalla tramoggia di carico e dalla
pellettizzatrice.
Il cantiere mobile può essere configurato per essere alimentato con diverse soluzioni anche
contemporaneamente: alimentazione elettrica diretta alla rete, mediante gruppo elettrogeno
o con generatore collegato ad albero cardanico.
Le diverse forme di alimentazione energetica e la mobilità permettono di trasferire la
produzione dell’agripellet direttamente sul territorio o luogo di produzione della materia
prima, eliminando il trasporto della materia prima grezza all’impianto industriale di
pellettizzazione e, quindi, riducendo significativamente gli oneri economici ed ambientali
legati al trasporto della biomassa. L’entrata sul mercato di sistemi mobili di pellettizzazione,
attualmente in fase di ottimizzazione, permetterebbe di sviluppare filiere corte e a “reale
chilometro zero” nel caso di autoproduzione e autoconsumo in azienda agricola.
La minor qualità delle biomasse agricole rispetto a quelle legnose forestali può comportare
alcune problematiche già in fase di produzione. Alcune di queste criticità sono riportate nella
tabella 6.
Figura 6 - Cantiere mobile di produzione di pellet autonomo e con generatore di corrente (sinistra)
o collegabile all’albero cardanico della trattrice (destra).
Tabella 6 - Proprietà di biomasse alternative al legno e problemi risultanti.
Proprietà
Possibili problematiche
Elevato contenuto in ceneri
Abrasione ed usura durante la pellettizzazione, limitata vita utile delle
trafile
Struttura fisica del materiale
Difficoltà di alimentazione dell’impianto
Durezza
Elevata domanda di energia e usura durante il taglio e la macinazione
Variabilità della composizione lignocellulosica
Esperienza nel campo della pellettizzazione, Configurazione flessibile
dell’impianto
Bassa densità energetica della materia
prima
Elevati costi di trasporto e stoccaggio
13
Uno schema di sintesi complessivo delle possibili linee di produzione di agripellet a partire
dalle biomasse grezze in campo è riportato in figura 7. Più specificatamente, sono
rappresentati i principali passaggi, le soluzioni produttive e di utilizzo relativamente alla
produzione di agripellet con potatura di vite. La struttura della filiera è comunque molto simile
se applicata ad altri prodotti di campo (residuali e non).
Figura 7 - Possibili linee di produzione e utilizzo di agripellet prodotto da potature di vite.
1.3.4 Produzioni non energetiche dei cantieri mobili
La diffusione della tecnologia mobile di pellettizzazione potrebbe supportare anche altre
attività legate all’agricoltura e alla foresta, non strettamente connesse con il settore
energetico. Una possibile applicazione può interessare i prodotti solidi residuali delle
produzioni zootecniche e di impianti a biogas, il separato solido dei liquami ed il digestato
che pellettizzati potrebbero trovare un impiego di carattere agronomico distribuiti sui terreni
come prodotti ammendanti. I primi test di pellettizzazione evidenziano la fattibilità tecnica di
produzione di pellet a partire da materiale anche con livelli di umidità, pre-macinatura,
superiori al 20% (Tabella 7). Il prodotto che ne deriva risulta più stabile e facile da gestire
nella fase di stoccaggio, trasporto e distribuzione in campo. A scopo puramente sperimentale
14
sono stati eseguiti anche dei test di pellettizzazione di prodotto digestato con quantità
opportune di ceneri derivanti da caldaie alimentate a biomasse vergini. Questa soluzione
contribuirebbe a migliorare le efficienze di gestione delle risorse sia delle filiere energetiche
che di quella agricolo-alimentare.
Tabella 7 - Alcune proprietà del pellet di digestato.
Caratteristiche
Note
Umidità
I test sembrano indicare come questi prodotti si prestano alla pellettizzazione anche con
valori di umidità abbastanza elevati. Generalmente l’umidità del prodotto finale si attesta
attorno al 10-12% partendo da materia prima con il 18 – 22% di umidità. Tale aspetto è
molto importante sia per la fase di trasporto che per la stabilità del prodotto.
Massa volumica
L’aumento di massa volumica è un vantaggio molto importante nella gestione della
logistica del separato solido dei liquami e del digestato. I pellet ottenuti possono
presentare un aumento della massa volumica superiore a 2-3 volte rispetto al prodotto
3
iniziale, raggiungendo valori compresi tra i 650 ed i 780 kg/m .
Stabilità meccanica
I pellet prodotti con le suddette matrici si presentano molto stabili anche da un punto di
vista meccanico, nonostante l’elevato contenuto di umidità di partenza. La durabilità
meccanica misurata sul pellet è superiore al 97%. Questo aspetto è di interesse per la
fase di trasporto e di distribuzione del prodotto in campo.
1.3.5 Tecnologie di combustione e limiti delle emissioni
La diversità delle caratteristiche delle biomasse considerate nella produzione dell’agripellet,
rispetto a quelle del legno di comune provenienza forestale, rappresenta un aspetto che
deve essere tenuto in conto nella scelta ed ottimizzazione degli impianti di combustione. I
valori più elevati di contenuto in ceneri, cloro, zolfo e azoto delle biomasse agricole
richiedono maggiore attenzione nella gestione della combustione, nella scelta dei materiali e
delle componentistiche (bruciatori, coclee di alimentazione, scambiatori di calore, ecc.) e
nella scelta di opportuni sistemi di abbattimento delle emissioni.
Tuttavia, l’agripellet presenta, rispetto alle materie prime di partenza, caratteristiche migliori
per la combustione. In particolare, il basso contenuto di umidità e l’uniformità dimensionale e
geometrica del prodotto consentono di modulare l’alimentazione dell’impianto termico,
favorendo una gestione ottimale della combustione sia in termini di efficienza energetica che
di controllo delle emissioni.
In generale, gli agripellet sono potenzialmente utilizzabili da tutti i sistemi di combustione,
escludendo le stufe domestiche e gli impianti di bassa potenza che richiedono
specificatamente pellet costituito da biomassa di puro legno. Tuttavia, il mercato inizia ad
offrire nuovi sistemi di combustione anche di bassa potenza (inferiore ai 50 kWt) che
montano bruciatori ad agripellet. I più conosciuti e diffusi sistemi di combustione sono
rappresentati da:
-
bruciatore a flusso di aria orizzontale: sono sistemi che possono presentare un range
di potenze normalmente variabili tra 20 kW e 1 MWt. In questi il pellet viene
combusto in un apposito vano al di sopra del quale scorre un flusso di aria
orizzontale che fuoriesce attraverso un cilindro in acciaio opportunamente scanalato
nella superficie interna;
15
-
-
sistemi a griglia mobile: in genere sono presenti in impianti termici di potenza non
inferiore ai 500 kWt. e costituiti da una serie di elementi piani mobili, sia orizzontali
che inclinati, che movimentano la biomassa, posta al di sopra di questi, per il tempo
necessario al completamento della combustione;
sistemi a griglia rotante: sono montati in caldaie di piccole e medie dimensioni, in
genere di potenza superiore ai 100 kWt. La biomassa viene posta al di sopra di una
griglia orizzontale circolare che ruota attorno al proprio asse centrale con una velocità
tale da permettere di controllarne la combustione.
Nella tabella 8 vengono descritte le più diffuse problematiche tecniche ed ambientali della
combustione di biomasse conseguenti ad alcune proprietà fisiche e chimiche.
Tabella 8 - Principali problematiche della combustione di agripellet legate alle sue proprietà.
Proprietà
Problemi che possono derivare dalle proprietà dell’agripellet
Elevato contenuto in ceneri
Rimozione delle ceneri dal bruciatore e dalla camera di combustione.
Potenziale produzione di particolato inorganico nelle emissioni.
Variabilità della composizione della
frazione organica della biomassa
Improvvisa variazione dell’andamento della combustione, delle
temperature di fiamma e del carico di potenza e conseguente aumento del
particolato organico.
Elevato contenuto di zolfo e cloro
Possibile emissione di gas nocivi: HCl e SO2
Rischio di corrosioni a carico di componenti metalliche interne
dell’impianto termico e della canna fumaria, specie in presenza di alti
contenuti di Na e K.
Elevato contenuto di azoto
Produzione di NO.
Bassa temperatura di fusione delle
ceneri
Possibile rischio di incrostazione delle pareti interne dell’impianto e dei
tubi di scambio termico.
Nel caso della combustione dell’agripellet le problematiche relative alle emissioni da
combustione sono particolarmente importanti negli impianti di piccola potenza. Difatti, in
questi dispositivi normalmente sono assenti i sistemi di abbattimento a causa degli elevati
costi di questi apparati. Il contenuto di polveri delle emissioni rappresenta quindi il parametro
più critico.
I più diffusi sistemi di abbattimento delle polveri, alcuni dei quali pensati anche per piccoli
impianti, sono rappresentati da:
-
-
-
cicloni separatori: sfruttano la forza centrifuga imposta al gas per la rimozione delle
particelle. Sono dispositivi economici e robusti ma in grado di rimuovere solo le
particelle più grossolane;
filtri a maniche: il gas attraversa il tessuto di un filtro e le particelle con diametro
uguale o superiore al diametro delle maglie del filtro stesso vengono bloccate. Il
sistema è in grado di lavorare anche con particelle piccole. I costi sono più elevati
rispetto al ciclone.
precipitatori elettrostatici: la rimozione avviene caricando elettricamente le polveri per
poi attrarle ad uno dei due elettrodi posti lungo il cammino dei fumi. Esistono
precipitatori elettrostatici a secco (dry ESP) e con fumi umidi (wet ESP). Questi
sistemi possono raggiungere efficienze di rimozione elevate per particelle molto fini
ma sono particolarmente costosi e richiedono maggiori attenzioni nell’utilizzo.
16
E’ evidente che l’implementazione di queste componenti determina un aumento del costo
complessivo dell’impianto, con un peso relativo maggiore soprattutto nel caso degli
apparecchi termici di piccola potenza. Nel complesso i limiti delle emissioni da rispettare,
salvo particolari disposizioni a livello regionale o comunale, sono indicati all’allegato X della
Parte quinta del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Tabella 9).
Tabella 9 - Limiti delle emissioni stabiliti dal decreto 152/06; i valori si riferiscono ad un tenore di
ossigeno nell’effluente gassoso dell’11%.
Parametro
Polveri totali
Potenza termica nominale installata (MW)
[1] >0,15 ÷ <= 3
3
> 3 <= 6
100 mg/Nm
30 mg/ Nm
-
-
Carbonio organico totale (COT)
> 6 <= 20
3
> 20
30 mg/ Nm
3
30 mg/ Nm
3
30 mg/ Nm
3
20 mg/ Nm
3
3
10 mg/ Nm [2]
Monossido di carbonio (CO)
3
350 mg/ Nm
3
300 mg/ Nm
3
250 mg/ Nm
3
150 mg/ Nm [2]
Ossidi di azoto (espressi come NO2)
3
500 mg/ Nm
3
500 mg/ Nm
3
400 mg/ Nm
3
300 mg/ Nm [2]
Ossidi di zolfo (espressi come SO2)
3
200 mg/ Nm
3
200 mg/ Nm
3
200 mg/ Nm
3
200 mg/ Nm
3
100 mg/ Nm [2]
3
400 mg/ Nm
3
200 mg/ Nm [2]
3
200 mg/ Nm
[1] Agli impianti di potenza termica nominale pari o superiore a 0,035 MW e non superiore a 0,15 MW si applica
3
un valore di emissione per le polveri totali di 200 mg/Nm .
[2] Valori medi giornalieri.
1.4
Valutazioni economiche
L’obiettivo di qualsiasi filiera energetica è di produrre il combustibile o l’energia al costo più
basso possibile. La stima di questo dato è fondamentale per valutare la convenienza degli
investimenti e verificare la competitività con altre soluzioni produttive e fonti energetiche. La
variabilità delle possibili soluzioni di filiera che possono essere definite per la produzione
dell’agripellet e la diversa tipologia di biomassa impiegata (residuale o da coltura principale),
rendono complicata la possibilità di sviluppare una stima univoca del costo di produzione.
Pertanto, questa sezione si limita a focalizzare alcuni aspetti generali dei costi e a proporre
un'analisi relativa ad una specifica filiera.
In generale, la struttura del costo di produzione dipende dalla tipologia di fasi della
lavorazione e dalle singole voci di costo ad esse associate. Si distinguono i seguenti
momenti:
-
-
raccolta: le voci di costo sono principalmente legate al costo di esercizio delle
macchine coinvolte in queste fasi, alla manodopera e all’eventuale costo della
materia prima. Semplificando, nel caso dei residui di campo il costo può essere
considerato nullo. Nel caso di una coltura energetica si farà riferimento ai costi di
produzione del prodotto;
trasporto: le voci legate al trasporto sono fortemente condizionate dalla massa
volumica del prodotto. Nel caso in cui la pellettizzazione venga fatta direttamente in
azienda agricola, soluzione che evita il trasporto della biomassa grezza, il peso
economico della fase di trasporto si riduce in misura importante. In aggiunta, se il
17
-
prodotto rimane presso l’azienda agricola, come opzione di autoconsumo, la voce del
trasporto è nulla;
produzione del pellet: la scelta è tra il ricorso al cantiere mobile di pellettizzazione o
all’impianto industriale. Quest’ultima soluzione trova ragione solo nel caso in cui
l’impianto sia presente a breve distanza dal luogo di produzione della biomassa.
Per semplificare la trattazione di questa sezione e, nello stesso tempo, fornire degli elementi
pratici e concreti, si propone una valutazione di calcolo del costo di produzione relativamente
all’agripellet prodotto a partire dalle potature di vite. I dati si riferiscono ad una serie di
esperienze maturate dal Comitato Termotecnico Italiano nell’ambito del progetto europeo
mixBioPells.
Attualmente esistono in commercio una serie di soluzioni per affrontare la fase della raccolta
della materia prima. Diverse macchine completano il lavoro di raccolta producendo balle
cilindriche o rettangolari di potature di vite, poi trasportate in un’area di stoccaggio e
successivamente cippate dopo un periodo di stagionatura. Queste tipologie di macchine,
meno recenti, sono nate pensando alla sola produzione del cippato da potature di vite e non
considerando la produzione del pellet.
Più recentemente sono entrate sul mercato delle raccogli-trinciatrici che riescono a compiere
più operazioni producendo direttamente il cippato, pronto per essere caricato su rimorchio e
stoccato in apposite area per la fase di stagionatura. Al termine di questa fase, in cui
l’umidità delle potature passa dal 45% al 18-20% circa, è possibile pellettizzare la biomassa
dopo esser stata macinata. L’analisi che segue si riferisce ad una soluzione in cui la fase di
raccolta viene effettuata mediante raccogli-trincia-caricatrice per le potature di vite. Per la
fase di produzione del pellet si considera sia la soluzione mediante un cantiere mobile di
pellettizzazione sia attraverso il trasporto del cippato stagionato presso un impianto di
pellettizzazione. Sia nel caso dell’analisi dei costi della raccoglitrice che del cantiere mobile è
stato previsto un saggio di interesse al 5%.
In tabella 10 vengono riportati i dati tecnico-economici relativi alla macchina utilizzata per la
raccolta e cippatura della potatura di vite.
18
Tabella 10 - Parametri tecnico-economici per la valutazione dei costi di raccolta di potature di vite.
Voce Tecnico Economica
Valore
Osservazioni
Valore iniziale
della macchina
21.000 euro
Il mercato offre diverse tipologie di macchine per la raccolta delle potature di
vite con costi anche più contenuti o produttività superiori. Recentemente sono
in commercio soluzioni progettate pensando alla raccolta della potatura di vite
destinata alla produzione del pellet. In questi casi la macchina dispone di
sistemi più raffinati per la raccolta della biomassa che consentono di ottenere
un prodotto con caratteristiche qualitative migliori.
Tasso di
deprezzamento
Non definito
Non si dispone di dati. Pertanto, si è ritenuto utile considerare nullo il valore di
recupero del mezzo.
Vita utile
10 anni
Nel complesso le macchine sono molto semplici e con un’opportuna
manutenzione si stima di poter garantire una elevata vita utile.
Consumo
gasolio
3,6 kg/h
La macchina normalmente lavora con bassi regimi del motore del trattore.
Utilizzo annuo
300 ore
Si considera il tempo medio impegnato da un terzista o un gruppo di aziende
(consorzio) che investe nell’acquisizione di una macchina.
Manutenzione
e riparazione
600 €/anno
Il costo indicato è orientativo e il dato è legato alla modalità di utilizzo del
mezzo e alla scelta dei materiali che costituiscono alcune componenti
meccaniche.
Manodopera
15 €/h
Il costo della manodopera può variare in base alla zona ed al tipo di contratto.
1,5 t/h
Si riferisce alla produttività di una massa di prodotto con contenuto di umidità
dell’8% (simile a quella del pellet finale). La velocità della macchina è
determinata dalla quantità di materia prima deposta lungo i filari e dalle
condizioni del terreno.
Produttività
Sulla base di questi dati il costo della raccolta è approssimativamente di circa 40 – 42 €/h
che, riferito al pellet finale a circa l’8% di umidità, diventa di 27 €/t. Questo dato può
cambiare in misura importante se variano le condizioni di lavoro che incidono sulla
produttività della macchina. Da segnalare che la metà dei costi di produzione è da imputare
alla raccolta. Il prodotto cippato, dopo il periodo della stagionatura in campo, può essere
trasportato in impianto industriale per la pellettizzazione. Il peso economico di questa fase è
legato alla massa volumica del prodotto stagionato, al tipo di mezzo di trasporto ed alla
distanza dall’impianto di pellettizzazione.
Nella tabella 11 vengono fornite alcune valutazioni di massima che comprendono gli oneri
richiesti per la pellettizzazione industriale.
Considerando i dati tecnico-economici relativi alla produzione con cantiere mobile (tabella
12), nella tabella 13 vengono riportati i risultati di sintesi dei costi per la produzione di
agripellet considerando entrambe le soluzioni e la variabilità di alcuni parametri chiave.
Le valutazioni proposte si riferiscono a quattro possibili soluzioni di filiera, due delle quali
relative alla produzione di pellet in impianto industriale ipotizzato a 5 e 25 km dal luogo di
origine della biomassa. Negli altri due casi si ipotizza di produrre il pellet di vite presso
l’azienda agricola ipotizzando un diverso numero di ore di utilizzo annue del cantiere mobile.
L’analisi evidenzia i benefici economici del sistema mobile rispetto alla produzione industriale
conseguenti sia alla mancanza dei costi di trasporto che al ridotto costo di produzione nel
caso di un uso intensivo del cantiere di pellettizzazione.
19
Tabella 11 - Parametri tecnico-economici per la valutazione dei costi di trasporto e di pellettizzazione in
impianto industriale delle potature di vite.
Voce Tecnico Economica
Valore
Osservazioni
Questo dato può variare a seconda della modalità di taglio e
produzione del cippato (lunghezza di taglio, diametro medio della
potatura); è riferito al prodotto con un contenuto di umidità pari
all’8%.
Massa volumica delle
potature di vite
0,16 t/m
Volume di prodotto
trasportato dal rimorchio
15 m
Costo specifico della fasi di
carico, trasporto e scarico
del prodotto grezzo e finito
20 €/t (5 km)
45 €/t (20
km)
Questo dato è condizionato dalla distanza percorsa dal mezzo.
Sono state ipotizzate due distanze, 5 e 30 km, considerando le
operazioni di carico, trasporto, scarico e recupero pellet finale. La
manodopera rappresenta una importante componente di questa
voce di costo.
Costo di pellettizzazione
90 €/t
Il dato si riferisce al prodotto finito in big bag. Se insaccato il costo
può aumentare di circa il 10-15%.
3
3
E’ un dato di riferimento orientativo. La scelta del sistema di
trasporto prevede il rimorchio collegato ad una trattrice.
Tabella 12 - Parametri tecnico-economici per la valutazione dei costi pellettizzazione con cantiere
mobile.
Voce Tecnico Economica
Valore
Osservazioni
Costo della
macchina
110.000
euro
Al momento il mercato non offre soluzioni standard e poche aziende produttrici
di macchine hanno iniziato a disporre di soluzioni ancora da ottimizzare.
L’impianto considerato è già predisposto per una lavorazione completa, dotato
di raffinatore e sistemi di carico in automatico.
Tasso di
deprezzamento
Non
definito
Non si dispone di questo dato. Pertanto, si è ritenuto utile considerare nullo il
valore di recupero del mezzo.
Vita utile
12 anni
Sono macchine compatte e robuste che derivano dal settore industriale.
Consumo
gasolio
8 kg/h
Questa voce viene considerata solo nel caso il cantiere venga alimentato
tramite cardano da una trattrice o con gruppo elettrogeno. In realtà, è possibile
disporre di soluzioni con alimentazione dalla rete elettrica riducendo la voce
dei consumi energetici.
Utilizzo annuo
300 / 600
ore annue
Il cantiere può lavorare in più momenti dell’anno e pellettizzare potature
raccolte da più macchine raccoglitrici o anche altre materie prime (es. paglia,
legno forestale, ecc.). Questa voce pertanto è fortemente legata al contesto
operativo e, in realtà ottimizzate, può essere più elevata.
Manutenzione e
riparazione
500 €/anno
Il costo è orientativo.
Manodopera
15 €/h
Il costo della manodopera può variare in base alla zona e tipo di contratto.
Produttività
0,8 t/h
La produttività del cantiere mobile dipende dalla tipologia di biomassa da
pellettizzare e dalle condizioni dei sistemi di pellettizzazione (rulli, trafile ecc).
20
Tabella 13 - Sintesi dei costi di produzione nell’ambito di diverse soluzioni di produzione dell’agripellet
da potature di vite.
Soluzione produttiva
Costo (€/t di pellet)
Raccolta
Trasporto
Pellettizzazione
Totale
Produzione in impianto industriale
(distanza inferiore a 5 km)
27
20
90
137
Produzione in impianto industriale
(distanza di circa 25 km)
27
45
90
162
Produzione in azienda agricola
(utilizzo cantiere pellettizzazione
300 ore / anno)
27
0
88
115
Produzione in azienda agricola
(utilizzo cantiere pellettizzazione
600 ore / anno)
27
0
59
86
Nel caso di autoconsumo in azienda agricola e considerando un valore medio di potere
calorifico inferiore pari a 16,7 MJ/kg espresso sul pellet tal quale all’8% di umidità, il costo
dell’energia varia tra 0,5-0,7 c€/MJ a seconda dell’intensità di utilizzo del cantiere.
Ipotizzando invece la produzione di pellet da immettere sul mercato e assumendo un
margine di profitto di 30 €/t da parte del produttore di agripellet, è possibile ipotizzare un
prezzo complessivo compreso tra 115 e 145 €/t, sempre in funzione dell’operatività del
cantiere.
Per concludere, una prima valutazione sulla convenienza di questo prodotto, in alternativa ad
altro combustibile rinnovabile, viene proposta nella tabella confrontando il costo specifico del
pellet da potature di vite, nelle due soluzioni di utilizzo del cantiere mobile, e quello di un
cippato di legno al 40% di umidità.
Si osserva come, nel caso di utilizzo intensivo del cantiere di pellettizzazione, i costi specifici
dei due combustibili sono comparabili dimostrando come l’agripellet possa rappresentare
una valida alternativa al cippato di legno anche per impianti industriali, impianti agricoli
(serre) o per centrali di teleriscaldamento, beneficiando di proprietà di carattere logistico e
gestionale meno presenti in altre biomasse (Tabella 14).
Tabella 14 - Confronto indicativo del costo dell’energia tra agripellet da potature di vite prodotto con
cantiere mobile in due condizioni operative e cippato di legno.
Costo prodotto (€/t)
Costo per energia (c€/MJ)
Pellet potature vite – cantiere operativo 300 ore/anno
115
0,69
Pellet potature vite – cantiere operativo 600 ore/anno
86
0,51
Cippato di legno 40%
50
0,50
Tipo di materiale
21
22
2.1
Biogas e Biometano in pillole
Che cosa sono?
Il biogas viene prodotto dalla degradazione in assenza di ossigeno della biomassa, è una
miscela di gas, dove il metano rappresenta il 50-60% del volume. Il biometano è il metano
che si ottiene dalla depurazione del biogas.
Il biogas sostituisce il gas naturale di rete?
Non propriamente, le varie apparecchiature devono essere adattate alle sue
caratteristiche. Il biometano, invece, si.
Che vantaggi offrono?
Sono producibili da un gran numero di biomasse residuali.
La resa energetica e le prestazioni ambientali sono interessanti. In particolare è
tecnicamente valido, anche sotto il profilo ambientale, l’uso del biometano nei trasporti.
Gli svantaggi?
Il digestato, che in pratica in termini di peso è quasi pari alla biomassa utilizzata, va gestito
correttamente e, nel caso degli impianti agricoli, bisogna disporre di adeguate superfici per
il suo spargimento. Per impianti “senza terra” questo costituisce quindi un problema.
Senza incentivi il biogas/biometano non risultano competitivi con le fonti tradizionali.
Come mai il biogas si è sviluppato tanto in pochi anni?
Grazie ad incentivi piuttosto generosi ed alla disponibilità di tecnologie moderne.
Si svilupperà ancora nel futuro?
Dal 2013 il legislatore ha introdotto dei correttivi, ovvero premia l’utilizzazione di
sottoprodotti/rifiuti scoraggiando l’uso di colture energetiche e premia l’adozione di impianti
di taglia ridotta. Si ritiene, quindi, che la chiave di successo per le nuove realizzazioni
risieda nella possibilità di disporre di biomasse a costi contenuti se non nulli, quindi in
modo particolare di sottoprodotti.
Perche il biometano non si è sviluppato?
Solo ora sono state introdotte le norme incentivanti e comunque la sua immissione in rete
o l’uso per i trasporti richiede di risolvere una serie di problematiche aggiuntive.
24
Il biometano potrà sostituire il biogas utilizzato per la produzione di energia elettrica?
Probabilmente no. Il biometano resterà legato alla presenza di apposite infrastrutture a
livello locale, mentre la tradizionale produzione di energia elettrica con biogas grezzo
rimarrà la soluzione più flessibile e di più facile applicazione.
2.2
Sviluppo del settore
A livello nazionale, negli ultimi anni si è verificato uno sviluppo considerevole della digestione
anaerobica e delle altre tecnologie basate sull’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili.
In particolare, dal 2008 al 2012 la produzione complessiva di energia elettrica (EE) da
rinnovabili è passata da oltre 58.000 a oltre 92.000 GWh (27% dei consumi nazionali di EE in
termini di consumi finali lordi), mentre quella da bioenergie da circa 6.000 a quasi 12.500
GWh (consuntivi 2012; Figura 8; Fonte: GSE, 2013). Va sottolineato che, anche a causa
della diminuzione dei consumi di energia primaria per via del negativo andamento
congiunturale, il tasso di penetrazione delle energie rinnovabili sta procedendo a un ritmo
ben più elevato del previsto.
Le proiezioni a tutto il 2013 vedono l’operatività di oltre 2.200 impianti a biomassa (residuale
e non) la grande parte dei quali si posiziona al di sotto della potenza di 1 MWe. Tuttavia,
l’energia prodotta da questi ultimi è circa il 37% del totale incentivato (Figura 9).
Figura 8 - Incremento della potenza installata (MW) da fonti rinnovabili (consuntivo 2012). In termini di energia
rinnovabile, la produzione totale dal 2008 al 2012 è incrementata di quasi il 60%, mentre quella da bioenergie
di oltre il 100%. Il contributo di queste ultime sul totale al 2012 è del 13,5% circa. La potenza installata in
bioenergie produce di più a livello specifico (mediamente 3.3 GWh per GW installato) in quanto non risente
della discontinuità della fonte primaria nel tempo. Di fatto, per il solare fotovoltaico si rileva una produzione di
25
1,1 GWh per GW, mentre per l’eolico di 1,65 GWh per GW (Fonte: GSE, 2013).
Figura 9 - Gli impianti a biomassa che producono elettricità non sono molto numerosi e la gran parte di essi
(60% circa) sono a biogas con taglia inferiore a 1 MWe. In termini di produzione energetica e secondo le
proiezioni al 2013 questi ultimi produrranno circa il 30% dell’energia del comparto. Questa tipologia di
impianti è normalmente alimentata con biomasse classificabili come sottoprodotto. Solo pochi anni fa il
numero di impianti a biogas di dimensioni sotto il MWe ammontava a poche centinaia (elaborazione dati
GSE, 2013).
In termini di costi alla collettività (cioè di incentivi destinati alla produzione di elettricità
rinnovabile che si sommano al valore di mercato della medesima), le fonti rinnovabili
elettriche richiedono ormai 11 miliardi di €/anno che si riducono, escludendo il fotovoltaico, a
4,3 miliardi, il 50% circa dei quali sono destinati agli impianti a biomassa. A conti fatti, poco
meno di 1 miliardo di €/anno è destinato agli impianti a biogas sotto il MWe (Figura 10).
Il notevole peso delle incentivazioni ha portato, nel corso 2012 e già con il DM 6.7.2012 (che
detta il nuovo quadro incentivante a partire dal 2013 fino al 2015 compreso), il governo Monti
a ridurre l’entità dei premi e a prevedere per le biomasse una loro differenziazione in
dipendenza del tipo di classificazione (prodotto, sottoprodotto e rifiuto).
L’ulteriore sviluppo del biogas è quindi legato sostanzialmente a due fattori:
-
capacità del settore di rendere il processo più competitivo attraverso il contenimento
del costi di approvvigionamento della biomassa e degli investimenti;
livello di incentivazione che verrà riservato al biometano.
26
Considerando che le incentivazioni verranno probabilmente allineate, l’ulteriore sviluppo
della filiera del biogas rimane legato soprattutto alla capacità di contenere i costi di
produzione.
Figura 10 - Ripartizione dei costi per la collettività delle rinnovabili elettriche (circa 10,9 miliardi di €/anno,
proiezione fine 2013). A parte il grande peso del fotovoltaico, è interessante notare come la produzione di
biogas si sia espansa notevolmente soprattutto con impianti di dimensione inferiore a 1 MWe (elaborazioni
dati GSE, 2013).
2.3
I sottoprodotti e l'attuale sistema di incentivazione
La recente tendenza del legislatore è orientata a premiare l’utilizzo di sottoprodotti e rifiuti in
luogo delle colture dedicate.
Conseguentemente e tralasciando l’utilizzo dei rifiuti che richiede opportune soluzioni
impiantistiche – peraltro sensibilmente più costose – e le necessarie autorizzazioni, può
risultare importante utilizzare biomasse che possano essere classificate come sottoprodotti.
In particolare, l’art.184-bis, introdotto dal D.Lgs.205/2010 che recepisce la direttiva
2008/98/CE sulla disciplina dei rifiuti, stabilisce le quattro condizioni che una sostanza od
oggetto deve rispettare per essere identificato come sottoprodotto e non come rifiuto,
riportate a seguire:
-
la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce
parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od
oggetto;
27
-
-
è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un
successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di
terzi;
la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore
trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo
specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e
dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute
umana.
La prima condizione prevede che la sostanza o l'oggetto sia originato da un processo di
produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di
tale sostanza od oggetto. Questa previsione pone l’attenzione su alcune tipologie di
sottoprodotti industriali, dove i quantitativi del sottoprodotto sono comparabili o addirittura
maggiori di quelli del prodotto principale. Come esempio, possiamo citare la farina disoleata
derivante dal processo di triturazione dei semi oleosi, che è prodotta in percentuale maggiore
(circa il 70% sul totale) rispetto all’olio di semi, che, in teoria, dovrebbe rappresentare il
prodotto principale. Per queste categorie sarebbe importante stabilire dei parametri, come,
ad esempio, il rapporto massimo tra prodotto e sottoprodotto, in base ai quali stabilire il
rispetto della condizione.
La seconda condizione, che prevede la certezza di utilizzo della sostanza o dell'oggetto, nel
corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del
produttore o di terzi, è sicuramente la più limitativa per i produttori. E’ importante dunque che
il produttore segua una procedura tale da garantire, dall’origine e fino al momento della
stipula del contratto con l’utilizzatore, che il residuo sia prodotto e gestito in modo tale da non
ricadere nella categoria dei rifiuti. Non è, inoltre, chiaro se sia ammessa la figura di un
intermediario che gestisca il residuo, prima di conferirlo all’utilizzatore finale. Nelle linee
guida della Commissione europea sulla direttiva 2008/98/CE, ad esempio, si parla di “sito
intermedio” ma non compare alcuna definizione di intermediario.
La terza condizione, che precisa che la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato
direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale,
vuole limitare la possibilità di trattare eccessivamente il sottoprodotto, con possibile perdita
delle caratteristiche di partenza, prima dell’utilizzo. Questa condizione pone però forte
incertezza tra gli operatori nel prendersi la responsabilità di decidere i trattamenti ammessi,
non essendoci una lista esaustiva nemmeno nelle linee guida ad hoc della Commissione,
che si limita a citare i processi di tipo meccanico solo come esempi.
L’ultima condizione, che specifica che l'ulteriore utilizzo deve essere legale, non
comportando impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana, di fatto sposta
l’attenzione dal produttore all’utilizzatore. Dunque qui il rispetto della condizione potrebbe
variare a seconda che il residuo venga utilizzato per la produzione di energia elettrica in un
impianto a biomassa o a biogas. Ad esempio, nel primo caso il residuo dovrebbe avere le
caratteristiche previste dall’Allegato X alla parte V del D.Lgs. 152/2006.
28
La classificazione di sottoprodotti non dipende quindi, almeno in termini generali, dalle
caratteristiche chimico-fisiche della biomassa ma dal tipo di contesto nel quale viene
utilizzata.
Il DM 6 luglio 2012, che incentiva la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili
diverse dal fotovoltaico, prevede incentivi differenziati nella produzione di energia elettrica in
impianti a biomasse e a biogas a seconda che le materie prime siano prodotti, sottoprodotti o
rifiuti. In particolare, l’incentivo maggiore viene attribuito al caso di utilizzo di sottoprodotti
(Tabella 15).
Inoltre, è presente un allegato che riporta la lista esaustiva delle categorie di residui già
identificati come sottoprodotti che tuttavia, per essere effettivamente tali, devono rispettare le
condizioni sopra indicate (Tabella 16).
Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo di biocarburanti nel settore dei trasporti (apetto che
interessa la produzione di biometano), l’art. 33 del D.Lgs. 28/2011 e s.m.i. prevede che ai
biocarburanti prodotti a partire da rifiuti e da sottoprodotti sia riconosciuto un valore doppio
rispetto agli altri biocarburanti ai fini del raggiungimento del target al 2020 per il settore dei
trasporti. Anche in questo caso è presente una prima lista esaustiva di sottoprodotti,
modificabile con cadenza annuale.
In ogni caso, ancora una volta, entrambe le liste segnalano che la validità delle stesse è
comunque condizionata dal rispetto delle condizioni dell’art.184 bis del D.Lgs. 152/2006 di
cui in premessa.
29
Tabella 15 - Allegato del DM 6/07/2012, Vita utile convenzionale, tariffe incentivanti, per i nuovi impianti.
Fonte
Rinnovabile
Tipologia
Prodotti di origine biologica
BIOGAS
Sottoprodotti di origine biologica di cui alla
Tabella 1-A;
Rifiuti
non
provenienti
da
raccolta
differenziata diversi da quelli di cui alla
lettera c
Rifiuti per i quali la frazione biodegradabile è
determinata forfettariamente con le modalità
di cui all’Allegato 2.
Prodotti di origine biologica
BIOMASSE
Sottoprodotti di origine biologica di cui alla
Tabella 1-A;
Rifiuti non provenienti da raccolta
differenziata diversi da quelli di cui alla
lettera c
Rifiuti per i quali la frazione biodegradabile è
determinata forfettariamente con le modalità
di cui all’Allegato 2.
30
Potenza
(kW)
Vita utile
degli
Impianti
(anni)
Tariffe
Incentivante
Base
(€/MWh)
1<P ≤ 300
20
180
300<P ≤ 600
20
160
600<P ≤ 1000
20
104
1000<P ≤ 5000
20
90
P>5000
20
61
1<P ≤ 300
20
236
300<P ≤ 600
20
206
600<P ≤ 1000
20
178
1000<P ≤ 5000
20
125
P>5000
20
101
1<P ≤ 1000
20
216
1000<P ≤5000
20
109
P>5000
20
85
1<P ≤ 300
20
229
300<P ≤ 1000
20
180
1000<P ≤ 5000
20
133
P>5000
20
122
1<P ≤ 300
20
257
300<P ≤ 1000
20
209
1000<P ≤ 5000
20
161
P>5000
20
145
1<P ≤ 5000
20
174
P>5000
20
125
Tabella 16 - Elenco sottoprodotti/rifiuti utilizzabili negli impianti a biogas e biomasse. - Tabella 1A del DM
6 luglio 2012.
1 - Sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano (reg. Ce 1069/2009)
Classificati di categoria 3
carcasse e parti di animali macellati non destinati al consumo umano per motivi commerciali;
prodotti di origine animale o prodotti alimentari contenenti prodotti di origine animale non più destinati al
consumo umano per motivi commerciali o a causa di problemi di fabbricazione o difetti che non
presentano rischi per la salute pubblica o degli animali;
sottoprodotti di origine animale derivanti dalla fabbricazione di prodotti destinati al consumo umano,
compresi ciccioli, fanghi da centrifuga o da separatore risultanti dalla lavorazione del latte;
sangue che non presenti alcun sintomo di malattie trasmissibili all’uomo o agli animali;
tessuto adiposo di animali che non presenti alcun sintomo di malattie trasmissibili all’uomo o agli animali;
rifiuti da cucina e ristorazione;
sottoprodotti di animali acquatici.
Classificati di categoria 2
stallatico (escrementi e/o urina di animali, guano non mineralizzato, ecc.);
tubo digerente e suo contenuto;
farine di carne e d’ossa;
sottoprodotti di origine animale raccolti nell’ambito del trattamento delle acque reflue a norma delle
misure di attuazione adottate conformemente all’articolo 27, primo comma, lettera c): da stabilimenti o
impianti che trasformano materiali di categoria 2; o da macelli diversi da quelli disciplinati dall’articolo 8,
lettera e).
Classificati di categoria 1
tutti i sottoprodotti classificati di categoria 1 ed elencati all’articolo 8 del regolamento Ce n. 1069/2009.
2 - Sottoprodotti provenienti da attività agricola, di allevamento, dalla gestione del verde e da attività forestale:
effluenti zootecnici, paglia, pula, stocchi, fieni e trucioli da lettiera, residui di campo delle aziende agricole,
sottoprodotti derivati dall’espianto, sottoprodotti derivati dalla lavorazione dei prodotti forestali, sottoprodotti
derivati dalla gestione del bosco, potature, ramaglie e residui dalla manutenzione del verde pubblico e privato.
3 - Sottoprodotti provenienti da attività alimentari e agroindustriali
sottoprodotti della trasformazione del pomodoro (buccette, bacche fuori misura, ecc.);
sottoprodotti della lavorazione dei cereali (farinaccio, farinetta, crusca, tritello, glutine, amido, semi
spezzati, ecc.);
sottoprodotti della trasformazione delle olive (sanse, sanse di oliva disoleata, acque di vegetazione);
sottoprodotti della lavorazione di frutti e semi oleosi (panelli di germe di granoturco, lino, vinacciolo,
ecc.);
sottoprodotti della trasformazione dell’uva (vinacce, graspi, ecc.);
panello di spremitura di alga;
sottoprodotti della trasformazione della frutta (condizionamento, sbucciatura, detorsolatura, pastazzo di
agrumi, spremitura di pere, mele, pesche, noccioli, gusci, ecc.);
sottoprodotti dell’industria della panifi cazione, della pasta alimentare, dell’industria dolciaria (sfridi di
pasta, biscotti, altri prodotti da forno, ecc.);
sottoprodotti della trasformazione di ortaggi vari (condizionamento, sbucciatura, confezionamento, ecc.);
sottoprodotti della torrefazione del caffè;
sottoprodotti della trasformazione delle barbabietole da zucchero (borlande, melasso, polpe di bietola
esauste essiccate, suppressate fresche, suppressate insilate, ecc.);
sottoprodotti della lavorazione della birra;
sottoprodotti derivati dalla lavorazione del risone (farinaccio, pula, lolla, ecc.).
4 - Sottoprodotti provenienti da attività industriali
sottoprodotti della lavorazione del legno per la produzione di mobili e relativi componenti.
31
2.4
La digestione anaerobica e le prospettive tecnologiche
2.4.1 Richiami sul processo di digestione anaerobica e sugli schemi
impiantistici
La digestione anaerobica (DA) si basa sulla successione di reazioni biochimiche, svolte in
uno o più reattori (digestore/i), operate da particolari ceppi batterici in assenza di ossigeno,
con una produzione finale di biogas costituito da una miscela in percentuali variabili di:
metano (CH4: 50 – 80%); anidride carbonica (CO2: 50 – 20%) e gas minori (NH4, H2S, H2,
CO: 5% - 10%).
Come residuo del processo si ottiene il digestato, ovvero un prodotto semi-stabilizzato
idoneo per l’uso agronomico seguendo le stesse prescrizioni adottate per le deiezioni
zootecniche.
La progettazione di un impianto rurale, soprattutto ai fini della sua sostenibilità generale,
dovrebbe partire proprio da questo aspetto: la disponibilità di terreno su cui recuperare a fini
agronomici, rispettando le buone pratiche, il digestato prodotto che aumenta in quantità
proporzionale all’aumentare della taglia dell’impianto e che in prima approssimazione è di
poco inferiore al peso della biomassa utilizzata.
Figura 11 - Schema della filiera di Biogas (Fonte CIB, 2012).
Nel digestore, grazie alla formazione naturale (a meno che il substrato sia completamente di
derivazione vegetale, caso in cui è necessario un inoculo) di un mix di batteri anaerobici
idrolitici, acidogeni, acetogeni e metanigeni si succedono le seguenti fasi (Figura 12):
-
idrolisi della sostanza organica: degradazione dei polimeri in monomeri,
trasformazione della cellulosa in glucosio e cellobiosio;
acidogenesi: traformazione dei monomeri in H2O, CO2, etanolo e acidi Grassi volatili;
acetogenesi: trasformazione degli alcoli degli acidi grassi volatili in acetati e H2 e CO2;
32
-
metanogenesi: i batteri metanigeni trasformano gli acetati in H2, CO2 e metano CH4.
Figura 12 - Processo chimico della digestione anaerobica pe la produzione di biogas (Ecofys, 2008)
Per una buona conduzione del processo occorre che le fasi siano in equilibrio tra di loro, in
particolare la fase dell’acidogenesi con quella di metanogenesi. Un’eccessiva produzione di
acido acetico comporta una diminuzione di pH che rallenta il metabolismo dei batteri
metanigeni con conseguente rallentamento della produzione di metano. Il carico organico da
digerire normalmente va mantenuto compreso tra i 2 e 6 kg s.v./m3 di digestore al giorno.
Essendo la digestione anaerobica un processo biologico, viene fortemente condizionata dai
parametri che influenzano l’attività dei microorganismi quali: pH, contenuto di acidi volatili,
contenuto di ammoniaca, rapporto C/N del substrato, sua temperatura e tempo di
permanenza nel digestore (Tabella 17).
Tabella 17 - Valori di riferimento dei principali parametri di processo della digestione anaerobica.
Parametro
Valori ritenuti idonei
Temperatura di processo
In condizioni di termofilia: 50 - 55° C
In condizioni di mesofilia: 30 - 45° C
In condizioni di psicrofilia: < 35° C con minimi di 10-12° C.
pH
6.5 - 8
Tempo di residenza
14 – 20 giorni in condizioni di termofilia,
15 – 50 giorni in condizioni di mesofilia,
60 – 120 giorni in condizioni di psicrofilia
Acidità volatile
15 meq/l (indicativo)
Alcalinità
50 meq/l (indicativo), con rapporto tra alcalinità volatile e acidità volatile di almeno
2:1
Rapporto C/N della
biomassa
25 – 35
Ammoniaca
< 200 – 150 mg/l
La digestione anaerobica può essere condotta in condizioni mesofile (circa 35° C) o termofile
(circa 55° C) o più raramente a freddo (temperature minori di 35° C). La temperatura
determina la durata del processo e quindi il tempo di ritenzione della biomassa nel digestore
33
(conseguentemente il suo volume), che non supera mediamente il periodo di 50-60 giorni in
condizioni di mesofilia e di 20 giorni in condizioni di termofilia.
Allo stato attuale, grazie all’esperienza accumulata nel corso degli anni, la tecnologia è da
ritenere consolidata e disponibile nelle versioni:
-
-
monostadio, quando le fasi di idrolisi, acidogenesi, acetogenesi e metanogenesi
avvengono all’interno dello stesso reattore. E’ la soluzione preferita per i piccoli
impianti, indicativamente di potenza minore di 300 kW e;
bistadio, quando i processi di idrolisi e acidogenesi avvengono in un primo reattore e
successivamente la acetogenesi e la metanogenesi sono svolte in un secondo
reattore. E’ normalmente utilizzata per impianti con potenza superiore ai 500 kW e.
La soluzione monostadio permette, anche se rappresenta un compromesso, di contenere i
costi d’impianto (opere civili, vasche, miscelatori e pompe, ecc.) e di facilitare la
realizzazione di sistemi modulari che possono “crescere” nel tempo in dipendenza delle
necessità aziendali.
Sulla base del tenore di sostanza secca (s.s.) della biomassa, si distinguono infine tre
tecniche di processo che influenzano le modalità di costruzione degli impianti:
-
ad umido (wet) quando il contenuto di s.s. è inferiore al 10% (es.: liquami zootecnici o
fanghi di depurazione);
a secco (dry), quando il contentuo di s.s è superiore al 20%;
semi-secco (semi dry), quando il contentuto della s.s. è compresa tra il 10 e il 20%.
2.4.2 Biomasse utilizzabili e relative rese
La digestione anaerobica sviluppata a livello rurale ha sempre considerato i reflui zootecnici
come biomassa base, anche se consentono produzioni di biogas ridotte se confrontate con i
residui di origine vegetale e le coltivazioni dedicate.
La composizione dei reflui si presenta molto variabile in funzione del tipo d’allevamento,
dell’età degli animali nonché delle modalità di gestione dei reflui stessi. E’ buona norma, nel
caso di valutazioni, procedere a delle analisi di laboratorio.
Per valutazioni approssimate sulla resa si può fare riferimento alla Tabella 18 che riporta
anche le caratteristiche e le rese di altri materiali che sono tipicamente utilizzati nei processi
di co-digestione. Si tratta di biomasse con un contenuto di umidità generalmente superiore
al 50%, ricche di sostanze amilacee e zuccherine, quindi facilmente fermentescibili.
La conoscenza del dato di produzione potenziale del biogas a partire da diverse biomasse,
unitamente ai rispettivi costi, permette di calcolare il costo unitario di Biogas producibile (€/m 3
di gas producibile) che, sebbene indicativo, è utile per meglio individuare i mix più
interessanti (Tabella 19).
La miscelazione di diversi prodotti consente di compensare le fluttuazioni stagionali della
disponibilità delle singole biomasse, mantenendo quindi più stabile nel tempo il processo. In
termini indicativi, la resa in metano aumenta tanto maggiore è la composizione in grassi
(0,85 m3 di CH4 per kg di grasso), seguita dalla frazione proteica (0,50 m 3 di CH4/kg) e dai
carboidrati (0.40 m3 di CH4/kg).
34
Tuttavia, diversi problemi possono nascere da un utilizzo delle diverse matrici, se utilizzate a
concentrazioni non adeguate. Per esempio: un’aggiunta eccessiva di oli e grassi può
determinare un’elevata formazione di schiume; residui con elevata concentrazione d’inerti
(sabbia, terra, ecc.) possono favorire la formazione di sedimento nel digestore, con una
conseguente riduzione del volume attivo; una quantità eccessiva di deiezioni avicole può
causare una elevata concentrazione di ammoniaca nel substrato che può risultare tossica
per la flora metanigena.
Si sottolinea quindi l’importanza di procedere a frequenti analisi chimiche delle biomasse che
si intendono utilizzare.
E’ evidente che i materiali residuali possono presentare un rapporto tra costi (legati
all’approvvigionamento) e benefici (legati alla produzione di gas combustibile) tali da
costituire l’unica soluzione o quasi per rendere fattibile economicamente la digestione
anaerobica in un’ottica di riduzione degli incentivi (Tabella 19).
Tabella 18. Rese metanigene e caratteristiche chimiche di alcune biomasse (E.Foppa Pedretti et.al, 2009.
Sostanza
secca
(s.s.)
Solidi
Volatili
(SV)
Azoto
Conversio
ne in
Biogas
(% sul
peso t.q)
(% sulla
s.s)
(% sul peso
t.q)
0.6 – 25
60 – 85
10–16
75-85
7-10
Conversion
e in
Biometano
Biometano
(m /tsv)
(% CH4)
(CH4 m /ttq)
3 – 17,7
300–550
60 – 65
0,6 – 61
3-4,8
300-450
60-65
14-40
75-85
3,8-5,3
300-450
60-65
9-25
0.6-2.9
60-75
7,4-17,7
300-450
60-65
1-6
Suini
1.5-6
65-80
4-13.3
450-550
60-65
3-17
Ovaiole
19-25
70-75
4,5-7
300-500
60-65
24-61
Letame
11-80
60-90
1,2-6,7
300-500
60-65
24-61
Letame bovino
11-25
65-85
1,2-2,.8
200-300
60-65
9-41
Letame suino
20-28
75-90
1,.8-2
450-550
60-65
41-90
Letame avicolo
60-80
75-85
4,3-6,7
400-500
60-65
108-221
Pollina pre-essiccata
40-80
60-70
3.4-6.4
450-550
60-65
65-200
Letame ovino
22-40
70-75
1,9-3,5
240-500
60-65
22-98
Colture energetiche
14-37
70-98
0,2-4,2
300-650
50-60
18-123
Insilato di mais
20-35
85-95
1.1-2
350-550
53-55
32-101
Insilato di sorgo
18-37
87-93
1,4-1,9
550-650
53-55
46-123
Riso
30-35
92-98
3,8-4,2
500-600
53-55
73-113
Barbabietola da
zucchero
21-25
90-95
2,4-2,8
450-550
55-60
47-78
Colletti e foglie di
barbabietola
14-18
78-80
0.2-0.4
350-450
50-55
18-36
Erbasilo
35-35
70-95
2,0-3,4
300-500
53-55
28-91
Trifoglio
19-21
79-81
2,6-3,8
300-500
50-55
23-47
Residui agroindustriali
3.5-90
70-97
0,5-13
300-600
50-60
5-240
Residui della
25-45
90-95
1-1,2
500-600
55-60
62-154
Biomassa
Liquame
Bovini da latte
Bovini da carne
Vitelli
35
3
3
lavorazione dei
succhi di frutta
Scarti di lavorazione
da ortofrutta
5-20
80-90
3-5
350-500
50-60
7-54
Melasso
80-90
85-90
1,3-1,7
300-450
50-55
102-200
6-7
85-95
5-13
500-600
50-53
13-21
27-35
96-97
3,1-3,2
300-400
50-55
39-75
Residui della
distillazione dei
cereali
6-8
83-88
6-10
400-500
50-55
10-19
Trebbie di birra
20-25
70-80
4-5
300-400
50-55
21-44
Residui della
lavorazione delle
patate
Buccette di
pomodoro
Siero
4-7
80-82
0,7-1,0
330-400
50-55
5-14
Polpa di cellulose
12-14
89-91
5-13
450-550
50-55
24-39
Paglia
85-90
85-89
0.5-1.0
450-550
53-55
175-240
Acque di vegetazione
3.5-3.9
70-75
4-5
400-500
50-55
5-8
Rifiuti
6-75
41-97
0,5-17
300-850
50-70
20-170
FORSU (Frazione
Organica Rifiuti Solidi
Urbani)
40-75
50-70
0,5-2,7
300-450
50-60
30-140
Scarti della
ristorazione
9-37
80-95
0,6-5
650-800
50-60
23-170
Contenuto viscere e
sangue suino
12-20
75-94
2,0-3,0
650-800
60-65
35-100
Gusci di uova
21-25
95-97
7,5-8,5
600-850
60-65
72-134
Tabella 19. Costi unitari di biogas per differenti biomasse a confronto. (F.Adani et al., 2008).
Sostanza
secca
(%)
Produzione Biogas
potenziale
3
(m /ttq)
Costo
(€/t)
Costo unitario
biogas
producibile
3
(€/m biogas)
Insilato di mais
30
200,4±8,2
72
0,36
Insilato di sorgo
20
118,8±4,7
65
0,55
32,7
22,6±20,9
75
0,33
Biomassa
Farina di mais
Farina di riso
89
517,9±1,8
150
0,29
26,6
182,9±2,7
80
0,44
Pastone di frumento
45
316,9±8
110
0,35
Paglia di orzo
36
190±4,9
47
0,26
Liquame Suino Fresco
4,2
10,4±0,4
0
0,00
Liquame Suino predigerito
3,3
5,2±0,3
0
0,00
Liquame Bovino
1,8
2,4±0,1
0
0,00
Pollina
23,5
97,8±6,4
0
0,00
Deiezioni di Coniglio
37,1
130,2±3,8
0
0,00
Fanghi di depurazione
19,3
46,4±0,9
0
0,00
Scarti di frutta e verdura
23,7
158,1±18,7
-45
-0,28
Scarti di carne e pesce
42,4
415,5±10
-45
-0,11
Scarti di macellazione
19
102,5±0,4
-45
-0,44
Scarti di panificazione
66
482,5±27,8
60
0,12
Granella di mais
36
Scarti Lattiero-caseari
14,5
112,8±4,4
0
0,00
Trebbie di birra
26
101,8±2,1
20
0,20
Fanghi della produzione di birra
6,3
29,5±0,2
10
0,34
Scarti di patate
20
126,8±3,5
0
0,00
Melasso
98
498,5±6,7
120
0,24
Glicerina
98
587,6±43,3
70
0,12
Sansa di oliva 1
27,6
301,0±9,3
20
0,07
Sansa di oliva 2
83,2
521,9±5
20
0,04
Sanse della lavorazione di oli vari
24,1
175,4 ± 8
20
0,11
Con il DM del 6 Luglio 2012 “Attuazione dell’art. 24 del D.lgs. 3 marzo 2011, n.28 recante
disposizioni d’incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti
rinnovabili diversi da quelli fotovoltaici” il legislatore, sotto il profilo degli incentivi, favorisce
gli impianti di piccole dimensioni alimentati da sottoprodotti. Tale strategia, unitamente a
nuove procedure che rendono più onerosa la presentazione di richieste di incentivo per
impianti superiori ai 100 kWe (iscrizione al registro informatico GSE e anticipazioni di spese
relative alla progettazione, autorizzazioni e connessioni alla rete elettrica), modificano in
modo più che significativo il quadro di mercato.
Dal legislatore si attende anche un'incentivazione specifica per il biometano che tuttavia
dovrebbe essere allineata con quella della produzione di energia elettrica.
Molte aziende installatrici si sono adeguate al nuovo panorama ampliando la propria offerta
tecnologica con soluzioni di piccola taglia, ovvero con potenze nominali comprese tra 100 e
300 kW e, che, stando alle dichiarazioni, sono in grado di garantire la redditività degli
investimenti anche con il nuovo regime incentivante.
Per questi
impianti, che entreranno in esercizio commerciale dal 2013, la tariffa
omnicomprensiva è pari a 236 €/MWhe. In particolare, per i piccoli impianti alimentati a
sottoprodotti, operanti in sistemi di cogenerazione ad alto rendimento e con sistemi di
recupero di azoto, l’incentivo è suscettibile di maggiorazioni
(fino a 276 €/MWhe
complessivi).
2.5 Prospettive di crescita per la filiera del biogas di piccola taglia e
per la produzione di biometano
I nuovi incentivi introducono, nei confronti della cultura che si è creata con “l’esplosione”
degli impianti a biogas, delle problematiche meramente economiche in quanto quelle
tecniche non sussistono o potrebbero sussistere solo se la ricerca di soluzioni più
semplificate (ovvero economiche) spinge a scelte penalizzanti sotto il profilo produttivo e
della affidabilità di funzionamento.
La domanda tipica riguarda la convenienza a realizzare nuovi impianti all'interno del nuovo
quadro. La risposta non può essere che vaga. Sicuramente esistono delle condizioni in cui si
rileva una buona convenienza anche con taglie ridotte. L’aspetto strategico è senza dubbio
legato al costo della biomassa utilizzata: forse bisognerebbe partire proprio da questo
37
aspetto per impostare le diverse valutazioni (sono in grado di reperire della biomassa a costo
zero o quasi? E’ sufficiente per ottenere dei mix validi lungo tutto l’anno?). Sicuramente il
quadro non è “ricco” come prima.
D’altronde il legislatore, spinto peraltro dall’opinione pubblica e dalla necessità di contenere il
peso economico delle rinnovabili, ha voluto “ridimensionare” il settore, tentando di fare
rientrare gli impianti in un’ottica più rurale a servizio delle attività agricole, riducendo quindi la
spinta verso soluzioni imprenditoriali basate solo sull’aspetto energetico.
E’ una politica giusta? Non è questa la sede per affrontare il problema, limitiamoci ad
osservare che ora le cose stanno in questo modo. Peraltro dicendo questo non dobbiamo
dimenticare che gli impianti già realizzati continueranno a godere dei vecchi incentivi per
tutto il periodo contrattuale stabilito (normalmente 15 anni dal momento di avvio dell’attività di
vendita dell’energia elettrica).
Oltre alla disponibilità di biomassa idonea a costo contenuto, l’altro aspetto critico risiede
negli investimenti specifici che notoriamente crescono al diminuire delle taglie di impianto.
Se prima il riferimento classico era quello di un impianto di 1 MWe con costi specifici
dell’ordine di 2.500 - 3.000 € per kW e, ora, nell’ottica di realizzare impianti da 100-300 kWe i
costi si portano, facendo riferimento alle soluzioni commerciali “chiavi in mano”, a valori di
5.000 – 7.500 €/kW e.
In questo contesto, come già osservato in modo più o meno diretto, non si intravedono
particolari spazi per le colture energetiche, per cui si ritiene che il migliore indice di fattibilità,
almeno iniziale, sia la disponibilità di residui.
La produzione di biometano, come già detto, non dovrebbe introdurre particolari variazioni
del quadro economico se non quella di aumentare le opportunità di installazioni di nuovi
impianti, se posizionati in luoghi ove sarà possibile la valorizzazione del combustibile (al fine
di favorirne l’iniezione in rete o l’uso come biocarburante per i trasporti). Per valutare le
possibili applicazioni bisogna tuttavia attendere gli appositi disposti legislativi.
2.6
Biogas e Biomasse - procedure
Quanto segue ha carattere puramente indicativo e di sintesi e non ha nessuna validità
legale.
Per informazioni di dettaglio rivolgersi quindi a professionisti o ai servizi pubblici locali o
regionali.
Il sito internet del GSE (www.gse.it) rappresenta una fonte informativa primaria.
38
2.6.1 Produzione di elettricità con o senza cogenerazione
Procedure generali per le autorizzazioni di impianti a biogas o biomassa solida di potenza
inferiore a 1 MWe
Tipologia di impianto
Potenza (kW)
Tipo di procedura
0 - 50
Comunicazione al Comune
Impianti compatibili con il regime di scambio sul posto non
ricadenti nel caso precedente che non alterano i volumi, le
superfici, le destinazioni l’uso, il numero delle unità
immobiliari (vanno verificati altri vincoli)
Qualsiasi
Comunicazione al Comune
Impianti operanti in assetto cogenerativo fino a 1000 kWe
ovvero 3000 kWt (piccola cogenerazione) non ricadenti
nei casi precedenti
50 - 1000
PAS
(procedura abilitativa
semplificata)
Impianti al di sotto della soglia ex tab. A D.Lgs. 387/2003
non ricadenti nei casi precedenti
0- 200 (per le
biomasse) o 250
(per il biogas)
PAS
(procedura abilitativa
semplificata)
Impianti operanti in assetto cogenerativo fino a 50 kWe
(micro cogenerazione)
2.6.2 Comunicazione al Comune
La comunicazione al Comune è stata introdotta dal D.Lgs. 115/2008 per semplificare l’iter
autorizzativo di alcune tipologie di piccoli impianti a fonti rinnovabili. Ha ampliato il suo
campo d’azione con l’approvazione della Legge 73/2010 di conversione del D.L. 40/2010.
Attualmente è sufficiente la presentazione della semplice Comunicazione dell’inizio dei lavori
da parte del soggetto interessato al Comune per la realizzazione degli impianti con le
seguenti caratteristiche (si citano solo i casi di interesse di questa pubblicazione):
-
unità di microcogenerazione ad alto rendimento di potenza non superiore a 50 kW
elettrici (Articolo 27, comma 20, della legge 99/2009);
impianti a fonti rinnovabili compatibili con il regime di scambio sul posto (SSP) che
non alterino i volumi, le superfici, le destinazioni d’uso, il numero delle unità
immobiliari, non implichino un incremento dei parametri urbanistici e non riguardino le
parti strutturali dell’edificio.
In ogni caso, il ricorso alla comunicazione è precluso al proponente che non abbia titolo sulle
aree o sui beni interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse (in assenza di tale titolo
l’impianto deve seguire l’iter autorizzativo unico).
2.6.3 Procedura abilitativa semplificata (PAS)
Il D.Lgs. 28/2011 ha modificato gli schemi autorizzativi delineati nel 2010 con l’approvazione
delle Linee Guida Nazionali: la Denuncia di Inizio Attività (DIA) è sostituita dalla Procedura
Abilitativa Semplificata (PAS). Al contempo viene data alle Regioni la possibilità di ampliare il
campo di applicazione di tale strumento ad impianti di potenza fino a 1 MW (art. 6).
La P.A.S. si applica (sempre con riferimento ai casi qui trattati) a:
39
-
-
Impianti a biomasse e biogas operanti in assetto cogenerativo fino a 1000 kWe, cioè
3000 kWt (piccola cogenerazione) per i quali non è applicabile la semplice
Comunicazione al Comune;
Impianti a biomasse fino a 200 kW per i quali non è applicabile la semplice
Comunicazione al Comune.
La PAS deve essere presentata dal soggetto interessato al Comune almeno 30 giorni prima
dell’effettivo inizio dei lavori. Nel caso in cui l’immobile sia sottoposto a vincolo tutelato dallo
stesso Comune, il termine di 30 giorni è sospeso e decorre dalla conclusione del relativo
procedimento. Se la tutela del vincolo compete ad un’altra amministrazione e il suo parere
non è allegato alla PAS, il Comune entro 20 giorni convoca una conferenza di servizi. Il
termine decorre quindi dall’adozione della decisione conclusiva.
La denuncia di impianto deve essere accompagnata da una relazione firmata da un
progettista abilitato e dagli elaborati progettuali in grado di asseverare la conformità del
progetto agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi. Alla PAS, che ha una validità di 3
anni, occorre allegare anche il preventivo per la connessione, redatto dal gestore della rete
ed accettato dal proponente, nonché l’indicazione dell’impresa alla quale si vogliono affidare
i lavori. In caso di false dichiarazioni, il dirigente comunale interpella l’autorità giudiziaria.
A fine intervento, il progettista o il tecnico abilitato presenta al Comune un certificato di
collaudo finale.
In ogni caso, il ricorso alla PAS è precluso al proponente che non abbia titolo sulle aree o sui
beni interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse (in assenza di tale titolo l’impianto
deve seguire l’iter autorizzativo unico).
2.6.4 Autorizzazione unica
L’autorizzazione Unica è il provvedimento introdotto dall’articolo 12 del D.Lgs. 387/2003 per
l’autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili al
di sopra delle soglie di potenza di 200 (biomasse) e 250 (biogas) kWe.
L'Autorizzazione Unica, rilasciata al termine di un procedimento unico svolto nell'ambito della
Conferenza dei Servizi cui partecipano tutte le amministrazioni interessate, costituisce titolo
a costruire e a gestire l'impianto e, ove necessario, diventa variante allo strumento
urbanistico.
Tale titolo autorizzativo non sostituisce la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) laddove
richiesta dalla legislazione vigente.
La competenza per il rilascio dell’Autorizzazione Unica è in capo alle Regioni (o alle
Province, se delegate dalla disciplina regionale).
I tempi del procedimento sono così stabiliti:
-
-
Entro 15 giorni dalla presentazione della richiesta, l’Amministrazione competente,
verificata la completezza formale della documentazione, comunica al richiedente
l’avvio del procedimento oppure la non procedibilità dell’istanza per carenza della
documentazione prescritta. In questo secondo caso, sarà solo dalla data di
ricevimento della documentazione completa che andranno ricalcolati i tempi.
Trascorsi i 15 giorni senza che l’amministrazione abbia comunicato l’improcedibilità, il
procedimento si intende avviato;
Entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, l’amministrazione convoca la Conferenza;
40
-
-
-
-
Nel corso del procedimento il proponente può presentare modifiche alla soluzione per
la connessione individuate dal gestore di rete, fermi restando gli atti di assenso e le
valutazioni già effettuate per quelle parti del progetto non interessate dalle modifiche;
Nel corso del procedimento possono essere richiesti dall’Amministrazione ulteriori
documentazioni e/o chiarimenti. Rispetto ai progetti sottoposti a V.I.A., i termini per la
richiesta di integrazioni e di produzione della relativa documentazione sono dettati dal
comma 3, articolo 26, D.Lgs. 152/2006 e dalle norme regionali di attuazione;
Entro la data in cui è prevista la riunione conclusiva della Conferenza dei Servizi, il
proponente deve fornire la documentazione che dimostri la disponibilità del suolo su
cui è ubicato l’impianto (all'articolo 12, comma 4-bis del D.Lgs. 387/2003);
Il termine per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a 90
giorni decorrenti dalla data di ricevimento dell’istanza. Il calcolo dei 90 giorni deve
comunque tenere conto delle eventuali sospensioni dovute alla richiesta di ulteriore
documentazione integrativa o di chiarimenti.
2.6.5 Procedure riviste dalla regione Lombardia
La Regione Lombardia, con LR 12 dicembre 2003 n. 26, ha delegato alle Province la
competenza amministrativa in materia di autorizzazione unica.
In attuazione della LR 26/2003, la Regione ha, con DGR 25 novembre 2009 n. 8/10622,
approvato le Linee guida per l’autorizzazione unica di impianti per la produzione di energia
da fonti rinnovabili.
Procedure previste dalla Regione Lombardia per le autorizzazioni.
Tipo impianto
Biomassse solide
Biogas
Potenza (kWe)
Procedimento
Riferimento
normativo
Ente
competente
< 200
Comunicazione o PAS
Dlgs 387/03
Comune
200
Autorizzazione Unica
Dlgs 387/03
Provincia
< 250
Comunicazione o PAS
Dlgs 387/03
Comune
250
Autorizzazione Unica
Dlgs 387/03
Provincia


2.6.6 Accesso agli incentivi per i nuovi impianti (DM 6.7.2012)
Si accede agli incentivi con le seguenti modalità:
-
-
-
Accesso diretto, nel caso di interventi di nuova costruzione, integrale ricostruzione,
riattivazione o potenziamento con potenza non superiore ad un determinato limite
(art.4 comma 3), pari per gli impianti a biomassa solida a 200 kWe e per quelli a
biogas a 100 kWe.
Viceversa bisogna procedere come segue:
Iscrizione a Registri, in posizione tale da rientrare nei contingenti annui di potenza
incentivabili (art.9 comma 4). Il Soggetto Responsabile dovrà richiedere al GSE
l’iscrizione al Registro informatico relativo alla fonte e alla tipologia di impianto per il
quale intende accedere agli incentivi;
Iscrizione a Registri per gli interventi di rifacimento, in posizione tale da rientrare nei
relativi contingenti annui di potenza incentivabile (art.17 comma 1). Il Soggetto
41
Responsabile dovrà richiedere al GSE l’iscrizione al Registro informatico per gli
interventi di rifacimento, relativo alla fonte e alla tipologia di impianto per il quale
intende richiedere gli incentivi.
2.7
Produzione di energia termica
2.7.1 Autorizzazioni ed esercizio
In termini generali vale il DL 152/06 e sue successive modificazioni.
Nel caso della Regione Lombardia, il riferimento è il D.g.r. 6 agosto 2012 - n. IX/3934 Criteri
per l’installazione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia collocati sul territorio
regionale che fornisce le indicazioni anche per gli impianti di produzione dell’energia
elettrica.
2.7.2 Incentivi
Al momento è vigente il DM 28.12.2012 che prevede il finanziamento dell’energia termica
prodotta con biomassa fino a potenze termiche di 500 kW.
Sono finanziati anche gli impianti da 500 a 1000 kW termici per il riscaldamento di serre
attraverso il meccanismo dei registri, del tutto simile a quello citato per l’incentivazione
dell’energia elettrica.
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43
NOTE
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