le infezioni in terapia intensiva. aspetti sociali e problematiche

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le infezioni in terapia intensiva. aspetti sociali e problematiche
DIFESA SOCIALE - vol. LXXXIII, n. 1 (2004), pp. 89-106
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LE INFEZIONI IN TERAPIA INTENSIVA. ASPETTI SOCIALI
E PROBLEMATICHE MEDICO LEGALI.
Panarese F.1 - De Lipsis L.2 - D’Oro E.3 - Ricci P.4
SUMMARY. Infections in intensive care units. social aspects and forensic medicine
problems
The Authors analyzed the various aspects of the problem of hospital infections, with special regard to the infections occurring in intensive care units. The latter account by themselves for 20% of all the hospital infections. The economic and
social costs are high. The paper proposes a model of prevention and control based
on the function of the "organizational integration" of a variety of different professionals involved. Within this context, special relevance should be attached to such
a professional as the forensic physician, meaning the professional who is able to
evaluate the anomalous situations and behaviors in order to limit mistakes with
foreseeable, administrative, deontological, claim-related and, generally, judicial
repercussions.
RIASSUNTO
Gli Autori hanno analizzato nei vari aspetti la problematica delle infezioni
ospedaliere: in particolare delle infezioni in terapia intensiva. Quest’ultime rappresentano da sole il 20% del totale delle infezioni nosocomiali. I costi economici
e sociali sono elevati. Si è proposto un modello di prevenzione e controllo basato
sulla funzione della “integrazione organizzativa” delle varie e numerose figure professionali coinvolte. In tale ambito, importante, sarebbe la figura professionale del
medico-legale, ovvero del professionista in grado di valutare i comportamenti e le
situazioni anomale al fine di limitare gli errori con prevedibili ripercussioni amministrative, deontologiche, risarcitorie e giudiziarie in genere.
1
Docente a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Medicina Legale e delle Assicurazioni, Facoltà
di Medicina e Chirurgia, Università “Magna Graecia” di Catanzaro.
2
Specialista Anestesista, Benevento.
3
Medico-Chirurgo, Benevento.
4
Direttore Istituto di Medicina Legale, Università “Magna Graecia” di Catanzaro - Presidente dell’Istituto
Italiano di Medicina Sociale.
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INTRODUZIONE
Le infezioni nosocomiali, rappresentano la risultante di un complesso rapporto tra agente infettante, ospite umano ed ambiente. Esse sono una delle espressioni di correlazione tra atteggiamenti comportamentali umani e sviluppo di malattie
infettive. La costante espansione del rischio infettivo nosocomiale, presenta ricadute sociali ed economiche tali da rendere il controllo delle infezioni una delle
emergenze primarie di ogni struttura ospedaliera. Inoltre, la sorveglianza, la prevenzione e il corretto approccio clinico-terapeutico di ogni malattia trasmissibile,
rappresentano uno degli indici prioritari di qualità dell’assistenza [1].
FATTORI DI RISCHIO
Sebbene le unità di terapia intensiva (UTI) non superino il 5% dei letti disponibili in ospedale e i pazienti ricoverati rappresentano solo il 10% dei ricoveri totali, le infezioni acquisite in questi ambienti superano il 20% delle infezioni nosocomiali. Le più frequenti sono rappresentate dalle polmoniti (40-45% di tutte le infezioni), seguite dalle sepsi da CVC (catetere venoso centrale) (12-17%), dalle sepsi
primitive (12-15%), dalle infezioni delle vie urinarie (10-12%) e, infine, da quelle
gastroenteriche (10-12%) [2].
GRAFICO 1 - Distribuzione percentuale media delle più frequenti infezioni nosocomiali in T.I.
12%
12%
46%
14%
16%
Polmoniti
Sepsi da CVC
Sepsi primitive
Infezioni delle vie urinarie
Infezioni gastroenteriche
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L’associazione dei microbiologi clinici italiani (AMCLI) spiega che le condizioni che favoriscono tale fenomeno possono essere così sintetizzate:
1) L’aumento della popolazione ospedaliera per cui sono tenuti in vita neonati
immaturi o anziani che una volta non sarebbero sopravvissuti;
2) La presenza di una ‘popolazione indifesa perché immunocompromessa da gravi
malattie (tumori), da infezioni importanti (virus HIV) o da cause iatrogene
(terapie immunosoppressive). In questi pazienti, anche microrganismi che non
hanno potere patogeno approfittano della mancanza di difese naturali.
3) La presenza di una popolazione ospedaliera sottoposta a interventi “invasivi”
diagnostici o chirurgici (drenaggi, applicazioni di protesi, trapianti) che possono favorire l’infezione.
4) L’impiego massivo di antibiotici contribuisce a creare batteri resistenti a un
gran numero di farmaci, che possono creare problemi terapeutici (in Italia, 7
casi su 100 di pneumocco sono insensibili al trattamento con penicillina).
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Tra i fattori di rischio per le infezioni in terapia intensiva vengono identificati:
tubi endotracheali
respirazione artificiale e immobilità
cateteri urinari e venosi
alto uso di antibiotici che può causare resistenza batterica e crescita di microrganismi fungini.
Inoltre, concorrono a costituire rischio:
alta densità di malati in corsia e nei reparti di cura intensiva
tutte le operazioni svolte in preparazione preoperatoria (la tricotomia è uno dei
più importanti fattori di rischio),
durata dell’intervento
fattori intrinseci del paziente: l’età, l’obesità, il diabete, la gravità della malattia, la generale situazione immunitaria che può essere compromessa anche per
l’insorgenza di altre malattie e/o di malnutrizione [3].
I COSTI
Le ripercussioni economiche delle infezioni ospedaliere non riguardano
soltanto la struttura ospedaliera, bensì tutto il comparto sanitario, in quanto è
ugualmente rilevante sia la componente dei costi a carico dell’ospedale, sia
quella a carico della società per un’eventuale assistenza extraospedaliera, o
riabilitazione (Tab. 1) [4]. L’OCSE, infatti, ha calcolato che tra il 1997 e il 2002,
i costi sanitari in Italia sono cresciuti dello 0.7% sul PIL italiano. L’Italia, alla
fine del 2002, ha registrato in cinque anni un aumento dello 0.8%, lo 0.1% in
più della media dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che è passata dal 7.5% del 1997 all’8.5% del 2002. Il totale delle spese per
la Sanità in Italia nell’arco 1997-2002 è cresciuto ad una media del 3.4% annuo
ed i rincari maggiori si sono attuati soprattutto per i farmaci che hanno regi-
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strato spese salite in media 1.3 volte più velocemente all’anno del totale delle
spese per la Sanità [5].
TABELLA 1 - Costi da considerare nella valutazione dell’impatto economico delle
infezioni ospedaliere.
Società
SSN o terzo pagante
Ospedali
Pazienti
costi diretti per l’assistenza
costi per la prevenzione
perdita di produttività e di imposte
costi sanitari
costi dell’indennità di malattia
costi diretti dell’assistenza
costi per il controllo delle infezioni
costo di antibiotici e disinfettanti
costi delle misure di isolamento
costi di laboratorio
perdita di opportunità
costi diretti dell’assistenza
perdita di reddito
perdita di qualità della vita
o invalidità residua
costo dell’assistenza domestica
TERAPIA INTENSIVA E INFEZIONE. ERRORE O SBAGLIO?
L’errore e/o lo sbaglio, in medicina, rappresentano un tema delicato per numerosi aspetti di comune comprensione. In primo luogo, per il danno al paziente, per
la frustrazione delle aspettative di guarigione del singolo, di una collettività ormai
allevata alla fallace idea di totipotenza della scienza, e, quindi, certa dell’ottenimento della guarigione, comunque e sempre. Così non accade. E ben sappiamo
quali siano le ricadute. Ma codesta, forse, è riflessione per addetti ai lavori e appello alla loro sensibilità morale. Giova puntualizzare, nello specifico, la differenza
attribuita allo Sbaglio, rispetto all’Errore da taluni AA., onde procedere linearmente nell’esposizione e renderla più agevole e comprensibile.
Si intende per Sbaglio, l’applicazione consapevole di una regola o di un metodo di cui si è (si deve essere) a conoscenza con conseguenze non volute ma prevedibili. Per Errore, l’insuccesso o incidente tecnico nella corretta applicazione di
teorie o regole scientifiche e tecniche. L’errore è insito nella relatività della scienza, la causalità imprevedibile degli eventi biologici. Per taluni AA., a differenza
dell’errore che si compie cercando di risolvere i problemi, lo sbaglio lo si commettte quando non si applica correttamente una regola o una teoria di cui si è a
conoscenza [6]. L’errore, in altri termini, costituisce in qualche modo, uno scotto
inevitabile che l’uomo deve pagare nella ricerca della verità, lo sbaglio una conseguenza non voluta (ma prevedibile ed evitabile) dell’operato di chi applica conoscenze già acquisite [7, 8].
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Ma come vedremo qui di seguito, non tutta la letteratura è concorde sull’attribuzione semantica al termine Errore e quindi, ai suoi risvolti giuridico-interpretativi e medico-legali. Errore: l’errore in generale consiste nella falsa rappresentazione della realtà attribuendo ai fatti una identità che non è la loro o una qualità
che ad essi non appartengono … omissis … l’errore tecnico o professionale deriva dalla trasgressione di quelle norme che sono universalmente riconosciute valide dalla scienza. L’errore può derivare da omissioni o da azioni improprie e può
dipendere da imperizia, imprudenza o negligenza … omissis … non costituisce
errore colpevole il seguire o preferire l’una o l’altra teoria o corrente scientifica
che si contendono il campo, ma che sono ritenute parimenti valide in un determinato momento storico, né è censurabile il fatto in sé di preferire l’uno o l’altro
metodo di cura seguendo gli indirizzi sperimentati di una determinata scuola [9].
Per parte nostra, aderiamo a codesta ultima interpretazione definitoria che ci
appare più agevole e applicabile nella comprensione dei casi da esaminare in termini di contenzioso e di analisi interpretativa medico-legale.
QUANTO VALE UN ERRORE?
Errore, spesso vuol dire costi aggiuntivi. Alludiamo a quegli oneri economici
che la sanità deve subire in caso di errore medico e, comunque, per difendersi da
codesta sempre crescente accusa, in forma di spese legali, studio del rischio, misure di profilassi in generale. È evidente, che quando le aspettative dell’utenza sono
elevate, la richiesta psicologica di successo è proporzionalmente alta. Il desiderio
del risarcimento, nasce soprattutto dall’insuccesso nel risultato atteso, che non dall’evidenza dell’errore, ovvero dalla colpa in senso stretto [10]. Negli USA è stato
calcolato che in ogni reparto di terapia intensiva si verifichino 1,7 errori ogni giorno [11]. Nel caso di specie, trattasi di errori tipicamente omissivi. Nella condotta
omissiva si deve svolgere una valutazione ex ante ovvero si fa un calcolo probabilistico della riconducibilità del danno alla colpa. Secondo i più recenti orientamenti
giurisprudenziali in Italia (Cassazione Penale Sez. Unite sentenza 11 settembre
2002 n. 30328) tale probabilità, per accertare la colpa o l’errore, deve essere prossima alla certezza. È condivisibile, a tal proposito, l’affermazione del Fineschi
secondo la quale “la medicina legale ha dunque il compito ineludibile di superare
un passato criteriologico alla ricerca di un metodo scientifico aggiornato ed attuale, su cui si crei il consenso della Società scientifica …”[12]. Solo negli USA i
danni conseguenti agli errori nelle cure comportano delle spese aggiuntive che
ammontano a circa 37,6 miliardi di dollari l’anno [13]. Il rischio di danno alle cure
è una questione delicata, anche per alcuni operatori sanitari, soprattutto per categorie, come i chirurghi e gli anestesisti, i quali, a causa della peculiarità della loro
specialità e dei rischi ad essa connessi, sono vessati dai continui aumenti delle loro
polizze assicurative e, talvolta, hanno difficoltà a trovare delle nuove coperture
[14]. Infine, le conseguenze di una prestazione sanitaria sbagliata, o inadeguata,
può avere delle ripercussioni importanti anche sulla salute del paziente. L’IOM
definisce l’errore medico come “mancanza di completare un’azione così come pia-
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nificata o l’uso di una strategia inadatta a raggiungere un obiettivo”. Esso, deriva
dalla trasgressione di quelle norme che sono universalmente riconosciute valide
dalla scienza; in particolare, l’errore compiuto dal medico riguarda la diagnosi, la
prognosi o la terapia, quest’ultimo molto più frequente e più grave [15, 16]. I principali fattori attribuibili a colpa medica, ossia ad inosservanza di norme leggi regolamenti o discipline, che concorrono con i fattori di rischio già elencati alla diffusione delle infezioni ospedaliere, in particolare modo nei reparti di terapia intensiva, sono legati soprattutto al comportamento del personale sanitario, in particolare
alla scarsa aderenza a buone norme igieniche e all’utilizzo, spesso massivo e inappropriato, della terapia antibiotica [17]. È bene dire subito che probabilmente solo
una percentuale molto piccola di infezione è dovuta a quelli che possono essere
identificati come veri e propri errori (farmaco non idoneo o sotto dosato, operatore sanitario che non si lava bene le mani, strumenti sterilizzati in maniera inadeguata) e, in questi casi, non occorre lambiccarsi troppo il cervello per capire cosa
è successo, bensì bisogna tenere presente tutte le conseguenze che ne possono derivare:
z exitus del paziente (raro)
z prolungamento della degenza
z lievitazione dei costi.
ONERI E RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI
Tra le responsabilità professionali, oltre alla competenza professionale, all’onestà nei confronti del paziente,alla chiara applicazione delle norme deontologiche, alla riservatezza dei dati, ad una equa distribuzione delle risorse limitate, c’è
sicuramente il richiamo ad adoperasi per migliorare la qualità delle cure al fine di
ottimizzarne gli esiti con un miglior rapporto costo beneficio. È innegabile che
spesso vi sia un’inappropriatezza dell’uso o dell’abuso di una determinata terapia
antibiotica, o che qualche volta vi sia negligenza nell’adoperare quelle corrette
misure igieniche tese a mantenere sterile un ambiente, come la terapia intensiva
[18], che a causa del target dei pazienti ricoverati e delle procedure diagnosticoterapeutiche invasive spesso adoperate per una corretta monitorizzazione, necessita di spazi il più possibile asettici, ma è soltanto grazie ad una corretta gestione del
rischio clinico e di livelli di conoscenza più o meno avanzati, che si può evitare di
cadere in tutti quegli errori o in tutte quelle complicanze definite “evitabili” (diagnosi errata, somministrazione errata di farmaci per grafia poco leggibile, sterilizzazione inadeguata degli strumenti, errori nei prelievi e nei referti, smarrimento
degli esami di trasporto, ecc.) [19]. Alcuni di questi problemi, potrebbero essere
superati con il corretto utilizzo della cartella clinica1; una brutta grafia, una cattiva
1
La Cassazione penale ravvisa nella cartella clinica i caratteri di un atto pubblico. Dall’unisono si staccano
le voci di De Pietro e D’Angora ( in La cartella clinica. Problemi procedurali e aspetti medicolegali, Ediz.
Libreria Martinucci, Napoli, 1985, p. 39.), di N. M. Di Luca et al (in Profili medicolegali e giuridici della cartella clinica nell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale, Jura Medica 1-3, 81, 1990), e di V. Fineschi (in La car-
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trascrizione, una scarsa comunicazione interna tra i professionisti del reparto, sono
alla base del 25% degli errori di terapia farmacologia che si verificano in ospedale [20, 21]. Una cartella clinica, come fonte di dati, può essere utilizzata per un’analisi dei costi, per valutazioni epidemiologiche, per ricerche clinico-scientifiche,
per studi valutativi dell’attività assistenziale ma, soprattutto, deve essere utile al
paziente e comprensibile al medico curante [22].
Normativa e legislazione
Il problema delle infezioni acquisite in ospedale è da tempo oggetto dell’attenzione del Servizio Sanitario Nazionale come di altri organismi a livello europeo.
Il Consiglio d’Europa, che già nel 1971 aveva emanato ai governi raccomandazioni sull’argomento (raccomandazioni nn. 72/31; 76/7; 80/15), si è nuovamente
occupato dell’argomento, istituendo un apposito comitato di esperti, che ha effettuato uno studio pilota presso alcuni ospedali europei: Limoges (Francia), Morges
(Svizzera), Lisbona (Portogallo), Woerden (Paesi Bassi), Roma (Italia), Ankara
(Turchia). Scopo del comitato di esperti del Consiglio d’Europa, è quello di pervenire ad una strategia metodologica comune di lotta contro le infezioni ospedaliere
in tutti gli Stati membri, nonché alla promulgazione di regole comuni riguardanti
la segnalazione di queste infezioni e alle istruzioni precise per ciascun procedimento tecnico o curativo che comporti rischi di infezione. Il Consiglio d’Europa ha
pertanto diramato la raccomandazione 84/20, offrendo indicazioni cui la presente
circolare fa riferimento. Nel settembre 1984 l’Assemblea Europea dell’Ufficio
Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva indicato tra le priorità
da affrontare per raggiungere la salute per tutti nell’anno 2000, il controllo delle
Infezioni Ospedaliere [23]. Nell’ambito della raccomandazione sopra citata, questo Ministero ha elaborato le seguenti linee guida ovvero circolari Ministeriali in
tema di lotta contro le infezioni ospedaliere, sulle quali il C.S.S. ha espresso il proprio parere favorevole. Dette circolari, la n. 52/1985 e la n. 8/1988, definiscono i
requisiti di base dei programmi di controllo e indicano come viene costituito un
tella clinica in: « Guida all’esercizio professionale per i medici chirurghi e gli odontoiatri », Edizioni MedicoScientifiche, Torino, 1994 [e succ. agg.], p. 360.) che non ravvisano nella cartella clinica tutti i requisiti richiesti
dall’art. 2699 c.c. per l’atto pubblico. Sta di fatto che, al di là delle autorevoli, ma non immutabili posizioni assunte dalla Cassazione con il trasparente scopo di applicare il massimo rigore sanzionatorio penale per il caso di falso,
come afferma il Merusi (in La cartella clinica, Giuffrè, Milano, 1978, p. 31), « la cartella clinica, nonostante la
sua importanza pratica ed operativa, non ha a tutt’oggi una disciplina giuridica diretta, tanto che per definirne la
natura giuridica e per studiarne le molteplici implicazioni giuridiche, si è costretti a procedere sulla base dei principi generali del diritto amministrativo ». Ma proprio la polivalente natura della cartella clinica che dispiega i suoi
effetti nel campo del diritto amministrativo, così come in quello del diritto privato, per sconfinare sovente in quello del diritto penale ha finito, come afferma F. Buzzi (in La cartella clinica: atto pubblico, scrittura privata o «tertium genus»?, Riv. It. Med. Leg. 19,6:1160, Giuffrè, Milano) per consentire ad ogni interprete di connotarla come
meglio tornava utile ai fini del proprio campo operativo,a configurare un ibrido giuridico che Magliona e Iorio
(in La regolare compilazione della cartella clinica, Riv. Med. Leg. 23, 114, 1994) hanno giustamente definito
come « certificazione amministrativa, alla quale tuttavia è stato riconosciuto un significato probatorio privilegiato rispetto ad altri mezzi di prova ».
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Comitato di controllo per la lotta alle infezioni. Questo Comitato2, coadiuvato dal
Direttore Sanitario, deve comprendere almeno un rappresentante di altre aree funzionali, ma esperti in igiene, in malattie infettive ed in microbiologia che devono
costituire le figure essenziali; è importante anche la presenza di un dirigente del
personale infermieristico3 con funzioni di sorveglianza, educazione del personale,
collegamento tra il Comitato e le diverse aree funzionali. Il Comitato ha inoltre il
compito di designare un ristretto gruppo operativo a cui affidare specifiche mansioni del programma. Nella circolare n. 8/1988, come già sottolineato nella precedente circolare n. 52/1985, è ribadito il concetto necessario di avviare negli ospedali sistemi di sorveglianza delle infezioni ospedaliere, allo scopo di monitorare
l’andamento di tale fenomeno, identificare le aree prioritarie di intervento, valutare le misure di controllo adottate. La suddetta circolare si proponeva di delineare
alcuni aspetti chiave per l’avvio di un sistema di sorveglianza e suggerire i diversi
approcci possibili a questo problema. L’esperienza di altri paesi dimostrava come
l’avvio di sistemi di sorveglianza “passiva” a livello nazionale (notifica dei casi di
infezione da parte del medico di reparto sulla base di una unica scheda), non rappresenti una scelta efficace: l’elevata proporzione di casi non notificati e la sua
variabilità da ospedale ad ospedale e fra diversi reparti all’interno dello stesso
ospedale, rende impossibile l’interpretazione dei dati raccolti. I sistemi di sorveglianza continua in ospedale si sono dunque generalmente basati sulla ricerca “attiva” dei casi da parte di figure responsabili della sorveglianza; la ricerca attiva consiste nell’esame periodico di fonti informative diverse (cartella clinica, cartella
infermieristica, ecc.) per identificare l’insorgenza di infezioni. Sono stati proposti
e sperimentati numerosi sistemi di sorveglianza, che si differenziano fra loro per
esaustività delle informazioni raccolte, periodicità della rilevazione, grado di
2
Circolare Ministeriale 52/1985: “… Allo scopo di assicurare un’operatività continua in materia di
Infezione Ospedaliera, è necessario che in ogni presidio ospedaliero, o in aggregati Ospedali di piccole dimensioni, sia istituita una commissione tecnica responsabile della lotta contro le Infezioni Ospedaliere. Tale comitato
dovrà:1)Definire la strategia di lotta contro le Infezioni Ospedaliere, con particolare riguardo ai seguenti aspetti:
organizzazione del sistema di sorveglianza, misure di prevenzione, coinvolgimento appropriato dei servizi laboratoristi, metodo e mezzi per informare il personale ospedaliero sull’andamento delle infezioni. 2)Verificare l’effettiva applicazione dei programmi di sorveglianza e controllo e la loro efficacia. 3) Curare la formazione culturale e tecnica in materia del personale. Il comitato coadiuvato dal Direttore Sanitario deve comprendere almeno
un rappresentante delle aree funzionali, ma gli esperti in igiene, in malattie infettive ed in microbiologia devono
costituirne le figure essenziali, così come è fondamentale la presenza del dirigente del personale Infermieristico.
Il comitato designerà un ristretto gruppo operativo cui affidare specifiche mansioni attinenti al programma; un
medico igienista della Direzione Sanitaria, un esperto in microbiologia, un esperto in malattie infettive, una caposala, tre infermieri professionali particolarmente addestrati in materia, un farmacologo clinico o farmacista ospedaliero. Il gruppo operativo deve ricevere dall’autorità competente l’assegnamento del tempo e delle risorse
necessari per l’espletamento dei suoi compiti. Il gruppo operativo partecipa ai lavori del comitato”.
3
Circolare Ministeriale 52/1985: “… E’ una figura fondamentale per la sorveglianza delle infezioni ospedaliere: è un’infermiera/e professionale con una certa esperienza consolidata nel lavoro di reparto (chirurgico o
medico) e coinvolta nel programma di controllo. Le sue funzioni sono le seguenti:1)Sorveglianza delle infezioni
ospedaliere (rilevazione dei dati ed analisi periodica, indagini di eventi epidemici). 2)Educazione-insegnamento
(programmi di aggiornamento, nuovi assunti, ecc.) nei confronti del personale di assistenza. 3)Collegamento tra
il Comitato per le Infezioni Ospedaliere e le diverse aree ospedaliere (applicazione delle misure di controllo decise). 4)Modificazione dei comportamenti del personale di assistenza. Tale figura dovrebbe essere identificata
all’interno del personale esistente ed essere dotata di specifica competenza per assolvere alle sue mansioni”.
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copertura delle diverse aree ospedaliere, fonti utilizzate per identificare l’insorgenza delle infezioni. Sulla base dei risultati ottenuti da tali studi, non sembra possibile delineare un modello di sorveglianza adattabile a tutti gli ospedali: le dimensioni di ciascun ospedale, il tipo di reparti presenti, l’esistenza o meno di un laboratorio autonomo di microbiologia e di un sistema di archiviazione automatica dei
dati microbiologici, rappresentano alcuni degli aspetti da considerare nella scelta
di quale sistema di sorveglianza sia preferibile adottare [24]. E’, invece, indispensabile che tutti gli ospedali adottino criteri omogenei per la definizione delle infezioni, allo scopo di rendere possibile il confronto dei dati ottenuti in ciascun ospedale4. Nel 1990, si è giunti, per mezzo del decreto Ministeriale del 15 dicembre
1990, all’attuazione dei criteri indicati nelle precedenti circolari. In altre parole si
è proceduto alla stesura di linee guida per la creazione di un “sistema informativo
delle malattie infettive e diffusive” e alla “classificazione delle malattie in quattro
classi con relativo dettaglio delle modalità di invio delle notifiche, allegando la
rispettiva modulistica”[25]. La normativa naturalmente non si è fermata al 19905
ma, la problematica delle infezioni ospedaliere, è stata riportata anche nell’attuale
piano sanitario nazionale per il biennio 2002-20046.
Profili di responsabilità nelle infezioni nosocomiali*
Né le due circolari del 1985 e dell’1988, né la successiva normativa hanno evidenziato gli eventuali profili di responsabilità da parte degli operatori sanitari che
non pongano in essere correttamente le indicazioni fornite dal legislatore. La giurisprudenza, negli ultimi vent’anni, non dà chiari orientamenti nell’accertamento
4
La circolare 8/1988 raccomanda i seguenti criteri: “… Definizioni generali … Definizioni specifiche …
Sistemi di sorveglianza … Suggerimenti nella scelta del sistema di sorveglianza … Raccolta delle informazioni
… Schede di rilevazione”.
5
Dopo il 1990 abbiamo naturalmente il D.Lgs 626/94 che dall’art. 73 all’art. 88 prevede un’intera sezione per gli “agenti biologici” ove si provvede alla classificazione degli stessi negli ambienti lavorativi, alla valutazione del rischio, informazione e formazione dei lavoratori, agli adempimenti amministrativi nonché alle misure di prevenzione e protezione, alla sorveglianza sanitaria e alle misure d’emergenza. In seguito è stato emanato
il D.M. 24 luglio 1995 in tema di “Contenuti e modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e qualità del
S.S.N.”, la circolare del Ministero della Sanità n° 4 del 13 marzo 1998 in tema di “Misure di profilassi per esigenze di Sanità Pubblica”, il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 (D.P.R. 23 luglio 1998), il Decreto
Interministeriale 12 novembre 1999 “Modificazioni all’allegato XI decreto lgv n. 242, concernente integrazioni
al decreto lgv 626” (classificazione degli agenti biologici), la Conferenza Permanente Stato/Regioni (4 aprile
2000) che ha indicato le “Linee Guida Prevenzione e Controllo Legionellosi”, l’ ISS del 16 Novembre 2001 in
ambito di bioterrorismo (Protocollo diagnostico per il laboratorio di microbiologia per la diagnosi presuntiva di
Bacillus anthracis), la Circolare Ministero della Salute 18 settembre 2002 (Sorveglianza da virus West Nile in
Italia) e, sempre in relazione al virus West Nile, Ordinanza Ministero della Salute 4 aprile 2002 G.U. 113 del 16
maggio 2002 (Piano di sorveglianza nazionale per l’encefalopatia di tipo West Nile).
6
Il Piano sanitario nazionale per il biennio 2002-2004 nella Parte II “Gli obiettivi generali” al capitolo 1
“La prevenzione della salute” al punto riguardante “Le malattie trasmissibili prevenibili con vaccinazione” cita:
“… Occorre procedere con decisione nella direzione dell’attuazione degli obiettivi adottati dall’OMS per questo
gruppo di malattie: … In tale quadro è anche importante … sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione iatrogena …”.
* Il presente capitolo è stato redatto da Filomena Sonia Fusco, praticante
avvocato presso il Foro di Benevento
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della responsabilità per l’insorgenza dell’infezione nosocomiale. Essa tende a non
imputare al solo clinico eventuali danni alla salute dei pazienti e degli operatori,
ma ad estenderli a chi è responsabile dell’organizzazione e della gestione della
struttura sanitaria [26]. Il caso di insorgenza di una infezione nosocomiale, come
ampiamente sopra esposto, configura reato di omissione e non di commissione.
Rammentiamo che l’omissione può essere definita come un non facere, ovvero come il mancato compimento di un’azione che il soggetto ha il dovere giuridico di compiere.
L’art. 40 cod. pen. stabilisce: ” Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo”.
Nelle ipotesi oggetto del nostro studio, quindi, la mancata applicazione delle
norme di profilassi determina un reato omissivo così come previsto dall’art. 40
cpv. cod. pen.
Infatti, l’obbligo giuridico di cui all’art. 40 cpv. cod. pen. può essere, peraltro,
professionale, ovvero valevole per una particolare categoria di persone che, nel
caso de quo, è quella dell’operatore sanitario.
L’art. 40 secondo comma cod. pen., ha una funzione estensiva, in quanto si
combina con altre norme di parte speciale. Ad esempio, dal combinato disposto
dell’art. 40 cpv. cod. pen. con l’art. 575 cod. pen. (omicidio), deriva che risponde
di omicidio non solo chi, con un’azione cagiona la morte di un soggetto, ma anche
chi, avendo l’obbligo di impedire l’evento, non fa nulla per evitarlo.
Ovviamente, perché l’evento possa essere attribuito al soggetto, occorre che
tra l’evento e l’omissione vi sia un nesso di causalità.
Nel contesto che ci riguarda, acquista rilievo anche l’art. 43 c.p. che, al terzo
comma, stabilisce che il delitto: “ E’ colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti,
ordini o discipline”.
Ricordiamo che la negligenza, l’imprudenza o l’imperizia determinano una
colpa generica, mentre l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
determinano una colpa specifica.
Dottrina e giurisprudenza distinguono tra condotta colposa commissiva e condotta colposa omissiva. Nel primo caso, occorre provare il nesso causale con certezza, nel senso che il danno deve essere riconducibile direttamente alla colpa; l’indagine, quindi, è svolta ex post; nel secondo caso, la prevedibilità dell’evento va
valutata con un giudizio ex ante. E’ evidente, quindi, che, nell’accertamento di condotta colposa omissiva, la valutazione ex ante presenta maggiori difficoltà [27].
Per accertare il nesso di causalità nei reati omissivi, ovvero il rapporto tra
omissione ed evento, si opera un giudizio ipotetico (cd. prognosi postuma), che
consiste in una ricostruzione – ipotetica – di cosa sarebbe successo se la condotta
doverosa fosse stata compiuta (nel caso di specie, se l’operatore sanitario avesse
posto in essere tutti gli accorgimenti necessari per evitare il rischio infezione). In
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caso di risposta affermativa, ovvero se l’azione doverosa sia stata compiuta, tre
sono le possibili conclusioni che derivano da tale giudizio: la certezza, la probabilità, o la possibilità che l’evento non si sarebbe verificato. Da ciò, la domanda: il
nesso causale sussiste solo quando si avrà la certezza, la probabilità, o solo la mera
possibilità del mancato verificarsi dell’evento? La dottrina e la giurisprudenza prevalenti si orientano verso la probabilità. In particolare, in campo sanitario, la giurisprudenza ha ritenuto che il nesso causale sussiste anche quando il sanitario, pur
se intervenuto correttamente nel prestare la propria opera, avrebbe avuto, non la
certezza, ma serie possibilità di salvare, con una certa probabilità, la vita del
paziente [28].
Esplicativa, a tal riguardo, una recente sentenza Cassazione Sezioni Unite
Penali, 10 luglio 2002, n. 27 nella quale si legge che il nesso di causalità può essere ravvisato quando, ipotizzando che il medico abbia posto in essere la condotta
doverosa, l’evento non si sarebbe verificato o, comunque, si sarebbe verificato in
epoca posteriore o con minor intensità lesiva.
Prima di arrivare a tale sentenza, si sono succeduti vari orientamenti giurisprudenziali. Le Sezioni Unite, però, hanno preso le distanze sia dagli orientamenti più rigorosi, che dalle posizioni più garantiste per il sanitario, per arrivare alla
conclusione che il nesso causale si può ritenere sussistente quando si può affermare, con alta probabilità logica o elevata credibilità razionale, che se il medico
avesse posto in essere la condotta dovuta, il pregiudizio subito dal paziente non si
sarebbe verificato [29].
“La probabilità logica – distinta dalla probabilità statistica – si basa, quantomeno nel campo medico, sulla stima del grado di validità di una ipotesi causale che
abbia superato il primo vaglio del criterio di possibilità scientifica, ed effettuata
ricercando il numero più alto possibile di concordanze del caso con tipologie costituite da casi consimili conosciuti attraverso l’esperienza casistica e con le conoscenze di base della medicina, tra le quali figurano anche quelle dedotte con metodi statistici, sempre più frequentemente impiegati” [30].
Noti giuristi (Stella F.) e luminari di Medicina Legale, hanno indicato la strada da seguire, o meglio, hanno indicato che nei reati di causalità omissiva, come
nel caso di specie, per individuare la condotta omessa è necessaria l’esistenza di
una legge scientifica di copertura. Il principio di causalità deve essere fondato,
come afferma Stella [31], non più su criteriologie empiriche o su suggestioni di
autorevolezza bensì “su leggi scientifiche/statistiche” e cioè, come ribadito dal
Barni [32], “leggi biomediche, confortate da leggi biostatistiche”.
Prevenzione e Risk Management
Per la prevenzione e la sorveglianza delle infezioni nosocomiali ed, in particolare di quelle che si verificano in UTI, è importante non solo la corretta conoscenza dei serbatoi di batteri patogeni e delle loro modalità di diffusione ma,
soprattutto, la conoscenza da parte dell’ équipe medica e infermieristica delle più
semplici norme di comportamento atte a garantire un regime di mantenimento aset-
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tico della struttura e di quelle nozioni teorico-pratiche necessarie al corretto funzionamento di tutti i dispositivi medico-ospedalieri e fondamentali per una precoce diagnosi e terapia. È, altresì importante, che la struttura di terapia intensiva sia
progettata in maniera funzionale e gradevole per l’utenza, al fine di garantire specifici livelli di cura che tengano conto, oltre alle risorse mediche e di tutto il gruppo dei curanti, anche della disponibilità di servizi di supporto (sistemi meccanici
ed elettrici, ventilatori e aspiratori individuali, laboratorio, radiologia, farmacia,
Sala Operatoria, ecc.)7.
Un Centro di Terapia Intensiva, da un punto di vista strettamente igienico, deve
essere paragonato alla Sala Operatoria, sia per il tipo di patologie trattate che per le
gravi condizioni cliniche in cui spesso versa il paziente. L’importanza della pulizia
del personale medico e paramedico e un’attenzione particolare ai procedimenti di
asepsi devono essere tenuti conto ogni qualvolta ve ne sia l’opportunità. Tra i criteri che devono essere rigorosamente presi in considerazione possiamo elencare:
1) una corretta pulizia delle mani da parte del personale (previene la trasmissione
di microrganismi da paziente a paziente o da paziente a personale sanitario)
2) protezioni di barriera, ossia utilizzo di guanti in lattice non sterili e camici di
polipropilene non tessuto monouso (prevengono la trasmissione di microbi per
contatto tra i pazienti dell’UTI)
3) cambio giornaliero del respiratore, dei tubi per l’O2, degli umidificatori e dei
tubi di aspirazione. In realtà, l’impiego di circuiti ventilatori riscaldati con fili
metallici e trappole di condensazione per ridurre il volume dell’acqua addensata nei tubi stessi , potrebbe migliorare la longevità dei circuiti ventilatori oltre
le 24 ore consigliate [33, 34, 35].
7
Le patologie aventi un quadro clinico ben definito e per le quali può essere identificato uno specifico agente causale presente nell’ambiente confinato vengono incluse nel gruppo delle cosiddette “Malattie associate agli
edifici o Building-related illness (BRI)”. Vi sono comprese le patologie causate da specifici agenti biologici, chimici e fisici (polveri, formaldeide, radon, amianto, ecc.). Nel complesso si tratta di patologie a carico dell’apparato respiratorio, della cute, delle mucose esposte, del sistema nervoso e del sistema immunologico, come malattie respiratorie, asma, febbre da umidificatori, alveolite allergica, legionellosi, eccetera. Oltre a queste patologie
ben definite si possono manifestare sintomatologie, molto frequenti, caratterizzate da effetti neurosensoriali che
determinano condizioni di malessere, diminuzione del comfort degli occupanti e percezione negativa della qualità dell’aria. In questo contesto la “Sindrome dell’edificio malato o Sick-Building Syndrome (SBS)” viene definita come una sindrome caratterizzata da sintomi che vengono lamentati dalla maggior parte degli occupanti di un
edificio attribuibile a cause in parte ancora poco conosciute. Ed è stata anche descritta una particolare “Sindrome
da sensibilità chimica multipla o Multiple Chemical Sensitivity syndrome (MCS)” caratterizzata da reazioni negative dell’organismo a agenti chimici ed ambientali presenti a concentrazioni generalmente tollerate dalla maggioranza dei soggetti. Il confine tra effetti sulla salute ed effetti irritativi e di comfort attribuibili alla qualità dell’aria
indoor è quanto mai labile. Comfort ambientale e benessere microclimatico si riferiscono ad una condizione dell’aria percepita come ottimale dal soggetto dal punto di vista delle proprietà sia fisiche (temperatura, umidità, ventilazione) che chimiche (aria “pulita” o “fresca”). Il microclima (complesso dei parametri ambientali che condizionano lo scambio termico soggetto - ambiente), unitamente all’inquinamento chimico, incide in maniera significativa sulla qualità degli ambienti in cui si vive e si lavora e quindi sul benessere delle persone. In effetti il conseguimento del benessere termico, cioè lo stato di piena soddisfazione nei confronti dell’ambiente stesso, costituisce una condizione indispensabile e prioritaria per il conseguimento del benessere totale. Non vi è dubbio che
la qualità dell’aria confinata deve essere considerata un vero problema di sanità pubblica in quanto determina un
impatto sulla popolazione in termini non solo di effetti sanitari, costi diretti per l’assistenza medica, ma di ordine
economico generale.
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Inoltre, dovrebbero essere progettati metodi pratici per l’esecuzione asettica di
manovre come l’aspirazione tracheale, il drenaggio urinario, la somministrazione
di farmaci ed il mantenimento di vie di infusione endovenosa. Non esistono dati
che permettono di elaborare raccomandazioni precise concernenti l’architettura dei
servizi di cure intensive sul piano del controllo delle infezioni; tuttavia, l’importanza di alcuni fattori è unanimemente riconosciuta. Le progettazioni di ogni UTI
dovrebbero essere così articolate:
a) aree geograficamente distinte all’interno dell’ospedale con accessi controllati in
cui il movimento del personale e dei rifornimenti dovrebbe essere separato dal
movimento del pubblico e dei visitatori;
b) progettazione di una postazione centrale medico-infermieristica di controllo dei
vari letti di degenza
c) spazi ampi, non solo sul piano dell’insieme del reparto, ma anche quello che
circonda ogni letto
d) locali separati per il trattamento di materiale contaminato, lo stoccaggio di quello pulito e per la preparazione dei medicamenti
e) disposizione di camere individuali per ogni singolo paziente o di scomparti
separati
f) disposizione di una o più camere di isolamento (pazienti gravemente infetti)
g) la qualità dell’aria dovrebbe essere mantenuta adeguata e sicura in ogni
momento; sono richiesti un minimo di 6 ricambi d’aria totali per camera per
ora, con 2 ricambi d’aria per ora filtrati dall’aria dell’esterno. La temperatura
dovrebbe essere autonomamente regolabile all’interno di ogni box [36].
La sorveglianza delle infezioni ospedaliere rappresenta un elemento essenziale nel controllo di tali patologie; dovrebbe consistere nella raccolta sistematica in
un archivio dedicato all’informazione di tutte le infezioni che si verificano ed, in
particolare, del conteggio degli esami positivi, della distribuzione dei microrganismi, del profilo di resistenza/sensibilità all’antibiotico terapia da parte di uno o più
patogeni.
Un tale programma di controllo sarebbe importante al fine di definire eventi
pericolosi e, in caso di positività, promuovere un messaggio di allarme in cui sono
specificate le circostanze dell’evento, svelare eventuali carenze nella presa a carico
dei pazienti e potrebbe essere di grande utilità anche per fini epidemiologici [37].
Il Risk management ospedaliero rappresenta un efficace strumento non solo di
prevenzione, gestione e riduzione dei rischi, ma anche un miglioramento della qualità assistenziale di tali strutture. Definiamo con il termine rischio, il grado di probabilità del verificarsi di un evento dannoso, incerto sul se, sul come e sul quando
[38]. Mentre in passato si è prestata attenzione soltanto agli aspetti strutturali (sicurezza degli ambienti e delle attrezzature) e alla formazione del personale sanitario,
oggi si ritiene debba essere data importanza anche alla monitorizzazione degli
eventi avversi principali, al fine di una riduzione delle conseguenze avverse degli
stessi e di un controllo per eventuali eventi avversi futuri. La gestione di tali rischi
non deve portare a provvedimenti disciplinari, né tanto meno promuovere la medicina difensiva, bensì deve premiare la partecipazione attiva del personale dando
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loro la sicurezza di ricevere aiuto nel caso siano accusati di aver provocato danni
iatrogeni. La medicina difensiva può generare “… diffidenza reciproca, eccessive
cautele, atteggiamenti difensivi”[39] o peggio far derivare le scelte tecniche “…
non tanto dalla scienza, quanto dall’evoluzione giurisprudenziale”[40].
La gestione del rischio, in ottica non difensiva, è un sistema che tende a garantire l’errore non come un fallimento individuale, ma come occasione di miglioramento dell’intera organizzazione, attraverso l’analisi di eventuali comportamenti
sbagliati o negligenti e la comprensione delle cause e dei processi che ne sono alla
base [41]. Le strategie di comportamento dovrebbero prevedere un coinvolgimento diretto della Direzione Medica Ospedaliera da un punto di vista operativo e di
responsabilità, ma anche dell’operatore sanitario il quale dovrebbe adempiere sia
alle indicazioni operative consigliate, utilizzando correttamente tutti i suggerimenti delle linee-guida, sia al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuali.
Conclusioni
Le infezioni ospedaliere rappresentano un importante problema di sanità pubblica con notevoli ripercussioni sociali. Mediamente in un anno il 10% dei pazienti ospedalizzati contrae una infezione nosocomiale8. Calcolando un costo di 1500
euro per ogni infezione, in un anno la sanità spende milioni e milioni di euro9. A
nostro parere stenta a decollare un modello organizzativo che sia in grado di gestire e coordinare tutte le attività di sorveglianza e controllo nell’ambito delle aziende ospedaliere. Le attività appaiono frammentate, in quanto delegate in parte alla
direzione sanitaria, in parte a medici senza un preciso mandato. Ne deriva una scarsa efficacia dal punto di vista operativo e la difficoltà di coinvolgimento dei dipartimenti e della componente clinica che dovrebbe essere partecipe in modo attivo su
tutti gli aspetti della prevenzione del rischio infettivo.
Non in tutte le aziende sono state istituite le unità operative, in alcune aziende
sono state scelte soluzioni alternative rispetto al modello proposto. Si osserva,
spesso, la mancanza di figure qualificate e adeguate per la gestione degli aspetti
inerenti la prevenzione del rischio infettivo. I programmi non sono sempre realizzati nell’ottica del raggiungimento di precisi obiettivi e manca spesso il ricorso ad
una corretta impostazione metodologica, tale da consentire la disponibilità di dati
facilmente elaborabili e statisticamente significativi. Nella quasi totalità delle
aziende non c’è evidenza della presenza completa dei protocolli ritenuti essenziali
e relativamente a quelli presenti manca la fase di verifica della loro applicazione.
Un aspetto estremamente critico, come sopra riportato, è rappresentato dal non corretto impiego degli antibiotici a scopo profilattico che condiziona un notevole dis8
Come esposto in premessa le infezioni contratte in Terapia Intensiva ammontano, in media, al 20% del
totale delle infezioni nosocomiali. Valore percentuale, a nostro parere, non esiguo.
9
In una regione campione come il Piemonte con 650.000 ricoveri annui, i pazienti che contraggono un’infezione ospedaliera sono 65.000 con un costo ciascuno, come sopra indicato, di 1500 euro. Ciò vuol dire che la
regione dovrà sborsare 103 milioni di euro l’anno. Riducendo del solo 30% il numero delle infezioni ospedaliere, si risparmierebbero circa 31 milioni di euro l’anno.
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pendio di risorse, e l’emergenza di resistenza batteriche. A fronte delle generiche
indicazioni fornite da piano sanitario nazionale 2002-2004 in cui si dispone la sorveglianza delle infezioni nosocomiali e iatrogene10, è necessario che ci si attrezzi
ad attuare la prevenzione di dette infezioni attraverso prescrizioni organizzative,
iniziative di formazione, sopralluoghi da parte della direzione sanitaria regionale e
l’attuazione di una indagine conoscitiva nazionale che permetta di valutare la prevalenza delle infezioni nosocomiali in ogni singola regione. Da quanto esposto,
risulta evidente che il programma di controllo delle infezioni ospedaliere si presenta complesso, articolato e soprattutto interessa diverse aree organizzative ed
operative del presidio ospedaliero e quindi diverse professionalità, ognuna con la
propria specifica competenza e responsabilità. Si tratta di un programma che attraversa trasversalmente tutto il sistema ospedale e per realizzare il quale nelle sue
diverse fasi, dalla pianificazione alla valutazione dei risultati, è richiesto l’esercizio sistematico e programmato della funzione di “integrazione organizzativa” esercitata dalle diverse figure professionali coinvolte. È quanto mai opportuno lo sviluppo di una “cultura di integrazione” dove l’attenzione è spostata ai risultati, verificati sulla base di predefiniti indicatori, ottenuti seguendo tracce metodologiche di
riferimento e perseguiti alla luce di specifici obiettivi concordati e predefiniti.
Aderiamo alla previsione, consimile a quella dei servizi sanitari d’urgenza ed
emergenza territoriale, di specifici training a carattere medico-legale: esposizione
di casistica specifica per poter valutare i comportamenti e le situazioni anomale al
fine di limitare gli errori con prevedibili ripercussioni amministrative, deontologiche e giudiziarie [42].
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[11] Introna F. L’American Medical Association (Un esempio inimitabile). Riv. It. Med. Leg. 1998
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10
Loc. cit. «nota 6».
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e valutazione medico-legale: necessità di una aggiornata metodologia. Riv. It. Med. Leg.2003.
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[15] Marcon G, Corrò P, Giuffreda M. Come identificare e prevenire gli errori e i danni derivati dalle
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[16] Puccini C. Istituzioni di medicina legale. III ed. Ambrosiana. p. 1014-1016
[17] Spolaore P, Toniolo F. Infezioni nella trappola Sisiov. Il Sole 24 Ore Sanità, 23-29 Mar 2004; p.
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[18] Canuto G, Tovo S. Medicina Legale e delle Assicurazioni. Padova: Piccin; 1996. p. 61
[19] Pagni A. La qualità in medicina. Professione. Torino: C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l.;
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[20] Tartaglia R, et al. Clinical Risk management: l’importanza dell’ergonomia cognitiva per un
sistema sanitario più affidabile. Professione. Torino: C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l.;
Nov 2003. p. 16
[21] Tod S. Errore in corsia: cercasi alleanza. Il Sole 24 Ore Sanità, 27-02 Gen-Feb 2004; p. 2
[22] Petrecchia A, et All. La qualità delle cartelle cliniche: requisiti giuridici e cultura della misurazione. Jura Medica. Roma: Colosseum; Dic. 2003; p. 447-65
[23] Da: http://www.scroce.sanitacn.it/cio/normativa/normativa.htm
[24] Rocco G, Matarese M, et al. L’operatore professionale coordinatore e la prevenzione e il controllo delle infezioni ospedaliere. Roma: IPASVI-ANIPIO; 1999. p. 47-55.
[25] Ibidem nota 16
[26] Ricci P, Prodromo R, Bassi S. Il trattamento arbitrario in ambito medico-chirurgico: problematiche giuridiche, aspetti etici e medico-legali. Medicina legale- Quaderni Camerti Anno XX,
1998, pag. 821-828.
[27] Ricci P, Panarese F, D’Oro E. Autopsia di un adulto affetto da pansinusite complicata per ascesso cerebrale. Ritardo diagnostico. Colpa medica. Archivio di Medicina Legale, numero 2, MagAgo 2002, Milano, p. 20-28.
[28] Delpino L. Il problema della causalità omissiva nell’omicidio colposo – Omicidio colposo – in
Diritto Penale – Parte speciale – XIII edizione Simone Napoli 2003, p. 474.
[29] Iadecola G. Medici, lavorare in équipe non esclude la responsabilità. E sul nesso causale si conferma la tesi delle sezioni unite in Riv. It. Med. Leg. Vol. XXV – Nov-Dic 2003, p. 1188.
[30] Fiori A, La Monaca G, Albertacci G. Le Sezioni Unite Penali della Cassazione riaffermano l’esigenza di elevata probabilità logica del nesso causale nelle condotte mediche omissive: ma nel
contempo confermano, pur dichiarando prescritto il reato, la responsabilità del medico in un
caso di colpa e nesso causale poco probabili. In Riv. It. Med. Leg. Vol. XXIV – Nov-Dic 2002,
p. 1628
[31] Stella F. Leggi scientifiche e spiegazione casuale del diritto penale. Milano: Giuffrè; 1995.
[32] Barni M. Il rapporto di causalità materiale in medicina legale. Milano: Giuffrè; 1995.
[33] Da: http://www.epicentro.iss.it/problemi/infezioni/infezioni.htm
[34] Rippe JM, et Coll. Trattato di Terapia Intensiva. Roma: Antonio Delfino Editore; I Ed. italiana
1997. p. 1394- 1395
[35] Tinker J, Rapin M. Trattato di Rianimazione e Terapia Intensiva. Roma: Antonio Delfino
Editore; 1986. p.916 917
[36] Da: http://www.anestit.unipa.it/lineeguida/CareUnitDesign.htp
[37] Da: http://www.hospvd.ch/swiss-noso/i62a3.htm
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[38] Macchiarelli L, Feola T. Medicina Legale. Torino: Minerva Medica; 1995. Pagg. 988-97.
[39] Terrosi Vagnoli E. Le linee guida per la pratica clinica: valenze e problemi medico-legali. Riv.
It. Med. Leg. 1999. Milano: Giuffrè; 21,1:214
[40] Iadecola G. In tema di rilevanza penale – come delitto doloso contro la vita e l’incolumità individuale – del trattamento medico eseguito senza il consenso del paziente. Riv. It. Med. Leg.
2001 Milano: Giuffrè; 23,2:219
[41] Galanti C. Gestione del rischio, errore medico e deontologia. Torino: Professione. C.G. Edizioni
Medico Scientifiche s.r.l., Nov 2003. p. 17-21
[42] Palmieri L. L’urgenza medico-legale. Milano: Giuffré; 1999. p. 181.