Omelia - Diocesi di Assisi

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Omelia - Diocesi di Assisi
OMELIA DI MONS. SORRENTINO PER LA MESSA DELL’11 FEBBRAIO 2016 A SANTA MARIA
DEGLI ANGELI
A Quaresima appena iniziata, carissimi fratelli e sorelle, siamo raccolti intorno all’altare del Signore, in questo
speciale anno di misericordia. Tre circostanze caratterizzano questa celebrazione.
La prima è la giornata mondiale del malato: siamo raccolti con i fratelli provati dalla malattia, e con quanti in
modo speciale se ne occupano.
La seconda è che la giornata di oggi, pur nascostamente, data la prevalenza della liturgia quaresimale, ci
ricorda Maria nelle sue apparizioni a Lourdes, anch’esse legate al mistero della sofferenza.
La terza, che mi riguarda personalmente, ma che riguarda anche voi, è il fatto che precisamente in questa
giornata, dieci anni fa, ebbi la gioia di cominciare il mio servizio ad Assisi come vostro pastore.
Desidero brevemente mostrare quanta luce getta, su tutte e tre le circostanze, la parola di Dio appena ascoltata,
e porre tutto nell’orizzonte della misericordia, tema speciale di questo anno giubilare.
1. La malattia. Chi di noi non ne fa esperienza? Prima o poi, passiamo tutti per questa strettoia. Ma ci sono fratelli
sui quali la malattia ha posto un segno profondo, che costituisce per loro, e per le loro famiglie, una prova
spesso non facile da affrontare, e diventa per questo anche un appello a ciascuno di noi, alle nostre comunità,
all’intera società.
La malattia non è nel progetto originario del Creatore. Il sogno di Dio per l’umanità era, e rimane, quello di
una umanità felice. La malattia è subentrata nel mondo in seguito al peccato. Un rapporto, quest’ultimo, che
non deve essere frainteso come una sorta di reazione punitiva di Dio, tanto meno come una punizione che Dio
infligga alle singole persone in risposta al loro peccato personale.
Questa tendenza interpretativa, che si registrava inizialmente nella Bibbia stessa, è stata progressivamente
superata dalla grande rivelazione, culminata in Cristo, del volto misericordioso di Dio. Rimane la verità che
esiste una relazione della fragilità umana – sia nella malattia che nella morte – con il peccato. Ma ciò va inteso
come una condizione generale di una umanità debilitata dal fatto stesso che ha indebolito, se non interrotto, il
rapporto con il Creatore. Di qui le espressioni che abbiamo ascoltato dalle due letture: nel libro del
Deuteronomio: «scegli dunque la vita, amando il Signore, tuo Dio, poiché è lui la tua vita e la tua longevità». E
nel vangelo di Luca: «Chi vuol salvare la propria vita, la perderà. Ma chi perderà la propria vita per causa mia,
la salverà» .
Dall’Antico al Nuovo Testamento il messaggio è chiaro: Dio è sorgente di vita; il peccato è generatore di
morte.
Questo messaggio illumina il nostro cammino quaresimale. È il programma che ci viene dato: scegliere Dio,
dunque la vita. Se non lo facciamo, ci poniamo in una condizione di malattia che non è una malattia fisica, ma
una malattia dello spirito. Si può scoppiare di salute, ed essere malati di spirito. Dio ci vuole sani innanzitutto
nell’intimo del cuore.
La malattia fisica resta il segno e il frutto di questa debilitazione fondamentale della nostra umanità. Gesù è
venuto a dare una risposta alla nostra fragilità, facendosi lui stesso fragile, assumendo la nostra croce, e
mostrando come l’amore possa fare il miracolo di restituire almeno la salute spirituale, e, quando e come Dio
vuole, anche quella corporale. La vita di Gesù è tutta un venire incontro alla malattia dello spirito e a quella del
corpo. Quando invia i discepoli, dice loro di annunciare il regno di Dio e di guarire i malati. È come un unico
progetto di vita. Sappiamo però che la stessa malattia, vissuta con amore e per amore, può diventare cammino
di grazia e di santità. Le parole di Gesù sono chiare: “Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi
segua”. Per questo dobbiamo imparare a vivere con speranza le situazioni più difficili della vita, e al tempo
stesso offrire speranza a chi è in difficoltà, facendoci strumenti di premura, di cura, di impegno fraterno e
anche professionale, come nel caso delle persone impegnate nel mondo della sanità. In ogni sofferente c’è una
presenza speciale di Gesù, una presenza da onorare e servire. L’anno della misericordia ci fa riscoprire questo
ambito in cui esercitarla con particolare impegno. Abbiamo in diocesi dei luoghi che ce lo ricordano, in modo
particolare il nostro Istituto Serafico, e delle aggregazioni laicali come l’Unitalsi, le Misericordie, ed altre
associazioni, che operano in questo campo con speciale dedizione. Tutti però siamo coinvolti. Tutti dobbiamo
imitare la tenerezza di Gesù nel farci prossimi a chi è nella malattia. La stessa società civile – nella sua politica
e nelle sue strutture – deve organizzarsi sempre meglio per mettere il malato al centro, e non lasciarlo alla
periferia delle sue strategie di intervento sociale.
2. Una seconda circostanza che segna la nostra celebrazione è la memoria mariana che oggi ci porta al Santuario
di Lourdes, dove Maria lascia ancora sentire proprio per tanti ammalati la sua tenerezza materna, e diventa così
educatrice di misericordia. Anche qui, alla Porziuncola, essa ci reca lo stesso messaggio, attraverso la
testimonianza di Francesco che, proprio nel suo aprire il cuore ai lebbrosi, imboccò la via maestra della sua
conversione, e in questa chiesetta a lui cara imparò a vivere nel grembo di Maria e a plasmare in questo
grembo una nuova fraternità intrisa di vangelo.
Nel messaggio formulato per questa Giornata Mondiale del Malato, Papa Francesco ha messo a fuoco
l’atteggiamento di Maria, partendo da quanto il vangelo ci dice di lei nel contesto del miracolo di Gesù alle
nozze di Cana. Maria appare lì nel suo volto materno, donna sensibile e premurosa, dimentica di sé. Le viene
spontaneo farsi carico delle difficoltà dei fratelli, scorgendole dove nessuno le avrebbe sospettate, e trova la
soluzione rinviando a Gesù: «Fate quello che egli vi dirà».
Lasciamoci coinvolgere nella premura materna di Maria. Ognuno di noi ne ha bisogno. Tante volte ci
aspettiamo che qualche fratello ce la dimostri, ma anche i fratelli hanno bisogno che noi la mostriamo loro.
L’anno della misericordia sia un grande cammino di solidarietà, di fraternità, di attenzione generosa per
chiunque, vicino o lontano, ha bisogno di noi.
3.
La terza circostanza mi tocca personalmente, ma con me tocca tutti voi. Dieci anni fa, in queste ore,
facevo il mio ingresso pastorale ad Assisi. Non vi conoscevo ancora, ma vi portavo già nel cuore. Figuratevi
come vi ho nel cuore dopo dieci anni, in cui ho imparato a conoscervi, ho apprezzato la vostra bontà, sincera e
sentita, anche se un po’schiva rispetto al mio impeto napoletano. Vi ringrazio tanto per ciò che siete stati e
rimanete per me. Mi sento un vescovo privilegiato, e mi sentirò ancora tale se è volontà di Dio che io continui
il mio ministero tra voi fino alla fine del mio mandato. Mi dovrete forse un po’ sopportare, ma vi prometto che
ce la metterò tutta nel non pesare troppo. Ciò che desidero, per me e per voi, è che diventiamo innamorati di
Gesù con il cuore di Maria. Tutto il resto è in funzione di questo.
Guardando a questi dieci anni, sarebbe per me falsa umiltà dire di essermi risparmiato. Ho investito
tutte le risorse di cui ero capace. Nelle cose che sono state fatte, bene o male, ho messo buona volontà, e se,
sbagliando, ho ferito qualcuno di voi, in questo anno della misericordia faccio appello alla vostra misericordia.
Ringrazio il Signore per quanto mi ha dato di fare. Il Vescovo non vive per sé, non esiste per sé. Sono contento
di questo incontro di preghiera perché io e voi ci apparteniamo. I miei dieci anni sono grazia per me e per voi.
Desidero elevare il mio canto di lode alla misericordia con le parole di Maria: «L’anima mia magnifica il
Signore».
Spero vi siate accorti, in dieci anni, che non so vivere se non con Maria. È lei la maestra e la madre. Non so
pensare a Gesù, se non contemplandolo tra le sue braccia. E mi accorgo che lui è felice di questo. E’ questo
anche il segreto del mio episcopato. A qualcuno di voi ho detto, un po’ scherzosamente, che quando arrivai ad
Assisi, sperimentavo la trepidazione di ogni inizio, in una terra per me ancora tutta da scoprire. Prima di farmi
presente ufficialmente l’11 febbraio 2006, venni in incognito proprio qui, alla Porziuncola, e quasi facendo un
patto filiale con la Mamma celeste, le dissi: Senti, io vengo volentieri ad Assisi, ma a condizione che il
“vescovo” lo fai tu, e io faccio il tuo segretario. Non so se sono stato un buon segretario, ma sicuramente
Maria ha assolto bene il suo compito, madre che mi ha accompagnato in ogni passo e ha accompagnato tutti
quanti voi. Questa Porziuncola è diventata il simbolo naturale del mio amore per la Chiesa - famiglia, al punto
che, quando ho avuto l’ispirazione di un rinnovamento delle parrocchie con il disegno delle “piccole
comunità”, ricordando la fraternità formata da Francesco, proprio qui alla Porziuncola, non ho saputo fare a
meno di denominarle “Comunità Maria famiglie del Vangelo”. Per me è come la definizione stessa della
Chiesa, progetto e speranza di un cristianesimo che si rinnova per le sfide della nuova evangelizzazione.
Grazie, dunque, Madre, perché hai accolto il mio abbandonarmi al tuo cuore, e sei stata tutto per me. Grazie
per tutte le cose belle che mi hai dato di fare per il tuo Figlio. Grazie per tutte le croci che mi hai aiutato a
sopportare. Grazie per questi figli meravigliosi che sono tuoi, e che hai affidato anche alle mie cure. Quando
sarà che potrò vedere il tuo volto? Intanto conosco il tuo cuore, e in esso ancora una volta depongo la mia vita
e la vita di questi figli che amo con tutto il cuore. Amen.