PESARO Industria in transizione Nota di sintesi

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PESARO Industria in transizione Nota di sintesi
INDUSTRIA IN TRANSIZIONE
Sfide e possibilità per la provincia di Pesaro-Urbino
EXECUTIVE REPORT
(sintesi)
1. Costruire il futuro, per non subirlo quando – comunque - verrà
Anche per la provincia di Pesaro e Urbino, il futuro è diventato un grosso
punto interrogativo. Da un lato si tratta di sopravvivere nel presente, stringendo
la cinghia e sostenendo la pressione della crisi sulla parte vulnerabile del
sistema locale, dall’altra si tratta di pensare a come riposizionare l’economia
locale nel nuovo contesto competitivo che si sta affermando a livello globale.
L’idea chiave della ricerca è che, sopra e sotto il ribollire della crisi si
possono scorgere i segni di una transizione che realizza alcuni cambiamenti
importanti, archiviando il vecchio paradigma produttivo e mettendo a regime il
nuovo (il capitalismo globale della conoscenza) che ha preso forma a partire dal
2000 e che è destinato a dominare il nostro secolo.
Per inserirsi produttivamente in questa transizione bisogna sapere quale
deve essere la distanza da stabilire, in provincia, tra il vecchio stato delle cose,
ereditato dalla storia, e il nuovo, da mettere a punto in forme e con logiche
nuove.
Che tipo di settori, prodotti, forme organizzative, tecnologie,
professionalità potranno avere spazi di espansione e rendimenti sostenibili nel
medio-lungo periodo? Che tipo di scelte possono essere fatte oggi per
preparare queste possibilità?
2. Sono gli investimenti fatti oggi a dare forma e direzione alla
transizione in corso
Il futuro delle imprese – ma anche delle persone e del territorio
provinciale – dipende da una variabile fondamentale: conteranno non le
previsioni o gli auspici, ma gli investimenti, materiali e immateriali, che vengono
fatti nella costruzione di un futuro che deve essere non solo possibile, ma anche
scelto con convinzione: perché si tratterà – nei prossimi anni - di progettarlo,
avviarne la realizzazione, renderlo convincente e impegnativo per tanti e diversi
protagonisti.
La costruzione del futuro non è una scelta che si possa fare a tavolino,
una volta per tutte: piuttosto è un viaggio che mette il territorio in movimento
verso una meta condivisa, allineando verso obiettivi convergenti le innovazioni
da fare nelle strategie delle imprese, nelle scelte professionali, nella gestione
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del risparmio locale, nelle decisioni delle istituzioni territoriali.
Tuttavia – lo sappiamo - non basta partire armati di sani propositi e di
buona volontà. Bisogna che il viaggio intrapreso possa durare nel corso del
tempo, superando ostacoli, conflitti, imprevisti che certo – con questi chiari di
luna – non mancheranno. Il viaggio, in altre parole, deve avere un baricentro
che possa dare ordine alle oscillazioni che adattano la strada fatta alle
contingenze.
Ma quale può essere questo baricentro? Per investire sul futuro, infatti,
non basta avere i mezzi finanziari per farlo: significa anche essere convinti che
valga la pena assumere i rischi relativi, valutando la convenienza e la
sostenibilità di quello che, di volta in volta, viene messo in cantiere. E qui i
buoni propositi si scontrano con un dato di fatto: in una condizione di incertezza
radicale, come l’attuale, il calcolo dei rischi e delle convenienze non può essere
fatto usando modelli, algoritmi matematici, estrapolazioni dei trend del passato
e altri modalità tecniche di calcolo. Tutti metodi che con la crisi e la transizione
in corso sono diventati, di fatto, poco affidabili. O addirittura mis-leading (i tanti
assets tossici fatti emergere dalla crisi finanziaria insegnano).
3. Capire la crisi
Se bisogna investire, assumere rischi e identificare possibili sentieri di
ritorno economico, bisogna che il viaggio comune verso la costruzione del
futuro proceda in altro modo.
Prima di tutto, bisogna capire bene quello che sta succedendo, con la
crisi, e le possibili vie di uscita. Non solo pensando alle misure di politica
economica, demandate allo Stato o a istituzioni internazionali, ma anche quelle
che sono alla scala delle persone, delle imprese e delle comunità e istituzioni
che operano nel territorio della provincia. In una condizione di rischio diffuso,
molto può essere fatto partendo dal basso, e dall’intelligenza degli attori in
gioco: in attesa che arrivino misure e regole nuove dal centro, è la periferia che,
nel suo stesso interesse, deve muoversi, scegliendo come investire – in vista di
una meta - il denaro, il tempo e l’attenzione di cui dispongono le persone, le
imprese e le comunità e istituzioni più vicine ai problemi e direttamente
coinvolte nella dinamica della crisi.
La ricerca sulla realtà industriale della provincia di Pesaro e Urbino, che
presentiamo in questo Rapporto, ha cercato di raccogliere elementi utili a dare
risposta alle domande che si affollano nella testa degli attori presenti nel
territorio, quando pensano al proprio, possibile, futuro.
Tutti si rendono conto che ci troviamo in un passaggio difficile, in cui si
tratta di fare i conti con una vera e propria discontinuità: un salto evolutivo che
stabilisce una distanza tra il passato vissuto sin qui e il futuro possibile e
desiderato. Molti di questi attori vivono oggi sospesi tra un passato che non c’è
più e un futuro che non viene, o che tarda a venire. Non si fidano più a puntare
le proprie carte sulla continuità di un ciclo di sviluppo che tanti indizi
suggeriscono ormai alla fine, ma non si fidano nemmeno a scommettere su un
futuro che resta poco chiaro, e soprattutto poco condiviso. Abbastanza
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nebuloso per indurre a pensarci ancora su, rimandando la partenza per un
viaggio comune in questa o quella direzione.
Per correggere questo stato di cose non basta accettare i “sacrifici” e
magari distribuirli equamente tra la popolazione. Quando ci si trova nel mezzo
di una transizione, come quella che stiamo vivendo dal 2000 in poi, il futuro non
si costruisce stringendo la cinghia, ma investendo il proprio tempo, il proprio
denaro e la propria attenzione nella progettazione, individuale e collettiva, del
nuovo. E’ questo che manca ed è questo che una riflessione sulla situazione
attuale della provincia deve riuscire a fare emergere.
4. A che punto siamo?
Ma siamo ancora molto indietro, su questo terreno. La perdita di
produzione e di reddito, che possiamo osservare rispetto alla situazione precrisi, ci suggerisce che, nell’attraversare il fiume della crisi, abbiamo da tempo
perso il contatto con la riva di partenza, ma - andando avanti - siamo arrivati
soltanto a metà del guado. Una condizione in cui la riva opposta si intravvede,
ma resta lontana. Peggio: sembra allontanarsi ogni volta che ci avviciniamo.
L’economia provinciale, infatti, che in termini di prodotto lordo (a prezzi
correnti) perde, nel 2009 - annus horribilis della crisi - il 3,2% del prodotto
lordo (a prezzi correnti), rispetto all’anno precedente: una percentuale analoga
a quella riscontrata dalla regione (-3,0%) e dalla media nazionale (-3,1%).
Il recupero nel 2010 c’è (+1,3%), ma in provincia è minore di quello
realizzato in regione (+1,9%) e nella media italiana (+1,9%). Nell’insieme,
confrontando il prodotto del 2010 con quello pre-crisi (2007), si rileva una
perdita di 2,5 punti percentuali (a prezzi correnti): è un dato migliore di quello
regionale (-3,5%) ma peggiore di quanto è accaduto alla media nazionale (1,7%).
Se questi incrementi negativi, misurati a prezzi correnti, aggiungiamo la
perdita di valore dovuta all’inflazione (nei tre anni considerati), si constata come
la crisi abbia avuto una capacità di incidenza rilevante sul prodotto pro-capite, e
dunque sui redditi che imprese e persone riescono a ricavare dalla loro attuale
attività. Considerando che il 2011 e il 2012 non hanno incorporato una forte
componente di ripresa, contrariamente a quanto ci si aspettava, possiamo dire
che la crisi ha ridotto il prodotto e i redditi medi di un 10% circa rispetto agli
anni pre-crisi. Un salasso rilevante, che ha richiesto sacrifici e adattamenti fuori
dall’ordinario.
Per adesso, questo pesante andamento dei risultati in termini di valore
non ha bloccato la disponibilità degli abitanti della provincia ad impegnarsi in
avventure imprenditoriali, assumendo rischi e facendo investimenti sul futuro. Il
numero delle nuove iscrizioni al registro delle imprese, nel corso del 2011,
arriva a 2.524 unità (su uno stock di 42.000 imprese in totale, di cui 38.000
attive), contro cancellazioni dal registro, per cessazione, pari a 2262. Il saldo è
un incremento di 262 unit. Di queste possiamo stimare che le neo-imprese
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effettive siano circa 1201. Le società di capitale sono cresciute di 216 unità,
mentre, dall’altro lato della scala, le ditte individuali sono diminuite di 4 unità,
denotando una tendenza all’irrobustimento societario del sistema produttivo
locale.
Considerando che il saldo del 2011 tra iscrizioni e cessazioni (+0,62%) è
positivo, “nonostante tutto”; e che lo è in misura superiore alla media regionale
(+0,24%) il segnale che ne deriva è di resistenza: il sistema produttivo e la
società locale soffrono ma non mollano. Continuano a coprire i vuoti creati dalla
crisi per effetto delle molte cessazioni, mantenendo inalterato lo stock di
imprenditorialità della provincia rispetto agli anni pre-crisi (quando lo stock
cresceva anno per anno, grazie ad un saldo era largamente positivo, di 500-600
unità). Non solo ma ci sono iniziative addizionali che vanno oltre il puro e
semplice ricambio.
Certo, andrebbe fatto un discorso sulla qualità della neo-imprenditorialità
che alimenta il ricambio e la lieve crescita dello stock. Molte nuove iniziative
sono probabilmente imprese a bassa produttività (specie nei servizi) che
derivano dalla mancanza di alternative di lavoro attrattivo, alle dipendenze delle
imprese o nelle libere professioni. O sono imprese che derivano dalla
disgregazione delle piramidi organizzative precedenti, come è accaduto
nell’edilizia.
Tuttavia, è bene ricordare che l’unico anno in cui in provincia le
cessazioni hanno superato le iscrizioni è stato il 2009 – l’anno più duro della
crisi – quando si è avuta una flessione dello stock di imprenditorialità pari allo
0,37% (contro un -0,45% in regione, e un +0,28 nella media nazionale). In
tutti gli altri anni la provincia di Pesaro e Urbino ha avuto un incremento dello
stock, contenuto ma positivo, di circa un punto percentuale, in media, ogni
anno, a partire dal 2007 (salvo il 2009). Negli stessi anni la regione, invece,
regrediva, sia pure di poco, per tornare in positivo solo negli ultimi due anni.
Da ricordare anche la disponibilità, mostrata dagli imprenditori della
provincia, a sperimentare 6 contratti di rete (al marzo 2012), con il
coinvolgimento di 16 imprese, allineandosi in questa tendenza a quanto si è
fatto un po’ in tutte le province marchigiane. Percentualmente si tratta ancora
di cifre esigue, sul totale, ma è interessante notare come nella prassi
dell’organizzazione aziendale qualcosa si muove, superando l’individualismo
imprenditoriale che fino a poco tempo fa era la regola. Le reti mettono in atto,
nella pratica imprenditoriale, un principio di condivisione dei progetti e dei rischi
che è essenziale per ridurre l’instabilità e aumentare la produttività delle
conoscenze possedute. Il contratto di rete, che è una opzione relativamente
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Non si tratta sempre di imprese realmente nuove: una parte delle iscrizioni
corrisponde infatti non alla nascita di una neo-impresa, ma alla trasformazione di una impresa
precedente che muore sotto una forma e rinasce sotto un’altra (ad esempio perché passa da
ditta individuale a società, o da società di persone a società di capitale). Nel 2011, ad esempio,
su circa 6 milioni di imprese registrate(stock) in Italia, le nuove iscrizioni sono state 391.000 e
le cessazioni 341.000, con un saldo positivo di 50.000 nuove imprese. Ma Unioncamere stima
che sulle 391.000 iscrizioni solo 176.000 sono state le neo-imprese effettive (non derivanti da
trasformazioni di imprese pre-esistenti). Un tasso del 45% circa.
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recente, è solo uno dei modi per realizzare forme efficaci di condivisione tra
imprese: la sperimentazione di soluzioni collaborative che valorizzano i legami
tra aziende complementari è in realtà molto più diffusa di quanto sembri, anche
se per ora è rimasta in ambiti molto locali o familiari, poco visibili dall’esterno.
Ma si tratta di un’onda di cambiamento che sta marciando, e che promette di
diventare più importante in futuro.
Qualche ombra va considerata dal lato dell’export, che pure è uno degli
assi nella manica – specie in questo momento – della manifattura, che può
vendere sui mercati esteri (specie su quelli dei mercati emergenti) ciò che il
mercato interno, nella stretta della crisi, non compra più. La provincia di Pesaro,
infatti, ha una peso dell’export su valore aggiunto pari al 21%: meno della
media regionale delle Marche (27%) e anche della media italiana (27%). Ma
soprattutto molto lontano dal dato del Nordest (36%) che, per certi aspetti è
paragonabile al sistema produttivo pesarese (piccole imprese, distretti, forte
peso della manifattura). D’altra parte, è ancora ridotta, in provincia di PesaroUrbino, la quota (28% sul totale) raggiunta dalle esportazioni verso i paesi
extra-europei, tra i quali si trovano appunto i capitalismi emergenti, con forte
crescita del mercato interno. Va meglio della media regionale e nazionale, ma
resta indietro rispetto al dato del Nordest (30%).
Niente di drammatico, intendiamoci: ma qualche interrogativo la
situazione dell’export lo suscita.
5. La ricerca
La ricerca promossa da Confindustria, provincia di Pesaro e Urbino, e
sviluppata da Enzo Rullani2, ha innanzitutto cercato di “fare il punto” sulla crisi,
fornendo però una visione della situazione che non rimandi tutte le colpe e tutte
le scelte a qualche livello superiore, assai difficile da influenzare per chi opera in
una provincia tutto sommato periferica, come quella di Pesaro e Urbino, che
non ha al suo interno grandi centri di potere o risorse esclusive su cui contare,
nella contrattazione con lo Stato nazionale e con le concentrazioni di potere
economico emergenti a scala globale.
La ricerca di è dunque preoccupata di mettere a fuoco i problemi e le
scelte che siano praticabili dal basso, nel territorio, per far fronte alle difficoltà
della recessione e della stretta creditizia attuale senza demandare tutto alla
responsabilità e al potere di altri (lo Stato, la finanza internazionale, l’U.E. o
altre istituzioni lontane dall’operatività delle persone, delle imprese e delle
istituzioni locali, presenti sul territorio).
Ma, come si è detto, non basta affrontare la crisi finanziaria, bisogna
anche far progredire la transizione verso una meta che guarda al futuro.
A questo fine la ricerca si è proposta di fornire una rappresentazione
realistica delle forze che sono in questo momento in movimento nel territorio. E
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Enzo Rullani è Professore di Economia della conoscenza e di Strategie di impresa,
presso il centro Tedis, della Venice International University e dirige il t.Lab del CFMT, Milano.
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che portano dentro di sé i segni di una sintesi non sempre facile tra l’eredità
culturale e operativa del passato e le prospettive strategiche perseguite per il
futuro.
Per prendere questa “foto” di quanto si sta facendo e di quanto si pensa
di fare, sono state interrogate le imprese più dinamiche della provincia per
capire come stanno operando e che progetti hanno per affrontare la crisi in
corso. Le valutazione e osservazioni ricevute nelle interviste hanno messo a
fuoco 11 case histories di successo, in provincia, scelti tra aziende che hanno
realizzato un percorso innovativo tale da suggerire modelli e passaggi critici
anche alle altre.
I casi studiati sono:
Alluflon Pentole in materiale antiaderente
Benelli Armi Fucili
Cariaggi Lanificio Filatura cashmere
Centraltubi Tubi in PE
Ifi Arredamenti bar e gelaterie
Rivacold Pareti refrigeranti
Scavolini Cucine
TeamSystem Software gestionale
Tvs Pentole in materiale antiaderente
Websolute Servizi Web e consulenza informatica
Xanitalia Cere e creme depilatorie
Come si vede, le aziende scelte appartengono a settori diversi e hanno
storie abbastanza differenti, come ci si poteva aspettare: ma nel loro insieme
permettono di tracciare una mappa dei percorsi innovativi sperimentati dalle
aziende della provincia.
Questi percorsi sono stati successivamente letti nel quadro dei
comportamenti e delle intenzioni rilevati dal Centro Studi Confindustria in una
indagine nazionale che si muoveva nella stessa direzione (Progetto Focus
Group, con 450 imprese, anni 2010-11).
L’analisi comparativa tra i due campioni (quello nazionale e quello
pesarese) ha messo in luce molte analogie ma anche alcune importanti
differenze, in qualche caso favorevoli, in altri casi meno. Ne sono state ricavate
alcune criticità da tenere d’occhio, perché segnalano differenze interpretabili
come ritardi, gap, o disallineamenti rispetto a quanto pensano e fanno altri
innovatori sul territorio nazionale.
6. Che cosa fare per rigenerare i modelli di business ereditati dal
passato
Incrociando i dati disponibili con i casi aziendali studiati, messi a
confronto con i risultati di Focus Group, si arriva ad una conclusone importante:
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la provincia di Pesaro-Urbino può contare su un sistema produttivo robusto. Un
sistema che soffre per effetto della crisi, come accade un po’ a tutti sistemi
locali italiani, ma non dà segni di arretramento. Le aziende intervistate, poi,
sono molto sicure della loro forza e pensano di riuscire senza particolari
problemi a resistere alla pressione competitiva che sta montando, a scala
internazionale.
Tuttavia, in questa linea di resistenza, si sono insinuati anche dubbi e
interrogativi non ancora risolti. Che pesano non tanto sulle aziende studiate –
che probabilmente non avranno problemi a difendere con successo la loro
leadership di nicchia ancora per qualche anno – quanto sul resto del sistema.
Quando arrivano le difficoltà, infatti, è l’anello debole che fa la storia, anche per
gli altri. Ed è su questo che occorre portare l’attenzione.
Il sistema produttivo di Pesaro e Urbino ha alcune criticità che devono
essere messe sull’agenda delle riflessione collettiva. Magari non ci sono
decisioni da prendere per domani, ma in prospettiva è bene che la società
pesarese, attraverso le sue imprese, le sue associazioni e le sue istituzioni si
prepari ad affrontare alcuni problemi critici che possono diventare importanti
nel confronto competitivo a venire.
Per allineare l’evoluzione dell’industria pesarese ai trend che stanno
plasmando la realtà competitiva del nostro secolo i fattori da osservare con
attenzione sono:
- il pericolo che buona parte dei modelli di business messi a punto
trenta o quaranta anni fa, e tuttora fiorenti, si avvicinino, nel loro
ciclo di vita, alla fase della maturità;
- la ristrettezza delle nicchie in cui operano alcuni “campioni” locali,
cosa che può avere i suoi inconvenienti in un momento in cui cresce
la complessità e la velocità dei cambiamenti da fronteggiare;
- un gap che le imprese, anche di media o grande dimensione, hanno
accumulato sulla via della modernizzazione manageriale, ossia
dell’affiancamento di altre persone, dotate di autonomia decisionale,
all’imprenditore;
- un ridotto apporto di intelligenze esterne alla provincia nel
reclutamento delle persone da immettere nel sistema produttivo;
- un rapporto non ancora sinergico tra le imprese maggiormente
innovative e il territorio, sia sul fronte dei servizi e delle infrastrutture,
sia su quello – altrettanto importante – dei processi formativi, della
ricerca e della formazione di ambienti capaci di attrarre talenti esterni
e di favorire la creatività.
7. In pratica: 10 idee per affrontare le criticità emerse
Infine nella quarta parte del lavoro si sono tirate le conclusioni
aggiungendo al punto di vista delle imprese uno sguardo sul futuro che
permette meglio di inquadrare le tendenze in corso.
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Ci sono forze latenti, nella trasformazione in corso che, in base a quanto
emerge nella ricerca, potrebbero dare alle imprese e al territorio la possibilità di
uscire dal bozzolo della crisi e di assumere le forme organizzative e produttive
utili per abitare il nuovo paradigma competitivo emergente.
A questo scopo, non basta aggiornare quello che c’è: siccome la rottura
che sta prendendo corpo nell’economia globale è grande, e non ancora del tutto
visibile, bisogna identificare – caso per caso - quale sono i sentieri non ancora
battuti, da prendere in considerazione. Percorsi che tocca ai diretti protagonisti
progettare e scegliere, assumendone il rischio relativo, sapendo che sono quasi
tutti in salita.
Ma, una volta identificata la rotta, bisogna che il viaggio cominci: è
importante non stare fermi, in attesa, ma è anche importante non sbagliare. O
meglio, visto che qualche errore – più o meno grande - va messo in conto, si
tratta di andare avanti cercando di sbagliare il meno possibile.
Le azioni che si possono prefigurare, in linea con quanto è emerso nella
ricerca, possono essere riassunte nelle dieci idee sotto richiamate. Esse
suggeriscono ai soggetti della provincia (le associazioni imprenditoriali e le altre
associazioni di rappresentanza, la Camera di Commercio, gli Enti territoriali, le
imprese ecc.) altrettante iniziative concrete da prendere per affrontare le
criticità che possono ostacolare la necessaria transizione del sistema produttivo
locale verso i nuovi assetti competitivi, coerenti con la logica della concorrenza
globale dei nostri giorni.
1) PAGAMENTO AUTO-ORGANIZZATO DEI DEBITI DELLA P.A.
Sarebbe utile, fin da ora, auto-organizzare la valutazione e assunzione
dei rischi relativi ai debiti (non ancora pagati) che la Pubblica Amministrazione
ha verso imprese della provincia. Nel momento in cui il governo deciderà di
mettere a disposizione la liquidità necessaria al pagamento c’è il rischio che
trascorra altro tempo in attesa che l’esistenza del debito e la correttezza delle
procedure che l’hanno creato venga verificata. Se questa verifica fosse fatta in
anticipo, magari con l’assunzione collettiva di una quota di rischio per eventuali
errori di valutazione, la liquidità diventerebbe immediatamente esigibile, una
volta sbloccati i fondi. E Dio sa quanto conto, in questo momento, anche solo
un giorno di anticipo o di ritardo nella riscossione di quanto dovuto;
2) IDEE MOTRICI E INVESTIMENTI AUTO-SOSTENUTI
Per mettere in pista innovazioni di sistema, e non solo innovazioni
incrementali di quello he già c’è, si dovrebbero attivare due o tre iniziative che
possano fare emergere delle idee motrici condivise, capaci di differenziare il
lavoro svolto dalle imprese della provincia e dai lavoratori, rispetto al lavoro
svolto altrove, privo della cornice semantica e relazionale dell’idea motrice. E
generare investimenti auto-sostenuti nel loro sviluppo, vendendo alle imprese
che intendono usufruirne i frutti dell’idea stessa.
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Ad esempio in provincia potrebbe essere elaborata da un gruppo
promotore misto (imprese e movimenti culturali locali) un’idea motrice originale
sulla casa e sul suo arredamento. Si tratta di fissare e fare emergere una
semantica riconoscibile e apprezzata (dai potenziali clienti) sullo stile dell’abitare
e dunque sulle qualità differenziali che una casa corrispondente a quello stile
dovrebbe avere in termini di mobili, di edilizia sostenibile, di domotica, di
sicurezza, di risparmio energetico ecc..
Le ICT, nella loro valenza di worldmaking e di collegamento interattivo
col mondo, anche per piccole imprese, potrebbero dare luogo ad un’altra
iniziativa promossa dalle imprese (potenziali utilizzatici delle professionalità e
delle idee derivate), ma anche dalle Università e dai giovani che hanno una
particolare vocazione in questo campo.
Un altro campo di azione in questo senso potrebbe essere il turismo, che
ha bisogno di differenziarsi da quanto viene offerto nelle province limitrofe,
sulla costa o nell’Appennino. Lo stile in questo caso potrebbe essere quello del
visitatore che è interessato a fare esperienze memorabili (coinvolgenti e fuori
dalla routine), organizzate dalle imprese e dalla società civile locale.
Oppure si potrebbe pensare a come organizzare in modo originale i
servizi rivolti ad una parte della popolazione (ad esempio gli anziani, i bambini,
le donne, gli immigrati ecc.), favorendo il loro coinvolgimento in termini di
invenzione e auto-organizzazione.
Il punto essenziale di questi progetti dovrebbe essere che dei costi di
avviamento se ne fanno carico i diretti interessati, magari assegnando all’Ente
pubblico un ruolo di promozione e garanzia, a tutela della correttezza e
imparzialità delle decisioni da prendere. I costi tuttavia devono entro un lasso
ragionevole di tempo “tornare indietro” attraverso i ricavi che potranno essere
ricavati dall’uso economico dell’idea motrice, una volta che questa ha avuto
successo (ad esempio si possono “vendere” certificazioni o quote consortili a
carico di chi vorrà utilizzare le risorse semantiche messe in campo dall’iniziativa.
3) CONDIVISIONE ORGANIZZATA DEL RISCHIO
La salvaguardia del tessuto relazionale da cui dipende la divisione del
lavoro cognitivo nelle filiere, nei settori e nei territori richiede che il rischio
diffuso che grava ormai su tutti, non sia subito ma venga affrontato in una
logica collaborativa di condivisione.
Si potrebbe ad esempio lavorare su contratti-tipo (flessibili) tra i
risparmiatori (compresa qualche banca erogatrice) e le imprese locali, per
canalizzare il risparmio locale all’assunzione di quote di minoranza in una serie
di aziende o reti che ne fanno richiesta.
La stessa logica dei contratti-tipo potrebbe essere usata in provincia per
introdurre nel rapporto di lavoro uno scambio esplicito e importante tra salario e
produttività, nel senso che se la produttività (in valore) cresce, il salario si
adegua automaticamente, e accade invece il contrario – ovviamente – se la
produttività scende.
Anche tra committenti e clienti si potrebbe cercare di alzare l’asticella
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della collaborazione, suggerendo alle imprese un salto di qualità rispetto alla
prassi contrattuale del passato. Si tratta di costruire contratti di partnership in
cui il rischio di andamenti complessivamente favorevoli o sfavorevoli viene
condiviso tra imprese che accettano di dipendere, almeno in parte, l’una
dall’altra.
4) RIATTIVAZIONE DEI CICLI DI VITA DEL PRODOTTO CHE SI
AVVIANO ALLA MATURITA’
Bisogna prevenire il pericolo che buona parte dei modelli di business
messi a punto trenta o quaranta anni fa, e tuttora fiorenti, si avvicinino, nel loro
ciclo di vita, alla fase della maturità. Per scongiurare questo esito bisogna
rinnovare in modo importante il prodotto o il processo, soprattutto dal lato del
significato che hanno per chi lavora nel produrli, per gli users e per i
consumatori finali.
Cambiamenti importanti di questo tipo passano sempre per la
contaminazione o il ricambio interpersonale. Fare spazio in queste aziende a
persone nuove, che in precedenza non avevano posti di responsabilità in misura
significativa (manager, donne, giovani) o a persone provenienti da altri frames
culturali (società finanziarie, imprese estere, comunità di senso ecc.) può
indurre i semi del cambiamento, che poi si faranno lentamente strada da soli.
Oppure l’elaborazione di alcune idee motrici potrebbe servire a ringiovanire il
ciclo di vita delle imprese e dei prodotti che si legano a questa nuova identità.
5) CONTRO I PERICOLI DELLA MONOCULTURA DI NICCHIA
La ristrettezza delle nicchie in cui operano alcuni “campioni” locali può
essere pericolosa se induce nell’azienda, nella sua filiera e nel territorio in cui
opera un sistema chiuso, in cui si sviluppa una monocultura tutta centrata sulle
cose che già si sanno fare.
La nicchia è una bella cosa se il presidio della qualità e dell’alto di
gamma, che essa rende possibile anche ad aziende piccole o medie, non
diventa separatezza dal resto del mondo. E siccome il mondo, oggi, è in uno
stato di ebollizione continua, l’eventuale chiusura sul proprio business può avere
conseguenze negative. Lo si è visto, ad esempio, a Prato, dove la monocultura
tessile ha inibito la ricerca di strade nuove, compreso lo sviluppo a valle della
filiera tessile (verso le confezioni, e dunque l’abbigliamento).
Pesaro per fortuna ha un sistema diversificato di settori e di nicchie, per
cui è importante tenere aperti i canali di comunicazione e di esperienze
condivise tra imprese che appartengono settori diversi.
Lo sviluppo di idee motrici molto ampie, trasversali ai settori tradizionali,
avrebbe come effetto un aumento dell’apertura al nuovo e al diverso degli
attuali imprenditori.
6 ) RIMEDI CHE CORREGGANO IL GAP CREATOSI NEL
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PROCESSO DI MODERNIZZAZIONE MANAGERIALE
La modernizzazione manageriale in provincia è andata avanti troppo
lentamente. Molte sono le imprese, anche di media o grade dimensione, che
hanno accumulato un serio gap su questo terreno, non sperimentando i
vantaggi che ci possono essere nell’affiancare altre persone, dotate di forte
autonomia decisionale, all’imprenditore.
Come si sa, i manager sono in genere presenti – come tali – solo in
aziende che superano una certa dimensione, e anche in queste – che sono
poche – l’autonomia del manager è in genere limitata dal ruolo baricentrico e
pervasivo dell’imprenditore.
Il mancato apporto del management può significare in molte aziende una
mancanza di esperienza di strutture di governance in cui ci sono più persone
coinvolte nelle decisioni. Inoltre, rischiano di mancare competenze importati per
lo sviluppo futuro. Dunque il ritardo su questo processo non promette niente di
buono, dal punto di vista del salto evolutivo richiesto dal nuovo paradigma
emergente.
I rimedi possono essere cercati su due versanti complementari:
- cercare di avvicinare gli imprenditori alla cultura manageriale, con
una serie di incontri dove i protagonisti siano manager di successo o
imprese che si mono per tempo managerializzate con buoni risultati;
- cercare di infondere alla cultura manageriale classica (centrata sulla
grande impresa e sulla sua piramide verticale di comando) un respiro
nuovo, che rende il manager maggiormente autonomo nelle decisioni
e responsabilità, assumendo in parallelo una quota del rischio di
risultato
Potrebbe essere utile, a questo scopo, immaginare un struttura
permanente “leggera”, che lavori nella formazione manageriale in
collaborazione con le Università locali (Urbino in primis) e con le Business
Schools più vicine ai sistemi di piccola impresa.
7) APRIRE IL SISTEMA LOCALE AGLI APPORTI ESTERNI
Un punto di debolezza importante è il ridotto apporto di intelligenze
esterne alla provincia nel reclutamento delle persone da immettere nel sistema
produttivo. E, di conseguenza, anche la scarsa capacità di attrazione di giovai
talenti provenienti dall’esterno.
In un mondo che si globalizza questa caratteristica può diventare un
serio handicap per le imprese locali, nella misura in cui inibisce la
contaminazione tra mondi diversi, frenando così l’evoluzione innovativa della
cultura locale.
Un possibile rimedio a questo rischio deve essere cercato aumentando
l’interscambio di persone tra il territorio pesarese e il resto del mondo. Ad
esempio organizzando, insieme all’Università, un programma di scambio di
stages per giovani, con la creazione di venti/trenta stage di studenti/laureati
esteri presso le imprese della provincia e la creazione di venti/trenta stage di
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studenti pesaresi presso imprese estere.
8) AVVICINARE SCUOLA E MONDO DEL LAVORO
I processi formativi, della ricerca e della formazione devono essere
liberati da quella separatezza – rispetto al mondo reale – che danneggia i
giovani, le imprese e la ricchezza del territorio nel suo insieme.
Non si tratta di “aziendalizzare” la scuola, perché il ruolo di formazione
delle menti e di uno spirito critico aperto, senza tesi precostituite, è parte
integrante della formazione che serve a muoversi con intelligenza in ambienti
ad alta complessità, come gli attuali. Si tratta invece di collegare le esperienze
scolastiche dei giovani ai problemi reali che investono la società in cui vivono:
problemi produttivi, certo, ma anche di solidarietà, di servizio, di democrazia. E
soprattutto di creatività. Da questo punto di vista, occorrerebbe anche
precostituire le condizioni per attrarre talenti esterni, favorendo in questo modo
la creatività dell’ambiente locale. Le persone creative hanno bisogno di ambienti
creativi, in cui la storia, la cultura, le emozioni, la solidarietà si mescolino in un
mix originale, non banale. E’ la città che deve avere i suoi luoghi creativi, in cui
si possa andare perché si sa di poterci trovare ogni sera nuove idee e nuova
intelligenza. Un progetto di riorganizzazione urbana con questo fine potrebbe
essere avviato o accelerato se già esiste in itinere.
9) RENDERE PIU’ ORIGINALI E COMPLESSI I PRODOTTI
OFFERTI AL MERCATO
Questo punto richiede che un serio investimento, fatto dalle imprese, sul
worldmaking (creazione di mondi), possa dare alle innovazioni introdotte quel
carattere radicale che consente di farle durare nel tempo e di allargarne il
raggio di propagazione.
Su questo punto le imprese possono essere aiutate a sviluppare tutta
una scala di miglioramenti: nella tecnologia, nella qualità intrinseca del
prodotto, nei significati ed esperienze che il suo uso rende possibile, nella
definizione di nuove identità e di nuovi legami.
Il problema serio è che, se queste scelte venissero fatte in modo
impegnativo, finirebbero per scarseggiare: a) i mezzi finanziari; b) le
competenze del capitale umano impiegato.
Per non farsi bloccare da queste due difficoltà, è necessario immaginare
che gli investimenti continuino ad essere distribuiti tra le molte unità della filiera
e che il capitale umano possa crescere grazie agli investimenti personali fatti da
professionisti esterni. Il rafforzamento dei legami tra manifattura e terziario, e
tra piccole e grandi imprese, costituisce la cornice necessaria al
riposizionamento della nostra offerta nella fascia di mercato di maggior valore e
di maggiore complessità.
10)
USARE LE RETI DI IMPRESA COME LEVA
13
MOLTIPLICATIVA DEGLI USI E DEL VALORE
La costruzione di un fitto tessuto di reti formali e informali è la premessa
necessaria per consentire al capitalismo locale di piccola impresa di svolgere il
suo ruolo in condizioni di modernità, ossia con un buon livello di efficienza e di
meccanizzazione.
Tuttavia le reti interessano anche le grandi imprese, come dimostra
l’esperienza in tutti i campi avanzati del sapere. Per vincere lo scetticismo verso
il “lavorare in rete”, più che la predica teorica (contro l’individualismo), serve
l’esempio: bisogna documentare le ragioni e i vantaggi/svantaggi delle
esperienze di rete fatte sin qui e portarle a conoscenza del pubblico locale.