Cambiare è possibile!
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Cambiare è possibile!
Cambiare è possibile! (…) Ormai tutto, anche gli esseri umani, sono risorse al servizio del rendimento del capitale. Noi non siamo più persone: siamo diventati tutti “risorse umane”. Il nostro diritto all’esistenza è come quello di una risorsa energetica: il carbone non conta più? E allora si usa il petrolio. Una “risorsa umana” italiana non conta più? Allora se ne prende una cinese. Anche quella cinese non serve più? Eccoti quella indiana. È in atto una mercificazione dell’essere umano; ogni vivente diventa cosa, merce. La libertà di brevettare vuol dire che io posso diventare proprietario dei semi o delle varietà vegetali del Congo, oppure di un algoritmo matematico per il software di Microsoft. Questa è la privatizzazione del mondo: è considerato una specie di enorme capitale di risorse materiali e immateriali, umane, naturali, minerali, energetiche, suscettibili di diventare proprietà dei più forti per permettere loro di diventare ancora più forti. È una logica asimmetrica, nel senso che colui che è più ricco si impadronisce degli elementi per creare (…) un’ulteriore ricchezza per sé, mentre colui che è stato impoverito diventa sempre più povero, privato delle condizioni materiali che gli permetterebbero di non esserlo più. Come ci si può spiegare che ancora oggi, nel 2006, ci siano tanti poveri? (…) Nel 1974 la Banca Mondiale, la comunità internazionale e gli esperti, hanno definito “povero assoluto” colui che ha meno di 1,60 euro al giorno. Ce ne sono 2,8 miliardi, quasi la metà della popolazione mondiale. Viviamo in un mondo che crea sempre più povertà. Però quell’euro e mezzo non è sufficiente a farci capire la durezza della miseria, e allora abbiamo inventato il concetto di “estremamente povero”: è colui che ha meno di 80 centesimi di euro al giorno. Ce ne sono 1 miliardo e 300 milioni! Nel ‘74 la comunità internazionale lanciò una campagna per l’eliminazione della “povertà assoluta” entro il 2000. Avevano detto che se noi, Paesi ricchi, avessimo dato per venticinque anni lo 0,7% del nostro PIL, avremmo sradicato la povertà, (…) ma nel 2000 quei 2,8 miliardi di persone erano ancora poveri. (…) Nessuno, salvo Danimarca, Svezia e Norvegia, ha stanziato lo 0,7% del PIL. L’Italia ha dato lo 0,13%, mentre gli Stati Uniti, il Paese più ricco del mondo, hanno versato lo 0,11%. Non solo non abbiamo fatto quello che ci eravamo impegnati a fare, ma abbiamo attuato delle politiche che hanno ricreato le cause dell’impoverimento. Per scaricarci la coscienza, abbiamo dato la colpa ai popoli africani o asiatici: “Fanno troppi figli e sono guidati da élite corrotte! Allora bisogna smetterla di continuare ad aiutarli...” Così l’Unione Europea, a partire dal ‘92, ha cominciato a dire: “Basta agli aiuti, non chiedeteli più, diventate competitivi!”. Nel 2000, costatando questo fallimento, la comunità internazionale ha allora inventato i famosi “obiettivi dello sviluppo per il nuovo millennio”. Si è detto: “No, non si può più sradicare la povertà, al massimo la si può ridurre”. Ora l’obiettivo è quello di ridurre di metà il numero non dei poveri, ma degli “estremamente poveri”. E come? Aiutandoli affinché creino nei loro Paesi le condizioni economiche favorevoli alla nascita di una imprenditoria che diventi competitiva sui mercati mondiali. (…) Così la comunità internazionale ha accettato l’idea che entro il 2015 ci siano ancora circa 3 miliardi e 100 milioni di poveri. (…) Siamo noi il vero pericolo del mondo se continuiamo a fare quello che facciamo. È pericoloso l’italiano che consuma 300 litri di acqua potabile al giorno; è criminale lo statunitense medio che ne consuma 801 e poi dice: “Il modo di vita americano non è negoziabile, quindi io utilizzo 801 litri e continuerò a farlo perché questa è la mia libertà...”. Dov’è la criminalità? Il figlio del marocchino che ruba in un supermercato è immediatamente processato, però il consumo di 80l litri al giorno di acqua potabile non è un furto, ma l’espressione della civiltà, del modo di vita occidentale! (…) Chi ha detto che non è possibile cambiare? Abbiamo paura: se cambiamo un pochino, pensiamo di diventare poveri. Un istituto di ricerca tedesco ha calcolato che se cambiassimo il nostro modo di vita in termini di uso delle risorse energetiche, la qualità della vita aumenterebbe. Non è vero che se cambiassimo il nostro stile di vita riducendo il consumo delle risorse del pianeta, degli alberi, delle energie fossili, dell’acqua, la qualità della nostra vita peggiorerebbe, anzi. La nostra vita diventerebbe migliore! Invece ci hanno detto: “Vuoi i prati verdi? Vuol dire che non vuoi più occupazione e più ricchezza. Vuoi le pecorelle? Allora sei contro i posti di lavoro”. Ci hanno ricattato: o la ricchezza materiale o il rispetto, l’amicizia, la solidarietà fra tutti gli uomini. È possibile cambiare! Non è vero che siamo destinati a morire tutti poveri o guerrieri. Possiamo cambiare da domani mattina, ma abbiamo bisogno di ricostruire un progetto di vita. Non si può ricostruire un futuro se non si parte dall’idea che l’obbiettivo principale è creare le condizioni affinché tutti abbiano il diritto alla vita. Questo è l’obiettivo primario. Riccardo Petrella Missione Oggi – aprile 2006