Diapositiva 1 - Villa Scopoli
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Diapositiva 1 - Villa Scopoli
Uscita didattica a villa Scopoli Avesa Classe 1 L Sc.Media Betteloni • • • • • • • • VILLA SCOLPOLI Agli inizi del 1200, il terreno su cui sorge la villa e il suo parco apparteneva al monastero dei monaci Camaldolesi, provenienti dall'ordine benedettino. La villa è conosciuta come Villa Del Bene, perché, prima di essere dei conti Scopoli, apparteneva alla famiglia nobile Del Ben. VITTORIA Ippolito Scopoli, ingegnere e idraulico, entrato in possesso della villa nel 1849 ide עnumerosi interventi per rendere più funzionale l'intera proprietà. L'ultima ereditaria degli Scopoli lasciò la terra a Don Mazza perchè egli era amico di Giovanni Scopoli e perciò oggi appartiene all'Istituto Don Mazza. Subito dietro la villa vi è un immenso giardino all'italiana dove un tempo c'era una serra di limoni che veniva riscaldata con l'acqua del Lorì, appositamente deviata e condotta attraverso una canaletta pensile sul muro di cinta alla villa, al giardino e alla peschiera. • • • • • • • Una volta giunti ad Avesa, presso la villa Scopoli, siamo stati divisi in due gruppi, noi del gruppo A siamo andati alla sorgente del Lorì, un affluente dell'Adige. Il nome Lorì deriva da LO RIO che significa il ruscello. E' un fiume di risorgiva o falda acquifera perché l'acqua, scesa dal cielo sotto forma di precipitazioni, penetra nel terrerno permeabile dei monti retrostanti Avesa, e, siccome è ricca di anidride carbonica, riesce a erodere la roccia calcarea, scavarsi degli anfratti sotterranei nei quali scorre, fino a quando incontra un terreno impermeabile e viene in superficie. Il Lorì ha un getto costante di 25 litri al secondo e la temperatura dell'acqua è sempre intorno ai 13 gradi. L'acqua del Lorì è stata in passato per irrigare i campi, come fonte di energia meccanica dei per i mulini per macinare le olive o il mais e infine per lavare i panni. L'acqua del Lorì, nel XIII secolo, all'epoca degli Scaligeri, fu molto importante perché dava l'acqua a Verona. Prima riposava in una grande cisterna a san Giorgio, poi veniva incanalata e all’altezza di Ponte Pietra, arrivava in Piazza Erbe e nei pozzi nei cortili delle case dei benestanti. A quell'epoca c'era un signore che aveva l'appalto di quest'acqua, cioè la distribuiva in città e teneva per sè tutto il guadagno che provenire dalla vendita dell'acqua. Questo signore si chiamava Malaspina e fu colui che "sponsorizzò" con il suo denaro l'ascesa al potere di Cangrande Della Scala. Con l’arrivo di Napoleone Bonaparte a Verona, a inizio 1800 sparirono molti ordini ecclesiastici e i nobili persero il potere sui terreni che possedevano; i contadini di Avesa persero il lavoro, così gli abitanti di Avesa diventarono lavandari. Il lunedì scendevano a Verona, ritiravano la biancheria sporca dei nobili in Piazza Bra, la contrassegnavano con un gessetto scrivevano il nome del proprietario e la riconsegnavano pulita il venerdì. I lavandari dovevano avere un asinello e un carretto, un campetto per coltivare il fieno per l'asino e una piccola stanza in cui c'erano due grandi caldaie di mattoni dove la biancheria veniva messa in ammollo dentro un pentolone di rame, la lissiara. Sotto accendevano il fuoco che, oltre a riscaldare dal di sotto il pentolone, attraverso l'intercapedine che lasciavano tra la caldaia e il pentolone in rame, circondava l'intero calderone. All'interno del pentolone versavano acqua, la lisciva (sapone) e la cenere e mettevano i panni a bollire tutto il giorno. Poi, con un grande bastone, prendevano tutti i panni e li travasavano nella brenta, una specie di cisterna in cui li facevano scolare tutta la notte. Il giorno dopo riprendevano i panni e li sciacquavano nelle acque del Lorì. I lavandari, per non bagnarsi, si mettevano dentro la brela, una cassa di legno ricoperta di catrame in modo da non far passare l'acqua, prendevano i panni li sbattevano e sfregavano su di una grande pietra rettangolare e poi li sciacquavano. Infine li stendevano lungo le rive del fiume, perchè lì non c'era umidità e quindi la biancheria si asciugava presto. In caso di nebbia, i lavandari portavano i panni da stendere in un anfiteatro naturale su in collina. Durante la nostra visita, abbiamo potuto osservare lungo il fiume dei lavatoi scoperti ed altri coperti. modellino di un antico mulino, usato per macinare grano e cereali e per battere il ferro IL MONASTERO CAMALDOLESE • Poi ci siamo spostati in una via adiacente che era lastricata e conduceva attraverso un portale, dove una volta c'era un ponte levatoio sul Lorì, all'interno delle mura che racchiudevano le proprietà del monaci Camaldolesi. In fondo alla via c'era la chiesetta del XII secolo con un portale eretto più tardi dal San Micheli. Il tetto è a capanna, la facciata presenta una finestrella di forma allungata detta monofora. All'interno della chiesa c'era, sul pavimento, lo stemma dei Camaldolesi che rappresenta due colombe che bevono dal calice, la fonte della verità e sul fondo un altare con bassorilievi di stile gotico. • • • • • L'ingresso alla peschiera טcostituito da un elegante portale, incorniciato da due semicolonne. Varcato il portale si accede alla peschiera: una grande vasca ovale circondata da una balaustrata con vasi contenenti piante in corrispondenza dei pilastrini; ognuno di questi טdecorato da mascheroni differenti tra loro, dai quali zampilla dell'acqua che andava a finire nei vasi sovrastanti. Questa vasca טracchiusa da un muro di cinta che presenta nicchie, decorate con conchiglie, statue marmoree e mosaici colorati. Sullo sfondo un complesso in muratura a forma di grotte, costituito da una stanza centrale e due stanze laterali minori. La stanza centrale טdecorata con finte stalattiti, conchiglie e di fronte all'ingresso si nota una nicchia decorata con una grande conchiglia aperta, recante due gigli incrociati. Le due stanze più piccole sono a pianta circolare con nicchie in cui sono raffigurati paesaggi e città, mentre e, nella parte superiore, da stucchi baroccheggianti di scene mitologiche. Il complesso era sicuramente caratterizzato da giochi d'acqua, dato che si possono ancora scorgere i punti dai quali essa entrava e usciva, così come riportato anche in due documenti risalenti al 1696. • Giunti nel cortile della villa Scopoli, siamo andati a vedere il modellino di un antico mulino, usato per macinare grano e cereali e per battere il ferro. • Tra la villa, il giardino e i terrazzamenti della collina, c‘è un filare di cipressi piantati in due file rette in modo da creare un “corridoio” che accompagna l'occhio dell'osservatore in prospettiva e profondità fino alla terrazza pensile in collina. L'ambiente e il panorama da lassù è bellissimo! C'erano cipressi, ulivi, alberi da frutto e boschi di latifoglie (frassini). • Nel sottobosco, mi sono continuamente punta con i pungitopo dalle rosse bacche:tremendi! C'erano anche cespugli di bosso, un arbusto utilizzato per le siepi dei giardini all'italiana. Abbiamo ammirato anche dei fiori come le violette a cinque punte, le margherite, gli iris e i fiori di pesco. • Sfortunatamente noi del primo gruppo non abbiamo visto,come quelli del secondo, gli scoiattoli ma abbiamo notato le impronte dei cinghiale. Muretti a secco franati per l’incuria