I rischi energetici se non si torna ai fondamentali

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I rischi energetici se non si torna ai fondamentali
Claudio Descalzi
I rischi energetici
se non si torna
ai fondamentali
I prezzi del petrolio sono pericolosamente sganciati dall’economia reale e influenzati da fattori molto volatili. Un riallineamento graduale sarebbe positivo per
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tutti. E potrebbero facilitare questa transizione le nuove opportunità nel Mediter-
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raneo orientale e in Libia.
Aspenia
Oggi i prezzi del petrolio sono condizionati da proiezioni volatili a breve termine e fortemente
influenzati dai mercati finanziari, mentre i fondamentali di lungo termine dovrebbero
condurci a un livello di prezzi più realistici per petrolio e gas. L’assenza di un regolatore –
ruolo svolto in passato dall’OPEC – che bilanci i prezzi del petrolio e fornisca una prospettiva
a lungo termine – ha dato origine a un mercato condizionato da posizioni a breve termine,
che accentuano l’impatto degli squilibri a oggi esistenti tra domanda e offerta. Un chiaro
esempio di tale visione a breve termine è dato dalla forte correlazione tra il trend del prezzo
del petrolio e i dati pubblici sulle scorte statunitensi, sebbene il loro valore sia oggi pari ad
appena cinque giorni di domanda globale. Queste dinamiche hanno inoltre contribuito al
fatto che il prezzo del petrolio sia sceso del 70% dalla metà del 2014 e che i prezzi del gas,
in molti casi ancora legati alle quotazioni petrolifere, abbiano seguito un trend analogo.
Negli ultimi due anni, i prezzi del gas sono diminuiti negli Stati Uniti e in Europa del 50%,
e in Asia del 70%, raggiungendo i livelli più bassi registrati dalla fine degli anni Novanta.
I fondamentali di mercato non sono allineati con questo livello di prezzi per il petrolio:
•
La spare capacity mondiale è al suo valore minimo da decenni (attorno al 2%).
•
Gli investimenti nel settore upstream, con un taglio del 20% nel 2015 e la previsione
per il 2016 di un -15% si attestano al disotto di una soglia critica. Nel 2016 si stima un
livello di investimenti sui 450 miliardi di dollari, mentre l’Agenzia internazionale dell’Energia
(AIE) stima un valore di 600 miliardi solo per compensare il naturale declino della produzione
mondiale, che è pari a circa il 5%
all’anno.
Claudio Descalzi è amministratore delegato di Eni.
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• Le compagnie petrolifere internazionali stanno rimandando o annullando i progetti più
complessi e con costi di produzione più alti, e riducendo gli investimenti per le attività di
ottimizzazione della produzione.
• L’aumento della domanda nel 2015 ha toccato il livello più alto dal 2010, 1,8 milioni
di barili al giorno contro una previsione di 1,2 milioni b/g.
• La produzione di tight oil negli Stati Uniti sta diminuendo (450.000 b/g da marzo 2015)
e il dipartimento dell’Energia statunitense prevede un’ulteriore riduzione di 100.000 b/g
ogni mese a partire da gennaio 2016.
• I rischi geopolitici si stanno diffondendo in diverse aree di produzione.
• L’offerta continua a superare la domanda di circa 1,7 milioni b/g, principalmente a
causa degli aumenti di produzione dell’Arabia Saudita e dell’Iraq, mentre la produzione nonOPEC è scesa di 600.000 b/g da novembre a dicembre 2015.
L’ESIGENZA DI UN RIALLINEAMENTO GRADUALE. Se persiste questa situazione, il settore
energetico ne sarà pesantemente danneggiato e potremmo ritrovarci nel prossimo futuro
nelle difficili condizioni di un mondo che non produce abbastanza energia.
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Non possiamo controllare né limitare la reattività a breve termine dei mercati internazionali
o la volontà di alcuni paesi di continuare ad aumentare la produzione, ma possiamo lavorare
su una delle principali distorsioni dell’odierno mercato energetico: il mancato allineamento
tra i prezzi oil & gas e la struttura dei costi. È proprio questo uno dei principali nodi da
sciogliere per far ripartire gli investimenti e garantire un approvvigionamento energetico
globale diversificato.
Mentre i prezzi sono scesi di circa il 70%, i costi sono calati solo del 24%, e si può
presumere che siano ancora basati sui livelli di prezzo di circa 70-80 dollari al barile.
Solo chi riuscirà ad allineare velocemente le proprie strutture di costi ai prezzi sarà in grado
di mantenere un ragionevole livello di investimenti e, di conseguenza, la quota di mercato.
Altrimenti, la diversificazione dell’offerta globale sarà ridotta, perché solo pochi paesi con
costi di produzione bassi continueranno a produrre e sviluppare risorse, e tali paesi sono per
lo più concentrati in Medio Oriente e nel Nord Africa.
In questo contesto, caratterizzato dalla necessità di una transizione graduale per allineare
costi e prezzi, il Medio Oriente e il Nord Africa, a cui oggi si deve il 36% della produzione
globale di idrocarburi liquidi, hanno la potenzialità di assumere un ruolo ancor più centrale
nello scenario energetico.
In effetti, queste due regioni possono far leva su:
• costi di produzione competitivi, grazie all’abbondanza di risorse convenzionali onshore
con livelli di break-even bassi;
• enormi quantità di riserve oil & gas, che costituiscono il 50% delle riserve petrolifere e
il 40% delle riserve di gas mondiali;
• riserve monetarie in molti casi capaci di sostenere gli investimenti e la produzione in
questa fase di generale depressione e bassi ricavi;
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• capacità di svolgere il ruolo di swing producers (produttori marginali) in quanto detentrici
della quasi totalità della spare capacity globale.
Infatti, l’Arabia Saudita e l’Iraq sono stati i principali responsabili dell’aumento dell’offerta,
circa 900.000 b/g tra l’una e l’altro, in questo contesto di prezzi.
LE NUOVE OPPORTUNITÀ NEL MEDITERRANEO. Tutti questi elementi mettono in evidenza
la forte posizione strategica del Medio Oriente e del Nord Africa nello scenario energetico
globale. Passando dal mercato del petrolio a quello del gas, il Medio Oriente ha un enorme
potenziale da sviluppare, e mi riferisco in particolare alle ulteriori risorse di gas nel
Mediterraneo orientale.
Il megagiacimento offshore egiziano di Zohr, infatti, è solo l’ultima di una serie di scoperte
che hanno portato all’identificazione di volumi significativi di gas nelle acque profonde di
Egitto, Israele e Cipro nel corso degli ultimi anni.
Oltre alle riserve già scoperte, ci si aspetta che le acque profonde del Delta del Nilo e il
Bacino di Levante abbiano ancora un grande potenziale, al quale si aggiungono le cospicue
risorse che aspettano di essere sfruttate in Libia.
Inoltre, tali risorse possono contare su infrastrutture già presenti in Egitto, sia per la
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produzione, come condotte di raccolta e impianti di trattamento, sia per l’esportazione,
come terminali di liquefazione e gasdotti, per una capacità complessiva di esportazione di
35 miliardi di metri cubi l’anno.
Se questi paesi saranno in grado di definire strategie comuni e di condividere le infrastrutture
esistenti, riusciranno ad abbassare i livelli di investimento necessari, a ridurre i costi e a
velocizzare lo sfruttamento delle risorse disponibili, favorendo una crescita più sostenuta.
Tutto ciò porterà alla creazione di un nuovo hub del gas, che potrebbe dare un forte impulso
allo sviluppo e contribuire alla stabilità dell’intera regione.
In conclusione, i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa si trovano di fronte a uno
scenario difficile, per via delle tensioni geopolitiche, ma hanno anche grandi potenzialità
per ribaltare questa situazione nel medio-lungo termine, sfruttando l’enorme quantità di
riserve oil & gas con livelli di break-even e costi operativi bassi.
Questo testo è tratto da un discorso pronunciato il 25 gennaio 2016 in occasione della
conferenza “Middle East and North Africa energy power, security and energy markets” a
Chatham House, a Londra.
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