Celestini, da Giufà alla lotta di classe «Ogni

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Celestini, da Giufà alla lotta di classe «Ogni
C ORRIERE
DELLA
S ERA U M ARTEDÌ
9
M AGGIO
Corriere Eventi
2006
L’ I NTERVISTA
TEATRO CIVILE Da destra,
Ascanio Celestini con i musicisti Matteo
e Gianluca D’Agostino nello spettacolo
«La fine del mondo» (foto Max Botticelli)
Celestini, da Giufà alla lotta di classe
«Ogni storia può spiegare il mondo»
Sul palco con Danilo Rossi e gli orchestrali della Scala: un’altra musica per le mie improvvisazioni
A
scanio l’aedo e l’orchestra. Celestini,
acrobata della narrazione orale, divide il palco con i musicisti dell’Accademia del Teatro la Scala. Sei serate per
mettere a confronto la parola che viene dal basso e la «musica alta» nata dal genio di Mozart
e Rossini. Quando la memoria popolare si intreccia alla tradizione classica.
Celestini, cosa bisogna aspettarsi da questa
insolita accoppiata?
«Il maestro Danilo Rossi lavorerà su una
scrittura molto precisa, quella orchestrale, io
lascerò invece campo libero all’improvvisazione. Ci comporteremo come due musicisti, attenti a rispettare ognuno i tempi dell’altro.
Racconterò delle fiabe, delle storie duttili per
natura, costruite sull’azione e non sui personaggi: quando la prima cambia anche gli altri
assumono contorni differenti. Ogni serata sarà quindi diversa dalla precedente».
Quali fiabe ha scelto?
«Il principale protagonista sarà Giufà, una
maschera stupida e intelligente allo stesso tempo, come Pulcinella. Un personaggio che mia
nonna — originaria di Anguillara, nel nord
del Lazio — chiamava Zichecco, ma che ha
girato per tutto il Mediterraneo con nomi molto simili: Iucca, Zucca, Iufà. Le sue vicende
vengono raccontate come le barzellette sui carabinieri: storielle a catena, messe insieme a
piacimento, da smontare e rimontare all’infinito. E magari da mescolare con "Gian Babbeo"
di Andersen, come faccio io».
Questi elementi favolistici e grotteschi sono
molto presenti nella tradizione della canzone popolare, che tramanda vicende, sentimenti ed
emozioni personali e collettive, mescolando cronache e leggende. Le stesse storie di cui si nutre
il suo teatro.
«In realtà ciò che si tramanda con la canzone popolare è diverso dal repertorio dei miei
racconti. Un contadino che cantava quello
che aveva imparato da ragazzino o durante
una determinata fase del suo lavoro non pensava questi canti come "oggetti" creati da un autore. Quando io invece porto dei racconti della tradizione orale su un palco, la mia impronta è determinante: mi pongo infatti nella doppia veste di interprete e autore. Anche una fiaba di Andersen con me diventa irriconoscibile».
Filastrocche, ballate, canti di questua, di lavoro, di resistenza, il lamento della malmaritata: nelle sue ricerche ha trovato testimoni diretti
di questo tipo di tradizione orale?
«Ho incontrato alcuni anziani minatori del
Monte Amiata che riuscivano a raccontare alcune delle loro storie soltanto cantandole.
Uno di loro, Sauro, mi descriveva il lavoro in
miniera, dove diceva di aver passato 35 anni.
Poi un suo compagno mi ha spiegato che in
miniera Sauro non ci aveva mai messo piede.
La storia è questa: per tutta la vita aveva fatto
parte del coro dei minatori, e quando incontravano altri colleghi cantanti si salutavano dicendosi gli anni di sottosuolo: tutti tranne lui. E
allora si era inventato questo pedigree...».
Sentiva di non potere cantare con gli altri se
non ne condivideva la stessa identità.
«Certo. Allora vi era un legame fortissimo
tra memoria condivisa e individualità. Un altro esempio: nel Gargano io e mia moglie abbiamo conosciuto Fausto, un anziano artigiano che costruisce strumenti in legno. Lo volevo registrare e gli ho chiesto di esibirsi per noi:
"Queste canzoni le cantavamo quando si lavorava la terra — mi ha spiegato —, e ora che la
terra non si lavora più, perché mai dovrei cantarle?". Sauro e Fausto hanno un problema simile: per cantare uno deve fingersi minatore,
mentre l’altro non può cantare proprio perché
non può fingersi contadino. Per entrambi la
questione non è se la canzone sia bella o brutta, ma che sia sensata, ovvero che sia legata
alla funzione — evocativa, lavorativa o rituale
— in cui nasce e all’interno dalla quale conser-
va il suo significato».
Il carattere popolare della canzone è dunque
legato a questo elemento comunitario?
«Sì. Quello che facevano i cantastorie era
portare in giro notizie, cronache e leggende
"prodotte in casa", nel senso che emergevano
da un patrimonio di vita vissuta comune che
legava interprete e ascoltatore. Erano canzoni
che nascevano da un bisogno. Lo stesso motivo per cui la tradizione orale racconta le storie
LA CANZONE POPOLARE
Ho incontrato dei vecchi minatori
che riuscivano a spiegare
la loro esperienza solo cantando
IL PRECARIATO
Racconterò i lavoratori dei call
center, ragazzi in una macchina
alienante come una fabbrica
del passato sempre al presente: il bisogno di
ricordare. Se non c’è questa necessità, qui e
ora, una storia viene semplicemente dimenticata».
Le canzoni di oggi, quelle dei nostri più grandi cantautori come De André, De Gregori o Guccini, possono contribuire a costruire una memoria collettiva?
«No, perché le loro canzoni appartengono
esclusivamente a loro, sono prodotti dell’industria culturale e non più "oggetti" vissuti dalla
comunità. Possono essere anche brani bellissimi di cui io imparo parole e melodia, tuttavia
quella canzone resterà sempre l’esperienza e la
creazione di qualcun altro: dell’autore, dell’artista appunto. Ricordo che quando ero ragazzino con gli amici cantavamo "La Locomotiva" imitando persino la erre moscia di Guccini. C’è insomma un’identificazione con la persona che canta e non con la vicenda o i sentimenti narrati nella canzone: è per questo che
la musica d’autore non può essere "popolare"
nel senso tradizionale del termine».
Qual è la canzone popolare che conosce meglio?
«Mi è capitato di registrare versioni diverse
de "L’ortolano", la storia di questa ragazza
che dice ai genitori che sta male per qualcosa
che si trova nell’orto. Allora parte la tiritera
per capire di cosa si tratta: "È il peperone, è il
DODICI APPUNTAMENTI NELLE CENTRALI E NEI TEATRI
L’altra accoppiata: Paolini e la formazione di Santa Cecilia
D
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di scaletta e ci siamo accordati di lasciarci
odici concerti di classica e prosa: il
una piena libertà reciproca di
progetto musicale dell’Enel
improvvisazione». Ci sarà una prima parte
esordisce il 6 luglio (con replica il
classica e una seconda più moderna: si
giorno successivo) alla Centrale La Casella
parte con Mozart e Rossini, poi il «Gran
di Piacenza con l’Orchestra
Tango» di Piazzolla per viola, pianoforte e
dell’Accademia del Teatro alla Scala
orchestra d’archi arrangiato da Stefano
diretta da Danilo Rossi in «duetto» con
Nanni e infine il «Bruderschaft» di
Ascanio Celestini. Il 20 luglio alla Centrale
Kakhidze, un brano in quattro movimenti
Sulcis, in provincia di Cagliari, parte
che mescola gli stili, parte da una struttura
invece la mini-tournée dell’altra
classica per immergersi poi nello swing e
accoppiata: l’Orchestra dell'Accademia di
nel jazz. Non mancheranno le sorprese:
Santa Cecilia diretta da Mario Brunello e
Danilo Rossi con i musicisti dell’Accademia della Scala
«Diciamo che ci sarà un fuori programma
l’attore Marco Paolini. «L’incontro tra
rock. E anche Ascanio mi ha assicurato
l’orchestra e il teatro popolare è tanto
spesso la musica viene scritta apposta per un
che la sua narrazione andrà fuori dagli schemi,
insolito quanto stimolante: le due arti possono
pezzo teatrale e finisce per essere mera cornice o
lasciandosi andare ai "suggerimenti" della
benissimo dividersi il palco senza rubarsi il
sottofondo; altre volte accade invece che gli
musica». L’Accademia della Scala e Celestini
tempo né risultare troppo didascalici, creando al
interventi dell’attore hanno l’effetto di
saranno poi in piazza a Belluno il 22, alla
contrario un’alchimia di linguaggi davvero
Centrale di Piombino il 23, alla Centrale
emozionante», spiega Danilo Rossi, amante delle interrompere e appesantire l’andamento del
concerto. Io e Ascanio non correremo simili
Montalto di Castro il 24 e alla Reggia di Caserta
contaminazioni e di tutte quelle esperienze che
rischi: i nostri saranno due eventi nati per
il 25 luglio. L’Accademia Nazionale di Santa
possono stimolare il pubblico e mettere alla
camminare insieme, pensati non per gareggiare o
Cecilia con Paolini prosegue il 21 all’Auditorium
prova i suoi musicisti. È il quinto anno
intralciarsi l’uno con l’altro ma per esaltarsi a
La Peschiera di Santa Fiora a Grosseto, ai teatri
consecutivo che la sua Orchestra partecipa ai
vicenda. Nessun copione comune, dunque: io gli
di Catania il 22 settembre, di Arezzo il 23, di
progetti musicali dell’Enel. «Non sempre è un
ho semplicemente mandato una nostra proposta
Bergamo il 7 ottobre e di Cremona l’8 ottobre.
matrimonio felice quello tra musicisti e attori:
cetriolo, è la carota...", e alla fine si scopre che
quello della giovane è un mal d’amore, è innamorata dell’ortolano. C’è una versione calabrese tristissima, tutta in minore, dove lei ripete uno struggente "Papà, io muoio", finché il
padre le porta l’ortolano e il tono diventa finalmente allegro. La versione romana è invece
sin dall’inizio scanzonata: un’altra caratteristica del canto popolare è la duttilità nei confronti della cultura che lo tramanda».
Chi sono i suoi autori preferiti?
«Più che gli autori apprezzo le canzoni che
raccontano delle storie. E meno cantabile è
una canzone, più mi piace: in questo modo
prendo le distanze dall’artista, ascolto il testo
e con l’immaginazione sono già oltre le parole.
Penso ad esempio a
"La domenica delle
salme" di De André
o a molti brani di
Giovanna Marini.
Adoro Matteo SalL’attore, autore,
vatore, un artista
regista e scrittore
del Gargano scomAscanio Celestini
parso l’anno scorso
nasce a Morena, a
che era a cavallo tra
Roma, nel 1972. Nel
la canzone popola2000 porta in scena
re tradizionale e
«La fine del mondo» e
quella moderna
realizza «Radio
d’autore. Poi ascolClandestina»,
to fin da ragazzino i
spettacolo sull’eccidio
Led Zeppelin».
delle Fosse Ardeatine.
Qual è il musiciNel 2001-2002 è la
sta con cui sente di
volta di «Fabbrica» e
avere più feeling?
del libro «Cecafumo,
«Matteo D’Agoracconti a voce alta».
stino, un chitarrista
Nel 2004 porta alla
con il quale ho lavoBiennale di Venezia
«Scemo di Guerra»,
rato per "Cecafupubblicato da
mo" e "La fine del
Einaudi l’anno
mondo" e con cui
successivo. Nel 2005 è
sto preparando il
la volta de «La pecora
nuovo spettacolo.
nera». Dal 30 maggio
Il titolo provvisoal 4 giugno debutta al
rio è "LIVE". Sarà
Piccolo Teatro Grassi
strutturato proprio
di Milano il nuovo
come una canzone:
spettacolo «LIVE»
non nel senso che io
canterò, o almeno
non molto, ma perché lo spettacolo
avrà dei ritornelli e delle melodie sulle quali
verrà costruito il testo. Come se fosse un vero e
proprio concerto di dieci o quindici brani».
E i testi di questi brani di cosa parleranno?
«Di lotta di classe. Esiste nella società di oggi? E come si può raccontare? Sono partito da
questo interrogativo. Nonostante il termine
suoni un po’ desueto, credo che il conflitto tra
poveri e ricchi non sia affatto superato. Anzi.
Forse è solo meno visibile di un tempo. Ecco,
io cercherò di portarlo sotto i riflettori raccontando storie di precariato, di ragazzi che lavorano nei call center. Storie di ingranaggi di
una macchina senza prospettive. Alienante come una grande fabbrica».
Fabio Cutri
Chi è