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Paginauno - bimestrale di analisi politica, cultura e letteratura - anno V - n. 23 - giugno / settembre 2011
8,00 euro
paginauno
bimestrale di analisi politica, cultura e letteratura
anno V - numero 23 - giugno /settembre 2011 - www.rivistapaginauno.it
RaccONTI
–
Trittico milanese*
Controvoglia
paolo pozzi**
–
a Jo Condor, in memoria
–
“Al vertice stanno i direttori di testata e le ‘grandi firme’ costoro… sono i garanti della linea politica del giornale e soprattutto i controllori della stessa. In ultima analisi sono loro i veri responsabili di
tutto ciò che viene scritto sui giornali della borghesia… ma non i soli: nelle redazioni si annidano i
veri vermi striscianti, gli spregevoli fiancheggiatori
dello Stato: i cronisti. Queste figure si riparano all’ombra dei colleghi più famosi di cui pensano di non
condividere le responsabilità politico-militari”.
si erano trovati un pomeriggio al baretto dopo
la rapina. a Giorgio non piaceva fare rapine. E
anche quella volta si era deciso a malincuore. Era
andato tutto bene ma aveva un nervoso addosso
che si sentiva portar via. seduto al solito tavolo
cercava di bere una birra a mezzo con gazzosa.
L’unica cosa che riusciva a mandare giù quando
aveva lo stomaco chiuso. sul piattino una pizzetta al rosmarino. il bar era vuoto. alle quattro del pomeriggio era sempre così. L’animazione cominciava più tardi.
Giorgio vide arrivare Maurizio con la moto e
l’inseparabile Filippo. Maurizio cominciò ad ar___
*L’Opera Trittico milanese è composta da tre racconti:
Controvoglia, La ragazza svanita nel nulla, Gli atti del postino.
il secondo e il terzo racconto saranno pubblicati nei prossimi
numeri di paginauno
** autore di Insurrezione, Derive approdi, 2007
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meggiare con la catena per legare la ruota al solito palo porta spazzatura.
«Ma hai paura che fugga quella moto?»
«senti, Giorgio, lo sai benissimo che l’anno
scorso me ne hanno rubata una».
«Ma stavolta siamo qui e te la puoi guardare».
«Ha ragione Maurizio» disse Filippo un po’
perentorio. «poi magari ci viene voglia di fare un
giro a piedi e ci allontaniamo. Lo sai che basta
un momento coi buconi che ci sono in giro».
«Una palla tra gli occhi gli metterei io ai buconi. Ci hanno rovinato tutta la zona e in più è
sempre pieno di polizia».
«se cominci ad ammazzare tutti quelli che si
bucano, qui viene fuori una strage. Una volta che
hai cominciato, mi spieghi quando fai basta?»
«Lo so Filippo, anche tu ti sei bucato» disse
Giorgio.
«E allora?»
«allora niente. Vedi che non ho problemi ad
andare in giro con te. Dicevo così per dire».
«E allora continua a dire, anzi stai zitto che
è meglio. Molto non hai capito mai» concluse
Filippo.
Giorgio affondò il naso nel bicchiere di birra
e gazzosa. Lo stomaco si riapriva poco a poco, lo
sentiva. Diede un morso alla pizzetta. Maurizio
seduto davanti a lui tirò fuori dalla borsa a tracolla il giornale del pomeriggio.
«Guarda qua,» gli disse mettendogli davanti
agli occhi la pagina piegata, «leggi».
“rapina questa mattina in una filiale della
Cassa di risparmio delle province lombarde. i tre
banditi hanno fatto irruzione armati con grosse pistole verso le 12.30. immobilizzati i presenti, hanno raccolto i soldi in cassa. Ma non sono
riusciti ad aprire la cassaforte. Dalle dichiarazioni del direttore della filiale la refurtiva ammonta a 18 milioni di lire. altre notizie nelle prossime edizioni”.
«abbiamo fatto 18 milioni?»
«a essere precisi, 17 milioni ottocentonovantamilalire» scandì Maurizio.
«Mai che dichiarassero la cifra giusta».
«Ma che ti frega a te» gli disse Filippo.
«Mi frega perché ci mangiano sopra».
«Ma cosa vuoi che ci mangino sopra. Capirai,
110mila lire sarebbe mangiarci».
«io dico solo una cosa. L’altra volta per esempio cosa c’era scritto? C’era scritto che avevamo
portato via 25 milioni. invece erano solo 21. Chi
li ha presi quei quattro in più?»
«se li saranno presi gli impiegati» intervenne
Maurizio.
«adesso ti interessi che ci siano bancari onesti?» disse Filippo.
Giorgio non lo poteva sopportare, Filippo.
sempre con quell’aria saccente e rompiballe.
proprio adesso che finalmente gli si stava aprendo lo stomaco.
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«insomma, sono 17 milioni ottocentonovantamilalire. Ce li ho io. Direi di usarli così. Un milione lo diamo a nicola per il Kala che ci ha prestato per la rapina. Così ce lo compriamo. Un
milione a testa per le spese. Fanno tre milioni per
noi e uno per Ciuff. il resto armi e cassa».
«Ma dov’è Ciuff, l’hai avvisato?» chiese
Maurizio.
«L’ho avvisato sì, ma lo sai che lui dopo le azioni passa sempre una giornata con la Franca».
«bene,» disse Filippo, «direi che per precauzione non ci facciamo vedere insieme per una
settimana. io vado al mare con Maurizio. tu con
Ciuff vedi di non metterti in qualche casino».
«stai tranquillo, stai tranquillo».
Giorgio rimase seduto al tavolo mentre Maurizio apriva il lucchetto della catena. poi la moto
partì.
–
“Essi dai sottoscala in cui sono annidati praticano la
vivisezione dei comunisti, appoggiando le campagne di annientamento, contribuendo a creare il mostro a tutti i costi e così via. A questi sporchi figuri
raccomandiamo una sola cosa: non schieratevi nella
guerra di classe contro il proletariato e le sue avanguardie: altrimenti ve ne assumete in pieno il carico
politico e… militare”.
nel locale la solita gente. Di quelli che Giorgio
conosceva a memoria. alle sei di sera ancora non
era il pieno. in un tavolo stavano in quattro davanti a una cartina geografica e alcune mappe militari. Giorgio sorrise sotto i baffi. Un sorriso d’intesa. poi si sedette vicino all’ingresso. Ugo venne
fuori dalla cucina con il grembiule bianco.
«per stasera sto preparando dei carciofi che
sono la fine del mondo. poi ho dell’ottimo riso
con le quaglie».
«non ho voglia di niente, per ora. portami un
cartizze, con comodo».
Ugo si infilò dietro al bancone e dopo un po’
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venne fuori con due bicchieri. si sedette.
«Hai sentito degli scazzi tra quelli dell’MLs e
gli autonomi al Caramellone?»
«Ho sentito sì, ma secondo me se la sono
cercata».
«Di solito sono quelli dell’MLs ad andare a
caccia».
«Ma voi gestori di locali perché non li cacciate
fuori quelle dell’MLs?»
«bravo, se fai così, poi la guerra non finisce
più. Ci vuole poco a lasciare fuori dal locale una
tanica di benzina che trova il cerino. non te le
dovrò dire io queste cose?»
Giorgio sorrise. Un sorriso sfuocato. Quasi
senza motivo.
«Ugo, sono finiti i tempi in cui si dava fuoco a
tutto. Qui ognuno si fa le sue cose. Come quelli lì al tavolo».
Ugo si girò verso il tavolo dei quattro.
«staranno a preparare una gita».
«sì, una gita con le cartine dell’esercito 1 a
1000. Hai mai sentito una cosa così?»
«senti, a me non me ne frega niente cosa fanno. se sto a chiederlo a tutti, chiudo subito».
«bravo, e allora non chiedertelo mai».
Ugo si alzò e tornò in cucina. Da dietro la tenda Giorgio sentiva la voce di tiziana che canticchiava. tiziana gli piaceva proprio. se le piaci
ti scopa e basta, gli aveva detto un giorno Ciuff.
Ma lui non era stato mai tra i fortunati. Giorgio sorseggiò il suo cartizze di malavoglia. Come
tutto quello che faceva. alle sette arrivò Ciuff
con Franchina.
«Ciao Giorgio» disse, e lo baciò sulla bocca.
Giorgio si risvegliò dal suo torpore. Ciuff si sedette vicino a Giorgio mentre Franchina faceva la spiritosa con uno dei quattro al tavolo delle cartine militari.
«siamo stati in Lc insieme, della stessa zona»
disse quando tornò al tavolo di Ciuff e Giorgio.
«Capirai se non conoscevi anche lui» disse sarcastico Ciuff.
«Guarda, non fare il cretino geloso. Che se voglio ti metto le corna che voglio. non è colpa mia
se a Milano ci si conosce tutti».
Ciuff sorrise tranquillizzato. Giorgio sorseggiò il suo cartizze.
«Hai sentito Filippo?» chiese.
«Mi ha telefonato. Lui è tornato. Maurizio
arriva la settimana prossima che al mare c’è un
tempo favoloso».
«sì, perché tanto a Maurizio sai che cosa gliene frega!»
«scusa, ma che vuoi dire?»
«Voglio dire che non si può andare avanti così.
noi ci siamo messi insieme per fare politica, non
siamo mica dei delinquenti comuni».
«Oddio che ricomincia» fece Franchina alzandosi dal tavolo. «È un’ossessione. Ma se la politica non la vuol fare più nessuno».
«La politica alla Lc no, ma la lotta armata sì.
Guardati in giro…»
«Lo sai che a me non me ne frega più niente.
sono rifluita…»
«Cosa sei?» chiese Giorgio.
«rifluita da riflusso. Ma non li leggi i
giornali?»
Giorgio mise il naso dentro al bicchiere come
ogni volta che sentiva che Ciuff stava per fare
un discorso serio. andavano avanti così insieme
da otto anni. stessa militanza. stessi gruppi. poi
fuori. nel Movimento.
«siamo a un punto di svolta del gruppo. abbiamo i soldi. programma politico poco. però io
ho voglia di fare. anche Filippo è ben intenzionato. sei tu e Maurizio che non si capisce bene
cosa volete».
«sentite, io me ne vado» disse Franchina, «che
ho capito dove va a parare. La solita pallosissima
riunione. Vado a casa di Giuliana che è qui vicino. poi ripasso, belli».
Disse ciao e se ne andò.
«Ma insomma Giorgio, mi vuoi dire che intenzioni hai? io ti conosco dal ’70, ma stavolta
mi sembri più fuori del solito».
«È che non lo vedi che scoppiamento che c’è
in giro? non la vedi la gente? aspetta un po’ e
vedi con chi si riempie il locale. tutti compagni. tutti che non fanno più un cazzo o fanno
i soldi per i cazzi loro come quelli del tavolo lì
davanti».
«appunto dobbiamo deciderci. O facciamo gli
scoppiati anche noi o ci diamo un programma».
«Ma che programma ti vuoi dare? non vedi
che ambiente? scoppiati. tutti scoppiati».
«allora perché vieni con noi a fare le rapine?
Già che non ti va».
«a me le rapine non vanno perché sono pericolose. si sa come cominciano e non si sa mai
come finiscono. E poi Maurizio non mi piace. Ci
si diverte troppo».
«Maurizio è un ragazzino, lo sai. noi siamo
vecchi. noi abbiamo incominciato ad aprire la
testa ai fascisti nel ’68».
«È vero, che botte! ti ricordi quando giravamo con le chiavi?»
«Mi ricordo sì».
«Meglio le pistole, non ci piove».
«Lo dici a me? Le armi ve le ho portate io».
«Ferrivecchi».
«insomma, non direi. a parte la pistola che
avevi tu. Ora comunque abbiamo un Kala».
«sì, ma con un Kala che ci fai? pensa tu se ci
tocca sparare, facciamo una strage».
«il Kala serve di copertura…»
«senti, ma cosa compriamo con i soldi?»
«Direi un paio di 38 special e due Walther».
«io pensavo di prendere anche una 44».
«Che vuoi fare, un massacro?»
«Lo sai che a me, quando si va, piace andare
col cannone pesante».
«Va bene, va bene. Ma il problema è politico».
«L’hai detta la frase. Da quando vai in giro con
Filippo sei insopportabile».
«ascolta, Filippo mi ha detto che ci sono due
ragazzi che vogliono entrare nel gruppo. propo65
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ne di fare degli incontri di omogeneizzazione».
«Lasciami perdere. per favore vacci tu».
«Ma non puoi andare avanti così».
«Chi sono?»
«non lo so di preciso, vengono da un collettivo dell’autonomia».
«Ma che vogliono fare?»
«pare che abbiano una buona scheda su un
paio di giudici».
«roba grossa?»
«roba grossa, sì. solo che dovremmo decidere cosa fare».
«per me basta che non mi trascini in una discussione del cazzo».
«Ma dovrai pure discutere».
«Lo fai tu per me, tu hai le idee chiare».
«Ma non possiamo andare avanti così da anni».
Giorgio chiese un altro bicchiere di cartizze. il
locale si stava riempiendo di gente. Ugo cominciava a sfornare i primi piatti. Giorgio prese un
riso con le quaglie, Ciuff i carciofi. poi si guardò intorno.
«Guarda che Franchina se ne è andata da un
po’».
«Lo so, è andata da quella stronza, la Giuliana».
«Che hai con Giuliana?»
«pensa, lei teorizza il femminismo come maschilismo rovesciato. Gira con un’enorme motocicletta e carica i ragazzini, i randa, e poi li porta
a casa. se li fa e la mattina li scarica. addio».
«sono tutti scoppiati».
«sì, ma che schifo. non era mica cominciata così».
–
“Ci sono poi le categorie di giornalisti specializzati
in determinati settori: da quelli della moda e dello sport, per arrivare a categorie ben più pregnanti dal punto di vista politico: giornalisti giudiziari
e specialisti della controguerriglia psicologica. Entrambe queste categorie sono perfettamente schierate sulle posizioni delle bande di annientamento di
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Dalla Chiesa, e sono il tramite vero e proprio tra le
strutture di coercizione armata dello Stato, magistratura compresa, e l’opinione pubblica”.
a casa della ragazza di Filippo c’era una vasca con un pesciolino rosso. Giorgio si incantò a guardarlo. Della riunione gli importava
poco. Filippo aveva portato i due nuovi. Giovanni e Luciano si chiamavano. Luciano l’aveva visto sicuramente un paio di anni prima a
qualche manifestazione. andava avanti da un
paio di ore. si discuteva di obiettivi. Giovanni era insopportabile. peggio di Filippo e Ciuff
messi insieme. Giorgio guardava il pesciolino e
sorrideva.
«il problema è aprire la campagna a sinistra» ripeteva da un po’ Filippo. «non si capisce
perché non si debba attaccare a sinistra. basta
con i discorsi su democristiani e fascisti. prendiamo Milano. studiamo la nuova mappa del
potere…»
«Ma il problema non è l’obiettivo in sé. il
problema è il rapporto con il Movimento. per il
Movimento è impossibile accettare un attacco a
sinistra» ribatteva Ciuff.
«non è vero, basta che segui il Movimento.
E il Movimento cosa diceva a bologna? Diceva Zangherì-Zangherà noi bruciamo la città» si
intromise Giovanni.
«solo che non hanno bruciato un beneamato cazzo».
«Ma perché lì sono stati i bonzi dell’autonomia a frenare tutto» riprese Filippo.
«bonzi e non bonzi resta il fatto che sulla destra è una cosa, a sinistra è un casino» insisteva Ciuff.
«Ogni tanto attaccano anche qualche sede del
pci» di nuovo Giovanni.
«Ma non farmi ridere, due bocce contro il
portone di una cooperativa del pci sarebbe un
attacco, secondo te?» gli disse Ciuff.
«È comunque indicativo».
«indicativo un cazzo».
«indicativo che si può colpire a sinistra».
«Colpire cosa? Le macchine, le sedi?»
«Colpire gli uomini».
«sentite, io non ho problemi sull’attacco alle
persone. D’altra parte hanno cominciato loro.
avete visto a Genova in via Fracchia? Ma allora facciamoci un paio di caramba o un digos che
mi sembra più intelligente».
«secondo me,» disse Filippo, «c’è da aprire
anche la campagna contro quelle carogne dei
giornalisti. Li avete letti i giornali dopo il massacro di Genova».
«sentite, ma qui o si parla di politica o andiamo tutti a figa, che è meglio. Un attacco del genere pone problemi di organizzazione. se uno
fa una cosa così, poi deve avere un logistico, un
gruppo che fa propaganda. Mi dite cosa facciamo noi sei?»
«noi intanto ci si può strutturare. io mi incarico di portare tutto il materiale sui giornalisti e
tu Ciuff vai a verificare questa scheda sui giudici che hanno portato Giovanni e Luciano. poi
compri le armi dal giro che conosci tu».
«poi c’è il problema del rapporto con le br
che sono l’unica organizzazione seria in giro.
Hanno cominciato loro la campagna contro la
stampa» disse Luciano.
Giorgio continuava a guardare il pesciolino.
Lo scrutava da ore.
«Giorgio, ma non puoi mica non dire mai un
cazzo» gli disse Maurizio.
«ah, perché per quello che dici tu!»
«non cominciate a litigare» intervenne Ciuff.
«insomma, si può sapere cosa pensi?»
Giorgio si staccò dalla palla di vetro.
«Dico che, a parte che in giro sono tutti scoppiati, ha ragione Ciuff. per me si deve colpire a destra».
«Ma che destra e destra, mi volete spiegare
chi è la destra oggi? Ma secondo voi chi ha il
potere a Milano? i fascisti? Ma insomma, voi
dei servizi d’ordine avete la deformazione dell’azet per spaccare la testa e fare i cucchini ai
fasci» disse Filippo.
Giorgio si ammutolì di nuovo.
«io so solo una cosa, che quando spaccavamo
la testa ai fascisti nelle scuole ci venivano dietro tutti. non me lo sono inventato io lo slogan:
Azet 36 fascio dove sei?» lo interuppe Ciuff.
«Quegli slogan lì se li è inventati ao, certo
non noi» riprese Filippo.
«È un casino, non si può mica ragionare così
alla rinfusa. se decidiamo di metterci insieme
bisogna che ci vediamo più spesso. propongo
un ciclo di riunioni» disse Ciuff.
Giorgio si sentì male. La riunione finì.
«Domani sera andiamo al palalido?» chiese
Maurizio.
«Chi suona?»
«i ramones».
«ah, i ramones».
«sentite,» disse Ciuff, «gli organizzatori cercano gente per il servizio d’ordine. Un centomila a testa. io ho fatto i vostri nomi».
«bel mestiere. a spaccar la testa ai compagni» disse Maurizio.
«non si spacca niente. Lo sapete che qualcuno ci vuole sempre se no viene fuori il casino.
Mi ha telefonato Ugo ieri sera, io direi di accettare. Cosa dite?» chiese imperativo Filippo.
«Va bene, va bene».
«allora ci vediamo fuori dal palalido, verso
le 19. a quell’ora cominciano a entrare i primi.
Mi raccomando. Facciamo le persone per bene»
concluse Ciuff.
–
“Tra questi personaggi c’è anche chi non si accontenta di fare da passacarte e mette a disposizione
della controguerriglia la propria capacità di analisi allo scopo di individuare e tentare di normalizzare i settori di classe antagonisti allo Stato. Per
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tutti questi c’è un solo modo di sfuggire alla giustizia proletaria: cambiare mestiere al più presto”.
Giorgio passò a prendere Filippo al bar dove
lavorava. La riunione era a casa di Franchina.
Quella di cambiare casa ogni volta era una mania di Ciuff. pensava sempre di essere pedinato.
a Giorgio non andava proprio di portarsi dietro
Filippo. Ma quel pomeriggio Ciuff non ci poteva proprio andare. aveva un appuntamento per
acquistare le armi da quei suoi amici.
Filippo per fortuna aveva appena smontato.
non c’era da aspettarlo in quel bar che a Giorgio non piaceva. Gli ricordava una brutta storia
di anni prima, quando con Ciuff era stato seguito per un paio d’ore da un gruppo di fascisti.
a casa di Franchina trovarono già tutti. Ciuff,
paolo e Maurizio stavano intorno a una copia
del giornale del pomeriggio. Luciano distratto
da una parte a guardare i ninnoli sui mobili.
«Era ora» li apostrofò Maurizio. «siete in ritardo di un’ora».
«non rompere il cazzo. Colpa del tram. Dalle cinque alle sei di sera è un casino pazzesco per
strada. E poi questa casa è proprio dalla parte
opposta della città rispetto al bar dove lavoro»
disse Filippo.
«Va bene. allora direi di cominciare. innanzitutto vi avviso che da stasera possediamo il Kala
che abbiamo comprato da nicola e oltre ai miei
ferrivecchi, quattro pistole nuove fiammanti.
Due 38 special e due Walther».
«Ma dove le teniamo le armi?» chiese Filippo.
«Le armi le tengo io come è sempre stato».
«E se ti succede qualcosa?» disse Luciano rivolto a Ciuff.
«se mi succede qualcosa, Giorgio lo sa dove
sono. Va bene?»
«Va bene, va bene».
«bisognerà che andiamo a provarle» disse
Filippo.
«Quello vediamo, magari domenica prossima,
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so io un posto» concluse Ciuff.
«allora direi di cominciare» iniziò Filippo.
«innanzitutto abbiamo da finire la discussione che si trascina da un po’. Colpire a sinistra
o no? È inutile che io rifaccia tutto il discorso da capo. in breve: oggi i nemici del movimento rivoluzionario non sono a destra, secondo me, ma a sinistra. i giudici che combattono
la lotta armata non sono certamente di destra.
Qui non siamo più a sossi. siamo di fronte a un
team di giudici di sinistra. proprio la loro formazione ideologica li fa più pericolosi perché
più in grado di capire. a livello di forze politiche i maggiori nemici del Movimento stanno a
sinistra, basta vedere il partito comunista come
si è comportato nel ’77. E per finire, a livello di
stampa. La campagna contro il Movimento viene portata avanti soprattutto dai giornali di sinistra e dagli uomini di sinistra che stanno dentro ai quotidiani della grande borghesia. Direi
che su questo non ci piove».
«La tua analisi è sempre informata e precisa,
ma hai il difetto di vedere tutto in tendenza. tu
vedi sempre qualche anno avanti. secondo me il
problema è ancora quello di colpire gli uomini
dello stato dentro, per esempio, la stampa. bisogna colpire gli uomini dei servizi, quelli che da
anni alimentano la strategia della tensione, quelli che sono dietro alla strage di piazza Fontana.
non necessariamente i fascisti, ma gli uomini
dell’apparato militare dello stato».
«Ma Ciuff, se la metti così ha ragione Filippo,» intervenne Giovanni, «basta che guardi la
ristrutturazione della polizia. seconde te quelli della Digos saranno mica di destra. sono tutti
di sinistra o quasi».
«Comunque noi dobbiamo decidere una cosa
precisa, se no qui la discussione non finisce più.
Ci sono le grandi organizzazioni armate tipo br
e pl che hanno una strategia complessiva, colpiscono su vari fronti: giudici, carabinieri, carceri»
disse Luciano.
«Lasciamo perdere prima linea, per favore» intervenne Ciuff.
«Lo so che a te ti piacciono più le br».
«Fai finire Luciano» disse Filippo.
«insomma, noi ci dobbiamo dare un settore di
intervento specifico. non possiamo fare tutto. se
no va a finire come la nostra scheda sul giudice. arriviamo in ritardo e prima linea ci soffia
l’obiettivo».
«Ha ragione Luciano. Da tempo lo dico che
dobbiamo darci un settore. E dico anche che all’interno dell’attacco alla sinistra noi dobbiamo
occuparci della stampa. Oggi la stampa è il supporto principale dell’attacco dello stato al movimento rivoluzionario. Dimostratemi il contrario.
abbiamo un sacco di dati che confermano questo. non solo in generale, ma su alcuni uomini
dentro i grandi settimanali, soprattutto di uno
all’interno di un grande quotidiano».
«La discussione andava avanti da ore. Filippo
incalzava sempre di più, seguito da Giovanni e
Luciano e Ciuff era in evidente difficoltà. Giorgio sedeva zitto per terra con la schiena contro
il frigorifero. Ogni tanto il motore scattava e lui
sentiva sulla schiena un piccolo brivido. Della
riunione non gli importava. Contava quei piccoli
brividi che gli passavano per la schiena. Giorgio
alle riunioni ci andava per fare piacere a Ciuff.
soprattutto non gli piaceva essere tirato per i capelli a esprimere il suo parere. il suo parere non
lo sapeva bene neanche lui. sentiva però che bisognava dare uno scossone al Movimento.
Maurizio, Giovanni e Luciano proposero di
andarsi a fare un bianco da Ugo.
«E poi magari si trova da rimorchiare» disse
Maurizio.
«sempre lì pensi» gli rispose Ciuff.
«sai, tu passi i pomeriggi interi a scopare con
Franchina. Credi che non lo sappiamo?»
«andate dove cazzo vi pare. io vado a casa.
ne ho abbastanza per stasera» disse Ciuff. «tu
Giorgio vieni con me che dobbiamo parlare».
Ciuff era in bicicletta. Cominciò a camminare
di fianco a Giorgio. Ogni tanto il pedale lo colpiva sulla gamba e lui faceva partire una bestemmia. Era incazzato nero.
«senti, ma tu Giorgio, potresti darmi una
mano nelle discussioni o no?»
«Lo sai che io alle riunioni comincio a stare
male. E poi Filippo non mi piace. Mi mette in
soggezione. Vedi che anche tu alla fine sei costretto a dargli ragione. Lui sa sempre un sacco
di cose. È sempre informatissimo. non mi piace.
Meglio quando stavamo insieme da soli. E poi
Giovanni e Luciano gli vanno dietro qualunque
cosa dica. prima i giudici e ora via, sotto la scheda sull’informazione.
«Ma vedi, questo è proprio il punto su cui ha
ragione Filippo. basta con il pressapochismo.
Una cosa e basta. Da lì possiamo anche vederci con le br su un piano serio».
«Lo sai che questo discorso sulle br è l’unico
che mi interessa. solo con loro ormai si fa la lotta armata seria. non con quegli scoppiati di pl.
Quella è lotta armata da locale alternativo».
«Lo sai che non è così. sono due modelli diversi. a me va più quello di br, ma anche i pl
sono seri. sono più legati al Movimento e quindi
ne subiscono i flussi e riflussi. Ma sono un’organizzazione combattente di tutto rispetto».
«Fammi capire, non lo vedi lo scoppiamento
attorno a noi? sono tutti scoppiati. se vuoi fare
qualcosa di serio bisogna farlo per impressionare le br. in questo senso mi va bene tutto. purché sia fatto bene. Dobbiamo dare una prova militare. a me non interessa tutto il resto. Decidi tu
con Filippo. io non ne posso più».
andarono avanti per un bel po’ a parlare mentre camminavano. poi sotto la casa di Giorgio si
salutarono. Ciuff inforcò finalmente la bicicletta. Mentre pedalava sentiva il rumore della dinamo che strusciava sul copertone della ruota. E
va bene, pensò, facciamo quello che dice Filippo.
basta con le discussioni.
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“Oggi mercoledì 28 maggio un nucleo armato della
Brigata 28 marzo ha eliminato il terrorista di Stato Walter Tobagi, presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti.
Onore ai compagni caduti per il comunismo.
Individuare e colpire i tecnici della controguerriglia
psicologica.
Niente resterà impunito.
Unificare il movimento rivoluzionario costruendo il
partito comunista combattente.
Per il comunismo
BRIGATA XXVIII MARZO”.
il giorno prima Giorgio e Ciuff si videro sul lago.
Ciuff conosceva una cava dove si poteva sparare al sicuro. Misero una tavola davanti a una pila
di massi. Mentre Ciuff predisponeva per il tiro
Giorgio tirò fuori le armi dalla borsa. pose le due
38 special smith & Wesson e le Walther p38 su
un macigno e si incantò a guardarle.
«Ma che è, l’esposizione?» gli chiese Ciuff.
«pistole vere. Mica come quei ruderi che abbiamo usato fino a ora. Finalmente abbiamo un
armamento decente anche noi».
«Ci siamo fatti anche due rapine».
«Questo è vero» e Giorgio si fermò un attimo
per aggiungere: «non mi piacciono le rapine».
«Ma come sparano i due nuovi?»
«non lo so. Filippo dice bene. Comunque per
domattina mettiamo Maurizio all’imbocco della
strada e Giovanni e Luciano di copertura. io entro dentro alla via per primo. sparate tu e Filippo. io intervengo solo se c’è bisogno».
«non mi piace lavorare con Filippo».
«tutto puoi dire tranne che non lavora bene.
Lo hai visto in banca, no?»
spararono un centinaio di colpi in due. Un
rumore infernale. poi alla svelta Ciuff rimise le
pistole in borsa e cominciò a tirare Giorgio per
un braccio.
«andiamo scemo, che con il casino che abbiamo fatto magari arriva qualcuno».
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«Ma non è un posto sicuro?»
«sì che è sicuro, ma il rumore è stato tanto. Ci
conviene filare».
scesero giù di corsa dal sentiero e sulla strada
grande salirono alla svelta sulla vespa che Ciuff
si era fatto prestare dal fratello di Franchina. alle
sei erano di ritorno a Milano. Ciuff accompagnò
Giorgio. si lasciarono sotto casa.
«Ci vediamo domattina alle nove e un quarto a porta ticinese, vicino al mercatino comunale» disse Ciuff. «ti passo la pistola dentro un
sacchetto di plastica. poi si fa tutto come abbiamo deciso ieri nel sopralluogo. il tipo dovrebbe
essere in casa».
Giorgio cenò e andò al cinema col fratello.
Uno dei soliti film di mala francese. Gli unici
che gli piacevano. poi prima di andare a dormire
passò un po’ di tempo con un libro che gli serviva per un esame all’università. Ma non riusciva a
concentrarsi. spense la luce e si addormentò.
alle otto, prima di uscire per andare a scuola,
suo fratello lo svegliò come gli aveva chiesto la
sera prima. Fuori pioveva.
si fece la barba, si vestì come al solito. prima di uscire prese l’impermeabile bianco dall’attaccapanni. pioveva poco, ma magari era meglio
aspettare un po’. Meglio non bagnarsi. prese il
tram che portava in ticinese. alle nove e mezza
scese al luogo dell’appuntamento. Ciuff lo aspettava. Gli passò un sacchetto dell’Upim, dentro
c’era la 38 special, come aveva voluto lui.
«andiamo veloci, che siamo in ritardo» disse
Ciuff puntando verso i navigli. Giorgio lo seguì.
poi all’imboccatura della via Ciuff entrò dentro
ancora più veloce. Giorgio si fermò. si guardò
un attimo attorno. nessuno. allora prese la pistola dal sacchetto e se la mise nella cintola. poi
guardò in fondo alla via, aspettando il segnale.
RaccONTI
–
Trittico milanese*
La ragazza svanita nel nulla
Paolo Pozzi**
–
A Jo Condor, in memoria
–
“Alla fine la ns. decisione cadde su Tobagi, in seguito a discussione che facemmo su chi sequestrare;
poi mi sembra che incaricammo di raccogliere notizie su Tobagi la Caterina Rosenzweig, la quale, quando passò la scheda, disse che lo conosceva,
perché era amica di famiglia. Poi io andai sotto
casa di Tobagi e mi feci accompagnare dalla Caterina, che essendo di Milano, conosceva la zona
e mi indicò la casa. Dopo, la Caterina uscì di scena è andò avanti il nucleo incaricato di questo
tentativo di sequestro, cioè io, il Marocco, Felice
Pietroguido e Battisaldo Massimo”.
Sergio la vide arrivare alla redazione del giornale un caldo pomeriggio di maggio. i suoi grandi
occhi neri in un viso dal vago aspetto amerindo
lo colpirono profondamente. Per il resto non era
poi una gran donna. vestiva quell’abbigliamento
che rendeva le donne proprio tutte uguali, quell’abbigliamento che a Sergio non andava proprio
giù. L’età non era certo la sua. Sergio era intorno
ai cinquanta, lei non dimostrava più di venticinque, ventisei anni. ma lo mise subito a suo agio
___
*L’opera Trittico milanese è composta da tre racconti:
Controvoglia, La ragazza svanita nel nulla, Gli atti del
postino. il primo racconto è stato pubblicato su Paginauno
n. 21/2011, il terzo racconto sarà pubblicato sul prossimo
numero di Paginauno
** autore di Insurrezione, Derive Approdi, 2007
52
Paginauno no 22 · aprile / maggio 2011 · anno V
dandogli del tu e cominciando a parlare per prima dopo aver salutato un signore di mezza età,
un po’ più vecchio di Sergio, che l’aveva accompagnata. Poi si sedette davanti a Sergio coprendosi le ginocchia con la sua gonna larga. Quella
specie di pudore inaspettato colpì favorevolmente Sergio. A ripensarci dopo, era forse l’aspetto
di lei che gli era piaciuto di più; dopo quei due
grandi occhi neri.
La ragazza cominciò a parlare disinvolta. Quasi offensiva nel tono di voce.
«Guarda, mi hanno detto che lavoro alle tue
dipendenze, nelle quattro pagine che decidi tu.
Non ti nascondo che sono straraccomandata.
tanto lo sai già».
Quando lo assalivano così, nonostante i suoi
quasi cinquant’anni, Sergio si vergognava e diventava quasi sempre tutto rosso. e così successe
anche quella volta. Perdio – pensò – non posso
mica farmi vedere così timido con le donne come
se fossi un ragazzino, e attaccò discorso.
«vede signorina» disse con tono quasi professionale «non è che comando io. io sono caporedattore. in un certo senso lavoro più degli altri
per chiudere le pagine, ma non comando. Comanda il direttore che nel nostro caso non sta
neanche a milano».
Lei rimase stupita da quel tono e sorrise e
quello era il segnale per Sergio che così non
andava. e poi la ragazza aveva capito che a lui
non spiaceva. e allora Sergio si mise a parlare
del più e del meno. Si informò cortesemente dei
suoi studi, da dove veniva, dove stava. ma lei era
molto elusiva, quasi non rispondeva e continuava a guardarlo con quei due grandi occhi neri che
lentamente lo attiravano. Finì per darle appuntamento per il giorno dopo.
Se ne uscì dalla redazione del giornale più tardi del solito. Non sapeva bene cosa fare. verso le
21 telefonò a un’amica con cui aveva una storia
di sesso. Gli rispose la figlia, che dopo aver detto
che la mamma non c’era lo invitò a passare a casa
lo stesso a bersi qualcosa. Lui declinò in fretta
l’offerta. Poi si infilò in un minuscolo cinefilm
dove davano il solito film tedesco coi sottotitoli in francese. Di quelli che piacevano un sacco
alla sua ex moglie. mentre entrava pensò un attimo alla ragazza che poco prima al telefono l’aveva invitato a passare a casa sua e si disse: ma che
cazzo di città è questa, adesso pure le figlie che ti
vogliono fare di nascosto dalla madre, e si cacciò
sconsolato a vedere quel film. Alla fine se ne uscì
di nuovo sulla strada.
Cominciò a camminare sul marciapiede di destra. ogni tanto qualche tram sferragliava venendo incontro a grande velocità. mentre camminava cominciò a contarli. era a sette quando
attraversò la strada per dare un’occhiata in un
grande negozio di jeans. Le luci intermittenti rischiaravano l’interno della vetrina. C’era il ma53
Paginauno no 22 · aprile / maggio 2011 · anno V
RaccONTI
nichino di una ragazza. era vestita quasi uguale
alla ragazza che aveva visto il pomeriggio in redazione. Pensò a quei due occhi grandi e neri. Si
sentì attirato profondamente.
Si staccò dalla vetrina quasi con rabbia. Ci
manca solo che mi metta con qualche ragazzina – si disse – e continuò a camminare lungo la
strada. Poi cambiò idea e saltò su un jumbo tram
che si era appena fermato. tirò fuori un biglietto dal portafoglio e ripensò alla ragazza. Quella
sicuramente non paga il biglietto – pensò – e rimase con il biglietto in mano per un po’ davanti
alla macchina obliteratrice. Alla fermata successiva un ragazzo salì di corsa e si fermò ad aspettare dietro di lui. Guardò Sergio che stava lì col
biglietto in mano e tossicchiò. Sergio allora mise
il biglietto nella fessura quasi automaticamente e
il suono metallico della macchina lo svegliò.
–
“Facemmo una serie di appostamenti: poi una sera,
siccome eravamo stanchi di aspettare e non lo vedevamo mai, decidemmo di stare lì fermi... Quella sera
io e il Marocco rubammo un furgone 850 dalle parti
di Porta Genova e ci portammo lì per fare l’azione,
se il Tobagi fosse passato. Aspettammo e forse demmo
troppo nell’occhio, tanto che nella casa sopra l’entrata del palazzo, di fianco al tabaccaio in via Solari,
una donna si affacciò alla finestra, poi abbassò la
tapparella e spense la luce. Al che pensai che ci avesse
sgamato e segnalammo agli altri di stare attenti”.
Per due mesi la ragazza dai grandi occhi neri lavorò con Sergio alle quattro pagine del quotidiano. ogni due o tre giorni portava dei pezzetti
di cronaca e colore sui locali alternativi milanesi che sbucavano come funghi, su qualche gruppetto teatrale che recitava nelle case occupate,
su l’ennesima radio libera che cominciava le trasmissioni. Non erano pezzi entusiasmanti. Sergio li leggeva e ci faceva le correzioni. Sembravano dei compitini da scuola media.
54
Paginauno no 22 · aprile / maggio 2011 · anno V
Dopo un mese di lavoro, cedendo alle sue insistenze, uscirono una sera insieme. A Sergio non
andava di farsi vedere con lei in giro. Al giornale
cercava di trattarla a metà tra il cortese e il paterno. ma lei invece gli si faceva sotto, lo guardava
negli occhi fino a farlo diventare rosso, lo prendeva sottobraccio quando uscivano qualche volta
insieme dalla redazione nell’intervallo di pranzo
a prendersi un panino.
La ragazza lo portò in giro quella sera in quei
locali di cui parlava nei suoi articoletti. in mezzo a tutti quei ragazzi, che per lui potevano quasi essere suoi figli. mangiarono in piedi prima un
panino in un locale che proprio faceva schifo. ed
era pure caro. Poi in un altro bevvero un bicchiere di vino bianco. e via in giro da un’altra parte. e lei che ogni volta baciava tutti gli uomini e
le donne che incontrava. e come non bastasse lo
presentava agli amici. e tutti mangiavano quei
maledetti panini. e alla fine andarono in un altro
locale dove suonavano del jazz e finalmente Sergio era riuscito a farla sedere a un tavolo e a farsi servire una buona bottiglia.
e mentre c’era un sax che suonava lei gli disse: «mi piaci un sacco, mi va di scopare con te».
Sergio ci rimase. Lui senza la poesia non ci riusciva proprio. e poi come si fa a farsi dire ti voglio scopare da una ragazza di quasi vent’anni
più giovane?
ma nonostante ce la mettesse tutta per fare il
contrario, la ragazza un certo fascino l’aveva. e
poi si vedeva che nonostante tutti gli sforzi che
faceva per essere sgarbata, un po’ di buone maniere le aveva imparate da piccola. Sentì quegli occhi neri che lo attiravano sempre di più e
per non caderci attaccò discorso, per dirle magari qualcosa di sgradevole. ma lei si avvicinò e
gli diede un bacio profondo sulla bocca. Sergio
a sentire quelle labbra rinvenne dal suo stupore,
ma non contraccambiò.
«mica sarai finocchio» gli disse.
Pure la stronza fa adesso – pensò in un attimo
Sergio, e sentendosi provocato le mise una mano
sul seno. La maglietta sottile gli fece sentire subito il capezzolo. Sergio ritrasse la mano come
se pungesse.
«ma che fai? togli la mano?» e nel dirlo lo baciò sull’orecchio.
Sergio si ritrasse ancora e lei lo guardò di nuovo interrogativa.
«Senti,» le disse «se vogliamo scopare come
dici tu va bene, ma non mi piacciono queste cose
in pubblico».
«Allora andiamo da te e scopiamo».
Lui fece il viso stupito.
«va bene, non ti va che il tuo portiere ti veda
salire con una ragazza; allora andiamo da me».
e Sergio fece sì con la testa. Le chiese solo:
«Dove stai» e poi non disse più nulla.
Uscirono e mentre aspettavano il tram lei cominciò a baciarlo intensamente sulla bocca. Sergio
la strinse un attimo contro il palo della fermata
e si sentì una vampata dentro. ma lo sferragliare del tram lo fermò. Salirono di corsa. Lei lo
condusse per mano a sedersi vicino al conduttore senza pagare il biglietto. Seduti sulla panca a ogni curva si scivolavano addosso. Sergio all’inizio puntò i piedi per evitarlo, ma poi anche
lui finì per assecondare le spinte del tram e per
stringerla sempre più forte ogni volta che il movimento lo spingeva verso di lei.
–
“Dopo alcuni minuti arrivò una pantera della polizia, sgommando. Si ferma di colpo davanti al portone, mi guardano e stanno per scendere dalla macchina. Aprono le portiere, uno mette un piede a terra”.
Dopo quella notte passata insieme la ragazza si
fece vedere molto meno al giornale. Aveva da fare
un paio d’esami all’università. Così gli aveva detto. ma lui dopo un po’ si accorse che lei gli mancava. Avevano fatto l’amore in maniera intensa e
pulita. Forse un po’ troppo per i gusti di Sergio.
Gli era già successo anni prima con una donna
anche lei molto giovane. Fare l’amore con loro –
pensava Sergio – è un fatto ginnico. Non hanno
più il fascino del peccato. Poi hanno quel modo di
svestirsi completamente prima di infilarsi a letto.
Che uno se le ritrova nude per intero e non ci resta
che fare all’amore. tutte e due le volte che gli era
capitato gli era tornata in mente sua moglie che
ce n’era voluto del bello prima di farla spogliare
per intero. ma a dir la verità erano anche gli anni
del dopoguerra. era tornato con la mente a quando, ancora fidanzati, erano andati insieme a vedere Poveri ma belli, un film scandalo per allora, e al
ritorno lui aveva dato i numeri e aveva cercato di
fare all’amore in topolino. Finché sua moglie non
gli aveva mollato uno schiaffo che gli aveva lasciato il segno delle dita in faccia per qualche giorno.
Sergio sua moglie l’amava ancora, proprio tanto. L’aveva incontrata al liceo e si era innamorato subito di lei. Con quegli occhi azzurri sembrava uscita da un libro di mitologia greca. ma un
giorno, dopo tanti anni che stavano insieme, se
n’era andata con un architetto fuori milano per
un week end e non era più tornata.
A fine giugno la ragazza dagli occhi neri si fece
vedere ancora per un attimo al giornale. Sergio
se la ritrovò in ufficio e non riuscì a celare una
certa emozione. Fumava una sigaretta dietro l’altra mentre stava sistemando un pezzo di cronaca su una festa di Democrazia proletaria al parco Ravizza.
«Senti,» le disse diventando tutto rosso «ci vediamo stasera?»
Lei lo guardò, quasi sfottendolo, negli occhi.
«Non ti sarai mica innamorato».
Sergio disse un no secco, come una schioppettata, e ci sentì dentro un eccesso di smentita. Si
girò a fingere di controllare una piantina di milano appesa alla parete mentre lei usciva aprendo
lentamente la porta. Poi sentì la sua voce che diceva: «mi sono rotta di questo lavoro. me ne vado in
Sud America. A settembre magari ripasso».
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RaccONTI
“Io avevo il loden con le tasche tagliate e la mano
sulla pistola (una 9 con il combat). Misi mano alla
pistola facendo intendere che ero armato, feci solo segno, senza estrarla da sotto il cappotto. Contemporaneamente il Marocco col pulmino 850, assieme al
Felice, si avvicinò col furgone dietro alla pantera”.
A settembre la ragazza dagli occhi neri non passò proprio. Sergio continuò a fare le sue pagine per un po’. Poi il giornale decise di chiudere
quelle quattro pagine di cronaca milanese e Sergio tornò a scrivere i suoi articoli di vita e costume. Faceva la sua solita vita. Di giorno al giornale, di sera il più delle volte solo. Qualche week
end fuori milano con donne della sua età.
A metà dicembre di quell’anno per caso incontrò sua moglie in Galleria, dove si era messa a frugare in un negozio di libri a metà prezzo.
«Posso accompagnarti» le disse, e al suo assenso la prese sottobraccio. Lei sorrise, come faceva tanti anni prima. Prima che se ne andasse con
l’architetto. era un po’ invecchiata, ma col passare degli anni i suoi occhi azzurri si erano fatti
più chiari, quasi trasparenti. Così le disse per incominciare: «i tuoi occhi sono sempre più luminosi, sembrano stelle».
«Non fare lo stupido, Sergio, possibile che mi
fai sempre la corte?»
«ma io sono innamorato cotto, lo sai».
«Stai zitto» gli disse, mettendogli un dito sulle labbra.
Poi andarono al motta a prendere un caffè.
«Sarai pieno di donne» lei disse.
Sergio sorrise. «mica tante, poi. Sai, le solite storie di sesso. È difficile innamorarsi alla nostra età».
«Non dire così, non è vero».
L’accompagnò attraverso la grande piazza. Poi
lei si perse nel tram che caricava la gente delle sei di sera.
Sergio passò quell’anno il natale più solitario
della sua vita. Non aveva voglia di vedere nes56
Paginauno no 22 · aprile / maggio 2011 · anno V
suno, nemmeno una di quelle sue amiche con le
figlie emancipate. Girò un po’ per le strade di
milano, quelle strade piene di gente coi regali
sottobraccio. Per capodanno gli venne un’idea
strana. Fare un regalo alla ragazza dai grandi occhi neri. Non aveva molto senso. ma Sergio si
divertiva a seguire le idee balzane che gli passavano per la testa. L’ultimo dell’anno, prima di
uscire dal giornale, si annotò su un pezzetto di
carta il numero telefonico. Glielo aveva lasciato
lei una sera, ma lui non l’aveva mai usato. esitò
un attimo prima di telefonare. Forse non era una
buona idea telefonare l’ultimo dell’anno a casa di
una ragazza di vent’anni più giovane. Poi si decise. Gli rispose una voce di donna: la signorina
non è in casa. Doveva essere la domestica.
–
“Battisaldo, dall’altro lato della strada, si mise anche
lui in atteggiamento d’azione; questi si guardarono in faccia e ripartirono, probabilmente intuendo
qualcosa. Il furgone seguì il giro della piazza della
pantera e tornò a caricare me e il Batt; andammo
via, mollando il progetto. Questa storia finì così”.
Deposizione di Rocco Ricciardi, processo Rossotobagi, 22 aprile 1983
A primavera Sergio partì per alcuni mesi dall’italia. il suo giornale gli aveva chiesto se voleva fare un giro in Germania per dei reportage sul mondo giovanile tedesco. Si era pensato a
lui – gli aveva detto il direttore – per le sue brillanti doti di analista di vita e costume degli ambienti giovanili. Sergio ci sentì un’allusione al
periodo in cui curava le pagine di cronaca cittadina e girava con la ragazza dai grandi occhi
neri. La proposta non lo entusiasmò, come nulla del resto da anni. ma aveva voglia di cambiare aria. Prima di partire andò a passare il week
end con una delle sue amiche, un fine settimana
in montagna. Poi se ne andò in Germania senza rimpianti e desideri.
era ad Amburgo quando un tardo pomeriggio rimase esterrefatto nell’aprire i giornali italiani. Un suo collega, che tra l’altro conosceva
anche personalmente, era stato ammazzato sotto casa. L’attentato era stato rivendicato da una
sigla minore del panorama terroristico. Sergio
pensò a milano, al senso di desolazione che gli
aveva dato negli ultimi anni. A tutti quei ragazzi che aveva visto quella sera quando la ragazza
dagli occhi neri lo aveva trascinato per quei locali alternativi. e alla fine era finito nel letto a casa
sua. ora che ci pensava la casa era proprio vicina
alla redazione del giornale del giornalista morto
ammazzato. Pensò un attimo a questo particolare del tutto insignificante. Chissà dov’era la ragazza, se lavorava, se era ancora a milano. Chissà
se si ricordava di lui. Devo essere stato una specie di trofeo. Una cosa da raccontare alle amiche,
pensò scuotendo la testa.
Restò in Germania tutta l’estate e l’autunno. ogni tanto pensava che doveva telefonare
a qualcuno in italia, ma esaminata freddamente
questa spinta concludeva che non c’era nessuno
che aspettasse la sua telefonata. Se non al giornale, ma lì si trattava di lavoro.
Una volta gli venne l’idea di chiamare sua moglie, un’idea fissa che gli durò per giorni. ma non
lo fece. Sarebbe finita come al solito. Con lei che
gli diceva: Sergio, non fare lo sciocco per favore.
A novembre rientrò a milano. Non era cambiato proprio nulla. La città era più tetra e desolata
del solito. Qualcosa di nuovo succedeva, ma certo non di bello. Le pagine del suo giornale e degli
altri ogni settimana erano piene di titoli a scatola che annunciavano decine e decine di arresti. Si
trattava quasi sempre di giovani, se non addirittura a volte di ragazzi. vedeva le loro foto segnaletiche pubblicate in prima pagina nei giornali del
pomeriggio. ogni tanto si fermava a guardare quei
volti deformati. Per vedere se conosceva qualcuno.
Se c’era magari la ragazza dai grandi occhi neri.
ma lei non c’era. Chissà dove era sparita.
Poi una sera, mentre era in redazione, l’aveva
avvicinato mario, uno della cronaca.
«ti ricordi quella ragazza che lavorava da te
due anni fa?»
«Quella ragazza mora con gli occhi neri?»
«Sì, proprio lei».
«e allora?»
«Sta venendo fuori dalle indagini che è la ragazza di quello che ha ammazzato il giornalista
in maggio».
Sergio rimase a bocca aperta.
«Giusto, tu eri in Germania. ma qui è successo
il finimondo. Non ti dico il casino anche nei nostri ambienti. Sembrava proprio un delitto nato
in casa».
Sergio era come paralizzato. mario nell’uscire
gli mise una mano sulla spalla.
«Dai Sergio, smuoviti. ormai tutto è già
avvenuto».
57
Paginauno no 22 · aprile / maggio 2011 · anno V
RaccONTI
–
Trittico milanese*
Gli atti del postino
Paolo Pozzi**
–
a Jo condor, in memoria
–
Andò, Formica, Martelli e Spini
Al ministro dell’Interno
Per sapere: se risponde a verità la notizia secondo
la quale nel gruppo terroristico Formazioni combattenti comuniste operava da tempo in Lombardia un
confidente, tale Rocco Ricciardi; se risponde a verità
che cinque mesi prima del delitto Tobagi il Ricciardi
informò le autorità che il Tobagi sarebbe stato vittima di un attentato terroristico da parte delle Formazioni combattenti comuniste, indicando anche il
luogo dell’agguato.
(Interrogazione parlamentare in Atti parlamentari - Camera dei deputati IX legislatura - Discussioni - Seduta del 16 dicembre 1983 resoconto stenografico pag. 5121)
Era stato Franco a cominciare un pomeriggio
d’inverno. Pioveva da una settimana. Quei periodi quando a Milano il cielo è grigio, uguale
per giorni. Franco era entrato nel minuscolo appartamento dove Luca aveva aperto, con altri
compagni, una radio libera. dentro il suo impermeabile grigio perlaceo sembrava enorme. Luca
e Franco non si parlavano da tempo. avevano li___
*L’Opera Trittico milanese è composta da tre racconti:
Controvoglia, La ragazza svanita nel nulla, Gli atti del postino.
Il primo e il secondo racconto sono stati pubblicati rispettivamente su Paginauno n. 21/2011 e Paginauno n. 22/2011
**autore di Insurrezione, derive approdi, 2007
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Paginauno no 23 · giugno / settembre 2011 · anno V
tigato di brutto mesi prima per questioni di politica. Per un po’ non si erano più salutati. Ma quel
pomeriggio Franco voleva parlare proprio con lui.
Luca lo vide arrivare da dietro il vetro. Si tolse la
cuffia e venne fuori dalla stanza trasmissioni.
«Senti Luca devo parlarti».
«È una cosa breve?»
«devo parlarti, non so se è breve o no».
«arrivo».
Luca fece cenno a Nicolino, che sparava da ore
musica punk, di andare avanti da solo col programma e di staccare i microfoni che trasmettevano nell’appartamento. La musica cessò di colpo. Silenzio.
«Eccomi».
«Sarà meglio che andiamo un po’ da parte».
«Qui è un po’ dura parlare senza farsi sentire. c’è sempre un gran via vai. Meglio andare
fuori».
Franco si avviò verso l’uscita con l’impermeabile zuppo d’acqua. Si misero in piedi sul ballatoio. L’acqua veniva giù fitta sotto le tettoie delle case di rimpetto.
«allora?»
«Senti, sono passato per una cosa importante.
Ho letto il rinvio a giudizio delle effecici».
«E che c’entriamo noi?»
«Buono. Lo sai che da quando sono andato in
galera, io, a differenza di tutti voi altri, leggo le
carte processuali. E cosa mi succede? Mi cade
l’occhio su un rapporto dei carabinieri allegato
agli atti. Il rapporto dice che nella rapina di reggio c’entrano carlo, andrea ed Enrico».
«ci sarà mica il nome del quarto?»
Franco ridacchiò.
«Il nome del quarto non c’è, se no non venivo qui da te».
«Ma sei sicuro?»
«Guarda che so leggere».
«Ma come fanno a saperlo?»
«c’è scritto: da fonte confidenziale».
«che significa?»
«Usano questa formula quando non hanno le
prove ma vogliono fare sapere».
«Far sapere a chi?»
«al giudice, certo non a te».
«E il giudice?»
«Ha tolto il reato dal rinvio a giudizio».
«E perché?»
«Perché con un rapporto così cosa ci può fare
se non tenerlo da parte.»
«Ma chi glielo ha detto?»
«Nessuno. Sono le supposizioni dei carabinieri. Se ci pensi… andrea l’hanno fermato allora
per via della targa».
«Ma se l’hanno prosciolto».
«Il giudice. Ma lui per i caramba la rapina l’ha
fatta».
«E carlo?»
«avranno mostrato la foto e qualche impiega63
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RaccONTI
to avrà detto che forse era lui. Lo sai come fanno
i riconoscimenti».
«E Enrico?»
«Questo è proprio strano. Secondo me i caramba hanno ragionato così. La rapina è politica
e allora ci mettono carlo e Enrico. carlo perché
allora era ricercato e Enrico per i disastri che va
combinando in giro ora».
«Sarà…»
«Tanto oramai. Il fatto che sei qui alla radio
vuol dire o che non sanno il tuo nome o che se
lo tengono».
«allora sarà meglio che vado».
«E dove? Ti dai per un sospetto dei carabinieri? allora si dà mezza Italia. E io dovrei fuggire
un giorno sì e uno sì».
«Hai ragione».
Franco gli zampettava attorno e Luca non sapeva più cosa dire.
«Franco ti ringrazio. Se sai qualcos’altro sono
qui».
«di solito quando si sa è troppo tardi».
così rispose e cominciò a scendere le scale.
Luca lo vide passare per tutti i ballatoi e attraversare il cortile. Poi sparire nel portone di ingresso.
Luca aveva ripreso le trasmissioni quella sera
e per parecchie sere dopo. Era rimasto inquieto
qualche giorno. Poi più nulla.
Fino a quella mattina. Un giovedì. Quando
due digos lo avevano arrestato sotto casa. anche quel giorno pioveva. appena fuori di casa un
omone l’aveva messo di fronte a una pistola e gli
aveva detto ‘prego’ indicando una macchina parcheggiata. al volante c’era il terzo digos.
L’avevano portato in caserma e gli avevamo
mostrato il mandato di cattura: costituzione di
banda armata. della rapina neanche l’ombra.
–
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Gorla, Russo Francesco, Calamida, Ronchi, Tamino, Pollice e Capanna
Al ministro dell’Interno
Per sapere: se risponda al vero che Rocco Ricciardi
era confidente della polizia almeno dal marzo 1979
e partecipava all’attività terroristica delle Formazioni comuniste combattenti; se risponda al vero che
il Ricciardi preannunciò con cinque mesi di anticipo le modalità e il luogo dell’attentato al giornalista
Walter Tobagi; se e quando fu avvisato delle intenzioni del gruppo terroristico Walter Tobagi e quali
misure furono adottate dalle autorità di polizia.
(Interrogazione parlamentare in Atti parlamentari - Camera dei deputati IX legislatura - Discussioni - Seduta del 17 dicembre 1983 resoconto stenografico pag. 5274)
claudio l’aveva rivisto dopo anni nel cortile di
cemento del supercarcere di Fosso. Era una mattina d’estate. Un caldo da morire nella scatola.
claudio era più distratto del solito. all’inizio
non l’aveva neppure riconosciuto. camminava
su e giù per la scatola del passeggio un po’ piegato in avanti. come se avesse sulla schiena tutti
gli anni di galera che gli avevano dato.
«Oh claudio, sono Luca, non mi riconosci?»
«Per dio, sì. Ma mi devi scusare. Sono sopra
pensiero».
«Sfido io, con quella barca d’anni che vi hanno dato!»
«Pensa, sedici anni. Quattordici per banda armata e due per il possesso di una fondina».
«abbiamo sentito la sentenza per tivù e ci sono
venuti i brividi».
«Lo sai quanti anni complessivi ci hanno dato?»
«di preciso no».
«cinquecentonovantatre in trenta imputati.
a carlo ventinove, Sergio ventotto, Mario
ventotto…»
«Guarda, a noi non ci sembrava vero».
«Lo sai che anche Sergio non ci credeva».
«come non ci credeva?»
«Non era andato in aula a sentire la sentenza. Sai, la corte è uscita dalla camera di consiglio a mezzanotte. allora Sergio mi fa: vai tu
che poi mi racconti. Vado io, sento gli anni e per
poco non muoio. c’era un avvocato che piangeva. allora torno in carcere, sveglio Sergio e glielo dico…»
«Poveretto, potevi almeno lasciarlo dormire
fino al mattino».
«Ma me l’aveva detto lui. Quando torni, svegliami. Perché, ho fatto male?»
«Va bene. Non ti incantare su questo punto,
adesso».
«Sergio non ci voleva credere. abbiamo passato
la notte a piangere. Mamma mia che legnata».
«Ma tu come stai?»
«come vuoi che sto. Male. Non si vede?»
«Sai, da quando ti conosco tu stai sempre con
la testa da un’altra parte. Mi sembra che stai più
o meno come sempre».
«E invece sto male. Ogni tanto mi viene in
mente. Sedici anni di questi giorni e mi viene
il magone».
«Molla che mi viene male».
«Ma tu esci fra un po’. Non hanno niente contro di te».
«Lasciamo perdere claudio che porta
sfortuna».
«Sedici anni, ma ti rendi conto».
«Non mi ci fare pensare. Piuttosto, e gli altri?»
«Sergio è a cuneo, carlo a Palmi, Mario a
Trani…»
«E le donne?»
«Ma tu le conoscevi?»
«di vista quelle di Varese. Ma adesso che fai?»
«aspetto l’avvocato per i motivi di appello».
«Ma tu eri andato clandestino che da ultimo
non ti vedevo più?»
«Sì».
«Mi sembri tutto matto».
«Non ci rimetteremo mica adesso a rifare la litigata del ’77?»
«Hai ragione. Tanto ognuno crede di avere
ragione».
«Io sono un combattente».
«E lo so. So anche che stavi per finire con le
Brigate rosse».
«Ma mica solo io».
«Non mi dire che la riunione in quel bar dove
vi hanno presi era per quello».
«Vedi, l’ho sempre detto che sei intelligente,
io. anche se sei sempre stato un po’ carogna».
«Vi hanno presi come piccioni lì. Eh!»
«come piccioni. devono averci pedinato i carabinieri. Sai, sapevano anche i nostri soprannomi. a me per esempio il carabiniere che mi ha
preso mi ha chiamato Svampa».
«come sarebbe a dire?»
«Sapevano il mio soprannome e i nomi di battaglia di Sergio e di tutti gli altri».
«Ma va là».
«Non crederai che ti dico palle?»
«Ma come può essere?»
«ci seguivano da mesi. da dopo l’arresto di
carlo».
«Sei sicuro?»
«Sono sicuro sì».
«Ma chi lo sapeva della riunione?»
«Solo noi e due che non sono venuti. Ma sta
tranquillo che i due sono a prova di bomba e si
stanno dando da fare per tirarci fuori».
«Mi sa che qui non ci tira fuori più nessuno».
Per un attimo Luca ripensò a quel pomeriggio
che pioveva e a Franco infagottato nel suo impermeabile. aveva voglia di vedere Franco. Ma
Franco stava in galera come tutti gli amici. Franco stava a San Vittore.
a fine maggio un giornalista finì ammazzato come un cane a Milano. Pioveva anche quel
giorno.
In ottobre il ragazzo ricciolino aveva cominciato a collaborare e i carabinieri avevano arrestato mezza Milano. cominciarono a piovere anche nuovi mandati di cattura per claudio
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e tanti altri già in carcere. Ne arrivò uno anche
per Luca. Era la storia della rapina. Il ricciolino
la raccontava per sentito dire.
Un paio di mesi dopo claudio se ne andò. Lo
caricarono con altri venti su un elicottero a doppia pala. Era inverno e a Fosso faceva un freddo cane. Luca vide dalle sbarre della cella l’elicottero che si alzava dal campo da calcio dietro
il carcere. Le guardie giravano sul muro di cinta
con i mitra a tracolla. Battevano le mani dentro
i guanti di lana. I vetri antiproiettile sul muro di
cinta erano ghiacciati.
–
Rodota, Mannuzzu, Giovannini, Levi Baldini,
Nebbia, Mancuso, Bassanini e Visco
Al presidente del Consiglio dei ministri e al ministro dell’Interno
Per conoscere: se rispondano al vero le notizie di
stampa relative alle informazioni di un infiltrato
sul progettato assassinio del giornalista Walter Tobagi; quali siano stati gli apparati pubblici che raccolsero le informazioni e quali gli altri apparati a
cui tali informazioni vennero successivamente trasmesse; se siano state avviate le necessarie procedure tendenti ad accertare eventuali responsabilità per
la omissione delle misure che le informazioni ricevute avrebbero richiesto e per la recente comunicazione
all’esterno di documenti o notizie.
(Interrogazione parlamentare in Atti parlamentari
- Camera dei deputati IX legislatura - Discussioni
- Seduta del 17 dicembre 1983 resoconto stenografico pagg. 5273-5274)
a marzo arrivò Sergio da cuneo. Luca gli andò
incontro e lo abbracciò a lungo. Gli sembrava di
abbracciare un sepolto vivo. Sergio era in forma.
Vivace più del solito.
«Luca, sai che fra poco divento papà».
«come diventi papà?»
«Insomma, bisogna sempre spiegarti tutto.
anna è in cinta. adesso è in un carcere del sud.
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Va tutto bene. Non mi pare vero. Volevano tombarci, ma intanto ho un figlio».
«Lei sta bene?»
«Sta bene sì. È felice».
«E tu?»
«Io sono contento. Solo che vorrei essere lì».
«Ma la vedi?»
«Macché. Ora posso almeno telefonarle».
«Quando telefoni, salutamela».
«Bravo. così ci vai di mezzo pure tu. Lo sai
che le telefonate sono registrate».
«È vero. allora salutala per lettera indicandomi in qualche modo».
«Ok».
«Quando le telefoni?»
«Ho scritto la domandina per telefonarle
stasera».
«che effetto fa?»
«Brutto, Luca. Poi torno in cella e piango
come un vitello».
Nacque la bimba di Sergio in primavera. Sui
giornali un polverone. come era possibile? I terroristi fanno i figli in gabbia, intitolò scandalizzato il corriere. Sul corriere c’era scritto anche
che claudio aveva inviato un mazzo di rose alla
mamma.
Poi arrivò l’estate e le scatole di cemento del
passeggio si arroventarono di nuovo. In uno di
quei pomeriggi di caldo infernale Luca venne sul
discorso con Sergio.
«Sergio, non ti voglio tediare ma ci sono un
paio di cose che ti volevo dire da un po’. Sono
idee ma stammi a sentire. Lo so che tu hai ventotto anni da fare e poi ora se l’è cantata anche
il ricciolino a Milano su di te, claudio e gli altri.
Ma ci sono alcune cose che non tornano».
«Va bene, ti sto a sentire».
«Senti, sono sospetti, prendili come vuoi».
«Vai avanti».
«allora. Una volta, prima che mi arrestassero, ho letto il rinvio a giudizio vostro e ho trovato una cosa molto strana. I caramba tiravano una
rapina a tre giusti e tacevano il nome del quarto.
Il giudice non ne ha fatto nulla».
«Questo prima che se la cantasse il ricciolino?»
«Più di un anno prima».
«Sei sicuro?»
«Sono sicuro. E poi non è finita. claudio mi
ha detto che quando vi hanno arrestati sapevano
anche i vostri nomi di battaglia».
«È vero».
«Io non voglio entrare nei cavoli vostri che
non ne ho il diritto, ma qui c’è qualcosa che non
quadra».
«ci sono un sacco di cose che non quadrano.
Provo a dirtele. Naturalmente non tutto perché
stiamo cercando di capire anche noi».
«Va bene, per quello che puoi».
«Innanzitutto la casa che cade qualche giorno
dopo l’arresto di carlo».
Luca fece lo sguardo interrogativo.
«La casa, quella che i caramba ci arrivano per
via di due misteriose telefonate…»
«Ho capito».
«Poi la storia dell’arresto di Giorgio alla stazione centrale di Milano».
«Vedi. anch’io ci sono rimasto».
«Insomma, lo fermano alla stazione così, in
mezzo al casino. cercavano proprio lui».
«aveva qualche appuntamento?»
«aveva l’appuntamento di sicuro».
«allora è semplice».
«Non proprio, perché non siamo sicuri con chi
l’aveva. abbiamo delle ipotesi».
«Me le puoi dire?»
«Ma tanto non li conosci».
«Prova».
«Meglio lasciare perdere».
«Senza nome».
«alla riunione al bar dove ci hanno bevuti, dovevano venire altri due. Uno è morto ammazzato dai carabinieri. E lo sai chi è. L’altro invece sta
a casa sua tranquillo».
«allora è questo».
«Bravo. Solo che se è lui non si capisce com’è
che il ricciolino si è sparato il giornalista».
«Si conoscevano?»
«Bravo».
–
Onorato, Balbo Ceccarelli, Ferrara, Columba, Codrignani e Minervini
Ai ministri dell’Interno e della Difesa
Per sapere: se è vero che Rocco Ricciardi era un confidente dei carabinieri e se è vero che, in tal veste,
egli preavvertì nel dicembre 1979 organi competenti dello Stato che era stato progettato l’assassinio
del giornalista Walter Tobagi; in caso positivo, quali iniziative siano state assunte per tutelare l’incolumità di Tobagi e per individuare e assicurare alla
giustizia gli autori del progetto criminoso; quale sia
stato l’esatto tenore delle rivelazioni fatte da Marco
Barbone al generale Dalla Chiesa.
(Interrogazione parlamentare in Atti parlamentari - Camera dei deputati IX legislatura - Discussioni - Seduta del 17 dicembre 1983 resoconto stenografico pag. 5276)
anche Sergio partì dopo poco sballottato nel
circuito degli speciali. Luca passò la sua seconda
estate in galera. Nello stesso carcere, nella stessa cella, nella stessa scatola del passeggio. da due
anni Luca stava fermo. E vedeva passare vicino a
lui un sacco di gente. a volte si fermavano solo
per pochi giorni. Se erano del nord li conosceva quasi tutti. Per comune passata militanza, per
averli incontrati a una spesa proletaria o a una
manifestazione. anni prima.
Se li trovava davanti nella scatola di cemento
dell’aria dopo aver riconosciuto le loro facce in
tivù qualche giorno prima. Foto segnaletiche accompagnate da una litania di reati. a sentire le
notizie gli sembrava che non potessero essere le
stesse persone. Invece erano proprio loro, tali e
quali. alcuni erano solo un filo invecchiati. d’altra parte gli anni passati erano proprio pochi. Si
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contavano sulle dita di una mano. anche se, per
le cose che erano accadute, sembrava che fosse
passata un’eternità.
In seguito al nord di blitz se ne facevano proprio pochi. Ogni tanto venivano arrestate un po’
di persone, ma si trattava per lo più di strascichi di vecchie istruttorie, nati da qualche tardivo
pentimento di gente incastrata. a novembre in
zona Varese c’era stato un piccolo blitz. I carabinieri non avevano arrestato più di dieci persone.
rispetto all’anno priva, quando buttavano il
napalm su intere città, a Luca sembrava un niente. Guardò, come al solito, tutte le facce degli arrestati per tivù. Non conosceva proprio nessuno.
a differenza di quelle sere quando gli si stringeva il cuore a vedere le foto segnaletiche di tutti i suoi amici.
a gennaio arrivò carlo che veniva da Palmi.
Era dal ’77 che Luca non lo vedeva. Ma carlo
non era cambiato per niente. Eppure stava per finire morto ammazzato dopo l’evasione. a Fosso
era ancora più freddo dell’anno prima. Quando
non pioveva c’era una nebbia così fitta che Luca
doveva uscire, se voleva passeggiare su e giù per
la scatola, con l’impermeabile. carlo stava molto ritirato. Parlava poco, meno del solito. Un pomeriggio che pioveva Luca era con carlo sotto
la tettoia. Non c’era nessuno. Tutti gli altri erano
rientrati nelle celle. chiusi fino al giorno dopo.
Per tornare nella scatola poi. così per anni.
«Senti carlo, mi rendo conto che avrai altri
problemi più importanti dei miei e che le mie
pensate sono cazzate visto il livello di rovinio
della gente che sta chiusa con me, ma ti devo
dire delle cose».
«Parla, che ti ascolto».
«allora, hai presente quella rapina del ’75?»
«Quale?»
«Quella del casino della macchina».
«ah, ho capito».
«ascoltami. Esattamente un anno prima che
me la tirasse il ricciolino, negli atti del tuo pro68
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cesso ho trovato un rapporto dei caramba sui
partecipanti».
«E che nomi c’erano?»
«Il tuo, quello di Enrico e di andrea».
«Beh, andrea per forza, il mio anche. allora,
quando secondo loro ero un capo delle bierre, mi
tiravano tutto. Quello di Enrico è strano».
«Lo stesso ragionamento che ho fatto io».
«E il tuo?»
«Non c’era».
«Tutto qui?»
«Non fare il pirla che lo sai benissimo che non
è l’unica cosa che non va. Ho parlato con claudio che mi ha detto del loro arresto e con Sergio.
anche loro non si spiegano un sacco di cose».
«adesso si spiega tutto».
«come sarebbe a dire?»
«Ma non la vedi la tivù?»
«Sì che la vedo».
«allora non ti ricordi quel blitzino a novembre
dell’anno scorso a Varese?»
«Fammi pensare. Sì, roba da poco».
«da poco perché era la fine di una lunga storia».
«Quale storia?»
«Lo conoscevi il postino di Varese?»
«E chi è?»
«Secondo me devi averlo visto».
«credo proprio di no».
«comunque l’importate è che si ricordi lui di te».
«Perché, se la canta?»
«Ora se la canta, ma prima ha fatto qualcosa di peggio».
«Sei sicuro?»
«Per quello che si può essere sicuri in queste
storie».
«Questo spiegherebbe la storia della rapina?»
«La rapina è il meno. Spiega l’arresto al bar nel
’79 di claudio, Sergio e gli altri e forse la morte di Massimo».
«Questa proprio».
«È stato un agguato. Lo conoscevi Massimo? Figurati se non si accorgeva se era pedina-
to. Qualcuno gli ha dato appuntamento in quel
bar».
«E questo qualcuno sarebbe il postino?»
«Non c’è prova ma si sa che si vedevano».
«adesso parli come un giudice, carlo».
«Sai queste cose, se si comincia a pensare all’infiltrato non si finisce più».
«Scusa ma io sarò tardo, ma alla fine quando
capisco poi mi vengono i pensieri».
«Sentiamo».
«allora, il rapporto dei caramba sulla rapina è
del ’79. L’arresto di claudio, Sergio e gli altri è
sempre del ’79, mi sembra fine maggio. Il ricciolino se la canta nell’ottobre ’80. Secondo Sergio
il ricciolino conosceva chi non è andato alla riunione del bar quando se li sono bevuti. E il postino non è andato a quella riunione, questo è
certo».
«Bravo».
«Ma se il postino conosceva il ricciolino, come
ha fatto il ricciolino…»
«Ora te ne dico una io. Lo sai che la foto del
postino era in un album di foto segnaletiche del
nostro processo e nessuno, né i giudici, né i caramba, né i digos, l’hanno cercato?»
«Mi vengono i brividi…»
«È una storia lunga e molto complicata. Soprattutto non ci sono prove».
«E tutto quello che ci siamo detti?»
«Sono ragionamenti, Luca. coi ragionamenti
non si va da nessuna parte».
–
Agli atti del Reparto operativo del Gruppo carabinieri di Milano1 esiste l’originale di una relazione di servizio redatto da un sottufficiale dell’Arma
il 13 dicembre 1979, nella quale si legge fra l’altro:
“Secondo il postino, il… (segue il nome di un altro
confidente) e gli altri avrebbero lasciato il proposito di compiere azioni in Varese ma avrebbero in programma un’azione a Milano. Il … non ha lasciato
capire pienamente quale possa essere il loro obiettivo
ma ha riferito al postino che si tratta di un vecchio
progetto delle Formazioni Comuniste Combattenti
(FCC). Per quanto riguarda l’azione da compiere
qui a Milano e la zona nella quale il gruppo sta operando il postino ritiene che vi sia in programma un
attentato o il rapimento di Walter Tobagi, esponente del Corriere della Sera. La zona in cui il gruppo
sta operando dovrebbe essere quella di piazza Napoli-piazza Amendola-via Solari dove il Tobagi dovrebbe abitare. Il Tobagi è un vecchio obiettivo delle
Formazioni Comuniste Combattenti”.
Il giorno 28 maggio 1980 il pubblicista Walter Tobagi fu ucciso, come è noto, esattamente nella zona
indicata nella relazione confidenziale. Dagli accertamenti svolti il postino di Varese si identifica con
un certo Rocco Ricciardi. […] Va rilevato in proposito che l’attività dell’Arma dei carabinieri in tutte le vicende surriferite è attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, il dovere di riferire in
via esclusiva all’autorità giudiziaria dalla quale
dipende.
(Il ministro dell’Interno Scalfaro - Risposte scritte a interrogazioni in Atti parlamentari - Camera dei deputati IX legislatura - Discussioni - Seduta del 16 gennaio 1984 resoconto stenografico pag.
243-244)
a fine febbraio ’82 Luca fu trasferito da Fosso a
roma. Si avvicinava il processo. Il processo del
secolo. Nel nuovo carcere rivide un po’ tutti i suoi
coimputati. c’era anche Franco. Non aveva l’impermeabile. Ma una maglietta Lacoste e un paio
di jeans tagliati per farli diventare corti.
Franco era proprio in forma. Luca un po’ malconcio. Ma tutti e due erano vivi. E ora potevano dirsi quello che volevano. due anni a scriversi
stando sul vago e andare avanti per sottintesi per
via della censura sulla posta.
a roma le scatole non c’erano più. L’aria ora
Luca la faceva in grandi campi di terra battuta. E
andava avanti e indietro con Franco per ore.
«Hai mica ripensato a quella storia?» gli disse
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Franco un giorno che era a pranzo nella sua cella.
«ci ho ripensato Franco, e ho un sacco di cose
da dirti».
«Prima io».
chiamò la guardia, sgattaiolò fuori e dopo un
attimo Luca aveva tra le mani un rapporto digos
del ’79. Lesse d’un soffio. Poi rivolto a Franco: «c’è scritto che fonte confidenziale segnala in Federico il tiratore di via de amicis, ti sei
accorto?»
«Mi sono accorto sì, se no non te lo facevo
vedere».
«Ma dove l’hai preso?»
«agli atti del processo del gruppo che ha tirato giù il gioielliere».
«Ho capito, anche se non mi viene il nome».
«a chi pensi?»
«Prima tu».
Franco ridacchiò: «Il postino di Varese».
«Ma tu lo conoscevi?»
«Purtroppo lo conoscevo, mi ha tirato una
tentata».
«Sai che io non me lo ricordo per niente».
«L’importante è che si ricordi lui».
«come fai a saperlo?»
«Ho letto le sue deposizioni agli atti».
«Oh, ma leggi tutto».
«Sai, in galera…»
«Ma gli atti li leggevi anche fuori…»
«Tu ti dimentichi che io sono stato già in galera una volta».
«Ma non potrebbe essere il ricciolino?»
«Il ricciolino comincia a cantare nell’ottobre
’80, mentre il rapporto digos è dell’ottobre ’79».
«anche il rapporto sulla rapina è del ’79».
«Ma quello era dei caramba, mentre questo è
digos».
«E allora?»
«È difficile che l’informatore lavori per tutti
e due».
«E allora perché dici il postino di Varese?»
«Perché mi viene in mente solo lui».
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«Lo sai che carlo mi ha raccontato un sacco
di cose a Fosso?»
«cosa?»
«La cosa dell’arresto al bar del lago…»
«Quella storia lì puzzava da un miglio infatti».
«Sapevano anche i soprannomi».
«chi te l’ha detto?»
«claudio».
«E poi?»
«che il ricciolino conosceva il postino».
«Questa non è una grande notizia. Stavano nella stessa banda e prima eravamo tutti assieme».
«Solo che se il ricciolino aveva contatti col postino dopo l’arresto di claudio e gli altri…»
«avere contatti è già una cosa diversa dal
conoscersi».
«Fammi finire. Se il postino è un infiltrato
dall’arresto di claudio almeno, e diventa pentito
dopo il suo arresto nell’ottobre ’81, quand’era infiltrato aveva contatti con il ricciolino…»
«Ti seguo».
«In mezzo c’è il giornalista ammazzato dal ricciolino e la morte di Massimo».
«Vedo che la galera ti ha sviluppato l’intuizione».
«Ma cosa ci faccio con queste notizie?»
«Nulla ci facciamo. Sono ragionamenti. Non
c’è prova di nulla».
«Parli come carlo».
«Non so cosa dice carlo. Questo è quello che
dico io».
«Ma dietro la storia della rapina, c’è il postino?»
«È molto probabile. anzi quasi certo».
«Ma lo sapeva?»
«Lo sapeva sì. Quelli di Varese sapevano quasi tutto».
«Ma allora perché non mi hanno arrestato
subito?»
«Quando subito, nel ’75?»
«No, nel ’79 se il postino collabora da allora».
«Sai, ci possono stare tante ipotesi. che il postino non abbia fatto il tuo nome davvero. che
lo abbia fatto e che i caramba per non bruciarlo
come infiltrato abbiano preferito lasciar perdere
la rapina. Sai rapina in più rapina in meno. E poi
a te sapevano sempre dove trovarti, no?»
«Ma la storia che la foto segnaletica del postino era già agli atti del processo effecici?»
«Questo proprio non lo sapevo».
«Insomma, ma sto postino cosa ha fatto dal
marzo ’79 quando è diventato infiltrato e il novembre ’81 quando si è messo a fare il pentito?»
«Ho l’impressione che non lo sapremo mai».
«Bisognerebbe chiederlo ai giudici».
«direi che più che ai giudici bisognerebbe domandarlo ai carabinieri».
«chi glielo chiede?»
«Prima tu, prego».
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