Documento sul digiuno (aprile 2014)

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Documento sul digiuno (aprile 2014)
Come e perché digiunare? Qualche spunto di riflessione Un gruppo della CVX di Padova sta facendo un percorso di riflessione
sulle risorse del creato e i nuovi stili di vita, approfondendo in particolare
il rapporto con il cibo. In questo percorso, per vivere più
consapevolmente la Pasqua, ci si è interrogati sul senso del digiuno.
Questo documento presenta una sintesi delle riflessioni effettuate.
Aprile 2014
Come? •  Vedere il d. non come obbligo, ma come gesto libero •  Possiamo vivere il digiuno in una dimensione personale … •  … ma può anche essere una esperienza di comunità che condivide dei valori e delle ragioni comuni alla base del d. •  In alcuni momen? della nostra storia può non avere senso digiunare (come i discepoli che avevano Gesù tra loro -­‐ Mc 2, 18-­‐20) Per rifleKere Mc 2, 18-­‐20 Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invita? a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Delle mo?vazioni al digiuno che ci sono estranee •  Le ragioni salu?s?che (digiuno vissuto come dieta) non hanno senso come momento di crescita spirituale •  Il d. come cas?go o sofferenza per il corpo: non le riteniamo pre-­‐condizioni per la preghiera Perché digiunare? L’insegnamento classico: “Digiuno, preghiera, elemosina” (carità) Diverse dimensioni del digiuno: •  una dimensione fisica (corporale) •  una dimensione spirituale: rapporto con il Signore •  una dimensione sociale: sobrietà-­‐carità Perché? (digiuno e corpo) •  La mancanza del cibo è qualcosa di vitale. Il d. aiuta a percepire una mancanza profonda. Ho bisogno del d. per percepire la profondità della pienezza della vita. •  Fare l’esperienza di non essere autosufficiente: ho bisogno del pane  capisco di dipendere dal Signore (“non di solo pane…”) Ma anche: •  Dimostrazione della possibilità di controllare il corpo e regolarlo: libertà dall’obbligo di mangiare. La dimensione materiale della vita mi appar?ene, la riesco in parte a dominare; digiuno come capacità di resistere alle tentazioni Perché? (digiuno, spiritualità e servizio) •  Il d. ha senso se lascia libero un tempo (mentale e fisico) per la preghiera, per la riflessione personale •  Il digiuno come moderazione, come esercizio dell’essenzialità (quindi, più che digiuno-­‐affamamento-­‐
dieta, la sobrietà nell’alimentarsi: pane e acqua), come pre-­‐
condizione per 3 esperienze importan?: –  la riscoperta della qualità del cibo (gusto non ingurgito), –  il ringraziamento del Signore che ci ha dato i doni della terra, –  ricordarsi che la disponibilità di cibo non è scontata  la necessità della condivisione-­‐carità •  Il d. va associato alla solidarietà colleCva (saltare la cena per offrire dei risparmi ai poveri) Per rifleKere (sintesi di un intervento di Enzo Bianchi) La vita pubblica di Gesù inizia con una preparazione atle?ca significa?va: 40 giorni di digiuno nel deserto (Mt 4,2), aKraverso cui lo stesso Gesù intraKerrà una loKa contro il male. Il rapporto tra il digiuno e la nostra vita è un rapporto che va riscoperto. Al tempo di oggi si pensa che il digiuno sia una pra?ca legata sopraKuKo alla nostra este?ca, al nostro apparire. Viviamo in un mondo che ha trasformato il digiuno in dieta. Ma la differenza è abissale. La capacità di astenersi dal cibo, e cioè da un bisogno fisico, è la capacità che il cris?ano esercita per ribadire la sua libertà rispeKo anche ai suoi bisogni. E’ come voler meKere in aKenzione i bisogni del cuore (cioè il bisogno di senso), meKendo in secondo piano i bisogni dello stomaco (cioè tuKo ciò che è legato alla nostra vita materiale). Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio…che tradoKo significa che non ci renderà mai felice riempire semplicemente lo stomaco, ma nutrirci di qualcosa che riempia di senso la nostra vita, si. E aKraverso il digiuno rimecamo al centro qualcosa, anzi Qualcuno, che può riempire di senso la nostra vita. Certo, il rischio di fare del digiuno un’opera meritoria, una performance asce?ca è sempre presente, ma la tradizione biblica ammonisce che esso deve avvenire nel segreto, nell’umiltà (Mt 6,1-­‐18), con uno scopo preciso: la gius?zia, la condivisione, l’amore per Dio e per il prossimo: «Non è piuKosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?» (Is 58,6). Ecco perché anche la tradizione patris?ca è molto equilibrata, sapiente ed esigente su questo tema: «Il digiuno è inu?le e anche dannoso per chi non ne conosce i caraKeri e le condizioni» (Giovanni Crisostomo); «È meglio mangiare carne e bere vino piuKosto che divorare con la maldicenza i propri fratelli» (Abba Iperechio); «Se pra?cate l’ascesi di un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuKosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi» (Isidoro il Presbitero)... Sì, il fine della vita cris?ana è la carità, e il digiuno è sempre e solo un mezzo, ma la chiesa richiede questa prassi nella consapevolezza che il corpo va coinvolto nella preghiera e che la loKa contro le tentazioni non ha solo una dimensione intelleKuale. Così, per ritrovare la propria verità, quella verità umana che con la grazia diventa la verità cris?ana, occorre pensare, pregare, condividere i beni, conoscere il male che ci abita, ma anche digiunare quale disciplina dell’oralità. Il mangiare appar?ene al registro del desiderio, deborda la semplice funzione nutri?va per rives?re rilevan? connotazioni affecve e simboliche. L’essere umano in quanto tale non si nutre di solo cibo, ma di parole e ges? scambia?, di relazioni, di amore, cioè di tuKo ciò che dà senso alla vita nutrita e sostentata dal cibo. Il mangiare del resto dovrebbe avvenire insieme, in una dimensione di convivialità, di scambio che invece, purtroppo e non a caso, sta a sua volta scomparendo in una società in cui il cibo è ridoKo a carburante da assimilare abbondantemente e il più sbriga?vamente possibile. Il digiuno svolge allora la fondamentale funzione di farci discernere qual è la nostra fame, di che cosa viviamo, di che cosa ci nutriamo e di ordinare i nostri appe?? intorno a ciò che è veramente l’unico necessario. E tuKavia sarebbe profondamente ingannevole pensare che il digiuno – nella varietà di forme e gradi che la tradizione cris?ana ha sviluppato: digiuno totale, as?nenza dalle carni, assunzione di cibi vegetali o soltanto di pane e acqua –, sia sos?tuibile con qualsiasi altra mor?ficazione o privazione. Il mangiare rinvia al primo modo di relazione del bambino con il mondo esterno: il bambino non si nutre solo del laKe materno, ma inizialmente conosce l’indis?nzione fra madre e cibo; quindi si nutre delle presenze che lo aKorniano: egli 'mangia', introieKa voci, odori, forme, visi, e così, pian piano, si edifica la sua personalità relazionale e affecva. Questo significa che la valenza simbolica del digiuno è assolutamente peculiare e che esso non può trovare 'equivalen?' in altre forme di rinuncia: gli esercizi asce?ci non sono interscambiabili! Con il digiuno noi impariamo a conoscere e a moderare i nostri molteplici appe?? aKraverso la moderazione di quello primordiale e vitale: la fame, e impariamo a disciplinare le nostre relazioni con gli altri, con la realtà esterna e con Dio, relazioni sempre tentate di voracità Il digiuno è ascesi del bisogno ed educazione del desiderio. Solo un cris?anesimo insipido che si comprende sempre più come morale sociale può liquidare il digiuno come irrilevante e pensare che qualsiasi privazione di cose superflue (dunque non vitali come il mangiare) possa essergli sos?tuita: è questa una tendenza che dimen?ca lo spessore del corpo e il suo essere tempio dello Spirito santo. In verità il digiuno è la forma con cui il credente confessa la fede nel Signore con il suo stesso corpo, è an?doto alla riduzione intelleKualis?ca della vita spirituale o alla sua confusione con lo psicologico. Così il digiuno può assumere di nuovo i suoi connota? più marcatamente biblici e cris?ani: non una pur sana disintossicazione dalla bulimia generalizzata, non una semplice pra?ca per ritrovare il benessere fisico, ma un modo di esprimere con tuKe le fibre del nostro essere il faKo che vero nutrimento per noi è ogni parola che esce dalla bocca di Dio, un reimparare la disciplina dell’oralità perché noi siamo ciò di cui ci nutriamo e la nostra bocca parla dalla pienezza del cuore. Un modo, il digiuno, anche di condividere con semplicità e immediatezza i beni di questa terra, da? a noi perché diven?no di tuc e non di pochi; un modo di richiamare la nostra vigilanza sul faKo che l’astensione da pra?care non è solo e tanto quella da un boccone di cibo, ma dal nutrirsi dell’ingius?zia, dall’ingrassare in potere e ricchezza a spese degli ul?mi, dall’ignorare il fratello nel bisogno. In un tempo come il nostro in cui il consumismo oKunde la capacità di discernere tra veri e falsi bisogni, in cui lo stesso digiuno e le terapie diete?che divengono oggeKo di business, in cui pra?che orientali di ascesi ripropongono il digiuno, e la quaresima è sbriga?vamente leKa come l’equivalente del ramadan musulmano, il cris?ano ricordi il fondamento antropologico e la specificità cris?ana del digiuno: esso è in relazione alla fede perché fonda la domanda: «Cris?ano, di cosa nutri la tua vita?» e, nel contempo, pone un interroga?vo lacerante: «Che ne hai faKo di tuo fratello che non ha cibo a sufficienza?»