la lunga strada della moratoria

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la lunga strada della moratoria
LA LUNGA STRADA DELLA MORATORIA
Sabato 29 Settembre 2007 14:30
di Bianca Cerri
Massimo D’Alema è ottimista: la battaglia per una moratoria universale sulle esecuzioni può
essere vinta. Anche Romano Prodi, nel suo intervento davanti all’Assemblea Generale dell’Onu,
ha parlato di “un futuro più giusto e privo di vendette fratricide”. In attesa di sapere cosa
accadrà, l’Italia ha intanto messo definitivamente al bando la pena capitale dalla sua
Costituzione. Un passo dovuto, dal momento che i paesi che aderiscono alla richiesta della
moratoria hanno l’obbligo di ratificare un protocollo che prevede l’abolizione definitiva delle leggi
capitali. L’impegno del governo italiano non ha tuttavia suscitato grandi entusiasmi negli Stati
Uniti, dove le esecuzioni si susseguono l’una all’altra e dove il 12 settembre è addirittura
ricomparsa la sedia elettrica, uno strumento che speravamo di esserci lasciato alle spalle
assieme ai tanti altri orrori che hanno scandito il cammino dell’umanità. E’ stato lo stesso
condannato, Daryl Holton, un reduce della guerra del Golfo che nel 1997 era stato incriminato
per l’uccisione dei suoi tre figli e della loro sorellastra, a chiedere di essere giustiziato tramite
elettroesecuzione. Molto probabilmente la scelta di morire nello stesso modo atroce dei
condannati di cui aveva sentito parlare tante volte nei 19 anni trascorsi nel braccio della morte,
era scaturita da un doloroso bisogno di espiazione. David Rabyn, l’avvocato che aveva difeso
Holton nel processo d’appello, è rimasto accanto a lui fino alla fine. L’esecuzione è avvenuta
nelle prime ore del mattino e i testimoni avevano atteso circa tre quarti d’ora prima di essere
ammessi nella saletta riservata che guarda nella camera della morte. David Rabyn ha avuto un
breve colloquio privato con il suo assistito ed è l’unico che possa testimoniare su come abbia
vissuto le sue ultime ore. Dopo essersi congedato per l’ultima volta da Holton, è andato a
raggiungere i giornalisti nella saletta attigua alla camera della morte.
Prima dell’una di notte, Holton ha recitato una breve orazione insieme al cappellano del
carcere, poi si è lasciato rasare dalle guardie. Erano molti anni che la sua pelle non veniva più
esposta al sole e al termine del macabro rituale è apparsa bianchissima, quasi spettrale sotto la
luce impietosa delle lampade artificiali. Holton non ha fatto particolari resistenze quando le
guardie gli hanno chiesto di indossare la tunica bianca prevista dal regolamento per i
condannati in procinto di essere giustiziati ed è uscito tranquillamente dalla cella per avviarsi
lungo “l’ultimo miglio”, quello che conduce alla camera della morte. Il suo incedere aveva un
che di grave e dignitoso al tempo stesso.
Quando le guardie l’hanno assicurato alla sedia elettrica, Holton è apparso molto distaccato.
David Rabyn aveva invece gli occhi velati di lacrime e non ricorda cosa abbia pensato in quei
momenti. Attorno a lui, i giornalisti continuavano a prendere appunti sui loro blocchi sbirciando
ogni tanto l’orologio. La madre delle piccole vittime non era presente, ma ha inviato un
messaggio in cui esprimeva il suo rammarico per il dolore che stava per essere inflitto alla
madre di Holton con l’esecuzione del figlio.Quando le guardie gli hanno applicato gli elettrodi
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che avrebbero veicolato l’elettricità attraverso il suo corpo e le spugne bagnate per “chiamare”
la corrente Holton ha chiuso gli occhi ma sembrava completamente indifferente a quello che
stava per accadere.
All’una e dieci circa della notte, le guardie hanno aperto le tendine per permettere ad avvocati
e giornalisti di assistere all’esecuzione e tutti si sono accostati al vetro che separa la saletta
dalla camera della morte per vedere meglio. Bendato e con il volto coperto da una maschera
molto simile ad una museruola a coprirgli il viso, il condannato era immobile. Poi è partita la
prima raffica di corrente, che ha prodotto un suono macabro come il lamento di un moribondo e
il corpo di Holton ha iniziato a sussultare e a dimenarsi. Nella saletta dei testimoni è sceso il
silenzio. Holton sembrava morto ma dopo una seconda scarica il suo corpo ha ripreso di nuovo
a scuotersi. Solo nove minuti dopo una voce anonima ha annunciato dall’altoparlante che
l’esecuzione era terminata e i testimoni sono stati fatti uscire dalla saletta. Le guardie li hanno
scortati oltre il portone principale, da dove si sono avviati verso il parcheggio. Prima di salire
sulle rispettive auto, si sono scambiati strette di mano ma senza mai accennare alla tragedia
alla quale avevano appena assistito. Del resto, che cosa si può dire di un uomo andato
dignitosamente incontro ad una fine atroce pur di espiare l’uccisione dei propri figli?
Per l’opinione pubblica americana, Daryl Holton era un assassino spietato, un mostro che non
aveva esitato a sparare addosso a quattro bambini innocenti e la società “civile” doveva
liberarsene a tutti i costi. E poco importa che fosse tornato dalla guerra con la mente distrutta
dalla depressione post-traumatica, la condanna nei suoi confronti è stata unanime. Tuttavia, c’è
un punto sul quale vale la pena di fare una riflessione. Tra i condannati a morte, compresi quelli
già giustiziati, c’è un’altissima percentuale di reduci di guerra. Charles Whitman, ad esempio,
che ha fatto fuoco sulla folla uccidendo sedici persone dopo aver assassinato la propria moglie
o Don Corl, accusato di aver assassinato 27 bambini dopo averli attirati nella sua casa con la
promessa di regalare loro dei dolci, che aveva addirittura i gradi di ufficiale.
L’elenco è ancora lungo: avevano combattuto la guerra del Vietnam personaggi come David
Berkowitz, che i media avevano ribattezzato “figlio di Sam” e Manny Babbit, quest’ultimo
divenuto eroinomane al fronte, aveva ucciso un negoziante durante una rapina compiuta per
placare il bisogno di droga che ormai si era impadronita della sua esistenza. Babbit fu
giustiziato nel 1999 in California, quando ormai tutti , compresi i famigliari, lo avevano
abbandonato.. Era stato nei marines anche Timothy Mc Veigh, il presunto autore dell’attentato
all’Oklahoma City Building che causò la morte di 148 persone. Ancora: veniva dall’esercito
Jeffrey Dahmer, che la stampa definì “mostro di Milwaukee”, uno degli assassini più sanguinari
della storia degli Stati Uniti. Era un marine in congedo Gary Heidnik, che massacrò due donne
dopo averle violentate e tentò di assassinare la propria moglie.
Uomini come Randy Craft, congedato dall’aviazione militare perché pieno di fobie e
ossessionato da paranoie, o Wayne Adam Ford, ex-marine rispedito a casa perché iniziava a
dare segni di squilibrio, arrivano spesso ad uccidere per vendetta o perché incapaci di accettare
una sessualità problematica. Kraft assassinava giovani maschi dall’aspetto efebico, Ford
smembrò quattro donne dopo averle stuprate ed assassinate. Entrambi hanno avuto la pena
capitale. Il nome di Ford compare oggi molto spesso sulle pagine dei giornali rosa per la storia
d’amore con la bellissima attrice Victoria Redstall, che lo ha definito “un uomo gentile”.
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Courtney Mathews e David Housler, entrambi ex-militari, agivano invece in coppia e in coppia
uccisero quattro donne mentre Dennis Rader, ex-ufficiale dell’aviazione americana iniziò ad
uccidere nel 1974 e continuò fino al 2004, anno in cui fu arrestato. Altri, come Robert Yates,
avevano una buona reputazione nell’esercito ma uccidevano ugualmente. Yates commise
addirittura 13 omicidi nei 19 anni in cui prestò servizio come militare. Richard Evonitz, ufficiale
di marina, autore di tre omicidi, fu ucciso dalla polizia durante una fuga rocambolesca.
Con l’ondata di reduci affetti da depressione post-traumatica, gli Stati Uniti faranno
probabilmente i conti con altre menti malate. Naturalmente non tutti i militari o gli ex-tali sono
automaticamente dei criminali o lo diventeranno. Ma il Pentagono ha molte cose da
rimproverarsi per quello che sta accadendo tra le forze armate e farà meglio a trovare al più
presto una soluzione. Non si possono addestrare le truppe ad uccidere per poi abbandonarle al
loro destino quando la violenza inizia a minare le loro menti.
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