eco maggio agg 2010 - Santuario Madonna della Stella
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eco maggio agg 2010 - Santuario Madonna della Stella
umbria ECOregioni di Marta Bartoli MAGGIO CON SANTA RITA DA CASCIA R ita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, nacque a Roccaporena, presso Cascia, nel 1381. Poche le notizie sulla prima parte della sua vita; esistono fonti scritte piuttosto tarde, come la ricostruzione agiografica fatta da Agostino Cavallucci nel 1610. Dell’unica figlia di Antonio Lotti e Amata Ferri, entrambi descritti come molto religiosi e “pacieri di Cristo” nelle lotte politiche e familiari tra guelfi e ghibellini, è tramandata la leggenda delle api. Mentre i genitori erano occupati a mietere, lei si trovava sotto un albero, dentro una cesta; un contadino si ferì e abbandonò il lavoro per andare a farsi medicare. Passò davanti a Rita e, vedendo delle api intorno alla cesta, con la mano ferita tentò di allontanarle: la ferita si rimarginò. Le api non punsero la piccola Rita ma le depositarono il miele nella bocca. Questo è considerato il primo miracolo di santa Rita. Descritta come una ragazza mite, che desiderava farsi suora - affascinata dalla famiglia agostiniana - per volere dei suoi genitori, si sposò. I matrimoni allora venivano spesso programmati già in giovanissima età, soprattutto quando i genitori cominciavano a essere in là con gli anni. Così Rita, all’età di sedici anni, andò sposa a Paolo Mancini, detto anche Paolo di Ferdinando, ufficiale comandante la guarnigione di Collegiacone, descritto come un uomo dal carattere molto orgoglioso e autoritario. Ebbero due figli, forse gemelli: Giangiacomo Antonio e Paolo Maria. Rita si dedicò instancabilmente alla sua famiglia, creando le premesse per la conversione del marito. Riuscì ad avvicinare il suo sposo alla fede ed educò i figli alla religione, ma proprio quando l’unione matrimoniale sembrava procedere bene, Paolo Mancini fu ucciso, probabilmente per rancori passati, in piena notte mentre rincasava. Rita, credente fino in fondo, perdonò gli assassini di suo marito ma si angosciò quando capì che i figli avrebbero preso la strada della vendetta. Si affidò allora alla preghiera, fino ad auspicare addirittura la loro morte fisica piuttosto che vederli responsabili di atti di violenza e quindi essere votati alla morte dell’anima. Poco tempo dopo i due ragazzi, malati, morirono. Per tre volte Rita chiese inutilmente - per il suo stato vedovile e forse anche le implicazioni dell’omicidio - di entrare presso il monastero agostiniano di Santa Maria Maddalena, a Cascia. Vi entrò solo dopo aver pacificato gli animi e riconciliato la famiglia di suo marito con quella dell’assassino. Per quaranta anni Rita visse nel monastero, dedicandosi alla preghiera. Morì il 22 maggio 1447. Molti sono i segni soprannaturali che i fedeli attribuiscono a Rita da Cascia: la sera del venerdì santo dopo la predica di fra Giacomo della Marca, affascinata dalla descrizione della passione, avrebbe ricevuto una spina dalla corona di Cristo, che le si sarebbe conficcata nella fronte. La madre badessa rifiutò, in seguito a tale evento, la richiesta della santa di partire per Roma con le altre suore per un pellegrinaggio. Il giorno prima di partire, secondo la tradizione, la spina nella fronte sparì e Rita poté partire. La spina fu portata da santa Rita durante gli ultimi quindici anni di vita. Ancora, api bianche sulla sua culla sarebbero apparse il giorno del battesimo, api nere al suo letto di morte, insieme a una rosa rossa fiorita in inverno e due fichi sull’albero nell’orto vicino casa. Il suo corpo venne collocato in una cassa di pioppo; soltanto nel 1462 venne realizzata la cassa solenne. La venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli iniziò subito dopo la sua morte e fu caratterizzata dal numero e dalla qualità di eventi prodigiosi riferiti alla sua intercessione. Beatificata da papa Urbano VIII nel 1627, proclamata santa nel 1900 da papa Leone XIII, la santa degli impossibili è avvocata dei casi disperati. QUEL SANTO CHE TRATTÒ CON BARBAROSSA... U Sant’Ubaldo Baldassini 50 maggio 2010 baldo Baldassini nacque a Gubbio nel 1084-85. Alla morte del padre, il giovane venne affidato allo zio che lo avviò alla vita religiosa. I suoi biografi descrivono la sua disponibilità all’amicizia (societate delectabilis), la sua benevolenza (paciens super omnes). Studiò coi canonici di San Secondo, poi a San Mariano. Era mite ma determinato; non poté tirarsi indietro quando papa Onorio II lo nominò vescovo di Gubbio, ma evitava le pompose cerimoniose e i ricchi ornamenti; era misurato in tutte le cose. Aiutò gli eugubini - pur non abituati ad un ecclesiastico sui generis - durante l’assedio e trattò personalmente con Federico Barbarossa per evitare che Gubbio fosse incendiata. Colpito da una malattia strana e dolorosissima, celebrò la sua ultima messa nella Pasqua del 1160. Domenica 15 maggio chiese l’unzione degli infermi e morì all’alba del 16 maggio 1160. Per il grande afflusso di fedeli, solo quattro giorni dopo la sua morte fu possibile celebrare le esequie; da allora si moltiplicarono i pellegrinaggi, che continuano con tanta devozione. Canonizzato nel 1192 da papa Celestino III, sant’Ubaldo è particolarmente venerato anche nella città francese di Thann, in Alsazia, nel cui duomo gotico è custodita una reliquia del santo. ECOregioni TUTTOumbria di Luciano Temperilli LA CHIESA TRA PROBLEMI E SPERANZE UN PATTO EDUCATIVO PER LE NUOVE GENERAZIONI L e attuali otto diocesi umbre con una popolazione di circa 900.000 abitanti, sentono l’urgenza di proseguire un cammino unitario sui grandi temi che riguardano sia la vita che il futuro della chiesa. In questa ottica la commissione regionale per l’educazione e la scuola hanno messo in cantiere una serie di conferenze-confronti su “La sfida educativa”, prendendo lo spunto dal testo pubblicato dal comitato del progetto culturale per la Cei. E’ chiaro che la trasmissione dei valori e dei comportamenti civilmente validi interessa tutte le cosiddette agenzie formative: famiglia, scuola, parrocchia, eccetera. Gli incontri messi in cantiere si rivolgono specialmente ai dirigenti scolastici, insegnanti, educatori, “sognando” un patto educativo condiviso verso le nuove generazioni. Questo “patto” sembra difficile, a parere del secondo relatore, il professor Sergio Belardinelli, curatore del volume del comitato Cei. “La libertà di cui oggi tutti godiamo, i grandi mezzi di comunicazione di cui disponiamo - osserva - avrebbero bisogno di maggiore responsabilità da parte di tutti i soggetti coinvolti nei diversi processi educativi. Esattamente quanto sembra esser venuto meno in questi anni. Di conseguenza ci ritroviamo a vivere in un contesto sociale in cui mai come oggi l’educazione è stata tanto necessaria, visto che, essendo tutti più liberi e più bombardati da tante informazioni, siamo anche più esposti, specialmente i ragazzi e i giovani, a rischio di non venire a capo della nostra vita, e mai come oggi l’educazione è stata invece tanto carente. Anche per questo continua il professor Belardinelli - l’obiettivo principale del rapporto è quello di promuovere una grande alleanza per l’educazione. Famiglie, mondo della scuola, mondo del lavoro, operatori del mondo dei media e dello spettacolo, tutti sono chiamati a confrontarsi con l’odierna sfida educativa”. Ne va di uno dei fondamentali dell’esistenza dell’uomo. Potremmo anche dire che la “questione antropologica” si gioca oggi soprattutto sul piano educativo. Anche Davide Guarnieri, presidente dell’Associazione italiana genitori (AGe), mostra l’urgenza di quello che lui chiama comunità educante: “L’educazione, afferma, deve puntare sulla consapevolezza responsabile e collettiva di una comunità educante, che ha la convinzione profonda di non poter rimanere neutrale davanti alle esigenze formative dei suoi giovani: non è certo intorno a una neutralità asettica, infatti, che si realizza un patto educativo nel territorio. Sappiamo, come adulti, fermarci insieme e sederci per individuare le cose davvero indispensabili di cui noi, e i ragazzi, abbiamo bisogno?”. Questa alleanza educativa potrebbe divenire “progetto civile” se anche la chiesa, con la sua presenza sul territorio in parrocchie, oratori, famiglie, sacerdoti ed educatori, sarà capace di unire le forze in una proposta forte, unita e testimoniata con la vita. Proprio sulla linea del “pensare, confrontarsi e agire insieme”, come dirà nella conclusione monsignor Paglia, vescovo di TerniNarni-Amelia, si è tenuto ad Assisi un seminario di studio su La chiesa umbra: oggi e domani. In questo seminario il sociologo Luca Diotallevi ha descritto la situazione di un cattolicesimo che c’è ma non si vede: “Gli umbri sono cattolici ma non lo danno a vedere” anche perché c’è, nonostante l’avanzata età del clero, un servizio religioso ancora capillarmente diffuso che soddisfa “la devozione” popolare e accompagna i riti di passaggio (battesimi, comunione, cresime e funerali). Questa realtà però è in rapida trasformazione per cui “bisogna individuare dei punti dove evolvono le nostre comunità ecclesiali”. Certamente un punto, da una parte rivelatore dall’altro di forza, è la messa domenicale. Essa si presenta come “consumo religioso personale” o come “manifestazione del popolo di Dio”. Solo in questo secondo caso l’eucaristia può generare rapporti nuovi aperti al futuro. Inoltre, in una società sempre più frazionata e in una chiesa sempre meno clericale, sarà importante che le associazioni laicali siano incrementate per una maggiore partecipazione all’interno della chiesa e una presenza qualificata nella società. E questo bisognerebbe farlo insieme, collaborando tra le otto diocesi, perché, ha ricordato monsignor Paglia “non ci salva da soli e anche la chiesa è al servizio del bene comune”. 51 maggio 2010