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Ricordi e Racconti Territorio Antichi metodi di pesca Q
Antichi metodi di pesca
Territorio
Ricordi e Racconti
28.03.2011 O
Q - 32
Generatori di corrente
Quest’attrezzo per la pesca con manaite, cianciolo, qualche esemplare
era in uso nel periodo prebellico.
I primi gruppi elettrogeni, di solito con motore a benzina collegato ad una
dinamo, avevano potenza limitata riuscivano ad accendere un paio di lampade
da 500 W, abbandonati per problemi di sicurezza, perché la benzina molto
incendiabile ha provocato in passato tanti problemi.
Abbandonate le batterie si è passati a bruciatori a Gas, alimentati prima a
kerosene, successivamente a GPL fino al 1964, acquistati i primi generatori usati
in quel di Viareggio, sono equipaggiati con motore diesel 10 - 12 HP e dinamo
da 4 Kw , riescono ad accendere fino a sei lampade da 500 Watt una potenza
d’illuminazione triplicata rispetto alle luci a gas.
Ha inizio anche l’utilizzazione di una lampada debitamente isolata e immersa
in acqua al fine di avere minor dispersione di luce.
Col passare del tempo è stata aumentata la potenza dei motori fino a
raggiungere oltre 30 HP la dinamo è stata sostituita dall’alternatore logicamente
con debito aumento di potenza, ci sono alternatori da 16 Kw e si accendono
anche 20 lampade da 500 W più due a immersione subacquea, per una potenza
totale di oltre 220.000 lumen se consideriamo che le lampadine lavorano al
massimo della loro capacità, la tensione di lavoro si avvicina a 40 Volt, mentre
sono costruite per lavorare a 25 Volt.
La durata delle lampade è limitata a causa della tensione di alimentazione
troppo elevata, infatti il filamento si surriscalda iniziando un processo
termoionico, e relativo invecchiamento precoce (diventano nere), quando non è
compromessa in precedenza la funzionalità, per il cedimento della struttura,
sempre a causa dell’elevata temperatura.
Si è provato con diversi tipi di lampade, vapori di mercurio dalla classica luce
azzurra, vapori di sodio tipica luce gialla, in ultimo lampade allogene.
La tensione degli alternatori aumentata fino a 220 Volt, girando l’Italia e anche
fuori si trovano tutti i tipi di lampade ma a Sestri si è sempre preferito le lampade
a incandescenza dalla luce chiara e luccicante, anche se forse è la soluzione più
costosa.
Il costo delle lampade si aggira attorno a otto € cadauna, la durata limitata a
circa sessanta - ottanta ore salvo inconvenienti.
Pare si stia facendo prove con luci a led, il cui costo iniziale molto elevato,
mentre il costo di esercizio e i consumi molto contenuti.
Sestri Levante 28.03.2011
Gbertorino
Antichi metodi di pesca
Territorio
Ricordi e Racconti
Q - 08
Lampe ra – zaccarena - cian ciolo
Lampera,
la prima rete da circuizione per la pesca delle acciughe, termine
improprio in quanto dovrebbe riferirsi alla luce per attirare il pesce.
Con i primi esemplari realizzati cucendo assieme quattro manaite, in modo di
avere una rete unica con dimensioni doppie sia come lunghezza, sia come altezza,
terminava con due maneggiun, (rinforzo) all’inizio e alla fine
Rinforzato il bremmu da ciungiu, sul quale sono stati fissati degli anelli per
mezzo di fueti.
A seguito delle prove effettuate, decisamente positive, si sono realizzate reti con
lunghezza compresa fra 150 – 180 m. e 2500 – 3500 maglie con 32 nodi, più piccole
di quelle delle manaite per evitare che le acciughe s’ammaglino, l’altezza maggiore
della rete si ha al centro.
La rete, stivata sulla barca in due mucchi, allo stesso modo che si ripongono le
corde, e con due sagole già inserite negli anelli, i cui capi legati all’anello al centro
della rete, il nodo è solitamente quello dell’ancora oppure fissate con i due colli alla
corda.
La luce sistemata in posizione ritenuta pescosa, rispetto alla costa, a profondità
compresa fra 20 - 30 braccia, ancorata per rimanere immobile, aveva il compito di
attirare il pesce, quando alla vista si riteneva che la quantità fosse sufficiente, si
decideva per la calata.
Per la pesca delle acciughe ci si allontanava dalla costa, a volte si apriva u fanà(si
vedeva il faro di Genova fuori dal Monte di Portofino).
Se la zona di pesca è fuori all’’isola di Sestri, vuol dire essere in una posizione
oltre due miglia lontano dalla costa, alla profondità oltre le sessanta braccia.
Acquisita direzione e grossomodo la velocità della corrente, la luce liberata da
vincolo dell’ancora, per mezzo dei remi, si manteneva immobile evitando lo
scarloccio per non disturbare il pesce radunato sotto il chiaro.
Con la barca madre si buttava l’ancora incapela-e, in modo che servisse da freno
durante il recupero della rete, sul terminale dell’ancora era legata a barì, piccola
botticella in legno che fungeva da galleggiante, alla quale era legato l’inizio della
rete, durante la cala si utilizzava i remi, perché temeva che il motore disturbasse il
pesce, la rete era filata a mare accompagnandola con le braccia di solito da due
persone, uno teneva la
nat-ta, per scongiurare inaspettati imbrogli.
Si procedeva a cerchio fino a raggiungere e fissare a bordo l capo della rete
assicurato a suo tempo sulla barì, iniziava a questo punto il recupero delle sagole
chiudendo la rete dal fondo, operazione fatta esclusivamente a forza di braccia e
decisamente faticosa.
Recuperato il mazzetto, cioè l’insieme degli anelli ed il bremmu da ciungiu, il
pesce era in trappola, rimaneva il recupero della rete da ambo i lati, nella morte, la
zona centrale era convogliato il pescato, che issato a bordo era sistemato sul gozzo
della luce in una ghiacciaia ricavata fra i due banchi del natante.
Solo giunti a terra, alati i gozzi sulla spiaggia si procedeva alla cernita e al
confezionamento in cassette.
Ultimata questa operazione, le cassette sistemate su di un carro con ruote
gommate, era trasportato a forza di braccia in viale della Rimembranza, a ridosso
delle palme, lungo il tratto dai Balin fino alla chiesa di S. Maria di Nazareth, per
essere venduto ai grossisti o essere caricato su camion per il trasporto e quindi
venduto al mercato ittico di Genova.
Si ritornava alla barca per pulire e lavare la rete, sistemarla sul carro, e all’alba
stesa sulla spiaggia per asciugarla e ritirarla con lo stesso carro per sistemarlo
all’ombra dei Leudi, alla sera la rete era nuovamente stivata a bordo per una nuova
battuta di pesca.
L’equipaggio era formato di norma, da sei – sette elementi.
Zaccarena, la rete aumenta di dimensioni, la lunghezza m. 220 e oltre,
l’altezza oltre 4000 maglie del 32 – 34, l’altezza è uguale sia al centro che ai lati, il
filo doppio solo nella morte (la parte dove si convoglia il pesce in filo triplo).
Era stivata a bordo su lato destro della barca latino (guardando da prua a poppa),
u bremmu da nata a poppa, u bremmo da ciungiu oltre il centro barca vicino al
fourchetin sul quale sono infilati gli anelli, le sagole due, formate da tre cavetti di
acciaio ricoperti in plastica attorcigliati con un supporto di corda vegetale,
debitamente sistemate a cerchio verso prua, sulle teste era fatta la gassa (a mezzo
piombatura) una di queste infilata negli anelli è legata alla gassa du maneggiun ,
erano giunte fra di loro con una piccola treccia di nylon.
Per la calata, si sistemava il terminale della rete sulla prua di un gozzo con luce
spenta, con motore e non a remi, si effettuava un cerchio attorno alla luce, la rete
andava a mare da sola, sole le sagole passando negli anelli, erano accompagnate a
mare, quindi si recuperava il terminale della rete che era legato a prua.
Con le sagole recuperate sulle campane del verricello, si chiudeva la rete
recuperando il mazzetto degli anelli.
Si disgiungevano le sagole e a poppa iniziava il recupero della rete che veniva
fatto a mano, la morte era fatta sulla testata a prua.
Recuperato il pesce e sistemato sui gozzi come con la lampara, bastava
sistemare gli anelli sul fourchetin e risistemare la sagola di poppa per essere pronti
per un’altra calata.
Giunti a terra, confezionato e venduto il pesce, si procedeva al lavaggio della rete
e conseguente asciugatura.
Con la realizzazione delle reti in nylon, si effettuava il lavaggio solo in caso di
necessità, e cioè a seguito considerevoli quantità di pesce ammagliate, l’asciugatura
era fatta, solo in caso fosse necessario riparare grossi danni effettuati durante la
notte, altrimenti a fine stagione prima della sistemazione il magazzino.
Con la realizzazione delle reti in nylon, sono anche aumentate dimensioni, di
conseguenza si è passati a barche più grandi con maggiore spazio e comodità, più
veloci e con maggiore attrezzatura, sono stati installati i primi scandagli ad ultrasuoni
per andare alla ricerca delle zone maggiormente pescose sono stati smessi i latini.
Il pesce era ghiacciato in vasche e lavorato sulla barca, in modo di arrivare a
terra con il pesce confezionato pronto per essere venduto.
L’equipaggio formato di norma, da undici – dodici elementi.
Cianciolo, una trasformazione avvenuta per gradi, il verricello ha subito una
sostanziale modifica, sono stati inseriti i tamburi sui quali avvolgere il cavo in acciaio
che chiude la rete sul fondo, che ha sostituito se sagole, sono rimaste le campane
utilizzate per altri scopi, sono stati installati rulli idraulici per il recupero della rete.
I gozzi con le luci realizzati in vetroresina e quindi decisamente più leggeri, è
aumentata la potenza dei generatori in certi casi accendono anche 20 lampade da
10.000 lumen, dotati a volte anche di due lampade subacqueo.
Sono inoltre state installate gru oleodinamiche che svolgono funzioni diverse:
sostengono il rullo salparete, viene issato a bordo il pesce dalla rete, permettono di
issare a bordo i gozzi con le luci e a volte anche la stazza (la grossa lancia in
vetroresina dotata di potente propulsore) che mantiene la barca madre distante dalla
rete durante la calata, indispensabile oggi, considerato che la rete solitamente si cala
controcorrente, il peschereccio rischia di essere avvolto dalla rete, con problematico
recupero dell’attrezzo, in passato la cala era fatta in direzione della corrente e quindi
bastava una stazza con motore di potenza limitata per una normale operazione.
Al tramonto si esce tardi, si cerca il pesce con l’ecoscandaglio, le luci sono calate
a mare solo in presenza di adeguato rilevamento, mostra, appena il pesce è attratto
dal il chiaro, si precede a riunire le luci e calare la rete.
La velocità dei pescherecci è aumentata, alcuni raggiungono anche 14 miglia,
orarie, la zona di pesca si è ingrandita, succede in alcuni casi che il pesce venga
trovato dopo una ricerca compresa grossomodo fra Genova e La Spezia.
Per la pesca oltre i limiti suesposti, in prossimità delle coste Toscane o a ponente
di Genova, il peschereccio viene lasciato in zona i pescatori usano di solito furgoni di
proprietà oppure il treno per i trasferimenti, il pesce viaggia per conto proprio per la
destinazione su automezzi attrezzati con celle termoisolanti.
In alcuni caso le luci non gettano l’ancora per misurare la corrente, ma una pietra
legata a un leggero filo in plastica, che permetta di rimanere immobili per il tempo
necessario a raccogliere i dati, e quindi si taglia il filo abbandonando tutto al mare.
Una brutta abitudine mal sopportata dai pescatori con le reti a strascico.
Il pesce viene ghiacciato sul peschereccio in vasche di vetroresina, la capacità di
solito è di 4 5 ql.
Il ghiaccio utilizzato non è in barre come in passato, ma a scaglie e trasportato al
porto in autoveicoli termoisolanti, sistemato in sacchi di tessuto plastico, caricato a
bordo alla sera prima di uscire.
Il consumo negli ultimi tempi è aumentato tanto, il pesce arriva sui mercati in
condizioni di freschezza migliori che in passato.
L’equipaggio di solito è costituito da sette – nove elementi.
Sestri Levante 14.12.2011
gbertorino
Antichi metodi di pesca
Territorio
Ricordi e Racconti
27.11.2011 O
Q - 14
“Pa- amiti” ( dalle origini ai giorni nostri)
Nella foto:
- Costruzione di pa-amiti: da sinistra, Giulain, unico spettatore,
Marco Berturin (di spalle) e Manuel Texiu legano gli ami ai brocchi,
Vittorio Genebrin assicura i brocchi alla schiena, riponendo l’attrezzo
nella vasca dopo aver appusi gli ami nella lista di sughero.
I pa-amiti sono un antichissimo attrezzo di pesca, costituito da una
lunga corda, schen-na, alla quale a intervalli regolari sono legati i
brocchi, ai quali sono, con il classico nodo cappuccino, assicurati gli ami.
La grandezza degli ami è in funzione della preda da catturare: per i
dentici solitamente si usa il numero sette, l’attrezzatura chiamata “dentixea”,
gli stessi ami sono utilizzati anche per la pesca dei naselli.
La grandezza degli ami va da 5 a 13, inversamente proporzionale al
numero: a numero piccolo corrisponde l’amo di maggiori dimensioni.
Molto probabilmente seguono una normativa di origine anglosassone,
della quale non conosco le origini.
I pa-amiti sono posti in pesca calando l’orsa, una corda munita di peso
che, precipitando sul fondo, ne evita lo scarloccio conseguente alla
corrente; in prossimità del peso è fissata l’inizio dell’attrezzatura, in
superficie termina con un segnale visivo (boa); altra orsa è sistemata al
termine.
Anticamente i pa-amiti erano realizzati in “teragnin-na”, cordicella
attorcigliata di canapa, di diametro maggiore per la schen-na, la cui
lunghezza era di circa settecento metri, e un centinaio di ami.
I brocchi erano realizzati con corda più sottile, o con trama, un trafilato
biancastro meno visibile della corda, la cui resistenza era modesta.
Come tutti i cordami erano tinti periodicamente, sia per aumentare la
durata, sia per renderli meno visibili in acqua.
Erano riposti con cura nel panne-e (cesto di vimini), sul cui bordo, a
mezzo di legature, era sistemata una striscia di sughero, sulla quale erano
fissati gli ami; attualmente le bacinelle in plastica hanno sostituito i vecchi e
tradizionali panne-e.
L’invenzione del nylon ha permesso di avere attrezzature
decisamente più resistenti e quindi più micidiali per catturare il pesce.
La schiena, per le attrezzature utilizzate all’am-mae (pesca in alto
mare), ha un diametro del filo compreso fra 160 – 200, per i brocchi 80 –
100.
Per i pa-amiti utilizzati sotto costa, la schiena ha un diametro 50 – 80,
per i brocchi 30 – 50 (il numero corrisponde al Ø in centesimi di mm.)
Con l’utilizzazione degli ami in acciaio inox la durata si protrae più a
lungo, mentre la principale causa d’invecchiamento del nylon è
l’esposizione alla luce, che ne determina una sostanziale riduzione di
elasticità e resistenza; altro fattore d’invecchiamento è l’usura, per cui è
necessario sostituire le parti che presentano abrasioni, allo scopo di
evitare imprevedibili rotture.
La pesca al dentice era praticata lungo tutta la costa, utilizzando
preferibilmente esche molto fresche.
Alla fine di settembre del 1955, il tempo era bellissimo, alla lampara si
pescava poco pesce, si era deciso di fare una battuta di pesca nella zona
delle cinque terre, durata poi tre giorni.
Al mattino poco prima dell’alba, pescavamo le aguglie con l’agunea, i
pesci più piccoli erano in fretta innescati, le dentixee, che erano calate alla
svelta, venivano recuperate dopo un’ora circa.
Nell’arco della mattinata l’operazione era ripetuta, quindi si faceva
una piccola sosta per mangiare un paio di panini.
Al pomeriggio si continuava la pesca delle aguglie, la sera si ritornava
a Portovenere, per vendere il pescato e acquistare le provviste per il giorno
successivo.
La notte dormivamo a bordo, la giacca ripiegata aveva la funzione di
guanciale, la coperta era anch’essa piegata: la parte sotto rendeva meno
duro u paggeu, su cui ci si sdraiava, la metà sopra ci riparava dal freddo.
Dormivamo sotto coperta del latino (38 palmi) uno affianco all’altro.
Ricordo che un pomeriggio, avevamo appena mangiato qualche
panino, eravamo vicino alla costa a ponente dello scoglio Ferale; le
donne, impegnate per la vendemmia sui terrazzamenti sul mare, si erano
allontanate per la sosta di mezzogiorno; un paio di compagni decisero di
fare una incursione fra i vigneti: risalita la scala a gradini che arrivava a
poche decine di metri dal mare, in pochi minuti fecero provvista di grappoli
d’uva, perfettamente matura, dorata e dolcissima.
Assaporata anche la frutta, un extra non previsto nel menù,
continuammo con la pesca delle aguglie.
Dentici ne avevamo catturati ben pochi, le spese erano state
sostenute principalmente col ricavato della vendita delle aguglie.
In tre giorni il guadagno era stato molto misero, un fattore positivo era
stato quello di fare, prima del ritorno, una copiosa scorta di muscoli.
In prossimità della costa con ami più piccoli, con u pa-amitu, si
pescano principalmente saraghi, occhiate, mormore, l’esca deve essere
appropriata alla preda. Spesso si inseriscono nell’attrezzo dei galleggianti
per evitare che precipiti al fondo; questo sia perchè il pesce mangia
meglio, sia per evitare agganci indesiderati fra gli scogli del fondale.
Una zona di pesca vicina alla costa era a luccidda: si usciva dal molo
di Sestri, perpendicolarmente alla costa, fino ad aprire da punta Manara la
derriva-a de baffe, si iniziava a calare verso ponente: il fondale è fangoso e
la profondità oltre le 50 braccia.
Le prede più ambite sono le prelibate gallinelle e naselli di modeste
dimensioni, qualche cappone, pesci prete e ragno, l’esca di solito sono le
piccole sardine freschissime catturate nella notte alla lampara.
Le classiche zone per la pesca dei naselli sono:
- fossa: situata al largo di Moneglia, nella conca della Valle grande si
apre la cavalla (il monte Porcile), una zona ampia nella quale possono
pescare contemporaneamente due o tre equipaggi, la distanza da Sestri è
di circa sette miglia, la profondità da 450 a oltre 500 metri.
- pizzo pizzo: grosso modo al largo di Chiavari, con l’isola allineata col
monte Pu, mentre da ponente dal monte di Portofino si apriva a pea-a de
Nervi (monte Moro); la distanza da Sestri è di circa otto miglia, la
profondità circa 500 metri.
- ciappe-e: una zona di pesca compresa fra pizzo pizzo e la costa
della quale non conosco le amie, la profondità è di circa 250 metri, gli ami
utilizzati sono del numero 10 -11, vi si pescavano capponi.
Anticamente per raggiungere le zone di pesca era necessario avere
buona esperienza, nubi e foschia erano impedimenti non sottovalutati.
Attualmente le zone di pesca sono raggiunte con estrema facilità e
precisione, grazie all’ausilio dei moderni GPS satellitari. Altro fattore
positivo è stata l’istallazione di ecoscandagli a ultrasuoni, che permettono
di conoscere la profondità e anche la natura del fondale.
Grazie all’impiego di natanti più grandi e confortevoli (pilotine), muniti
di potenti motori in grado di raggiungere 12 – 14 nodi, equipaggiati con
debita strumentazione, sono aumentate le zone di pesca; fra le principali:
- la Rocca di S. Lucia distante 40 miglia circa a sud di punta Mesco, la
profondità minima sulla vetta è di circa 150 m. , alla base in alcuni punti
si raggiungono profondità elevate, quasi 1.000 m.
- la Secca delle Vedove, distante circa 60 miglia a sud di punta Mesco, la
profondità minima sulla vetta è di circa 65 m., alla base poco meno di
500 m.
In queste zone, oltre che con i pa-amiti, si pesca anche con i
bolentini, un attrezzo che in breve arco di tempo ha avuto una significativa
evoluzione.
In origine questo attrezzo era costituito da pa-amiti usurati e smessi,
calati in verticale lungo i fianchi delle montagne sommerse, era doveroso
calcolare bene la corrente in modo che l’attrezzo si avvicinasse il più
possibile alla parete verticale; la scelta della zona è sempre fatta con lo
scandaglio a ultrasuoni.
Oggi ogni pescatore si costruisce gli attrezzi secondo esperienze
personali, gli attrezzi più evoluti sono equipaggiati leggeri bracci in acciaio
inox, inseriti sulla schen-na, ai quali sono legati i brocchi con l’amo.
Ogni attrezzo ha solitamente cento ami, sono utilizzati per catturare
principalmente besughi (occhialone), una specie d’alto mare, simile al
pagello, il cui peso varia da 200 - 300 grammi fino a esemplari di oltre tre
Kg.
L’esca di solito è la sardina fresca, ma oggi viene usata in prevalenza
quella congelata, considerato che è sempre disponibile.
Il lettore attento può notare che da maina le piccole profondità sono di
solito espresse in braccia, mentre le grandi profondità in metri.
La spiegazione è molto semplice, le prime erano misurate con
cordami sui quali si avevano del riscontri, mentre per le grandi profondità
non si tentava di conoscerne l’entità, a causa delle correnti che rendevano
imprecisi i risultati; solo con l’impiego di scandagli ad ultrasuoni si sono
appurate le reali dimensioni; l’unità di misura degli strumenti era il metro
(almeno nei primi esemplari), lo stesso vale per le carte nautiche,
anticamente non utilizzate per la pesca.
Nelle zone di pesca dei naselli, capita sovente di catturare
rundanin, un pesce che all’apparenza ha le caratteristiche dei pesci di
profondità, anche se vive a mezz’acqua, di solito abbocca al momento
della calata dell’attrezzatura oppure durante il recupero, se sugli ami è
rimasta ancora l’esca.
È un pesce brutto a detta di tutti, le sue carni sono molto prelibate; a
mio avviso, non esistono pesci belli o brutti, ognuno ha caratteristiche e
struttura adeguate all’habitat in cui vive, sicuramente la nostra educazione
culturale ci condiziona, ma la vista di un bel nasello di cinque kg. ci fa
effetto diverso di un rundanin o qualsiasi altro pesce dello stesso peso.
Allo scopo di ridurre i tempi per il recupero, si salpava per due mani,
cioè contemporaneamente per due capi, dimezzando il tempo.
Con l’installazione di salpa-pa-amiti idraulici, la fatica si è ridotta
parecchio, e anche il tempo, considerato che in condizioni di tempo
ottimali, il recupero avviene anche per quattro mani; in questo caso è
necessario inserire orse intermedie, rispettando determinate modalità
durante la calata.
In passato per recuperare u pa-amito da 500 m. di profondità
occorreva uno sforzo continuo e non indifferente, erano utilizzati guanti in
cuoio per proteggere le mani; solo con una pesca copiosa la fatica
diminuiva, un po’ per l’entusiasmo, ma anche per il fatto che, quando i
naselli salgono dal fondo, con la diminuzione della pressione si espande
l’aria contenuta nella vescica natatoria e quindi vengono a galla,
sollevando l’attrezzo.
I pa-amitoi raccontano di aver visto galleggiare le prede sull’acqua
fino al limite del campo visivo, uno spettacolo insolito ma sempre molto
emozionante.
A volte l’attrezzo è usato per la pesca del pesce spada; in questo
caso è mantenuto a poca profondità dalla superficie per mezzo di
galleggianti, l’esca per eccellenza in sono i calamari o, in alternativa,
salacche di grossa taglia, sugarelli, sgombri, o anche sarde, almeno tre o
quattro per amo.
Logicamente, per le battute di pesca in alto mare, determinanti sono
le favorevoli condizioni meteorologiche, considerato che la durata spesso
si protrae per più di un giorno; è indispensabile inoltre affrontare queste
escursioni con barche sicure ed avere la debita esperienza, in modo da
ridurre al minimo i rischi.
Sestri Levante 27.11.2011
g.bertorino
Ricordi e Racconti
Q - 17
Territorio
“Fuscina”
Antichi metodi di pesca
19.02.2012 O
La pesca con la fuscina (fiocina), praticata fino agli anni 70 da pescatori
esperti o dilettanti. per passione, divertimento e saltuariamente, in quanto
l’attività permetteva guadagni di solito modesti.
Si praticava di notte lungo tutta la costa di solito nel tratto fra Punta
Manara e u grugnu (scogliera a levante di Cavi di Lavagna), con battute
concentrate in zone comprese tra il promontorio di Portofino e Punta Mesco.
Prima dell’imbrunire si attrezzava il gozzo 16 – 20 palmi, si sistemava la
luce sulla poppa, di solito del tipo a gas di potenza limitata, un paio di specchi
cilindri in metallo, provvisti di maniglia, aperti da un lato, sul lato opposto era
sistemata una robusta lastra di vetro sigillata ermeticamente, attrezzo
indispensabile per scrutare il fondale, l’immancabile patata che strofinata sul
vetro ne evitava l’appannamento.
Si sistemavano le fiocine (diversi tipi per grandezza dei denti, e almeno
una da schuma, cioè con denti di piccolo diametro da non utilizzare negli
scogli ma solo in superficie), la struttura in metallo era fissata all’asta in legno
di buona qualità e resistenza, ottimo era il picht-pine, il diametro circa 3 cm. la
lunghezza 3 - 4 m. con la possibilità d’inserire una prolunga di circa 2 m.
Si imbarcava il pourpezzu, i contenitori per il pesce, se praticata in
inverno anche la bottiglia con un po’ di grappa.
I grandi spostamenti erano fatti a motore mentre durante la pesca con
luce accesa si procedeva a remi, di solito si andava in due fino a un massimo
di quattro persone; uno ai remi, un o due con lo specchio e la fiocina in mano,
pronti a colpire il bersaglio illuminato.
Condizioni essenziali mare calmo e acque chiare, durante il periodo
invernale forse a causa della temperatura dell’acqua inferiore rispetto al
periodo estivo, il pesce sopporta meglio il chiaro della luce.
Mi à capitato di osservare il comportamento del pesce che a volte
restava immobile sotto la luce offrendo facile bersaglio, mentre in altri casi
fuggiva immediatamente.
Preda ambita per questo tipo di pesca, il luasu, una sera nei sassi sotto
S. Anna da e mouelle ne abbiamo catturato oltre sette Kg., un’altra serata da
levante dalla diga in prossimità di trei free abbiamo catturato oltre un quintale
di polipi, a bordo era tutto in movimento.
gbertorino
19.02.2012
Ricordi e Racconti
Q - 17
Territorio
“Nasse”
Antichi metodi di pesca
18.02.2012 O
Le nasse realizzate principalmente in vimini o giunchi, erano costruite con
forme e dimensioni diverse, ma sempre con le stesse caratteristiche.
Da un lato era realizzato il cono di entrata del pesce che terminava sempre,
con asticelle flessibili, dall’altra il portello di accesso all’attrezzo che serviva per
l’estrazione del pesce e anche per effettuare la debita pulizia.
Appesantite con pietre o piombo, le prime a volte sistemate all’interno
oppure legate all’esterno, mentre se era usato il piombo, di solito si realizzavano
collane di baghe (normali piombi usati per le reti) fissate sempre all’esterno.
Erano preparate inserendo all’interno l’esca, residui di pesce di qualità
scadente non commerciabile, a volte era sistemato anche del fogliame, di solito
calate vicino ai relitti, o in isole di scogli lontano dalla costa (scoggi de S.
Benardu) il numero delle nasse dipendeva dalle dimensioni della barca.
La zona di pesca era controllata con le amie, rilevamenti incrociati di punti
fissi sulla costa, l’attrezzo per mezzo dell’orsa era calato sul fondo, era
indispensabile che il cono di entrata non poggiasse sul fondale, mentre in
superficie rimaneva un segnale souccu (particolare tipo di zucca non
commestibile con dura corteccia, essiccata al sole e svuotata dei semi); per
evitare ispezioni clandestine e con corrente moderata l’attrezzo era segnalato
dalla natta, un pezzo di sughero tenuto sotto la superficie.
Tante le qualità di pesci che si catturava, spesso gronghi anche di grandi
dimensioni, le prede più ambite erano le aragoste e astici.
Negli anni sessanta/settanta questo tipo di pesca ha avuto il massimo
sviluppo, si costruivano nasse di basso costo, con struttura in tondino di ferro 10
mm. circa di diametro ricoperte con griglia in ferro zincato quella a basso costo
utilizzata per realizzare i pollai, se ne calavano anche oltre 10 pezzi.
Con lo sviluppo della pesca a strascico si può ritenere estinto, almeno nelle
nostre zone questo tipo di pesca.
Solo di recente sono state fatte prove, con nasse specifiche per la pesca del
gambero rosso, calate in serie come i palamiti, al momento questo metodo è stato
abbandonato per i modesti risultati ottenuti.
Gbertorino 18.02.2012