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Anna Lucchiari LE STELLE DENTRO DI NOI ARMANDO EDITORE Sommario Un pomeriggio di febbraio 7 Qualche giorno dopo, di ritorno da scuola 17 Le sorprese di un fine settimana 25 Tre ragazzi con le idee chiare 35 Le preoccupazioni di una Stella 47 Sulla Liberty 53 Una riunione importante 61 L’Accademia dei Concreti e l’Alfabetomorfismo 69 Le sorprese di un sabato pomeriggio 75 Miracoli del web 85 Il MOMA 91 Una pausa per tirare il fiato 95 Le sorprese della laguna 101 Una cena speciale 109 Altre trasformazioni 119 Illuminazioni da lontano 131 Per sempre Liberty 137 Un pomeriggio di febbraio L’aria era piuttosto fresca, ma fin dal mattino c’era stato un bel sole che aveva accarezzato con infinita delicatezza i pochi fili d’erba che si erano salvati dall’inverno, aveva acceso il bruno dei rami spogli degli alberi e, su quei percorsi contorti, piano piano si era rafforzato in una specie di promessa di primavera. Quella mattina Giovanna era uscita leggermente in ritardo sicchè era riuscita a godere di quella prima carezza e quando il sole le aveva sfiorato la pelle, aveva compreso che il messaggio si sarebbe rafforzato di giorno in giorno. Aveva raggiunto il centro di Roma, dove lavorava, con una certa lentezza, cercando di non disperdere nei rumori del traffico la pace che le aveva trasmesso il tranquillo risveglio della campagna romana. La giornata era stata quasi distensiva dopo il terribile periodo durato oltre un mese, nel quale aveva proceduto a tappe forzate per le chiusure di fine anno. Aveva bisogno di recuperare, come peraltro tutto il personale del centro. Lei aveva bisogno di tornare ad uscire ad orari umani, col sole ancora alto nel cielo per dedicarsi un po’ di più alla casa, al figlio Sandro e al marito Maurizio. Non avrebbe saputo dire quanto lui temesse le chiusure di fine anno, dato che il suo lavoro lo portava fuori città almeno 7 due o tre giorni alla settimana. Magari non aveva nemmeno sentito quanto le pesasse non poter fare ritorno ad un’ora ragionevole o forse era troppo comprensivo per farglielo pesare. Maurizio sapeva quanta passione mettesse nel suo lavoro. Giovanna lavorava in una grande società di indagini statistiche e nel medesimo settore erano stati impiegati anche vari membri della sua famiglia: forse non era più entusiasmante come all’inizio, ma le sembrava, in ogni modo, l’unico sistema valido per riuscire a scoprire qualche costante e quindi rendere meno incomprensibili alcuni fenomeni demografici ed economici. Decisamente le piaceva e usciva sempre di buona voglia la mattina, talvolta con suo marito, talvolta col figlio Sandro quando perdeva il pullman del comune che raccoglieva gli studenti e li trasportava nelle varie sedi scolastiche. Il mezzo comunale passava alle sette meno un quarto perché il giro di raccolta e redistribuzione degli studenti era piuttosto lungo. Ma era una grande comodità e anche un segno dell’attenzione del comune alle necessità dei cittadini. I ragazzi all’inizio si erano ribellati all’orario, ma poco a poco si erano abituati. Avevano avuto il permesso di mangiare in pullman perché molti di loro scappavano ancora assonnati, letteralmente sospinti dalle madri, almeno i più piccoli, dagli usci, dai portoni e dai cancelli. Sandro e i suoi compagni di scuola erano ormai grandi ma talvolta capitava che mancassero l’incontro antelucano e in quel caso i rispettivi genitori dovevano farsi carico degli accompagni. Giovanna ricordava quando all’inizio del servizio, riusciva a raccoglier per strada fino a sei ragazzi che avevano mancato 8 l’appuntamento. Mano a mano però, i ragazzi grandi e piccoli si erano abituati. Sveglia alle sei per tutti e fin dal principio. Arrivata all’ora di rientrare, aveva percorso con una certa ansia la strada di casa: a volte il traffico era inesistente, a volte la costringeva a percorrere alcuni tratti a passo di lumaca. Come quel giorno che aveva voglia di sbrigarsi e invece si era trovata a causa di un incidente a doversi mettere in coda per oltrepassare una strettoia presidiata dalla polizia stradale. Aveva pensato di dedicare le prime cure al giardino che durante i mesi freddi viene lasciato riposare in pace, perché le sembrava il momento giusto per sollecitare il buon risveglio delle piccole aiole che aveva ricavato davanti e dietro casa. Così quel giorno, appena arrivata, si cambiò velocemente, tirò fuori gli attrezzi dal capanno del giardino e si mise di buona voglia a dar aria alle radici delle piante. Avendo preparato già la sera prima un beverone fertilizzante, ogni volta che completava lo scavo attorno alle piante, vi lasciava cadere una dose dell’intruglio nutriente. Era così intenta a quell’operazione che sapeva indispensabile, che non si rese nemmeno conto né del passare del tempo né del fatto che dal giardino contiguo venivano analoghi rumori. Si tirò su solo quando la luce stava ormai calando e solo allora si rese conto di avere le mani intirizzite. Cercò di inarcare la schiena e cominciò anche ad articolare e a massaggiare i polsi e le mani provate da quel lavoro faticoso e solo allora si accorse che dal cancelletto sbucava la faccia sorridente di Adriana. Il cancelletto di ferro battuto che avevano montato circa alla metà della siepe divisoria, era stato considerato da entrambe le famiglie una via di salvezza o una via di fuga ma 9 anche un modo per sottolineare l’amicizia che era sorta spontanea tra loro. “Credo che ci siamo dedicate allo stesso lavoro” le disse Adriana ridendo,“nemmeno ci fossimo date appuntamento. Ma adesso che sta facendo buio, pensi che ce la meritiamo una tazza di the caldo e qualche biscottino?”. “Effettivamente stavo già decidendo di smettere” Giovanna continuava a massaggiarsi le mani. “Però so anche che devo approfittare di ogni momento libero perché le piante vanno curate, le foglie vanno raccolte altrimenti il terreno marcisce…”. Abbassò gli occhi sulle sue mani e sospirò. “Caspita quante cose ci sono da fare e quant’è bassa la terra! Mi do una ripulita e vengo”. Dopo poco si trovarono sedute nella cucina di Adriana così allegra, col legno chiaro, i cuscini, le tende e le tovaglie di un poetico lilla. “Chi ce l’avesse detto solo tre anni fa che ci saremmo appassionate alla coltivazione dei fiori. Io sto aspettando la fioritura delle peonie che quest’anno dovrebbero essere particolarmente rigogliose”. Adriana spalancò gli occhi scuotendo la testa e un ciuffo biondo le scese sulla fronte. “Dimmelo a me che sono cresciuta fra le pietre e che non avevo mai visto un fazzoletto di terra più grande delle aiuole dei Giardini Reali di Venezia”. Giovanna si strofinò i pantaloni che aveva indossato appena arrivata a casa. Un vecchio paio di pantaloni di lana grezza color verde militare che per i lavori in giardino andavano benissimo anche se pungevano un po’. Il maglione in tinta le stava un po’ grande; d’altra parte era un maglione che suo marito ormai 10 non metteva più perché era liso sui gomiti, ma che non riusciva a nascondere la sua bella figura piena, alta e slanciata e i capelli castani con inconfondibili riflessi rossastri. Guardando Adriana, piccolina e sottile, i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, pensò che le sarebbe piaciuto averla come sorella. Sempre tranquilla malgrado le corse che doveva fare tra il lavoro e i tre figli adolescenti, dava l’impressione di essere un guerriero travestito da ninfa gentile. E un guerriero lo era davvero, perché la sua casa sembrava muoversi, sotto la sua guida ferrea, come un orologio. Giovanna al contrario, magari perché aveva solo un figlio già grande secondo il suo metro, era molto meno rigorosa o almeno così sembrava. Certo non aveva organizzato il suo ménage con il piglio di un generale: semplicemente non ce n’era stato bisogno e probabilmente non le sarebbe nemmeno stato congeniale. Sandro, suo figlio, non le aveva mai dato grandi problemi salvo in un breve periodo tra gli otto e i dieci anni. Ormai era diventato un ragazzo e, a volte, le sembrava perfino più maturo della sua età. “Sai che pensavo oggi tornando a casa dall’ufficio?” chiese Adriana. “Pensavo a quella sera del trasloco, quando il gruppetto di queste case era ancora vuoto e ci siamo trovate tutte e due alle prese coi trasportatori che non sapevano dove mettere i mobili e ci siamo limitate a guardarci con curiosità correndo da una parte all’altra come pazze. Ho pensato, chissà se anche lei ha avuto il mio stesso innamoramento per questo posto”. “Sì” confermò Giovanna, “lì per lì mi ero ripromessa di presentarmi da persona civile, ma avevo una fretta terribile di sistemare tutto nel più breve tempo possibile perché mi avevano 11 concesso solo due giorni di ferie. E poi la storia della chiave scomparsa… “Non scomparsa” puntualizzò Adriana scuotendo la testa. “lasciata dentro casa…”. La storia della chiave perduta di Giovanna era immersa nello scenario reale di un improvviso e violentissimo temporale. Poche sere dopo il definitivo insediamento, Maurizio, il marito di Giovanna, era dovuto partire all’improvviso e Giovanna si era trovata davanti al cancello di casa assieme al figlio Sandro allora quindicenne, proprio mentre il temporale si stava scatenando. Cadevano i primi goccioloni, lei non trovava le chiavi. Si era anche accucciata davanti al cancello per rovesciare il contenuto della borsa a terra e controllare bene: non c’erano. Certo Sandro avrebbe potuto scavalcare il cancello ma non sarebbe mai riuscito ad aprire il portoncino e, tutte le finestre di casa erano accuratamente chiuse Non le era rimasto che bussare alla porta di Adriana per spiegarle che erano rimasti chiusi fuori, che il marito non ci sarebbe stato fino alla sera del giorno dopo e che non avrebbero saputo dove andare a dormire. Adriana aveva spalancato la porta e li aveva fatti entrare. “Non c’è problema” aveva detto. “Siamo tutti qui e il posto si trova”. È buffo come alcuni fatti realmente accaduti incontrino un tale favore da esser tirati fuori come il coniglio dal cappello di un prestigiatore, ogni volta che un oratore vuole colpire l’uditorio. Naturalmente, vengono anche arricchiti per strada di particolari affascinanti e magari anche un tantino caricati e, nei tre anni che erano trascorsi dall’evento, quel fatto era diventato una specie di leggenda. 12 Perfino Andrea e Filippo si erano divertiti a colorare variamente i racconti. Versione di Andrea: “Pioveva a dirotto. Mai visto uno scroscio così violento a Roma! La strada si stava trasformando velocemente in un rovinìo d’acqua. I fulmini si susseguivano scaricando lampi e tuoni spaventosi che tra l’altro, avevano provocato un black out decisamente sospetto”. Era vero che pioveva forte quella sera ma, d’altra parte, era la fine di ottobre. Anche i fulmini ci stavano, solo che la descrizione dello scenario apocalittico che ne avevano fatto i due gemelli, imbeccandosi vicendevolmente come due comici esperti, andava decisamente fuori dalle righe. Versione di Filippo: “I nuvoloni che si erano presentati avevano la forma di guance gonfie di rabbia e colori che variavano dal bianco argenteo quelli più alti, al grigio scuro dei nembi che scendevano bassi al punto che sembravano voler scoppiare sulle nostre case. E poi il buio totale salvo per i fulmini che deflagravano incombenti e minacciosi. Noi tutti qui dentro, con le candele accese nella speranza che prima o poi la luce avrebbe fatto felice ritorno”. “Certo che si sono anche divertiti” commentò Adriana sorridendo al ricordo. “Sandro forse un po’ di meno perché ad un certo punto mi ha guardato con un’aria di palese rimprovero. Però ha avuto il buon gusto di non dirmi niente” aggiunse Giovanna. Però il giorno dopo aveva preteso di avere una copia delle chiavi di casa da agganciarsi alla cintura dei pantaloni e lei aveva deciso di farne due copie e di lasciarne una anche ad Adriana. Giovanna, pur possedendo una mente ordinata, era decisamente meno rigorosa, probabilmente perché il suo ménage era 13 meno complicato di quello di Adriana e, oltre a tutto, aveva bisogno di tempi di adattamento più lunghi. La vita di campagna era diversa da quella di città. Nel suo vecchio appartamento di Roma, un mazzo di chiavi era stabilmente nelle mani del portiere, dato che la mattina, proiettata all’obiettivo “lavoro”, alla preparazione della merenda per Sandro e al suo accompagno a scuola, ogni tanto le dimenticava sullo svuota tasche che aveva messo in una mensola all’ingresso. Appena entrata al riparo, in casa di Adriana, aveva impiegato i primi minuti a scusarsi in tutti i modi possibili. Era davvero mortificata. Sandro invece aveva familiarizzato subito coi due gemelli di Adriana, Andrea e Filippo, che avendo solo otto mesi meno di lui erano praticamente coetanei e, anche se in modo diverso, con la loro sorella Monica, maggiore di appena un anno che lui catalogò subito come “splendida”. Nino il marito di Adriana, un omone gigantesco con una faccia sempre sorridente e due mani spropositate, si era offerto di cucinare per tutti una sua specialità. E dopo cena, mentre i ragazzi stavano di sopra a sentire musica, ascoltare la televisione e fare qualche altra cosa tutto contemporaneamente, seduti nel bel salotto rosa antico di Adriana, si erano raccontati come fossero approdati in piena campagna per scappare da “quella prigione di lusso che è diventata ogni grande città” aveva detto Nino. “Non voglio idealizzare il paese” aveva aggiunto Nino, “ma certo, mi ero stancato dell’aggressività che il traffico cittadino sviluppa nelle persone più insospettabili. Mi sono trovato un pomeriggio davanti a due donne che stavano litigando come due scaricatori di porto per una precedenza non rispettata. Due 14 belle signore, ben vestite che per una distrazione stavano bloccando il traffico. Molti automobilisti si erano spazientiti e si erano messi a suonare il clacson e le due litiganti si erano scatenate. Non voglio fare la predica, capita a tutti di perdere la pazienza, ma certo mi stavo rendendo conto che ogni giorno andava peggio. Me ne voglio andare con la mia famiglia da questo inferno, ho pensato. E così siamo arrivati qui”. “Tra l’altro siamo stati fortunati” aveva detto Adriana, “anche i nostri vicini sono persone molto tranquille”. “È la sistemazione delle case” aveva aggiunto Giovanna. Non c’è l’affollamento verticale. Qui c’è un gruppetto di case accostate a due a due, vicine ma non incombenti e non hai paura di tirare lo sciacquone la notte e di svegliare il tuo vicino e di mandarlo in bestia”. Poi Adriana e Nino avevano sistemato i due divani del salotto come letti di fortuna e Giovanna e Sandro si erano addormentati presto, come se si fossero trovati nel loro letto. “Non mi sono mai pentita della scelta” disse Giovanna mettendo le tazzine nel lavandino. Dentro di me sono sicura che le città si svuoteranno poco a poco e non solo alla ricerca di aria pura da respirare ma anche perché ormai, non è più tanto importante, e lo sarà sempre di meno, il posto in cui stai. Molte persone lavorano da casa e lo fanno da molto tempo. Si muovono lo stretto indispensabile. Con i computer, le reti e quant’altro, si riescono a fare molte cose anche stando fermi in un posto qualsiasi. Mio marito deve ancora girare, ma penso che in un futuro non molto lontano, le cose cambieranno e anche il problema del traffico diminuirà. Non tutti dovremo uscire alla stessa ora, tornare alla stessa ora, andare nella stessa direzione, uno in fila all’altro come soldatini. Già quando i no15 stri figli saranno grandi le cose cambieranno e si potrà abitare dovunque uno si sentirà a proprio agio”. “Ho idea che quel tempo non sarà a portata di mano per un bel po’ ancora” commentò Adriana. “Ma credo anch’io che le cose prenderanno questa direzione”. Poi si alzò e disse all’amica; “Lo sai che oggi rientrando ho rivisto l’upupa che l’altro giorno mi è venuta davanti alla finestra?”. “Non metterti a parlare con gli uccellini altrimenti mi preoccupo” rispose Giovanna. “Devo ricordarmi di comprare quei cestini coi semi di girasole da sistemare sul leccio che ho davanti all’ingresso. Non sai quanto mi piace guardarli. Sono miracoli della natura”. Adriana si avvicinò alla porta-finestra della cucina e sentì arrivare la macchina di suo marito che rientrava. “Vado a mettere la cena in tavola” disse a Giovanna “altrimenti mio marito chiede il divorzio. Quando rincasa è regolarmente affamato e i ragazzi non lo sono da meno!”. “Vado anche io” mormorò Giovanna, “stasera voglio fare una torta rustica e ho già acceso il forno. Ci metterò poco e in genere piace a tutti”. 16 Qualche giorno dopo, di ritorno da scuola “Se doveste scappare” chiese Sandro all’improvviso voltandosi verso il gruppo dei compagni che rumoreggiava alle sue spalle, “dove andreste?”. La radio dello scuolabus stava trasmettendo uno dei tanti notiziari, un elenco di tragedie che, susseguendosi con poche varianti giorno dopo giorno, finivano con l’esser ascoltati ormai con mezz’orecchio come fastidiosi brusii di insetto. Nessuno dei compagni gli rispose, anche perché il chiasso era tale che probabilmente la notizia l’aveva intesa solo lui che stava a poca distanza dalla radio. Il ragazzo che gli sedeva vicino aveva tra le mani un cellulare luccicante, evidentemente una recentissima conquista, per cui sollevò a malapena il naso. “Chi è che deve scappare?” chiese senza particolare interesse. Sandro gli ripeté la domanda e questa volta il ragazzo parve blandamente interessato. “Mah, se dovessi scappare andrei in montagna, mi cercherei una grotta e me ne starei buono buono. Ma perché dovrei scappare?”. Sandro non rispose, tanto era inutile. Il bus era una specie di mostro in fermento con mani, voci, sciarpe colorate che vola17 vano come stelle filanti e nel vivace ensemble, il mormorio del notiziario si era perso completamente. Alla fermata accanto al benzinaio, scesero entrambi, ciascuno con lo sguardo perdutamente agganciato al piccolo schermo, la mente avvinta nei colloqui solitari coi protoplasmi cellulari, appena attenti a non mancare gli scalini. La strada era obbligata nella prima parte ma poco dopo si divideva in tre rami irregolari. Assieme a Sandro scese un gruppetto di ragazzi e ragazze che si sparpagliarono con saluti scoppiettanti fra le stradine che costeggiavano le abitazioni. Sandro avrebbe tirato dritto fino alla piccola rientranza dentro la quale la sua casa si adagiava in un tripudio di verde e marrone. Ancora non c’erano fiori ma mancava poco, qualche giorno ancora e poi sarebbe esploso il marzo colorato. Camminò con passi lenti, alto e dinoccolato com’era, fino al cancello di casa, poi estrasse dalla tasca dei pantaloni le due chiavi che teneva agganciate con una catenella alla cintura, aprì il cancello e, finalmente, la porta di casa. Non c’era nessuno, ma era la regola. Sua madre sarebbe arrivata entro un paio d’ore e suo padre un po’ più tardi. Aveva dovuto imparare presto ad organizzarsi da solo e siccome questo avveniva da quando aveva poco più di dodici anni, si riteneva ormai adulto e vaccinato. In fondo era anche orgoglioso della sua indipendenza. Posò lo zaino su una sedia della cucina e cominciò ad armeggiare con le tazze della colazione che erano ancora sul tavolo, esattamente com’erano state lasciate. La mattina a casa sua c’era una specie di corsa ai vestiti, al caffè, al latte e alle macchine o al pullman. 18 Fece sparire tutto nella lavastoviglie e accese il bollitore. Prepararsi una specie di broda calda al caffè era il rito di benvenuto a casa. Cominciò a tirar fuori i libri e i quaderni e su un foglio di carta tracciò uno schema approssimativo delle materie dell’indomani e dei compiti da fare. Si era abituato a prepararlo fin da piccolo, gli sembrava che predisponendo una vera e propria tabella di marcia, per il solo fatto di aver iscritto in una serie di caselle i compiti da fare per il giorno seguente e per giunta in ordine di esecuzione, gli sarebbe stato molto più facile concentrarsi e far fronte a tutti gli impegni senza perdite di tempo. Era almeno buffo che a nemmeno diciott’anni si sentisse “adulto” ma, rispetto alla media dei suoi coetanei, era molto più maturo; qualche amico gli dava impunemente del “vecchio” ma non se ne aveva a male. Il numero degli anni era più meno lo stesso di quello di Giorgio o di Andrea e Filippo, ma era come se gli anni che aveva fossero uguali come numero a quelli della maggior parte dei suoi compagni, ma non nella sostanza o nella intensità delle esperienze. I suoi interessi erano più vari, comprendevano “anche” quelli dei suoi compagni per video, chat, gruppi, per quei granelli di insensatezza che erano le frasi che comparivano a ritmi scoppiettanti sullo schermo del suo cellulare, quasi per magia. E poi c’era quella che i suoi amici definivano “la passione smodata per i notiziari” che era però una sconfinata curiosità per tutto quanto avveniva nel mondo. Da quando aveva dodici anni ascoltava regolarmente le informazioni da fonti diverse nella radicata convinzione, peraltro comune anche a sua madre e a suo padre, che “la verità non sta mai da una parte sola”. 19