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Anna Lucchiari
LE STELLE
DENTRO DI NOI
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Un pomeriggio di febbraio
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Qualche giorno dopo, di ritorno da scuola
17
Le sorprese di un fine settimana
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Tre ragazzi con le idee chiare
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Le preoccupazioni di una Stella
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Sulla Liberty
53
Una riunione importante
61
L’Accademia dei Concreti e l’Alfabetomorfismo
69
Le sorprese di un sabato pomeriggio
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Miracoli del web
85
Il MOMA
91
Una pausa per tirare il fiato
95
Le sorprese della laguna
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Una cena speciale
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Altre trasformazioni
119
Illuminazioni da lontano
131
Per sempre Liberty
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Un pomeriggio di febbraio
L’aria era piuttosto fresca, ma fin dal mattino c’era stato un
bel sole che aveva accarezzato con infinita delicatezza i pochi
fili d’erba che si erano salvati dall’inverno, aveva acceso il bruno dei rami spogli degli alberi e, su quei percorsi contorti, piano
piano si era rafforzato in una specie di promessa di primavera.
Quella mattina Giovanna era uscita leggermente in ritardo
sicchè era riuscita a godere di quella prima carezza e quando il
sole le aveva sfiorato la pelle, aveva compreso che il messaggio
si sarebbe rafforzato di giorno in giorno.
Aveva raggiunto il centro di Roma, dove lavorava, con una
certa lentezza, cercando di non disperdere nei rumori del traffico la pace che le aveva trasmesso il tranquillo risveglio della
campagna romana.
La giornata era stata quasi distensiva dopo il terribile periodo durato oltre un mese, nel quale aveva proceduto a tappe forzate per le chiusure di fine anno. Aveva bisogno di recuperare,
come peraltro tutto il personale del centro. Lei aveva bisogno
di tornare ad uscire ad orari umani, col sole ancora alto nel
cielo per dedicarsi un po’ di più alla casa, al figlio Sandro e al
marito Maurizio.
Non avrebbe saputo dire quanto lui temesse le chiusure di
fine anno, dato che il suo lavoro lo portava fuori città almeno
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due o tre giorni alla settimana. Magari non aveva nemmeno
sentito quanto le pesasse non poter fare ritorno ad un’ora ragionevole o forse era troppo comprensivo per farglielo pesare.
Maurizio sapeva quanta passione mettesse nel suo lavoro.
Giovanna lavorava in una grande società di indagini statistiche e nel medesimo settore erano stati impiegati anche vari
membri della sua famiglia: forse non era più entusiasmante
come all’inizio, ma le sembrava, in ogni modo, l’unico sistema valido per riuscire a scoprire qualche costante e quindi
rendere meno incomprensibili alcuni fenomeni demografici
ed economici.
Decisamente le piaceva e usciva sempre di buona voglia la
mattina, talvolta con suo marito, talvolta col figlio Sandro quando perdeva il pullman del comune che raccoglieva gli studenti
e li trasportava nelle varie sedi scolastiche. Il mezzo comunale
passava alle sette meno un quarto perché il giro di raccolta e
redistribuzione degli studenti era piuttosto lungo. Ma era una
grande comodità e anche un segno dell’attenzione del comune
alle necessità dei cittadini.
I ragazzi all’inizio si erano ribellati all’orario, ma poco a
poco si erano abituati. Avevano avuto il permesso di mangiare
in pullman perché molti di loro scappavano ancora assonnati,
letteralmente sospinti dalle madri, almeno i più piccoli, dagli
usci, dai portoni e dai cancelli.
Sandro e i suoi compagni di scuola erano ormai grandi ma
talvolta capitava che mancassero l’incontro antelucano e in
quel caso i rispettivi genitori dovevano farsi carico degli accompagni.
Giovanna ricordava quando all’inizio del servizio, riusciva
a raccoglier per strada fino a sei ragazzi che avevano mancato
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l’appuntamento. Mano a mano però, i ragazzi grandi e piccoli
si erano abituati. Sveglia alle sei per tutti e fin dal principio.
Arrivata all’ora di rientrare, aveva percorso con una certa
ansia la strada di casa: a volte il traffico era inesistente, a volte
la costringeva a percorrere alcuni tratti a passo di lumaca.
Come quel giorno che aveva voglia di sbrigarsi e invece si
era trovata a causa di un incidente a doversi mettere in coda per
oltrepassare una strettoia presidiata dalla polizia stradale.
Aveva pensato di dedicare le prime cure al giardino che durante i mesi freddi viene lasciato riposare in pace, perché le
sembrava il momento giusto per sollecitare il buon risveglio
delle piccole aiole che aveva ricavato davanti e dietro casa.
Così quel giorno, appena arrivata, si cambiò velocemente,
tirò fuori gli attrezzi dal capanno del giardino e si mise di buona voglia a dar aria alle radici delle piante. Avendo preparato
già la sera prima un beverone fertilizzante, ogni volta che completava lo scavo attorno alle piante, vi lasciava cadere una dose
dell’intruglio nutriente.
Era così intenta a quell’operazione che sapeva indispensabile, che non si rese nemmeno conto né del passare del tempo né
del fatto che dal giardino contiguo venivano analoghi rumori.
Si tirò su solo quando la luce stava ormai calando e solo
allora si rese conto di avere le mani intirizzite.
Cercò di inarcare la schiena e cominciò anche ad articolare e
a massaggiare i polsi e le mani provate da quel lavoro faticoso
e solo allora si accorse che dal cancelletto sbucava la faccia
sorridente di Adriana.
Il cancelletto di ferro battuto che avevano montato circa
alla metà della siepe divisoria, era stato considerato da entrambe le famiglie una via di salvezza o una via di fuga ma
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anche un modo per sottolineare l’amicizia che era sorta spontanea tra loro.
“Credo che ci siamo dedicate allo stesso lavoro” le disse
Adriana ridendo,“nemmeno ci fossimo date appuntamento. Ma
adesso che sta facendo buio, pensi che ce la meritiamo una tazza di the caldo e qualche biscottino?”.
“Effettivamente stavo già decidendo di smettere” Giovanna
continuava a massaggiarsi le mani. “Però so anche che devo
approfittare di ogni momento libero perché le piante vanno curate, le foglie vanno raccolte altrimenti il terreno marcisce…”.
Abbassò gli occhi sulle sue mani e sospirò. “Caspita quante
cose ci sono da fare e quant’è bassa la terra! Mi do una ripulita
e vengo”.
Dopo poco si trovarono sedute nella cucina di Adriana così
allegra, col legno chiaro, i cuscini, le tende e le tovaglie di un
poetico lilla.
“Chi ce l’avesse detto solo tre anni fa che ci saremmo appassionate alla coltivazione dei fiori. Io sto aspettando la fioritura
delle peonie che quest’anno dovrebbero essere particolarmente
rigogliose”.
Adriana spalancò gli occhi scuotendo la testa e un ciuffo
biondo le scese sulla fronte.
“Dimmelo a me che sono cresciuta fra le pietre e che non
avevo mai visto un fazzoletto di terra più grande delle aiuole
dei Giardini Reali di Venezia”.
Giovanna si strofinò i pantaloni che aveva indossato appena
arrivata a casa. Un vecchio paio di pantaloni di lana grezza color verde militare che per i lavori in giardino andavano benissimo anche se pungevano un po’. Il maglione in tinta le stava un
po’ grande; d’altra parte era un maglione che suo marito ormai
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non metteva più perché era liso sui gomiti, ma che non riusciva
a nascondere la sua bella figura piena, alta e slanciata e i capelli
castani con inconfondibili riflessi rossastri.
Guardando Adriana, piccolina e sottile, i suoi capelli biondi
e gli occhi azzurri, pensò che le sarebbe piaciuto averla come
sorella. Sempre tranquilla malgrado le corse che doveva fare
tra il lavoro e i tre figli adolescenti, dava l’impressione di essere un guerriero travestito da ninfa gentile. E un guerriero lo
era davvero, perché la sua casa sembrava muoversi, sotto la sua
guida ferrea, come un orologio.
Giovanna al contrario, magari perché aveva solo un figlio
già grande secondo il suo metro, era molto meno rigorosa o
almeno così sembrava. Certo non aveva organizzato il suo
ménage con il piglio di un generale: semplicemente non ce
n’era stato bisogno e probabilmente non le sarebbe nemmeno
stato congeniale. Sandro, suo figlio, non le aveva mai dato
grandi problemi salvo in un breve periodo tra gli otto e i dieci
anni. Ormai era diventato un ragazzo e, a volte, le sembrava
perfino più maturo della sua età.
“Sai che pensavo oggi tornando a casa dall’ufficio?” chiese
Adriana.
“Pensavo a quella sera del trasloco, quando il gruppetto di
queste case era ancora vuoto e ci siamo trovate tutte e due alle
prese coi trasportatori che non sapevano dove mettere i mobili
e ci siamo limitate a guardarci con curiosità correndo da una
parte all’altra come pazze. Ho pensato, chissà se anche lei ha
avuto il mio stesso innamoramento per questo posto”.
“Sì” confermò Giovanna, “lì per lì mi ero ripromessa di presentarmi da persona civile, ma avevo una fretta terribile di sistemare tutto nel più breve tempo possibile perché mi avevano
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concesso solo due giorni di ferie. E poi la storia della chiave
scomparsa…
“Non scomparsa” puntualizzò Adriana scuotendo la testa.
“lasciata dentro casa…”.
La storia della chiave perduta di Giovanna era immersa nello
scenario reale di un improvviso e violentissimo temporale. Poche sere dopo il definitivo insediamento, Maurizio, il marito di
Giovanna, era dovuto partire all’improvviso e Giovanna si era
trovata davanti al cancello di casa assieme al figlio Sandro allora
quindicenne, proprio mentre il temporale si stava scatenando.
Cadevano i primi goccioloni, lei non trovava le chiavi. Si era
anche accucciata davanti al cancello per rovesciare il contenuto
della borsa a terra e controllare bene: non c’erano. Certo Sandro avrebbe potuto scavalcare il cancello ma non sarebbe mai
riuscito ad aprire il portoncino e, tutte le finestre di casa erano
accuratamente chiuse
Non le era rimasto che bussare alla porta di Adriana per
spiegarle che erano rimasti chiusi fuori, che il marito non ci
sarebbe stato fino alla sera del giorno dopo e che non avrebbero
saputo dove andare a dormire.
Adriana aveva spalancato la porta e li aveva fatti entrare.
“Non c’è problema” aveva detto. “Siamo tutti qui e il posto
si trova”.
È buffo come alcuni fatti realmente accaduti incontrino un
tale favore da esser tirati fuori come il coniglio dal cappello di
un prestigiatore, ogni volta che un oratore vuole colpire l’uditorio. Naturalmente, vengono anche arricchiti per strada di
particolari affascinanti e magari anche un tantino caricati e, nei
tre anni che erano trascorsi dall’evento, quel fatto era diventato
una specie di leggenda.
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Perfino Andrea e Filippo si erano divertiti a colorare variamente i racconti.
Versione di Andrea: “Pioveva a dirotto. Mai visto uno scroscio così violento a Roma! La strada si stava trasformando
velocemente in un rovinìo d’acqua. I fulmini si susseguivano
scaricando lampi e tuoni spaventosi che tra l’altro, avevano
provocato un black out decisamente sospetto”.
Era vero che pioveva forte quella sera ma, d’altra parte,
era la fine di ottobre. Anche i fulmini ci stavano, solo che la
descrizione dello scenario apocalittico che ne avevano fatto i
due gemelli, imbeccandosi vicendevolmente come due comici
esperti, andava decisamente fuori dalle righe.
Versione di Filippo: “I nuvoloni che si erano presentati avevano la forma di guance gonfie di rabbia e colori che variavano
dal bianco argenteo quelli più alti, al grigio scuro dei nembi
che scendevano bassi al punto che sembravano voler scoppiare
sulle nostre case. E poi il buio totale salvo per i fulmini che
deflagravano incombenti e minacciosi. Noi tutti qui dentro, con
le candele accese nella speranza che prima o poi la luce avrebbe fatto felice ritorno”.
“Certo che si sono anche divertiti” commentò Adriana sorridendo al ricordo.
“Sandro forse un po’ di meno perché ad un certo punto mi
ha guardato con un’aria di palese rimprovero. Però ha avuto il
buon gusto di non dirmi niente” aggiunse Giovanna.
Però il giorno dopo aveva preteso di avere una copia delle
chiavi di casa da agganciarsi alla cintura dei pantaloni e lei aveva
deciso di farne due copie e di lasciarne una anche ad Adriana.
Giovanna, pur possedendo una mente ordinata, era decisamente meno rigorosa, probabilmente perché il suo ménage era
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meno complicato di quello di Adriana e, oltre a tutto, aveva bisogno di tempi di adattamento più lunghi. La vita di campagna
era diversa da quella di città. Nel suo vecchio appartamento di
Roma, un mazzo di chiavi era stabilmente nelle mani del portiere, dato che la mattina, proiettata all’obiettivo “lavoro”, alla
preparazione della merenda per Sandro e al suo accompagno a
scuola, ogni tanto le dimenticava sullo svuota tasche che aveva
messo in una mensola all’ingresso.
Appena entrata al riparo, in casa di Adriana, aveva impiegato i primi minuti a scusarsi in tutti i modi possibili. Era davvero
mortificata.
Sandro invece aveva familiarizzato subito coi due gemelli
di Adriana, Andrea e Filippo, che avendo solo otto mesi meno
di lui erano praticamente coetanei e, anche se in modo diverso,
con la loro sorella Monica, maggiore di appena un anno che lui
catalogò subito come “splendida”.
Nino il marito di Adriana, un omone gigantesco con una faccia sempre sorridente e due mani spropositate, si era offerto di
cucinare per tutti una sua specialità.
E dopo cena, mentre i ragazzi stavano di sopra a sentire musica, ascoltare la televisione e fare qualche altra cosa tutto contemporaneamente, seduti nel bel salotto rosa antico di Adriana,
si erano raccontati come fossero approdati in piena campagna
per scappare da “quella prigione di lusso che è diventata ogni
grande città” aveva detto Nino.
“Non voglio idealizzare il paese” aveva aggiunto Nino, “ma
certo, mi ero stancato dell’aggressività che il traffico cittadino
sviluppa nelle persone più insospettabili. Mi sono trovato un
pomeriggio davanti a due donne che stavano litigando come
due scaricatori di porto per una precedenza non rispettata. Due
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belle signore, ben vestite che per una distrazione stavano bloccando il traffico. Molti automobilisti si erano spazientiti e si
erano messi a suonare il clacson e le due litiganti si erano scatenate. Non voglio fare la predica, capita a tutti di perdere la
pazienza, ma certo mi stavo rendendo conto che ogni giorno
andava peggio. Me ne voglio andare con la mia famiglia da
questo inferno, ho pensato. E così siamo arrivati qui”.
“Tra l’altro siamo stati fortunati” aveva detto Adriana, “anche i nostri vicini sono persone molto tranquille”.
“È la sistemazione delle case” aveva aggiunto Giovanna.
Non c’è l’affollamento verticale. Qui c’è un gruppetto di case
accostate a due a due, vicine ma non incombenti e non hai paura di tirare lo sciacquone la notte e di svegliare il tuo vicino e
di mandarlo in bestia”.
Poi Adriana e Nino avevano sistemato i due divani del salotto come letti di fortuna e Giovanna e Sandro si erano addormentati presto, come se si fossero trovati nel loro letto.
“Non mi sono mai pentita della scelta” disse Giovanna mettendo le tazzine nel lavandino. Dentro di me sono sicura che
le città si svuoteranno poco a poco e non solo alla ricerca di
aria pura da respirare ma anche perché ormai, non è più tanto importante, e lo sarà sempre di meno, il posto in cui stai.
Molte persone lavorano da casa e lo fanno da molto tempo.
Si muovono lo stretto indispensabile. Con i computer, le reti
e quant’altro, si riescono a fare molte cose anche stando fermi
in un posto qualsiasi. Mio marito deve ancora girare, ma penso che in un futuro non molto lontano, le cose cambieranno e
anche il problema del traffico diminuirà. Non tutti dovremo
uscire alla stessa ora, tornare alla stessa ora, andare nella stessa
direzione, uno in fila all’altro come soldatini. Già quando i no15
stri figli saranno grandi le cose cambieranno e si potrà abitare
dovunque uno si sentirà a proprio agio”.
“Ho idea che quel tempo non sarà a portata di mano per un
bel po’ ancora” commentò Adriana. “Ma credo anch’io che le
cose prenderanno questa direzione”.
Poi si alzò e disse all’amica; “Lo sai che oggi rientrando
ho rivisto l’upupa che l’altro giorno mi è venuta davanti alla
finestra?”.
“Non metterti a parlare con gli uccellini altrimenti mi preoccupo” rispose Giovanna.
“Devo ricordarmi di comprare quei cestini coi semi di girasole da sistemare sul leccio che ho davanti all’ingresso. Non
sai quanto mi piace guardarli. Sono miracoli della natura”.
Adriana si avvicinò alla porta-finestra della cucina e sentì
arrivare la macchina di suo marito che rientrava.
“Vado a mettere la cena in tavola” disse a Giovanna “altrimenti mio marito chiede il divorzio. Quando rincasa è regolarmente affamato e i ragazzi non lo sono da meno!”.
“Vado anche io” mormorò Giovanna, “stasera voglio fare
una torta rustica e ho già acceso il forno. Ci metterò poco e in
genere piace a tutti”.
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Qualche giorno dopo,
di ritorno da scuola
“Se doveste scappare” chiese Sandro all’improvviso voltandosi verso il gruppo dei compagni che rumoreggiava alle sue
spalle, “dove andreste?”.
La radio dello scuolabus stava trasmettendo uno dei tanti
notiziari, un elenco di tragedie che, susseguendosi con poche
varianti giorno dopo giorno, finivano con l’esser ascoltati ormai con mezz’orecchio come fastidiosi brusii di insetto.
Nessuno dei compagni gli rispose, anche perché il chiasso
era tale che probabilmente la notizia l’aveva intesa solo lui che
stava a poca distanza dalla radio.
Il ragazzo che gli sedeva vicino aveva tra le mani un cellulare luccicante, evidentemente una recentissima conquista, per
cui sollevò a malapena il naso.
“Chi è che deve scappare?” chiese senza particolare interesse.
Sandro gli ripeté la domanda e questa volta il ragazzo parve
blandamente interessato.
“Mah, se dovessi scappare andrei in montagna, mi cercherei una grotta e me ne starei buono buono. Ma perché dovrei
scappare?”.
Sandro non rispose, tanto era inutile. Il bus era una specie di
mostro in fermento con mani, voci, sciarpe colorate che vola17
vano come stelle filanti e nel vivace ensemble, il mormorio del
notiziario si era perso completamente.
Alla fermata accanto al benzinaio, scesero entrambi, ciascuno con lo sguardo perdutamente agganciato al piccolo schermo, la mente avvinta nei colloqui solitari coi protoplasmi cellulari, appena attenti a non mancare gli scalini. La strada era
obbligata nella prima parte ma poco dopo si divideva in tre
rami irregolari.
Assieme a Sandro scese un gruppetto di ragazzi e ragazze
che si sparpagliarono con saluti scoppiettanti fra le stradine che
costeggiavano le abitazioni.
Sandro avrebbe tirato dritto fino alla piccola rientranza dentro la quale la sua casa si adagiava in un tripudio di verde e
marrone. Ancora non c’erano fiori ma mancava poco, qualche
giorno ancora e poi sarebbe esploso il marzo colorato.
Camminò con passi lenti, alto e dinoccolato com’era, fino
al cancello di casa, poi estrasse dalla tasca dei pantaloni le due
chiavi che teneva agganciate con una catenella alla cintura, aprì
il cancello e, finalmente, la porta di casa.
Non c’era nessuno, ma era la regola. Sua madre sarebbe arrivata entro un paio d’ore e suo padre un po’ più tardi. Aveva dovuto imparare presto ad organizzarsi da solo e siccome questo
avveniva da quando aveva poco più di dodici anni, si riteneva
ormai adulto e vaccinato.
In fondo era anche orgoglioso della sua indipendenza.
Posò lo zaino su una sedia della cucina e cominciò ad armeggiare con le tazze della colazione che erano ancora sul tavolo, esattamente com’erano state lasciate. La mattina a casa
sua c’era una specie di corsa ai vestiti, al caffè, al latte e alle
macchine o al pullman.
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Fece sparire tutto nella lavastoviglie e accese il bollitore.
Prepararsi una specie di broda calda al caffè era il rito di benvenuto a casa.
Cominciò a tirar fuori i libri e i quaderni e su un foglio di
carta tracciò uno schema approssimativo delle materie dell’indomani e dei compiti da fare. Si era abituato a prepararlo fin
da piccolo, gli sembrava che predisponendo una vera e propria
tabella di marcia, per il solo fatto di aver iscritto in una serie
di caselle i compiti da fare per il giorno seguente e per giunta
in ordine di esecuzione, gli sarebbe stato molto più facile concentrarsi e far fronte a tutti gli impegni senza perdite di tempo.
Era almeno buffo che a nemmeno diciott’anni si sentisse
“adulto” ma, rispetto alla media dei suoi coetanei, era molto
più maturo; qualche amico gli dava impunemente del “vecchio” ma non se ne aveva a male. Il numero degli anni era più
meno lo stesso di quello di Giorgio o di Andrea e Filippo, ma
era come se gli anni che aveva fossero uguali come numero
a quelli della maggior parte dei suoi compagni, ma non nella
sostanza o nella intensità delle esperienze.
I suoi interessi erano più vari, comprendevano “anche” quelli dei suoi compagni per video, chat, gruppi, per quei granelli di
insensatezza che erano le frasi che comparivano a ritmi scoppiettanti sullo schermo del suo cellulare, quasi per magia.
E poi c’era quella che i suoi amici definivano “la passione
smodata per i notiziari” che era però una sconfinata curiosità per tutto quanto avveniva nel mondo. Da quando aveva
dodici anni ascoltava regolarmente le informazioni da fonti
diverse nella radicata convinzione, peraltro comune anche a
sua madre e a suo padre, che “la verità non sta mai da una
parte sola”.
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