Prefazione

Transcript

Prefazione
Prefazione
Nel mondo gli esseri umani sono attori e spettatori allo stesso tempo. Attori in quanto
interagiscono sempre fra di loro e con l’ ambiente, sono sempre alla ricerca di qualche
cosa che appaghi il loro spirito. Ma il successo delle loro performance come attori
dipende dalla capacità di essere spettatori, di raccogliere nel minor tempo possibile il
maggior numero di informazioni utili a loro stessi.
Se gli esseri umani sono attori perché hanno a disposizione una grande quantità di
azioni comandate e guidate da decisioni autonome e volontarie, il loro essere spettatori
dipende dal fatto che possiedono una serie di apparati sensoriali che interagiscono
involontariamente con l’ambiente stesso e con gli altri esseri viventi: non possiamo
decidere di non vedere a meno che non chiudiamo gli occhi, ma anche in questo caso
avremmo deciso di non guardare ma non di non percepire la situazione in cui siamo
immersi. Basta un rumore, un odore per richiamare nella mente il concetto di ciò che ci
sta vicino. Dalla percezione inizia il processo della nostra conoscenza. Le motivazioni
logiche che ci spingono a memorizzare determinate forme piuttosto che altre dipendono
semplicemente dai nostri interessi personali. Spesso però i nostri sensi possono essere
ingannati con estrema facilità, soprattutto la vista; tutto ciò che vediamo e percepiamo,
come forma compiuta è semplicemente frutto di una elaborazione intellettiva
involontaria che diventa intelligenza collettiva e univoca per gruppi di individui inserite
in una stessa società. Tutti noi trasciniamo un bagaglio di informazioni personali che
cresce e si arricchisce grazie alle esperienze che viviamo durante il corso della nostra
esistenza.
Lo scopo della tesi è chiarire, nel modo più semplice possibile, attraverso lo studio dei
meccanismi della visione come possono insorgere quei particolari fenomeni noti come
illusioni ottiche.
La questione “come vediamo?” può essere affrontata da molti punti di vista; nelle
pagine che seguiranno cercherò di spiegare in modo molto semplice, procedendo per
piccoli passi, i meccanismi che regolano la visione (occhio) e l’elaborazione mentale
1
Prefazione
che il cervello inconsapevolmente svolge per immagazzinare e percepire tutto ciò che ci
circonda. Proprio in questa fase il nostro cervello a volte ci inganna fino a farci
percepire qualcosa di irreale. Le illusioni ottiche sono sempre presenti nella vita
quotidiana di ogni essere umano. Vi sono differenti e numerose tipologie d’illusioni
ottiche: alcune sono causate da disfunzioni fisiologiche del sistema nervoso; altre,
piuttosto diverse dalle prime, sono simili alle risposte errate in scienza, causate da
assunti impropri e conoscenze inadeguate. Di seguito illustrerò e spiegherò i
meccanismi che generano illusioni ottiche in soggetti sani privi di qualsiasi difetto fisico
o psichico.
I fenomeni d’illusione ottica rappresentano il tema centrale della tesi: classificherò i
fenomeni visivi in base alle modalità del loro apparire ed alla concordanza con le
relative spiegazioni teoriche.
Proprio negli ultimi anni gli studi della percezione visiva sono diventati molto
importanti, grazie all’impulso che ha dato la computer grafica. Al testo verrà allegato un
progetto multimediale che farà comprendere meglio al lettore tali fenomeni e accennerà
alle prospettive future.
2
1
Luce, occhio e cervello
1.1 Meccanismo della visione
Il primo concetto fondamentale che bisogna comprendere è che l’occhio è un semplice
strumento ottico per mezzo del quale, pervengano informazioni al cervello, che
rappresenta il vero motore della comprensione. Non vi è nulla di più vicino alle nostre
intime esperienze, eppure il cervello è una degli apparati più sconosciuti e misteriosi del
nostro corpo, paragonabile alle stelle che stanno a milione di anni luce da noi.
Ogni volta che i nostri occhi si posano su luci, forme, colori il nostro cervello formula
concetti che ci permettono di comprendere il meccanismo e la funzione di ogni cosa.
Ma com’è possibile tutto ciò? Com’è possibile che figure astratte, forme irregolari si
trasformino in oggetti; quegli oggetti presenti in ogni istante nella nostra vita
quotidiana?
Da sempre l’uomo ha cercato una risposta a tali domande. Nell’antica Grecia i filosofi
ipotizzarono che la luce fuoriuscisse dai nostri occhi fino a toccare gli oggetti allo scopo
di “tastare” la realtà e formare un concetto compiuto delle cose osservate. Questa idea è
stata ritenuta veritiera per molti secoli fino al diciassettesimo secolo quando finalmente
si capì che non sono i nostri occhi ad emanare luce ma, al contrario, essi catturano la
luce dall’esterno e la rimandano al cervello, tramite minuscoli impulsi elettrochimici,
che la elabora e crea dei concetti compiuti di ciò che si osserva.
“Per assumere un significato questi segnali devono essere letti in base a regole e a
conoscenze acquisite. In una parola, ciò che vediamo può essere assai differente da ciò
che conosciamo” o in cui crediamo. Il cervello da un grosso valore aggiunto a ciò che
restituiscono i nostri occhi, fa si che noi comprendiamo ciò che si osserva. La
percezione di un oggetto è molto più ricca di una qualsiasi immagine che si forma negli
occhi, il valore aggiunto che la rende concetto non può che derivare da un processo
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag 10
Manfredo Massironi, Fenomenologia della percezione visiva, Bologna, Mulino,1998. pag. 22
3
Meccanismo della visione
cerebrale molto sofisticato che fa riferimento alle esperienze acquisite in passato per
formalizzare il presente e che, se servirà, sarà utilizzato in futuro.
1.2 Luce
La luce ci permette di vedere. Questa può apparire un’affermazione ovvia sulla quale
non valga la pena soffermarsi; ma tale non sarebbe apparsa in altri tempi.
Abbiamo scoperto l’importanza della luce per la visione, solo negli ultimi secoli
dell’umanità.
Perché il buio ci fa paura? Non semplicemente perché al buio non si vede niente, ma
perché quel non veder niente non significa che non c’è niente da vedere. Il buio genera
insicurezza e paura, dentro ad esso possono esserci innumerevoli cose ma mancano le
condizioni per percepirle, manca la luce.
Ma cos’è la luce? Dando una risposta di carattere puramente fisico possiamo dire che la
luce è un tipo di energia che si diffonde nell’ambiente, che viene riflessa dalle superfici
che incontra innescando un processo neurale alla fine del quale avviene il rendimento
percettivo. Ma ciò che ho detto non basta, non è così semplice dare una risposta ad una
tale domanda. Negli ultimi tre secoli sono stati molti gli scienziati che hanno tentato di
fornire una definizione di tale fenomeno. Il primo fu Isaac Newton (1642-1727),
riteneva che la luce fosse costituita da un flusso di particelle; mentre il filosofo olandese
Christiaan Huygens (1629-1695) sosteneva che gli impulsi luminosi si diffondessero
attraverso un mezzo impercettibile, l’etere, concepito sotto forme di sfere plastiche in
contatto fra loro: qualunque movimento o perturbazione sarebbe stata trasmessa dalle
sfere, accostate l’una alle altre, in qualsiasi direzione sotto forma di un’onda che è
costituita dai raggi di luce. Sono state tante le polemiche tra gli studiosi, l’intento
principale sicuramente è stato quello di definire la velocità della luce stessa. La risposta
venne data da un astronomo danese, Ole Romer (1644-1710) il quale osservando dei
corpi celesti, si accorse che la luce per percorrere un dato spazio impiega un tempo ben
determinato, da ciò deduce che la luce viaggia ad una velocità finita e calcolabile.
Precedentemente si pensava che la luce fosse onnipresente in ogni cosa e che non si
muovesse. Compreso questo concetto si può intuire che noi percepiamo i corpi celesti
4
Luce
con un ritardo molto significativo rispetto al loro presente, per esempio, il sole lo
vediamo con un ritardo di otto minuti rispetto al momento in cui ha emesso la luce che
noi percepiamo. Il valore della velocità della luce attualmente è stato calcolato con
grande precisione, ed è pari a 3.108 m/s, ma tale velocità vale solo in un sistema di vuoto
assoluto; quando si propaga nel vetro, nell’acqua, o in qualsiasi altro corpo trasparente,
la sua velocità diminuisce in relazione all’indice di rifrazione (in modo inversamente
proporzionale alla densità) del corpo che attraversa. Questo fenomeno è di estrema
importanza; è in virtù di questo che i prismi di deviano la luce e le lenti sono in grado di
formare le immagini.
La legge della rifrazione nella sua definizione trigonometrica.
Quando la luce passa da un mezzo A a un altro B, il senso dell’angolo di incidenza forma un rapporto
costante con il seno dell’angolo di rifrazione. Possiamo visualizzare quanto accade con un semplice
diagramma: se il raggio AB passa da un mezzo più denso (per esempio il vetro) ad uno meno denso
(l’aria o direttamente il vuoto) esso emergerà con un angolo i lungo la direzione BD; secondo la legge
della rifrazione vale la relazione sen i = n . sen r, dove (nel caso in cui il secondo mezzo sia il vuoto) la
costante n definisce il valore dell’indice di rifrazione del vetro, oppure di qualche altra sostanza presa in
esame.
Fu Newton il primo a condurre un importante esperimento in grado di scomporre la luce
nelle sue componenti fondamentali; egli scoprì, grazie all’utilizzo di un prisma di vetro,
che un raggio di luce attraversandolo, si scomponeva in una gamma di colori ben
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag. 20
Manfredo Massironi, Fenomenologia della percezione visiva, Bologna, Mulino,1998. pag. 25
Rudolf Arnheim, Il pensiero visivo, Torino, Giulio Einaudi Editore s.p.a. pag. 45
5
Luce
definita. Quando un fascio di raggi di luce monocromatica viene scomposto da un
prisma ogni radiazione di differente lunghezza d’onda (o frequenza) viene deviata con
un angolo leggermente diverso, cosicché i raggi uscenti dal prisma si presentano come
un ventaglio luminoso, in cui si distinguono tutti i colori dello spettro.
È anche possibile ricomporre la luce bianca dall’insieme dei colori che formano lo
spettro facendo passare il fascio di luce scomposta dal primo prisma attraverso un
secondo prisma, simile al primo ma orientato in senso inverso. Newton distinse nello
spettro che si formò ben sette colori differenti: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro,
indaco e violetto. Di fatto l’indaco non risulta ben differenziato come colore e
l’esistenza dell’arancione appare dubbia. Ma Newton era particolarmente attratto dal
numero sette, come numero magico, e considerava lo spettro in analogia con le note del
pentagramma proprio per questi motivi aggiunse indaco e arancione. Fu forse anche più
facile far accettare all’ambiente religioso il fatto che la luce fosse un mero fenomeno
fisico e non emanazione del divino; il numero “sette” riporta a diversi dogmi come i
peccati capitali ecc. Oggi abbiamo la certezza e sappiamo che ogni colore spettrale è
una radiazione luminosa con differente frequenza. Inoltre sappiamo che tutte le
radiazioni elettromagnetiche hanno la stessa natura. Il nostro occhio però è stimolato a
produrre visione solo da una banda molto limitata di frequenze pari ad un ottavo del
totale.
Nella figura seguente si può notare chiaramente quanto sia ristretta la finestra delle
radiazioni visibili al nostro occhio; rispetto al totale i nostri occhi sono davvero limitati.
Gli occhi dell’essere umano sono adatti a recidere la lunghezza d’onda della radiazione
solare, dotate di energia assai elevata, senza che i materiali biologici di cui sono
costituiti subiscano alcun danno, invece per esempio, gli occhi composti degli insetti
funzionano nell’ultravioletto a causa delle loro ridotte dimensioni.
Per concludere diamo un ultima e universale definizione della luce: la luce può essere
definita come un insieme di particelle di energia, denominate fotoni ovvero quanti di
luce. Esse possiedono sia le proprietà caratteristiche dei corpuscoli sia quelle tipiche
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag 29
Manfredo Massironi, Fenomenologia della percezione visiva, Bologna, Mulino,1998. pag. 33
Rudolf Arnheim, Il pensiero visivo, Torino, Giulio Einaudi Editore s.p.a. pag 67
6
Luce
delle onde, infatti proprio per questo motivo in molti casi il fotone viene descritto come
un pacchetto d’onde composte da un numero tanto maggiore d’onde quanto minore è la
loro lunghezza.
Lunghezza d’onda della luce percepita dal nostro occhio
7
L’occhio
1.3 L’occhio
L’occhio permette di catturare e trasmettere immagini al cervello. Può essere
paragonato ad una sofisticata macchina ottica che soddisfa i comandi del cervello.
Ma come si sono evoluti gli occhi? Attraverso quali stadi si sono sviluppati gli elementi
che lo compongono? E ancora a cosa potrebbe servire l’occhio senza il cervello in grado
di interpretare le immagini?
Per poter spiegare l’evoluzione di tale organo sensoriale dobbiamo far riferimento alle
teorie di Darwin con riferimento al processo di selezione naturale, come tutti gli organi
che compongono il nostro corpo, l’occhio si è sviluppato per fornirci informazione in
concomitanza con il cervello. Occhio e cervello si sono evoluti attraverso un processo
lento e casuale di tentativi ed errori. C’è da dire che tutti gli esseri viventi sono sensibili
alla luce, le piante prendono energia dalla luce solare ed addirittura alcune di esse
seguono lo spostamento del sole proprio come se i loro fiori fossero degli occhi. Ma la
percezione della forma e dei colori e stata resa possibile solo con lo sviluppo
dell’apparato sensoriale deputato a tutto ciò, l’occhio. Le origini della formazione di tale
apparato sensoriale sono avvolte nel mistero, per cercare una sorta di spiegazione si
dovrebbe ripercorrere l’evoluzione dai pochi resti fossili che abbiamo a disposizione.
Comunque, senza addentrarci nei particolari la natura ha fatto sì che gli esseri animali
fossero dotati di tale organo sensoriale fondamentale per la sopravvivenza e la
percezione dell’ambiente stesso. Adesso proviamo a focalizzare la funzione dell’occhio
umano. I nostri occhi sono tipici di tutti i vertebrati e non sono neanche molto sofisticati
rispetto a quelli di altri esseri, sebbene il cervello umano sia quello più evoluto rispetto
a quelli degli altri esseri viventi, e tutto ciò non è un caso, molto spesso occhi
complicati si accompagnano a cervelli molto più semplici.
Ma come si formano le immagini nell’occhio?
Una prima spiegazione è stata data da uno studioso arabo Alhazen agli inizi dell’anno
Mille, egli si rese conto dell’errore compiuto da Euclide nel 300 a.C. nel considerare
l’occhio come un punto geometrico, con raggi di luce proiettati all’esterno verso gli
oggetti. Cosicché nel decimo secolo Alhazen progettò per primo la camera oscura. Egli
osservò con un semplice foro ed uno schermo, che gli oggetti si disegnano sulle
superficie dello schermo formando un immagine ottica.
8
L’occhio
Successivamente la camera oscura progettata da Alhazen venne perfezionata da Gian
Battista Della Porta, che sostituì il foro con una lente focalizzante, al fine di ottenere
immagini brillanti per poterne individuare con chiarezza forme e colori. Egli descrisse
la camera oscura come una “Magia Naturale” pensando di poter spiegare il
funzionamento dell’occhio con un processo del tutto analogo. Infatti “considerò la
pupilla come un piccolo buco attraverso il quale entra la luce che viene catturata e
trasmessa al cervello da quella parte interna dell’occhio detta tavola di cristallo.” In
effetti se pure un pò rozza la camera oscura progettata da Gian Battista Della Porta
aveva chiarito il funzionamento dell’occhio.
Il mistero era finalmente svelato, il mondo è visto dal cervello tramite la camera oscura
costituita dall’occhio. Possiamo così infine considerare gli occhi come dispositivi ottici
che obbediscono alle leggi della fisica e dell’ottica.
L’occhio quindi è una mirabile macchina perfetta costituita dalla natura, ogni sua parte è
mirabilmente progettata ed ha un compito ben specifico indipendente dalle altre. La
cornea, caratterizzata dalla mancanza di vasi sanguigni, ricava il proprio nutrimento
dall’umor acqueo, per cui è praticamente indipendente dal resto dell’organismo.
L’altra struttura specializzata che non è irrorata da vasi sanguigni è la lente dell’occhio
(il cristallino). Ogni globo oculare è provvisto di sei muscoli estrinseci che lo
trattengono nella cavità orbitale, lo fanno ruotare nella direzione degli oggetti in
movimento, lo dirigono negli oggetti fermi. Normalmente gli occhi partecipano nella
visione in perfetta sinergia. Anche all’interno del globo oculare vi sono muscoli. L’iride
è un muscolo anulare che forma la pupilla attraverso cui passa la luce per arrivare sulla
lente, che si trova immediatamente dietro ad esso. L’iride si contrae, restringendo il foro
pupillare, sia quando la luce è intensa, per ridurre l’apertura della lente, sia quando gli
occhi convergono, per vedere oggetti vicini. Tutto ciò fa si che aumenta la profondità di
campo la quale consente di focalizzare in modo distinto, con un procedimento analogo
con cui opera la riduzione del diagramma di una macchina fotografica. Un altro
muscolo controlla la messa a fuoco della lente.
Dal sito: http://www.quipo.it/occhio/anatomia3.html
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.52
9
L’occhio
L’occhio umano rappresenta il più importante strumento ottico. In esso si trova la lente
focale, la quale trasmette un immagine rimpicciolita e capovolta di ciò che si osserva
su un numero elevatissimo di fotorecettori che trasformano l’energia luminosa in una
serie di impulsi elettrici, costituendo una sorta di linguaggio che il cervello legge ed
interpreta.
Arrivati a questo punto non resta che descrivere i passaggi fondamentali che il nostro
occhio compie nel catturare le immagini.
La visione è generata dai fotorecettori della retina; l'immagine lascia l'occhio attraverso
il nervo ottico e raggiunge poi il chiasma, una struttura formata dall'unione dei nervi
ottici all'interno del cervello. Dopo il chiasma l'immagine attraversa tutto il cervello e
raggiunge la corteccia visiva primaria che si trova a livello della nuca.
http://www.quipo.it/occhio/anatomia3.html
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.54
10
L’occhio
I due nervi ottici unendosi formano una struttura ad X disposta sopra un’importante
ghiandola del cervello chiamata ipofisi. All’interno del chiasma parte delle fibre dei
nervi ottici si incrociano tra loro: le fibre provenienti dalla metà interna di ogni nervo
ottico, detta nasale, passano cioè dal lato opposto mentre le fibre provenienti dalla metà
esterna di ogni nervo ottico, detta temporale, rimangono dallo stesso lato. In questo
modo ciascun braccio della X chiasmatica è formato dalle fibre temporali di un lato e
dalle fibre nasali del lato opposto. La parte posteriore di ogni braccio del chiasma viene
chiamata tratto ottico e al suo interno le fibre nervose mantengono la stessa
disposizione del chiasma. I tratti ottici terminano a livello di zone del cervello chiamati
corpi genicolati laterali; da qui partono le radiazioni visive, ultima parte delle vie
ottiche, costituite dalle fibre nervose che si separano a ventaglio e, percorrendo tutto il
cervello, arrivano alla corteccia visiva primaria la parte di cervello localizzata in sede
occipitale, cioè a livello della nuca, cui vengono inviati tutti i vari dettagli registrati
dalla retina generando così una visione d’insieme complessiva. La corteccia visiva
primaria è divisa in una metà destra e in una metà sinistra; ciascuna metà è poi
ulteriormente suddivisa in una parte inferiore e in una superiore dalla scissura calcarina.
http://www.quipo.it/occhio/anatomia3.html
11
L’occhio
Come già detto prima, l’occhio può ruotare grazie a sei muscoli. I movimenti oculari si
rendono necessari per poter guardare con chiarezza; pertanto, la registrazione dei
movimenti degli occhi può fornire un’indicazione di cosa il cervello ritenga necessario
guardare in determinate situazioni. Tali movimenti sono influenzati da quanto stiamo
facendo e da ciò che stiamo osservando. Diversi esperimenti hanno confermato che gli
occhi si muovono dando preferenza alla visione di alcuni particolari piuttosto che di
altri (tale movimento è detto Saccade). La registrazione di ciò che l’occhio preferisce
osservare fornisce delle valide istruzioni su come il cervello lavori per percepire un
immagine. Recentemente grazie a esperimenti particolari si è scoperto un fenomeno
sorprendente. Sono stati sottoposti in visione ad alcune persone due disegni
praticamente identici salvo qualche piccolo particolare, alternandoli con un certo
intervallo. Si è potuto costatare che quando l’alternanza tra due immagini coincideva
temporalmente con un movimento a scatti degli occhi (una Saccade), differenze anche
vistose non venivano notate.
Dal sito: http://www.quipo.it/occhio/anatomia3.html
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.54
12
L’occhio
Questi risultati sottolineano l’importanza che le rappresentazioni interne rivestono per la
percezione: quando fissano una immagine, i nostri occhi registrano assai meno rispetto a
quello che noi effettivamente vediamo.
Un altro fattore da prendere in considerazione per comprendere la visione è il lavoro che
gli occhi compiono in coppia. Molti organi sono presenti in coppia nel nostro corpo ma
gli occhi presentano la particolarità di lavorare in stretto rapporto. I due occhi
condividono e confrontano le informazioni che catturano dall’ambiente ed insieme
espletano compiti altrimenti impossibile per un singolo occhio; in particolare segnalano
la distanza e la profondità, per quanto concerne la visione. Una caratteristica del sistema
visivo è la sua capacità di combinare due immagini leggermente differenti, così da
ottenere una percezione unitaria di un oggetto solido collocato in un determinato spazio
fisico. Questa azione rende la visione ottimale, e inoltre basandosi sull’angolo di
convergenza, segnala la distanza dell’oggetto, alla stessa stregua di un semplice
telemetro.
L’unico limite sta nel fatto che si può segnalare la distanza di un solo oggetto per volta.
Per segnalare simultaneamente la distanza di più oggetti bisogna far ricorso a strumenti
assai più complessi.
1.4 Il cervello
Nell’antichità il cervello non era considerato un organo di fondamentale importanza per
il nostro organismo in quanto dopo la morte si presentava privo di sangue quasi come se
si trattasse di un organo estraneo al nostro corpo, basti pensare che gli antichi egizi non
lo conservavano dopo la morte come facevano per gli altri organi. Si intuì l’importanza
del cervello solo dopo molti secoli quando particolari incidenti, come ferite di arme da
fuoco o particolari malattie lo danneggiavano creando di conseguenza problemi a tutto il
corpo. Tali problemi furono oggetto di studi approfonditi. I cui risultati si rilevarono di
massima importanza per gli studi di neurochirurgia. Si comprese che su determinate
Dal sito: http://www.edscuola.it/archivio/lre/limcogn.html, Paolo Mantelli LRE, Università di Firenze
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.104-105
13
Il cervello
parti del cervello danneggiate non si può intervenire mentre su altre zone è possibile
intervenire per risanare danni o menomazioni fisiche. È possibile paragonare il cervello
ad un circuito elettrico; se una determinata zona risulta danneggiata non è detto che il
resto non funzioni ma semplicemente che i processi risultano alterati e quindi si possono
verificare fenomeni percettivi anomali. Gran parte del cervello e soprattutto quella che a
noi più interessa, cioè la parte dedicata alla percezione visiva, risulta essere organizzata
in moduli separati ma comunque interconnessi fra di loro. Tali zone per essere studiate
devono essere isolate in vari modi, talvolta anche esportati. Grazie ai più moderni
metodi è possibile verificare quali zone del cervello siano particolarmente attive nelle
più svariate condizioni, come quando si legge, si guarda o si immagina.
Esternamente si presenta come un organo di colore grigio-rosato, grande quanto due
pugni chiusi. È costituito da una sostanza “bianca” ed una “grigia”; la materia bianca
contiene un insieme di fibre di connessione, le quali collegano i molti tipi di corpi
cellulari che formano la materia grigia. Le attività relative alla visione avvengono nella
parte più esterna detta corteccia cerebrale.
Nella sua evoluzione il cervello si è sviluppato a partire dal nucleo centrale, zona
destinata ai sistemi di sopravvivenza, come il respirare e attività emotive. La parte
superficiale, la corteccia cerebrale, è dedicata soprattutto al controllo motorio degli arti
e al funzionamento degli organi di senso. La teoria di Paul Mclean (accettata fino agli
anni ’70) distingue tre tipi di cervello: uno più primitivo a “rettiliano” che comprende il
midollo spinale e la zona inferiore del tronco encefalico, che controlla il comportamento
istintivo e quelle attività automatiche che non coinvolgono la sfera emotiva e psichica;
uno intermedio o “paleocervello” costituito dalla struttura posta sotto il curaneto
cerebrale (ipotalamo e lobo limbico) che controlla gli stati emozionali e i
comportamenti aggressivi e sessuali; uno più evoluto, la “neocorteccia” sede delle
attività più alte dell’uomo comprese quelle razionali.
Ciascuna cellula nervosa presente nel cervello, è formata da un corpo cellulare e da una
lunga e sottile terminazione che trasporta gli impulsi provenienti dalla cellula stessa.
Talvolta alcune terminazioni delle cellule nervose possono avere delle terminazioni
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.106
14
Il cervello
molto lunghe in grado di arrivare nel midollo spinale. Nella zona della corteccia dove
risiedono i processi visivi, tali cellule sono raggruppate in strati, da cui deriva il nome
corteccia striata dato alla regione primaria della visione. I segnali nervosi sono
trasmessi sotto forma di impulsi elettrici, i quali costituiscono i soli segnali di ingresso e
uscita del cervello,e che viaggiano ad una velocità molto alta, superiore a quella della
luce.
Gli stimoli elettrici intervengono anche nella percezione visiva, nei primi stadi di
elaborazione del segnale visivo si posiziona una mappatura sommaria della retina
all’interno dei vari moduli specializzati, che viene presto perduta man mano che il
processo continua. Abbiamo un’elaborazione, separata e parallela, della forma, del
movimento, del colore e probabilmente di numerose altre dimensioni visive. Il fatto che
vi siano vari moduli di elaborazione separati, i quali combinano in qualche modo i loro
risultati fino ad avere la percezione completa di un oggetto, rappresenta una scoperta
recente. Mentre i meccanismi di coesione fra i moduli ancora sono avvolti nel mistero.
Tramite particolari esperimenti si è scoperto che, in condizioni normali di contrasto,
forma e colori possono venire dissociati. Quando lettere di diverso colore vengono
illuminate in modo lampeggiante, a volte l’osservatore attribuisce in modo errato il
colore ad una lettera. Si ritiene che il collegamento si verifichi più tardi, forse con un
processo dall’alto verso il basso coinvolgente significato e attenzione; poiché solo
raramente (se non mai), gli oggetti di colore noto vengono trasposti. Si tratta di
importanti effetti soggettivi. Recentemente si è anche scoperto che esistono dei moduli
cerebrali dedicati a determinate funzioni che entrano in funzione solo se si osservano
determinate immagini per esempio, esistono moduli si attivano solo quando si osserva il
volto di una persona o le mani. Determinate patologie possono danneggiare uno di
questi moduli tanto da rendere il paziente incapace di riconoscere semplicemente il
volto di una persona anche se tutte le altre sue funzioni percettive permangono
perfettamente attive.
Un esempio che ci può far capire meglio la funzionalità del modulo relativo al
riconoscimento del viso è data dall’esperienza del volto in disordine, meglio conosciuto
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.108
15
Il cervello
come l’effetto Thompson. Se rimuoviamo dall’immagine di un viso gli occhi e la bocca,
quindi li capovolgiamo e li riposizioniamo pressappoco nella posizione originaria, la
faccia che ne deriva appare decisamente bizzarra e perfino spaventosa. Ma se
capovolgiamo l’intera immagine, essa ci appare pressochè normale: il che mostra come
la rotazione della bocca e degli occhi venga a stento notata. Tutto ciò suggerisce l’idea
che i moduli cerebrali specializzati all’elaborazione dei volti siano indirizzati a
elaborare solo questi particolari.
Effetto Thompson
Fino ad ora abbiamo compreso come lavora il cervello per percepire determinate forme,
infatti è sempre più palese che esso elabora le informazioni visive attraverso dei moduli
specializzati a determinate funzioni percettive.
La percezione cromatica è comparsa tardi nella storia evolutiva dei mammiferi, le
elaborazioni cerebrali ad essa collegate sono aggiunte posteriori, largamente separate
rispetto alla percezione della forma. Le cellule predisposte alla percezione della forma e
del colore sono disposte in sottili strati alternati. È stato rilevato negli ultimi anni da
alcuni studi che nella stazione intermedia tra gli occhi e la corteccia, il nucleo
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.119
Autore Paolo Manzelli, articolo dal sito:
http://www.geocities.com/ResearchTriangle/Thinktank/4363/il_cervello.htm
16
Il cervello
genicolato laterale, esistono grandi cellule chiamate magno e piccole cellule chiamate
parvo, impiegate rispettivamente per la percezione della forma e del colore. Il sistema
magno è assolutamente cieco al colore, esso segnala la forma ed il movimento e opera
assai più velocemente del sistema parvo, che viene utilizzato per la percezione
cromatica.
Con i moderni strumenti e metodi che abbiamo a disposizione: le scansioni PET
(Tomografia a Emissione di Positroni) e NMR (Risonanza Magnetica Nucleare), è stato
possibile rivoluzionare il metodo di studio del cervello, fornendo ai medici informazioni
importantissime. Per esempio, da studi fatti su soggetti sani è stato possibile rilevare,
usando la scansione PET per monitorare le attività cerebrali che alcuni pazienti se spinti
ad immaginare determinati colori attivano in modo automatico la zona relativa alla
percezione cromatica, se spinti invece a immaginare il movimento di un animale,
attivano la zona relativa alla percezione del movimento. È molto interessante notare che
questi cambiamenti avvengono senza alcuna variazione dello stimolo visivo: a mutare è
soltanto ciò che il soggetto si raffigura mentalmente. Il risultato è che sono all’incirca le
stesse aree cerebrali ad essere attive tanto nei processi di visione del colore, del
movimento o della forma, quanto in quelli in cui il colore, movimento e forma vengono
immaginati. Durante un sogno sono attive le stesse aree cerebrali connesse alla vista,
all’udito o al movimento degli arti che risultano attive durante lo stato di veglia. Così,
infine, si può dire che i processi cognitivi sono stati ritenuti assimilabili alle esperienze
e alle azioni.
17
18
2
Vedere e percepire
2.1 La luminosità
La comprensione della percezione visiva della "luce" è stato uno dei temi più discussi
della storia delle conoscenze dell’ uomo. Prima di intraprendere il discorso e spiegare
com’è possibile osservare la luce ed in che modo viene percepita la luminosità,
dobbiamo chiarire dei concetti a cui faremo spesso riferimento nella trattazione di tale
argomento. La luce è una radiazione elettromagnetica emessa da una sorgente luminosa
o riflessa da oggetti opachi, che viene percepita dagli occhi ed elaborata dal cervello,
presenta delle determinate caratteristiche:
fisiche: lunghezza d'onda ed intensità percettive: brillantezza, collegata alla sua intensità, colore (tinta), collegata alla sua
lunghezza d'onda, luminosità
Inoltre la luce può indurre particolari sensazioni: caldo o freddo, variazioni di umore,
collegate alla visione di certi colori, sensazioni legate a fattori culturali.
Il grado di luminosità percepito non è semplicemente influenzato dall’intensità di luce
che colpisce la retina, ma dipende anche dallo stato di adattamento degli occhi, nonché
da differenti e complicate condizioni che determinano il contrasto degli oggetti e delle
macchie di luce. Per esprimermi meglio, la luminosità è funzione non soltanto
dell’intensità della luce che cade in una data regione della retina in un dato istante, ma
anche dell’intensità luminosa alla quale la retina è stata sottoposta in momenti
precedenti, e dei valori di intensità che nel medesimo istante interessano altre aree della
retina stessa. Una prova di tutto ciò che è stato detto fino ad ora deriva da un piccolo
esperimento che possiamo fare tutti facilmente: se restiamo isolati per un certo tempo
in un ambiente con un basso livello di luminosità, gli occhi diventano via via più
sensibili e una determinata luce apparirà più luminosa.
Un altro fattore che rende più o meno luminosa una determinata regione osservata è il
contrasto. In genere una certa zona appare più luminosa se ciò che la circonda è scuro, e
un colore sembra più intenso se circondato dal suo colore complementare.
Autore Paolo Manzelli, articolo sul sito:
http://www.edscuola.it/archivio/lre/intelligenza_visiva.html
19
La luminosità
Tutto questo è certamente da porre in relazione con le interconnessioni con i recettori
retinici: il potenziamento del contrasto sembra sia legato all’importanza che,
complessivamente, rivestono i contorni ai fini della percezione; in quanto sembra che
sia principalmente l’esistenza di bordi a essere segnalata al cervello.
Contrasto simultaneo
La parte dell’anello color grigio che si trova sul fondo nero appare un po’ più luminosa rispetto alla
restante parte dell’anello, che si trova su fondo bianco. Questo effetto è maggiormente evidenziate se si
dispone un filo attraverso l’anello, lungo il bordo che separa la regione bianca da quella nera.
Un altro fattore importante è dato dal fatto che la luminosità dipende dal colore: se
poniamo di fronte ai nostri occhi sorgenti di luce di colori diversi e di uguale intensità, i
Autore Paolo Manzelli, articolo sul sito:
http://www.edscuola.it/archivio/lre/intelligenza_visiva.html
20
La luminosità
colori al centro appariranno più luminosi di quelli che si trovano agli estremi. Si tratta di
un aspetto di una certa importanza pratica, infatti se un segnale luminoso di pericolo
deve risultare chiaramente visibile, esso dovrebbe essere di un colore per il quale
l’occhio presenta la massima sensibilità, ovvero nella parte centrale dello specchio.
Luminosità spettrale.
La parte centrale anche se di stessa intensità risulta più chiara e visibile semplicemente per una
maggiore sensibilità della retina a percepire tali tonalità.
Ma cosa accade al nostro occhio quando osserviamo una sorgente di luce molto debole
all’interno di un luogo molto scuro? Si potrebbe immaginare che in assenza di luce
nessun segnale di attività raggiunga il cervello, e che solo in presenza di una, se pur
piccola fonte di luce, la retina ne segnala al cervello l’esistenza, cosicché noi vediamo
la luce. Ma in realtà non è così semplice. Anche in essenza totale di luce, la retina ed il
nervo ottico non sono totalmente inattivi; permane qualche attività neurale residua, la
quale raggiunge il cervello senza che l’occhio ne segnali l’esistenza. Tale sottofondo
continuo di attività casuale è di grande importanza, in quanto sottopone perennemente al
cervello qualche problema. Il quesito che il cervello deve risolvere durante tali processi
consiste nel decidere se tale attività cerebrale sta rappresentando qualche attività
esterna, oppure se si tratta semplicemente di un disturbo che dovrebbe essere ignorato.
Tali interferenze sono provate dai lampi di luce che delle volte si verificano alla nostra
visione in modo inconsapevole senza una spiegazione fisica.
Autore Paolo Manzelli, articolo sul sito:
http://www.edscuola.it/archivio/lre/intelligenza_visiva.html
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.139
21
Il colore
2.2 Il colore
Lo studio della visione cromatica costituisce un ramo della più generale indagine sulla
percezione visiva, e ne rappresenta uno degli aspetti più attraenti.
Ormai è certo che nessun mammifero al di sotto dei primati, nella scala evolutiva,
possiede una visione cromatica; e se anche ne possedesse una sarebbe comunque
rudimentale. Tutto ciò è molto strano perché molti animali inferiori hanno una
percezione cromatica molto sviluppata. Per esempio gli uccelli, i pesci, i rettili e anche
gli insetti in grado di raggiungere “performances” superiori alle nostre.
Lo studio della visione dei colori, come detto in precedenza, ha inizio con la grande
opera di Newton, “l’Ottica”, che rappresenta indubbiamente uno dei più importanti
trattati sull’ottica. Newton mostrò che la luce bianca è costituita da tutti i colori dello
spettro; e con la successiva elaborazione della teoria ondulatoria della luce divenne
chiaro che ciascun colore corrisponde ad una data frequenza. Ma qual’è il meccanismo
mediante il quale si generano risposte differenti per diverse frequenze? Lo spettro dei
colori si presenta ad una velocità molto elevata di frequenza, molto più elevata rispetto a
quella che il sistema nervoso è in grado di seguire direttamente. Il numero massimo di
impulsi per secondo che il sistema nervoso riesce a trasmettere è inferiore a mille,
mentre la frequenza della luce è un milione di milioni di cicli al secondo. Un altro
problema che sorge, arrivati a questo punto, è come vengono rappresentate dal sistema
nervoso, che opera a bassa velocità, le frequenze ad altissima velocità della radiazione
luminosa? La spiegazione a tale fenomeno viene dal fatto che i colori possono essere
mescolati. Questa affermazione può apparire ovvia ma se spieghiamo il concetto di
“mescolanza” di colori le cose si complicano. La somma di due luci colorate genera
una terza luce che non conserva le caratteristiche delle prime due, per esempio
sommando una luce verde ed una rossa si ottiene il giallo. I segnali nervosi si
combinano nello stesso modo, quando vediamo una luce gialla non vuol dire che
abbiamo un recettore che riconosce il giallo come colore univoco ma semplicemente
vengono messi in moto dalle attività cerebrali i due ricettori che formano il giallo, cioè
il recettore destinato alla luce verde e quello destinato alla luce rossa sono stimolati e
Dal sito: http://www.itis-molinari.mi.it/documents/colori/luce.htm
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.189
22
Il colore
mandano un segnale al cervello che crea la sensazione del colore.
Da ciò si evince il fatto che dai colori primari si formano tutti gli altri colori presenti
nello spettro di luce visibile. I colori primari della luce sono il rosso, il verde e il blu. Di
conseguenza il nostro cervello è dotato di tre recettori che riconoscono queste tonalità,
mescolandole, in modo da render visibile tutti gli altri colori dello spettro. Nella pittura
o nella stampa i colori non sono dati dalla somma di luci ma al contrario si usano i
pigmenti per sottrarre colori al bianco in modo da ottenere la tinta desiderata. I pigmenti
fondamentali sono i complementari dei tre colori primari della luce, i quali si
combinano per generare mescolanze cromatiche additive (Sintesi Additiva). Le stampe o
tutte le superfici di qualsiasi oggetto che non emettono luce, sono unicamente in grado
di eliminare alcuni colori: noi vediamo ciò che rimane; per esempio, le foglie verdi
assorbono ogni gamma di radiazione luminosa eccetto quella di colore verde (Sintesi
Sottrattiva). Le stampanti a colori non usano quindi il rosso, il verde ed il blu per
realizzare i colori, ma esse impiegano invece i complementari, cioè il ciano che stimola
i recettori blu e verdi, il Magenta che stimola i rossi ed i blu, ed il giallo che stimola
quelli rossi e verdi. Sottraendo tutti i colori si ottiene il nero e qual’ora non se ne
sottragga nessuno si ottiene il bianco.
Bisogna però ancora aggiungere altro sulla costanza cromatica e sulla visione dei colori,
poiché noi tendiamo a vedere sostanzialmente inalterati i colori delle superfici degli
oggetti anche se il raggio di luce che li colpisce ha una dominante di colore diversa da
quella del bianco. Tale fenomeno è noto come costanza cromatica: quando a
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.196
23
Il colore
essere osservati sono gli oggetti noi non tendiamo a vedere il colore solo in rapporto alla
lunghezza d’onda della luce che li colpisce, questo indica che i dispositivi progettati per
essere di semplice uso di laboratorio, per effettuare misure quantitative, risultano
trascurare aspetti essenziali della percezione. Tutto ciò ci fa capire che la visione di un
determinato colore non dipende semplicemente dalle lunghezze d’onda proiettate dalla
luce ma è dovuto anche alle differenza di identità della piccole regioni, e inoltre dipende
dai tracciati che rappresentano o meno degli oggetti. Si potrebbe supporre che ad essere
implicati siano dei processi cerebrali di alto livello. L’occhio tende ad assumere come
bianca non tanto una particolare miscela di colori, quanto piuttosto un illuminazione
generale, qualunque essa sia. Così, i fari di un’automobile ci sembrano bianchi quando
ci troviamo in aperta campagna, mentre in città, dove possono essere confrontati con
luci più bianche assumono un colore più giallo. Il fatto che ci si attenda una determinata
tinta, o che si conosca l’usuale colore degli oggetti, è importantissimo, per esempio le
arance e i limoni assumono un colore più intenso quando ne conosciamo l’effettiva
identità.
2.3 Il movimento
Per tutti gli esseri viventi, ad eccezione dei più semplici, rilevare il movimento è
essenziale alla sopravvivenza. In natura troviamo anche degli apparati visivi che in
assenza di movimenti non riescono a percepire, si tratta di apparati meno evoluti che
comunque non hanno bisogno di percepire tale situazioni.
I bordi della nostra retina sono sensibili solo al movimento, tutto ciò è verificabile
chiedendo a qualcuno di agitare un oggetto al limite del nostro campo visivo, dove
vengono stimolati soltanto i bordi della retina: il movimento viene colto. Ma risulta
impossibile identificare di quale oggetto si tratti, né se ne ha una visione cromatica;
quando il movimento si ferma, l’oggetto diviene invisibile. Questa è l’esperienza più
vicina alla visione primitiva che ci sia dato provare. Ma il movimento di un oggetto
percepito, porta istintivamente a focalizzare l’oggetto all’interno della nostra area visiva
maggiormente evoluta (zona foveale) per giungere alla sua identificazione.
24
Il movimento
I nostri occhi forniscono due tipi di informazioni sul movimento: quando rimangono
fermi, l’immagine dell’oggetto in movimento si sposta attraversando in sequenza molti
recettori, e i segnali di movimento giungono dalle retine; quando invece gli occhi
seguono l’oggetto in movimento, le corrispondenti immagini sulle retine rimangono per
lo più stazionarie e non possono quindi segnalare alcun movimento seppure questo sia
percepito da noi (ciò si verifica anche in assenza di uno sfondo che possa modificare
l’immagine sulla retina man mano che gli occhi si muovono).
Per rilevare il movimento esistono quindi due sistemi visivi essenzialmente differenti: il
sistema immagine-retina e quello occhio-capo.
Lo studio del sistema immagine-retina una registrazione dell’attività elettrica generata
dal sistema oculare rivela che vi sono diversi tipi di recettori, alcuni segnalano quando
una luce viene accesa, altri quando viene spenta, mentre altri ancora ne segnalano sia
l’accendersi che lo spegnersi. Questi recettori sono nominati rispettivamente “on”, “off”
e “on-off”, sembra che quei recettori che rispondono solamente alle variazioni di
illuminazione siano responsabili della segnalazione di movimento, e che gli occhi siano
tutti essenzialmente dei rivelatori di movimento. L’immagine che si sposta lungo la
retina stimola, in successione, i recettori lungo il suo tragitto, e quanto più velocemente
l’immagine si sposta tanto maggiore sarà il segnale di velocità da essa generato.
Nello studio del sistema occhio-capo risulta che il sistema neurale che fornisce la
percezione del movimento in seguito allo scorrere dell’immagine sulla retina è assai
diverso da quello che rileva il movimento sulla base della rotazione degli occhi rispetto
al capo. Il fatto che l’occhio si sta muovendo è segnalato in qualche modo al cervello e
utilizzato per indicare i movimenti di oggetti esterni. Il meccanismo più ovvio di
segnalazione del movimento occhio capo potrebbe trarre origine dai muscoli oculari:
quando questi vengono contratti dei segnali potrebbero essere rinviati verso il cervello,
al fine di fornire indicazioni sul movimento degli occhi e quindi sul movimento degli
oggetti che vengono seguiti dagli occhi stessi.
Ogni volta che muoviamo gli occhi, le immagini retiniche scorrono sui recettori, e
tuttavia noi non abbiamo nessuna sensazione di movimento; cosa che si verifica invece
quando a ruotare è una cinepresa o telecamera. Come è possibile tutto ciò? Sembra che
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.200
25
Il movimento
in occasione dei normali movimenti oculari i segnali, che arrivano dai sistemi visivi
deputati alla percezione del movimento, si inibiscano vicendevolmente al fine di dare
stabilità al mondo visivo.
26
3
Teorie sulla percezione visiva
3.1 Teorie filosofiche della visione
Molti in passato si sono chiesti come sia possibile pervenire alla conoscenza del mondo,
nasciamo con un bagaglio di conoscenze ereditarie, innate, oppure dobbiamo
apprendere?
I filosofi che si sono poste queste domande possono essere divisi in due grandi
categorie: coloro, detti Metafisici, i quali ritengono che alcune conoscenze relative al
mondo fisico siano in nostro possesso a prescindere da qualsiasi attività di esperienza
sensoriale avuta in passato; e coloro che vengono denominati come Empiristi, i quali
sostengono che tutta la conoscenza è derivata da esperimenti ed osservazioni. Tutte e
due però hanno un punto in comune: esse considerano i sensi dei registratori passivi, o
meglio dei canali attraverso i quali le informazioni scorrono da fuori a dentro o
viceversa.
Per dare una sorta di spiegazione a questi due metodi di studio si deve considerare il
comportamento del bambino. Lo sviluppo che il bambino ha durante la fase di crescita
risulta senza dubbio essere il complesso prodotto di interazioni con il mondo oggettuale
che egli attua essendo collocato in determinate situazioni sociali, interazioni che
dipendono dalle sue iniziative e dalle opportunità di gioco e di scoperta che sono a sua
disposizione. Il gioco dei bambini non è assai dissimile dalle attività che gli scienziati
compiono nei loro laboratori per giungere a delle nuove scoperte. Una gran conoscenza
innata è immediatamente disponibile senza bisogno di particolari esperienze per un
neonato o anche per il mondo animale. Per esempio, gli uccelli appena nati riconoscono
il pericolo dei predatori, infatti, si ritraggono davanti al tale sagoma. E come gli uccelli
molte specie animali sembrano avere una base di conoscenza basata sull’istinto. Allora
come è possibile tutto ciò, se gli empiristi credono nel fatto che tutta la conoscenza è
data dall’esperienza?
Manfredo Massironi, Fenomenologia della percezione visiva, Bologna, Mulino,1998.
Rudolf Arnheim, Il pensiero visivo, Torino, Giulio Einaudi Editore s.p.a. pag 247
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.196
27
Teorie filosofiche della visione
Un apprendimento molto rapido forse viene confuso con una conoscenza innata?
Molti studiosi ritengono che una parte della struttura profonda della lingua naturale
deve essere innata nel bambino, in quanto sembra impossibile che un bambino impari
così velocemente i meccanismi del linguaggio.
Una vera risposta a tale quesiti ancora oggi non è possibile in quanto tutto ciò che
sappiamo ci è pervenuto solo con esperimenti fatti su animali e solo qualcuno, pur
limitato, fatto sui bambini. Per il momento ci congediamo dal problema dando
un’affermazione sicuramente non erronea: al momento della nascita ogni bambino
possiede già una base di conoscenza che sicuramente si sviluppa col diventare adulti.
Con questa affermazione si può conciliare sia la teoria empirista che quella metafisica.
3.2 Il Comportamentismo
Il comportamentismo fu fondato da John Broadus Watson con il suo manifesto del
1913, “La psicologia secondo i comportamentisti”, nel quale si teorizza la negazione di
ogni analisi della coscienza, almeno come strumento per rendere la psicologia
scientificamente credibile. Il comportamentismo si basa sugli esperimenti di riflessi
condizionati ( o “condizionali”). Gli studiosi di tale corrente mostrarono che, partendo
da un riflesso innato (ereditario) come quello della salvazione legata alla vista del cibo o
al sentirne l’odore, si sarebbe potuto indurre in un cane il medesimo riflesso in seguito
ad uno stimolo qualsiasi cui l’animale venisse sottoposto contemporaneamente o
immediatamente prima della presentazione del cibo. Si mostrò così che era possibile
creare catene di riflessi condizionati, per cui ai comportamentisti parve più che
plausibile che tali catene di condizionamenti fossero sufficiente per spiegare tutto
quanto era noto sul comportamento, perfino il linguaggio.
Gli appartenenti a questo movimento elencarono i riflessi innati osservati nei bambini e
misurarono la forza dello stimolo derivante dalla ricompensa; sviluppando, in tal modo,
una sorta di atomismo dall’aspetto scientificamente rispettabile, mediante il quale
descrivere i comportamenti complessi a partire da componenti più semplici.
Manfredo Massironi, Fenomenologia della percezione visiva, Bologna, Mulino,1998.
28
Teorie filosofiche della visione
Ipotizzarono che percezione e comportamento fossero direttamente e immediatamente
controllati da stimoli, con modificazioni dovute ad impulsi, quali la fame, provenienti
da stati interni, cosicché, partendo da una conoscenza sufficientemente estesa, la
psicologia avrebbe potuto diventare una scienza perfettamente predittiva.
3.3 La psicologia della forma: “Gestalt”
La Gestalt rappresenta una forma antagonista al comportamentismo. Il termine Gestalt
in tedesco significa forma, tale scuola propose negli anni venti una vera e propria
rivoluzione nel modo di intendere l’attività percettiva umana.
Fu fondata da un gruppo di scienziati tedeschi Koheler, Koffka e Wertheimer negi anni
Venti in Germania. La novità introdotta da tale corrente è sostanziale: essi ritengono che
i sensi siano già capaci di svolgere un ruolo attivo, un ruolo che si esplica
nell’interpretazione precategoriale della realtà e che fisicamente ha la sua zona di
attuazione a livello della corteccia cerebrale. I sensi hanno dunque delle propensioni,
seguono delle leggi, rilevano in definitiva delle qualità formali all’interno del percepito.
Queste qualità non dipendono dalla semplice forma di elementi costituenti, ma da un
rapporto strutturale di relazioni interne dell’osservato. Rispettarle significa permettere la
percezione, o meglio, servire del materiale predisposto per una successiva elaborazione
concettuale. Viceversa tale meccanismo non scatta e di conseguenza non si può
verificare la percezione di un dato oggetto. Gli psicologi della Gestalt descrivono le
percezioni come non riconducibili ad una somma di stimoli, ma come organizzate
secondo varie leggi. Tali leggi, dette “costanze percettive” permettono di riconoscere
un oggetto anche quando esso muta la sua posizione nello spazio e nel tempo. Le leggi
dell’organizzazione gestaltiche si sono rilevate importanti per spiegare la percezioni
delle immagini e dei suoni. E sono state riprese dalla comunità scientifica che si occupa
di intelligenza artificiale, specialmente con l’intento di programmare il calcolatore a
riconoscere forme e oggetti. Tra queste leggi vi sono:
1. Legge della vicinanza, per la quale quanto minore è la distanza, nello spazio e nel
tempo, che separa gli oggetti di un insieme, tanto più grande sarà la tendenza a
percepire quegli oggetti che appartenenti a un'unità.
Carlo Banzaglia, Comunicare con le immagini, Paravia Bruno Mondadori editore, 2003, pag. 16-17
29
La psicologia della forma: “Gestalt”
Nelle figure A, B, C. A Dalla diversa sistemazione dei punti si percepiscono figure diverse.
2. Legge della similarità, per cui all'interno di un insieme costituito da più elementi, si
manifesterà la tendenza a raggruppare gli elementi che sono maggiormente simili tra
loro.
Nella figura si possono notare varie aree a secondo della sistemazione degli oggetti che le compongono
3. Legge del destino comune, che afferma la tendenza a percepire come appartenenti a
un unico oggetto le cose che si muovono insieme, allo stesso tempo e nella stessa
direzione.
4. Legge della direzione, se un modello continua nella stessa direzione di un altro, i due
modelli verranno percepiti come appartenenti alla stessa unità.
Nella figura si notano due s sovrapposte piuttosto che due v inclinate sullo stesso piano e opposte fra loro
30
La psicologia della forma: “Gestalt”
5. Legge della forma chiusa, per la quale si tende a percepire come appartenenti a
un'unità coerente gli oggetti disposti secondo figure chiuse, regolari, simmetriche.
Nella figura percepiamo delle figure compiute anche se in realtà non esistono
La tendenza a organizzare elementi semplici in forme regolari, chiuse, costituite da parti
simili o contigue, viene considerata dagli psicologi della Gestalt come una caratteristica
innata, con conseguente ridimensionamento dell'influenza dell'apprendimento e
dell'esperienza personale.
Una "forma" viene considerata un'organizzazione che non può essere ricondotta alla
somma degli elementi che lo costituiscono e nella quale la modificazione di uno solo di
questi elementi può modificare l'intera "forma".
All’origine si pensava che tali leggi si riferissero a meccanismi ereditari, ma poiché esse
individuano le comuni caratteristiche della maggior parte degli oggetti, si ritenne di
poter ricorrere al processo dell’apprendimento per giustificare il fatto che noi tutti
possediamo pressoché le medesime organizzazioni visive.
Una questione importante per la percezione visiva nella Gestalt è dato dal rapporto
figura-sfondo che assume un ruolo metaforicamente molto rilevante nello scatenamento
di fenomeni di riconoscimento di ordine e grado: in fondo tutta la vita dell’uomo è data
dall’emergere di figure (percettive, cognitive, emotive) rispetto ad un territorio
indistinto di sfondo. L’importanza del contesto ambientale e della globalità
dell’esperienza che viviamo ci porta a percepire determinate cose piuttosto che altre.
Sicuramente mille volte ci è capitato di imbatterci nei fenomeni di illusione ottica, casi
nei quali non vediamo le cose come realmente sono perché il contesto dell’atto
percettivo pretende altre informazioni.
Dal sito: http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=gestaltpsicologia.html
Carlo Banzaglia, Comunicare con le immagini, Paravia Bruno Mondadori editore, 2003, pag. 20
31
La psicologia della forma: “Gestalt”
A sinistra si vedono colonne nere a destra colonne bianche anche se il disegno è uguale ma con i colori
invertiti.
Un caso esemplare che è da esempio a ciò che si è detto, è dato sicuramente dai
fenomeni di mimetismo. In tale caso abbiamo la vittoria, data dal contesto, di una delle
leggi gestaltiche, la somiglianza e la chiusura. Pensiamo cosa accade ad un militare che
indossa una tuta mimetica: la chiusura del suo corpo, pur ben percepibile, non è
riconoscibile perché macchie grigio verde della stoffa richiamano le circostanti macchie
della natura in cui è immerso, in tal maniera, l’unità figurale si rompe in uno sfondo
costante e indeterminato che inganna il nostro occhio. I psicologi della Gestalt
riconoscono il ruolo importante che ha la memoria nella percezione ma è pur vero che
senza adeguate basi ottiche il riconoscimento stesso non si attua, ed è anzi molto facile
mascherare cose a noi molto familiare lavorando semplicemente con il contesto di
sfondo.
3.4 Teoria ecologica di Gibson
Dalle teorie atomistiche della Grecia antica, all'atomismo della psicologia empiristica
ottocentesca, attraverso il perfezionamento dell'ottica e delle conoscenze fisiologiche, le
sfide e la complessità dei problemi connessi alla percezione sembrano anzi essere
costantemente cresciute.
Ciò che le ricerche sulla percezione cercano di porre in dubbio, in accordo con una certa
Dal sito: http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=gestaltpsicologia.html
32
Teoria ecologica di Gibson
vocazione scettica della filosofia occidentale, è il senso comune, il realismo ingenuo che
si appaga di ciò che vede, senza questionare né sul come, né sul perché.
L'opera di Gibson rappresenta un originale tentativo dello psicologo americano di
delineare una nuova teoria della percezione all'interno della cornice dell'ecologia.
Ricevuta una formazione fenomenologica, Gibson trovò nel gestaltista Kurt Koffka uno
dei suoi punti di riferimento essenziali. Ciò nonostante cercò di sviluppare un proprio
originale programma di ricerca che infine approdò a quella che comunemente è nota
come "psicologia ecologica".
L'idea centrale attorno a cui si articola il pensiero di Gibson può essere in prima
approssimazione sintetizzato così: per studiare in modo diverso la percezione, bisogna
toglierla dai laboratori in cui è stata confinata, bisogna eliminare quegli stimoli di
laboratorio fantasiosi, ma a volte del tutto artificiosi, per arrivare a cogliere la funzione
e il funzionamento della percezione come uno degli aspetti essenziali dell'interazione tra
organismo e ambiente. È questa una prima importante indicazione metodologica: non
esiste soltanto un tipo di visione, tantomeno si tratta di quella visione fissa di uno
stimolo in laboratorio che Gibson chiama "visione istantanea"
"I trattati e i manuali assumono che il tipo più semplice di visione è quella che si ha
quando l'occhio viene tenuto fermo allo stesso modo in cui deve essere tenuta ferma la
macchina fotografica, in modo che si formi una figura che possa essere trasmessa al
cervello." Siccome l'occhio non può restare fermo a lungo, comincerà a muoversi per
cogliere la configurazione dell'oggetto dato, ossia a effettuare una "visione d'apertura"
che nella similitudine di Gibson è come guardare il mondo dal buco in una staccionata.
Ma nella realtà noi percepiamo in modo del tutto diverso: non solo muoviamo
liberamente la testa per seguire ciò che ci interessa (visione ambiente), ma anche ci
muoviamo liberamente nello spazio ambiente per circondare l'oggetto, avvicinarci o
allontanarci a seconda delle nostre esigenze ("visione deambulatoria"). Ora questo tipo
di visione non viene mai presa in considerazione dagli sperimentatori che cercano di
ridurre la complessità della visione a una sequenza di istantanee fotografiche.
Da questa premessa metodologica arriviamo a una delle tesi fondamentali di questo
Maffei L., Fiorentini A., Arte e cervello, Zanichelli, 2003
33
Teoria ecologica di Gibson
lavoro: il mondo che percepiamo non è il mondo della fisica o di Cartesio, ma il mondo
come ecosistema ambientale in cui siamo immersi.
Questo significa che nel mondo della fisica gli oggetti e il mondo ambiente sono ridotti
a puri spazi forme e misure, spogliati di tutti quei caratteri significativi che poi torniamo
a conferire loro attraverso quelli che chiamiamo processi di elaborazione della
percezione.
Gibson vuol farci passare attraverso lo specchio e tornare dal mondo cartesiano delle
“res extensae” e della geometria analitica al mondo ambiente in cui vivono gli
organismi, fatto di luoghi, qualità, elementi, opportunità di azione, le “affordances”.
L'altro elemento caratterizzante della psicologia ecologica di Gibson è la teoria della
raccolta di informazioni (Information Pickup Theory). La percezione è un processo
attivo che dipende dall'interazione tra l'organismo e l'ambiente. Tutte le percezioni sono
realizzate in relazione alla posizione del corpo e alle sue attività e funzione
nell'ambiente. Questa teoria si pone in contrasto con le teorie correnti dell'elaborazione
cognitiva dell'informazione per affermare con forza la percezione diretta. L'assetto
ambientale include “invarianti” come le ombre, la texture, i colori che determinano ciò
che è percepito. La percezione è in grado di cercare ed estrarre queste “invarianti” in un
mondo che è costituito da un flusso incessante di informazioni, ricche e cangianti.
Secondo Gibson la percezione è una diretta conseguenza delle proprietà dell'ambiente e
non implica forme di elaborazione degli stimoli. Le “affordances”, che abbiamo già
citato, sono considerate proprietà specifiche dell'ambiente significative e rilevanti per
l'organismo che ci vive. È la capacità di percezione che permette all'organismo di
sopravvivere nell'ambiente, quella che secondo il vescovo Berkeley era una delle
caratteristiche essenziali della percezione, la previsione. "La teoria delle affordances
rappresenta uno scarto radicale rispetto alle teorie esistenti del valore e del significato.
Essa prende le mosse con una nuova definizione di che cosa sono valore e significato.
La percezione di un'affordance non è un processo di percezione di un oggetto fisico
privo di valori a cui il significato è qualcosa di aggiunto in un modo in cui nessuno è in
grado di concordare; è un processo di percezione di un oggetto ecologico ricco di
valore. Ogni sostanza, ogni superficie, ogni layout ha qualche “affordance” che può
avere effetto positivo o negativo su qualcuno. La fisica può non tener conto dei valori,
34
Teoria ecologica di Gibson
ma l'ecologia no.
Il risultato è uno strano mondo, fatto di superfici concave che ci riparano, di strumenti
che si conformano o no alla nostra forma fisica, di posti nascosti, luoghi attraenti, di
elementi naturali (quelli dei Presocratici), un mondo che sembra essere stato restituito
all'ecologia dopo anni di segregazione in laboratorio.
Al di là di questi elementi, l'argomentazione che Gibson conduce è molto serrata, anche
attraverso esperimenti e discussioni sulle teorie concorrenti riguardo alla percezione.
Maffei L., Fiorentini A., Arte e cervello, Zanichelli, 2003
Dal sito: http://lgxserver.uniba.it
35
36
4
Visione e percezione ambientale
4.1 Differenze culturali
E’ possibile che persone cresciute in ambienti differenti giungano ad avere una visione
differente del mondo?
Il mondo occidentale è ricco di svariate forme fatte di linee rette che si estendono in
lunghezza ed altezza, abbiamo una certa percezione delle distanze e dell’ambiente in cui
viviamo, sicuramente differente rispetto a popolazioni che vivono immerse nella natura.
I molti esperimenti e studi compiuti dimostrano che culture differenti creano differenti
percezioni ambientali, alcuni esperimenti compiuti su popolazioni indigene hanno
confermato che è molto più difficile ingannare il loro punto di vista con particolari
illusioni ottiche rispetto a noi occidentali che facilmente ci facciamo ingannare esse.
Tutto ciò è dato semplicemente dal fatto che forme diverse generano illusioni diverse,
l’essere ogni giorno a contatto con determinate forme plasma l’esperienza del cervello e
la conseguente percezione in modo diverso da individuo ad individuo, o meglio da
popolazione a popolazione. Un esempio è dato da particolari popolazioni che vivono
immerse nella foresta. Tali individui risultano interessanti in quanto non vedono molti
degli oggetti collocati in lontananza, poiché vivono in un posto in cui l’orizzonte è assai
limitato, infatti quando vengono portati fuori dal loro ambiente e osservano degli oggetti
posti in lontananza, non hanno la percezione che quell’oggetto è collocato ad una certa
distanza dal loro punto di vista, ma piuttosto che sia vicino ma piccolo. Le popolazioni
di cultura occidentale sperimentano una distorsione simile quando guardano dall’alto.
Da un edificio molto alto gli oggetti sembrano eccessivamente piccoli; e si è costatato
che gli uomini che lavorano sulle piattaforme sospese o sulle impalcature dei grattacieli
vedono gli oggetti sotto di loro senza nessun tipo di distorsione.
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.220
37
Recupero dalla cecità
4.2 Recupero dalla cecità
In passato sono stati compiuti molti esperimenti per scoprire se è possibile recuperare
l’importante la vista. Allevare degli animali nella più completa oscurità, impedendo loro
di vedere qualsiasi fonte di luce per mesi o addirittura per anni e scoprire cosa vedono
dopo questo lungo periodo in situazioni normali, è stato uno degli esperimenti fatti per
studiare la possibilità di recuperare un individuo dalla cecità. Si costatò che in tali
animali ci sia un importante perdita di comportamenti normali per il loro essere. Alcune
di questi potrebbero semplicemente essere dovuti ad una conseguente degenerazione
della retina (che si è costatato verificarsi in situazioni di totale oscurità) e potrebbero
inoltre essere dovuti all’atteggiamento vistosamente passivo degli animali allevati in tali
condizioni ambientali. Pertanto, a causa della generale assenza di comportamento in
questi esseri, risultava difficile dedurre la natura e l’entità di specifici cambiamenti
percettivi. Tuttavia ci sono dei casi di recupero della cecità da parte di persone adulte
che possono essere molto utili per capire le modalità di sviluppo della percezione
nell’uomo. Una persona cieca che torna a vedere ha bisogno di ristabilire tutte le sue
esperienze percettive in modo da riuscire a percepire le realtà che prima conosceva solo
grazie all’udito.
Descartes, nella sua Diottrica(1637), descrisse la percezione dei ciechi come la scoperta
del mondo ottenuta tastandolo con un bastone:
“è vero che questa specie di sensazione, per chi non ne abbia lunga consuetudine,
risulta un po’ confusa e oscura, ma consideratela in quelli che, nati ciechi, se ne sono
serviti per tutta la loro vita e in essi la troverete così perfetta ed esatta da potersi dire
che vedono con le mani o che il bastone che usano è l’organo di qualche sesto senso
concesso loro al posto della vista.”
Un individuo nato cieco ha la percezione degli oggetti semplicemente grazie al tatto, per
esempio riesce a distinguere una sfera da un cubo semplicemente tastandoli.
Ammettiamo il caso che ad un certo punto riacquista il dono della vista. Sicuramente
visivamente non sa distinguere quali dei due oggetti è il cubo o la sfera. Tale individuo
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.220
38
Recupero dalla cecità
deve per forza maturare delle esperienze visive in modo da arrivare a percepire
l’ambiente che lo circonda semplicemente con l’osservazione, deve “imparare a
vedere”.
Per egli non esiste la posizione spaziale, non può comprendere cosa può significare la
parola alto o basso, non può capire, se non con il tatto, cosa può essere capovolto o
meno, in passato questi attributi gli apparivano tali solo grazie al tatto.
In realtà si sono verificati molti casi del genere. In certi casi dopo un periodo di
esperienza l’individuo è riuscito a recuperare in pieno il dono della vista in altri casi,
l’individuo si è chiuso in se stesso per ritornare ad essere cieco. Alcuni dei casi di
successo sono perfettamente in linea con la teoria empiristica basata sull’esperienza.
4.3 Visione dei neonati
Per comprendere meglio come si sviluppa la nostra percezione sarebbe di grande
interesse ed utilità sapere cosa vedono i bambini nei primi giorni di vita. Non è facile
riuscire a comprendere i meccanismi e le visioni dei neonati, in quanto appena nati
hanno una scarsa capacità di coordinazione motoria e soprattutto manca gli manca il
linguaggio. Esperimenti molto recenti hanno rivelato che i neonati possiedono una
percezione visiva molto sviluppata, basti pensare che entro poche ore della nascita
riescono a riprodurre la espressioni facciali della mamma. Arrivati a questo punto
bisogna chiedersi se i neonati hanno una percezione visiva simile a quello di un adulto
oppure i metodi di percezione risultano differenti. Finora abbiamo evidenziato che la
percezione va ben oltre un semplice stimolo che arriva dal mondo esterno, essa
rappresenta l’agire appropriatamente in considerazione della fonte, o delle cause, di tali
stimoli. Di conseguenza un oggetto percepito, in quanto tale, ha delle valenze spazio
temporali soggette a leggi fisiche. Di conseguenza un neonato come fa ad attribuire un
determinato valore a un oggetto? Secondo le dottrine filosofiche un oggetto esiste
nell’istante in cui viene percepito in quanto tale, e permane in quanto suscita sensazioni.
Vari studi hanno rivelato che i bambini piccoli non hanno alcuna nozione di persistenza
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.243
39
Visione dei neonati
nel tempo, non sanno che gli oggetti continuano ad esistere quando non sono osservati.
Solo in seguito arrivano a scoprire che tali oggetti permangono nel tempo, bisogna solo
cercarli.
Ma cos’è che attrae l’interesse del bambino nell’osservazione?
I bambini anche appena nati, presentano un movimento oculare ben coordinato che
indica cosa il bimbo guarda in modo molto preciso. Si è riscontrato che i neonati
prediligono guardare forme curve piuttosto che rettilinee, si è anche notato che provano
un grande interesse nel guadare figure che ricalcano il viso di una persona, sembra che
hanno un’innata predisposizione al riconoscimento dei volti. Inoltre prediligono
l’osservazione di oggetti tridimensionali piuttosto che figure piatte, a quanto pare
possiedono anche un’innata propensione per la profondità.
Il bambino inoltre già all’età di soli quattro mesi percepisce il pericolo della caduta.
Possiamo dunque dire che il cucciolo di uomo inizia ad apprendere nel momento in cui
apre gli occhi ciò che gli servirà per affrontare la vita futura e controllare il mondo che
lo circonda, tutto ciò è un istinto innato di ogni essere vivente.
40
5
Illusioni ottiche
5.1 Che cosa sono le illusioni ottiche?
Quando una percezione si trova in disaccordo con la realtà fisica si ha un illusione
ottica, osservato in questo senso si può affermare che l’illusione differisce dalla verità.
Ma cos’è la verità? Com’è possibile per noi conoscere il mondo reale?
Il tentativo di rispondere a queste domande ha affascinato molti studiosi ed il risultato, è
dato da molte risposte viste da punti di vista molto differenti fra loro.
Tuttavia vi sono realtà accettate dal senso comune, sulla base delle quali è impostata la
nostra vita. L’umanità nel cercar di dare una risposta a tale domanda ha dovuto dare un
limite al proprio pensare, in modo da accettare per vero ciò ve viviamo e sperimentiamo
durante il corso della vita. Se non fosse così l’intera percezione del mondo cadrebbe in
una grande illusione, un sogno che viviamo costantemente in ogni attimo della nostra
esistenza. Consideriamo gli oggetti che percepiamo come reali. Si accetta come
“oggetto” in quanto tale un qualcosa che dipende in larga misura dall’uso che se fa: per
esempio, una sedia serve per sedersi, un tavolo serve per poggiar su le cose ecc. La
classificazione che diamo agli oggetti dipende fortemente dal nostro comportamento; il
che può suggerire un’utile distinzione tra “illusione” e “realtà”, in quando potremmo
affermare che le illusioni sono scostamenti rispetto al mondo che, attraverso il nostro
comportamento, accettiamo come reale. Di conseguenza pensiamo che un’illusione sia
qualcosa di intangibile che non rispetta nessuna legge fisica ed è tale perché confrontata
con la realtà non esiste. Tuttavia alcuni fenomeni illusori non possono essere confrontati
con la realtà comunemente accettata, in quanto esistono finzioni percettive alle quali
non corrisponde alcun oggetto. Altri elementi che risulta difficile confrontare con la
fisicità delle cose sono i paradossi percettivi, che non possono proprio esistere come
oggetti. Infine troviamo le ambiguità percettive di alternanza, nella quali vi è uno
spostamento repentino dalla percezione di un oggetto a quella di un altro, che solo
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.287-288
41
Che cosa sono le illusioni ottiche?
occasionalmente possono corrispondere ad un oggetto reale. Di conseguenza diciamo
che le nostre percezioni non sempre sono direttamente collegate alla realtà fisica, anzi è
molto probabile che non lo sia. Tutto ciò genera dei grossi interrogativi su cosa si deve
intendere per illusioni percettive e cosa per illusioni concettuali. Esistono delle illusioni
che possono coinvolgere più di uno nei nostri sensi, pensiamo per esempio all’illusione
dimensione peso: un oggetto più piccolo sembra più pesante di un oggetto più grande
avendo lo stesso peso del primo. Questa illusione si dice cognitiva, in quanto dipende
dalla conoscenza che ciascuno di noi possiede per oggetti materiali, la quale ci induce a
pensare che oggetti più grandi siano generalmente più pesanti di quelli più piccoli dello
stesso tipo. Molti sono i modi in cui la percezione può fallire. In casi estremi addirittura
si possono creare dei mondi interiori allorché finzioni visive possono essere confuse con
la realtà. Tutto ciò si può verificare in alcune patologie psichiche o nell’uso di sostanze
stupefacenti.
5.2 Sogni e allucinazioni
Ogni notte quasi 6 miliardi di persone sulla Terra sognano per più di un'ora, costruendo
miliardi di sogni. I sogni, così come le allucinazioni, possono essere visive oppure
uditive, e possono coinvolgere ciascuno degli altri sensi, come odorato o il tatto.
Quando vengono coinvolti più sensi la sensazione di realtà che ne deriva può divenire
opprimente e fastidiosa. Un fenomeno documentato è il vivere esperienze irreali in
gruppo sotto forma di allucinazioni o anche sogni, tutto ciò si può verificare a causa di
particolari suggestioni collettive che influenzano l’atto percettivo di gruppi di persone
che condividono le stesse paure. Altri casi in cui particolari patologie possono far
insorgere allucinazione sono, i tumori al cervello, in questo caso gli organi percettivi
vengono attivati da stimoli nervosi interni al cervello. Anche l’uso di droghe può
portare tali effetti sensoriali sostituendo quasi in modo completo l’attività sensoriale
normale con una illusoria. Per comprendere meglio in che stato si verificano tali
allucinazioni basta pensare alle immagini che spesso ci appaiono nello stato di
Dal sito: http://www.cicap.org/enciclop
42
Sogni e allucinazioni
dormiveglia quando fatti dell’esperienza personale possono riproporsi come un film
nella nostra mente, con scene limpide e molto dettagliate anche se i nostri occhi restano
chiusi. Altre motivi che possono far insorgere fenomeni di allucinazioni sono: la
solitudine, l’alienazione sul lavoro o la noia.
Ma cosa sono in realtà i sogni? Le teorie sono tante e anche contraddittorie fra loro, fin
dall’antichità si è attribuito al sogno un valore magico, sono nate delle vere e proprie
enciclopedie sul significato della simbologia dei sogni. Ma in realtà oggi sappiamo
benissimo che il sogno è un’analisi interiore che il nostro cervello opera in quello stato
di incoscienza che è il sonno.
Nel 1861 il francese Alfred Maury avanzò l'ipotesi che i sogni fossero provocati da
stimoli esterni. Giunse a questa conclusione in seguito a un curioso incidente che gli
capitò una notte. Stava sognando di essere ghigliottinato durante la Rivoluzione
francese, quando sentì la lama staccargli la testa, si svegliò pieno di terrore, si accorse
che la testiera del letto gli era caduta sul collo. Da ciò, Maury concluse che tutto il
sogno si era svolto tra la caduta della testiera e il risveglio, e che quindi tutta la storia e
le scene di prigione fossero passate in un lampo, create da quella sensazione. In realtà,
gli studi più recenti hanno potuto dimostrare che la maggior parte dei sogni occupa un
tempo reale.
Ai primi del novecento, enorme scalpore fecero le teorie di Sigmund Freud, il quale
sosteneva che "Il sogno è la strada maestra verso l'inconscio". Con ciò intendeva dire
che, considerato che durante il sonno la mente cosciente non è attiva, tutte quelle
sensazioni, pensieri, idee disturbanti che cerchiamo di evitare quando siamo svegli
spuntano fuori mentre stiamo sognando. Inoltre, anche durante il sogno noi ci
difenderemmo dai nostri pensieri, facendoli diventare frequentemente delle idee
fantastiche. Queste immagini costituirebbero i nostri sogni, interpretabili
esclusivamente attraverso l'analisi di uno psicanalista. Il problema, però, è che se si
cerca un significato in immagini fantasiose come quelle dei sogni lo si può sicuramente
trovare, ma non c'è nessuna certezza che sia poi quello giusto.
Dal sito: http://www.cicap.org/enciclop
43
Sogni e allucinazioni
Una teoria contrapposta a quella freudiana è quella del neurofisiologo Robert W.
McCarley, il quale suggerisce che i sogni non indichino un processo di mascheramento
bensì di attivazione: questo spiegherebbe perché molti sogni riportano un'attività
eccessiva come il correre, lo scalare e così via.
C'è poi un'altra teoria che propone che il sogno sia un modo di elaborare le informazioni
nascoste durante le esperienze quotidiane. Durante la giornata molti eventi ci colpiscono
ma noi ne prendiamo in considerazione soltanto una piccola parte. Nonostante ciò molte
di queste informazioni sono importanti e per questo sono mantenute in un sistema di
memoria per riemergere quando cadiamo addormentati. Secondo questa teoria, dunque,
noi abbiamo bisogno di sognare per classificare gli eventi e risolvere dei problemi che si
sono posti durante la giornata.
Vicina a questa teoria è l'ipotesi delle "reti neurali", intese come complessi gruppi di
cellule nervose che lavorano insieme per registrare le associazioni tra cose ed eventi.
Ogni rete è in grado di ricordare una gran quantità di eventi contemporaneamente; man
mano che aumenta il numero di cose da ricordare, però, tutti questi elementi si
mescolano e ciò potrebbe portare a confusioni terribili se non, addirittura, a vere e
proprie allucinazioni. C'è dunque bisogno di fare ordine e pulizia tra tutte queste
immagini e la teoria delle reti neurali sostiene che ciò avviene di notte. Con i sogni le
reti vengono inondate di impulsi nervosi che portano via tutti i ricordi più deboli,
lasciando solo quelli più forti per il giorno seguente, permettendo così alla rete pulita di
continuare a imparare. In altre parole, la funzione del sogno secondo questa teoria
sarebbe quella di liberarsi dei ricordi che non servono, e quello che vediamo nei sogni,
dunque, non sarebbe altro che la "spazzatura" che il nostro cervello sta buttando via.
5.3 Classificare ed ordinare le illusioni visive
Non è affatto facile classificare e ordinare per tipo i fenomeni delle illusioni, in quanto
la classificazione può essere effettuata in base al modo in cui il fenomeno appare oppure
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.297
Dal sito: http://www.illuweb.it
44
Classificare ed ordinare le illusioni visive
definire la causa che lo ha generato. Purtroppo ancora oggi molte cause di questi
fenomeni sono inspiegabili e spesso il manifestarsi, di tali illusioni, è diverso di volta in
volta, per questo motivo non possiamo arrivare ad un risultato univoco. Di seguito
organizzeremo lo studio delle illusioni ottiche in due gruppi.
Il primo gruppo è riferito alle illusioni più antiche e conosciute, catalogate utilizzando il
nome usato per classificare gli errori del linguaggio: ambiguità, distorsioni, paradossi e
finzioni. Il secondo gruppo che non presenta una classificazione specifica, comprende
illusioni generate soprattutto con tecnologie recenti, come particolari software:
anamorfosi, fotomosaici e stereogrammi
5.4 Ambiguità
Vi sono figure ben note in cui avviene una continua commutazione tra alcune possibilità
interpretative, le così dette figure ambigue. Tramite esse si possono mettere in luce le
dinamiche della percezione e la ricerca di ipotesi su quali oggetti potrebbero o non
potrebbero trovarsi nel mondo. Esistono diverse tipologie di figure ambigue, a seconda
che si debba decidere la forma, la profondità o la natura stessa dell’oggetto che si sta
osservando. In tali figure siamo portati a vedere solo una delle tanti interpretazioni che
si potrebbero dare. I motivi di tutto ciò restano ancora da studiare e scoprire.
Una nota figura che mostra le variabili percettive è il cubo di Necker.
Cubo di Necker
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.299
45
Ambiguità
In questa figura non vi è alcuna indicazione che consenta di stabilire quale delle due
facce grandi si trovi davanti e quale dietro, perciò vediamo la figura commutare in due
prospettive differenti ma ugualmente probabili. Le ambiguità possono risultare molto
utili nelle ricerche sulla percezione, dal momento che le percezioni cambiano anche se
gli stimoli visivi restano completamente immutati. Le ambiguità visive ci permettono, in
particolare, di separare gli effetti dei segnali che vengono dal basso, provenienti dagli
occhi, rispetto alla conoscenza e alle ipotesi che vengono dall’alto.
Nella prossima figura, anche essa molto conosciuta disegnata da E.G. Boring, è
illustrata un’ambiguità di tipo “commutazione di oggetto”. Se l’osservazione si sofferma
su particolari differenti, si verificano due differenti percezioni della figura: un’anziana
signora o una giovane donna.
Anziana signora o giovane donna
In base ad una regola generale, il nostro occhio riconosce più probabilità che una figura
sia convessa piuttosto che concava. In natura la maggior parte degli oggetti che si
presentano ai nostri occhi hanno una forma convessa. Una mirabile dimostrazione di
questa tesi è l’esperimento del volto concavo. Per osservare questo fenomeno basta aver
davanti agli occhi una semplice maschera di un comune viso umano, che frontalmente
Dal sito: http://www.illuweb.it
46
Ambiguità
è concava e internamente convessa. Se osserviamo la maschera dalla parte concava a
circa un metro, la faccia interna appare come un normale volto, con naso in rilievo,
nonostante in realtà sia concavo. Se la maschera viene ruotata lentamente, si passa
attraverso una sequenza di sorprendenti trasformazioni, e la direzione di rotazione si
inverte, a seconda che venga ad evidenziarsi il dietro concavo o la parte frontale
convessa.
La maschera concava
5.5 Distorsioni
Le distorsioni rappresentano un altro fenomeno molto interessante delle illusioni
ottiche. Le lunghezze possono venire alterate, e una linea retta può apparire piegata, per
cui pare davvero difficile che sia effettivamente una questione semplicemente ottica e
Dal sito: http://www.illuweb.it
47
Distorsioni
che la retta in realtà sia completamente diritta. I primi a rendersi conto di tali distorsioni
furono i fisici e gli astronomi del diciannovesimo secolo che progettarono delle lenti per
delle osservazioni precise delle stelle o di particolari fenomeni. Proprio per questo
motivo molte di queste illusioni portano il nome dei loro scopritori. Le cause di
distorsione percettive sono molte per questo motivo può risultare davvero difficile
stabilire le leggi che regolano tale fenomeno. Una delle più conosciute ed anche una
delle più sorprendenti è la così detta “illusioni della parete del caffè”.
Fu scoperta da Bristol, guardando le piastrelle di un caffè del secolo scorso, da cui
deriva il nome. Questa illusione contraddice la nozione secondo la quale le distorsioni
illusorie sono generate da una inadeguata riduzione di scala, provocata dall’intervento di
qualche accorgimento volto a suggerire la profondità, come per esempio l’uso della
prospettiva, però, dal momento che qui non ci sono né prospettive né altri elementi che
possano suggerire la profondità, l’esempio risulta un’evidenza che contraddice la teoria.
In effetti questo tipo di illusioni consentono di introdurre molte variabili nei fenomeni di
percezione visiva, in questo caso abbiamo un ricco insieme di fenomeni illusori
governati da specifiche leggi. Osservando la figura in basso ci accorgeremo che
l’immagine, anche se perfettamente simmetrica e formata da linee parallele, ai nostri
occhi risulta essere completamente asimmetrica e sbilanciata.
Illusione della parete del caffè
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.299
Dal sito: http://www.illuweb.it
48
Distorsioni
In questo caso si istaurano un processo dove si localizza un contrasto di luminosità tra la
linea di separazione neutra dovuta alla malta in cui la metà delle piastrelle, di colore
chiaro, sembra muovere incontro all’altra metà di colore scuro, dando luogo a piccoli
cunei disposti nei punti di asimmetria locale. L’occhio integra questi piccoli cunei,
dando origine ai cunei grandi che si possono osservare nella figura in alto.
Altre illusioni molto note per quanto riguarda i fenomeni di distorsione sono quelle di
natura prospettica. Sono molte le teorie che si sono sviluppate per spiegare tali illusioni.
Esse riflettono la diversità dei punti di vista sul fenomeno della percezione e sono
notevolmente varie.
Illusione di Hering e illusione di Orbison
Nella prima figura le linee rosse sono rette?
Nella seconda figura i due poligoni raffigurati sono un cerchio e un quadrato perfetti?
5.5.1 -“Teoria della pregnanza”, o della “Figura gradevole”La prima teoria che cerca di dare una spiegazione a tale fenomeno di distorsione è la
“Teoria della pregnanza”, o della “Figura gradevole”.
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.320
Dal sito: http://www.illuweb.it
49
“Teoria della pregnanza”, o della “Figura gradevole”
L’idea della pregnanza risulta centrale per l’interpretazione del processo percettivo
elaborata dalla scuola della Gestalt. Si suppone che l’illusione è data proprio dalla
pregnanza, la quale in una scena tende ad aumentare la distanza dei particolari che
sembrano essere isolati dal contesto, e a ridurre la distanza di quelli che sembrano
invece appartenere ad una figura unica. Tuttavia questa teoria è dubbia in quanto, è vero
che un insieme di punti simili, rispetto all’occhio, tende ad unirsi sotto forma di un
unico oggetto, ma è altrettanto vero che, tale fenomeno, non sembra manifestare alcuna
tendenza a variare la posizione dei punti in conseguenza di un raggruppamento.
5.5.2 -Teorie che richiamano il movimento oculareQueste teorie ipotizzano che gli elementi che inducono l’illusione portano gli occhi a
guardare in un punto sbagliato dell’immagine. Per spiegare meglio il meccanismo di
tale teoria prendiamo in considerazione l’illusione della freccia di Muller Lyer.
Illusione di Muller-Lyer
In questa illusione si potrebbe supporre che gli occhi siano spinti dalle punte delle
frecce oltre il limite delle righe facendo si che il segmento stesso appaia di lunghezza
sbagliata, mentre nel secondo caso si deve ipotizzare che gli occhi siano spinti
all’interno delle righe. Ma tale teoria risulta essere infondata in quanto gli occhi non si
possono muovere in direzioni diverse e quindi osservare due figure differenti nel
medesimo istante.
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.322
Dal sito: http://www.illuweb.it
50
Teorie che richiamano alla prospettiva
5.5.3 -Teorie che richiamano alla prospettivaIl fulcro di queste teorie è il fatto che, molte figure di distorsione suggeriscono la
profondità per mezzo della prospettiva, producendo delle variazioni di dimensioni.
Analizzando molte illusioni di distorsione ci accorgiamo che le figure raffigurate
possono senza dubbio essere delle proiezioni piatte di figure a tre dimensioni. Inoltre è
accertato che in tali figure i particolari rappresentati come distanti appaiono ingranditi.
Questo concetto suggerisce immediatamente che, questi fenomeni, siano puramente di
natura cognitiva piuttosto che fisiologici. Di conseguenza, essi sono associati alle regole
della conoscenza propria della mente. Nell’illusione di ponzo tale fenomeno risulta
essere molto chiaro.
Illusione di Ponzo.
Semplice figura prospettica in cui il segmento A percepito come più distante viene ingrandito
visivamente. Di conseguenza il segmento A sembrerà più lungo rispetto al segmento B anche se in realtà
sono della stessa lunghezza.
Le linee convergenti sono tipiche della prospettiva di profondità, ritenere di dover
collocare il segmento superiore ad una distanza maggiore lo fa, in qualche modo,
apparire più grande. Le teorie tradizionali della prospettiva affermano semplicemente
che queste figure suggeriscono la profondità, e che se questo suggerimento viene
seguito le figure più distanti appariranno sicuramente più grandi. Ma il fenomeno strano
è che nella realtà le figure più distanti appaiono sulla retina più piccole rispetto a quelle
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.322
Dal sito: http://www.illuweb.it
51
Teorie che richiamano alla prospettiva
più vicine, allora perché in queste illusioni si verifica tale fenomeno?
Vi è un meccanismo della percezione detto “processo di modificazione di scala”, che
assicura la costanza delle dimensioni dell’immagine mediante una amplificazione visiva
variabile che tende a compensare il cambiamento delle dimensioni dell’immagine
retinica corrispondente a variazioni nella distanza dell’oggetto. Così, allontanando gli
oggetti, questi non si rimpiccioliscono nella stessa misura in cui diminuiscono le
immagini sulla retina. Un esempio è dato dalla platea del pubblico in un teatro, le facce
degli spettatori ci appaiono più o meno della stessa dimensione anche se le immagini
retiniche delle persone più distanti sono molto più piccole, sulla retina, rispetto a ciò che
realmente percepiamo.
Modificazione di scala che produce la costanza dimensionale.
L’immagine di un oggetto dimezza la propria dimensione ogni volta che raddoppia la sua distanza
dall’osservatore. Ma essa non sembra affatto ridursi, in quanto il cervello interviene a compensare la
riduzione delle dimensioni dovuta alla maggior distanza mediante il processo di modificazione di scala.
Dal sito: http://www.illuweb.it
52
Percezione della luna
5.6 Percezione della luna
Sicuramente a tutti noi è capitato di vedere la luna di dimensioni diverse a secondo della
posizione che occupa nel cielo. Non è l’altezza nel cielo a determinare le dimensioni
della luna ma, ciò che le fa da sfondo. Per esempio se si vede sopra l’orizzonte delle
montagne non solo appare più grande ma anche molto più vicino alla terra rispetto al
solito. Questo fenomeno è molto particolare, sembra che un processo di tipo “verso
l’alto” (come per l’illusione di Ponzo), la sua dimensione subisca un’amplificazione di
scala, cosicché essa ci appare più grande nel cielo. Poi dal momento, che il cielo non
presenta alcuna granulosità superficiale, la luna, proprio in quanto sembra più grande
appare anche più vicina.
Illusione della luna
Quando la luna invece è alta nel cielo sembra avere sempre la stessa dimensione per il
semplice motivo che il sistema visivo ha delle ipotesi di partenza, che sono accettate per
vere quando non c’è nessun altro punto di riferimento da tenere in considerazione
durante la fase dell’osservazione. Ancora purtroppo sappiamo poco su queste distanze
di riferimento che il cervello calcola durante l’osservazione di corpi celesti.
Dal sito: http://www.illuweb.it
53
L’assenza di prospettiva può causare distorsioni visive
5.7 L’assenza di prospettiva può causare distorsioni visive
I fenomeni di distorsione si possono verificare anche con l’assenza di prospettiva.
Quando la profondità tridimensionale di un’immagine viene individuata mediante altri
suggerimenti, oppure quando viene ipotizzata in base alla conoscenza che si ha di un
determinato oggetto rappresentato in una figura, l’effetto di distorsione che si ha può
provocare fastidio, in quanto tali oggetti possono apparire stranamente modificati e
privi di ogni significato logico.
Da ciò si può dedurre che ci siano due tipi di processi di trasformazioni nella scala
dimensionale, verso l’alto, a partire dai suggerimenti di profondità che ci danno gli
oggetti raffigurati, e verso il basso, basato sull’ipotesi più attendibile che abbiamo sul
concetto di profondità.
Distorsione dall’alto verso il basso.
Quando questa figura viene intesa come un tavolo visto obliquamente nello spazio, il bordo più lontano
appare troppo lungo e i lati non sembrano paralleli, anche se in realtà lo sono. Tutto ciò è dovuto al
manifestarsi del fenomeno della modificazione di scala che opera deduttivamente a partire dell’ipotesi
formulata sulla profondità.
5.8 Paradossi
Il più noto tra i paradossi visivi è il “triangolo impossibile”, disegnato dall’inglese
Lionel Penrose e dal nipote, Roger Penrose, nel 1958. Tale figura guardata nelle
prospettiva frontale risulta un oggetto impossibile che sfora dalle regole di prospettiva,
ma se realizziamo un modello tridimensionale di tale triangolo e lo osserviamo su una
prospettiva differente l’oggetto diventa del tutto normale e quindi possibile. L’effetto
paradossale non dipende quindi da combinazioni artificiali di suggerimenti visivi, anche
Dal sito: http://www.illuweb.it
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.346
54
Paradossi
se la prospettiva di osservazione è critica. La paradossalità dell’immagine scaturisce da
un’essenziale regola visiva: quando due particolari o due oggetti si toccano, si tende a
vederli alla medesima distanza, questo accade anche se la distanza fra i due oggetti è
assai differente.
Triangolo impossibile
L’oggetto della prima figura sembra impossibile ma in realtà se osservato da punti di vista differenti
magicamente non risulta più un oggetto impossibile ma assolutamente realizzabile.
5.9 Finzioni
Esistono particolari circostanze in cui la visione può presentarsi come una finzione,
come una serie di superfici e contorni entrambi illusori, eppure visti, in condizioni
normali da tutti gli osservatori. In tali fenomeni le ombre influiscono molto sul processo
visivo di tali figure, anche se percepite con distacco dalla figura stessa spesso ne sono
parte integrante. Le ombre sono così importanti nel processo visivo che addirittura delle
volte possono evocare la presenza di oggetti che in realtà non sono presenti nella figura.
Le superficie fittizie di oggetti immaginari che percepiamo in questi casi, sono viste
soltanto quando esse sono percepite di fronte alla figura che le origina. In questo modo,
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.350
55
Finzioni
il meccanismo di occlusione risulta essere sia un importante accorgimento volto a
suggerire la sensazione di profondità, sia un postulato che viene sistematicamente
introdotto dall’osservatore quando appare altamente probabile vi sia un oggetto più
vicino che ostruisca la vista anche se in effetti non è presente.
Finzione visiva di Shumann
Fu presentata nel 1904, in questa immagine possiamo notare un quadrato sovrapposto ad un poligono
Il triangolo fittizio di Kanizsa
Il triangolo che appare più brillante dello sfondo non esiste.
Richard L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Raffaello Cortina Editore,1998. pag.350
56
Applicazioni che generano illusioni ottiche
5.10 Applicazioni che generano illusioni ottiche
Con l’arrivo delle nuove tecnologie è stato possibile studiare e realizzare nuovi ed
entusiasmanti metodi per generare illusioni ottiche molto suggestive. Tutto ciò è
possibile grazie a dei calcoli molto precisi di grandezze fisiche fatte per mezzo del
computer che genera delle immagini illusorie. In passato molti artisti sono ricorsi a
metodi molto particolari per generare illusioni nei propri dipinti o addirittura per
nascondere qualche particolare, ma con l’avvento del calcolatore è stato possibile
generare dei veri e propri mondi illusori puramente digitali e privi di qualsiasi legame
con la realtà, la scienza che si occupa di tutto ciò è la realtà virtuale. Nelle pagine che
seguiranno illustrerò le varie applicazioni e tecniche che generano illusioni ottiche e
addirittura nuovi mondi illusori.
5.10.1 Anamorfosi
E' a Leonardo da Vinci che dobbiamo le prime anamorfosi piane conosciute e studiate.
Sia alcuni suoi appunti, che alcuni suoi disegni, dimostrano la perfetta acquisizione del
principio che porta alla creazione di queste figure illusorie.
Un foglio del Codice Atlantico contiene due disegni anamorfoci, di Leonardo,
rappresentanti la testa di un bambino e un occhio (figura sotto).
Questa strana figura rappresenta lo schizzo di una testa ma per vedere il disegno
correttamente dovreste porvi a sinistra del foglio e guardare l'immagine di sbieco
accostando il naso al bordo del foglio.
Dal sito: http://www.illuweb.it/anamorfismi/anammenu.htm
57
Anamorfosi
Se avete seguito correttamente le istruzioni dovreste vedere una figura simile a quella
riportata sopra ottenuta "stringendo" l'immagine originale di Leonardo.
Nell'anamorfosi piana quindi la figura viene disegnata tenendo conto di una visione non
frontale ma laterale e l'artista che la crea la disegna ponendosi da un preciso punto di
vista che l'osservatore deve ricreare per poter vedere l'immagine in prospettiva.
5.10.2 Fotomosaici
I fotomosaici sono dei disegni formati da centinaia di altri disegni o foto.
Guardando questi disegni da una certa distanza si riesce a vedere il soggetto principale
mentre da vicino si distinguono le singole foto che formano il disegno.
Il loro inventore è Robert Silvers, che ha creato il software che permette di realizzare
queste particolarissime immagini.
In pratica il computer elabora quella che dovrà essere l'immagine finale e la divide in
moltissimi punti creando una griglia.
Poi seleziona da un database le varie foto da inserire 'pesando' la tonalità il colore e le
linee principali e le inserisce nel posto che ritiene più opportuno nella griglia. Il risultato
finale sarà un mosaico composto da centinaia di foto.
Qui sotto potete ammirare un esempio accanto c'è un particolare con le singole foto che
li compongono.
Dal sito: http://www.illuweb.it/fotomosa/fotomain.htm
58
Stereogrammi
5.10.3 Stereogrammi
Gli stereogrammi sono delle figure piane che osservate in particolari condizioni
riescono a “creare” una raffigurazione tridimensionale.
I primi stereogrammi risalgono al 1838 ad opera del fisico inglese Charles Wheatstone
che inventò lo stereoscopio: un apparecchio che ricomponeva grazie ad un sistema di
specchi due immagini poste a pochi centimetri l'una dall'altra e raffiguranti lo stesso
oggetto ma con un angolo di visuale leggermente diverso.
Con l'invenzione della fotografia la tecnica si affinò arrivando fino alla creazione di una
particolare macchina fotografica formata da due obiettivi posti a 5-6 cm. di distanza che
fornivano delle foto formate da due immagini prese da una differente angolazione e che
simulavano la visione di ciascuno dei due occhi.
Al 1972 risalgono gli RDS (Random Dot Stereograms) consistenti in un apparente
coppia di disegni puntiformi casuali ed irrazionali che invece fornivano in particolari
condizioni di osservazione una singola immagine tridimensionale razionale e definita.
Del 1979 infine i SIS (Single Image Stereograms) che riuscivano ad incorporare in una
singola immagine le informazioni di due RDS.
Sono questi SIS quelli che ben conosciamo e di cui possiamo vederne uno nella figura
qui sotto.
SIS
In questo in particolare quello che sembrerebbe essere un foglio di carta da regalo in realtà nasconde
l'immagine tridimensionale di uno shuttle con tanto di pianeta saturno alla sua destra.
59
Stereogrammi
Come abbiamo già detto nell'introduzione sugli stereogrammi la visione tridimensionale
avviene per una serie di fattori tra i quali quello più importante è relativo al fatto che
ogni occhio vede un'immagine leggermente diversa da quella che vede l'altro.
Se guardiamo direttamente uno stereogramma mettendo quindi a fuoco su di esso non
vedremo altro che una singola immagine piana contenente dei puntini casuali o delle
texture ripetute e tutto questo non stuzzicherà molto la nostra attenzione.
Se invece lo osserviamo con le tecniche che di seguito riusciremo a fornire al cervello
due immagini distinte tali da ingannarlo per fargli 'creare' dal nulla una raffigurazione in
tre dimensioni e non sarà affatto difficile stupirsi per quello che apparirà ai nostri occhi.
Le tecniche che permettono la visione di uno stereogramma esaminiamole sono due:
1) La tecnica in parallelo richiede la messa in parallelo dell'occhio destro con quello
sinistro quindi è come se si guardasse qualcosa in lontananza.
Il punto di messa a fuoco deve essere oltre, ma non troppo, il piano contenente lo
stereogramma. Il metodo consiste nel mettere a fuoco un oggetto a circa uno o due metri
di distanza e interporre tra l'oggetto e gli occhi uno stereogramma muovendolo avanti e
indietro lentamente in modo tale da trovare la posizione in cui dall'immagine sfuocata
lascia posto all'immagine tridimensionale. Non si deve cercare di mettere a fuoco il
foglio.
2) La tecnica incrociata richiede l'incrocio degli occhi.
Se si interpone un dito o una penna tra l'immagine e gli occhi, lo sguardo si incrocia e si
sfuoca tutto ciò che c’è dietro. Mantenendo nella stessa posizione gli occhi si deve
spostare l’attenzione, ma non la messa a fuoco, sull’immagine. Poi si deve regolare
gradualmente la distanza tra dito e immagine. Al raggiungimento della posizione
corretta si deve attendere, ed apparirà magicamente l'immagine tridimensionale.
Dal sito: http://www.illuweb.it
60
Illusione della realtà: la realtà virtuale
5.10.4 Illusione della realtà: la realtà virtuale
La Realtà Virtuale è un fenomeno recentemente prodotto dalla tecnologia cibernetica
più avanzata, che prevede l'uso di computer molto sofisticati che consentono
un'interazione pressoché totale e a tutti i livelli tra il soggetto agente e la macchina alla
quale esso è collegato da sensori che stimolano i sensi principali.
Si può pensare alla Realtà Virtuale come ad una lanterna magica che ci apre finestre su
mondi nuovi, dall'atomo alle circonvoluzioni cerebrali.
La Realtà Virtuale è un assemblaggio, negli anni '80, di più invenzioni tecnologiche nel
campo della cibernetica, (con notevoli contributi da parte della ricerca spaziale).
Una fortunosa e geniale intuizione di un tecnico informatico di origine californiana,
Jaron Lanier, appoggiato da mecenati interessati alla novità tecnologica e consapevoli
del futuribile della stessa (di volta in volta, case francesi di produzione nel campo della
computeristica, poi giapponesi, poi americane).
Una sera, tra amici, Jaron Lanier esprime il desiderio di inventare una chitarra invisibile.
Interessato all'argomento è l'amico Thomas Zimmermann, aspirante cantautore, versato
nelle cose cyber, che inventa e brevetta un guanto speciale, dotato di sensori a fibre
ottiche, il "data glove", che viene presto abbinato da Lanier al visore del computer ( una
specie di 'mouse' che consente la percezione degli stimoli ).
Il tutto viene poi perfezionato ed al guanto viene aggiunto il casco (eye-phone ) ed il
cybercorredo con tanto di tuta ( data-suit ) ed occhialoni intelligenti, che forniscono
sensazioni visive, acustiche e tattili completamente artificiali e prive di una
corrispondente sorgente reale.
Il computer converte il suo modello digitale di mondo in una configurazione di segnali
luminosi, vista in modo da ingenerare la sensazione della reale esistenza dell' ambiente
circostante, ed in onde sonore percepibili, mescolate nei modi giusti, per convincere il
soggetto interessato di trovarsi realmente all'interno di un mondo virtuale, puramente
illusorio.
E' chiaro che la complessità delle immagini riprodotte, che devono avvicinarsi sempre
più alla realtà conosciuta, prevede la continua necessità , da parte del computer, di
ricalcolare l'intero mondo ogni volta che si muove la testa.
61
Illusione della realtà: la realtà virtuale
Ne consegue che per creare un solido, colorato, illuminato in maniera appropriata ed
ombreggiato, ci vuole più potenza di calcolo e, quindi, computer più costosi. Questo è
uno dei motivi che hanno parzialmente frenato l'incredibile slancio iniziale
dell'invenzione, che pareva, in prima battuta, non avere limiti applicativi in termini
spazio-temporali di produzione industriale da fantascienza.
Il progetto, allo stato embrionale concepito da Lanier e Zimmermann, viene
industrializzato nella Silycon Valley, ed inizia la diffusione su scala internazionale.
Tale tecnologia ha portato molti miglioramenti e progressi all’umanità ma con grandi
progressi si è trascinata dietro di se anche molti problemi.
I risvolti straordinariamente utili e di grande importanza per lo sviluppo dell'umanità
sono davvero tanti, si pensi per esempio allo sviluppo della ricerca sul cancro mediante
lo studio dell'agganciamento delle molecole iper-ingrandite nel cyberspace oppure a
tutti i progressi relativi alla comunicazione o alla possibilità di ispezioni, impossibili
nella realtà, in ambienti ostili grazie alla simulazione di tali spazi.
Ma quali sono le potenzialità meno controllabili, prevedibili o preoccupanti di questa
tecnologia?
Com’è noto, la problematica inerente all'uso di uno strumento tecnologico si dipana nel
senso di inquadrare i limiti adeguati ad una corretta visione morale, all'interno dei quali
tale strumento può essere di grande aiuto all'espressione delle ricchezze creative
dell'essere umano.
All'esterno di tali limiti c'è spazio solo per una concezione che abusa dello strumento,
asservendo la libertà dell'uomo alla tecnica alla quale l'oggetto è collegato.
Per chiarire il discorso, si pensi all'uso della televisione: risulta di particolare evidenza
che attualmente la maggior parte dei nostri simili ha largamente esorbitato da quelli che
sono i limiti oggettivamente e soggettivamente auspicabili rispetto all'uso del mezzo: il
porsi acriticamente davanti allo schermo con finalità di semplice drenaggio cerebrale o
di ottundimento delle proprie capacità percettive per fuggire dalla realtà esterna e dalle
proprie responsabilità pare essere un uso inadeguato e senz'altro nocivo del mezzo.
Allo stesso modo occorre porsi in un'ottica analoga nella valutazione dei limiti necessari
all'uso della tecnologia della Realtà Virtuale, coinvolgendo necessariamente parametri
di carattere etico ed esistenziale.
62
Illusione della realtà: la realtà virtuale
Pare fin troppo facile demonizzare una realtà così complessa e aperta ad abusi di
qualunque genere e degenere; si pensi alla teledildonica (sesso simulato a distanza) o
alla LSD elettronica (simulazioni cui ci si assuefà in tale modo da sostituire la realtà).
Certo sono aspetti che turbano i nostri pensieri, ma non dobbiamo considerarla come un
male, bisognerebbe semplicemente accettare il fatto che abbiamo a disposizione una
tecnologia molto importante per il nostro sviluppo ma nello stesso tempo un’arma
capace di fare molto male all’umanità.
Vivere un bel sogno è una bella esperienza ma prima o poi dobbiamo svegliarci e
abbandonare l’illusione.
63
Conclusioni
Dopo questo breve viaggio all’interno del mondo della percezione visiva e delle
illusioni ottiche, non ci resta altro che trarre delle considerazioni su ciò che abbiamo
studiato.
Abbiamo visto come il cervello esamina ed interpreta le informazioni visive che gli
arrivano dall’occhio al fine di percepire l’osservato e dargli un significato compiuto. Ed
è proprio in questo passaggio che noi comprendiamo ed interpretiamo la realtà in modo
soggettivo in riferimento ad una realtà oggettiva che ci è data dall’esperienza,
dall’ambiente e dalla società in cui viviamo. Ma molte volte lo stesso cervello pone dei
limiti alla percezione, ed è proprio in questa fase che possono insorgere i fenomeni di
illusione ottica. Le ambiguità visive, il rapporto figura-sfondo e tutti gli altri
meccanismi legati alle illusioni, rappresentano i limiti percettivi del nostro cervello che
cerca di comprendere la realtà secondo dei criteri specifici che normalmente
intervengono nella fase percettiva. Il non riuscire a distinguere una figura posta in uno
sfondo particolare o l’ambiguità di un oggetto è la prova che il cervello posto di fronte a
tali processi si trova in difficoltà, in quanto non ha le potenzialità per arrivare ad
interpretare questi oggetti o fenomeni. Infatti, l’esperienza che acquisiamo durante il
corso della vita fornisce delle costanze percettive che riutilizziamo in ogni momento
allo scopo di comprendere ciò che appare alla nostra vista. In questi casi mancano le
normali costanze percettive utilizzate nella comprensione di tutto ciò che appare ai
nostri occhi. Nello scorrere della vita, dalla nascita alla morte, tutto si risolve in una
continua educazione dei nostri organi percettivi e soprattutto delle costanze percettive
insite nel cervello di ogni essere vivente; certo è che nei primi anni di vita siamo
predisposti ad apprendere molto di più per il semplice motivo che abbiamo ancora tutto
da imparare. Un neonato appena apre gli occhi si trova davanti ad un mondo
sconosciuto in una realtà del tutto estranea a quella che aveva vissuto prima nel ventre
della madre, la prima cosa che osserva e percepisce è proprio il viso e le sue espressioni,
infatti già dopo pochi giorni di vita riesce ad imitare le espressioni visive del volto che
ha di fronte, il sorriso, la tristezza e così via.
64
Conclusioni
Per un bambino la prima esperienza percettiva è data proprio dal volto, ed è proprio
grazie a questa prima esperienza di percezione che tutti noi siamo in grado di
riconoscere un volto da pochissimi tratti. Basta disegnare due punti e due tratti posti
nella posizione di occhi, naso e bocca per far si che tali rappresentazioni, se pur
grossolane, rendono l’idea del volto e anche dell’espressione che esso può avere a
seconda della curvatura della linea che rappresenta la bocca. Ed è anche per la stessa
esperienza avuta in tenera età che spesso in natura ci appaiono dei volti da particolari
forme di rocce o di tronchi d’albero o quant’altro.
Fino ad ora abbiamo trattato della fisicità della percezione ma non delle emozioni che
sicuramente sono in grado di influire sulle percezioni, anche se non in modo
sistematico. Pensiamo ad un forte sentimento come l’amore. Tale è il suo potere da
renderci felici e di far percepire il mondo sotto un’ottica diversa, tutto sembra più bello
quando siamo innamorati, riusciamo a superare ogni difficoltà senza grossi sforzi perché
siamo motivati ad andar avanti da qualcosa di molto forte e grande. Pensiamo all’odio
che ci rende ciechi e non ci fa percepire quanta sofferenza possiamo causare in
determinate situazioni. Bisogna saper vivere e gestire le nostre percezioni in modo
critico. E a loro volta le stesse percezioni possono influenzare i nostri stati d’animo, da
qui deriva il potere dell’arte. Alcune cose ci incuriosiscono, ci appaiono belle o brutte. È
difficile chiarire come possono avvenire tali scelte. Cos’è il bello? Cos’è il brutto? Sono
delle risposte puramente personali che dipendono dall’esperienza che ognuno di noi ha
avuto con lo scorrere della vita. L’arte, che purtroppo non è stata trattata in questo
studio, rappresenta il materializzarsi di particolari sensazioni. L’osservare un’opera può
scatenare moltissimi sentimenti che influiscono sulla percezione dell’opera stessa. La
raffigurazione di grandi paesaggi, dalle ampie prospettive da sensazione di libertà e di
benessere. Tutto ciò ci fa comprendere che la percezione di qualcosa non avviene solo
in modo sensoriale, per esempio sappiamo che gli oggetti sono fatti di atomi ma in
realtà non abbiamo mai visto un atomo. In questi casi interviene la scienza che da la
possibilità di estendere la conoscenza ben al di là della pura e semplice percezione
sensoriale delle cose. Voglio chiudere queste conclusioni con un quesito; se riflettiamo
sui vari casi di manifestazioni di illusioni ottiche ed in modo particolare sul caso del
rapporto figura-sfondo, ampiamente spiegato nella stesura del testo, possiamo realmente
65
Conclusioni
definire tale caso un illusione ottica? In questo caso l’occhio e il cervello non fanno
forse il loro dovere? L’occhio osserva e il cervello percepisce ciò che c’è da percepire;
Allora perché considerare tale fenomeno come un illusione ottica?
66
Bibliografia
Ernest H. Gombrich, Arte e illusione, Milano, Leonardo Arte s.r.l., 1998.
Serge Ginger, Anne Ginger, La Gestalt-Terapia del con_tatto emotivo-, Roma, Edizioni
Mediterranee, 2004.
Richard L. Gregory, Occhio e Cervello- La psicologia del vedere, Milano, Raffaello
Cortina Editore, 1998.
Arnheim, Il pensiero visivo-La percezione visiva come attività conoscitiva-, Torino,
Giulio Einaudi editore s.p.a., 1974.
Arien Mack e Irvin Rock, Attenzione e Percezione, Milano, McGraw-Hill Libri Italia
s.r.l., 1999.
Manfredo Massironi, Fenomenologia della percezione visiva, Bologna, Il Mulino
editore, 1998.
Carlo Banzaglia, Comunicare con le immagini, Milano, Paravia Bruno Mondadori
Editore, 2003.
Albers J. Interazione del colore, Parma, Pratiche, 1991.
Kanizsa G., Grammatica del vedere, Bologna, Il Mulino Editore, 1980.
Koffka K., I principi della psicologia della forma, Torino, Boringhieri Editore, 1976.
Kanizsa G., Vedere e pensare, Bologna, Il mulino Editore,1991.
Gregory R.L., Occhio e Cervello, Il Saggiatore,1966.
Kandel E.R., Principi di Neuroscienze, C.E. Ambrosiana, 1994.
67
Hubel D.H., Occhio, cervello e visione, Bologna, Zanichelli 1989
Maffei L., Meccalli L., La visione: Dalla Neurofisiologia alla Psicologia, Bruno
Mondadori Editore, 1979
68
Sitografia
http://www.universitor.it/leggiarticolo.php
http://www.internetica.it
http://www.ioideo.it/articolo.asp
http://www.win.it/ricerca/i/illusioni_ottiche.html
http://www.illuweb.it/index.htm
http://www.mclink.it/mclink/astro/ids/lib/spettro.htm
http://www.oculista.it/site/illusioniottiche.asp
http://www.occhio.it/site/illusioni.asp
http://www.edscuola.it/archivio/lre/limcogn.html
http://www.focus.it/focusfile/1111_28_6_45_2.asp
http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=gestaltpsicologia.html
http://otica.fateback.com/Indice.htm
http://www.edscuola.it/archivio/lre/intelligenza_visiva.html
http://www.edscuola.it/archivio/lre/luce.html
http://www.narnia.it/lefo/cerv8.htm
69