Le aziende familiari, la crisi e le sfide per superarla Osservazioni

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Le aziende familiari, la crisi e le sfide per superarla Osservazioni
Le aziende familiari, la crisi e le sfide per superarla
Osservazioni, riflessioni e spunti sul ruolo delle aziende familiari italiane nell’attuale scenario economico
Note a margine della presentazione dei risultati dell’Osservatorio AUB 2011 sulle aziende familiari
italiane che si è tenuto presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano, il 30 novembre 2011.
Di Maria Rosa Matina, dottoranda XXVI ciclo Formazione della Persona e mercato del lavoro.
Abstract
Avviato con la prima edizione del 2009, l’Osservatorio AUB rappresenta l’unica rilevazione sistematica
sulle aziende italiane a controllo familiare di medie e grandi dimensioni. Giunto alla sua terza edizione
annuale, anche quest’anno ha monitorato le strutture, le dinamiche e le performance di tutte le aziende
familiari italiane con ricavi superiori a 50 milioni di euro.
L’obiettivo dichiarato è stato duplice: da un lato verificare alcune evidenze emerse nelle precedenti
edizioni, presentando le relazioni tra strutture proprietarie, modelli di leadership e performance delle
aziende familiari, dall’altro suggerire alcune nuove analisi sul loro ruolo in questo periodo di crisi, sulla
loro ‘apertura’ all’esterno per i modelli di leadership e di governo, sul ruolo dei giovani e su quello delle
donne come motori e opportunità per la ripresa. L’intento, dunque, era fornire un quadro interpretativo
sempre più articolato sulla realtà delle medie e grandi aziende familiari ‘sane’ e vitali, per comprendere
come possano contribuire alla ripresa del nostro Paese.
Promosso da: AIdAF Associazione Italiana delle Aziende Familiari, UniCredit Private Banking e UniCredit
Corporate Banking, dalla Camera di Commercio di Milano e dalla Cattedra AIdAF-Alberto Falck di
Strategia delle aziende familiari dell’Università Bocconi, l’Osservatorio AUB delle Aziende familiari
italiane ha presentato i risultati dell’anno 2011.
L’incontro prevedeva, dopo una prima messa a fuoco della situazione economico-finanziaria italiana,
ma anche europea e internazionale, l’esposizione da parte del Prof. Corbetta dell’analisi condotta
dall’Osservatorio a cui avrebbe fatto seguito una tavola rotonda finale sui temi introdotti dalla relazione
sull’Osservatorio.
Si sono succeduti come relatori: Bruno Pavesi1, Andrea Brasili2, Guido Corbetta3, Gioacchino Attanzio4,
Linda Gilli5, Elena Belli6, Alessandro Spada7, Marco Gabbiani8.
I relatori e gli interventi
Ha avviato la serie di interventi una breve introduzione di Bruno Pavesi che ha sottolineato il duplice
esito della ricerca, interessante sia per l’immagine di solidità del tessuto imprenditoriale medio italiano
che ne emerge, sia per il particolare ruolo che sempre più in quel contesto l’Università Bocconi da anni
sta interpretando come scuola di ‘applicazione pratica’ che riesce a coniugare e a far collaborare tra loro
imprese, istituti finanziari, enti pubblici e mondo accademico.
La parola è passata poi ad Andrea Brasili, il cui intervento è stato finalizzato a comunicare dati che
potessero essere utili per inquadrare il contesto delle relazioni e delle testimonianze successive. La
veloce disamina non solo della condizione economica italiana ed europea, ma più in generale di quella a
livello mondiale, ha fatto emergere una panoramica di tensioni finanziarie e crisi che riguardano tutte le
economie di qua e di là dall’Oceano, con la differenza fondamentale che, mentre negli Stati Uniti quella
che ha fatto la differenza è stata una corposa policy di ‘pronto intervento’ (l’acquisto di 600 miliardi di titoli
di stato) che ha fatto sì che si aprisse lo spazio per investimenti di altro tipo, in Europa la BCE ha
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Consigliere Delegato Università Bocconi.
Responsabile UniCredit Corporate Analysis.
Cattedra AIdAF- Alberto Falck di Strategia della aziende familiari, Università Bocconi.
Direttore Generale AIdAF.
Cavaliere del Lavoro, Presidente e AD Inaz Srl.
Head of Marketing Italy Corporate&Investments Banking UniCredit.
Consigliere CCIAA Milano, Presidente Innovhub e consigliere VRV SpA.
Head of Family Business Private Banking UniCredit.
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applicato anch’essa il Security Makert Program, ma ha acquistato titoli solo per 200 miliardi. Questo ha
sicuramente reso più incerto e difficoltoso per il sistema economico finanziario europeo il reperimento di
liquidità, a cui si è unito il decremento della produttività del comparto manifatturiero legato ormai da
tempo a meccanismi e relazioni industriali globali. Il mercato ormai è da considerare mondiale e in
periodo di crisi, con la domanda interna che cala, le aziende ‘devono’ rivolgersi alla domanda estera. In
questo comparto le nostre aziende mediamente si comportano bene, anche se hanno dimensioni più
modeste delle competitor europee; il dato invece che lascia un po’ più perplessi è che da noi
sopravvivono e sono ammesse nel e dal sistema le aziende che pur avendo fatto profitti, non si allargano
né investono, contrariamente a quanto fanno le omologhe europee, e questa ‘tolleranza’ del sistema
provoca più dispersione.
Su questo aspetto sottolineato da Brasili, una delle possibili interpretazioni potrebbe essere che la
sovrapposizione, spesso penalizzante, tra norme familiari e norme d’impresa, fa sì che si ricorra a
pratiche di compromesso che vanno a scapito dei criteri di economicità ed efficienza,9 mentre in nome
del fine aziendale, che dovrebbe accomunare il bene dell’impresa e il bene della famiglia, bisognerebbe
avere il coraggio e l’intuizione di cambiare le regole di governance. A questo proposito è già stato
rilevato10 che questa sensibilità e questa prontezza al cambiamento sembra siano più facili da parte delle
generazioni entranti nelle imprese familiari che non nell’establishment fondatore, principalmente per
ragioni di preparazione e di cultura oltre che per ragioni di prudenza, genericamente ascrivibili all’età più
matura. L’intervento di Brasili si è poi concluso con un quesito lasciato aperto per i relatori successivi:
cosa fare perché le imprese crescano e come far sì che ci sia maggior capacità di selezione.
Guido Corbetta: la presentazione dei risultati
Ha preso poi la parola Guido Corbetta, la cui esposizione ha fatto da perno e riferimento per tutti gli
interventi del convegno. Ribadendo e sottolineando che l’Osservatorio non si è occupato di un campione,
ma di tutte le aziende familiari italiane che fatturano più di 50 milioni di euro, ha così suddiviso il suo
intervento: a) caratteristiche delle 2400 imprese oggetto dell’analisi b) il tema dell’apertura all’esterno in
termini di governo; c) il tema dei giovani; d )il tema del ‘genere’.
a) Le 2400 imprese - La caratteristica anagrafica delle imprese sane e dei suoi leader è la ‘gioventù’: il
28% esiste da meno di 10 anni, il 43% dei leader ha meno di 50 anni. Il sistema di governo prevalente
è quello con amministratore unico, quindi strutture di governo molto semplici. La competitività in
termini di crescita e di recupero di redditività è buona, tanto da reggere bene il confronto, ad esempio,
con le medie imprese italiane non familiari. Le dimensioni delle migliori, delle più redditizie sono
piccole (90-100 milioni di euro), e in termini di proprietà più concentrate: una, due, tre persone che
detengono il totale della proprietà.
b) L’ ‘apertura all’esterno’ in termini di gestione e governo - La tesi che l’Osservatorio ha elaborato è che
le imprese familiari vadano bene quando sono gestite in modo semplice, tipicamente con un
amministratore unico, mentre quando il quadro si complica, per una serie di variabili anche esogene
o proprietarie, le imprese familiari fanno più fatica. A riprova c’è il dato ad esempio che pochissime
hanno un Direttore Generale: solo l’8%. E ancora oggi l’80% delle aziende italiane ha un Leader
familiare, anche se viene segnalata la tendenza degli ultimi tre anni ad ampliare il numero di non
familiari al vertice.
Secondo l’Osservatorio, un leader familiare dà risultati migliori quando l’azienda è un po’ più piccola e i
familiari sono pochi, perché, a detta di Corbetta, nelle aziende piccole sono molto premiate le
‘conoscenze tacite’, quelle trasmesse dai genitori, padri e madri, a figli e figlie. Con ogni probabilità
Corbetta si richiama alla definizione coniata da M. Polanyi11, il filosofo che per primo se ne è occupato,
per spiegare la particolare caratteristica della conoscenza nella quale coesistono sempre due
dimensioni: una esplicita e una implicita. In quest’ultima ci sono quei processi inconsapevoli e inespressi,
(frutto di esperienza, di capacità di riflessione critica sulle esperienze effettuate, di intuito, di
comprensione della specificità dei contesti, ecc) che vengono interiorizzati e che difficilmente vengono
9
Cfr. DE VECCHI C., Problemi, criticità e prospettive dell’impresa di famiglia, Vol. I, Vita & Pensiero, Milano 2007,
pp. 70-75.
10
Cfr. GERSIK K.E. [et alii], Generation to Generation, Harvard Business School Press, Boston, Massachussets 1997,
pp. 167-171.
11
POLANYI M., The Tacit Dimension, Anchor Books, New York 1966.
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esplicitati o teorizzati, ma che poi si manifestano concretamente nell’agire e nell’organizzare 12. E’ chiaro
che se così è, solo un contatto stretto e quotidiano, un’osservazione costante di comportamenti e azioni da ‘ragazzo di bottega’ - di un figlio/figlia, nei confronti del genitore imprenditore, tipica dell’azienda
strettamente familiare, può consentire l’apprendimento, che difficilmente si verifica nei rapporti più
allargati e nelle dinamiche e procedure più complesse di un’impresa di più ampie dimensioni. Questa la
ragione per la quale, ipotizziamo, quando cominciano ad aumentare le dimensioni dell’azienda, la
gestione diventa più efficace se affidata ad un non familiare: questi ha conoscenze e competenze
‘istituzionalizzate’ e più facilmente trasformabili in procedure e azioni standardizzabili, cosa che rende
meno difficoltose sia le comunicazioni che le relazioni. Inoltre in un contesto dove spesso aumentano le
tensioni causate dalla competizione tra interessi e logiche di ‘tutela familiare’ e interessi e logiche di
business, il manager esterno spesso assume il ruolo di equilibratore tra le due componenti. In quel
contesto così modificato infatti, si hanno i risultati se si riesce a far valere la regola ‘poca famiglia e tanto
lavoro13’[…]. Corbetta però fa notare che le rilevazioni indicherebbero che l’inserimento di un ‘esterno’ fa
diminuire le performance. Si propone una possibile interpretazione: è un dato di fatto che c’è una
divisione tra proprietà e management team che fa “divergere” gli obiettivi tra le due parti. I manager,
sapendo di essere valutati sui risultati a breve periodo «fanno i loro interessi», migliorano il loro status
con aggravio dei costi aziendali e pongono in secondo piano quelli dei detentori del capitale; non è
casuale quindi che la situazione si sani quando si coinvolge il management nella vita aziendale,
vincolandolo al capitale di rischio14. A questo proposito Corbetta infatti propone un’ulteriore riflessione: se
si fa un’analisi un po’ più approfondita, si scopre che normalmente i consiglieri d’amministrazione non
familiari vengono inseriti quando in azienda c’è ormai una situazione di sofferenza; questa sembrerebbe
essere la ragione delle performance negative: se si verificano i dati dell’azienda a distanza di tre anni dal
loro ingresso, si scopre che le performance diventano positive.
Si può osservare a tal proposito che se un CdA è composto esclusivamente da membri familiari,
spesso è gestito secondo logiche che vengono investite da emozioni e problematiche di natura
psicologica che possono avere effetti nefasti nei processi decisionali, con rischio di insuccesso del
business; la soluzione più adatta per arginare queste contaminazioni appare, alla maggioranza degli
studiosi di Family business15, sostituire gradualmente i membri della famiglia con manager esterni.
Corbetta infatti afferma che, anche se non è semplice, nemmeno scontato, né automatico, un consigliere
non familiare può dare un contributo di evoluzione al modello di governance dell’impresa familiare.
c) Il tema dei giovani - Le successioni sono aumentate: sono passate dal 5,2 al 6,7%, il che indica che la
rotazione tra gli imprenditori continua. Certo è che se l’età del Leader aumentasse con lo stesso ritmo
registrato nell’ultimo decennio, nel 2015 il 25% delle aziende in Italia sarebbe guidato da
ultrasettantenni. Questo potrebbe rivelarsi un fattore di criticità nel prossimo futuro, poiché è stato
verificato che le performance migliori da un punto di vista della crescita sembrano darle le persone più
giovani: rispetto al 2009 e rispetto alla media nazionale, sono state le aziende con leader con meno di
40 anni a ripartire più velocemente in termini di investimento.
d) Le donne al vertice - Questo è un tema noto, tornato d’attualità ora che c’è una legge (L.12/7/2011
n.120) che impone che un terzo dei posti nei Consigli di Amministrazione nelle aziende quotate dovrà
essere assegnato al genere meno rappresentato16.. Sarà interessante seguirne gli effetti perché in
generale la presenza delle donne nei CdA contribuisce positivamente in termini di risultati e anche in
termini di Leadership.
12
Cfr. SCHӧN D. A., Il professionista riflessivo, Edizioni Dedalo, Bari 1993, pp. 76-86
DE VECCHI C., Problemi, criticità e prospettive dell’impresa di famiglia, Vol. I, Vita & Pensiero, Milano 2007,p.25.
14
Cfr. Ivi, pp. 41-44.
15
Cfr. Ibidem; DE MASSIS A., CHUA J. H., CHRISMAN J.J., Factors Preventing Intra-Family Succession”, Family Business
Review, vol. 21, n. 2, 2008, p. 188.; WARD J. Di padre in figlio: l’impresa di famiglia. Come preparare il passaggio
generazionale e assicurare continuità e prosperità alle aziende familiari, Franco Angeli, Milano 1990,
pp. 238-241.
16
Si vuole sottolineare questa reale posizione di equità che ha tenuto il legislatore. Pur approntando una legge volta a
potenziare la presenza del genere femminile nei CdA, ha voluto in assoluto evitare il caso di un genere (qualunque esso
fosse) “prevaricante” sull’altro, garantendogli per legge almeno un terzo dei posti disponibili. Vero, democratico
rispetto della uguale dignità e ‘peso’ dei due generi.
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Guido Corbetta: focalizzazione dei risultati più significativi
Sintetizzando i risultati più significativi dell’analisi, Corbetta osserva che: i modelli di gestione semplice
funzionano bene, quelli più complessi richiedono apprendimento. Uno dei compiti dell’Osservatorio
potrebbe essere rilevare la ricaduta di corsi di formazione e attività simili, verificando ad esempio l’utilità
delle iniziative e del network dell’Associazione (AIdAF) in quanto questo processo di evoluzione non è
scontato nè automatico; richiede apprendimento e l’apprendimento richiede dedizione.
Quello della carenza di formazione e di ‘cultura della formazione’ nelle Aziende familiari è tema più volte
citato e indicato come cruciale: «La formazione si dimostra ancora un elemento di debolezza, se si
considera che, sempre secondo Fondirigenti, il 48% delle imprese organizza non più di due giornate di
formazione all’anno e nel sud solo il 20% delle imprese dichiara di svolgere attività formative. La
formazione in questione inoltre è diretta più che altro ad allineare competenze tecniche, piuttosto che a
temi di general management.»17. Si aggiunge che è da tenere bene in considerazione il fatto che la
provenienza delle figure imprenditoriali di queste piccole e medie aziende è dall’area delle vendite,
dell’amministrazione, della tecnica, questa si pensa possa essere la ragione per la quale, ingrandendosi
le dimensioni e gli scenari, fondamentale diventa da una parte acquisire competenze di management e
dall’altra agirle cambiando gli stili di conduzione e organizzazione18.
Altro elemento su cui riflettere, fa notare Corbetta, i modelli semplici, quelli con CdA composto da membri
familiari e con Amministratore Unico, rischiano di essere un po’ meno coerenti rispetto all’evoluzione e al
quadro di complessità del mercato globale che implica la capacità di sapersi muovere nello scacchiere
internazionale, di gestire fattori di rischio e fattori di competizione molto più complicati rispetto a quelli
che si dovevano gestire anni fa.
Obiettivo futuro dell’Osservatorio potrebbe essere indagare se si può imparare a gestire meglio le
imprese familiari, anche nel caso in cui si abbia l’intenzione di ampliarne la struttura; a questo proposito
l’Osservatorio ha tentato in un certo senso di fare anche un po’ di campagna di ‘apprendimento’
inserendo queste riflessioni e osservazioni nelle 12 presentazioni effettuate nel 2011 in giro per l’Italia.
La tavola rotonda: L. Gilli, E. Belli, A. Spada, M. Gabbiani
Viene quindi data la parola a Gioacchino Attanzio, Direttore Generale AIdAF, che dopo aver invitato al
desk i partecipanti alla tavola rotonda, fa alcune considerazioni su quanto fin lì esposto, sottolineando fra
le altre cose la prevedibilità della crisi in corso e la positività della partecipazione ad attività associative
per le aziende, meccanismo che è sicuramente migliorativo, in quanto stimola riflessioni e diverse
prospettive. Ricorda poi l’aumentata aspettativa di vita che dovrebbe imporre riflessioni un po’ diverse
sull’avanzata età dei leader e invita a non perdere mai di vista le radici storiche delle varie zone d’Italia.
In sintesi: per quanto si tenti un’analisi che riguardi tutte le imprese familiari oltre una certa dimensione,
ci saranno sempre degli ambiti, dei contesti che costringeranno a conclusioni non univoche e non
generalizzabili.
Linda Gilli, invitata sia a dichiarare le proprie impressioni sull’Osservatorio appena presentato che ad
esporre le proprie considerazioni sulla situazione in generale, dopo aver manifestato il proprio
apprezzamento, delimita il suo intervento: definendo la situazione italiana; prendendo posizione sulle
diverse distinzioni che sono state fatte a proposito delle figure che lavorano nelle aziende familiari;
indicando alcune ipotesi su cosa e come fare per migliorare e crescere o quantomeno resistere in
periodo di crisi.
La situazione italiana: il sistema è troppo rigido. Per ‘resistere’ in Italia ci vuole una solidità che in
qualche modo è favorita dalla gestione ‘familiare’, perché le aziende familiari rinunciano e hanno
rinunciato, a suo parere, agli utili, hanno investito, hanno resistito e alla fine hanno raccolto i vantaggi
che a ben guardare ogni crisi porta, sempre che si sia in grado di affrontarla.
Le figure che lavorano nelle aziende familiari: Gilli si dichiara favorevole all’analisi positiva che ha
fatto Corbetta del manager esterno perché in un’azienda familiare un po’ più strutturata con un
passaggio generazionale possibile, un manager che dia continuità alla famiglia è un fattore molto
17
FAVRETTO G., BORTOLANI E., Scenari di longevità e scelte organizzative nelle imprese famigliari, in Trentini G, Togni
M., Continuità generazionale d’impresa, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 171-172.
18
Cfr. TAGIURI R. in: FAVRETTO G., Il problema della successione nelle piccole e medie imprese. Conversazione con
Renato Tagiuri, in: Risorsa Uomo, 1/2007, vol XIII, Franco Angeli, Milano, pp. 120-124.
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importante. La difficoltà è trovare tipi di manager non soltanto bravi, ma anche in sintonia e in armonia
con l’azienda, (come dire: «Non è sufficiente avere persone capaci di fare il lavoro che si richiede,
devono essere persone affidabili, si potrebbe dire biodegradabili nell’organismo familiare che sta sempre
alla base del governo economico» 19) e ovviamente questo vale anche parlando delle donne. (Semplice,
allo stesso tempo puntuale, la precisazione della Gilli che dichiara che bisognerebbe parlare sempre di
persone, non di sesso maschile o femminile, ma di individui che valgono o meno). Ma riconosce che
questa deficitaria rappresentanza del genere femminile ai vertici è anche in parte responsabilità delle
donne stesse che non si fanno avanti, non rischiano, rimangono nell’ombra del padre, del fratello, del
manager; forse questo obbligo di legge potrebbe contribuire a cambiare la ‘cultura’ e il modo di valutare e
valorizzare la presenza del genere femminile in azienda. A suo parere in momenti di crisi il genere
femminile sa meglio gestire l’azienda, specie se adotta uno stile manageriale da ‘chioccia’, cioè da
manager o da imprenditore che lavora per tutta l’azienda con l’idea di lavorare insieme, con tutti, primus
inter pares, nella visione di un’azienda che viva anche nel futuro; quindi azienda che, più che persona
giuridica, è persona fisica perché fatta da tante persone, da tante intelligenze. Se si riflette su questa
affermazione della relatrice, si può intendere che le donne, nel loro essere imprenditrici e manager,
vivono compiutamente il fatto che «l’uomo, qualsiasi uomo, «cuce » a modo suo, senza sosta, con il filo
della sua ragione, tutto quanto lo circonda a sé.[…]. Senza fili non vive»20.
Cosa e come fare: Gilli ipotizza che in periodo di crisi la modalità per non soccombere è inventarsi
soluzioni anche ardite, creare moltissimo, entrare in nuovi settori, ampliare la gamma dell’offerta,
lavorare di fantasia traguardare il futuro, non vivere soltanto sull’oggi, sul breve termine, sui ritorni delle
quotazioni in borsa, ma vivere di più sull’idea di dare continuità e in questo, ribadisce, le donne sono
molto forti. E’ importante inoltre fare sia un’attentissima politica di contenimento di costi non veramente
utili per la crescita, che investimenti in sviluppi tecnologici, in personale, in comunicazione, sul web.
Senza contare che se c’è un progetto buono, se c’è una società affidabile, le banche prestano il loro
aiuto.
Elena Belli interviene e chiarisce cosa fa normalmente una banca: è a sua volta un’impresa e come
tale valuta la situazione dell’azienda che ha di fronte nel suo complesso, la rischiosità dell’investimento in
termini di solidità e solvibilità, in un rapporto idealmente di partnership, con una attività di valutazione e
monitoraggio dell’investimento. Di fatto è responsabilità delle banche di “sistema”, delle banche più
grosse, lavorare per la continuità delle imprese; in questi momenti di crisi eccezionale, ciò implica in
qualche caso andare al di là dello strumento creditizio vero e proprio, creando una sorta di
’accompagnamento’, mettendo al centro la relazione con l’impresa, quindi advisory e capacità di
vicinanza.
Viene poi interpellato Alessandro Spada nella sua duplice veste di rappresentante dell’istituzione
Camera di Commercio e di imprenditore. E’ soprattutto da quest’ultimo punto di vista che Spada ha
preferito fare i suoi commenti sulle tematiche affrontate dall’Osservatorio, ritenendo che può essere utile
indagare e individuare quali siano i fattori di successo dell’impresa familiare che le consentano di
accrescere il proprio fatturato fino a superare i fatidici 50 milioni di euro.
Primo fattore: la separazione tra le dinamiche tra familiari e il loro rapporto con l’Azienda, che deve
sempre essere messa davanti a tutto. Ci deve essere e c’è differenza tra un’Azienda che viene gestita da
manager rispetto ad una che viene gestita da un nucleo familiare ed è questa differenza a determinarne
poi il successo. Spada qui sembra riferirsi al fatto che quando il business aumenta, quando i processi
non sono più solo quelli di prodotto, e di processo, ma anche organizzativi, finanziari, logistici,
commerciali, si devono adottare strumenti di gestione e di direzione molto più sofisticati, per governare
una struttura che si fa sempre più ampia e articolata e che non può più essere retta dalla logica del
padre-padrone21.
Secondo fattore: gli ‘aspetti motivazionali’. E’ compito delle generazioni che dirigono capire se le
generazioni successive hanno lo stesso interesse e la stessa motivazione: questo è un aspetto
fondamentale perché l’impresa deve cercare di essere competitiva ed è necessario continuare a mettersi
in gioco. Si può confermare questa affermazione di Spada riferendo la conseguenza estrema di una
mancanza di motivazione o interesse: il vero e proprio fallimento del passaggio generazionale sia per
19
DE VECCHI C., Problemi, criticità e prospettive dell’impresa di famiglia, Vol. I, Vita & Pensiero, Milano 2007, p.26.
BERTAGNA G., Dall’educazione alla pedagogia, La Scuola, Brescia 2010, p.373.
21
Cfr. DE VECCHI C., Problemi, criticità e prospettive dell’impresa di famiglia, Vol. I, Vita & Pensiero, Milano 2007,
pp. 25-31.
20
5
responsabilità diretta del successore che rifiuta e non si impegna, sia per la non accettazione da parte
dello staff di direzione che non supporta e non accetta l’erede22;. Per il relatore cioè il nucleo familiare
aziendale deve essere sempre in grado di trasformarsi, anche strutturandosi diversamente, e
all’occorrenza, ad esempio in presenza appunto di successori non motivati, inserendo manager esterni
preparati, con cui si deve confrontare affrontando maggioranze assolutamente variabili mai condizionate
dal ruolo familiare, ma esclusivamente dal tema che viene discusso e dalle decisioni che si devono
prendere. Si ritiene che Spada abbia qui ben presente il rischio di insuccesso del business dovuto alle
logiche familiari, guidate spesso dalle emozioni, che se non correttamente gestite e indirizzate possono
investire i processi decisionali con effetti devastanti23, .
Terzo fattore: la consapevolezza che l’asse del mondo si è spostato in maniera molto significativa
verso l’Asia, che è l’area che oggi si sviluppa maggiormente determinando una concorrenza molto forte:
l’unico sistema per poter progredire è continuare ad investire, avere nuovi obiettivi e cercare nuove
produzioni e nuovi campi di applicazione.
La domanda lasciata aperta dall’intervento di Spada e raccolta dal presidente Attanzio è: le banche,
soprattutto quelle di sistema, di ‘piattaforma’, come supportano queste imprese familiari, queste aziende
che fanno fatiche per evolversi, per crescere in Italia e per andare in altri mercati nel mondo?
Marco Gabbiani risponde e spiega che le piattaforme internazionali delle banche di ‘sistema’ sono
nate andando a cercare i Pil in crescita: così è stato per l’Est Europa, quella che una volta si chiamava la
New Europe. Questo implica un onere per le banche: creare e rappresentare una lunga catena in grado
di accompagnare gli imprenditori in nuovi mercati, all’estero, con un sistema organizzativo e di
comunicazione ben diverso da quello degli anni precedenti quando raramente ci si curava di ‘parlare’ con
l’imprenditore per capire cosa c’era nel suo investimento, raramente si era a contatto con il territorio.
Oggi invece è fondamentale tornare a parlare con gli imprenditori, specie con le aziende di famiglia:
ricerche ed analisi come quella dell’Osservatorio AUB rappresentano quindi una preziosa fonte di
conoscenza perché l’azienda familiare è un mondo particolare: ci sono sempre due entità, due sfere che
sono distoniche tra loro: da un lato c’è la famiglia che è sempre un po’ il terreno della solidarietà, della
tutela equa e protettiva nei confronti dei figli, dall’altra c’è l’azienda dove al contrario dovrebbe vincere la
meritocrazia, dovrebbe vincere il migliore. Se per l’impresa di famiglia riuscire a conciliare queste due
sfere è un’impresa difficile, per una banca lo è ancora di più; quindi diventa fondamentale avere
strumenti per capire le dinamiche di queste aziende e attuare poi strategie di diffusione e supporto. Si
crea così il valore aggiunto di una contemporanea opera di informazione e diffusione di nuove idee, tra le
quali l’internazionalizzazione. La banca diventa dunque veicolo anche di innovazione e cambiamento e
all’occorrenza sponsor dei passaggi generazionali. Infatti la pratica creditizia, mirata ai passaggi
generazionali, diventa una sorta di test, di assessment per valutare se il passaggio generazionale sia
finanziabile o meno, se l’imprenditore ha una struttura di governance che preveda piani di crescita e
preveda anche la capacità di inserire all’interno del CdA management esterno, che sia capace di
adeguarsi ad un mondo estremamente complesso, con ottiche sovranazionali.
Guido Corbetta: la sintesi finale
La serie di interventi viene poi conclusa da Guido Corbetta che riprende un concetto già dichiarato: le
aziende familiari che vanno bene sono quelle a gestione semplice. Quando, però, per una serie di ragioni
strategiche, per una serie di ragioni proprietarie, i modelli si devono complicare, emergono parecchie
criticità. Aver rilevato che negli ultimi 10 anni il numero di aziende con almeno un membro del consiglio
d’amministrazione non familiare, non solo non è aumentato, ma è addirittura sceso ci deve allora far
riflettere e spingere a lavorare in quella direzione: il rischio è di trovarci con delle imprese sane, ben
strutturate per situazioni semplici, ma che fanno fatica ad affrontare situazioni più ‘allargate’ che invece
diventeranno sempre più necessarie. Prioritario allora trovare fonti di apprendimento su modelli di
gestione delle imprese familiari un po’ più complessi, questo è l’obiettivo a cui puntare. Non ci si deve
scoraggiare: è possibile farlo, il paese ha le risorse, è necessario farle emergere con un lavoro adeguato
di informazione e di apprendimento.
22
Cfr. DE MASSIS A., CHUA J. H., CHRISMAN J.J., “Factors Preventing Intra-Family Succession”, Family Business Review,
vol. 21, n. 2, 2008, p. 186.
23
Cfr. DE VECCHI C., Problemi, criticità e prospettive dell’impresa di famiglia, Vol. I, Vita & Pensiero, Milano 2007,
pp. 60-63.
6
Osservazioni e note conclusive
Si vuole ora in conclusione sintetizzare quanto l’Osservatorio ha indicato e prospettato a tutti coloro che
si occupano di Family business, e aggiungere alcune osservazioni stimolate da questa terza interessante
ricerca. C’è sicuramente l’invito a pensare e trovare strumenti, percorsi, supporti che consentano alle
imprese familiari italiane non solo di affrontare e superare questa crisi economico-finanziaria, ma di
trasformarla in un’opportunità di crescita, cambiamento e potenziamento delle proprie risorse. Lo
scenario futuro ipotizzabile e che viene auspicato è quello in cui si tenga conto della capacità di
integrazione e ricorso al management esterno unita alla possibilità di fare network, per affrontare un
mercato sempre più globale. E’ auspicata quindi la creazione di un ‘tessuto connettivo’ delle aziende
familiari, che grazie all’adesione a diverse forme associative, permetta il diffondersi di iniziative volte a
cambiare e integrare la ‘cultura’ imprenditoriale non solo delle generazioni junior, ma anche di quelle
senior. Uno scenario, aggiungiamo, in cui il ricorso alle pratiche formative venga vissuto alla pari di
qualunque investimento innovativo e venga affrontato con la consapevolezza che la formazione, specie
una formazione ‘in azione’ che rispetti, utilizzi e valorizzi i saperi dell’agire24 ’e quelli dell’’essere’, più che
del «l’avere (qualche abilità che altri non hanno)»25, potrà rappresentare sempre di più il fattore di
successo del futuro imprenditoriale delle medie imprese familiari italiane. Quindi grande preoccupazione
per questa constatata incapacità di adattamento delle nostre aziende nel fare il salto verso la
globalizzazione e l’internazionalizzazione e proponimenti di intervento anche da parte dell’Osservatorio
per creare informazione, apprendimento e diffusione di nuova ‘cultura’ imprenditoriale. Un’ulteriore
possibilità, aggiungiamo, sempre in quest’ottica, potrebbe essere un parallelo impegno e lavoro affinché
il patrimonio di esperienze, di conoscenze speciali, di qualità produttiva che le nostre imprese familiari
posseggono e per cui sono famose nel mondo, diventi patrimonio comune per tutta la collettività e come
tale sopravviva anche a chi lo ha creato, invece che essere disperso, come ora accade, ogni volta che
una successione generazionale non va a buon fine. Sarebbe interessante poter avere una mappatura di
tutte queste tipologie di esperienze e conoscenze, così da creare poi una rete di informazione e
apprendimento di pratiche di mantenimento ed evoluzione di questi ‘saperi’ proponendo, ad esempio,
alle aziende familiari un’adesione più convinta e capillare alla pratica dell’apprendistato formativo.
Apprendistato, quindi, inteso come strumento di condivisione di tante singole irripetibili esperienze e
competenze personali, che potrebbero così trasformarsi in patrimonio comune, della collettività,
‘nostro’26.
24
Cfr. BERTAGNA G., Lavoro e formazione dei giovani, La scuola, Brescia 2011, pp.72-80.
BERTAGNA G., Dall’educazione alla pedagogia, La Scuola, Brescia 2010, p. 385 .
26
Cfr. BERTAGNA G., Lavoro e formazione dei giovani, La scuola, Brescia 2011, p. 62-69.
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Bibliografia
BERTAGNA G., Dall’educazione alla pedagogia, La Scuola, Brescia 2010, pp.373-385 .
BERTAGNA G., Lavoro e formazione dei giovani, La scuola, Brescia 2011, pp.62-80.
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